XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 6 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marazziti Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA, NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1432  MURER, C. 1142  MANTERO, C. 1298  LOCATELLI, C. 2229  ROCCELLA, C. 2264  NICCHI, C. 2996  BINETTI, C. 3391  CARLONI, C. 3561  MIOTTO, C. 3596  CALABRÒ, C. 3586  FUCCI, C. 3599  BRIGNONE, C. 3584  NIZZI E C. 3630  IORI: «NORME IN MATERIA DI CONSENSO INFORMATO E DI DICHIARAZIONI DI VOLONTÀ ANTICIPATE NEI TRATTAMENTI SANITARI»

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI), dell'Associazione Antea onlus e dell'Associazione Risveglio onlus.
Marazziti Mario , Presidente ... 3 ,
Moggia Fabrizio , Presidente dell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI) ... 3 ,
Casale Giuseppe , Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus ... 4 ,
Carnevali Elena (PD)  ... 4 ,
Casale Giuseppe , Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus ... 4 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 4 ,
Casale Giuseppe , Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus ... 4 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 6 ,
Napolitano Francesco , Presidente dell'Associazione Risveglio onlus ... 6 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 6 ,
Napolitano Francesco , Presidente dell'Associazione Risveglio onlus ... 6 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 8 ,
Mantero Matteo (M5S)  ... 8 ,
Binetti Paola (AP)  ... 8 ,
Carnevali Elena (PD)  ... 9 ,
Amato Maria (PD)  ... 9 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 10 ,
Scelsi Silvia , Vicepresidente ... 10 ,
Moggia Fabrizio , Presidente dell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI) ... 11 ,
Casale Giuseppe , Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus ... 11 ,
Lerro Federica , Legale dell'Associazione Antea onlus ... 12 ,
Napolitano Francesco , presidente dell'Associazione Risveglio onlus ... 13 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 14 ,
Napolitano Francesco , presidente dell'Associazione Risveglio onlus ... 14 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 15 ,
Napolitano Francesco , presidente dell'Associazione Risveglio onlus ... 15 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 15 

Audizione di rappresentanti del Centro nazionale trapianti:
Marazziti Mario , Presidente ... 15 ,
Nanni Costa Alessandro , direttore del Centro nazionale trapianti ... 16 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 16 ,
Lenzi Donata (PD) , relatrice ... 16 ,
Mantero Matteo (M5S)  ... 17 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 17 ,
Nanni Costa Alessandro , direttore del Centro nazionale trapianti ... 17 ,
Marazziti Mario , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO MARAZZITI

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI), dell'Associazione Antea onlus e dell'Associazione Risveglio onlus.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1432 Murer, C. 1142 Mantero, C. 1298 Locatelli, C. 2229 Roccella, C. 2264 Nicchi, C. 2996 Binetti, C. 3391 Carloni, C. 3561 Miotto, C. 3596 Calabrò, C. 3586 Fucci, C. 3599 Brignone, C. 3584 Nizzi e C. 3603 Iori: «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari», l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI), dell'Associazione Antea onlus e dell'Associazione Risveglio onlus.
  Per l'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI) sono presenti Fabrizio Moggia, presidente, e Silvia Scelsi, vicepresidente. Per l'Associazione Antea Onlus sono presenti Giuseppe Casale, coordinatore sanitario, e Federica Lerro, legale dell'associazione. A tutti rivolgo il mio e il nostro benvenuto.
  Vorrei darvi ora la parola. Partiamo dall'ANIARTI. L'introduzione esaustiva, ma breve, permetterà delle domande e delle risposte.

  FABRIZIO MOGGIA, Presidente dell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI). Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione e tutti gli onorevoli soprattutto per questa opportunità che è stata offerta alla nostra società scientifica. Si tratta di una società scientifica che raccoglie gli infermieri dell'area critica. Il concetto di area critica è stato coniato nel 1984 da un nostro gruppo di esperti e delinea non solo le strutture ad alta intensità assistenziale, ma anche tutti quei luoghi in cui c'è la presenza di una persona in instabilità vitale e in stato di criticità.
  Questo che cosa determina? Determina, ovviamente, un concetto molto più ampio di intervento dell'infermiere nell'emergenza-urgenza, che non è solo all'interno delle strutture. La società scientifica raccoglie un buon numero di esperti in questa materia ed è federata con la Federazione europea delle associazioni di critical care, di cui la vicepresidente è la nostra rappresentante.
  Ci sono due punti su cui vorremmo portare il nostro possibile e, ovviamente, limitato contributo, in relazione a due fasi distinte del ruolo dell'infermiere in un contesto dedicato e sensibile come quello che questa Commissione sta trattando. Si tratta di un ruolo in cui, come facilitatori rispetto alla persona malata, ma ancor prima già nella persona sana, aiutiamo in quel processo di consapevolizzazione e di informazione che, come sappiamo, per ognuno di noi ha una dinamica diversa, ha un momento diverso e viene portato alla luce, a seconda degli avvenimenti e del modo in cui accade, all'interno della propria persona o del proprio gruppo di rete familiare Pag. 4o amicale. Sulla base di questo il nostro ruolo, così come è citato anche dal nostro codice deontologico, in cui ben sei articoli vanno a esprimere questi aspetti, può portare veramente un contributo importante in questo processo.
  Questo processo di informazione si inserisce all'interno dell'équipe, ovviamente. Si tratta, infatti, di un processo in cui l'infermiere è un membro di un'équipe terapeutica con cui interviene insieme e in cui le decisioni ultime sono prese nel rapporto terapeutico e di fiducia medico-paziente. In tale contesto l'équipe, compreso l'infermiere, porta un suo contributo di lettura, che tiene in considerazione anche tutti quegli aspetti di relazioni, di assistenza e di sociale che sono propri della disciplina infermieristica.
  Un altro aspetto che diventa un altro momento importante e critico per la persona malata e per la sua rete familiare è quello in cui si verifica un evento critico nel quale assume un ruolo fondamentale l'aver avuto la possibilità da parte della persona di lasciare le proprie dichiarazioni anticipate di trattamento. Si tratta di aiutare l'équipe a fare in modo di attribuire valore a quanto affermato all'interno di quel documento, ma anche a raccogliere tutte quelle informazioni e quei pensieri che la persona ha contribuito a fornire alla sua rete familiare o amicale.
  Questo perché? Per cercare di sostenere non solo la persona, ma anche la famiglia, in un momento così difficile, come è, ovviamente, il momento in cui ci si pone davanti ad alcune scelte. Esse devono essere sicuramente consapevoli e massimamente informate, non solo sull'evento e sulla prima ricaduta che può generare e su tutti gli approcci terapeutici che possono essere messi in atto, ma anche sulle ricadute che possono avvenire dopo. Questo deve avvenire sostenendo le persone e le famiglie nel fornire quel quadro di riferimento della sostenibilità che può avere quella scelta, anche in un futuro che non è vicino, essendo di supporto, proprio per non lasciare le persone e le famiglie da sole nell'affrontare quel momento specifico.

  GIUSEPPE CASALE, Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus. Buonasera e grazie per permetterci di essere ascoltati. Antea è ormai da quasi trent'anni, dal 1987, che si occupa di assistere malati gravi, i cosiddetti malati terminali. Abbiamo assistito in tutti questi anni circa 20.000 persone, un numero piuttosto elevato.
  Oltre alle persone assistite, ovviamente, ci prendiamo carico anche dei loro familiari. Pertanto, l'assistenza è allargata. Ci occupiamo di cure palliative e, quindi, cerchiamo di rimuovere qualsiasi sofferenza al paziente, che non è soltanto il dolore, ma è la sofferenza totale, così descritta anche nella letteratura. Si tratta, cioè, di tutti quei problemi che ognuno affronta nell'ultimo periodo della vita e che sono drammatici.
  Ovviamente, non si ammala soltanto il paziente, ma, quando accade qualcosa del genere nell'ambito della famiglia, è tutta la famiglia che diventa sofferente. Il nostro problema è proprio prenderci carico anche di loro. Come ho detto, sono circa 20.000 i soggetti che abbiamo assistito.

