XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 8 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RAPPORTI DI LAVORO PRESSO I CALL CENTER PRESENTI SUL TERRITORIO ITALIANO

Audizione di rappresentanti di Assocontact.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Costamagna Umberto , Presidente di Assocontact ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 8 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 8 
Costamagna Umberto , Presidente di Assocontact ... 9 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 9 
Miccoli Marco (PD)  ... 9 
Albanella Luisella (PD)  ... 10 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 10 
Polverini Renata (FI-PdL)  ... 11 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 11 
Costamagna Umberto , Presidente di Assocontact ... 11 
Albanella Luisella (PD)  ... 11 
Damiano Cesare , Presidente ... 11 
Costamagna Umberto , Presidente di Assocontact ... 11 
Boggio Roberto , Vicepresidente di Assocontact ... 14 
Scarabosio Luca , Vicepresidente di Assocontact ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti di Assocontact ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Assocontact.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti di lavoro presso i call center presenti sul territorio italiano, l'audizione di rappresentanti di Assocontact.
  Sono presenti il presidente Umberto Costamagna, i vicepresidenti Roberto Boggio e Luca Scarabosio, il direttore generale, Alberto Zunino de Pignier e il consulente avvocato Marco Marazza. Avverto che Assocontact ha messo a disposizione della Commissione un documento, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Nel ringraziare ancora una volta i nostri ospiti della loro presenza, do loro la parola.

