XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 5 di Lunedì 23 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPATTO IN TERMINI DI GENERE DELLA NORMATIVA PREVIDENZIALE E SULLE DISPARITÀ ESISTENTI IN MATERIA DI TRATTAMENTI PENSIONISTICI TRA UOMINI E DONNE

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 
Lamonica Vera , Segretaria confederale della CGIL ... 3 
Rizzetto Walter , Presidente ... 6 
Picchio Valeria , componente del Dipartimento Democrazia economica della CISL ... 6 
Rizzetto Walter , Presidente ... 8 
Proietti Domenico , Segretario confederale della UIL ... 8 
Rizzetto Walter , Presidente ... 10 
Mollicone Nazzareno Giuseppe , Dirigente confederale della UGL ... 10 
Rizzetto Walter , Presidente ... 12 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 12 
Rizzetto Walter , Presidente ... 14 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 14 
Di Salvo Titti (PD)  ... 14 
Rizzetto Walter , Presidente ... 15 
Lamonica Vera , Segretaria confederale della CGIL ... 15 
Picchio Valeria , componente del Dipartimento Democrazia economica della CISL ... 15 
Proietti Domenico , Segretario confederale della UIL ... 15 
Mollicone Nazzareno Giuseppe , Dirigente confederale della UGL ... 15 
Rizzetto Walter , Presidente ... 16 

Audizione di rappresentanti di Federcolf e Obiettivo famiglia – Federcasalinghe:
Rizzetto Walter , Presidente ... 16 
Ferretti Silvia , Rappresentante di Federcolf ... 17 
Rizzetto Walter , Presidente ... 17 
Rossi Gasparrini Federica , Presidente di Obiettivo Famiglia – Federcasalinghe ... 17 
Fringuelli Bonaventurina , rappresentante di Obiettivo famiglia – Federcasalinghe ... 18 
Mercadante Giovanna , rappresentante di Obiettivo famiglia – Federcasalinghe ... 18 
Rizzetto Walter , Presidente ... 19 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 19 
Rossi Gasparrini Federica , Presidente di Obiettivo Famiglia – Federcasalinghe ... 19 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 19 
Rossi Gasparrini Federica , Presidente di Obiettivo Famiglia/Federcasalinghe ... 20 
Ferretti Silvia , rappresentante di Federcolf ... 20 
Rizzetto Walter , Presidente ... 20 

Allegato 1: Documenti depositati dai rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL ... 23 

Allegato 2: Documenti depositati dalle rappresentanti di Federcolf e Obiettivo famiglia – Federcasalinghe ... 59

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE WALTER RIZZETTO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro partecipazione all'odierna audizione, segnalo che sono presenti per la CGIL Vera Lamonica, Segretaria confederale, Loredana Taddei, responsabile Politiche di genere, Rita Cavaterra, dell'area contrattazione sociale previdenza pubblica, per la CISL Valeria Picchio, del Dipartimento Democrazia economica, per la UIL Domenico Proietti, Segretario confederale, per UGL Fiovo Bitti, Segretario confederale, e Nazzareno Giuseppe Mollicone, dirigente confederale.
  La Commissione ha a disposizione per l'audizione circa un'ora di tempo.
  Lascerei quindi spazio alle relazioni per circa dieci minuti ciascuno, per poi lasciare tempo per brevi quesiti dei componenti della Commissione. Seguendo il consueto ordine, do quindi la parola alle rappresentanti della CGIL.