  ELENA CARNEVALI. Ci spiega bene l'acronimo di Antea?

  GIUSEPPE CASALE, Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus. È un nome che fu scelto la sera prima di andare dal notaio a costituirla sul vocabolario, nel senso di «ante a». Essendo nata vent'anni fa, era una delle prime associazioni a formarsi in Italia nell'assistere malati in questo senso.

  PRESIDENTE. Quindi, significa «ante a», ossia «prima».

  GIUSEPPE CASALE, Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus. Sì, «prima della a». Non è un acronimo.
  Chiaramente l'assistenza che eroghiamo è un'assistenza, come si suol dire, multidisciplinare. Non è soltanto un'assistenza clinica. Ci sono vari operatori che intervengono nell'aiutare sia il paziente, sia i familiari. Pag. 5
  La novità che in assoluto si rileva nelle cure palliative è che il paziente non è più l'oggetto delle cure, ma diventa il soggetto con cui si interagisce costantemente nel suo percorso di cura. È lui che decide ed è con lui che si condividono i percorsi che si vogliono attuare.
  Tengo molto a sottolineare che spesso le cure palliative vengono confuse con la terapia del dolore, mentre la legge n. 38 del 2010 ribadisce in maniera molto chiara che sono due reti completamente distinte. Le cure palliative si rivolgono a circa 300.000 persone l'anno, o perlomeno 300.000 persone l'anno in tutta Italia ne avrebbero necessità, mentre la terapia del dolore si rivolge a un numero molto più elevato di persone, che si aggira intorno ai 10 milioni, in quanto il dolore può essere un dolore da artrosi o qualsiasi altra cosa.
  Le difficoltà che abbiamo riscontrato nel nostro percorso riguardano la ancora poca conoscenza delle cure palliative nel nostro Paese. C'è pochissima informazione. Sono ritenute sempre come qualcosa di completamente inutile. Quando si usa la parola «palliativo», viene intesa come se fosse qualcosa da fare tanto per fare, mentre in tutto il mondo, quando si parla di cure palliative, si definiscono dei percorsi ormai scientificamente provati per assistere al meglio il paziente.
  Peraltro, la legge n. 38 lo ribadisce in maniera molto chiara e ribadisce anche che chi si deve occupare di cure palliative deve avere una formazione specifica in quel campo. Non basta essere laureati o specializzati. Occorre avere un percorso, come avviene negli altri Stati, sia a livello europeo, sia a livello internazionale.
  Le difficoltà che incontriamo riguardano, dunque, la poca informazione e il fatto che il paziente arriva da noi, purtroppo, in una fase molto spesso troppo avanzata, in cui ha pochissimi giorni di sopravvivenza. Questo avviene perché ancora ci si ostina, in maniera un po' inadeguata, a praticare delle terapie anche quando si sa che non potrebbero avere alcun effetto per migliorare la qualità di vita del paziente e addirittura la quantità di vita.
  Sappiamo anche che le cure palliative – è stato dimostrato scientificamente, ma l'abbiamo rilevato anche empiricamente noi – oltre a dare una qualità di vita migliore al paziente (vi assicuro che, se qualcuno ha la voglia di venirci a trovare, lo si vede, lo si percepisce), danno anche una quantità di vita maggiore. La vita si allunga. Si parla di cure palliative come di accompagnamento alla morte, ma a noi piace molto sottolineare che le cure palliative sono accompagnamento alla vita fino all'ultimo minuto.
  Scherzando, anche se l'argomento forse non ci permette di scherzare, dico sempre che qualcuno che vive ancora ci può dire come ha vissuto in quegli ultimi momenti. Quando uno muore è difficile che torni indietro a dire: «Sono morto abbastanza bene». È la percezione esterna che a volte si ha.
  Vediamo persone di tutte le età, dai bambini agli ultranovantenni. Le patologie che osserviamo sono patologie di tutte le specie. Si va dal malato oncologico al malato con malattie neurodegenerative. Sono tutti pazienti che necessitano di una presa in cura in maniera adeguata.
  Da noi operano ormai da diversi anni, da trent'anni, medici, infermieri, operatori sociosanitari, psicologi e assistenti sociali. È tutto un gruppo, ma la particolarità che si osserva nelle cure palliative è che questo gruppo, che è composto da persone che lavorano in qualsiasi ospedale, lavora in squadra. Lavorare in squadra significa che si condividono gli obiettivi, si rilevano insieme i bisogni del paziente e si forniscono delle risposte pronte. Ogni terapia, ogni cosa che facciamo, è adeguata al trattamento specifico del paziente.
  Una parte fondamentale nel nostro gruppo è composta dai volontari. Sono cittadini di qualsiasi estrazione sociale. Non sono operatori sanitari, sono volontari che donano il loro tempo. Per noi è fondamentale che chi si approccia a un malato in fase avanzata di malattia o alla sua famiglia abbia una formazione specifica. Questo per noi è molto importante, affinché il volontario che si approccia al malato non risenta poi del danno.

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  PRESIDENTE. Prima di chiedere ai colleghi se hanno domande per le due associazioni che abbiamo per ora ascoltato, faccio presente che, se volete mandare degli appunti su elementi che a voi sembrano importanti ai fini della possibile prossima legge che questo Parlamento licenzierà, anche puntuali, saremo lieti di riceverli.
  Chiedo ora se ci sono domande. Nel caso, anche altre persone possono intervenire, anche se non sono intervenute nell'esposizione iniziale.
  Intanto ci ha raggiunto l'Associazione Risveglio Onlus, con Francesco Napolitano, presidente, e Claudio Taliento, vicepresidente. Vista la loro presenza, penso che sia utile avere anche la loro esposizione. Poi faremo un ciclo di domande complessivo.
  Do la parola a Francesco Napolitano.

  FRANCESCO NAPOLITANO, Presidente dell'Associazione Risveglio onlus. Grazie. Noi agiamo da circa diciannove anni. Lo dico a beneficio di tutti, per capire.

  PRESIDENTE. Do solo un consiglio rispetto all'audizione: ci interessa la presentazione della specificità del vostro lavoro e, avendo presente che stiamo andando a maturare un testo di legge, quali vi sembrano i punti sensibili di cui noi, come legislatori, dovremmo tener conto.

