XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 24 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPATTO IN TERMINI DI GENERE DELLA NORMATIVA PREVIDENZIALE E SULLE DISPARITÀ ESISTENTI IN MATERIA DI TRATTAMENTI PENSIONISTICI TRA UOMINI E DONNE

Audizione di rappresentanti dell'INPS.
Damiano Cesare , Presidente ... 2 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 2 
Damiano Cesare , Presidente ... 5 
Crudo Antonello , Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS ... 5 
Uselli Gabriele , Direttore della Direzione centrale Posizione assicurativa dell'INPS ... 6 
Damiano Cesare , Presidente ... 7 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 7 
Incerti Antonella (PD)  ... 9 
Damiano Cesare , Presidente ... 9 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 9 
Orrù Natalia , Dirigente presso il Coordinamento generale statistico attuariale dell'INPS ... 10 
Damiano Cesare , Presidente ... 11 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 12 
Damiano Cesare , Presidente ... 12 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 12 
Crudo Antonello , Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS ... 12 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 12 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 13 14 
Damiano Cesare , Presidente ... 14 
Crudo Antonello , Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS ... 14 
Damiano Cesare , Presidente ... 14 
Crudo Antonello , Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 15 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 15 
Boeri Tito , Presidente dell'INPS ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal presidente dell'INPS ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'INPS.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione di rappresentanti dell'INPS.
  Sono presenti il professor Tito Boeri, presidente dell'INPS, il dottor Antonello Crudo, direttore della Direzione centrale pensioni, il dottor Gabriele Uselli, direttore della Direzione centrale posizione assicurativa, la dottoressa Natalia Orrù, Dirigente presso il Coordinamento generale statistico attuariale.
  Lascio quindi la parola al Presidente dell'INPS, Tito Boeri.

