XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 21 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MALATTIE RARE

Audizione della professoressa Paola Facchin, coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 2 
Facchin Paola , Coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 2 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 6 
Facchin Paola , Coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 6 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 14.15

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione della professoressa Paola Facchin, coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle malattie rare deliberata il 18 marzo scorso, l'audizione della professoressa Paola Facchin, coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Purtroppo, i lavori dell'Assemblea ci consentono solo circa 30 minuti, per cui chiedo alla nostra ospite la cortesia di essere sintetica nella sua enunciazione, dopodiché potrà eventualmente rispondere alle domande altrettanto sintetiche dei nostri commissari.
  Do, quindi, il nostro benvenuto alla professoressa Paola Facchin, coordinatrice del Gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome che è accompagnata dal dottor Paolo Alessandrini, dirigente per i rapporti con il Parlamento della Conferenza.

  PAOLA FACCHIN, Coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Vi ringrazio di questa audizione e della possibilità di comunicare ciò che è stato fatto dalle regioni, ovvero qual è la condizione attuale e quali criticità vediamo, oltre ad alcune proposte operative molto concrete che potrebbero migliorare la situazione attuale dell'assistenza alle malattie rare in Italia.
  Vi dico anche che la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha predisposto un documento tecnico (non so se vi sia stato distribuito, ma comunque vi verrà dato) e ha realizzato un volume che vi è stato spedito, per cui vi verrà consegnato nei prossimi giorni, nel quale troverete un resoconto molto dettagliato, con molti dati, della situazione reale di alcuni punti strategici.
  Mi riferisco, in particolare, allo stato dell'arte dei cosiddetti «centri accreditati» o di riferimento e della rete per l'assistenza; allo stato dei registri e dei monitoraggi dei malati; alle integrazioni LEA e al problema delle regioni in piano di rientro; al problema dei rapporti con le associazioni d'utenza e all'inventario di tutte le associazioni di utenza esistenti in Italia che si occupano di malattie rare, con i loro punti di forza e di fragilità; nonché ad altri temi, come gli screening neonatali e così via, di cui – come ho visto in internet – avete già dibattuto nelle precedenti audizioni.
  Mi scuso, quindi, se il volume non è arrivato in tempo, ma non è stato per colpa nostra. Comunque, vi sarà consegnato, Pag. 3per cui vi prego di dargli un'occhiata.
  Vi avverto che il sito internet regionimalattierare.it contiene tutta la documentazione aggiuntiva, quindi chi desidera approfondire trova documenti e dati a sua disposizione.
  Detto questo, vorrei parlare brevemente di due ambiti. Il primo riguarda cosa è successo in questi 14 anni in Italia e che cosa c’è effettivamente adesso, illustrando dati e condizioni; il secondo, invece, concerne le criticità e soprattutto le proposte operative concrete e fattibili, che richiedono alcuni aggiustamenti normativi anche molto semplici e spesso senza investimenti economici.
  Innanzitutto, vorrei soffermarmi su cosa c’è adesso in Italia. Come sapete, in Italia la rete di assistenza ai malati rari è iniziata nel 2001 con il famoso decreto n. 279, che è stato così innovativo che per la prima volta ha messo al centro dell'attenzione la creazione di una rete di assistenza, cosa che non c'era mai stata in nessun altro Paese né europeo, né extra europeo.
  Il decreto poneva come centro di questa rete di assistenza i cosiddetti «presidi accreditati» e legava alla diagnosi fatta in questi presidi la possibilità di godere di un'esenzione particolare, quindi di diritti esigibili da parte dei cittadini, condizionati, però, alla diagnosi in questi centri.
  Pertanto, per prima cosa tutte le regioni hanno dovuto istituire questi centri, altrimenti i loro cittadini non avrebbero avuto l'esenzione, ovvero il riconoscimento di quei diritti. Nell'istituire questi centri, a partire dal 2001- 2002, ci si è resi conto dell'assoluta complessità della norma. Infatti, prima di tutto, non spiegava che cos'era un presidio accreditato e a che cosa dovesse essere dedicato, se alla singola malattia, a gruppi di malattie o al gene.
