XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Mercoledì 16 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MISURE PER FRONTEGGIARE L'EMERGENZA OCCUPAZIONALE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Seguito e approvazione dell'esame del documento conclusivo.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Airaudo Giorgio (SEL)  ... 3 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 4 
Baruffi Davide (PD)  ... 4 
Damiano Cesare , Presidente ... 6 

ALLEGATO: Documento conclusivo approvato dalla Commissione ... 7

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 15.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Seguito e approvazione dell'esame del documento conclusivo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, l'esame del documento conclusivo.
  Ricordo che nella precedente seduta la Presidenza ha presentato, a conclusione delle audizioni contemplate nel programma dell'indagine conoscitiva, una proposta di documento conclusivo che è stata rimessa alle valutazioni dei componenti della Commissione.
  Faccio presente che, nel frattempo, su tale proposta di documento conclusivo sono pervenute alla Presidenza limitate richieste di modifica ed integrazione riferite sostanzialmente al solo paragrafo 2, ossia alla parte dedicata alla ricostruzione sommaria dei principali elementi emersi nel corso delle audizioni.
  Essendo tali richieste state prontamente recepite dalla Presidenza, avverto di avere predisposto di conseguenza una nuova versione della proposta di documento conclusivo (vedi allegato), che sarà posta in votazione con l'auspicio che possa registrarsi un'ampia convergenza dei gruppi, a conclusione di un percorso istruttorio molto serio e approfondito seguito dalla Commissione.
  Oggi, quindi, dopo la consegna della documentazione, che è avvenuta per tempo, dopo i vari passaggi, dopo il recepimento di molti dei suggerimenti pervenuti dai gruppi, dovremmo arrivare alla conclusione.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per dichiarazione di voto.

  GIORGIO AIRAUDO. Signor presidente, intendo motivare il nostro voto di astensione sulla proposta di documento conclusivo dicendo tuttavia che abbiamo apprezzato che siano stati recepiti, in coerenza con la proposta di documento conclusivo stessa, alcuni nostri suggerimenti e nostre indicazioni.
  Nel riconoscere che la parte preponderante della proposta di documento conclusivo, descrittiva del lungo lavoro di indagine che abbiamo realizzato, corrisponde esattamente a ciò che in questa Commissione abbiamo ascoltato, vi è una ragione che ci porta ad astenerci. Crediamo che, nella parte propositiva, servirebbe di più dal punto di vista delle indicazioni di dove si possono trovare le coperture, i mezzi; servirebbe di più per dire, come abbiamo provato a fare anche noi e non solo noi nei vari incontri, che la disoccupazione giovanile è un aspetto qualitativo, seppur particolarmente rilevante, di un tema ormai più generale. Il nostro timore che in qualche modo si parli dei Pag. 4giovani per non parlare di tutti gli altri disoccupati è molto forte.
  Dal punto di vista delle proposte, considerate anche le scelte che il Governo sta facendo, avremmo voluto di più. Tuttavia, decidiamo di astenerci perché riconosciamo che nel lavoro di questa Commissione e nella stesura del documento c’è un tentativo comune, che va anche oltre l'attività e la posizione di ogni singolo gruppo sui temi del lavoro e della crisi, di tenere aperta, con un lavoro comune, un'iniziativa parlamentare che incalzi il Governo. Tale tentativo ad oggi non sta producendo i risultati che molti di noi apprezzerebbero, ma è comunque necessario.
  Questa è la ragione della nostra astensione.

  WALTER RIZZETTO. Signor presidente, noi abbiamo studiato in maniera abbastanza approfondita soprattutto la parte finale di questo documento, essendo la prima parte riassuntiva delle audizioni che abbiamo tenuto, che effettivamente sono state piuttosto formanti, almeno per quanto ci riguarda. Come ricordo sempre, noi siamo alla prima esperienza rispetto a questo tipo di attività.
  Per quanto riguarda le conclusioni e le proposte, ho notato anche io che, a una parte piuttosto riassuntiva (perlomeno le prime due o tre pagine), ne segue una che contiene proposte che ci sembrano interessanti. Tutti sapete che, ad esempio, ci siamo espressi favorevolmente rispetto alla misura della Youth Guarantee, ai bonus, alle sottolineature eseguite rispetto ai centri per l'impiego e ai tirocini formativi.
  Non ci piacciono, nello specifico, alcune parti, soprattutto quando si tratta in maniera un po’ troppo morbida il decreto-legge n. 76 del 2013 (decreto Giovannini). Per quanto ci riguarda, anche svolgendo il nostro compito di oppositori, il decreto Giovannini è stata una vera occasione persa, tant’è vero che, a due mesi e mezzo, tre mesi dal momento in cui il decreto stesso è stato licenziato, la disoccupazione giovanile è addirittura aumentata, toccando quota 40,1 per cento, quota record in Italia.
  Per queste ragioni preannuncio un voto negativo del nostro gruppo.