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Grazie, signor presidente. L'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici fra uomini e donne affronta dei quesiti fondamentali. Siamo quindi particolarmente lieti di poter contribuire a questa indagine.
  Io vi presenterò a grandi linee alcune riflessioni che è stato possibile fare sulla base della documentazione in possesso dell'INPS. Depositeremo anche delle tabelle, in quanto, dati i tempi ristretti di convocazione, non abbiamo potuto redigere un testo completo, ma, se ci fosse l'esigenza di chiarimenti ulteriori, la dottoressa Orrù potrà fornirvi ulteriori statistiche, mentre il dottor Crudo e il dottor Uselli potranno fornirvi ulteriori dettagli sui quesiti riguardanti le normative esistenti.
  Innanzitutto vorrei partire aggiornando un dato che avevamo fornito recentemente in un nostro rapporto riguardo alle sperequazioni tra uomini e donne nel sistema pensionistico. Al 31 dicembre 2014 le donne rappresentavano il 52,9 per cento dei beneficiari di prestazioni pensionistiche e tuttavia, a fronte di questo maggior peso delle donne nel sistema pensionistico, la spesa previdenziale destinata alle donne era del 44,2 per cento.
    Il fatto che il numero dei beneficiari di genere femminile sia superiore ma la spesa inferiore dimostra che la spesa media per prestazione è più alta per gli uomini che per le donne. In particolare, mediamente le pensioni degli uomini sono del 40 per cento più alte di quelle delle donne. In questo quadro c’è stata una parziale riduzione della differenza nel corso del tempo, però molto contenuta. Nel 2006 tale differenza era infatti del 44 per cento in favore degli uomini, mentre adesso è attorno al 41 per cento.
  Come si spiegano queste differenze ? Ci sono due aspetti fondamentali di cui tenere Pag. 3conto: il primo riguarda il mercato del lavoro e il livello retributivo, il secondo riguarda le regole pensionistiche.
  Utilizzando le banche dati dell'INPS per fornirvi qualche elemento in più riguardo ai divari retributivi tra uomini e donne, si è evidenziato come fondamentalmente non ci sia stata una tendenza alla loro riduzione. Se infatti guardiamo ai lavoratori dipendenti, i salari delle donne erano pari a circa il 68,5 per cento di quelli degli uomini nel 2010 e sono al 68,6 nel 2013, quindi praticamente l'andamento è rimasto piatto e i divari non sono cambiati.
  Abbiamo effettuato ulteriori elaborazioni considerando altre categorie al di fuori del lavoro dipendente stricto sensu, e in particolare abbiamo voluto approfondire il nodo del lavoro parasubordinato, che rappresenta una situazione di grande fragilità economica, per valutare se i divari fossero minori o maggiori di quelli rilevabili nel lavoro dipendente.
  La nostra analisi ci dice che i divari sono ancora più accentuati, in quanto nel settore del lavoro parasubordinato si constata un divario del 50 per cento, cioè le retribuzioni delle donne sono il 50 per cento di quelle degli uomini.
  La seconda spiegazione di questi divari nelle pensioni medie riguarda le regole pensionistiche, che nel corso degli anni potrebbero aver avvantaggiato gli uomini rispetto alle donne. La nostra analisi ci porta a concludere che una grossa componente della disparità nei trattamenti sia legata all'istituto delle pensioni di anzianità.
  Le pensioni di anzianità hanno infatti storicamente avvantaggiato gli uomini, cioè persone con carriere contributive relativamente continue e, quindi, con maggiori anzianità contributive. I requisiti contributivi stringenti previsti in passato nel nostro sistema pensionistico in termini di anni di contribuzione effettiva sono sempre andati a vantaggio degli uomini rispetto alle donne.
    Se guardiamo specificamente alle pensioni di anzianità, vediamo subito che quattro su cinque sono degli uomini, e, se poi consideriamo i loro importi, abbiamo un divario molto rilevante nei trattamenti riservati a uomini e a donne.
  Il passaggio al sistema contributivo ha parzialmente attutito questa asimmetria causata dalle regole previdenziali perché, per certi aspetti, il sistema contributivo tende a premiare maggiormente, rispetto al retributivo, carriere contributive relativamente piatte, mentre il retributivo premiava moltissimo gli ultimi anni di carriera. Il sistema contributivo premia maggiormente le donne rispetto al regime precedente, in quanto i coefficienti di trasformazione impongono una speranza di vita uguale per uomini e donne quando sappiamo invece che questa è maggiore per le donne.
  Questo aspetto della speranza di vita è un dato importante, che volevo rimarcare. Quando confrontiamo le pensioni medie degli uomini con le pensioni medie delle donne liquidate con il sistema retributivo, teniamo conto che gli uomini accedevano al pensionamento con la pensione di anzianità, mentre le donne accedevano al pensionamento principalmente con le pensioni di vecchiaia. Ma non dobbiamo sottovalutare un altro aspetto molto importante, ossia che gli uomini, andando in pensione prima, avevano un valore atteso cumulato di tutte le annualità di pensione che avrebbero percepito più alto di quanto si possa vedere solo comparando gli importi medi, in quanto, andando prima in pensione, l'avrebbero percepita più a lungo di quanto poteva avvenire alle donne. Quindi, da questo punto di vista, i divari erano ancora più accentuati.
  Adesso, invece, con il passaggio al sistema contributivo questa asimmetria tende a ridursi, perché le donne hanno speranze di vita maggiori, quindi beneficeranno dei trattamenti pensionistici più a lungo. Questo non costituisce un problema per i conti pubblici perché, tenendo conto delle pensioni ai superstiti, c’è quasi neutralità nell'applicare lo stesso coefficiente, ma costituisce un beneficio per le donne, che percepiranno la pensione, a parità di Pag. 4montante, più a lungo, e quindi avranno un valore atteso cumulato netto più alto di quello degli uomini.
  Questa è la situazione attuale e questo è il ruolo che hanno giocato i due aspetti, differenze retributive e differenze nelle regole pensionistiche, nei divari che oggi registriamo. In seguito potremo fornirvi ulteriori dettagli, in quanto esiste una documentazione statistica più ampia di quella che ho riassunto.
  Ci avete chiesto di suggerire anche rimedi a questo stato di cose. Credo che, alla luce di queste risultanze, si possa dire che molti dei rimedi sono legati al funzionamento del mercato del lavoro e, in particolare, ai divari retributivi. I rimedi che si possono proporre, infatti, sono legati principalmente alla partecipazione femminile al mercato del lavoro, che è ancora molto bassa nel nostro Paese.
  Forse l'aspetto centrale da valutare è proprio come accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro, materia che non viene trattata nella vostra indagine, ma è legata alle politiche di conciliazione di responsabilità familiari e lavoro, ai congedi parentali, e anche a politiche che vadano al di là di questo, quali, ad esempio, il rafforzamento delle infrastrutture per l'infanzia nel nostro Paese.
  Non sottovaluterei neanche la necessità di prestare una maggiore attenzione, nell'ambito della contrattazione collettiva, ai problemi di potenziale discriminazione. La contrattazione collettiva e le relazioni industriali in Italia si sono interessate poco dei problemi di discriminazione di genere e, in generale, di discriminazione all'interno del nostro Paese, mentre quella sarebbe la sede più opportuna per affrontarli. Infatti le statistiche aggregate possono tenere nascoste differenze importanti, dal momento che la considerazione dei dati medi può dare luogo a effetti di composizione rilevanti, in quanto si confrontano popolazioni dalle caratteristiche molto diverse, mentre in sede di contrattazione questi aspetti possono essere tenuti in considerazione.
    Credo però che la vostra attenzione e anche l'indagine siano maggiormente incentrate sugli aspetti previdenziali, per cui lasciatemi dire come le norme e le riforme oggi in discussione possano contribuire a ridurre parzialmente queste disparità di trattamento tra uomini e donne, a cominciare dalla questione della rigidità nell'accesso al pensionamento.
  È indubbio che le norme introdotte nel 2011 abbiano bloccato moltissime donne, allontanandone la prospettiva di accedere al pensionamento. Nel momento in cui si discute di introdurre norme che aumentino la flessibilità nel nostro sistema pensionistico, come avviene in questi giorni, per affrontare questo tema tenendo conto delle esigenze delle donne sarebbe molto importante non ripristinare i vecchi requisiti contributivi, che sono chiaramente vantaggiosi per l'uomo.
    Come dicevo prima, infatti, l'istituto delle pensioni di anzianità ha favorito gli uomini rispetto alle donne e, se si vuole introdurre maggiore flessibilità quanto all'accesso al pensionamento, al momento in cui si comincia a percepire la pensione – perché dovremmo sempre parlare della pensione come un trattamento economico che si percepisce senza necessariamente rinunciare per sempre a una vita attiva –, se dobbiamo garantire maggiore flessibilità ponendoci un problema di genere, dobbiamo definire requisiti di natura anagrafica e non contributiva.
    L'età, e non l'anzianità contributiva, deve essere quindi il fattore centrale per decidere se si possa andare in pensione prima o dopo. Finquando imporremo requisiti contributivi stringenti per l'accesso al pensionamento, questo andrà inevitabilmente a vantaggio degli uomini.
    In secondo luogo è importante affrontare il tema della ricongiunzione dei periodi contributivi, perché le donne hanno carriere lavorative spezzettate, quindi è molto più frequente nelle donne l'esigenza di ricorrere a istituti che sono penalizzanti e – senza giustificazione economica – onerosi per chi abbia carriere discontinue e frequenti passaggi a lavori diversi.Pag. 5
  Mi riferisco in particolare all'istituto delle ricongiunzioni onerose, che impone costi molto elevati a persone con problemi di liquidità, impedendo di unificare e valorizzare ai fini pensionistici carriere lavorative discontinue.
  Una riforma dell'istituto delle ricongiunzioni onerose sarebbe molto importante e mi auguro che venga operata in sede di modifica del nostro sistema previdenziale. Questa sarebbe a mio giudizio una riforma che guarda molto alle donne.
  Ci avete posto alcune domande più specifiche sulla normativa riguardante i lavori agricoli e le collaborazioni domestiche, dove c’è una maggiore presenza femminile, e anche con riguardo all'attuazione della normativa sulla riduzione delle dotazioni organiche nella pubblica amministrazione, chiedendo se abbia comportato un trattamento sfavorevole per le donne.
  Se volete, affrontiamo adesso questi aspetti più specifici dando subito la parola al dottor Crudo e al dottor Uselli, altrimenti li affronteremo sulla base delle vostre domande.

  PRESIDENTE. Avendo tempo a disposizione, do la parola al dottor Crudo.