  Questa e altre domande hanno portato alla conclusione che il presidio non era sufficiente per la presa in carico della persona. Abbiamo, quindi, sentito – allora ero già coinvolta – la necessità di creare un tavolo tecnico permanente interregionale, che, istituito alla fine del 2001 in maniera stabile, continua a lavorare indefessamente.
  Le regioni sono, dunque, partite e in qualche modo hanno accreditato. Inizialmente, c’è chi ha accreditato un unico ospedale, chi delle unità operative, chi per singola malattia, chi per gruppi di malattie.
  Questa difficoltà, però, non deve stupire perché nel 2004, quando la Commissione europea istituisce la task force sulle malattie rare, il primo punto che affrontano è proprio quali sono i centri di riferimento. La visione iniziale era che ci doveva essere un ospedale per la Francia, uno per la Germania e così via, senza rendersi conto che questo ospedale avrebbe dovuto seguire centinaia di migliaia di malati per sempre, visto che una malattia rara di solito dura per la durata della vita della persona.
  Quindi, la difficoltà semantica, ma anche oggettiva, che hanno avuto le regioni si è effettivamente rivista anche a livello europeo. Il tempo è passato e, attraverso un confronto faticosissimo e continuo delle diverse esperienze messe in atto all'interno di questo tavolo, si è andata progressivamente precisando l'idea di cosa sono questi centri.
  La progressiva omogeneizzazione è stata parallela a quella che è avvenuta in Unione europea, cosa molto importante perché in questo momento è un punto strategico, visto che alla fine di quest'anno ci sarà il bando per le reti europee di riferimento. Dobbiamo, pertanto, capire se i nostri centri possono essere papabili per queste reti europee.
  Per questo, assieme alle associazione d'utenza e al Ministero, in maniera partecipata, abbiamo finalmente definito comunemente che cos’è un centro di riferimento o di expertise. Si è detto, innanzitutto, che deve essere accreditato per grossi gruppi di malattie rare, non per singole malattie rare, perché deve essere centrato sui bisogni assistenziali. Inoltre, deve essere fatto da più unità operative perché non è possibile seguire una malattia rara solo con una competenza; ci deve Pag. 4essere l'insieme di più competenze professionali, che sono all'interno della stessa struttura solitamente, ma non necessariamente ospedaliera, che devono lavorare insieme funzionalmente nello stesso piano assistenziale del malato.
  In terzo luogo, la stessa unità operativa può far parte di più centri di malattie rare. Pertanto, un'unità operativa che fa bene il trapianto del polmone funzionerà per la fibrosi cistica, ma anche per il trapianto di polmone di altri gruppi di malattie. Allo stesso modo, un grosso dipartimento di genetica funzionerà per le neuromuscolari, ma probabilmente anche per le retiniti pigmentose o altre cose.
  In sostanza, c’è una doppia relazione molti-a-molti, un centro con più unità operative e la stessa unità operativa con più centri, quindi c’è una fortissima esigenza di management e di governance centralizzata per potere vedere l'interazione tra queste reti, che non devono essere a canne d'organo, cioè separate una dall'altra, ma interrelate fra di loro.
  Il 21 aprile abbiamo tenuto un convegno a Venezia che ha fatto il punto di tutto ciò che è stato realizzato dalle regioni e abbiamo considerato questi aspetti. Tuttavia, con un sistema così complesso si può contare la stessa unità operativa 20 volte, perché fa parte di più centri, quindi si possono considerare i centri e poi le unità operative, ottenendo numeri diversi. A ogni modo, di fatto, in Italia i presidi accreditati sono 196. Ora, sono tanti o pochi ?
  Prima di venire qui ho letto cosa hanno detto gli altri che sono stati auditi. Molti dicono che sono tantissimi.
  L'unico Paese in Europa e al mondo che ha fatto un accreditamento istituzionale nel settembre 2014, quindi molto dopo il nostro, è la Francia, che ha previsto 26 filiere, cioè reti, per gruppi di patologia, con la componente pediatrica e adulta. Ogni filiera ha un numero abbastanza rilevante di centri, che superano abbondantemente i 230. Noi ne abbiamo 196, quindi non mi sembra che abbiamo numeri così stratosferici, avendo anche più popolazione della Francia. Pertanto, quando si dice che i centri italiani non hanno valore bisogna vedere a quali ci si riferisce e cosa si va a valutare.