  VERA LAMONICA, Segretaria confederale della CGIL. Grazie per questa audizione su un tema che riteniamo di straordinario interesse. Apprezziamo molto che la Commissione abbia deciso di svolgere questa indagine, perché riteniamo che il tema abbia meno visibilità di quanto invece meriterebbe per la densità degli aspetti che comprende.
  Abbiamo consegnato una memoria scritta, il che mi consente di non riprendere tutto l'insieme delle questioni che vi proponiamo, ma di sintetizzarne alcuni punti. Il primo: sono noti i dati sulle disparità salariali tra donne e uomini, così come quelli relativi all'addensamento del lavoro delle donne in qualifiche spesso medio-basse e in settori a basso valore aggiunto, quindi con salari più bassi, così come sono noti i dati relativi al particolare addensamento delle donne, soprattutto giovani, nell'ambito della precarietà, variamente intesa in tutte le sue sfaccettature.
  I dati più recenti evidenziano alcune evoluzioni in questo ambito. Abbiamo, ad esempio, una crescita straordinaria della quantità di voucher utilizzati, laddove è inutile ricordare a questa Commissione come questo sia uno strumento particolarmente penalizzante per varie ragioni, così come un dato di rilievo degli ultimi anni riguarda la crescita del part-time tra le donne, non del part-time scelto come misura – seppure sbagliata – di conciliazione, ma di quello obbligato, cioè una riduzione del tempo di lavoro, spesso in Pag. 4settori particolarmente disagiati che costringono le donne a un part-time involontario.
  Se guardiamo ad esempio alle aziende di pulizia piuttosto che ad altre (potrei citarne tantissime), vediamo che ormai si è largamente diffuso anche il part-time al di sotto delle venti ore settimanali, un fenomeno che la dice lunga sulla povertà salariale e lavorativa cui sono costrette le donne.
  Il tutto naturalmente si colloca all'interno di due condizioni di sistema: il tasso di occupazione delle donne in Italia particolarmente basso e la mancanza di un sistema di welfare che garantisca una copertura del lavoro di cura da parte dei servizi pubblici tale da liberare le donne dal quasi esclusivo ruolo di cura sia dei bambini sia degli anziani.
  Se questo è il quadro, è evidente che la previdenza altro non è che lo specchio di quanto succede nel mercato del lavoro perché, se questo produce carriere discontinue, salari bassi, salari poveri, salari stagionali, part-time, l'esito contributivo rispecchia esattamente queste situazioni, perché la carriera contributiva è legata alla realtà del mercato del lavoro.
  Non c’è dubbio quindi che la prima azione di sistema da realizzare attiene alle politiche del lavoro. In questa sede, tuttavia, ci concentriamo sugli aspetti previdenziali, perché, purtroppo, dato questo quadro di sistema, l'ordinamento previdenziale di questo Paese è ulteriormente penalizzante per le donne, in quanto approfondisce le differenze, le cristallizza e determina, per la maggior parte delle donne, una condizione, presente e futura, di povertà pensionistica, che segue alla povertà lavorativa.
  Il dato che abbiamo, riguardante anche le pensioni in essere, evidenzia, purtroppo, una differenza di importo delle pensioni tra donne e uomini, come si evince anche dai dati già in possesso della Commissione, e ci porta ad esprimere una profonda preoccupazione per l'evoluzione futura del valore delle pensioni soprattutto per le persone che, oltre che con il sistema misto, a regime andrebbero in pensione con il sistema contributivo, così come attualmente disegnato dalla normativa italiana.
  Il primo punto che noi poniamo è questo: il sistema contributivo, così com’è, con le sue rigidità e con un impianto in base al quale, a regime, si andrà in pensione esattamente con il cumulo dei contributi maturati nella vita lavorativa, senza alcun meccanismo di solidarietà e di redistribuzione interna al sistema pensionistico, è particolarmente penalizzante per le donne, cioè per quei soggetti che, più di altri, hanno carriere discontinue e lavori poveri e precari.
  Il primo punto che noi poniamo è questo, ma d'altronde ne abbiamo già discusso quando, in altre occasioni, abbiamo dibattuto della – a nostro parere necessaria – nuova riforma previdenziale: va ricostruito nel nostro sistema contributivo un meccanismo di solidarietà. Possiamo discutere delle modalità, perché si può fare in mille modi, ma va ricostruito un meccanismo che garantisca la possibilità di andare in pensione con un trattamento adeguato anche a chi non ha avuto la carriera piena, piatta e classica, presupposta dal nostro sistema puramente contributivo.
  Vorrei ricordare che, per esempio, non avremo in futuro l'integrazione al minimo e ciò sarà uno straordinario problema. Questo è il primo punto e, non essendo un intervento spot, sarà necessaria una rivisitazione del sistema.
  C’è poi una seconda questione, sempre legata all'adeguatezza delle prestazioni: abbiamo discusso altre volte in questa Commissione, ed è stata una straordinaria discussione, per la quantità di testi presentati, sul riconoscimento del lavoro di cura ai fini previdenziali. Noi pensiamo che sia ora che il tema esca dall'ambito della Commissione e diventi una scelta politica, perché riconoscere il lavoro di cura delle donne è un contributo non solo dal punto di vista previdenziale, ma anche valoriale, di impianto culturale e sociale del nostro welfare.
  Allo stesso modo, deve essere introdotta la possibilità del cumulo del riscatto del periodo dedicato al lavoro di cura con Pag. 5quello di laurea. Questo è un problema piccolo rispetto alle grandi questioni di sistema, ma impatta su tantissime donne ed è un elemento di inspiegabile rigidità nella logica del sistema contributivo, così come, naturalmente, va ripristinata, come chiediamo da tempo, la possibilità del cumulo gratuito dei contributi presso l'INPS, per superare il problema delle ricongiunzioni onerose.
  Non sfugge a nessuno che le donne hanno avuto e hanno carriere mobili. Nelle ristrutturazioni industriali spesso sono state le prime ad essere messe in esubero, così come non mi soffermo sulle analoghe dinamiche che si riscontrano nel pubblico impiego, non riprendo le note vicende. Quindi, il problema delle ricongiunzioni onerose va superato definitivamente.
  Abbiamo poi il tema dell'età pensionabile, in riferimento al quale le donne di questo Paese hanno subìto e sofferto anche una malintesa idea di parità propugnata dall'Unione europea, subìta, decisa, accolta e messa in pratica dal Governo italiano, che ha ritenuto che, per realizzare la parità tra uomo e donna, bisognasse peggiorare le condizioni delle donne, senza tener conto delle particolarità nella loro vita e nel loro lavoro.
  Fu così che andò la vicenda nel 2010, cioè il brusco innalzamento dell'età per la pensione di vecchiaia delle donne da 60 a 65 anni, che, si disse, fu imposto dall'Europa. Nonostante una serie innumerevole di errori del Governo italiano abbia portato a quella scelta, il Parlamento aveva tuttavia deciso che i risparmi derivanti da tale inasprimento dovessero essere utilizzati per dare sollievo ai problemi dei servizi per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
  Naturalmente di quelle risorse non abbiamo più notizia perché sono state utilizzate per migliorare i saldi di bilancio, come tanti altri risparmi, e in più, oggi, rischiamo di vederci riproporre dall'Europa il tema allo stesso modo, perché oggi si pone la questione della pensione anticipata, cioè l'accesso alla pensione a 41 anni di anzianità contributiva per le donne e a 42 anni per gli uomini, e qui è bene affrontare il tema in anticipo, evitando di trovarci in emergenza a dover subire le scelte dell'Europa.
  Qui c’è un unico modo di rispondere alla questione posta, che è quello di fissare un'unica anzianità contributiva di accesso al pensionamento per uomini e donne, ma non peggiorando le condizioni di tutti, ma allineando quella degli uomini all'età delle donne e riconducendo tutti ai 41 anni di anzianità contributiva, come abbiamo già detto.
  Su questo si potrebbe fare un lungo discorso, che abbiamo fatto in altra sede e che non riprendo. Va ripreso anche il tema delle penalizzazioni in caso di pensionamento anticipato dopo il 2017, perché molte delle penalizzazioni, che abbiamo eliminato fino al 2017, colpiscono in particolare le donne, perché sono spesso legate ad assenze per motivi di cura e di assistenza.
  Sulla questione più generale della flessibilità nell'accesso al pensionamento, è indubbiamente necessario ricostruire una flessibilità dentro il sistema. Vorrei far notare solamente che moltissime donne non vanno in pensione neanche all'età determinata dalla manovra del 2011 per la vecchiaia, ma vanno molto dopo, perché le donne con carriere contributive povere non raggiungono il valore di 1,5 volte l'assegno sociale, come richiesto dal decreto-legge n. 201 del 2011 e, di conseguenza, vanno in pensione dopo i 70 anni.
  Siamo già a 70 anni e tre mesi o 70 anni e quattro mesi e arriveremo a 70 anni e sette mesi, poi a 71, cioè avremo una fascia enorme di popolazione femminile con poca anzianità contributiva rispetto agli uomini, come si evince dai dati delle pensioni in essere, e tanto più in futuro, quando, per quanto possa essere elevata l'età di accesso alla pensione stabilita dal decreto-legge n. 201 del 2011, non sarà accessibile alle donne, molte delle quali rischieranno di accedere al pensionamento anche dopo i 70 anni.
  Non parliamo poi del fatto che molte delle soglie fissate in quella disciplina sono penalizzanti per le donne. L'unico elemento Pag. 6di flessibilità per l'accesso anticipato al pensionamento previsto dal decreto-legge n. 201 del 2011 è quello dei 63 anni di anzianità anagrafica, ma con un valore soglia dell'importo di 2,8 volte l'ammontare dell'assegno sociale, e in Italia meno di un terzo delle donne arriva a quel valore soglia negando così alle donne e a tutti quelli che hanno carriere simili il diritto di accedere al pensionamento anticipato.
  Il nostro obiettivo è tornare a un'idea vera di flessibilità che stia dentro il sistema contributivo, come abbiamo illustrato in questa e in altre sedi, e riteniamo che questa Commissione abbia fatto un buon lavoro e vogliamo contribuire affinché esso abbia un esito politico.
  Un'ultima battuta: nel disegno di legge di stabilità 2016 sono contenute norme per la prosecuzione della sperimentazione di «Opzione donna», di cui non ricostruiamo la storia per carità di patria. Abbiamo espresso un giudizio durissimo su come è stata gestita questa vicenda, apprezziamo che si risolva per il 2015 nella legge di stabilità, ma bisogna correggere quel meccanismo perché esclude una parte delle donne, quelle che raggiungono i requisiti nell'ultimo trimestre dell'anno 2015 perché, avendo legato la prosecuzione di «Opzione donna» all'aumento dell'aspettativa di vita, molte donne rischiano di essere escluse.
  Questa non è una correzione che costa – sui costi potremmo aprire un lungo capitolo, visto che, anche a nostro parere, essi sono sovrastimati nel disegno di legge di stabilità – ma almeno evitiamo queste disparità assurde che colpiscono determinate categorie di persone. In ogni caso riteniamo che l’«Opzione donna» non sia la soluzione al problema delle pensioni delle donne.
  Lo voglio dire perché l’«Opzione donna» è un sacrificio talmente enorme che pochissime donne possono permetterselo, un po’ perché costrette (la maggior parte vi ricorre perché non ha più il lavoro e quindi va in pensione appena può), mentre vi è tutta una fascia di donne che non è in condizione di accedere a questa possibilità. Quindi per noi «Opzione donna» non è la soluzione, è un meccanismo che era già previsto, era già finanziato, il disegno di legge di stabilità lo affronta e speriamo che lo perfezioni, consentendo a tutte le donne nella stessa condizione di andare in pensione allo stesso modo, senza determinare ulteriori disparità.
  Questo è il quadro molto sintetizzato dei temi che vi abbiamo proposto. Pensiamo che su di essi un'azione politica sia necessaria e che il Parlamento debba assumere iniziative.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Lascio ora la parola a Valeria Picchio, del dipartimento Democrazia economica della CISL.