  FRANCESCO NAPOLITANO, Presidente dell'Associazione Risveglio onlus. Cercheremo di illustrarli, magari anche sinteticamente.
  Proprio come presentazione a beneficio di tutti, sono circa diciannove anni che agiamo nel campo delle gravi cerebrolesioni acquisite, ossia gravi traumi cranici o gravissimi traumi cranici, oppure di natura vascolare. In tutti questi anni ci è, dunque, capitato molto frequentemente, anzi direi costantemente, di assistere – a questo punto, il numero è difficile dirlo – certamente ben più di 100 persone in quella che possiamo definire situazione di stato vegetativo o di minima coscienza, sia in Italia, sia all'estero. Ci confrontiamo ogni giorno, quotidianamente, con problemi che possono essere di estrema disabilità e qualche volta a cavallo fra la vita o un avvicinamento alla cessazione della vita.
  Tutto questo lo facciamo anche attraverso un'istituzione, una struttura che abbiamo contribuito a creare su nostro progetto, che si chiama Casa Iride e si trova a Roma, in cui si ospitano esattamente persone in questa situazione di stato vegetativo. La struttura è aperta da otto anni e rappresenta un ulteriore – possiamo chiamarlo e definirlo così – laboratorio di esperienza sul campo nei confronti di queste situazioni.
  Ci fa piacere riferire, se non altro per un motivo di verifica sul campo di quella che può essere la sensibilità intorno a questo fenomeno, che a gennaio scorso è venuto a trovarci anche il Santo Padre per essere vicino a queste realtà così estreme o, come lui ci dice, alla periferia. Per noi è stata, ovviamente, un'iniezione di grande coraggio e di grande forza quella che ci ha donato in questa sua venuta.
  Detto questo come presentazione iniziale, vorrei riferire anche che in tutti questi diciannove anni di affiancamento e assistenza a questa tipologia di situazioni, per fortuna anche di assistenza a persone che stanno leggermente meglio, non ci è mai capitato – questo sotto un profilo statistico può essere rilevante – di dover affiancare famiglie che avessero titubanze in ordine al comportamento da assumere nei confronti dei propri congiunti, che possono essere figli, fratelli, genitori o amici. Questo per noi è un punto di partenza rilevante per cercare di individuare i numeri che, almeno nel nostro settore, stanno dietro le esigenze di questi disegni di legge, che abbiamo letto con molta attenzione.
  Tutto ciò premesso per inquadrare meglio la situazione, abbiamo letto con molto interesse soprattutto, prima dei testi, le relazioni di accompagnamento a queste proposte di legge. Le abbiamo lette con molto interesse, anche condividendo molte delle espressioni usate, perché effettivamente mettono a fuoco dei princìpi che oggi possiamo definire di carattere etico, biologico e anche antropologico che appartengono veramente, in maniera anche più Pag. 7importante rispetto al passato, alla società di oggi.
  Andando più verso la formulazione dei disegni di legge e raccogliendo l'invito che ci è stato fatto a vedere tutto nell'ottica di una normativa, la nostra impressione è che alcuni o parecchi degli articoli proposti in questi disegni di legge siano forse un po' rischiosi. Consentitemi di dire questo. Vorrebbero cioè affrontare dei princìpi di questo tipo, etici, morali e anche di rapporti di scienza e coscienza fra medici e pazienti, che non si prestano a una codificazione di natura più giuridica, ma che naturalmente fanno parte della filosofia del vivere umano e dei rapporti etici fra uomo e uomo, soprattutto nel campo assistenziale.
  In seconda battuta, il rischio che si potrebbe correre è anche quello di dar vita a provvedimenti normativi che, anziché semplificare o dettare delle regole che possano essere seguite in modo piuttosto sicuro, creino ulteriori problemi sotto il profilo interpretativo. Potrebbero anche dar luogo a ulteriori pronunce di giurisprudenza che qualcuno ha chiamato creativa, ma che certamente in una legge che voglia codificare princìpi di carattere più etico che giuridico possono essere di nuovo portate avanti. Credo sia giusto, invece, prendere a riferimento alcuni articoli di questa normativa, circoscrivendoli in maniera precisa, per dar vita proprio a un provvedimento che possa essere applicato anche operativamente.
  Devo dire che noi non sentiamo, per quello che ho premesso, un'esigenza primaria di avere dichiarazioni anticipate di volontà. Se, però, questa oggi è effettivamente una cosa che si avverte come necessaria nella nostra società e nel nostro ordinamento e che probabilmente si avverte come necessaria solo per pochi casi che potrebbero dar luogo a situazioni di controversie, allora va bene, questo si faccia. Il suggerimento che forniamo, però, è innanzitutto che questa regolamentazione abbia dei limiti e sia ben circostanziata, anche quanto alle situazioni patologiche in relazione alle quali possono essere previste queste dichiarazioni di trattamento.
  Vorrei aggiungere che in una delle proposte di legge ho visto proprio l'aggiunta di un articolo del codice civile. Questo è un discorso, a mio avviso, giusto e corretto. Deve essere una norma positiva, che abbia una capacità di limitare in modo molto preciso l'oggetto di queste dichiarazioni volontarie anticipate, naturalmente sempre in un rapporto, nel momento della stesura, con il medico, questo sì.
  Questa è una prima osservazione. Credo poi che questo stesso provvedimento debba non prevedere alcune cose. Ci permettiamo di dire, quindi, che è giusto che si possa rinunciare ad alcuni trattamenti terapeutici, ma che essi devono essere esattamente individuati, usando le parole giuridicamente giuste, perché poi all'atto pratico si possa dire: «Lo applichiamo in questa precisa circostanza e non in altre».
  Inoltre, bisognerebbe prevedere che l'idratazione e l'alimentazione non possano formare oggetto di dichiarazioni anticipate di trattamento, cosa che abbiamo letto in parecchie delle proposte di legge, perché non hanno nulla a che fare né con una sofferenza di vita, né con un accompagnamento verso un fine vita, né, nel modo più assoluto, nel senso di un accanimento terapeutico. Noi abbiamo in carico persone alimentate da 10-12-15 anni attraverso la PEG, ossia attraverso un'alimentazione e un'idratazione. In stato vegetativo o no, questa è una forma, ovviamente, di nutrizione.
  Questo lo escluderemmo, tranne nelle ipotesi – forse non c'è bisogno di codificarle – in cui siamo in una fase finale di vita e in cui non c'è neanche bisogno di dire che non si dà da bere o da mangiare. Si continua a farlo, ma ci sono altre forme di accompagnamento verso il fine vita per non arrivare all'accanimento terapeutico.
  In questa dichiarazione di volontà deve essere precisata la diagnosi, che deve essere verificata dal medico perché queste dichiarazioni possano essere attuate. Questo è un discorso per me importante: quando si verifica questa diagnosi, allora si può fare questo.
  Queste dichiarazioni – è giusto che lo si scriva – devono essere interpretate alla Pag. 8luce delle Convenzioni di Oviedo e delle Nazioni Unite che sono già recepite nel nostro ordinamento giuridico.
  Bisogna prevedere, inoltre, il divieto di ogni atteggiamento di natura eutanasica. Credo che questo sia importante. Quantomeno nel nostro settore è importantissimo.
  Questo riguarda l'articolo del codice civile. Vorrei soltanto aggiungere, invece, che serve, a nostro avviso, una norma che abbiamo letto in alcuni disegni di legge, una norma oltre a questo articolo del codice civile, nel senso di assicurare in modo normativamente preciso l'esistenza e l'assistenza delle persone che si trovano in modo continuativo nella situazione di stato vegetativo o di minima coscienza. Questo deve essere codificato perché oggi non esistono disposizioni al riguardo, il che crea molte difficoltà nelle regioni e, a cavallo, ovviamente, nelle associazioni.
  Riferisco di nuovo, in finale, che ogni altra considerazione che abbiamo letto in questi provvedimenti di legge, a nostro avviso, potrebbe essere ultronea oppure addirittura pericolosa.
  Spero di essere stato nei tempi.

  PRESIDENTE. I tempi non li abbiamo dati, ragion per cui è stato nei tempi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MATTEO MANTERO. Grazie agli auditi per i loro spunti. Volevo fare una domanda principalmente al rappresentante dell'ANIARTI, ma a tutti in realtà, sullo stato attuale del trattamento dei malati in fase terminale.
  Vorrei sapere se già adesso esiste – mi è parso di capire dalle audizioni precedenti, ma anche dalla sua, che esista già – una raccolta di informazioni dai parenti rispetto alla volontà del malato che non sia più in grado di comunicare. Vorrei sapere se già voi, o comunque i medici, decidete quali trattamenti portare avanti e quali no, cercando di dedurre la volontà del malato rispetto a quello che si può evincere da quanto dicono i parenti.
  Vorrei sapere, quindi, se effettivamente un documento in cui siano espresse in forma scritta le volontà del malato potrebbe essere utile e se, anche in presenza di questo documento, come è previsto in molte proposte di legge, la figura del fiduciario, la figura principe che avrebbe proprio il compito di far rispettare le volontà presenti nel trattamento, potrebbe essere utile rispetto agli operatori per cogliere appieno queste volontà.
  L'altra domanda riguarda il percorso di cura, che è una questione di cui abbiamo già discusso con diversi altri auditi. A questo punto, sembra quasi più importante rispetto alle dichiarazioni anticipate proprio il fatto che, poiché gli eventi improvvisi sono un numero limitato, in realtà, ci sia un percorso condiviso quando inizia una malattia, soprattutto se ha un percorso lungo degenerativo. Come possiamo normativamente aiutarvi a migliorare questo percorso condiviso di cura tra il paziente, l'infermiere e il medico?