  UMBERTO COSTAMAGNA, Presidente di Assocontact. Grazie, presidente. Ringrazio tutti i membri della Commissione, non per usare una banalità retorica, ma in modo sostanziale perché, come rappresentanti di un settore industriale come quello dei call center in outsourcing, riteniamo che in questo momento ci sia davvero bisogno di confronto e condivisione perché ogni giorno anche il nostro settore dà segnali sempre più allarmanti di crisi, di situazioni di difficoltà e così via.
  Come imprenditori, siamo abituati a non fermarci di fronte alle problematiche e alle crisi, cercando di ragionare insieme per provare a mettere in campo delle soluzioni e delle proposte. Quindi, quale ambiente migliore della Commissione lavoro può cogliere e comprendere il fenomeno e aiutare il settore ?
  Abbiamo preparato una veloce presentazione di ciò che vorremmo dire, che è articolata in una fotografia del settore (come Assocontact abbiamo un ufficio studi che ha elaborato questi dati) e, dopo la rappresentazione dei numeri, in una riflessione sulla storia di questo settore, che ormai comincia ad avere più di una quindicina d'anni di esperienza alle spalle; infine, di fronte alla segnalazione dei problemi che ci sono oggi, abbiamo anche non dico delle soluzioni pronte, ma degli spunti e dei suggerimenti che mettiamo volentieri a disposizione.
  Partendo dai dati di sintesi, stiamo parlando di un settore che, nonostante la crisi e i dati economici che conosciamo bene, sta continuando a crescere in termini di fatturato. Le previsioni per il 2014 sono di un fatturato globale di settore che supererà 1,3 miliardi di euro, in crescita del 5,6 per cento rispetto al 2013.
  Questo settore è sempre cresciuto in maniera importante, ma ha spento quella spinta propulsiva che lo faceva crescere a due cifre negli anni scorsi. Ormai, infatti, siamo su tassi di crescita intorno al 5 per cento.Pag. 4
  Stiamo parlando del settore delle imprese dei call center e contact center in outsourcing, vale a dire quelli che lavorano per conto della committenza pubblica o privata. Le imprese di questo settore sono circa 160, comunque meno di 200, ma con le prime 15 arriviamo al 70 per cento del valore del mercato. Quindi, c’è una doppia realtà, con un gruppo di 20-30 medie e grandi aziende e circa 150 micro imprese, nelle quali molto spesso rischiano di annidarsi anche situazioni non chiarissime.
  Parlando di lavoratori in outsourcing, è un settore – mi riferisco sempre solo all’outbound perché quando parliamo dell'attività di call center in Italia bisogna moltiplicare questo dato, più o meno, per 2,5 – che ha circa 80.000 addetti, dei quali il 60 per cento assunto con un contratto subordinato e il 40 per cento con un contratto di lavoro a progetto.
  Anticipo una delle osservazioni che farò più tardi. Quando parliamo di inquadramento del lavoratore a progetto, le nostre imprese utilizzano una norma dello Stato e un accordo nazionale fatto con i sindacati di categoria a seguito del decreto-legge n. 83 legge del 2012, che ha esplicitamente ribadito ciò che si era detto in passato, cioè che i lavoratori che si occupano di vendita telefonica possono essere inquadrati con un contratto di collaborazione a progetto.
  Quindi, coerentemente con il decreto-legge n. 83 del 2012, che stabiliva, però, un adeguamento retributivo ai minimi di categorie vicine, nel luglio 2013 abbiamo fatto un accordo con i sindacati di categoria delle telecomunicazioni che stabilisce anche – cosa non banale, perché è la prima volta in Italia che viene fatto un accordo sindacale sulla collaborazione a progetto – dei minimi fissi.
  Quando nelle trasmissioni televisive o sui giornali sentiamo parlare di prezzi più bassi rispetto all'accordo nazionale, con questa immagine dei call center legata al precariato e allo sfruttamento, che sicuramente esiste, ma che non riguarda i nostri associati, il nostro invito è di denunciare queste situazioni perché non rispettano la legge. A questo, però, arriveremo dopo.
  Questo settore è costituito per due terzi da attività inbound, cioè gestione di customer care e di servizi per conto di grandi clienti e per un terzo da attività definite outbound, nelle quali non ci sono solo le vendite telefoniche, ma anche le ricerche di mercato, i sondaggi, i recall, il recupero crediti e così via. Nell’inbound ci sono, invece, il customer care, la gestione di servizi dei numeri verdi e di assistenza postvendita, gli help desk informatici e quant'altro.
  Come imprenditori, possiamo dire che questo settore, per quanto riguarda l’inbound, gestisce l’asset più importante delle aziende committenti, vale a dire la relazione con i clienti e con gli utenti finali, che in molti casi sono i cittadini, nel caso dei servizi della pubblica amministrazione.
  Per quello che riguarda le vendite, talvolta rischiamo di dimenticare che in questo Paese, il teleselling e le vendite outbound ancora oggi costituiscono un vero e proprio canale di vendita. Se pensiamo alle telecomunicazioni, alle imprese di TLC, ma anche, dopo la liberalizzazione del mercato dell'energia, allo sviluppo delle grandi committenze di energia, possiamo osservare che la maggior parte dello sviluppo commerciale di questi settori è stato fatto con l'utilizzo del mezzo del telemarketing.
  Nelle slide del documento depositato vedete lo sviluppo negli anni sia del mercato che delle sue componenti.
  La quarta slide mostra, invece, la ripartizione percentuale del fatturato delle aziende committenti. Fino a qualche anno fa le aziende di media e telecomunicazioni rappresentavano più della metà del nostro fatturato, per cui c'era una forte identificazione delle attività di call center con le telecomunicazioni. In realtà, però, anche a seguito della crisi del settore delle telecomunicazioni, ormai l'incidenza delle aziende di telecomunicazione e media sul nostro fatturato è sotto il 50 per cento.Pag. 5
  Stanno crescendo le utilities, il financial insurance e, con qualche timido segnale e poca convinzione, la pubblica amministrazione.
  Ho dimenticato di fare un'annotazione. È vero che questo settore sta crescendo in termini di fatturato, ma è altrettanto vero che i dati ufficiali dimostrano che la redditività media delle imprese di questo settore si situa (e in molti casi non arriva neppure) al 5 per cento circa, come margine operativo lordo.
  Questo vuol dire che, a parte le tasse – l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) è una delle principali realtà della fiscalità di questo settore – le migliori performance di impresa hanno come obiettivo quello di raggiungere il pareggio o di superarlo di poco.
  Vedremo più avanti la struttura dei costi di questo settore, ma, come potete immaginare, il costo del personale, considerato pari a 100 il costo generale dell'azienda, arriva all'80 per cento. Se lo confrontiamo con il fatturato del settore, l'incidenza del costo del personale supera anche l'80 per cento.
  Riguardo alla localizzazione in Italia, negli ultimi anni questo settore è andato sempre più meridionalizzandosi, vale a dire che si è registrato uno spostamento continuo delle imprese dal nord e dal centro verso il sud. Questo, ovviamente, perché la crisi, la ricerca di margine e la necessità della sopravvivenza ha portato le imprese a ricorrere a leggi dello Stato, come la n. 407 del 1990, o agli incentivi che alcune regioni, soprattutto al sud, hanno a disposizione. Questo ha portato, drogando anche il mercato (poi ci torneremo), le imprese a scendere verso il sud.
  Diamo ora uno sguardo veloce al settore. Nella fase iniziale – siamo agli inizi degli anni Duemila – il settore cresce e si sviluppa in maniera un po’ caotica e senza regole condivise. Ogni impresa sceglie la propria strada. Tengo a sottolineare che in quegli anni neppure le organizzazioni sindacali si rendono conto del fenomeno che stava crescendo.
  Nel 2006, con iniziativa dell'allora Ministro Cesare Damiano, cominciamo, a seguito di una crisi particolare, a mettere mano al settore. Il Ministro Damiano decise di capirne meglio la struttura, quindi realizzò un Osservatorio nazionale, per cui finalmente il settore cominciò a darsi delle regole condivise; come imprese scegliemmo un unico contratto nazionale di lavoro di riferimento; cominciammo a fare accordi a livello nazionale; soprattutto, a seguito di un lavoro di vera concertazione (una parola che in questi giorni sembra ormai poco di moda, ma nella quale personalmente credo), istituzioni, sindacati e imprese si misero insieme e risolsero un problema, facendo ciascuno la sua parte.
  Le organizzazioni sindacali aiutarono le imprese in questo passaggio; il Governo, con la legge finanziaria, fece la sua parte perché contribuì alla regolarizzazione dei collaboratori a progetto in termini fiscali e contributivi; le imprese trasformarono 26.000 collaboratori a progetto in lavoratori assunti a tempo indeterminato o comunque subordinato.
  In Italia, il nostro fu il principale settore che utilizzò quella intelligente normativa e che regolarizzò queste persone. Ricordo che con l'allora Ministro Damiano litigammo un po’ perché sostenevamo che la stabilizzazione di un collaboratore a progetto non fosse un'emersione dal «nero», visto che il collaboratore a progetto era una forma contrattuale esistente, bensì un percorso di stabilizzazione. Quella normativa aiutò, comunque, anche a recuperare delle forme di lavoro nero.
  Iniziò, quindi, l'importante processo di omogeneizzazione, nel quale ognuno svolse la sua parte. Le imprese hanno completamente stravolto la propria organizzazione di lavoro perché avere persone con un rapporto subordinato rispetto a dei collaboratori indipendenti fa cambiare le regole del gioco. A onor del vero, devo dire che la committenza ci seguì in questo percorso, perché i prezzi furono rivisti e aumentati. Ricordo anche che facemmo una pubblicazione sulle nuove regole che avrebbero cambiato tutto, per cui ognuno doveva fare la sua parte.
  Fu stabilito chiaramente e definitivamente che per le attività inbound, cioè di Pag. 6ricezione delle telefonate, le imprese dovevano avere per legge persone assunte. Allora, firmai con i sindacati un avviso comune – lo dico come battuta, per farvi capire la volontà delle imprese di questa associazione, essendo già allora presidente di Assocontact – in cui dicevamo che le imprese del settore avrebbero vigilato sul fatto che quelle che svolgevano attività inbound fossero obbligatoriamente persone assunte.
  Confindustria, però, mi tirò un po’ le orecchie, dicendomi che l'utilizzo del verbo «vigilare» era un sindacalese che un imprenditore non avrebbe dovuto usare. Invece, noi ribadimmo con forza che, come imprese, avremmo vigilato, controllato e osservato bene che non ci fossero giochi sporchi da parte di chi non rispettava le regole. Ho sempre detto che le imprese che non rispettano le regole sono fuorilegge. Assocontact non ha mai difeso comportamenti illegali né dei propri associati, né di altre imprese non associate.
  Questo percorso è stato completato nel 2013, con la firma del primo contratto nazionale per i collaboratori, che amplia garanzie, introduce un ente bilaterale e fissa dei minimi salariali uguali per tutti sull'intero territorio nazionale.