  VALERIA PICCHIO, componente del Dipartimento Democrazia economica della CISL. Grazie, presidente, grazie alla Commissione per aver promosso questa indagine molto interessante e articolata. Abbiamo letto i contributi di chi è stato audito prima di noi ed è una raccolta di dati estremamente interessante.
  Molte delle cose a cui accennerò sono già state dette, perché i problemi sono comuni e su queste cose la pensiamo, per molti aspetti, in modo assolutamente analogo, perché non c’è dubbio che gli interventi degli ultimi anni sulle norme pensionistiche abbiano penalizzato soprattutto le donne.
  In particolare, per quanto riguarda l'aumento dei requisiti pensionistici, non c’è dubbio che siano totalmente mancati meccanismi di carattere compensativo. Alla fine, il legislatore e il Governo hanno scelto, non soltanto con la riforma del 2011, come ovviamente sapete molto bene, ma anche con gli interventi del 2010 (si citavano le donne nel pubblico impiego), la via più facile, più breve, che ha imposto, di fatto, un'eguaglianza di tipo formale, dimenticando totalmente l'eguaglianza di carattere sostanziale nell'ambito della previdenza.
  Come veniva evidenziato prima, non c’è dubbio che aver eliminato le pensioni di anzianità o meccanismi di flessibilità per Pag. 7chi va in pensione soprattutto con il sistema misto (non è un caso che anche noi vogliamo un ritorno alla flessibilità) abbia penalizzato particolarmente le donne perché, se è vero che le donne che accedevano alla pensione di anzianità erano di meno, dal momento che hanno meno contributi e tendenzialmente vanno più in pensione di vecchiaia, i cui requisiti sono stati aumentati in maniera significativa, è anche vero che i 41 anni di anzianità contributiva e l'aggancio alla aspettativa di vita per l'accesso al trattamento pensionistico anticipato come meccanismo rigido in un sistema misto costituiscono un requisito contributivo ancora più penalizzante.
  Riteniamo che, rispetto al tema dell'innalzamento dell'età pensionabile, un ragionamento su una equiparazione dei requisiti tra uomini e donne sia ragionevole, ma il vero problema è che l'equiparazione è stata attuata, dal 2010 in poi, passando per la «riforma Fornero», in maniera abnorme, troppo accelerata e senza la previsione di alcun meccanismo di carattere compensativo.
  Il problema della carenza previdenziale delle donne e, quindi, della mancanza di tutela sufficiente per quanto riguarda la previdenza e, quindi, di percorsi di carriera più flessibili dipende dalla carenza di occupazione a monte, da un'occupazione più frammentata, più precaria, più difficile, che non può che riflettersi sulla previdenza pubblica, ma anche sulla previdenza complementare, che forse non è il primo oggetto di analisi di questa Commissione, ma a cui mi sembra importante accennare.
  A nostro avviso, sarebbe molto importante arrivare a una valorizzazione del lavoro di cura. I vari progetti di legge presentati, che possono essere analizzati e sistematizzati in vario modo, sono progetti interessanti, che devono essere portati avanti prevedendo meccanismi di coperture figurative maggiori, rafforzando le tutele previdenziali di chi svolge lavoro di cura.
  Questo aspetto andrebbe a vantaggio delle donne, ma consentirebbe anche di realizzare quella condivisione di responsabilità familiari che per noi rimane un obiettivo assolutamente importante. Anche se tutti sanno che, proporzionalmente, il lavoro di cura spetta più al mondo femminile, sarebbe il momento di riconoscerlo in generale con il rafforzamento dei periodi di contribuzione figurativa.
  Bisogna assolutamente riportare al centro dell'agenda politica il tema dell'adeguatezza degli assegni pensionistici, perché in futuro, come è stato già detto, questo sarà un grave problema per le donne, per i motivi, prima citati, di discontinuità lavorativa e contributiva.
  Desidero ribadire che non si può più tacere che la mancanza di integrazione al trattamento minimo nel sistema contributivo rappresenterà sicuramente un problema. Che in futuro si possa prevedere un meccanismo di integrazione al trattamento minimo (qualcuno mi dice che nel sistema contributivo è difficile introdurlo) o altri meccanismi di adeguamento del trattamento pensionistico sarà comunque importante.
  Per quanto riguarda le soglie economiche previste per l'accesso al pensionamento, non parliamo poi della soglia di 2,8 volte l'importo dell'assegno sociale, tra l'altro, con 20 anni di contribuzione effettiva, non figurativa, richiesta per usufruire della flessibilità pensionistica nel sistema contributivo puro, con i famosi 63 anni e 3 mesi di anzianità anagrafica, soglia molto alta. Anche la soglia di un trattamento pensionistico almeno pari a 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale per potere accedere alla pensione di vecchiaia contributiva può essere per le donne di difficile raggiungimento. Immaginare una platea di donne che accede al pensionamento a 70 anni e oltre, ovviamente, diventa improponibile.
  Tra l'altro, dubitiamo che possa essere una soluzione valida beneficiare qualche anno prima dei 70 anni dell'assegno sociale, in attesa del trattamento pensionistico effettivamente erogato sulla base dei contributi dati, perché per un certo lasso di tempo avremo questo paradosso, per cui chi ha versato vent'anni di contributi senza raggiungere l'importo soglia di 1,5 Pag. 8volte l'importo dell'assegno sociale deve aspettare il compimento dei 70 anni per accedere al pensionamento, ma, nel frattempo, percepisce per qualche anno l'assegno sociale. Si tratta di una situazione quantomeno confusa.
  Accennavo prima alla previdenza complementare soltanto per ricordare che, anche dai dati dell'ultima relazione della COVIP, emerge che tra gli iscritti alle forme pensionistiche complementari il 61,1 per cento è rappresentato da uomini, dimostrando, quindi, che le donne sono iscritte alla previdenza complementare in percentuale minore, fermo restando che, in generale, come è noto, non sono moltissimi gli iscritti alla previdenza complementare in Italia.
  Il motivo è sempre quello: è chiaro che, a fronte di rapporti di lavoro precari e discontinui, è molto difficile aderire alle forme di previdenza complementare. Però, se noi abbiamo considerato (come sindacato ci teniamo) la previdenza complementare come forma di integrazione pensionistica, non possiamo non porci anche questo problema.
  Vi segnalo un ulteriore, anche se piccolo, aspetto su cui riflettevamo questa mattina: nell'ambito della previdenza complementare del pubblico impiego (sto parlando dei fondi negoziali) abbiamo una situazione un po’ paradossale, che penalizza ulteriormente le donne. I fondi complementari nel pubblico impiego sono disciplinati dal decreto legislativo n.124 del 1993, che prevede un regime fiscale più penalizzante rispetto a quello previsto dal decreto legislativo n. 252 del 2005 per i fondi complementari nel settore privato. Ma nel settore pubblico le donne sono tante, sono la maggioranza dei dipendenti pubblici, quindi, in maniera indiretta, il regime fiscale penalizzante nell'ambito dei fondi pensione complementari a danno del settore del pubblico impiego ha un effetto penalizzante indiretto sulle lavoratrici del pubblico impiego che vogliano iscriversi ai fondi di categoria.
  Condividiamo l'opinione che bisognerebbe rafforzare e promuovere tutti i meccanismi che consentono di riconoscere i lavori di cura, attraverso il riscatto oppure la cumulabilità tra la laurea e la maternità al di fuori del rapporto di lavoro, oppure consentendo il totale cumulo contributivo per superare i problemi delle ricongiunzioni, tutti meccanismi che possono consentire di rafforzare il patrimonio contributivo.
  La Commissione chiedeva di esprimere valutazioni sui lavori svolti dalle donne e sull'impatto di malattie professionali o infortuni. Sul punto, ci atteniamo ai dati dell'INAIL, secondo i quali aumentano sia gli infortuni sia le malattie professionali per le donne. Bisognerebbe fare un'analisi specifica, che al momento non abbiamo fatto, sulle singole attività.
  È vero che, quando nel 2011 fu approvato il decreto legislativo n. 67 che consente l'accesso anticipato al pensionamento per gli addetti a lavori usuranti, probabilmente non era alle donne che si stava pensando, perché, sebbene si tratti di un provvedimento importante, con alcuni limiti per una serie di ragioni, forse avrebbe bisogno di essere modificato, se si pensa, ad esempio, alla valorizzazione come lavoro usurante del lavoro notturno, e quindi di tutto un segmento dell'attività infermieristica, anche se, in realtà, sappiamo che i parametri previsti da tale disciplina non sono utilizzabili in maniera così semplice.
  Un'analisi più attenta da questo punto di vista sarebbe necessaria, quindi ringraziamo la Commissione per l'attenzione che sta ponendo su questi temi. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Lascio la parola a Domenico Proietti, Segretario confederale della UIL.