  ANTONELLO CRUDO, Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS. Grazie, presidente. Sul tema della previdenza nel lavoro domestico e nel lavoro agricolo, soprattutto nel primo sicuramente confermo la preponderanza delle donne. Nel 2013-2014, su circa 900.000 lavoratori domestici, più di 781.000 erano infatti di sesso femminile.
  Per quanto riguarda le regole del pensionamento, oggi abbiamo normative omogenee per quanto riguarda uomini e donne. In particolare, il lavoro domestico e il lavoro agricolo si configurano come rapporti di lavoro dipendente che comportano l'iscrizione al Fondo pensione lavoratori dipendenti (ci sono anche i lavoratori agricoli autonomi, che invece sono iscritti al Fondo coltivatori diretti, che si configura come una gestione speciale).
  Il lavoro domestico è caratterizzato da una posizione contributiva determinata dalle ore di lavoro, in quanto sono necessarie almeno 24 ore settimanali per avere la copertura contributiva integrale della settimana, e la retribuzione di riferimento è comunque convenzionale.
    Questo aspetto, che è oggi ancora peculiare del lavoro domestico, può incidere fortemente sull'importo del trattamento pensionistico, in quanto la retribuzione convenzionale, che determina l'accredito contributivo settimanale nella posizione assicurativa del lavoratore domestico, può non coincidere con la retribuzione effettiva. Ciò, quindi, può comportare e aver comportato in passato delle penalizzazioni dal punto di vista pensionistico.
  Oggi, in un sistema contributivo questo problema è minore, perché ogni contributo versato comporta l'incremento dalla pensione. Non si rischia più che la base retributiva sia penalizzata qualora si eserciti il lavoro domestico nella fase finale della carriera lavorativa. È chiaro, però, che un rapporto di lavoro come quello domestico, che si basa su retribuzioni di natura convenzionale, in cui l'accredito contributivo e la determinazione della retribuzione sono calcolati su retribuzioni convenzionali, può talvolta comportare un minor riconoscimento economico sotto il profilo pensionistico. Per quanto riguarda le regole di accesso al pensionamento, essendo lavoro dipendente, esso si va a sommare all'attività già svolta che ha dato titolo ad accrediti contributivi nell'assicurazione generale obbligatoria.
  Nel lavoro agricolo dipendente, la maggior parte delle attività viene effettuata da operai a tempo determinato, che sono iscritti in appositi elenchi e lavorano per un periodo, che a volte non arriva a tutte le giornate necessarie alla copertura integrale dell'anno solare. In termini di rapporto tra uomo e donna, il cambiamento importante si è avuto ormai da un trentennio, dal 1984, per cui oggi servono 270 giornate di lavoro agricolo per completare un anno sia per gli uomini sia per le donne.
    Precedentemente si teneva conto della differenza tra uomo e donna, perché Pag. 6per gli uomini erano necessarie 104 giornate per avere l'accredito dell'intera annualità, mentre per le donne e i ragazzi erano sufficienti 70 giornate di attività lavorativa. L'articolo 7, comma 9, del decreto-legge n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 del 1983, ha allineato, a decorrere dal 1984, le giornate necessarie per un intero anno a 270 giorni per gli uomini e per le donne.
    Fino al 1997 erano considerate esclusivamente le retribuzioni convenzionali, poi dal 1998 al 2005 la legislazione ha cominciato prendere in considerazione la retribuzione effettivamente percepita ai fini della retribuzione imponibile, riconosciuta anche ai fini pensionistici. Dal 2006, sulla base del decreto-legge n. 2 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 81 del 2006, anche il mondo del lavoro agricolo si è allineato alla retribuzione realmente percepita ai fini pensionistici. Ripeto però che quanto più (almeno in passato) c’è la propensione a considerare la retribuzione pensionabile sulla base di una retribuzione di natura convenzionale, tanto più l'importo della pensione è ridotto rispetto ai casi in cui la base pensionabile è rappresentata dalla retribuzione realmente percepita.
  Per quanto concerne i lavoratori autonomi agricoli, quindi coltivatori diretti, coloni e mezzadri, il possessore del fondo è iscritto alla gestione specifica (CD-CM) e, a volte, si registra anche la partecipazione femminile, perché anche tutti i membri del nucleo familiare vengono iscritti insieme al proprietario o all'affittuario del fondo.
    Anche in questo settore, tuttora il reddito di riferimento è convenzionale, ossia con la retribuzione imponibile, e quindi, consequenzialmente, anche la retribuzione pensionabile rapportate a un valore medio annuo (che è sostanzialmente la media delle retribuzioni degli operai a tempo indeterminato in tutti i comuni d'Italia), proporzionali alle dimensioni del fondo. A seconda del reddito agrario del fondo, pertanto, si ha un certo tipo di retribuzione.
    I lavoratori autonomi agricoli hanno una loro specifica gestione previdenziale, dove la contribuzione può essere sommata a quella da lavoro dipendente o ad altre contribuzioni da lavoro autonomo e non ci sono differenze peculiari in termini di accesso al pensionamento, perché si tratta di gestioni in cui i requisiti sono ormai allineati a quelli previsti nell'ambito dell'Assicurazione generale obbligatoria.
  Le differenze tra le gestioni sono più che altro da ricondurre alle modalità di determinazione della retribuzione imponibile e della retribuzione pensionabile.
  Questi sono alcuni aspetti specifici delle due gestioni, dei lavoratori domestici e dei lavoratori agricoli, che ci erano stati richiesti. Per le altre questioni poste sui riscatti e le ricongiunzioni lascio la parola al dottor Uselli.