  Sono stato di recente ospite della trasmissione Mi manda Raitre, in cui in diretta c'era un lavoratore che diceva di essere pagato 2-2,5 euro. L'ho invitato pubblicamente ad andare a denunciare questa situazione perché oggi chi usa nell’outbound collaboratori a progetto a meno del minimo di 4,80 euro l'ora di compenso, più la parte variabile, non rispetta un accordo nazionale fatto per rendere esecutiva una legge dello Stato.
  Tornando un po’ indietro, dopo la stabilizzazione e questo momento importante, epocale e dirimente per il nostro settore, che sancisce il passaggio definitivo a un settore industriale come tutti gli altri, abbiamo avuto un primo intoppo.
  Il Governo Berlusconi – dopo quello Prodi – con il Ministro del lavoro Sacconi, è entrato meno sull'attività dei call center, quindi c’è stato un rallentamento in questa azione di controllo. Dopodiché, la crisi economica ha messo in discussione la crescita e sono aumentate le crisi aziendali, anche gravi. Credo che il disastro di Phonemedia, con più di 10.000 persone coinvolte, sia ancora nel ricordo di questo Paese.
  A questo punto, i nostri committenti, pubblici ma anche privati, di fronte all'incalzare della crisi ci hanno chiesto e a volte imposto una riduzione dei prezzi. Non parliamo più con le direzioni marketing, ma cominciamo a parlare con le direzioni acquisti. Naturalmente, nel libero mercato ci sta che un cliente possa chiedere una diminuzione dei prezzi.
  Le nostre imprese hanno risposto adeguandosi, non certo in maniera supina e passiva, ma mettendo in atto delle correzioni nei propri processi di lavoro e sviluppando nuove tecnologie per adeguare il lavoro, risparmiare e guadagnare qualche percentuale di efficienza per rimanere nei costi.
  Alla fine, dopo gli interventi sui processi e sulle tecnologie, l'ultima spiaggia, non scelta, che rimane come risposta per poter mantenere l'occupazione in Italia è quella di cominciare a spostare parte (o quantomeno nuova parte) del lavoro in offshoring, dove il costo del lavoro è molto più basso. Non tutte le imprese, però, fanno questa scelta, anche perché i committenti ci chiedono una diminuzione dei prezzi, ma anche il mantenimento della qualità, che non sempre si trova in offshoring. Tuttavia, l'attività dell’offshoring, su cui ritorno più avanti, è sicuramente una risposta conseguente a un crollo nella logica dei prezzi.
  Chi ha seguito le nostre posizioni recenti sulla gara di Milano – anche in passato, però, Poste italiane e la stessa RAI fecero delle gare che contestammo e bloccammo – ha visto che ancora oggi si cercano soluzioni al massimo ribasso. Abbiamo, quindi, chiesto alle aziende di non partecipare alla gara dell’infoline del Comune di Milano perché si basava su un prezzo allo stesso livello del costo del personale, per cui avrebbe provocato un prezzo inferiore al puro costo del lavoro; abbiamo fatto un ricorso che presenteremo Pag. 7nei prossimi giorni; in questo momento sono state aperte le buste e sono state accolte con riserva le uniche tre offerte che sono state ricevute. Nei prossimi giorni – ripeto – procederemo con il ricorso.
  In questi giorni i focolai di crisi aumentano e si spargono su tutto il territorio a tante imprese e a tante realtà. Vedo, però, una fonte di pericolo che mi fa piacere comunicare a voi deputati e alla Commissione lavoro. Mi riferisco al fatto che alcuni deputati, giustamente legati al territorio, cercano di risolvere queste crisi a livello locale. Leggo delle dichiarazioni di un singolo deputato per difendere i call center di una certa area o di una certa regione o interventi delle regioni, dei comuni e delle province.
  Ecco, credo che in questo modo non risolviamo il problema. Non possiamo inseguire la singola crisi con il singolo deputato o con la singola regione, ma, come sistema Paese, dobbiamo cercare di affrontare questo tema da un punto di vista globale nazionale, senza interventi limitati a chi ha più forza politica, a chi è più grosso o a chi alza di più la voce.
  Le crisi che si stanno aprendo sul territorio hanno bisogno di una risposta nazionale e di quell'osservatorio che aveva messo in piedi l'allora Ministro Damiano. Infatti, tra le proposte concrete che vi lasceremo alla fine dell'audizione, c’è proprio quella di rimettere subito in attività un osservatorio fra le parti sociali (Confindustria e Assocontact) e le istituzioni per cercare innanzitutto di monitorare tutti questi processi e focolai di crisi e di rispondere in maniera organica, non inseguendo la singola possibilità o la singola realtà. In caso contrario, prosegue l'effetto domino e continuiamo a giocare a chi fa meno, per cui il settore non cresce.
  Arrivo alle proposte da realizzare prima di passare alle conclusioni.
  In primo luogo – ripeto – occorre rimettere in piedi questo osservatorio per affrontare globalmente la crisi e stabilire una politica industriale di settore che smetta di intervenire con «aiutini» parziali o con delle «toppe» sui problemi. Dobbiamo prendere questo settore e farlo crescere come negli altri Paesi. Valutiamo fra i 700 milioni e il miliardo di euro il gap con la media europea del settore, che può provocare una crisi, ma che, trasformato in opportunità, può portare 40.000 nuovi posti di lavoro, secondo le nostre stime, se riusciamo a darci delle regole e una politica industriale.
  Come imprese, siamo pronti a fare la nostra parte. Quando dico «politica industriale» intendo dire sistemare alcuni problemi; per esempio, occorre far sì che nei passaggi di commesse, quando un'impresa perde la commessa, chi subentra non ricominci con gli aiuti di Stato o con il ricorso a leggi di vantaggio per le start-up, ma riprenda in mano la nuova commessa con i diritti e con la situazione che aveva quella precedente. Altrimenti, ogni volta che si cambia fornitore in una gara, vi è il rischio che i nuovi facciano prezzi più bassi, consentiti dalle partenze di start-up, spostando, però, sempre all'indietro e al ribasso la nostra asticella, quindi drogando il mercato.
  Un tema su cui possiamo intervenire immediatamente, a livello politico, anche in maniera semplice, riguarda la politica fiscale. Siamo un settore labour intensive, nel quale, considerato pari a 100 il nostro fatturato, il costo del personale raggiunge circa l'85 per cento. Dove andiamo con un 15 per cento di differenza ? Per noi, ogni aumento contrattuale vuol dire spostare di 2-3 punti percentuali il nostro conto economico. Ogni tanto leggo delle dichiarazioni, come quelle del presidente della FIAT che, giustamente, lamenta l'alta incidenza del costo del personale, che credo sia intorno al 10 per cento. Ebbene, noi siamo all'85 per cento.
  Quando assumiamo le persone, invece di avere un sostegno, abbiamo una sicura penalità che è rappresentata dall'imposizione dell'IRAP. In sostanza, più assumo e più pago IRAP, che non è deducibile. Come Assocontact, abbiamo una proposta precisa sulla fiscalità che, tra l'altro, come riusciamo a dimostrare, non ha dei grossi oneri per lo Stato, ma, viceversa, potrebbe aumentare la possibilità di ricavi perché Pag. 8potrebbe rimettere in piedi il settore, aumentare l'occupazione e far crescere l'introito di IVA.
  In tutto questo, periodicamente la stampa ci attribuisce l'immagine di schiavisti. Di recente, vi è stata una trasmissione su La7. Come dico da sempre, anche in questa sede istituzionale, chi non rispetta la legge o non applica i contratti, deve essere messo fuori dalla legge. Non possiamo continuare a subire l'immagine di «sottoscalisti» che rovinano il mercato. Le nostre imprese non sono quelle che ogni tanto la televisione ci fa vedere; le nostre sono imprese dove l'età media è di 35-37 anni; non ci sono gli studenti universitari, ma dei padri e delle madri di famiglia che lavorano e che interpretano questa occupazione come un lavoro normale e serio, anche nell’outbound.
  Spesso i media riportano le sacrosante attenzioni dei consumatori sulla privacy. Ogni giorno dobbiamo difenderci dalle accuse di essere dei molestatori telefonici; noi siamo un canale di vendita, non molestatori telefonici; rispettiamo le leggi. Chi non rispetta gli elenchi della privacy o telefona dopo le 21 di sera, non rispetta il codice etico che, come associazione, ci siamo dati.
  A questo riguardo, vi regalo una notizia in anteprima. Abbiamo deciso di condividere il codice etico e di autodisciplina che norma tutta l'attività nell’outbound e nell’inbound con le associazioni dei consumatori. Abbiamo già incontrato e invitato diciotto associazioni di consumatori; ci rivedremo entro la fine di questo mese proprio per iniziare un tavolo permanente che non solo parta dalla rilettura del codice etico e di autodisciplina secondo le norme europee, ma crei anche un confronto continuo e un organismo dove ci possiamo scambiare pareri, mediando le esigenze del mercato e delle imprese con i diritti dei consumatori.
  Vi è molta confusione. Ogni tanto vi è qualche norma sulla quale dobbiamo impazzire per mesi. Di recente, vi è stata quella sul vocal ordering, che riguarda le attività di outbound, con interpretazioni che poi vengono smentite. Insomma, stiamo facendo veramente fatica.
  Tuttavia, è un settore che cresce e che impiega persone in maniera normale. Soprattutto, è un settore che può crescere e può utilizzare il gap che abbiamo come ulteriore bacino occupazionale. Del reso, in questi anni di crisi, il nostro è stato un settore che comunque ha continuato ad assumere, soprattutto donne, giovani e al sud.
  Chiediamo, quindi, l'analisi di questa situazione con realismo, cercando di liberarci da quegli stereotipi che i media ci attribuiscono con molta facilità e che vanno certamente a pescare in situazioni reali – non dico che si inventano tutto – ma che non riguardano le imprese serie di questo settore, che investono, lavorano e rispettano i diritti dei lavoratori.
  Avrò certamente dimenticato qualcosa. Tuttavia, nella presentazione c’è tutto. Se poi è possibile fare qualche approfondimento, possono farlo anche i miei colleghi, a seconda del tema specifico.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Umberto Costamagna per la relazione approfondita e per la documentazione, che ci ha offerto spunti importanti. Questa è la prima audizione; altre seguiranno secondo il nostro programma.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO COMINARDI. Presidente, lei ha detto che la vostra associazione è stata dipinta come un qualcosa che non è, soprattutto per quanto riguarda le tutele dei lavoratori, ovvero per come vengono trattati all'interno dei call center.
  Ebbene, ho tra le mani un contratto firmato da Assocontact e varie testimonianze di come vengono trattati i dipendenti all'interno dei call center. La domanda è, quindi, se quello che ora le riporterò, ovvero racconti veri di vita reale, sono attinenti al vero e riguardano anche Assocontact.
  Riporto ora gli elementi rispetto alla domanda che le ho fatto. Cito quindi le Pag. 9testimonianze di diversi soggetti. «Questo bel contratto firmato con Assocontact viene pagato a ora (4 euro netti) o ad adesioni (contratti fatti), ma non arriva mai a stipendi dignitosi. La giustizia sarebbe una paga oraria...».