  DOMENICO PROIETTI, Segretario confederale della UIL. Grazie, presidente. La UIL è molto grata alla Commissione lavoro della Camera per questa audizione e apprezza in maniera sincera e convinta il lavoro che questa Commissione ha fatto e sta facendo sull'insieme dei temi previdenziali.
  La nostra legislazione previdenziale penalizza fortemente le donne, la «manovra Pag. 9Monti-Fornero» del 2011, che, a nostro modo di vedere, è stata una gigantesca operazione di cassa fatta sulle spalle dei lavoratori e dei pensionati, ha ulteriormente penalizzato le donne.
  Quella manovra ignora soprattutto il legame fondamentale che deve esserci tra il sistema previdenziale e il mercato del lavoro, tanto che una delle conseguenze più nefaste è stato il blocco pressoché totale del turnover nel mercato del lavoro, che ha impedito l'ingresso di giovani e di giovani donne.
  Bisogna partire da questa constatazione: occorre modificare il decreto-legge n. 201 del 2011 e lo si deve fare, principalmente, reintroducendo un principio di flessibilità per l'età di accesso alla pensione, proprio dei sistemi contributivi. Questo è l'elemento più clamoroso e l'errore maggiore dal punto di vista culturale che è stato fatto nell'elaborare e approvare quel provvedimento: ogni sistema contributivo si fonda sulla flessibilità, che il decreto-legge n. 201 del 2011 invece ignora e cancella totalmente.
  L'idea della UIL è di introdurre un range tra 63 e 70 anni entro cui le persone possano scegliere come e quando andare in pensione. Questo risolverebbe una serie di questioni, sulle quali ci siamo soffermati in altra occasione, e permetterebbe di superare le penalizzazioni che le donne subiscono con l'attuale legislazione.
  Voglio citare un dato: oggi il 36,8 per cento delle donne accede alla pensione di anzianità, mentre le donne che accedono alla pensione di vecchiaia sono il 79,5 per cento. Bastano questi due dati a dimostrare che il nostro sistema è profondamente iniquo e non funziona, perché la penalizzazione delle donne parte dal mercato del lavoro e si ripercuote inevitabilmente anche sul loro futuro previdenziale e pensionistico. È quindi lì che bisogna intervenire.
  Nel merito, noi riteniamo che debba essere abrogato il comma 7 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, dove si dispone che per accedere alla pensione di vecchiaia bisogna raggiungere un importo del trattamento pensionistico almeno pari a una volta e mezzo l'importo dell'assegno sociale. Questo è un elemento estremamente penalizzante. Bisogna, invece, ritornare a legare l'età d'accesso alla pensione soprattutto al dato anagrafico.
  Inoltre, bisogna eliminare tutti i costi previsti per le ricongiunzioni cosiddette «onerose». È effettivamente incredibile che in un sistema contributivo si debba pagare ulteriormente per ricongiungere anni di contribuzione relativi a periodi lavorativi diversi. Anche questo fa a pugni con l'idea stessa del sistema contributivo.
  Bisogna assolutamente rivedere la contribuzione del lavoro domestico, che è un altro elemento fortemente penalizzante, e bisogna assolutamente eliminare il divieto di cumulo tra il riscatto degli anni di laurea e i cosiddetti lavori di cura.
  A questo proposito, noi dobbiamo ribadire una cosa molto chiara, che abbiamo detto anche in passato, quando ci si è voluti fare schermo delle decisioni della Commissione europea: noi in Italia abbiamo una situazione estremamente particolare, in cui sulle donne ricadono, per i motivi che tutti conosciamo, una serie di compiti ulteriori all'interno delle famiglie, quelli di cura, di cui non si può non tenere conto.
  Non si può applicare un modello astratto, che va bene in Svezia, dove c’è un sistema di servizi sociali, alla situazione italiana, dove, invece, abbiamo tutt'altre problematiche. Le norme vanno tarate sulla realtà, perché solo in questo modo si può dare una risposta alle esigenze dei cittadini e, in questo caso, delle donne italiane.
  È veramente stucchevole – passatemi il termine – la discussione sull’«Opzione donna». Per il completamento dell’«Opzione donna», anche nel disegno di legge di stabilità, attualmente all'esame del Parlamento, viene quantificato un costo di 2,5 miliardi di euro. La cosa incredibile è che si deve considerare che, nel medio periodo, questo costo non esiste. Infatti, se viene ricalcolata tutta la pensione con il sistema contributivo, con un taglio del 30 Pag. 10per cento dell'assegno pensionistico, non si può contemporaneamente affermare che le disposizioni sull’«Opzione donna» costano 2,5 miliardi di euro.
  Anche in quest'ambito c’è un uso «politico» del modo di conteggiare gli oneri e i risparmi, sul quale bisognerebbe fare chiarezza.
  Noi pensiamo che l’«Opzione donna» sia uno dei piccoli elementi di flessibilità, che costa tantissimo alle persone che lo scelgono, ma va mantenuto ed esteso anche per i prossimi anni.
  Voglio fare un'ultima valutazione sul sistema di previdenza complementare che, come giustamente è stato sottolineato, riguarda anche le donne.
  Anche in quest'ambito, pur avendo un modello che è all'avanguardia nell'Occidente ed è il frutto migliore delle relazioni industriali degli ultimi venti anni, per le distorsioni che ci sono all'interno del mercato del lavoro e per la mancata equiparazione di alcune disposizioni tra pubblico e privato, ci troviamo in presenza di ulteriori penalizzazioni per le donne.
  Su questo bisogna intervenire assolutamente, in primo luogo, riprendendo una grande campagna istituzionale di informazione soprattutto tra le donne e i giovani, che sono le due categorie nelle quali le adesioni sono più basse, e, in secondo luogo, eliminando alcune criticità, come quelle riscontrate nel settore pubblico, dove continua a esserci una tassazione più elevata rispetto al settore privato.
  Questo costituirebbe un incentivo alle iscrizioni e consentirebbe di portare a regime quel sistema di doppio pilastro su cui, in questi anni, si è faticosamente costruita la previdenza italiana, con un pilastro pubblico per la previdenza obbligatoria che, finalmente, con una nuova flessibilità di accesso alla pensione, tornerebbe a dare risposte positive ai lavoratori, e un pilastro integrativo.
  Come dimostrano i trattamenti e i rendimenti che i fondi negoziali e l'insieme dei fondi hanno offerto in questi anni, il pilastro della previdenza obbligatoria e il pilastro della previdenza complementare possono essere i due elementi che, sommati, assicurano un futuro sereno alle persone, a cominciare dalle donne.

  PRESIDENTE. Ringrazio il segretario confederale Proietti.
  Do la parola a Nazareno Giuseppe Mollicone, dirigente confederale della UGL, per lo svolgimento della sua relazione.