  Un'altra cosa esclusiva della rete italiana, che non c’è negli altri Paesi europei, è il fatto che, grazie a una serie di sistemi di monitoraggio, di cui poi vi voglio parlare, abbiamo l'assoluto controllo dell'attività dei centri, non autoreferenziata (cioè del responsabile del centro che dice di avere una certa casistica), ma monitorata attraverso sia i registri regionali, sia altre fonti indipendenti. Quindi, sappiamo in maniera assoluta quanti sono i pazienti che sono andati, anno per anno, in quel centro per gruppo di malattia rara, quante nuove diagnosi sono state fatte, e – cosa molto importante – quanti piani assistenziali, ovvero quante prese in carico ci sono. Infatti, molti centri fanno la diagnosi, ma poi sono molto scarsi nella presa in carico del paziente. Stiamo, invece, spingendo con molta fatica proprio per portare i centri ad assumere la presa in carico del malato.
  I dettagli su come sono fatti sono nella pubblicazione in distribuzione. Siamo, chiaramente, disponibili a darvi qualsiasi informativa possa esservi utile.
  Vorrei, però, dare il messaggio che all'interno della rete dei 196 centri – anche se non possiamo dire che tutti abbiano la stessa qualità – molti hanno grande competenza e grande casistica.
  Credo che occorra valutare e selezionare i centri – cosa che viene fatta continuamente – attraverso il parametro di dove vanno e come vengono presi in carico i malati. Penso, infatti, che questo sia il parametro non solo più oggettivo, ma anche più corretto. Se mettiamo 100 parametri (la produzione scientifica, l’Impact factor e così via) un centro è migliore su una cosa, un altro su un'altra, per cui alla fine non si capisce più qual è il migliore o il peggiore. Tuttavia, se su 100 malati l'80 per cento si concentra in un centro vuol dire che lì sono seguiti bene. I malati non sono stupidi; se vanno tutti da una parte significa che sono seguiti bene; se non vanno da un'altra parte, vuol dire che lì c’è un problema.Pag. 5
  Dunque, vi prego, per quanto è di vostra competenza, di sostenere la selezione dei migliori centri italiani e la loro partecipazione alle ERN, ovvero alle reti europee di assistenza. Questa è un'occasione importante, che non dobbiamo perdere. Devo dire che siamo già molto in ritardo. È stata creata presso il Ministero una commissione congiunta ministero-regioni per la selezione obiettiva di questi centri, purtroppo, a tuttora, non si è nemmeno insediata e non è mai stata chiamata.
  Ecco, questo è un ritardo estremamente grave. Come regioni siamo disponibili a qualsiasi confronto obiettivo, ma dobbiamo avere una sponda ministeriale adeguata, altrimenti a livello europeo siamo assolutamente perdenti.
  Un altro punto riguarda il problema del monitoraggio, visto che più volte avete parlato di registri epidemiologici e così via. In Italia, la fonte dei dati sono le regioni e i servizi sanitari che seguono i malati. Fondamentalmente, ci sono due fonti principali. La prima sono i centri stessi che fanno diagnosi di malattia, facendo il famoso certificato che dà l'esenzione, quindi nel tempo ogni nuova diagnosi deve dare un nuovo certificato. L'altra fonte importante sono le ASL e i distretti che hanno i residenti che devono avere l'esenzione. Infatti, anche se c’è una mobilità interregionale, i residenti comunque ritornano per avere l'esenzione nella loro ASL.
  Pertanto, considerando ciò che fanno i centri di una regione rispetto ai residenti, si può valutare se c’è un'attrazione oppure una fuga e per quali gruppi di malattia questo accade.
  I registri regionali hanno iniziato a fare questo dal 2002. Poi, però, ci si è resi subito conto che era una cosa insufficiente perché il problema non era solo quello di identificare i centri, ma di connetterli con il restante sistema di assistenza, gli ospedali e l'assistenza territoriale e di cure primarie. L'unica connessione vera possibile, ovvero i famosi percorsi assistenziali, era basata sulla disponibilità dell'informazione clinica del paziente, quindi sul dossier clinico del paziente.