  UMBERTO COSTAMAGNA, Presidente di Assocontact. Che cos’è ? Un contratto ?

  CLAUDIO COMINARDI. No, non è un contratto; questa è una testimonianza, ma ho anche il contratto.
  «La giustizia – ripeto – sarebbe una paga oraria, più il pagamento dei contratti, considerando che non abbiamo null'altro (malattie, ferie e così via). La paga oraria è 4 euro netti; bonus messi a random e comunicati il giorno stesso; sabato e domenica non li mettono per niente; adesioni non pagate; troppa severità; ci fanno bloccare il tempo sul pc quando andiamo al bagno; stato di polizia; anche se si sbaglia a dire una parola al telefono si viene ripresi; comunque, ci stanno sempre sulla schiena, neanche fossimo carcerati; ossessione per NPS (Net Promoter System) che riscontra la qualità degli operatori dei call center Assist a Durazzo; nel call center Assist rispondono operatori che non sanno l'italiano, di cui moltissimi clienti si lamentano con noi, denunciando anche costi di telefonate fino a 15 euro. La qualità la vogliono solo quando pare a loro ?».
  Inoltre, «pretesa che gli operatori lavorino per 4 euro l'ora, senza pretendere i bonus – quindi guadagnano 15-20 euro al giorno – ma rispettino qualità e professionalità, visto che gli affiancamenti dei responsabili Sky, nel caso, sono un ulteriore stress. Quasi due anni di contratti rinnovati ogni due mesi: un ottimo terrorismo psicologico. Ci minacciano perché dicono che a Durazzo Assist paga gli operatori solo 2 euro, mentre a noi ne devono dare di più».
  «Molti colleghi fanno 10 ore al giorno, come i cinesi, ma a fine mese gli stipendi sono sempre sotto i 1.000 euro. Moltissima gente non sta più venendo e gli altri sono disorientati e disperati. Visto che non ci pagano contributi, ferie, tredicesima, quattordicesima, credo che almeno lo stipendio dovrebbe essere dignitoso».
  Personalmente, lo sottoscrivo. Tuttavia, vorrei sapere se tutto ciò è vero oppure sono delle castronerie. Le segnalazioni, in effetti, sono parecchie.