  DAVIDE BARUFFI. Intervengo per esprimere apprezzamento sul documento e sul percorso che è stato svolto. Credo che la sintesi e il modo fattivo in cui le proposte sono state riprodotte non solo siano fedeli a quanto abbiamo raccolto, ma anche alla volontà di provare a dare una piegatura operativa a questo lavoro positivo della Commissione.
  Provo a sottolineare alcuni aspetti. La prima questione attiene alla complessità del quadro. Abbiamo svolto questa indagine per provare a identificare i colli di bottiglia che frenano la domanda di lavoro. È emerso, da tutte le sollecitazioni che abbiamo raccolto, come buona parte del problema sia al di fuori della disponibilità delle cosiddette «politiche attive» del lavoro in senso stretto.
  Ci sono problemi di sistema, in questo Paese, che non possono essere trascurati nella misura in cui si discute di come si fa a creare lavoro: dalla liquidità alla necessità di rimettere in campo una politica industriale, di rimuovere elementi di deficit e di gap strutturale e infrastrutturale di cui il Paese soffre. Tra questi certamente vi è il dato della formazione, la formazione di tutta la popolazione. Non avevamo forse bisogno dell'ultima indagine svolta a livello comunitario, sotto l'egida dell'OCSE, per verificare come il problema investa tutta la società italiana e, dopo anni in cui ci siamo riempiti la bocca di parole come «eccellenze», «talenti», «meriti» eccetera, ci siamo resi conto come sia la società nel suo insieme a soffrire di un livello di formazione bassa che rende i cittadini italiani più difficilmente occupabili di quelli degli altri Paesi dell'OCSE.
  Credo che questa sia una delle questioni su cui ogni intervento che noi andremo a calibrare e proporre dovrà tenere un elemento di attenzione. Ci sono anche criticità condivise che sono emerse attraverso gli incontri svolti da questa Commissione. Ovviamente vi sono soluzioni diverse, perché gli auditi sono portatori di Pag. 5interessi oltre che di visioni diverse, ed è normale che sia così. Comunque sia, i nodi ci sono.
  Mi pare che l'agenda sia composta coerentemente rispetto alle criticità. Richiamo il tema del costo del lavoro, quindi la necessità di intervenire su di esso, sia in via strutturale (è materia di oggi la questione del cuneo fiscale) sia attraverso la questione più controversa degli incentivi.
  Credo che in questo senso una sollecitazione positiva – non per dare un colpo al cerchio e uno alla botte – possa essere in ogni caso raccolta. Anche in questo caso c’è bisogno di un po’ di stabilità. Anche quando si mettono in campo incentivi, comunque la si pensi, il primo elemento da garantire è che ci sia una leggibilità da parte del mercato e la possibilità di cogliere le opportunità che vengono offerte.
  La seconda questione attiene agli strumenti e agli istituti. Ne abbiamo passato in rassegna tanti e mi pare che su due o tre si siano concentrate le attenzioni dei più: tra questi, senz'altro i servizi per l'impiego. Abbiamo un'opportunità che ci è offerta anche dal quadro comunitario e da una quantità di risorse non straordinaria, ma comunque cospicua, che per la prima volta mettiamo in gioco su questo fronte.
  Le sollecitazioni sono state tante. Si tratta ancora più di evocazioni che di soluzioni puntuali, anche per la complessità del problema. Credo che su questo occorrerà lavorare molto, ma questo è senz'altro uno dei primi fronti su cui decidere di mettere le mani. Ho visto che nel documento si riporta anche come, a fronte di un quadro abbastanza desolante del panorama italiano, vi sarebbero delle eccellenze, certo in termini relativi. Ma – lasciatelo dire a chi viene da Modena, dall'Emilia-Romagna – sono eccellenze in un quadro negativo. Si fa bella figura in un quadro dove tutti fanno brutta figura. Lo dico perché non ci siano letture consolatorie o non si pensi che laddove le esperienze funzionano un po’ meglio abbiamo trovato la soluzione per il resto del Paese. Non è così, e credo che, tra le tante, la prima questione sia questa. Si tratta di un problema nazionale, che va aggredito in dimensione nazionale. Non esistono soluzioni provinciali, soluzioni campanilistiche.
  Non diversamente sul fronte dell'apprendistato, laddove credo che la più parte degli interventi dei nostri auditi si sia concentrata più evocando soluzioni che proponendo soluzioni concrete o proposte. Chi ha redatto il documento ha fatto forse più di quanto non abbiamo ascoltato, provando a filtrare e a calibrare con intelligenza quelle che potrebbero essere alcune linee di azione importanti. Ad esempio, l'apprendistato può funzionare se lo carichiamo un po’ più di formazione e scuola e un po’ meno del profilo di forma contrattuale povera. Su questo sono molto d'accordo.
  Finisco evidenziando una questione di carattere sistemico, che vale per l'apprendistato, per i centri per l'impiego cui facevo prima riferimento. Noi abbiamo anche un grande problema istituzionale, di cui abbiamo discusso l'altro giorno nell'audizione con il Ministro Quagliariello. Questo problema torna sistematicamente: l'Italia non ha composto, nella sua ridefinizione di forma di Stato, una serie di nodi che sono venuti al pettine nella crisi.
  Su molti di questi strumenti mi pare che abbiamo registrato una lamentela più o meno diffusa, per la quale esiste una farraginosità del sistema normativo oltre che gestionale, quindi anche una confusione che si è generata a livello territoriale. Credo che noi dobbiamo ricomporre un quadro, con la collaborazione delle regioni, e provando a ridefinire i livelli di competenze e di prerogative per incidere su questi strumenti.
  L'ultima sollecitazione riguarda il tema del mercato del lavoro e delle norme che lo presidiano. La questione si presta molto anche ad approcci ideologici, a conflittualità. Mi pare che il documento raccolga le due questioni di fondo. In questi anni si è discusso molto, forse troppo, su questo fronte. Il primo bisogno del Paese è un po’ di stabilità, anche da questo punto di vista. Non possiamo ogni legislatura rinviare la necessità di una riforma di sistema.Pag. 6
  La legge n. 92 del 2012 ha dei limiti, che si correggono probabilmente in una logica incrementale, provando di volta in volta a semplificare e a rendere un po’ più leggibili e orientati gli strumenti verso le priorità che il Paese si dà.
  Non credo che questo sia il tempo nel quale proviamo a rimettere mano a una riforma organica di questa natura. Mi pare che da più parti questa sollecitazione sia venuta.
  Il documento raccoglie tutto questo, mi sembra in coerenza con la sintesi che possiamo fare degli incontri che abbiamo svolto e con gli orientamenti che sono stati espressi all'interno di questa Commissione. Se la Commissione avrà la capacità di assumere un documento di questa natura con una certa forza, credo che potrà svolgere quel ruolo autonomo e utile anche nei confronti del Governo chiamato a rendere un po’ più forti e incisivi gli strumenti a cui sta pensando, che io credo vadano nella direzione giusta, ma inevitabilmente misurano anche qualche limite, come stiamo vedendo in questi giorni.
  In questo senso, la Commissione lavoro e il Parlamento possono svolgere davvero un lavoro utile, nella misura in cui sapranno concentrarsi sulle priorità che sono state indicate.