  PAOLA BINETTI. Pongo una domanda al dottor Casale. È ben nota l'efficacia dell'Associazione Antea, perlomeno sulla città di Roma. Tuttora sussiste una difficoltà enorme, che è quella del passaggio del malato, il quale viene seguito in una realtà ospedaliera e, quindi, anche in una realtà di buona qualità. Oserei dire che spesso forse il rischio è ancora maggiore quando il paziente si sente ben accudito, nonostante la gravità della sua patologia, in un determinato contesto.
  Il passaggio dico all'Antea in questo momento, ma anche all'hospice, come cultura di trasmissione, viene vissuto sempre dal paziente come una forma di abbandono. Ricordo che, quando abbiamo esaminato il disegno di legge sulle cure palliative, una delle formule fondamentali del disegno di legge era quella che definiva il circuito famoso delle tre H (home, hospice, hospital), immaginando che queste tre strutture dialogassero costantemente tra di loro. Invece, per il paziente questa non è solo una percezione psicologica, ma è di fatto il passaggio da una responsabilità anche operativa, decisionale e clinica a un'altra responsabilità. Nonostante lo si faccia nel migliore dei modi possibili, il paziente lo vede come una linea di frattura. Pag. 9
  La mia domanda è questa. Considerato che abbiamo bisogno che i pazienti passino da una struttura all'altra per tanti motivi, perché effettivamente sono finite le linee terapeutiche efficaci che si possono esplorare, perché l'ospedale incomincia ad avere urgenza e pressione da parte di malati nuovi che chiedono cure e per una serie di altre ragioni, qual è la vostra esperienza per rendere più facile questo? Non poche volte – credo che lo sappia perfettamente – il paziente alla fine muore nel passaggio, nel senso che smette di lottare per la vita. Questo è successo proprio recentemente anche in un paio di casi. Questa è la domanda per lei.
  Invece, al dottor Napolitano, di cui pure è veramente impressionante la struttura – anch'io invito ad andare a visitare entrambe le strutture su Roma – osservo che quello che colpisce è l'assoluta cronicità dei processi. Potremmo dire che, mentre nel caso dell'Antea, ci troviamo davanti ai famosi tre mesi, o comunque a un tempo che, per definizione, è contingentato, viceversa, dall'altra parte, ci troviamo davanti a una dilatazione del tempo e, quindi, a problemi diversi, vissuti diversi e difficoltà diverse.
  Qual è il modo con cui sostenete per tanti anni nel parente – il marito, la moglie, il figlio, il fratello – questa volontà di presa in carico continuativa, con tutto l'aiuto che potete dare loro, ma anche sicuramente, sul piano psicologico, con il forte elemento di stress? Mi sembrano due situazioni, oggettivamente, agli antipodi: da un lato, abbiamo la brevità, dall'altro la lunghezza.

  ELENA CARNEVALI. Ho poche domande. La prima la pongo all'Associazione di infermieri di area critica ed è in riferimento, in particolare, al ruolo degli infermieri. Giustamente, è stato sottolineato il ruolo che gli infermieri hanno non solo in particolare nell'area critica, che è, per definizione, il ruolo in cui può accadere anche tutto ciò che riguarda le questioni legate al fine vita, anche se molte delle patologie sono in condizioni non necessariamente di area critica. Penso ad altre situazioni rispetto ad alcune patologie.
  Mi interessava capire come e se, a vostro giudizio, il ruolo degli infermieri all'interno dell'équipe nell'approccio al fine vita venga valorizzato. Magari questo sta al di fuori della legge, ma è una curiosità personale che mi interessa.
  Devo dire che mi ha lasciato molto stupita l'affermazione in particolare dell'Associazione Risveglio, che si occupa di stati vegetativi persistenti e di pazienti in minima coscienza, quando ha affermato che non sente l'esigenza di avere delle dichiarazioni anticipate di volontà. Lo dico per esperienza personale. Provengo da un lavoro nello stesso settore. Non mi è chiaro, purtroppo, non conoscendo l'associazione. È un dispiacere. Vedremo di fare in modo di colmare questa carenza.
  Non conosco la vostra realtà e non so in che rapporto voi siate con l'ambito delle politiche pubbliche e, quindi, che tipo di rapporto di convenzioni e accordi ci sia all'interno dell'ambito pubblico, ma la cosa che mi ha molto colpito è come sia possibile che non vi sia mai accaduto di affrontare un tema come questo. Penso soprattutto a incidenti stradali o a patologie molto immediate, come traumi cranici, soprattutto nei casi di pazienti da parte dei quali, indipendentemente dall'età, non c'è mai stata un'espressione di volontà, perlomeno scritta, ma per cui contano la conoscenza della persona e i rapporti personali. Come mai non vi siete mai trovati nella condizione di dover affrontare un tema come questo?
  La mia esperienza personale l'ha verificato in molti casi. Poi le scelte, ovviamente, sono diverse, ma non è vero che non si è arrivati ad avere dubbi, preoccupazioni o il desiderio di affrontare alcune scelte particolarmente difficili.

  MARIA AMATO. Grazie a tutti per l'illustrazione. Volevo rivolgermi all'Associazione nazionale infermieri di area critica. L'area critica comprende concettualmente anche gli infermieri delle RSA?
  In palliazione si parla non di medico o di infermiere, ma di relazione in équipe. Chiaramente, in un periodo in cui i medici e le restanti professioni sanitarie sembrano aver rinvigorito un confronto non proprio Pag. 10armonico di questi tempi, in area critica si registra praticamente, stando a quello che ho sentito finora e anche oggi, un luogo in cui la conflittualità tra gli esercenti le professioni sanitarie è meno evidente.
  La domanda è la seguente: gli infermieri, per esempio in assistenza domiciliare in terapia palliativa, rilevano problematiche normative che rendono fragile la professione infermieristica o che possono incidere negativamente nella relazione con la persona morente o con la sua famiglia?

  PRESIDENTE. Prima di darvi la parola, a questo punto direi nello stesso ordine in cui abbiamo iniziato, ossia prima ANIARTI, poi Antea e infine Risveglio, volevo aggiungere, ricollegandomi all'ultima osservazione, due domande semplici.
  Voi, quindi, siete più favorevoli a una normativa che non tenda a codificare tutto, ma si limiti ad alcuni casi, a una fattispecie di diritto morbido, oppure a una di diritto molto puntuale? Questa è la prima domanda.
  Passo alla seconda. Rispetto alla vostra attività di accompagnamento nella fase terminale, che può essere anche molto prolungata, quanto della vostra attività potrebbe essere semplicemente svolta a casa? Il sistema tende a creare i tre pezzi – ospedale, hospice e casa – ma quanto, secondo voi, il sistema potrebbe umanizzare il morire e l'accompagnamento, magari enfatizzando uno di questi momenti più di un altro?
  Do la parola agli auditi per la replica.