  GABRIELE USELLI, Direttore della Direzione centrale Posizione assicurativa dell'INPS. Per dare una rappresentazione del fenomeno dei riscatti e delle ricongiunzioni abbiamo preso a riferimento la serie storica delle domande relative al biennio 2013-2014, le abbiamo suddivise tra settore pubblico e settore privato, perché dopo l'estensione, con l'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, delle disposizioni in materia di ricongiunzione onerosa, abbiamo riscontrato una diminuzione delle domande, specialmente nel settore privato.
  Nel settore pubblico abbiamo ancora un trend di domande abbastanza elevato, perché stiamo smaltendo tutto lo stock ereditato dalla gestione pubblica dell'ex INPDAP. Le domande nel settore privato nel biennio considerato sono circa 31.000, con una sostanziale parità (13.000 donne e 17.000 uomini) e con un periodo medio di copertura che si aggira intorno a 2 anni – 2 anni e mezzo, un po’ più elevato per gli uomini.
    Appare invece sovvertito il quadro nella gestione pubblica, dove abbiamo complessivamente 68.000 domande, ma abbiamo una forte preponderanza di domande presentate dalle donne (43.800 nel biennio considerato), con una copertura Pag. 7media di circa cinque anni. Per gli uomini le domande sono 24.000 con una copertura media di poco più di sei anni.
    Le prestazioni più richieste nell'ambito del settore pubblico rimangono le ricongiunzioni ex articolo 2 della legge n. 29 del 1979, che, a parte un piccolo ritocco, non è stata modificata dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010. Quindi manteniamo un numero standard di ricongiunzioni e poi, tra le prestazioni più richieste, vi è ovviamente riscatto della laurea.
    Nel settore privato questo rapporto si inverte, perché le ricongiunzioni sono le prestazioni più richieste, ma vi è anche una notevole richiesta di costituzione di rendite vitalizie, sia nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti, sia nel settore dell'agricoltura. Ovviamente nel settore privato, vi è anche una forte richiesta di accredito figurativo relativamente a periodi di maternità al di fuori dal rapporto di lavoro.
    Riprendendo quello che diceva il presidente su eventuali interventi normativi, abbiamo avuto un ulteriore incontro con rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel mese di aprile, in cui abbiamo ripreso le fila del discorso e ci siamo indirizzati verso quello che, come l'onorevole Gnecchi sa bene, potrebbe essere un ampliamento della previsione della disciplina vigente al fine di introdurre il cumulo non soltanto per la pensione di vecchiaia, come adesso, ma anche per quella anticipata.
  A tal fine sono state fornite stime elaborate in passato, ma questo argomento ha anche altre implicazioni, per esempio il problema di estendere o meno la disciplina anche alle Casse professionali oppure di modificare la disciplina relativa alla pensione supplementare. Si tratta di problematiche che sono alla nostra attenzione e che conosciamo perfettamente, e, ovviamente, l'Istituto è sempre a disposizione nel momento in cui dovesse essere chiamato ad affrontare questi temi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente Boeri per il suo contributo e per la documentazione che ci ha consegnato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Lascio ora la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIALUISA GNECCHI. Grazie, presidente. Dico subito che utilizziamo quotidianamente l'Osservatorio dati dell'INPS. Sappiamo che è fatto bene, che tutti i filtri funzionano, e, pertanto, l'unica cosa della quale non abbiamo bisogno sono i dati delle pensioni in essere o liquidate, perché li possiamo verificare quotidianamente.
  Rispetto al tema del rapporto tra donne e uomini ci spaventa molto che anche gli ultimi dati sui primi sei mesi di liquidazione delle pensioni nel 2015 evidenzino pensioni di vecchiaia delle donne molto basse. Per questo, visto che siamo nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto di genere del sistema pensionistico, chiediamo all'INPS che faccia costantemente presente, nelle interlocuzioni con il Governo, come noi, da legislatori, facciamo costantemente, che il comma 7 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, va abrogato, perché chi ricade nel sistema contributivo, avendo iniziato a versare i contributi dopo il 1o gennaio 1996, se non ha un trattamento pensionistico pari almeno a una volta e mezzo l'assegno sociale, va in pensione a 70 anni.
    Questa è veramente una norma contro le donne, è una norma in base alla quale la stragrande maggioranza delle donne andrà in pensione a 70 anni. Anche se per me questa è sicuramente l'ultima legislatura, l'INPS durerà anche dopo questa legislatura e deve essere assolutamente ferreo su questo: quella è una norma contro le donne. La mia collega, poi, affronterà i temi del riscatto della laurea e del periodo di maternità, che costituiscono un'altra dimostrazione che le norme vigenti sono contro le donne.
    Con riferimento al tema degli esuberi e dei pensionamenti «coatti», purtroppo anche l'INPS sta mandando forzatamente in pensione donne al compimento Pag. 8dei 65 anni, purché abbiano compiuto 60 anni entro il 31 dicembre 2011 se iscritte all'Assicurazione generale obbligatoria, 61 se iscritte all'INPDAP, e 20 anni di contribuzione.
    Siccome l'articolo 30 del decreto legislativo n. 198 del 2006 prevede che le donne possano andare in pensione all'età della pensione di vecchiaia degli uomini, attualmente pari a 66 anni e 3 mesi, chiedo che l'INPS faccia delle verifiche anche per i propri esuberi, perché ho ricevuto lettere che testimoniano tali pensionamenti forzosi.
  Lo chiedo perché auspichiamo che le donne possano maturare la pensione più alta possibile, almeno nel limite delle normali regole previdenziali, perché sappiamo bene quanto diceva il Presidente Boeri: le donne, versando in generale meno contributi, aspirano molto di più degli uomini alla pensione di vecchiaia, come testimoniano i dati che ci sono stati forniti.
    Come spesso bisogna ricordare anche al Presidente Damiano, i requisiti di 62 anni di età anagrafica e di 35 anni di anzianità contributiva non sono una misura in favore delle donne, ma sono una misura per il metalmeccanico classico, per il classico lavoratore precoce maschio. Voi lo sapete bene e da voi ci aspettiamo un aiuto preciso.
    Passo adesso al tema delle ricongiunzioni onerose. Noi siamo contenti di avere nell'INPS, e nel Presidente Boeri, un alleato contro il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e vi vorrei ricordare che il 7 maggio 2014, in un incontro sul tema delle salvaguardie con i rappresentanti delle Commissioni lavoro di Camera e Senato, quindi con il Presidente Damiano e il Presidente Sacconi, quest'ultimo aveva ribadito che, se avesse saputo realmente cosa avrebbe comportato l'approvazione della legge n. 122 del 2010, non l'avrebbe proposta.
    A lui era solo stato detto che il comma 12-septies dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 serviva per impedire alle donne del pubblico impiego di trasferire gratuitamente i propri contributi all'INPS, avvalendosi pertanto della disciplina prevista dalla legge n. 322 del 1958, e di andare in pensione prima nonché per risolvere le situazioni di comodo di lavoratori iscritti al fondo telefonici e elettrici che, avendo accumulato nell'ultimo periodo di lavoro molti turni e straordinari, trasferendo gratuitamente la propria posizione all'INPS, avrebbero ottenuto un calcolo del trattamento pensionistico più vantaggioso, essendo questa l'unica situazione in cui l'Assicurazione generale obbligatoria riconosceva una pensione migliore.
  Già nel lontano 2011, il Ministro Sacconi aveva pensato di intervenire con un'interpretazione autentica. Noi siamo contenti che abbiate fatto degli ulteriori calcoli sugli effetti di un'eventuale modifica di tale norma e li abbiate consegnati al Ministero. Noi, dal canto nostro, rimetteremo all'ordine del giorno le proposte di legge sulle ricongiunzioni onerose, chiedendo dei suggerimenti al Ministero e all'INPS, perché non siamo gelosi della nostra proposta: noi vogliamo raggiungere un obiettivo di giustizia. Siamo quindi assolutamente disponibili ad accogliere ogni suggerimento, perché siamo convinti che un intervento vada fatto.
  Sul tema della pensione supplementare, un collega ha presentato un emendamento al testo unificato delle proposte C. 2512 e abbinate relativo alla cosiddetta «settima salvaguardia», attualmente all'esame della Commissione, che propone di introdurre la reciprocità della pensione supplementare. Ovviamente in quella sede l'emendamento è inammissibile, perché è estraneo alla materia delle salvaguardie, ma esso mira a stabilire che tutti i contributi versati siano valorizzati, evitando che solo chi ha una pensione liquidata dall'INPDAP e dei contributi versati all'INPS abbia diritto alla pensione supplementare, al contrario di chi ha una pensione liquidata dall'INPS e dei contributi versati all'INPDAP.
  Aspettiamo dall'INPS suggerimenti tecnici a noi legislatori (o almeno, ci piacerebbe essere tali) e al Governo, a cui piace Pag. 9molto essere anche legislatore. C’è bisogno che l'INPS giochi un ruolo importante e fondamentale.
    Abbiamo inserito nell'indagine anche il tema dei lavori agricoli perché, purtroppo, quando in una posizione assicurativa sono presenti contributi di lavoro agricolo, il rischio è che il calcolo della pensione venga modificato. Vi abbiamo infatti segnalato alcuni casi di persone che si erano fatte fare un calcolo sull'ammontare del loro futuro trattamento pensionistico e, credendo di andare in pensione con un trattamento di 1.300 euro, si sono poi trovate con 630 euro, a causa del calcolo di una parte di contribuzione agricola.
  Anche per un'altra cosa abbiamo bisogno di voi perché per alcuni siete una voce più attendibile della nostra: in questo momento siamo l'unico Paese che non ha un vero riconoscimento previdenziale della maternità e dei periodi di cura, mentre tutti gli altri Paesi europei prevedono delle misure specifiche.
  L'ordinamento italiano prevedeva cinque anni di differenza per l'accesso alla pensione di vecchiaia, per cui le donne andavano in pensione cinque anni prima, ma adesso quel bonus dei cinque anni non c’è più. La Francia prevede la rivalutazione del dieci per cento dello stipendio dal terzo figlio, la Germania prevede un periodo di maternità più lungo, con la corresponsione di 300 euro al mese per tre anni. Si tratta di una serie di misure che in Italia manca.
  Siccome adesso, grande conquista di parità, abbiamo tutti la stessa età per andare in pensione, ci piacerebbe regalare parte dei lavori di cura e dei periodi di congedo parentale ai maschi, ma siccome non accettano con entusiasmo questo regalo, dobbiamo tenerci quella parte, ma vorremmo che venisse riconosciuta realmente e che, alla fine dell'indagine conoscitiva, si arrivasse a individuare dei punti precisi di intervento: per esempio, la revisione dell'articolo 24, comma 7, del decreto-legge n. 201 del 2011, il pieno riconoscimento di lavori di cura e modifiche alla disciplina dei congedi parentali.
    L'ultima misura introdotta a favore delle famiglie con disabili è stata quella del riconoscimento di due anni di congedo retribuito per l'assistenza, che permette a un uomo o a una donna di assistere un familiare disabile per due anni beneficiando dell'indennità pagata dall'INPS. Quella è una misura ottima, però è rimasto l'unico faro e, per fortuna, non tutti abbiamo dei familiari disabili, anche se bisognerebbe addirittura raddoppiare il congedo o triplicarlo, per la fatica e l'onere che in una famiglia si crea per un figlio disabile. Vorremmo però altre misure per le famiglie «normali».