  MARCO MICCOLI. Vorrei porre alcune domande, anche per cercare di utilizzare le audizioni al meglio. Infatti, l'indagine conoscitiva ha come obiettivo quello di capire come il Parlamento possa intervenire in un settore che, come avete detto, manifesta preoccupazione e vive, come tutti gli altri, la crisi economica, che ha una ricaduta diretta sulla pelle dei lavoratori.
  Vorrei soffermarmi su un passaggio. Infatti, da quanto è stato detto e da ciò che abbiamo compreso seguendo alcune vertenze territoriali, credo che ci sia un problema che riguarda certamente la crisi economica, ma anche la committenza; c’è poi un elemento che sta diventando devastante per il settore, ovvero quello della delocalizzazione e dell'abbattimento del costo del lavoro.
  Come citate anche nel documento depositato, ciò avviene anche all'interno di istituzioni pubbliche locali, come il comune di Milano: se ho ben capito, ciò ha determinato la rinuncia alla partecipazione alla gara di un importante vostro associato, che ha ritenuto che la base d'asta di partenza non consentisse una regolare proposta, proprio in merito alla possibilità di rispettare il contratto collettivo nazionale.
  Vorrei, quindi, capire se questo problema della committenza, a proposito della quale si utilizza l'espressione «chiedono/impongono», contenga un elemento «ricattatorio» – capisco la prudenza che l'Associazione deve utilizzare, ma a noi serve per capire – che «brandisce» la possibilità di ricorrere a aziende che utilizzano la delocalizzazione in Paesi dove il costo del lavoro è notevolmente più basso.
  Se è così, vorrei conoscere la vostra opinione. Peraltro, mentre voi vi siete giustamente dotati di un codice etico, la committenza non utilizza nessun codice Pag. 10etico; anzi, il modo di stare sul mercato, in termini di concorrenza, viene interpretato nella maniera più devastante per i diritti dei lavoratori, ma anche per le aziende che correttamente utilizzano il contratto collettivo nazionale e hanno utilizzato il «decreto Damiano» per stabilizzare migliaia e migliaia di lavoratori in questo settore.
  Ora, vorremmo capire bene se esista un problema che riguarda la committenza e la mancanza di un codice etico che la riguardi, soprattutto per quella che, invece, dovrebbe avere qualche remora in più proprio dal punto di vista etico, perché parliamo di enti locali, di istituti pubblici, di aziende pubbliche o a partecipazione statale, che pure utilizzano la riduzione dei costi attraverso le gare al massimo ribasso.
  Inoltre, rispetto alle delocalizzazioni e al mercato, vorrei sapere se queste si stanno concentrando, come era in un primo tempo, in alcuni Paesi dell'Europa orientale (Albania e Romania) o se il fenomeno di spostare anche verso i Paesi del Nord Africa, come è accaduto qualche tempo fa, ha preso piede. Infatti, in quella prima fase la delocalizzazione era più rivolta ai Paesi dell'est perché utilizzano personale che conosce la lingua italiana con più dimestichezza.

  LUISELLA ALBANELLA. Innanzitutto, vi ringrazio di essere presenti. La decisione della Commissione di iniziare un'indagine conoscitiva sui call center è legata alla storia che ha ripercorso il presidente di Assocontact, che ha spiegato anche l'importanza che hanno avuto gli anni 2007-2009, con l'osservatorio nazionale che ha dato dignità ai lavoratori di questo settore. Infatti, ne sono stati stabilizzati tantissimi e il settore è cresciuto. Sono, quindi, del parere che l'osservatorio nazionale o un tavolo permanente su questa questione debba essere riattivato.
  Oltre alla questione generalizzata della crisi che sta colpendo anche questo settore, come diceva il collega, si sta verificando un fatto inquietante. A prescindere dalle situazioni di crisi aziendali, la scelta del committente di delocalizzare in Paesi estranei all'Unione europea, dove il costo del lavoro è molto più basso, sta diventando un problema grossissimo, che si aggiunge alla questione degli appalti al massimo ribasso, di cui hanno detto il presidente e il collega che mi ha preceduto.
  Il problema delle delocalizzazioni – ripeto – sta investendo in modo particolare questo settore che dovrebbe essere trattato anche dal Governo come un settore industriale, che ha la sua importanza e la possibilità di crescere e di creare, se lo sappiamo gestire, nuovi posti di lavoro.
  Ora, abbiamo questi due problemi fondamentali. In riferimento a questo, vorrei farvi alcune domande.
  Siete a conoscenza di come vengono disciplinati i cambi d'appalto negli appalti europei ? Quali sono le norme sulle delocalizzazioni nei Paesi come Francia e Germania ? Avete contezza di questo ? Siete a conoscenza di quanti lavoratori all'estero e nei Paesi dell'Unione europea lavorano per commesse italiane ?
  Infine, quando una commessa passa da un call center a un altro e l'ultimo assume lavoratori ai sensi della legge 29 dicembre 1990, n. 407, può usufruire anche di tutti gli altri incentivi previsti ?
  Queste sono le prime domande. Se avremo il tempo, mi riservo di farne delle altre.