  SILVIA SCELSI, Vicepresidentedell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI). Intanto grazie per le domande e per i contributi di riflessione. Faccio una premessa. Sono venuta qui innanzitutto come cittadino, perché penso a quello che vorrei ogni volta che svolgo la professione.
  Inizio rispondendo all'onorevole Mantero. Non ci sono documenti ufficiali standardizzati sull'intera nazione, ma ogni équipe – riprendo il concetto che è stato espresso da Antea e da Fabrizio Moggia – tende a elaborare su linee-guida di tipo scientifico o di tipo etico documenti che l'aiutano a raccogliere queste volontà.
  Se nella legge ci fosse non tanto il modulo, che non è una soluzione, quanto una traccia di che cosa concettualmente bisogna raccogliere in questo senso, potrebbe essere un'indicazione, perché i professionisti che vivono all'interno dei team – la maggior parte dei professionisti, indipendentemente dalle singolarità che poi amano gli scontri armati, – stanno sulle persone. Quando si ragiona su una persona che sta male, gli scontri non hanno più alcun senso.
  Quello che manca ai professionisti non è che la legge disciplini ogni minuto della loro attività, ma che fornisca loro un'indicazione, perché dal punto di vista etico e deontologico le professioni in Italia hanno più che una codificazione e più che un'attivazione. Noi siamo qui a discutere perché si sono trovate a decidere da sole. Quello che le professioni chiedono, gli infermieri in particolare, è che i percorsi siano d'aiuto alle professioni e non di ostacolo. Non credo che si possano fare leggi in cui i moduli, documenti e reperti diagnostici...
  Ho imparato che l'evoluzione tecnologica e quella scientifica non possono essere inserite in una norma. La norma è qualcosa che, come cittadino, mi deve aiutare in uno Stato di diritto e di dovere nel rispetto dell'altro cittadino o della persona alla quale faccio un servizio o per la quale questo Stato mi ha affidato delle attività da svolgere.
  Dico questo con riferimento, quindi, alla legislazione nel senso sia delle indicazioni al fine vita, sia delle disposizioni anticipate di trattamento. È vero che noi vediamo tanto le malattie in cui il malato sa che morirà, anche se non in tempi precisi, ma ha una diagnosi infausta. Sono d'accordo con l'onorevole Carnevali: ci sono tanti che non sanno quando, ma che all'improvviso lasciano la famiglia nelle condizioni di dover decidere. Anche per le famiglie questo è un carico, da questo punto di vista.
  Trovo, quindi, che a oggi, per quanto non si possa pensare a una cultura diffusa, sia importante che questa legge preveda che la cultura e l'attivazione verso i cittadini li rendano protagonisti delle loro scelte e non parti di una scelta e che sia il teamPag. 11nel suo insieme a decidere. Non si può pensare di scaricare – lo dico a conforto delle ansie vissute dai medici che hanno fatto queste scelte – su un unico professionista tutta l'attività di decisione, prima dell'evento e dopo l'evento. Bisogna pensarci in condizione di completa salute – come la mia, per fortuna – e dopo aver saputo alcune cose, o dopo che sia successo un incidente.
  Per la seconda parte è più esperto il presidente.

  FABRIZIO MOGGIA, Presidente dell'Associazione nazionale infermieri di area critica (ANIARTI). Tratto brevemente la parte che riguarda i percorsi di fine vita e anche l'ambito della palliazione.
  Ci sono molte esperienze nell'area critica. Uno dei testi che abbiamo lasciato agli atti della segreteria è un documento, coordinato da SIAARTI, di cui anche la nostra associazione ha fatto parte, che contiene un ragionamento e un percorso fatti da professionisti su alcune patologie in una fase end stage, ossia in un momento molto codificato.
  Tutti questi percorsi, tanto per riprendere una domanda fatta dall'onorevole Mantero, sicuramente aiutano non tanto il professionista, quanto il professionista al servizio del cittadino. Tutte le professioni sanitarie sono al servizio. Si tratta di aiutare in questo percorso di decisione, in momenti così difficili.
  Sicuramente avere un fiduciario aiuta, soprattutto in situazioni come quelle che ha già elencato prima la vicepresidente Scelsi, ossia quando non c'è stato il tempo, non c'è stata la volontà o non c'è stato il momento per poter lasciare qualcosa. Un fiduciario aiuterebbe in questo senso. L'unica cosa che vorremmo portare all'attenzione è che non debba trattarsi necessariamente di un familiare, ma che possa riguardare anche una persona vicina, indicata ovviamente da chi è soggetto di cura, come giustamente detto, e non oggetto di cura.
  Ancora, con area critica sicuramente è stato definito un ambito. Non c'è un infermiere di area critica all'interno delle RSA, ma sicuramente, se una persona è in una criticità vitale in un momento in cui non è in fine vita, quello è un momento in cui c'è un evento in area critica e, pertanto, le competenze dell'infermiere devono essere esercitate anche in quell'ambito.
  Abbiamo già definito che una normativa più morbida favorisce, ovviamente, piuttosto che una normativa più puntuale. Come il presidente ha sollevato, in effetti esistono delle organizzazioni – ahimè – un po' a macchia di leopardo, non uniformi sul territorio nazionale. Quando ci sono delle organizzazioni forti, che hanno pensato e progettato tutti i percorsi, si vede quanto il domicilio riesca ad assicurare un'ottima assistenza. Lo vediamo con persone in area critica con un ventilatore automatico e con persone affette da sclerosi laterale amiotrofica con un comunicatore oculare, una PEG, pompe di infusione, sollevatori e anche una tecnologia piuttosto importante e avanzata. Tutto ciò si può fare anche al domicilio, se c'è un'organizzazione, che sostiene dal punto di vista però – permetteteci – non solo sanitario e professionale, ma anche sociale, perché le famiglie devono essere supportate, altrimenti si distruggono e demoliscono magari le poche risorse che hanno.

  GIUSEPPE CASALE, Coordinatore sanitario dell'Associazione Antea onlus. Rispondo alla richiesta che ha fatto l'onorevole Binetti riguardo al passaggio di cura dall'ospedale alle cure palliative.
  In realtà, la difficoltà è ancora molto forte, perché il paziente molto spesso non viene informato in maniera adeguata della patologia che ha, o perlomeno si è cambiato molto in questi ultimi anni. Prima non si comunicava mai a un paziente la diagnosi di tumore. Attualmente si fa in maniera un po' più frequente, ma sicuramente quasi nello zero per cento dei casi si declina la prognosi, cioè si racconta al paziente effettivamente quanto tempo potrebbe avere davanti, in base a presupposti scientifici.
  Questo, chiaramente, comporta il fatto che nel passaggio di cura dall'ospedale all'hospice arrivino ancora pazienti con l'invito da parte dei medici, dei colleghi, all'interno dell'ospedale ad andare in una Pag. 12struttura, in modo da fare un po' di riabilitazione e rimettersi in sesto, ma nessuno racconta effettivamente quale sia il problema.
  Noi abbiamo un'esperienza, per quanto riguarda la domiciliare, amplissima. Siamo nati con le cure palliative domiciliari. La nostra struttura funziona proprio in questo senso. Abbiamo 25 posti per ospitare le persone, anzi 25 stanze – non sono 25 letti – fatte in modo che possano renderle più simili alla propria casa, ma a domicilio seguiamo dai 150 ai 170 pazienti in contemporanea. Mediamente ogni anno vediamo 1.400-1.500 persone. I numeri sono importanti. A domicilio si può fare tutto. La struttura dovrebbe essere riservata soltanto a quelle persone che non hanno una struttura familiare intorno oppure che logisticamente non è possibile assistere diversamente.
  Vediamo anche pazienti con la sclerosi laterale amiotrofica. In quel caso abbiamo riscontrato delle difficoltà a domicilio, delle difficoltà reali, perché, per quanto possa essere il domicilio il miglior posto per continuare a vivere la propria esistenza, per un paziente con la sclerosi laterale amiotrofica la propria stanza viene trasformata in una maniera incredibile. Sembra di entrare in una stanza di una rianimazione con respiratori, macchina per la tosse, di tutto e di più, con il paziente che sta nel letto e guarda la televisione ventiquattr'ore su ventiquattro.
  In quel caso, diventa un po' difficoltoso. L'assistenza a domicilio non è sempre adeguata per alcuni pazienti. Per esempio, per i pazienti oncologici non abbiamo alcuna difficoltà.
  Per i pazienti con la SLA diventa un po' più complicato perché i familiari veramente sono dei prigionieri dentro casa e sono resi prigionieri dalla malattia. Si tratta della malattia del proprio caro, quindi i familiari non si possono muovere 24 ore su 24 da casa.
  Il collega prima diceva di fare l'elenco, cioè una dichiarazione anticipata con l'elenco delle patologie. Da medico, dico che questo è veramente impossibile e praticamente incredibile e sarebbe come prevedere qualsiasi forma morbosa che si possa avvicinare. Certo, io posso prevedere un'insufficienza respiratoria e la tracheostomia e il paziente può rifiutare questo e quell'altro, ma può intervenire una malattia ignota, come è capitato nel nostro Paese con l'AIDS che poi fortunatamente è stata controllata, anche se non si conosceva. Tuttavia, se non la prevedo, non la posso spiegare al paziente che diventa un po' perplesso su questo aspetto.
  Per quanto riguarda le direttive anticipate, per il medico questo potrebbe essere sicuramente un aiuto valido, non tanto nell'ambito delle cure palliative, ma sicuramente per quei pazienti che poi arrivano alle cure palliative, cioè per quei medici che per la cosiddetta «medicina difensivistica» continuano a praticare esami diagnostici o terapie fino all'ultimo momento per paura di essere incolpati di qualcosa di cui sicuramente non sarebbero mai incolpati. La paura purtroppo è qualcosa che vige e che impera perché nel nostro Paese si parla più di malasanità che di buona sanità. La malasanità viene subito riportata da tutti i media e se ne parla, mentre della buona sanità si parla ben poco.
  Passerei la parola, per altre considerazioni, all'avvocato Lerro che entrerà nel merito anche delle proposte di legge.