  ANTONELLA INCERTI. Ringrazio il Presidente Boeri e i suoi collaboratori per i dati che ci hanno fornito oggi, che studieremo con attenzione.
  Un problema che è stato anticipato dalla collega Gnecchi e che mi pare da risolvere subito, perché penalizza in modo particolare le donne, è il divieto di cumulo del riscatto della laurea e dei periodi di maternità fuori dal rapporto di lavoro. Credo che questo penalizzi le donne in un Paese in cui le donne si laureano, a volte molto prima degli uomini. Va quindi abrogato il comma 2 dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 503 del 1992. Credo che questa sia una misura da prendere in considerazione subito.
  Vorrei inoltre richiedervi alcune informazioni, che naturalmente voi non potrete fornire già oggi, riguardo ai benefici dell'accredito contributivo previsti dal comma 40 dell'articolo 1 della legge n. 335 del 1995, in relazione ad assenze dal lavoro. Sarebbe interessante sapere quante donne utilizzino questi benefici, ossia l'assenza dal lavoro per periodi di educazione e di assistenza ai figli fino al sesto anno di età o di assistenza al genitore purché convivente.

  PRESIDENTE. Lascio ora la parola al Presidente Boeri per la replica.

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Siamo molto lieti del fatto che ci sia molta attenzione da parte di questa Commissione Pag. 10ai nostri Osservatori. Oggi abbiamo voluto aggiungere ulteriori informazioni a quelle degli Osservatori, quindi, se volete, la dottoressa Orrù potrà illustrare alcune delle tabelle che abbiamo lasciato agli atti.
  Vorremmo la stessa attenzione anche rispetto alle valutazioni che l'Istituto svolge, perché nelle ultime settimane più volte sono stati fatti commenti negativi sulle stime, ritenute eccessive o sbagliate a priori.
  Noi facciamo valutazioni su provvedimenti legislativi nel momento in cui abbiamo i testi, ovvero sulle proposte di norme, che possono esserci trasmesse da Commissioni parlamentari, da singoli parlamentari o dal Governo, e formuliamo delle ipotesi molto chiare. Si possono discutere le ipotesi, ma credo che lo scrupolo e l'attenzione con cui facciamo queste valutazioni vadano maggiormente rispettati, anche perché altrimenti non avremmo più riferimenti su cui procedere. Noi facciamo queste cose utilizzando le banche dati di cui disponiamo.
    Saremo molto lieti di mettere ulteriormente a frutto le nostre banche dati per darvi risposte, per esempio alla domanda che poneva l'onorevole Incerti sul comma 40 dell'articolo 1 della legge n. 335 del 1995, sul quale potremmo darvi degli elementi in più.
    Oggi si chiede all'INPS di avere un ruolo proattivo nei confronti delle scelte della politica, richiesta che, come sapete, io condivido. Penso che le informazioni, le banche dati e il capitale umano dell'INPS ci diano la possibilità di formulare delle proposte, quindi sono lieto di recepire questa richiesta da parte di questa Commissione.
    A questo riguardo vorrei fare due annotazioni molto velocemente. Ritengo che sia necessario affrontare il tema delle ricongiunzioni onerose nell'ambito di un disegno complessivo, perché oggi questo argomento non viene affrontato soprattutto per questioni di finanza pubblica.
    In un quadro in cui si dovesse rivedere la normativa sulle uscite flessibili, credo che anche il costo per la finanza pubblica di questa operazione sarebbe minore, in tale direzione vanno le proposte che l'Istituto ha presentato a giugno.
  Sulla questione della soglia minima dell'importo del trattamento pensionistico per accedere al pensionamento, vorrei soltanto sottolineare che c’è una razionalità nella scelta di imporre una soglia minima all'importo della pensione anticipata, non della pensione di vecchiaia. La soglia minima è una misura di tutela delle persone, perché non dimentichiamo che nella scelta dell'uscita flessibile c’è sempre una componente legata al datore di lavoro. Non è solo il lavoratore che volontariamente e unilateralmente decide di andarsene, ma possono esserci anche forti pressioni da parte del datore di lavoro.
  Spingere delle persone ad andare in pensione presto con pensioni molto basse rischia di condannarle a un futuro di assistenza costante, perché, tra l'altro, non possono neanche beneficiare degli ammortizzatori sociali e degli istituti, connessi agli ammortizzatori sociali, mirati al reimpiego. Siamo consapevoli e siamo stati i primi a denunciare che a certe età è molto difficile trovare un impiego alternativo, però non si può, a priori, condannare queste persone a vivere a lungo di pensioni molto basse.
  Imporre delle soglie minime nei livelli pensionistici fino a quando non si raggiunge l'età legale di pensionamento ha quindi una sua razionalità, proprio a tutela delle persone coinvolte. Quindi, pur capendo lo spirito di ciò che l'onorevole Gnecchi diceva, credo che bisogna porsi anche questo problema, che non è secondario. Mi sembra importante segnalarlo in vista delle scelte che dovrà fare il legislatore nei prossimi mesi sui temi dell'uscita flessibile.
  Non so se la dottoressa Orrù voglia aggiungere qualcosa sulle tabelle, soprattutto sul lavoro fatto dal Coordinamento statistico attuariale sulle retribuzioni, sulle remunerazioni e sui redditi al di fuori del lavoro dipendente, che trovo davvero molto interessante.