  CARLO DELL'ARINGA. Vi ringrazio del vostro contributo. Premettendo che non conosco molto bene il settore, la relazione che ho sentito fa nascere qualche curiosità.
  La descrizione che voi offrite della struttura del settore, con particolare riguardo all'occupazione, visto che la Commissione si interessa soprattutto di questo, come si colloca l'Italia in un esame comparato con gli altri Paesi ?
  Ammesso che sia possibile fare un esame comparato – cosa che non so e che vorrei sapere – mi interrogo, rispetto alle varie caratteristiche del settore che avete presentato, su quali aspetti si manifestano delle differenze, in particolare riguardo Pag. 11all'occupazione, con settori equivalenti di altri Paesi.
  Penso che siate nella posizione migliore per raccogliere informazioni di questo tipo, che potrebbero essere utili anche a questa Commissione. Mi chiedo, quindi, se poteste arricchire la presentazione con questi confronti, soprattutto se permettono di individuare – come si dice – «migliori pratiche».
  In fondo, nel discorso che ho sentito si fa riferimento a politiche industriali. Negli interventi si parla di più occupazione, ma anche – nei limiti del possibile – di più qualità dell'occupazione. Ecco, nelle politiche di cui ho sentito parlare poc'anzi, mi sembra, invece, che al primo posto ci sia il fisco. Essendo un settore ad altissima intensità di lavoro, è chiaro che il cuneo fiscale è l'elemento fondamentale. È inevitabile, quindi, che la principale rivendicazione sia di questo tipo. Sappiamo, però, anche quali possibilità ci sono nel nostro Paese di soddisfare queste richieste.
  Tuttavia, oltre al fisco, quando si parla di politica industriale, cosa si ha in mente per questo settore ? Cosa si può fare a questo proposito tenendo conto dell'esperienza di altri Paesi ?
  Non c’è dubbio che l'immagine che talvolta viene consegnata all'opinione pubblica è quella di un settore che utilizza manodopera che non trova posto in altri ambiti e che lo stesso settore sia alla ricerca di costi lavoro bassi, cosa che viene spesso indicata come lo strumento principale per andare avanti. L’offshoring risponde anche a questa logica.
  Allora, per dirla in breve, è possibile individuare, alla luce di esperienze di altri Paesi o di quello che potete dirci, una via non dico alta, ma non così bassa come è nell'opinione pubblica per lo sviluppo di questo settore ?
  Credo che questa riflessione possa essere utile per capire gli effetti di misure come quelle che il presidente della nostra Commissione ha caldeggiato in passato. Insomma, le misure tendenti a rafforzare le garanzie e le tutele vengono sempre viste e subite come dei vincoli e dei costi aggiuntivi o anche come opportunità per indurre le imprese a reagire in termini di maggiore professionalità, maggiore produttività e maggiore rendimento ?

  RENATA POLVERINI. Volevo porre alcune domande, che ho poi sentito dalla collega Albanella; quindi, attendo le risposte.

  DAVIDE TRIPIEDI. Vorrei sapere qual è il contratto che usate per l'assunzione dei lavoratori. È una domanda semplicissima.

  UMBERTO COSTAMAGNA, Presidente di Assocontact. Quello per le telecomunicazioni.