  NAZZARENO GIUSEPPE MOLLICONE, Dirigente confederale della UGL. Ringrazio anch'io, da parte della nostra organizzazione, per l'audizione.
  Comincio con il dire che il titolo dell'audizione è apparentemente ingannevole, perché si parla di «impatto in termini di genere della normativa previdenziale».
  Le normative previdenziali, in quanto tali, non fanno discriminazioni di genere, però nella sostanza, come è stato detto e come anch'io cercherò di esporre, creano disparità. Infatti, la normativa, rispettando la Costituzione, rispetta la parità. Tuttavia, si tratta di una falsa parità, che, in realtà, è una disparità a danno delle donne.
  La disparità più evidente, che è stata ricordata e che anch'io voglio sottolineare, è stata quella del decreto-legge n. 201 del 2011, che, parificando l'età di pensionamento tra uomini e donne e rendendo più gravose le normative preesistenti, in realtà ha danneggiato le donne.
  Perché le ha danneggiate ? Innanzitutto, le ha danneggiate per le cose che sono state dette riguardo al mercato del lavoro e alle difficoltà di inserimento lavorativo delle donne, ma anche perché la donna, rispetto all'uomo, svolge più lavori, non svolge solo il lavoro retribuito su cui paga i contributi per la pensione. La donna svolge anche i lavori di casalinga, perché gestisce una casa, di madre e, magari, anche di nonna, perché se va in pensione a 67 anni probabilmente è anche nonna, senza contare la cura di persone handicappate e persone anziane, che sono a suo carico.
  La nostra richiesta, che è la stessa avanzata nel passato, quando si discuteva delle riforme previdenziali, è quella di calcolare nell'anzianità contributiva delle Pag. 11donne gli anni di maternità oppure gli anni di prestazione di cure a persone handicappate o anziane, ovviamente sulla base di idonea documentazione. In questo modo, le donne avrebbero un'anzianità contributiva più elevata e, quindi, una pensione più elevata oppure potrebbero andare in pensione prima.
  Sempre per quanto riguarda il decreto-legge n. 201 del 2011, sono state proposte, soprattutto dal presidente dell'INPS, penalizzazioni per anticipare l'età pensionabile. A parte il fatto che noi siamo contrari a questa metodologia, la penalizzazione nei confronti della donna sarebbe ancora più grave. Infatti, la donna ha un'età media più elevata rispetto all'uomo e, quindi, secondo queste proposte avanzate periodicamente, avrebbe una penalizzazione più alta.
  Un altro aspetto che vorrei sottolineare è che la parità di età per l'accesso al pensionamento tra uomo e donna non comporta che la donna possa fare certi lavori fino a 67 anni come l'uomo, per ragioni legate al suo fisico e alla sua vita.
  Aggiungo – è già stato citato – che, quando è stata approvata la normativa sui lavori usuranti, peraltro incompleta e discussa, si è tenuto conto della mansione svolta, ma non del genere di chi la svolge.
  Cito un esempio semplice. Tra i lavori usuranti è prevista, per esempio, la guida di mezzi pubblici di trasporto. Noi vediamo che ci sono donne che guidano autobus, pullman, metropolitane eccetera. Io penso che una donna sia più affaticata o usurata – se vogliamo usare questo termine, per tener conto della legge – rispetto a un uomo che svolge lo stesso lavoro. Anche la disciplina sul lavoro usurante, con questa apparente parità, costituisce una disparità nei confronti della donna.
  Aggiungo un altro argomento, che mi sembra non sia stato trattato. Quando noi leggiamo di pensioni assai basse – si dice che la maggior parte delle pensioni dai 400 ai 600 euro sia riferibile alle donne – bisogna pensare che spesso si tratta delle pensioni delle vedove.
  Da questo punto di vista, bisognerebbe rivedere anche la normativa previdenziale sulla reversibilità. Io ricordo che, all'epoca della «riforma Dini» del 1995, fu rivista la disciplina della reversibilità e furono introdotte penalizzazioni. Se la pensione del marito, nel caso di una donna, era bassa o comunque minima, anche la reversibilità, di per sé, è minima. Pertanto, se si ritocca la percentuale di reversibilità della pensione del dante causa, cioè del marito, evidentemente si può alzare anche la pensione percepita dalla vedova.
  Un altro aspetto che voglio ricordare è la pensione delle casalinghe. Nel passato, è stata fatta molta propaganda sulla pensione delle casalinghe ed è stato creato un fondo per le casalinghe. Tuttavia, tutto è stato fatto in modo tale che, praticamente, la pensione delle casalinghe non esiste.
  A questo punto, bisognerebbe introdurre una norma di natura previdenziale che faciliti l'accesso, da parte delle vere casalinghe, a un istituto, che potrebbe essere chiamato «delle casalinghe», tramite il versamento di un contributo al fondo della gestione separata dell'INPS o al fondo delle collaboratrici domestiche.
  In questo caso, andrebbe anche rivista la contribuzione, che ci sembra piuttosto elevata. In tal modo, la casalinga stessa, o un suo parente (il marito, un convivente, un padre), potrebbe contribuire per assicurare una pensione. Attualmente c’è il vuoto assoluto da questo punto di vista.
  Sono d'accordo con quanto è stato detto sulla questione del mercato del lavoro: le donne sono svantaggiate. A questo proposito, non solo andrebbe favorito l'accesso delle donne, ma forse andrebbero pesati in modo diverso i loro anni di contribuzione, proprio per tutte le cose che sono state dette, ovvero per il loro particolare lavoro e per le loro particolari difficoltà a permanere nel mercato del lavoro, anche per motivi di tipo familiare.
  In conclusione, il vero problema è che andrebbe fatta una grande campagna di informazione previdenziale, soprattutto nei confronti delle casalinghe e di quelle donne che non sono molto informate, per Pag. 12la precarietà del loro lavoro o perché sono in piccole aziende, in cui non c’è informazione sindacale.
  Si parla della cosiddetta busta arancione da dare a chi sta lavorando (mi sembra che sia ancora una cosa da attuare). Invece, bisognerebbe fare una campagna di informazione previdenziale proprio per le donne, la parte più sfavorita, per invitarle a stare attente, a informarsi bene e a esaminare le varie possibilità. Ovviamente, da parte sua, lo Stato deve cercare di rivedere la normativa previdenziale per migliorarla.
  Concludo dicendo che tutte le riforme previdenziali degli ultimi anni, dal 1969 in poi – io ho partecipato a quelle dal 1995 in poi – sono state fatte con la consultazione delle parti sociali, perché noi sappiamo quali sono i veri problemi, le distorsioni e le soluzioni che si possono adottare.
  Ci sembra che, da alcuni anni, questa consultazione e questo scambio di notizie siano stati progressivamente marginalizzati e che le cose vadano peggiorando anno per anno. Mi riferisco, in particolare, alle dichiarazioni e alle proposte del presidente dell'INPS. A parte il ruolo anomalo del presidente dell'INPS, quello che afferma non viene mai verificato. Spesso vengono dette cose errate.
  Auspichiamo che ci sia, come c’è nelle audizioni parlamentari, un incontro più concreto, più fattivo e più documentato, per poter arrivare a una soluzione che possa cercare di sanare tutte le problematiche emerse.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1) dei documenti depositati dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIALUISA GNECCHI. Ovviamente, noi vi ringraziamo per queste audizioni. Purtroppo, non ci avete detto molto di nuovo. Abbiamo promosso questa indagine conoscitiva proprio per sentirci dire queste cose e per rafforzare le nostre posizioni. Mi piacerebbe molto che ci fosse una posizione unitaria, anche ultra-sintetica, di tutte e quattro le organizzazioni sindacali sulle cose di fondo che sono state dette.
  È stato detto che va abrogato il comma 7 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 (dove fissa un valore soglia dell'importo pensionistico, almeno pari a una volta e mezza l'assegno sociale). Noi continuiamo a sostenerlo. Vi metto a disposizione il «volantone» che io ho fatto nel 2013, in cui affermavo tale necessità. Quando lo dicevo in giro nelle assemblee, mi accorgevo che la gente purtroppo non lo sapeva. Continuare a dirlo ci serve, perché ci si renda conto che va abrogato.
  Allo stesso modo, va abrogato il comma 2 dell'articolo 14 della legge n. 503 del 1992, che impedisce il cumulo tra riscatto degli anni del corso legale di laurea e riscatto facoltativo del periodo non coperto da assicurazione al di fuori del rapporto di lavoro.
  Abbiamo anche il caso di persone alle quali è stata revocata la pensione. Una dipendente della regione Toscana deve restituire tutto, perché, per errore, le hanno concesso di accedere al pensionamento. Adesso le hanno revocato la pensione e la regione Toscana non l'ha riassunta. Ci sono situazioni gravissime.
  Siccome abbiamo previsto anche l'audizione dei patronati, chiederemo proprio ai rappresentanti di questi ultimi di segnalarci le cose che vanno veramente corrette, che magari noi non sappiamo. Ormai abbiamo capito che il problema dell'incumulabilità esiste e vogliamo risolverlo.
  C’è poi il discorso legato a tutte le differenze e le complicazioni, tipo la contribuzione versata alla gestione separata, che non è cumulabile neanche per l’«Opzione donna», che pure prevede la liquidazione della pensione con il sistema contributivo puro. Prima si impone la ricongiunzione e poi si impone di arrivare a 35 anni di contribuzione per potere andare in pensione. È una cosa che grida vendetta.Pag. 13
  Ciò vale anche per l'unica forma di flessibilità che abbiamo faticosamente conquistato per le nate e i nati nel 1952 (i «Quota 96 o 97») e per la pensione di vecchiaia per le donne. Il comma 15-bis dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 non impone a tali soggetti di essere in servizio a una certa data per potere accedere alla pensione. Invece, la circolare dell'INPS n. 35 del 2012 introduce il requisito dello svolgimento, alla data del 28 dicembre 2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge), di attività di lavoro dipendente nel settore privato.
  Si tratta di una norma che non possiamo neanche abrogare – io volevo abrogarla con la legge di stabilità – perché non è una legge che si può abrogare. Bisogna pretendere che l'INPS modifichi la circolare. Bisogna pretenderlo, in modo che, almeno nel 2016, tutti gli ex «Quota 96» e le donne che hanno compiuto i 60 anni, quindi tutti quelli nati nel 1952, possano andare in pensione. Fino a oggi non potevano comunque, ma dal primo gennaio dobbiamo assolutamente pretendere che la circolare venga modificata. Non so cosa dobbiamo fare, ma dobbiamo pretendere che venga modificata. Non lo possiamo fare legislativamente, perché non è una norma di legge. È solo una circolare, che dà un'interpretazione veramente folle del comma 15-bis. Questo va assolutamente fatto.
  Rispetto alla mancata integrazione al trattamento minimo futuro, abbiamo presentato la proposta di legge Atto Camera n. 2100, che prevede l'introduzione a regime della pensione di base finanziata dalla fiscalità generale: «lo zoccolo» a cui sommare tutti i contributi effettivi. Non abbiamo dubbi che tale proposta vada approvata.
  Rispetto ai risparmi derivanti dall'innalzamento dell'età di pensionamento delle lavoratrici del pubblico impiego, che dovevano essere utilizzati per interventi in materia di politiche sociali e familiari – l'abbiamo inserito anche tra i punti dell'indagine conoscitiva da approfondire – chiederemo al Ministero dell'economia e delle finanze che ci risponda con precisione su questo, perché ovviamente ci interessa molto.
  È chiaro che abbiamo bisogno che vengano messe in evidenza anche le altre cose che noi non sappiamo. Pertanto, chiediamo uno sforzo ai patronati.
  Per quanto concerne le penalizzazioni, citate da Vera Lamonica, il problema non si pone solo dal primo gennaio 2018. Il problema si è posto anche nel 2013 e nel 2014, e ha riguardato 21.237 donne e 4.110 uomini. Anche questo ovviamente dimostra che, tanto per cambiare, sono state più penalizzate le donne. Dobbiamo pretendere anche questo, perché l'emendamento che avevamo presentato nel corso dell'esame del disegno di legge di stabilità 2015 non prevedeva la decorrenza dal primo gennaio 2015. C’è stata una modifica richiesta dal Governo. Dobbiamo riuscire a correggere la norma anche per quelle 25.000 persone. È evidente che dobbiamo riuscire a farlo.
  L'aggancio dei requisiti pensionistici all'aspettativa di vita penalizza ancor di più le donne. Infatti, per fortuna nostra viviamo di più, però ovviamente questo ci penalizza.
  Rassicuro il sindacalista dell'UGL che noi abbiamo previsto di audire anche la Federcolf e la Federcasalinghe. Ovviamente, noi abbiamo chiaro che il problema esiste per le donne in generale. Sappiamo che la pensione delle casalinghe era stata concepita come una mutualità alle casalinghe. Chi ha seguito un po’ la storia della previdenza sa com’è nata, sa come è stata gestita e sa come è andata avanti.
  Io vengo da una regione nella quale ci si è addirittura inventati la pensione per le casalinghe. Con fatica sono riuscita a farla sopprimere, perché non era quello di cui c'era bisogno. C'era bisogno, piuttosto, di integrare la pensione bassa delle donne e di coprire con il versamento dei contributi i periodi di cura, i lavori e tutti i periodi di non lavoro che noi donne abbiamo. Ciò è avvenuto, ovviamente solo perché siamo una regione a statuto speciale.Pag. 14
  La pensione alle casalinghe non era la risposta giusta alle esigenze delle donne. La risposta giusta deve tener conto di come è veramente il mondo del lavoro, di quali sono le vere cause delle assenze dal lavoro delle donne e di quali sono i veri sfruttamenti delle donne anche sul luogo di lavoro.
  Noi vi ringraziamo. I documenti che ci avete lasciato sono molto preziosi. Repetita iuvant ovviamente, quindi siamo contenti. Vorremmo però avere un supporto anche da parte dei patronati, per evidenziare tutte le distorsioni che stanno penalizzando in modo fortissimo le donne.
  Infatti, anche le poche cose positive che erano state introdotte nella legge n. 335 del 1995 con riferimento al calcolo contributivo dell'importo pensionistico, di cui ai fini di «Opzione donna» non si tiene conto, non sono applicabili.
  Pertanto, vorremmo questo supporto, che emerga dalle risultanze dell'indagine conoscitiva e ci rafforzi nelle richieste da fare al Governo e nello sforzo di rendere consapevole tutto il Parlamento.