  NATALIA ORRÙ, Dirigente presso il Coordinamento generale statistico attuariale Pag. 11dell'INPS. A parte il fatto che le tabelle sono di immediata comprensione, gli indicatori che abbiamo evidenziato sono piuttosto chiari. Vorrei attirare la vostra attenzione su un aspetto.
    I dati sui pensionati provengono dal Casellario centrale dei pensionati e quindi riguardano tutti i pensionati italiani, non solo quelli INPS, e l'importo complessivo considerato non è la spesa contabile, ma corrisponde all'importo mensile al 31 dicembre 2014 moltiplicato per tredici mensilità. Se notate delle differenze, esse riguardano la spesa contabile dell'Istituto.
  I redditi pensionistici comprendono tutti i redditi, compresa la previdenza complementare, le rendite INAIL e qualsiasi altro reddito pensionistico di cui i pensionati beneficiano. Tra gli indicatori (il Professor Boeri ha accennato alla differenza tra uomo e donna), abbiamo rilevato anche il gap degli importi medi tra maschi e femmine, pari al 41,4 per cento nel 2014.
  Abbiamo evidenziato ulteriori indicatori utilizzando i dati Istat sulla popolazione e sugli occupati e constatando come le pensionate italiane, se rapportate alle donne occupate, siano il 90 per cento. Se quindi facciamo un'analisi di genere, le occupate hanno sulle spalle un peso notevole per finanziare le pensionate donne.
  La tabella n. 2 reca la ripartizione dei pensionati per classi di importo del reddito pensionistico, e si osserva una cosa piuttosto nota: la classe modale, cioè la frequenza maggiore, per le donne sta tra 500 e 1.000 euro, mentre per gli uomini è più alta, attorno a 1.500, e tra 1.000 e 2.000 euro si concentra il 42 per cento dei pensionati uomini.
  Il grafico a curva, che risponde all'esigenza di approfondire l'analisi per genere pubblicata da INPS e Istat, evidenzia l'andamento del differenziale degli importi medi delle pensioni tra uomini e donne, facendo il confronto tra il 2002 e il 2012, quando il differenziale è andato leggermente aumentando, mentre, aggiornando i dati, notiamo che nel 2014 il differenziale va leggermente riducendosi.
  Queste analisi statistiche sulle pensioni offrono la fotografia delle pensioni in essere, quindi incorporando tutta la storia pregressa, tutte le liquidazioni pregresse. Per questo, l'impatto della normativa e dei cambiamenti legislativi è più evidente sulle pensioni liquidate. I dati sulle pensioni vigenti risentono di tutto il pregresso, di quanto liquidato precedentemente, sulla base della normativa previgente.
  Le ultime tre tabelle riguardano le retribuzioni medie di lavoratori dipendenti privati, esclusi i pubblici, dei parasubordinati e degli autonomi, e evidenziano anche il rapporto tra la retribuzione media femminile e la retribuzione media maschile. Il Professor Boeri ha già illustrato le differenze tra i lavoratori autonomi e i lavoratori dipendenti.

  PRESIDENTE. Ringraziamo, volevo solo fare un'annotazione a proposito dei dati. Chiedo comprensione ai vertici dell'INPS perché noi siamo assediati da dati che molte volte ci sconcertano, non riuscendo più ad orientarci: tutti forniscono dati e non sappiamo quali siano i dati giusti.
  A proposito di «Opzione donna» alcuni di noi, me compreso, ritengono eccessiva l'ultima valutazione dell'INPS, quella che stima in circa 2,2 miliardi di euro il costo fino al 2023, perché noi disponevamo di una precedente tabella fornita dall'INPS nell'aprile 2014, in occasione dell'esame delle proposte di legge relative alla cosiddetta «sesta salvaguardia», in cui nella prima colonna era evidenziata la valutazione fatta dall'INPS su «Opzione donna» per gli anni dal 2014 al 2025.
  La valutazione era di 5.000 uscite nel 2014, 6.000 nel 2015, 6.000 nel 2016, 5.000 nel 2017, 4.000 nel 2018, 3.000 nel 2019, 2.000 nel 2020 e 1.000 nel 2021, con una spesa fino al 2019 di 554 milioni di euro e un risparmio dal 2020 al 2025 di 353 milioni di euro, per un saldo complessivo di 201 milioni di euro. Lei capisce, presidente, che quando confrontiamo 201 milioni con 2 miliardi e 200 milioni facciamo fatica a raccapezzarci !

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  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Beh, il tempo...

  PRESIDENTE. Non crediamo che il tempo abbia così dilatato le aspettative, e le faccio presente che è vero che prima dell'entrata in vigore della «riforma Fornero» c'era calma piatta, e che poi c’è stato un eccitamento dovuto alla riforma stessa, ma qui stiamo parlando del 2014, non possiamo pensare che in un anno tutto sia talmente cambiato da moltiplicare per dieci i costi !
  Oltre ai costi ci sono anche i risparmi, perché una persona che accetta di andare in pensione con un assegno decurtato del 30 per cento, superato il periodo di anticipo, sarà un risparmio. Questo risparmio però non viene mai evidenziato.
  Le nostre perplessità non nascono da una sorta di antagonismo cieco e pregiudiziale nei confronti dei dati che ci vengono forniti, ma a volte in questi troviamo evidenti sconnessioni. Questa è una tabella ufficiale ma passare da 200 milioni a 2 miliardi e 200 milioni non è proprio un aggiustamento !