  LUISELLA ALBANELLA. Vorrei porre un'ultima domanda, presidente. Riguardo agli enti committenti che decidono di delocalizzare, come sapete, il Governo italiano rilascia le autorizzazioni governative sulle reti. L'ente committente ha questa autorizzazione in Italia; si fa un portafoglio clienti, quindi utilizza i loro dati e poi decide di delocalizzare in Paesi che non fanno parte dell'Unione europea, dove le leggi non tutelano il diritto alla privacy, come facciamo noi.
  Ora, secondo voi, c’è anche un problema di autorizzazioni governative sulle reti ? Il Governo italiano dovrebbe essere più attento a dare queste autorizzazioni o, quantomeno, ad obbligare gli enti committenti, in caso di delocalizzazioni, al rispetto dei dati sensibili dei clienti ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  UMBERTO COSTAMAGNA, Presidente di Assocontact. Sono un po’ a disagio con i tempi. È la prima volta che siamo qui ed è una grandissima occasione che mi piacerebbe sfruttare, anche se so che avete altri impegni.
  Provo a seguire l'ordine delle domande, dopodiché chiedo ai colleghi di integrare.
  L'onorevole Cominardi ha letto delle dichiarazioni. Credo, però, che dobbiamo cercare – voi per la parte che vi riguarda Pag. 12come agenti di cambiamento e di proposta legislativa e noi come imprese – di fare qualcosa perché questo settore vada avanti. Quando parlo di settore parlo di imprese e dunque di lavoratori.
  Nel caso specifico della dichiarazione di qualche persona, come posso dirle che sono d'accordo con quello che ha letto ? Mi sembra assolutamente pertinente, ma non ci aiuta a cercare di fare un passo avanti. Le posso solamente dire, con riferimento alle tipologie contrattuali, che adoperiamo per il 60 per cento il contratto collettivo nazionale delle telecomunicazioni, considerati pari a 100 i contratti di lavoro subordinato, il 60 per cento sono a tempo indeterminato, il 14 a tempo determinato, il 13 in somministrazione e un altro 13 in apprendistato.
  Per quello che riguarda le frasi che citava riguardo ai contratti a progetto, a seguito della riforma del Ministro Fornero, che diceva che nei call center si possono avere contratti a progetto (ovviamente, quando parlo di contratti a progetto è nel rispetto della tipologia del contratto a progetto, che è quella di un lavoratore autonomo, che non ha vincoli di tipo subordinato o fasce orarie da rispettare), abbiamo firmato, come Assocontact, con i sindacati di categoria delle TLC, un accordo secondo il quale c’è un percorso salariale che arriverà nel tempo al corrispettivo del dipendente.
  Quindi, con un accordo sindacale abbiamo dato esecuzione a una norma. Poi, se qualcuno non lo rispetta, va denunciato agli ispettorati del lavoro, ai sindacati o all'azienda in cui questo avviene. Fate bene a segnalarcelo perché, come ho detto, il nostro compito è anche quello di vigilare. Tuttavia, non posso seguire la singola dichiarazione di una cosa che non va; il caso deve essere segnalato all'ente che può intervenire.
  Nella sua qualità di deputato, se ha ricevuto delle segnalazioni, dovrebbe consigliare di rivolgersi all'Ispettorato del lavoro o ai sindacati oppure di fare una denuncia dell'azienda. Ciò vale per chi non rispetta le leggi; le nostre imprese, però, le rispettano, anche perché ci sono i controlli. Non so se il caso che lei citava riguarda qualche zona franca. Per quanto mi riguarda, ieri ho ricevuto la visita dell'ASL; sono cose normali che avvengono in tutte le imprese.
  Alle delocalizzazioni arrivo dopo.
  Rispondo ora all'onorevole Miccoli sulla gara di Milano. Innanzitutto, le do qualche piccolo chiarimento. L'attuale depositario di quel servizio, che non è un nostro ex associato, anche se abbiamo un rapporto continuo (peraltro, aveva addirittura chiesto che potessimo rappresentarlo noi, proprio per dare un'unità al settore), non ha rinunciato; siamo stati noi, come Assocontact, a dirgli di non partecipare, dopodiché lui è stato il primo ad aderire, proprio perché avevamo semplicemente fatto i conti.
  Ora, giustamente, avete rilevato il problema della committenza, in particolare di quella pubblica, anche di una realtà come quella di Milano (oggi mi son messo la cravatta arancione in suo onore, proprio per simpatia con il sindaco di Milano). Ecco, credo che non ci sia solo cattiva fede, ma una cattiva conoscenza di questo settore, che ovviamente non riguarda il sindaco o il funzionario. Non voglio dire che ciò accada in buona fede. Tuttavia, probabilmente, calcolando 45 centesimi al minuto e moltiplicando 45 per 60 minuti, si tende a ritenere che si è a posto.
  Supposta la buona fede, si deve sapere, però, che nel settore dei call center i minuti lavorati sono 40, non 60. Immagino, quindi, che questo ragionamento sia stato fatto con la logica che una persona lavora 60 minuti.
  Nel nostro settore, con le nostre tecnologie, la legge impone una pausa di 7,5 minuti ogni due ore per chi è davanti a un video terminale e quant'altro. Pertanto, i minuti effettivi sono 40. Anzi, quando dico 40 mi considerano un ottimista perché c’è chi dice che i minuti veri lavorati sono 38. Mi voglio, dunque, augurare che sia un problema di non conoscenza dei meccanismi. Peraltro, ho mandato una lettera al sindaco Pisapia, prima di fare dichiarazioni, che i miei colleghi hanno definito Pag. 13troppo matematica perché gli avevo dimostrato aritmeticamente che la cosa non stava in piedi.
  Riguardo al fatto che la committenza faccia delle imposizioni, ho effettivamente difficoltà nella risposta. Tuttavia, devo dirle che la crisi non ci ha facilitato. Sa quante volte i nostri uffici commerciali si sentono rispondere dalla committenza che se non ci va bene, «c’è la fila davanti alla porta». Non c’è, però, solo la fila dei «sottoscalisti», ma anche di aziende che per mantenere l'occupazione hanno bisogno di fatturato, magari anche in perdita, nel senso che spostano l'esplosione della bomba più avanti nel tempo. Per questo dico che bisogna intervenire in maniera globale; altrimenti, non risolviamo il problema.
  I due elementi sono, dunque, l'eccesso di offerta e il fatto che, a volte, c’è bisogno comunque di fatturare. Inoltre, è anche vero che nella famosa filiera, noi, aziende con un margine operativo del 5 per cento lordo e con il fatturato dell'impresa più grande che non arriva a 200 milioni di euro (ma la media è molto più bassa), ci scontriamo con la grande committenza, che ha uffici acquisti, uffici legali e un pacchetto di mischia decisamente più forte. Noi siamo l'ultimo anello della filiera, quindi probabilmente anche il più debole.
  Sulle delocalizzazioni nel Nord Africa, non so rispondere, quindi chiedo a Boggio di farlo. A me non risulta che ci sia una crescita di delocalizzazioni verso il nord Africa.
  Sempre sulle delocalizzazioni, rispondo all'onorevole Albanella. Attualmente, stimiamo che le attività siano intorno a un 10 per cento del mercato, ma in crescita. Stimiamo che la quota dei Paesi extra UE ammonti alla metà del volume del delocalizzato, anch'essa in aumento. Riguardo alla crescita qualitativa delle attività delocalizzate all'estero, devo dire che, storicamente, all'inizio sono state attività di back office, quindi molto simili alle attività produttive (riempimento, inserimento dati e così via); poi, è arrivato l’outbound e ora sta, purtroppo, crescendo anche l'attività di customer care.
  La delocalizzazione è quasi esclusivamente nel settore privato. C’è poi un elemento su cui vorremmo cominciare una riflessione, ovvero le imprese che delocalizzano pur in presenza di incentivi avuti in Italia. Dal punto di vista civile, un'impresa che riceve dei benefici in Italia e che poi li sposta all'estero mi pone qualche problema di correttezza, anche come cittadino. Tuttavia, questa è la realtà che abbiamo davanti.
  Vengo ora alla domanda interessante dell'onorevole Dell'Aringa. Sui cambi di appalto europei, stiamo studiando anche noi la legislazione inglese, in particolare, che suggerisce di equiparare il cambio di appalto alla cessione del ramo d'azienda, con alcuni distinguo. Secondo noi, questa è una delle leve – rispondo proprio all'onorevole Dell'Arringa – di piano produttivo: dobbiamo cioè far sì che questo settore abbia delle regole che premino la qualità e l'efficienza e non chi fa meno o abbassa i prezzi.
  Pertanto, una riflessione anche legislativa sul sistema del passaggio delle commesse, che – ripeto – nel nostro caso hanno questo tipo di logica, potrebbe finalmente spostare definitivamente la competizione dalla leva dei prezzi a quella della qualità e dell'efficienza, nel momento in cui tutte le imprese sono messe nella condizione di avere un riferimento di costi uguale per tutti.
  Il collega Boggio parlerà dell'occupazione in comparazione con altri Paesi. Non abbiamo tantissimi dati, anche perché abbiamo messo in piedi l'Ufficio studi da circa sei mesi.
  Mi sembra interessante la questione della rivendicazione fiscale, piuttosto che il piano industriale. Riteniamo che l'intervento sulla fiscalità sia a breve termine. Non crediamo, infatti, che il futuro di questo settore sia nell'abbattimento dell'IRAP, che comunque non ci farebbe male. Pensiamo, tuttavia, che un intervento fiscale intelligente, con effetti benefici per le casse dello Stato, possa essere una soluzione a breve che ci consenta di avere il tempo per mettere in piedi quella riforma del settore nel quadro della legislazione europea, fra Pag. 14cui quella di cui dicevo poc'anzi, che avrà tempi un pochino più lunghi. Quindi, vediamo la leva fiscale come primo intervento a breve, quantomeno per cercare di fermare le emorragie, per poi fare il passaggio di crescita.
  È interessante anche la domanda sulle tutele, se sono dei vincoli o degli sviluppatori. Noi abbiamo dato una risposta sul campo. Fino allo scoppio della crisi, abbiamo fatto le stabilizzazioni; chi mastica di costi aziendali sa che passare da una retribuzione a progetto a una stabile è un cambio culturale, non solo organizzativo, per non parlare dell'assenteismo e quant'altro.
  Questo – ripeto – lo abbiamo fatto sul campo. Abbiamo colto come una sfida lo stimolo che ci ha dato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di dare una tutela a quei lavoratori. Le nostre imprese sono cresciute; abbiamo assunto 26.000 persone. Abbiamo già fatto la nostra parte. Questa è la dote che portiamo. Adesso il rischio è di tornare indietro e dovere ricominciare. Noi, però, siamo prontissimi ad accettare come stimolo per il settore qualsiasi proposta in questo senso.
  Tutelare i lavoratori vuol dire tutelare lo sviluppo delle imprese. Noi con i sindacati condividiamo la stessa logica; i lavoratori senza impresa non esistono; l'impresa senza lavoratori che lavorino bene non esiste. Quindi, è una sfida che ci interessa e ci piace. Tuttavia, vorremmo dire anche la nostra.
  Sulla privacy, esistono delle leggi alle quali abbiamo anche noi contribuito, parlando con il Garante della privacy. Le aziende devono, però, applicarle.