  PRESIDENTE. Aggiungo solo che l'audizione del sindacato Federcolf avrà luogo fra pochi minuti.

  DAVIDE TRIPIEDI. Ringrazio i nostri ospiti per essere venuti e rivolgo i miei complimenti alla collega Gnecchi per il suo intervento, molto sentito. Obiettivamente, le donne sono state veramente penalizzate. Ricordiamoci che anche gli uomini lo sono stati, perché questa riforma nel complesso – aveva ragione il rappresentante della UIL – è stata una manovra per far quadrare i conti. Tutta la manovra è stata fatta sulle spalle di chi dovrà andare in pensione.
  Cosa pensate della proroga di «Opzione donna» fino al 2018 ? In questo modo non si rischia di sottrarre risorse al finanziamento della flessibilità in uscita, quindi di una riforma più ampia ?

  TITTI DI SALVO. Il mio intervento sarà brevissimo, perché, per quanto mi riguarda, l'onorevole Gnecchi ha già detto tutto quello che c'era da dire e anche di più. Faccio solo una considerazione.
  Siccome tutte le persone che hanno parlato poc'anzi hanno sottolineato che c’è una necessita di flessibilità insita nel sistema contributivo, che invece viene negata dalla «riforma Fornero», io intendo introdurre un elemento un po’ dissonante e, per questo, ne accenno.
  Io penso che nel 2016, anno in cui il Governo si è impegnato a riaprire il capitolo della riforma pensionistica, dovremmo ragionare su quello che, secondo me, è il cuore del sistema contributivo. Il sistema contributivo individua il montante dei contributi per calcolare la rendita pensionistica per il numero di anni che restano da vivere. Di conseguenza, l'aspettativa di vita diventa l'elemento cardine del sistema contributivo.
  Siccome le aspettative di vita sono diverse a seconda dei lavori che si fanno, io penso che la cosa più equa non sia una flessibilità identica per tutti. Io penso che la cosa più equa sia ragionare in termini di aspettative di vita, che sono diverse a seconda dei lavori che si fanno.
  Lo dico in sede di audizione, confermando che noi stiamo lavorando su una proposta di legge che cerca di affrontare insieme tutti gli aspetti, sia la flessibilità sia l'aspettativa di vita differenziata. Lo dico perché questo argomento è molto più in ombra rispetto al tema della flessibilità, che, a mio avviso, non garantisce equità, ma offre un'opzione in più, mantenendo la iniquità, che, nel caso delle donne, riguarda il riconoscimento dei lavori di cura, anche se ora ne parlo in termini più generali.
  Anche il Ministero dell'economia e delle finanze ha fatto uno studio che ci conforta in questo. La mia pensione è calcolata su quanto ho accantonato nel mio «cassetto previdenziale», diviso per il numero degli anni. Il Ministero dell'economia e delle finanze e, soprattutto, un'indagine francese affermano che un quadro di un'impresa vive sei anni in più di un operaio della medesima impresa. Non è vero che la flessibilità è risolutiva.Pag. 15
  Volevo solo introdurre questo elemento.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  VERA LAMONICA, Segretaria confederale della CGIL. Ringrazio l'onorevole Di Salvo, che ha riproposto un tema a noi carissimo, che abbiamo posto più volte in questa Commissione, come l'onorevole stessa ricorda.
  Rispondo alla domanda specifica. Io penso che serva flessibilità, serva il riconoscimento della differenza dei lavori svolti e serva reintrodurre la possibilità di andare in pensione prima dei 66 anni. Questo è l'obiettivo. Se, invece di far questo, si ripropone solo una proroga dell’«Opzione donna», noi la riterremmo assolutamente una non risposta al problema posto.
  Se invece, nel quadro di una riforma che reintroduca la possibilità di andare in pensione in tempi umani per tutti, si introducono ulteriori strumenti, tra cui anche l’«Opzione donna», è un altro scenario.
  I due quadri sono molto diversi. Se qualcuno pensa che «Opzione donna» sia la risposta al tema della flessibilità, noi siamo contrari.

  VALERIA PICCHIO, componente del Dipartimento Democrazia economica della CISL. Aggiungo soltanto una battuta rispetto alla domanda. Anche noi abbiamo delle grosse perplessità rispetto alla proroga di «Opzione donna» al 2018. Ci sembra troppo facile l'equazione in base alla quale questa potrebbe essere interpretata come flessibilità. Per noi la flessibilità è un'altra cosa. Peraltro, il taglio degli assegni, nella maggioranza dei casi, sarebbe sicuramente troppo pesante.
  Un conto è un provvedimento, come quello proposto nel disegno di legge di stabilità, magari da aggiustare, che riguarda un momento specifico e rimane nell'ambito di una sperimentazione; un altro conto è un'estensione per così tanti anni, che ci lascia piuttosto perplessi.

  DOMENICO PROIETTI, Segretario confederale della UIL. La UIL è convinta che reintrodurre la flessibilità nel modo in cui abbiamo indicato sia la forma migliore per affrontare una serie di questioni che abbiamo davanti, tra cui anche quella dell'età pensionabile delle donne.
  È evidente che far passare l’«Opzione donna» come elemento di flessibilità è un gioco ormai scoperto, che credo nessuno avrà più il coraggio di portare avanti. Allo stesso modo, non si potrà dire che l’«Opzione donna» drena risorse che potrebbero essere destinate al finanziamento di una vera flessibilità. Abbiamo cercato di dimostrare che non è vero.
  Sono molto d'accordo con quanto sostenuto sulla necessità di rivedere l'idea della aspettativa di vita nel nostro Paese, che è strettamente legata alla tipologia di lavoro. Esistono ormai studi molto approfonditi sotto questo punto di vista, che affermano esattamente questo.
  Noi dobbiamo mettere insieme tutti questi elementi. Il modo migliore di metterli insieme è avere un approccio pragmatico e flessibile. Questo è il concetto che ci deve servire e deve soprattutto servire al Governo e al legislatore, per mettere mano in maniera efficace alle tematiche che abbiamo anche oggi affrontato.

  NAZZARENO GIUSEPPE MOLLICONE, Dirigente confederale della UGL. Aggiungo una replica molto breve. Ovviamente sono d'accordo con quanto ha affermato l'onorevole Di Salvo e con il fatto che non si è uguali. Il cosiddetto «cassetto previdenziale» non è alimentato da persone che svolgono lo stesso lavoro, che hanno lo stesso tipo di salute, lo stesso di tipo di famiglia eccetera. Ci sono delle diversità.
  Richiamando quanto sosteneva il collega Proietti, la flessibilità non dovrebbe essere economica (si paga per poter andare in pensione prima, come succede), ma dovrebbe essere legata, innanzitutto, al fatto di essere donna, madre o nonna e magari di accudire una persona handicappata e, in secondo luogo, al lavoro che si svolge.Pag. 16
  Io ho citato l'esempio della guida dell'autobus, che può essere calzante. Noi vediamo tutti i giorni donne che guidano gli autobus. Non credo che una donna che guida un autobus sia uguale a un uomo che guida un autobus.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio.
  Concludo riprendendo quanto appena affermato dal dirigente della UGL, che ha detto, giustamente, che «flessibilità» è un termine addirittura abusato negli ultimi sei-dodici mesi. La proposta di legge sulla flessibilità, secondo me, non riguarda tutte le categorie di lavoratori, nel senso che non possiamo far rientrare tutto nella flessibilità, come fosse la panacea di ogni male.
  Mi spiego: se noi facessimo rientrare la proroga al 2018 dell’«Opzione donna» nella flessibilità, è del tutto evidente che le donne dovrebbero aspettare quantomeno 62 anni, anziché andare in pensione con il sistema contributivo puro a 57 o a 58 anni. Di fatto, dovrebbero attendere quattro, cinque o sei anni in più per andare in pensione.
  Quando si afferma che la flessibilità non è un problema economico, io sono perfettamente d'accordo, ma ricordo che, così facendo, sottintendiamo l'abrogazione della «manovra Fornero». Se noi non flessibilizziamo economicamente quel tipo di passaggio, tanto vale dire che vogliamo abrogare la «manovra Fornero», cosa su cui io personalmente, in questo caso non da presidente ma da commissario, sarei d'accordo.
  Probabilmente non è stato possibile farlo, anche a causa di alcuni problemi che sono emersi qui in Commissione. Vi ricordo che nell'incontro con i tecnici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'economia e delle finanze – che definirei drammatico – del 7 agosto di quest'anno l’«Opzione donna» era stata scartata, al pari di altri provvedimenti, e soltanto attraverso un lavoro politico maggioranza, in primis, e opposizione poi sono riuscite a ottenere qualcosa.
  Tuttavia, ripeto che non dobbiamo confondere e non confonderemo la flessibilità con i singoli strumenti riconducibili alla flessibilità. Parlo di «Quota 41», di lavoratori «precoci» e di «quindicenni» e posso parlare addirittura di «esodati», visto che, probabilmente, con la manovra finanziaria attualmente all'esame del Parlamento, non riusciremo a salvaguardare tutti gli «esodati».
  Sicuramente questo è un aspetto molto interessante. Abbiamo divagato, giustamente, anche su alcuni temi che non erano propri dell'argomento specifico, ma questo è assolutamente positivo, perché è stato una sorta di brainstorming, che va fatto, secondo me, ogni volta che ci troviamo in Commissione.
  I documenti sono stati consegnati. Noi li leggeremo e li metteremo a disposizione anche degli altri componenti della Commissione che oggi non sono qui.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 15.10, è ripresa alle 15.15.