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Non dobbiamo confondere i dati cumulati con i dati di flusso annuale, ma adesso riguarderò questo documento che mi è stato consegnato e che non abbiamo presentato qui direttamente, ma credo vi sia arrivato attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze. Se è così, si trattava di valutazioni.
    Risaliremo alle ipotesi formulate allora, ma devo dire che, nel corso del tempo, abbiamo rivisto le stime dell’«Opzione donna» tenendo conto dell'esperienza e del fatto che, con gli irrigidimenti imposti dalla riforma del 2011, il ricorso all’«Opzione donna» è aumentato in modo molto significativo.
    In precedenza, infatti, data la forte penalizzazione che questa opzione comporta, ben poche donne avevano deciso di utilizzarla. Successivamente, tenendo conto della reazione delle potenziali beneficiarie al differimento dell'età per l'accesso alla pensione, abbiamo dovuto rivedere le stime, come era giusto fare, in modo coerente.
    Nel caso dell’«Opzione donna», non stiamo ipotizzando che tutte le potenziali beneficiarie fruiscano immediatamente di questa possibilità, come invece facciamo nel caso delle uscite flessibili, soprattutto per le ipotesi che contemplano delle riduzioni attuariali insufficienti a compensare il fatto di percepire la pensione più a lungo, rendendo vantaggioso andare in pensione il prima possibile.
  In questi casi, nelle nostre valutazioni consideriamo che il 100 per cento dei potenziali beneficiari acceda subito al pensionamento, perché è vantaggioso per loro scegliere questa opzione. Tra l'altro, bisognerebbe sempre parlare di equiparazioni e non di penalizzazioni, perché non stiamo penalizzando le persone che vanno in pensione prima, ma stiamo solo impedendo che abbiano delle pensioni in valore atteso più alte di chi va in pensione dopo, tenendo conto di tutto il tempo in cui le percepiranno.
    Se queste perequazioni sono tali da equiparare la situazione delle due platee, consideriamo prudenzialmente giusto anche, in questo caso, ipotizzare per tutti un'uscita immediata. Solo nelle ipotesi in cui c’è una riduzione più forte di quella che sarebbe neutra si può ipotizzare che meno del 100 per cento dei potenziali interessati vada in pensione immediatamente.
    Personalmente non ho mai presentato queste tabelle, quindi dovremo chiarire questo aspetto. Però, se le tabelle sono state fornite ad aprile 2014, sono intervenute anche delle novità rispetto alle domande che a tale data ci erano pervenute.

  ANTONELLO CRUDO, Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS. Forse stiamo parlando di due norme diverse.

  MARIALUISA GNECCHI. Con riferimento ad «Opzione donna», quello che sosteniamo sia noi che voi è la maturazione del requisito entro il 31 dicembre 2015, quindi che il periodo di riferimento Pag. 13sia il 2014 o il 2015 è indifferente, in quanto la maturazione del requisito è richiesta al 31 dicembre 2015.
  Il periodo di riferimento quindi è sempre lo stesso, il 31 dicembre 2015 è la data di maturazione del requisito, non ci interessa il numero esatto delle donne che andranno in pensione con «Opzione donna» o che pensano di utilizzare tale canale, noi ci aspettiamo anche un numero alto, perché è ovvio che nei primi anni di vigenza di «Opzione donna» non vi abbia fatto ricorso nessuno perché, piuttosto che andare in pensione a 60 anni, si cercava di resistere 3 anni, mentre adesso che il requisito minimo di età è 67 anni, come capiamo tutti, il numero di soggetti interessati è sensibilmente più alto.
  Quello che si vuole sostenere, e su cui abbiamo bisogno del vostro aiuto, è che, paradossalmente, più donne vanno in pensione con l’«Opzione donna» e più si tratta di una riforma strutturale di risparmio nel lungo periodo. Infatti, siccome noi donne abbiamo un'aspettativa di vita più alta dei maschi, bisogna supporre che, se andiamo in pensione presto, non a 57 anni, perché comunque l'aspettativa di vita la conosciamo tutti, ma, come minimo, a 58 anni e 3 mesi o 6 mesi e, se si è lavoratrice autonoma, a 59 anni e 3 mesi, il fatto di vivere in media 83 anni, con una riduzione del 10, del 20 o del 25 per cento della pensione comporta un risparmio.
  La Ragioneria generale dello Stato, rispetto ai dati forniti nella tabella trasmessa nell'aprile 2014, sostiene che l'INPS abbia sottostimato la platea delle potenziali beneficiarie, ma, paradossalmente, se la platea fosse doppia o anche tripla, non cambierebbe nulla rispetto al concetto che vogliamo sostenere, perché anzi, quante più sono le donne che vanno in pensione a 57 o 58 anni, contando l'aspettativa di vita e l'operare della finestra di accesso al pensionamento, tanto maggiore è il risparmio rispetto al periodo di percezione del trattamento pensionistico. Siamo consapevoli, comunque, che le norme di contabilità pubblica richiedono una copertura finanziaria in ciascun anno. In questa sede, ci preme sottolineare che nel calcolo degli oneri recati dal testo originario della disposizione, già a decorrere dal 2020 si stimava il prodursi di risparmi.
  Che fosse quindi una platea di 5, di 10 o di 300 persone, se dal 2020 si iniziava a risparmiare, noi pensiamo che più sono le donne che accedono al pensionamento con «Opzione donna» più si risparmia. Anche il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, dovrebbe riconoscere che questo canale di accesso al pensionamento garantisce un risparmio strutturale perché più le donne vivono e più si risparmia. In caso contrario, se il trattamento pensionistico fosse del 30 per cento in più, l'INPS spenderebbe di più.

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Bisogna scindere i due aspetti, quello normativo-propositivo da quello della valutazione. Sul piano della valutazione mi sembra che stiamo appurando che la tabella trasmessa ad aprile 2014 recava una valutazione su norme diverse da quelle su cui sono state richieste oggi le nostre valutazioni.
    In secondo luogo, spesso nelle valutazioni, se non ipotizziamo il 100 per cento di uscite immediate, la Ragioneria generale dello Stato ritiene che le uscite siano sottostimate, cosa che credo rientri nel gioco delle parti. Vi spiegavo prima perché è prudenziale in molti casi assumere che sia effettivamente il 100 per cento la platea degli aventi diritto, ma non nel caso dell’«Opzione donna», perché questa ipotesi in quel caso non l'abbiamo fatta.
  Mi fa piacere sentir dire dall'onorevole Gnecchi che bisogna guardare ai conti previdenziali nel lungo periodo, perché è una battaglia che noi facciamo da tempo e cerchiamo sempre di fornire delle stime dell'impatto delle diverse misure sul debito implicito, cioè del peso della spesa pensionistica che graverà sulle generazioni future. Tuttavia, dal momento che l'attuale normativa contabile richiede all'INPS di fare delle valutazioni dei disavanzi nell'arco di 10 anni, noi facciamo le valutazioni Pag. 14in questo modo e sono quelle che consegniamo.
  Questo per quanto riguarda il lato della valutazione, che è distinto da quello delle proposte: le valutazioni vengono fatte tenendo conto delle norme e cambiano a seconda delle norme. Per questo ci sentiamo di fare valutazioni solo quando abbiamo delle norme scritte, perché molti dettagli incidono profondamente sulle quantificazioni, e, sulla base di molte analisi, abbiamo sempre ritenuto che l'interpretazione autentica dell’«Opzione donna» fosse legata alla maturazione dei requisiti e non alla decorrenza del pensionamento, e abbiamo sempre ritenuto che vi fossero problemi legati alla disciplina delle ricongiunzioni, aspetti più di natura normativa su cui noi avanziamo proposte.
  È però molto importante tenere i due aspetti distinti: le valutazioni sono una cosa, le proposte sono un'altra, le valutazioni non dovranno mai piegarsi ai desiderata o alle proposte che vengono fatte, pena la perdita di credibilità e il non essere più utili a nessuno, compresi quelli che vogliono sostenere queste proposte.