  FEDERICA LERRO, Legale dell'Associazione Antea onlus. Lo farò in maniera molto analitica.
  Sostanzialmente ciò che vorrei aggiungere è che ovviamente il nostro osservatorio è un osservatorio di cure palliative, quindi necessariamente il nostro pensiero non è rivolto al paziente che ha subito il trauma né, nell'insorgenza della sua prognosi da trauma, viene in rilievo l'importanza delle direttive anticipate.
  Il paziente che giunge alla nostra osservazione necessariamente ha una patologia che può essere oncologica o non. Sull'oncologico il problema, come abbiamo già ribadito, non emerge perché si tratta di un paziente che fino all'ultimo può esprimere il proprio consenso. È il paziente neurologico quello che senz'altro rappresenta più criticità; tanto che in Antea, che ogni anno assiste circa 1.400 pazienti di cui il 30 per Pag. 13cento è affetto da patologia neurologica, sono loro che ci pongono di fronte a questi interrogativi.
  Inoltre, come credo tutti sappiate, c'è una timida giurisprudenza che si sta piano piano facendo strada sull'amministrazione di sostegno. Alla nostra attenzione sono giunti due pazienti con la nomina di un amministratore per le scelte di fine vita. In un caso, si trattava della figlia della paziente e in un altro caso del fiduciario non parente che, seppur con difficoltà perché ognuno è portatore anche di un proprio desiderio nei confronti di una persona alla quale è affettivamente legata, hanno rispettato le volontà.
  Questo sicuramente è un punto di partenza e anche di riflessione sul ruolo del fiduciario che deve avere, come in effetti in molte di queste proposte ha, un ruolo primario perché è quello che deve essere il depositario non tanto delle direttive, ma del diritto, cioè nel poter scegliere nell'interesse di qualcuno. Spesso questo non va insieme a legami di parentela perché sappiamo che a volte purtroppo anche conflitti affettivi e non affettivi possono subentrare.
  Dal nostro punto di vista (rispondendo alle domande non in maniera puntuale, altrimenti porto via troppo tempo), posso dirvi che il ruolo del fiduciario è fondamentale senz'altro. Le direttive anticipate – vi ripeto che è il nostro punto di vista perché questo è il nostro osservatorio – più sono riferite a una patologia già insorta e più, secondo noi, possono essere rappresentative della volontà perché, a quel punto, il paziente è in grado di rappresentarsi quella che può essere la sua prognosi, altrimenti, in un momento di salute, è inevitabile avere una rappresentazione del proprio fine vita completamente falsata, quindi questo penso che rappresenti il pensiero di tutti.
  Un altro aspetto è quello della formazione perché il documento SIAARTI che è stato citato poc'anzi è un documento prezioso dal nostro punto di vista e dal punto di vista scientifico, rivolto ai pazienti con insufficienze d'organo gravi, quindi end stage.
  Quelli sono pazienti che non sono in servizio di cure palliative, ma sono pazienti che sono a domicilio in cura con il medico di medicina generale, quindi, quando giungono in pronto soccorso, ci troviamo degli operatori che – ahimè! – non sono pronti, non tanto a contrastare quanto ad accogliere il problema. Questo accade molto probabilmente perché a monte ci sono delle situazioni cliniche che non sono state rappresentate, già dal percorso di studi fino all'«addestramento sul campo», quindi l'auspicio, a valle ovviamente di questi lavori, è anche la formazione del personale per far fronte a queste condizioni che sono probabilmente molto più importanti di tante altre. Grazie.

  FRANCESCO NAPOLITANO, presidente dell'Associazione Risveglio onlus. Grazie soprattutto per le domande e per gli interventi che ci consentono di avvicinarci a questa nostra problematica sicuramente molto particolare. Grazie anche per gli ultimi interventi di Antea, con cui fra l'altro siamo confinanti perché siamo vicini di struttura qui a Roma, almeno per una delle nostre strutture.
  Sulla prima questione, cioè su come sia possibile stare vicino a parenti e amici in queste situazioni che si prolungano per anni, mi affido sicuramente alla sensibilità di tutti coloro che in questo momento ci stanno ascoltando per capire che noi abbiamo la risposta sul campo, vale a dire che solo stando vicini a queste persone giorno dopo giorno, quindi vicini appunto sotto un profilo epidermico oltre che attraverso un tentativo di valutare il loro grado di percezione e di attenzione, si può capire che effettivamente anche quella vita ha la sua particolarità e la sua dignità – diremmo oggi – nonché la sua ragione di esistenza.
  Lo dico non solo dal punto di vista del familiare o di tanti familiari che noi ovviamente assistiamo ogni giorno, visto che in diciannove anni ne abbiamo assistiti centinaia, ma lo dico anche a quelli che sono presenti, rispetto al personale sanitario.
  In tutte le strutture che noi abbiamo verificato, non solo partendo dalla nostra, ma in Italia e all'estero, abbiamo visto un tale grado di compenetrazione in questo Pag. 14tipo di approccio fra personale sanitario e pazienti, se vogliamo chiamarli così, o assistiti. Questo ci fa capire che vi è sicuramente una tipologia di vita che noi possiamo stentare a comprendere e ad accettare e che certamente vi può essere un approccio che umanamente e antropologicamente ci sta tutto.
  In più, vorrei non si dimenticasse che anche alcune elaborazioni statistiche oggi ci dicono che non si può escludere mai a priori la possibilità che, anche a distanza di anni, si possano avere progressi, a volte minimi naturalmente e a volte poco più che minimi. Questo è un ulteriore incentivo per i familiari che sono vicini al paziente per cercare di raccogliere un sorriso o un movimento di un braccio o un movimento di una gamba che non sia soltanto istintivo o una capacità di reazione di fronte a elementi esterni che negli anni ci possono anche essere, tanto da far passare il paziente da una situazione di stato vegetativo a una situazione di minima coscienza.
  Consentitemi di dire questa cosa che non è accettabile forse sotto un profilo clinico-medico, ma che vorrei riportarvi anche come esperienza personale.
  Abbiamo avuto purtroppo alcuni decessi, anche se non sono molti, per fortuna, nel corso degli anni perché ci sono persone che vanno avanti per anni senza che ci siano complicazioni. Certo, possono succedere delle cose, come a tutti noi naturalmente, e può insorgere una polmonite o altro. Tuttavia, per queste persone che ho visto io ho un convincimento, cioè che siano in qualche caso loro a decidere quando lasciarci. Noi non sappiamo niente di loro e non riusciamo a capire quello che dentro di loro può essere un tipo di elaborazione di fronte al mondo esterno, eppure negli ultimi giorni della loro esistenza c'è qualcosa che li trascina in modo imponderabile verso la cessazione della loro esistenza. Questo fa capire che fino a quel momento evidentemente loro, invece, hanno desiderio di continuare a esistere. Questo aiuta enormemente le persone che sono loro vicine.
  Ci sono stati alcuni episodi veramente per noi ai limiti dell'emozione. Abbiamo avuto qualche caso di giovani donne che, a seguito del parto, purtroppo si sono trovate in queste situazioni. Vi posso dire che vedere, nel primo anno o nel primo anno e mezzo o nei primi due anni di vita, questi bambini arrampicarsi – lo dico con profonda emozione – sul corpo della mamma per cercare di sentirla epidermicamente dà un senso a tutto, ma soprattutto può dare un senso a una di queste mamme che, dopo aver raggiunto la nostra struttura e dopo avere avuto forse dentro di essa stessa una tranquillità di sentire il proprio bambino, ha pensato probabilmente lei stessa di andarsene e ha pensato: «adesso forse è il momento in cui posso stare tranquilla e andar via». Tutto questo dà una dimensione di vita esistente dentro queste persone che bisogna cogliere nel corso di ciascuna giornata che noi passiamo assieme a loro.
  Vorrei rispondere a un'altra domanda che mi è stata posta, anche se ritornerò su questo...