Audizione di rappresentanti di Federcolf, Obiettivo Famiglia – Federcasalinghe.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione di rappresentanti di Federcolf e Obiettivo Famiglia – Federcasalinghe.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro partecipazione, segnalo che sono presenti, per Federcolf, Emma Di Nicola, Silvia Ferretti e Antonia Paoluzzi e, per Obiettivo Famiglia, Federica Rossi Gasparrini, Bonaventurina Fringuelli, Giovanna Mercadante, Martina Reali e Giulia Cesaroni.
  Segnalo che la Commissione ha a disposizione per l'audizione circa 45 minuti di tempo. Lascerei quindi spazio alle relazioni di ciascuno dei nostri auditi per Pag. 17circa 15 minuti, per poi lasciare tempo per brevi quesiti dei componenti della Commissione.
  Do la parola a Silvia Ferretti, rappresentante di Federcolf, per lo svolgimento della sua relazione.

  SILVIA FERRETTI, Rappresentante di Federcolf. Grazie per l'invito. Noi, avendo letto il programma dell'indagine, abbiamo pensato di rivolgere l'attenzione a pochi punti, che riteniamo molto importanti.
  Noi siamo il sindacato dei collaboratori familiari, firmatario del contratto nazionale. Il lavoro domestico, nell'ambito dei lavori subordinati, è un lavoro che ha alcune peculiarità negative. Nello specifico, ne abbiamo individuate quattro.
  Ai lavoratori domestici non viene riconosciuta la malattia. Capite bene quanto questo possa essere un fattore discriminante. I lavoratori domestici non hanno il diritto al congedo parentale. Le donne hanno semplicemente diritto ai cinque mesi di astensione obbligatoria per maternità e a nulla di più, con tutto quello che ne consegue.
  Per quanto concerne i contributi – entro nel merito dell'argomento all'ordine del giorno – un grave problema è che i contributi previdenziali sono calcolati non sulla retribuzione reale, ma su una retribuzione convenzionale, che, ovviamente, è molto al di sotto di quella reale. L'entrata a regime della pensione contributiva ha comportato che le pensioni dei lavoratori domestici siano di gran lunga inferiori a quelle degli altri lavoratori, che magari hanno la stessa retribuzione.
  Il punto più importante su cui richiamare l'attenzione è che, nella stragrande maggioranza dei casi, per il lavoro domestico vengono versati contributi corrispondenti a 25 ore di lavoro, quando, invece, per un lavoratore fisso dovrebbero corrispondere a 54 ore. Ciò avviene perché, fino a pochi anni fa, ai fini pensionistici non cambiava nulla, mentre per il datore di lavoro era un grande vantaggio, anche perché si aggirava il problema delle 24 ore, dal momento che, dalla venticinquesima ora di lavoro in poi, il datore di lavoro avrebbe pagato la metà dei contributi.
  Fino a pochi anni fa, per il lavoratore non cambiava nulla, o quasi nulla. Oggi, col sistema contributivo, ovviamente questo è diventato un problema grosso. Unito al problema della retribuzione convenzionale, che ricordavo precedentemente, questo porta ad avere, dopo una vita di lavoro, anche laddove si raggiungano gli anni di contribuzione e l'età minima pensionabile, pensioni di non più di 500 euro, a prescindere da quanto si è guadagnato in tutta la carriera lavorativa. È un paradosso per chi ha lavorato tutta la vita, con un lavoro fisso, a 54 ore settimanali. Aggiungo che quello dei collaboratori familiari è un lavoro particolarmente difficile.
  Noi, nella memoria che abbiamo consegnato, abbiamo definito tutto questo una discriminazione indiretta attuata in applicazione della legge italiana. Infatti, gli ultimi dati INPS riferiti al 2014 dicono che l'87 per cento dei collaboratori familiari sono donne. Questo ovviamente comporta uno svantaggio per un lavoro che è prettamente femminile, aumentando la disuguaglianza tra lavoratori uomini e donne.

  PRESIDENTE. Do la parola a Federica Rossi Gasparrini, presidente di Obiettivo Famiglia – Federcasalinghe.

  FEDERICA ROSSI GASPARRINI, Presidente di Obiettivo Famiglia – Federcasalinghe. Sul tema generale dell’«Opzione donna» ci troviamo d'accordo. Pensiamo sia giusto che le donne abbiano la libertà di scegliere eventualmente un'uscita anticipata, anche se questa può comportare una piccola – noi diciamo che deve essere molto piccola – riduzione dell'assegno mensile.
  Oggi io vorrei parlare di una discriminazione pesantissima e indecente che le donne casalinghe (otto milioni in Italia) subiscono, purtroppo anche per colpa del Parlamento.
  Il Parlamento ha trasformato in norma di legge un regio decreto. Qualche settimana prima, una sentenza della Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale Pag. 18la forma pensionistica precedente, perché non era previsto un adeguamento economico al costo della vita e una rivalutazione dei trattamenti.
  Purtroppo, la nuova norma, recata dal decreto legislativo n. 565 del 1996, non di secoli fa, ma del 1996 (certamente qualche anno è passato), non prevede neppure oggi l'adeguamento al costo della vita.
  Io non vorrei raccontare ai parlamentari quanto è grave questa situazione. Quanto potrete leggere nella memoria che abbiamo consegnato è tratto dalla relazione INPS di qualche settimana fa. Una casalinga iscritta che ha pagato – il fondo è volontario, ma è pienamente contributivo – senza apporto di denaro pubblico, prende 20 euro al mese a titolo di assegno sociale sostitutivo dell'invalidità civile. Di pensione prende 70 euro al mese. Sono soldi che non vengono da altre fonti se non dalle tasche della signora, che, ingannandosi e affidandosi a un ente pubblico come l'INPS, si è iscritta al fondo casalinghe.
  Certamente, la situazione è modificabile. Peraltro, noi speravamo che nel disegno di legge di stabilità sarebbero stati previste alcune piccole modifiche che sono state studiate dall'INPS e deliberate più volte dal comitato amministratore del fondo casalinghe, ma che, purtroppo, non sono arrivate sul vostro tavolo e neppure su quello del Governo.
  Le donne dicono che si rivolgeranno di nuovo alla Corte costituzionale contro il Parlamento. Mi piacerebbe che, invece, il Parlamento entrasse nel merito.
  Devo dire che noi abbiamo tentato più volte di intervenire su questa situazione. Da parlamentari – vedo colleghi che lo erano anche in passato – avevamo tentato anni fa, però la situazione è statica: su queste donne c’è il silenzio.
  Aggiungo una cosa piccola: il fondo pensione qualche anno fa aveva 1 miliardo di euro di dotazione, perché, non liquidando ancora le pensioni, l'attivo è andato aumentando; anche se ogni anno l'INPS utilizza, sulla base del sistema a ripartizione, da 30 a 40 milioni di euro per pagare le altre pensioni, il fondo attualmente ha un attivo di 328 milioni. Con un attivo di 328 milioni, si pagano indennità di 20 euro al mese, voi permettete che si paghino 20 euro al mese, perché la legge è sbagliata e va adeguata alle norme attuali.
  Ci vuole poco, non ci vogliono soldi, si può fare adesso nel corso dell'esame della legge di stabilità, è tutto pronto, INPS ha studiato anche il progetto normativo e quindi si potrebbe modificare la disciplina di questo fondo che, purtroppo, non è armonizzato.

  BONAVENTURINA FRINGUELLI, rappresentante di Obiettivo famiglia – Federcasalinghe. Se posso, volevo dire che la categoria, qualche anno fa, vista la difficoltà di procedere con l'INPS, ha avviato un proprio fondo complementare, il Fondo famiglia, realizzato con molte difficoltà, perché la categoria indubbiamente è debole e sappiamo per esperienza che le categorie deboli sono anche le più attaccabili.
  Noi abbiamo lavorato qualche anno con persone di rilievo, che credevano in questo fondo, le donne hanno aderito, probabilmente in misura non massiccia, ma si tratta di una categoria che non ha mezzi propri, perché la casalinga deve chiedere al marito la quota per finanziare la pensione. Ma la COVIP qualche anno fa ne ha evidenziato le criticità (indubbiamente qualche problema c'era) e ha aggredito il nostro fondo che è stato chiuso in poche ore.
  Questo per dirvi che la categoria, anche quando decide di rendersi autosufficiente con i propri mezzi, incontra molte difficoltà, quindi credo che, a questo punto, il vostro aiuto sia quasi doveroso.