  Per questo, in varie regioni si sono sviluppati dei sistemi informativi che mettono a disposizione l'informazione clinica del paziente, dalla quale poi si traggono parzialmente come output anche gli elementi che danno corso al flusso verso il registro nazionale delle malattie rare. Questo accade solo per un insieme estremamente ridotto di informazioni, mentre quella complessivamente disponibile è molto ricca.
  È importante anche dire (in questo credo che l'ambito delle malattie rare sia un esempio molto rilevante per la sanità) che, a partire dall'esperienza di una regione come la mia, cioè il Veneto, che ha iniziato subito con questo tipo di organizzazione, questo stesso sistema si è esteso in un numero rilevante di regioni. Sono, infatti, 9 le regioni che lo utilizzano, con oltre 25 milioni di abitanti. Adesso, a giugno, partirà una nuova regione, la Sardegna.
  Non si tratta dell'acquisizione di un sistema informativo, ma di un modello di assistenza e soprattutto di una modalità di gestire il paziente, indifferente rispetto al luogo fisico dove si trova, quindi la documentazione clinica viene passata attraverso la telemedicina e via web.
  Per esempio, un paziente può essere visto a Bologna, anche se abita nell'ultima valle del bolzanino oppure in Campania; viene predisposto il piano assistenziale e la farmacia che deve procurare il farmaco, il distretto che deve andare a casa a erogarlo o il reparto ospedaliero che deve fare un'altra cosa vedono in tempo reale ciò che devono fare e si attivano.
  Il centro diventa, quindi, il vero regista dell'assistenza e ha, in tempo reale, tutte le informazioni sul suo paziente, quindi può cambiare, chiamarlo e così via, a seconda del caso. Ora, questa non è un'utopia perché 90.000 persone con malattie rare in Italia sono trattate in questa maniera. Sono un bel numero. Quasi 6.000 professionisti sono collegati e usano il sistema regolarmente. Ci sono, inoltre, più di 960 punti già collegati a questo sistema, Pag. 6che vuol dire ospedali, territorio e farmacie. Se il sistema funziona per questi, può funzionare per tutti.
  D'altra parte, questo sistema ha creato una serie di meccanismi virtuosi. Per esempio, all'interno del sistema sono di volta in volta immesse le regole di assistenza che tutti insieme abbiamo definito in base all'evidenza scientifica.
  Anche le altre regioni hanno attivato questi sistemi di monitoraggio. Le regioni, in questo momento, hanno 260.000 malati rari di cui non solo sanno la malattia, ma anche i piani assistenziali, l'utilizzo dei farmaci, le condizioni cliniche e così via. È un patrimonio informativo molto importante che, tra le altre cose, serve per valutare l'attività dei centri. Va, dunque, utilizzato, conosciuto e in qualche modo reso evidente.
  Altro discorso è quello delle regole e dei protocolli che ci sono all'interno, attraverso sistemi molto complessi di partecipazione che partono dall'evidenza scientifica e creano delle linee guida. Infatti, l'evidenza c’è nella letteratura e non deve essere ricreata ogni volta, ma poi bisogna trasferirla come un volano nella pratica concreta, in relazione a ciò che il malato ha diritto di avere in quel contesto reale.
  La Sardegna è un contesto diverso dal Veneto, dalla Campania e così via. Il malato, però, deve sapere dove va a farsi curare. Quando è in una determinata condizione, deve aprirsi una finestra per dargli ciò che serve. Questo è il percorso, che deve essere per forza contestualizzato, cioè regionalizzato, fatto nelle realtà di quei servizi, altrimenti abbiamo un documento bello, teorico, ma non vivo nella realtà di assistenza del malato di ogni giorno.
  Quei percorsi sono, quindi, molto difficili e non si fanno per malattia, ma per problema assistenziale. Nel caso di un bambino con un ritardo mentale, questo deve avere il suo percorso in quanto tale. Il ritardo mentale della Williams non è diverso da quello di altre malattie.