  ROBERTO BOGGIO, Vicepresidente di Assocontact. Vorrei dire qualche parola sull'internazionalizzazione per rispondere alle domande che erano state poste poc'anzi. L'Italia ha sicuramente una straordinaria opportunità. Come al solito, possiamo vedere le cose con ottimismo o con pessimismo; vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.
  Ecco, sono un inguaribile ottimista per cui dico che se compariamo l'Italia con le altre quattro grandi economie europee (Regno Unito, Germania, Francia e Spagna), da un punto di vista dimensionale della popolazione, che è ciò che guida il nostro settore, perché le telefonate arrivano dai cittadini e quindi compariamo i 60 milioni dell'Italia, con l'Inghilterra o la Francia (siamo su numeri analoghi; la Germania ne ha 80; la Spagna è un po’ più piccola di noi) – anche in termini di prodotto interno lordo, pur essendo noi dietro, non siamo così diversi.
  Tuttavia, se guardiamo il settore, oggi l'Italia vale 1,3 miliardi di euro. Il dato della Germania è 3 miliardi di euro; quello dell'Inghilterra, 3 miliardi di euro e quello della Francia 2,5 miliardi di euro. Abbiamo, quindi, dei rapporti che sono uno a due o uno a tre, che non rispettano minimamente il gap che esiste tra la popolazione italiana e quella estera e tra il nostro prodotto interno lordo e il loro, misurato sia in valore assoluto, sia pro capite.
  Abbiamo, dunque, sicuramente un grandissimo spazio per recuperare questo gap. Il problema è che mentre gli altri Paesi hanno attuato delle politiche industriali maggiormente tese a supportare l'occupazione esistente, noi ci siamo più concentrati a favorire lo start up di aziende, offrendo contributi, incentivi e misure a sostegno della nuova occupazione, senza accorgerci che, purtroppo, questa andava a cannibalizzare l'occupazione esistente.
  Gli altri Paesi, forse, sono stati meno miopi nel gestire queste dinamiche, quindi hanno fatto delle politiche industriali più lungimiranti, con meno «aiutini», come li definiva il mio Presidente, e con una visione strategica globale per il Paese, che tende a salvaguardare l'occupazione come un asset importante. Questo, però, è un fatto storico perché noi nel 1200 partiamo dai comuni, quando gli altri Stati erano già formati, mentre noi abbiamo raggiunto l'unità dello Stato alla fine dell'Ottocento, quindi è un dato insito nella nostra cultura.
  A ogni modo, finché non riusciamo ad avere una visione nazionale, meno territoriale, del problema non lo risolveremo. Per esempio, la Calabria offre degli incentivi Pag. 15all'occupazione che cannibalizzano la Lombardia; la Puglia cannibalizza il Lazio; abbiamo un'imposizione IRAP differenziata a livello regionale che crea ulteriori scompensi.
  Come diceva il presidente Costamagna, abbiamo un'incidenza del costo del lavoro dell'80 per cento sul costo totale, ma in più abbiamo l'IRAP che pesa un 4-5 per cento. Gli altri Paesi europei non ce l'hanno. Se confrontiamo gli oneri sociali dell'Italia rispetto agli altri Paesi, possiamo verificare che in Inghilterra ammontano al 12,8 per cento, mentre in Italia siamo al 30 per cento.
  Dico questo per prendere un Paese che considero civile. Se vogliamo passare all'estremo opposto, considerando i Paesi che vengono demonizzati in termini di localizzazione, la Tunisia è defiscalizzata, con tributi intorno al 15 per cento; l'Albania ha un peso della fiscalità del 10 per cento; la Croazia del 20 per cento; la Polonia del 20 per cento; la Germania è allineata all'Italia, ma con la differenza che il salario che va in tasca al dipendente tende a coincidere con il costo per l'azienda.
  In Italia – come sappiamo tutti – quello che va in tasca a un dipendente è meno della metà del costo azienda. Questi problemi non sono solo del nostro settore perché appartengono all'economia nazionale, ma nel nostro si amplificano ulteriormente. Infatti, quando abbiamo degli incentivi all'occupazione che creano delle distorsioni sul prezzo di mercato e che quindi spingono ad avere una competitività artificiale o temporanea, si crea immediatamente uno squilibrio, con lo Stato che spende in incentivi – che abbiamo stimato intorno a 7.000 euro per addetto, come spesa pubblica – e aziende che, perdendo le commesse, dovendo mettere in mobilità le persone e utilizzare ammortizzatori sociali, creano un costo per la collettività stimato, sempre da noi, intorno ai 13.000 euro.
  Se mettiamo insieme 7.000 più 13.000 euro, arriviamo a 20.000, che è lo stipendio lordo di uno dei nostri operatori telefonici. Si genera, quindi, una situazione in cui tutte le volte che c’è un cambio di commessa, spendiamo 20.000 euro, come contribuenti, senza creare un'occupazione addizionale. Se non riusciamo, come Paese, come associazione, come sindacati e parti sociali, a risolvere questo problema, non andiamo da nessuna parte.
  Questa è una delle principali differenze che vedo con gli altri Paesi.

  LUCA SCARABOSIO, Vicepresidente di Assocontact. La questione della privacy nelle delocalizzazioni all'inizio era stata poco seguita. Successivamente ci sono stati alcuni interventi legislativi – l'articolo 24-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 è quello principale – che è stato poi rivisto dal Garante con un contributo che è stato inviato al Governo per rendere operativo il contenuto del decreto.
  Oggi c’è molta attenzione sul tema. La stessa committenza fa molta attenzione al problema del trasferimento dei dati. Credo, però, che questo non possa essere considerato un elemento per bloccare le delocalizzazioni, ma che si debba lavorare sulle varie tematiche creando in Italia le condizioni in modo che il lavoro resti qui, a prescindere dalla privacy. È, comunque, un tema su cui stiamo vigilando e collaborando, coordinandoci con il Garante della privacy.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare Assocontact per il suo contributo, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.

Pag. 16

ALLEGATO

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

Pag. 29

Pag. 30

Pag. 31

Pag. 32

Pag. 33

Pag. 34

Pag. 35

Pag. 36