   PRESIDENTE. Vorrei aggiungere una cosa, perché io non sono d'accordo. L'8 aprile 2014 noi abbiamo richiesto la valutazione degli effetti dell'abrogazione delle norme in materia d'accesso al pensionamento («la finestra») e in materia di adeguamento alla speranza di vita. Quello che sostenevamo allora lo sosteniamo adesso, come lo sostenete anche voi: le donne che maturano i requisiti entro il 31 dicembre di quest'anno devono essere ricomprese nella «Opzione donna» e abbiamo chiesto una valutazione dei costi.

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Sono due norme diverse.

  PRESIDENTE. No, non sono norme diverse. Abbiamo chiesto una valutazione dei costi e i costi sono questi, quindi non sono cose diverse: quello che chiedevamo un anno fa lo chiediamo adesso, quindi quella tabella è valida.
  Seconda questione: se voi fate proiezioni a dieci anni, faccio presente che, nell'arco del periodo dal 2015 al 2024, dal 2020 si producono risparmi che vanno contabilizzati. Terza osservazione di carattere prudenziale, anche se l'eccesso di prudenza porta a delle distorsioni come quelle che avete giustamente evidenziato: stanziare 6 miliardi e spenderne meno della metà è un eccesso di prudenza che vanifica le leggi e impedisce al legislatore di fare il suo lavoro.
  Vi sono poi da considerare le valutazioni: se faccio una proposta di legge sulla flessibilità pensionistica i cui effetti voi valutate in 10 miliardi di euro, tenendo conto di tutta la platea di potenziali beneficiari, la rendete insostenibile. Non si tratta di una valutazione neutra. Come lei giustamente lamenta, a volte i mass media le attribuiscono cose che lei non pensa, come la decurtazione del 30 per cento del trattamento pensionistico. Ma gli stessi media dicono che la mia proposta di legge costa 10 miliardi di euro perché l'avete detto voi, sulla base dell'intera platea di potenziali beneficiari. Si tratta di una cosa sbagliata perché è la stessa situazione relativa alle «salvaguardie», 6 miliardi stanziati e 3 miliardi spesi. Come facciamo a fare le leggi se le platee vengono falsate, con dei conti che sono potenziali ma non corrispondono alla realtà ?
  Per noi è una sofferenza continua avere a che fare con dati che non coincidono con la realtà, che obbediscono a regole statistiche e contabili, che non discuto, ma che non corrispondono alla realtà dei fatti, perché poi le platee reali sono diverse da quelle che erano state stimate.

  ANTONELLO CRUDO, Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS. La proposta dell'aprile 2014 riguardava una norma che interveniva a priori, superando l'interpretazione delle circolari numero 35 e 37 del 2012, quindi con una portata ancora più ampia di quella attualmente proposta.

  PRESIDENTE. La proposta era volta ad escludere la «finestra» e l'aspettativa di Pag. 15vita dal computo per l'individuazione della platea che entro il 31 dicembre di quest'anno avrebbe avuto diritto di accedere al pensionamento mediante il canale di «Opzione donna».

  ANTONELLO CRUDO, Direttore della Direzione centrale Pensioni dell'INPS. Però, in vigenza delle circolari n. 35 e 37 del 2012, non rientrerebbero comunque tutti coloro che maturano i requisiti nell'ultimo semestre 2015.

  PRESIDENTE. Abbiamo accertato che la platea è di massimo 8.000 potenziali beneficiari. Quindi c’è un'evidente, oggettiva differenza fra un saldo di 201 milioni della prima stima e un saldo di 2,2 miliardi della seconda stima. Ci sono 2 miliardi di euro di differenza !

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Comunque sono norme diverse.

  PRESIDENTE. No, non sono diverse: è la stessa norma, volta ad escludere la rilevanza dell'aspettativa di vita e della «finestra» per l'accesso al pensionamento !

  TITO BOERI, Presidente dell'INPS. Comunque, ripeto, nel rispetto istituzionale, penso che questa discussione sia molto utile, anche per rafforzarla ulteriormente.
  Tengo a precisare, con riferimento alla valutazione degli effetti dell'operazione «uscita flessibile» con una riduzione del 2 per cento all'anno dell'importo del trattamento pensionistico, che, essendo questa riduzione inferiore a quella che porrebbe su un piede di parità le persone che accedono prima al pensionamento rispetto alle persone che continuano a lavorare, è legittimo ipotizzare che sia scelta dal 100 per cento dei potenziali beneficiari, dal momento che rende vantaggioso accedere al pensionamento anticipatamente.
  D'altra parte, l'esperienza nel nostro Paese è che, quando sono state garantite possibilità di accesso al pensionamento a condizioni più favorevoli, quasi la totalità dei potenziali beneficiari ne ha fruito immediatamente.
  L’«Opzione donna» si basa su un principio molto diverso, però in questo caso le convenienze sono cambiate moltissimo nel momento in cui c’è stato un irrigidimento delle regole di accesso al pensionamento, mentre inizialmente erano pochissimi i soggetti che l'avevano scelta.

  PRESIDENTE. Infatti, presidente, prima della «riforma Fornero» solo alcune centinaia di donne avevano scelto di avvalersi di tale facoltà, dopo la «riforma Fornero» esse sono diventate 6.000.
    Ma anche moltiplicando per 20, presidente, arriviamo a un saldo di 200 milioni, mentre la vostra nuova quantificazione è di 2 miliardi e 200 milioni, il che significa che c’è qualcosa che non funziona ! Per carità, poteva essere sbagliata la prima stima, può essere sbagliata quella attuale, ma si tratta della stessa norma, la valutazione sulla stessa norma.
    Ringrazio ancora i nostri ospiti per il loro contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.

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