  L'idea di prendere un PDTA (Percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale) per malattia è un non senso perché si fa per matrice; da una parte, ha un senso nella fase diagnostica per malattia, dall'altra – per righe e per colonna – per programmi assistenziali.
  Imporre questo – lo stiamo facendo; tutte le regioni hanno fatto almeno qualche PDTA – è un processo estremamente complicato perché va a toccare molte sensibilità, costringe ad assumere e pensare linguaggi diversi dei propri e così via, quindi richiede una progressività che è necessaria e non può essere bypassata.
  È, però, molto importante che ci sia un'unità di obiettivi. Se tutti noi – con un'azione del Parlamento, delle regioni, del Governo e di tutti gli attori – condividiamo lo stesso obiettivo, occorrerà del tempo per raggiungerlo, ma se i passi sono coerenti con esso, ce la possiamo fare. Invece, se questo obiettivo non è esplicitato, non è condiviso e le azioni sono spesso una contro l'altra, sarà molto difficile da raggiungere.
  Dentro a quello dei percorsi, c’è il problema dell'accesso.

  PRESIDENTE. Mi scusi, le chiedo se può arrivare alla conclusione, altrimenti non avremo la possibilità di fare eventuali domande.

  PAOLA FACCHIN, Coordinatrice del gruppo interregionale «Malattie rare» della Commissione Salute della Conferenza delle regioni e delle province autonome. C’è, inoltre, un problema enorme di accesso ai trattamenti, nel senso che moltissimi trattamenti, non solo farmacologici, sono extra LEA.
  Passo subito alle proposte concrete. La prima è quella di riconoscere la qualità dei centri, quindi di dare una mano per questo. Devo dire che è stato appena raggiunto un accordo sulla possibilità di potenziare ulteriormente la consulenza a distanza. Questo accordo è molto importante per evitare le migrazioni e i trasferimenti dei pazienti, ma per farlo c’è necessità di supporto anche infrastrutturale, altrimenti resta lettera morta. Dal momento che c’è l'Agenda digitale, questo Pag. 7elemento vi va inserito. Da lì vanno, quindi, presi i fondi per farlo funzionare.
  Un'altra cosa molto importante è l'accesso ai trattamenti. Nel documento che vi ho consegnato ci sono una serie di proposte molto concrete. Il primo problema è quello dell'accesso ai farmaci C, off label e non in commercio in Italia, come anche ai parafarmaci, presidi e così via, che sono extra LEA.
  Ora, per quanto riguarda i farmaci, le regioni in piano di rientro non possono dare extra LEA, quindi siamo completamente bloccati. C’è, però, una soluzione concreta. Esiste, infatti, la legge n. 648 del 1996 che permette l'utilizzo off label e quant'altro di alcuni farmaci per i quali ci sono evidenze scientifiche. È stato già fatto un elenco speciale per l'oncologia. Noi chiediamo ormai da molti anni – vi chiediamo supporto su questo – che venga fatto anche per le malattie rare. Tra le altre cose, l'elenco esiste già ed è già concordato perché per due anni l'AIFA lo aveva fatto con le regioni per dare un ristoro parziale di questi farmaci. Partiamo, quindi, da questo elenco. Si può fare già domani. Almeno, il problema delle regioni in piano di rientro viene superato.
  La seconda proposta riguarda un problema enorme nell'importare farmaci per i malati rari con indicazioni diverse da quelle per cui sono in commercio all'estero perché questo è vietato per legge. Anche su questo, si può fare una modifica legislativa affinché il blocco per l'importazione di questi farmaci non valga per le malattie rare, dove c’è evidenza dell'uso alternativo del farmaco. Adesso lo bloccano la dogana, per cui dobbiamo fare dei salti mortali pazzeschi per poter importare anche farmaci che costano poco e non si sa perché non sono più in commercio in Italia.
  Faccio l'esempio dell'idrocortisone, che non è più in commercio in Italia, per cui lo dobbiamo importare dall'estero. Tuttavia, se lo dobbiamo importare per alcune malattie rare ce lo bloccano in dogana. Ecco, anche questa è una cosa facilissima da fare, che eviterebbe le molte differenze che ci sono tra i malati.