  PRESIDENTE. Ci può tornare, mentre conclude.

  FRANCESCO NAPOLITANO, presidente dell'Associazione Risveglio onlus. Come dicevo, per rispondere alla domanda, vorrei dire che abbiamo fatto parte di tanti tavoli del Ministero della salute. Anche nell'ambito della federazione di cui facciamo parte, abbiamo contribuito non solo alla stesura del Libro bianco sugli stati vegetativi d'iniziativa del Ministero della salute, ma anche alla stesura del documento della Conferenza Stato-regioni del 2011 sulle linee guida sull'assistenza in stati vegetativi.
  Ribadisco il fatto che anche in tutti questi incontri e nella miriade di convegni che abbiamo avuto con tutte le strutture esistenti sul nostro territorio non si è mai posto alla nostra attenzione per i nostri casi naturalmente, cioè per i casi di stati vegetativi da gravi danni cerebrali, il problema delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Verosimilmente non ci sono situazioni di sofferenza nel corso degli esiti perché queste persone sono nel massimo di disabilità e non devono necessariamente Pag. 15incontrare momenti di sofferenza, come può essere, invece, nel caso per cui è giusto prevedere una dichiarazione anticipata di trattamento.
  Lo vorrei ribadire come una nostra non necessita. Certo, se ci deve essere una necessità, insistiamo su questo e ci permettiamo di dire che è vero da un punto di vista clinico che è difficile poter inquadrare determinate diagnosi, ma noi dobbiamo pensare che una dichiarazione anticipata viene posta in essere da una persona che non può essere a conoscenza di tutto quello che può essere il mondo clinico e delle patologie.
  Da un punto di vista, invece, giuridico, se io faccio una norma che sia troppo larga, verosimilmente io non riesco ad applicarla. Questo è il nostro problema essenziale non perché non voglia tener conto di tutte le circostanze possibili, ma perché più allargo il cerchio della mia potenzialità normativa e più io troverò difficoltà ad applicare normativamente la situazione.
  Per quanto riguarda il fiduciario, io avrei dei dubbi e delle riserve su quanto è stato detto, anche molto opportunamente, vale a dire che ci può essere una confusione successiva fra la figura del fiduciario o la figura che già magari è preesistente di un amministratore di sostegno o di un tutore con i familiari, previsti dal codice civile, e anche con l'amministratore di sostegno straordinario provvisorio.
  Certo, va bene tutto, ma dobbiamo sempre pensare che una legge poi debba essere applicata, per cui, quando io andrò a verificare la volontà del fiduciario che può essere in contrasto con quella di altre persone che hanno anche esse una titolarità, questo diventa un problema naturalmente di applicazione pratica. È possibile che quelle persone ce l'abbiano col fiduciario, a prescindere dal fatto che un fiduciario può cambiare nel corso del tempo le sue idee e comunque allontanarsi da quello che il fiduciante immaginava all'inizio. Questo può capitare con tutti naturalmente, ma altro è già aver codificato, come è già previsto nel nostro ordinamento, le figure precise di riferimento. Non vorrei che questo ci portasse a qualche problematica in più.
  Per quanto riguarda il discorso di domiciliazione, vorrei lasciare la parola all'amico Claudio Taliento, anche perché è stata fatta una domanda...

  PRESIDENTE. La pregherei di concludere.

  FRANCESCO NAPOLITANO, presidente dell'Associazione Risveglio onlus. Per quanto riguarda la domiciliazione, ringrazio enormemente anche per i disegni di legge, compresa la prima firmataria, l'onorevole Binetti. Quello che è importante nel nostro settore è una norma precisa che codifichi esattamente l'assistenza delle persone in stato vegetativo. Questo è imprescindibile. La Conferenza Stato-regioni c'è, ma dalle regioni non viene applicata, per cui serve una norma che definisca esattamente il percorso che abbiamo già individuato e che lo normativizzi. Ringraziamo per questo coloro che hanno fatto una proposta in questo senso.

  PRESIDENTE. Grazie. I temi sono importantissimi. Ci sarebbe sempre bisogno di più tempo. Ci potete far arrivare ulteriori osservazioni, però dobbiamo concludere questa parte di audizione perché siamo in ritardo con gli altri auditi e vogliamo essere anche corretti con loro.
  Intanto potete lasciare alla segreteria un documento, se qualcuno l'ha portato, oppure potete farlo pervenire in seguito.
  Complimenti per il vostro lavoro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del Centro nazionale trapianti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti del Centro nazionale trapianti, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1432 Murer, C. 1142 Mantero, C. 1298 Locatelli, C. 2229 Roccella, C. 2264 Nicchi, C. 2996 Binetti, C. 3391 Carloni, C. 3561 Miotto, C. 3596 Calabrò, C. 3586 Fucci, C. 3599 Brignone, C. 3584 Nizzi e C. 3603 Iori: «Norme in Pag. 16materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari».
  È presente Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro, cui do il nostro benvenuto e do subito la parola.