  GIOVANNA MERCADANTE, rappresentante di Obiettivo famiglia – Federcasalinghe. Sono qui per rappresentare le casalinghe del sud. Il problema del fondo pensione è veramente molto sentito, perché, relazionandomi con molte di loro, ho potuto constatare come la loro preoccupazione maggiore sia quella della pensione di vecchiaia, perché molte sono separate o Pag. 19divorziate e, dopo una vita dedicata alla famiglia, che è l'ossatura di tutta la nostra società, si trovano a dover affrontare il momento più critico della vita in una situazione angosciosa, chiedendosi come potranno sopravvivere, non avendo diritto alla reversibilità.
  Appare quindi necessario che il Parlamento e lo Stato affrontino il problema del fondo pensione per le casalinghe.

  PRESIDENTE. Grazie. Nell'autorizzare la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna dei documenti depositati (vedi allegato 2), lascio ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIALUISA GNECCHI. Noi vi ringraziamo per essere venute alla nostra audizione, abbiamo molto chiaro tutto quello che riguarda la contribuzione domestica e, nella nostra proposta di legge relativa alla cosiddetta «settima salvaguardia», sono comprese anche le collaboratrici domestiche, che attualmente vengono escluse perché, anche se prima hanno fatto altri lavori, sono state licenziate, messe in mobilità, e, siccome il lavoro domestico viene considerato come lavoro a tempo indeterminato, non hanno accesso alle salvaguardie.
  Purtroppo, nel disegno di legge di stabilità questa nostra proposta non è stata recepita, ovviamente ci riproveremo, abbiamo chiaro il problema, così come abbiamo chiare tutte le difficoltà rispetto agli altri benefici dei quali le collaboratrici domestiche non godono. Tengo a ricordare che è grazie a Livia Turco che è stata introdotta per tale categoria l'indennità di maternità, cioè l'integrazione tra l'indennità pagata dall'INPS e l'assegno di maternità pagato dallo Stato e dal comune, quindi conosciamo bene questa situazione. Ci dispiace che non si sia riusciti ad andare avanti ma speriamo di poterci andare.
  Devo anche dire però che è stata una «conquista» la possibilità dell'assicurazione aggiuntiva per la malattia. Non lo sa nessuno, perché continuo a dirlo ma, purtroppo, non lo sa nessuno, quindi bisogna insistere e spero che, anche grazie al fatto che abbiamo fatto l'audizione, che sarà pubblicata negli atti della Camera, e che continueremo a sottolinearlo, si riesca a diffondere la conoscenza.
  Per quanto riguarda le casalinghe e un po'meno i casalinghi (anche il Censis evidenzia meno ore, quindi diciamo sempre che, forse, se il lavoro domestico fosse stato un lavoro maschile, ci sarebbe stata una considerazione maggiore), c’è un problema enorme sia sugli infortuni domestici...

  FEDERICA ROSSI GASPARRINI, Presidente di Obiettivo Famiglia – Federcasalinghe. Abbiamo fatto un accordo con le assicurazioni private.

  MARIALUISA GNECCHI. Tutta la problematica che interessa l'INAIL e ovviamente tutto il discorso legato alla mutualità delle casalinghe, costituiscono un capitolo enorme e, faticosamente, stiamo anche cercando di individuare le contribuzioni silenti, perché siamo convinti che esse costituiscano una caratteristica tipicamente femminile, per i vari motivi già tante volte citati.
  Forse tra contribuzione silente e altre fonti si potrebbe anche sperare di trovare delle risorse per riconoscere miglioramenti. Certo bisognerebbe poter contare almeno sulla collaborazione reale dell'INPS e devo dire che anche noi, come Commissione, ci lamentiamo molto, perché ci proviamo ma non è facile.
  Crediamo che anche questa indagine conoscitiva, come emergerà dal documento finale, che rimane agli atti della Camera, sia un tentativo per conseguire miglioramenti legislativi. Ovviamente noi non siamo in grado, in questo momento, di promettere nulla, però vorremmo riuscire a migliorare la situazione e far capire che, tra queste categorie di impegni, c’è una differenza anche tra sud e nord.
  Non è facile riuscire a risolvere tutti i problemi, però tengo a dirvi che siamo partiti con questo lavoro e speriamo che si possa arrivare da qualche parte.

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  FEDERICA ROSSI GASPARRINI, Presidente di Obiettivo Famiglia/Federcasalinghe. Se posso fare una dichiarazione, devo ringraziare l'onorevole Gnecchi perché, quando le abbiamo scritto chiedendo aiuto, l'onorevole si è subito attivata, ma devo dire alla Commissione che, dopo tanti anni di sconfitte, le associazioni, pur in considerazione dell'assicurazione INAIL, hanno deliberato di non aspettare più e hanno fatto un accordo con le assicurazioni private per l'invalidità temporanea per le casalinghe. A questo siamo state ridotte come associazione.
  Per quanto riguarda la pensione dell'INPS però, chiediamo solo l'introduzione di una norma che non ha costi, non chiediamo niente e, mentre, con riferimento all'indennità liquidata dall'INAIL si poteva dire che c'era un costo perché non era previsto il versamento dei contributi, per cui abbiamo fatto da sole e non vogliamo più niente, per la pensione dell'INPS basterebbe questa piccola modifica.
  Conosco il tema della contribuzione silente, onorevole, tanto che era stato fatto un tavolo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ma, quando è venuta fuori la parola «totalizzazione», il tavolo si è chiuso per lo spavento di dovere utilizzare i contributi silenti. In questo momento non li vogliamo, il problema c’è ma sappiamo come risolverlo da sole.
  Quello che chiediamo è la dignità di dare non 20 euro al mese per l'invalidità e 70 euro di pensione, e siete voi parlamentari che tenete bloccata una norma, che era nata, purtroppo, inadeguata. I soldi ci sono, l'INPS ha scritto le norme, onorevole, però io la devo ringraziare perché sul problema dell'assicurazione INAIL avevamo trovato la sua collaborazione, grazie.

  SILVIA FERRETTI, rappresentante di Federcolf. Una piccola precisazione rispetto al discorso della Cassa colf, perché è stato toccato un argomento a noi molto caro. È vero, la Cassa colf non è conosciuta, il nostro obiettivo primario è quello di farla conoscere alla nostra utenza, ovviamente ai lavoratori, ma il problema è che il pagamento di questa quota, veramente esigua, spetta ai datori di lavoro che non sono informati.
  L'INPS si ostina infatti a non prevedere nei bollettini un piccolo riquadro F2, per cui, una volta messa in regola una persona, deve essere il datore a chiedere all'INPS di inviare i bollettini che prevedano la possibilità di pagare il contributo alla Cassa colf, ma quanti datori di lavoro possono saperlo ?
  Sarebbe importante per noi un intervento del genere da parte dell'INPS, perché quando i datori di lavoro lo vengono a sapere non risulta più un problema. Grazie.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio, abbiamo terminato gli interventi. Mi ritrovo in quanto affermato dalla collega Gnecchi, nel senso che, in questo caso, avete trovato una Commissione che ha ascoltato volentieri le vostre considerazioni. C’è un problema etico, perché 70 euro di pensione effettivamente gridano vendetta, per utilizzare un termine appropriato.
  Voi sapete che il disegno di legge di stabilità 2016, che tratta molti argomenti che rientrano nella competenza della nostra Commissione, è stato approvato dal Senato in prima lettura, ma sembra che i senatori, a causa delle tempistiche di esame piuttosto rapide, non siano riusciti a cambiarlo come volevano e dovevano, e noi abbiamo adesso la palla entro questa metà del campo.
  Non so se con la legge di stabilità si riuscirà a fare qualcosa rispetto al tema che voi ci avete sottoposto. Noi andiamo avanti con il ciclo di audizioni, prima abbiamo ascoltato i sindacati e voi siete i veri rappresentanti di questa categoria di lavoratori (casalinghe, colf), quindi non possiamo far altro che ringraziare per questa audizione, sicuramente dai risvolti più politici che tecnici (questa è una cosa che apprezzo), prendere nota, valutare i documenti che avete lasciato agli atti.
  Non possiamo in questo momento fare delle proposte o delle promesse circa interventi che potrebbero essere discussi già nel corso dell'esame del disegno di legge di Pag. 21stabilità. Giustamente si diceva che noi parlamentari abbiamo la responsabilità di questo, sulla carta noi siamo perfettamente d'accordo, perché è il Parlamento che fa le leggi in Italia, non il Governo né l'INPS, ma spesso negli ultimi tempi queste tre competenze si sono accavallate.
  La Commissione al termine dell'indagine conoscitiva approverà un documento finale, che sarà fruibile da tutti coloro che sono venuti a esporre le loro posizioni. Nel frattempo, se oltre alla documentazione che ci avete lasciato, vorrete inviarci delle proposte, sapete che questa Commissione vaglierà ogni singola parola che ci direte.
  Nel ringraziare ancora le nostre ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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