  Da ultimo, il sistema di cui vi ho detto e altri sistemi messi in atto, a consuntivo, hanno dimostrato di determinare un risparmio di risorse. Allora, sempre per le regioni in piano di rientro, se a consuntivo l'applicazione di un protocollo – dopo un anno che è stato applicato, con la misura di quanto è stato speso – ha permesso di risparmiare delle risorse, vi chiedo che un almeno una quota di queste risorse risparmiate possa essere reinvestita per dare trattamenti indispensabili attualmente extra LEA, che in queste regioni non possono essere dati. Insomma, c’è lo stesso un risparmio, ma una quota si reinveste.
  Avevamo chiesto di inserire questo punto nel Piano nazionale malattie rare, ma il MEF l'ha cassato. Vi prego, dunque, di intervenire su questo perché stimola l'appropriatezza prescrittiva e il risparmio e riduce le differenze di trattamento tra i malati.
  Mi scuso della lunghezza. Ci sono anche altre proposte che vi chiedo di leggere.
  Un ultimissimo aspetto recente – proprio ieri abbiamo avuto una riunione con i tecnici del Ministero dalla mattina alle 7 di sera, quindi è un tema caldo – riguarda il famoso decreto degli screening metabolici neonatali.
  Vi voglio dare una segnalazione. Questo decreto ha la finalità di dire che tutti i neonati in Italia hanno gli stessi diritti, quindi hanno diritto di accedere allo stesso screening. Il decreto definisce i diversi aspetti con estremo dettaglio. Perfino sul consenso mette dei limiti che sono difficilmente risolvibili, ma non importa.
  Non entro in questa parte tecnica, ma voglio dirvi una cosa di fondo. In questo decreto a un certo punto c’è un rigo in cui c’è scritto che questo verrà fatto con appositi provvedimenti legislativi regionali. Allora, ho chiesto ai colleghi del ministero se è un LEA. Insomma, è obbligatorio oppure no ? Ecco, credo di no perché non ha copertura economica, quindi dobbiamo fare le delibere e le leggi regionali.
  Questo, però, è un cane che si morde la coda perché le regioni in piano di rientro Pag. 8non possono per legge fare queste cose, per cui questo decreto, fatto per rendere tutti uguali, renderà tutti disuguali.
  Un altro collega che avete già udito, il professor Andria, coordinatore per la Campania, che è in piano di rientro, ha chiesto: quand'anche la regione riesca a fare questo decreto e non sia bocciato dal controllo del piano di rientro, con quali risorse lo può realizzare; se non avete le risorse come Ministero, ovviamente non le abbiamo neanche noi, quindi dove le andiamo a prendere ?
  La risposta è stata che le ragioni fanno il decreto, e poi, siccome copre il 10 per cento dei nati, fanno lo screening sperimentale a un nato su 10, con una specie di decimazione alla rovescia. Se queste sono le attività per rendere omogenea l'assistenza, allora è uno specchietto per le allodole. Scusate se sono così esplicita, ma bisogna esserlo.
  Tutto ciò, senza considerare che lo screening valuta solo l'attività diagnostica e non prevede nulla per la presa in carico e l'assistenza. È come dire che faccio una mammografia, scopro un tumore e poi dico alla paziente di arrangiarsi. A quel punto, tanto vale non fare neanche la mammografia.
  In conclusione, proporrei di fare lo screening su meno malattie (non 50, ma 5 o 6), ma di farlo davvero, per tutti e bene.

  PRESIDENTE. Mi dispiace per voi, ma dobbiamo farvi ritornare. Credo che i temi posti siano di grande importanza. Mi scuso perché normalmente non chiediamo agli auditi di ritornare, immaginando che questo crei problemi. Mi sembra, però, che i temi affrontati siano troppo importanti per pensare di chiudere in questo modo. Pertanto, se c’è disponibilità da parte vostra vi chiederei la cortesia di ritornare per continuare l'audizione con le domande da parte dei colleghi.
  Ringrazio i nostri auditi e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.45.