  ALESSANDRO NANNI COSTA, direttore del Centro nazionale trapianti. Buongiorno a tutti. Vi ringrazio per essere stato chiamato in questa audizione, anche se questo non è un tema che ci tocca in maniera diretta.
  Io cercherei di esprimere solo un principio. Molto spesso la dichiarazione anticipata di volontà viene affiancata alla dichiarazione di volontà della donazione degli organi. Noi riteniamo che si tratti di due cose molto diverse fra loro perché la dichiarazione di volontà sulla donazione degli organi che è uno degli strumenti chiave per la possibilità di cura del paziente in lista di attesa riguarda qualcosa che avviene dopo la morte.
  La legge dice che si possono prelevare gli organi e i tessuti, dopo un accertamento di morte, e che questo può essere fatto attraverso segni cardiocircolatori o attraverso segni neurologici. La disposizione di trattamento riguarda qualcosa che avviene prima, quando il soggetto è ancora vivo.
  Il fatto che si siano anche incrociate a livello regionale in qualche caso queste cose, secondo noi, è un fattore che determina una certa confusione fra questi due temi, quindi noi vorremmo che fossero temi assolutamente separati e distinti fra loro perché non hanno punti in comune. Si tratta di due scelte importanti che riguardano la persona e che devono riguardare la persona, ma che non hanno niente a che vedere tra loro; le dichiarazioni anticipate riguardano qualcosa della vita. Questo è il primo punto che volevo sottolineare.
  Il secondo punto, ricordando anche un'audizione precedente, è la grandissima differenza che esiste fra il soggetto in uno stato vegetativo o in minima coscienza rispetto al soggetto in condizioni di morte con possibile accertamento con segni neurologici. Il soggetto che è morto, cioè che ha il cervello morto con segni neurologici, è un soggetto che è completamente e radicalmente diverso da quello in minima coscienza o da quello in stato vegetativo. Queste sono due condizioni abbastanza diverse fra loro che hanno anche delle cause diverse.
  I segni della morte encefalica, oggi, si rilevano in maniera assolutamente sicura. Ci sono importanti segni clinici e ci sono importanti segni strumentali, tra cui quello conosciuto dell'elettroencefalogramma piatto, anche se ormai ci sono test di flusso che ci dicono con assoluta sicurezza la presenza della vita o meno.
  Anche su questo punto, che pure è meno confuso dall'altro, vorrei che venisse fatta una grandissima chiarezza perché si tratta di condizioni che sono radicalmente e completamente distinte fra loro. Ancora una volta le dichiarazioni anticipate di trattamento non riguardano qualcosa che ha a che fare con la morte, ma qualcosa che riguarda la condizione di un paziente in vita. Questi sono i due punti su cui credo che il Centro nazionale trapianti possa esprimere un parere.
  Soprattutto per noi questo è determinante, perché è determinante per la opinione pubblica, che ci sia una chiarezza grandissima fra due aspetti. Il primo è quello del paziente in stato di grave sofferenza cerebrale, come un paziente in coma che può essere in uno stato vegetativo o può essere in condizione di minima coscienza, al di là delle sofisticazione diagnostiche del coma e del fatto che dovrebbe gli occhi aperti o meno o della genesi di queste due condizioni. Il secondo aspetto è il tema della donazione degli organi che riguarda qualcosa che avviene dopo un necessario e indispensabile, ma sicuro e certo – scusate gioco di parole – accertamento della morte o cardiaca o celebrale, quindi vorrei dire che noi qui non abbiamo voce in capitolo e che vogliamo non avere alcun tipo di voce in capitolo.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DONATA LENZI, relatrice. Grazie, dottor Nanni Costa. Quest'ultima sollecitazione Pag. 17 mi ricorda che effettivamente di questo tema noi avevamo parlato con il dottor Nanni Costa quando abbiamo esaminato il primo progetto di legge di questa Commissione e quando l'attuale presidente non c'era ancora. Si trattava della donazione del corpo post mortem. Questa è stata oggetto di lunga e complessa discussione perché il tema della determinazione del momento della morte è stato molto discusso. Ci è chiaro che sono due cose che vanno tenute assolutamente distinte e che la materia è di altri.
  Sul primo punto, cioè sul tenere distinte le dichiarazioni anticipate di trattamento dalle scelte in tema di donazione di organi, come avrà visto, in alcune delle proposte di legge, le dichiarazioni sono considerate un po' più come un testamento e meno come un consenso informato e, andando più sul testamento, riguardano più cose, una delle quali è il tema delle donazioni di organi. Le chiedo se su questo ci fa il punto della normativa attuale e di come sta funzionando. Penso alla questione dell'inserimento della scelta nella carta d'identità eccetera. Questo ci serve anche per assumere o meno una decisione su come andranno fatte le dichiarazioni anticipate.

  MATTEO MANTERO. Vorrei intervenire più o meno sulla stessa cosa per spiegare perché abbiamo anche noi pensato di includere la donazione degli organi o del corpo e così via insieme a questo argomento.
  Noi abbiamo pensato a un testamento biologico che potesse raccogliere tutte le esigenze e i sentimenti delle persone rispetto al fine vita. All'interno del testamento biologico ci sono lo spazio per le dichiarazioni anticipate di trattamento in cui si parla dei trattamenti sanitari e lo spazio in cui dire addirittura la cerimonia religiosa, quindi abbiamo pensato a uno strumento più ampio che raccogliesse tutto. L'intenzione era assolutamente di mantenere distinta la dichiarazione anticipata dalle altre volontà, raccolte, però, tutte in un documento. È possibile che questo generi confusione e ci sto riflettendo con lei, però l'intenzione era quella di dare uno strumento in cui mettere tutto, distinguendo le dichiarazioni sui trattamenti sanitari dal resto.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Nanni Costa per la replica.

  ALESSANDRO NANNI COSTA, direttore del Centro nazionale trapianti. Grazie. Come si può dichiarare oggi la volontà? Ci sono diversi modi.
  Il modo che sta già cominciando e che ormai è già prevalente rispetto a tutti gli altri è quello relativo al momento del rinnovo o del rilascio della carta di identità, cioè quando al cittadino vengono formulate due domande: la prima è se vuole dichiarare la volontà di donazione degli organi e la seconda è, se la risposta alla prima domanda è sì, se vuole dichiarare in senso positivo o in senso negativo.
  Vi ricordo che l'espressione di volontà del cittadino vincola qualunque altro tipo di espressione, cioè se il cittadino si è espresso a favore della donazione, al familiare viene semplicemente detto che lui è in condizione di morte encefalica e di donare gli organi, ma non viene concesso il diritto di opporsi alla donazione degli organi, valorizzando l'espressione in vita.
  Questa è la modalità prevalente. Ormai abbiamo la dichiarazione attiva in circa 500 comuni, fra cui alcune grandi città, infatti è stata già attiva e riprenderà fra breve a Roma ed è attiva a Bologna, a Cagliari, a Perugia e a Palermo. Insomma ci sono diverse situazioni di questo tipo e, anche se non ho l'elenco, posso dirvi comunque che questa modalità sta già numericamente superando le altre.
  Noi stiamo raccogliendo in questo momento circa 1.300 dichiarazioni al giorno, ma è come un meccanismo a palla di neve: aumentando i comuni, aumenteranno le dichiarazioni. Le dichiarazioni sono positive al 94 per cento, cioè chi ha dei dubbi non dichiara e lascia poi al familiare la scelta o il diritto di opporsi.
  Il sistema sta funzionando bene, anche perché si sta organizzando una sorta di passaparola fra i cittadini, e sta diventando conosciuto, quindi è un sistema che noi vogliamo e cerchiamo, d'accordo con Pag. 18l'ANCI e con il Ministero, di implementare al massimo, visto che sta dando buoni risultati e che soprattutto li darà nel medio e lungo periodo.
  Poi, sono ancora validi gli altri meccanismi, cioè una dichiarazione di volontà datata e firmata, una dichiarazione all'AIDO. La dichiarazione all'AIDO viene direttamente immessa nel sistema informativo dei trapianti che riceve direttamente la dichiarazione di volontà fatte dal comune. Questo è un sistema che funziona H24, cioè, per ogni soggetto che può donare gli organi o i tessuti viene controllato direttamente H24 su questo sistema informativo dei trapianti. Inoltre, vale ancora, anche se ormai viene usato in maniera residuale, quanto previsto dalla legge, cioè che un soggetto può dichiarare la propria volontà presso gli Uffici relazioni con il pubblico delle ASL. Tuttavia, abitualmente il cittadino non va in ospedale per dichiarare la volontà.
  I dati vanno nel sistema informativo dei trapianti che è un sistema ampio, infatti fu pensato all'epoca per tutti i cittadini, e che consultabile da tutti i centri regionali. Dalla rianimazione dove si trova l'eventuale donatore viene informato il centro regionale che è attivo H24 e che consulta il sistema H24. Abbiamo già avuto diverse donazioni.
  Esistono già modalità chiare e precise che stanno crescendo sulla dichiarazione di volontà.
  Io mi fermo qua, anche se la conclusione è abbastanza...

  PRESIDENTE. La conclusione è abbastanza implicita.
  Ringrazio il nostro ospite e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.