  PRESIDENTE. Non essendovi altre dichiarazioni di voto, procediamo al voto sulla nuova versione della proposta di documento conclusivo.
  Anch'io penso, come sottolineavano gli interventi, che ci sia stato un tentativo di indirizzare un lavoro che fatica ad affermarsi nella pratica, date le difficili situazioni esistenti. Al tempo stesso, si è cercato di evidenziare alcuni punti di maggiore importanza e di maggiore spicco. Tra questi, sicuramente il tema dell'apprendistato, tra il rischio di cannibalizzazione e l'idea di caratterizzarlo sul versante della formazione, e quello della alternanza scuola-lavoro. Dall'altra parte, vi è la questione dei centri per l'impiego, che diventa rilevante se vogliamo che si incontrino domanda e offerta di lavoro.
  Pongo, dunque, in votazione la proposta di documento conclusivo.

  (È approvato).

  La Commissione ha approvato dunque il documento conclusivo.

  La seduta termina alle 15,20.

Pag. 7

ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

Pag.
1. Premessa: il programma e gli obiettivi dell'indagine  7
2. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni  8
3. Conclusioni e proposte  21

1. Premessa: il programma e gli obiettivi dell'indagine.

  La XI Commissione, nell'ambito della propria attività conoscitiva, ha ritenuto opportuno svolgere un'indagine conoscitiva sull'emergenza occupazionale, con specifico riferimento al tema della disoccupazione giovanile, al fine di approfondire, in particolare, i fattori che incidono sulla capacità del sistema di incentivare il lavoro e soprattutto l'occupazione delle giovani generazioni. La Commissione ha, infatti, deliberato il programma dell'indagine, nel giugno scorso, nella prospettiva di fornire utili elementi di valutazione in vista dell'assunzione di decisioni il più possibile condivise e supportate da dati certi, tenuto conto che il tema del lavoro è da subito rientrato tra le priorità politiche individuate dal Governo per fronteggiare la crisi in atto. Come testimoniato anche dalle dichiarazioni programmatiche pronunciate in Parlamento dal Presidente del Consiglio dei ministri all'inizio della legislatura, le politiche per sviluppare l'occupazione sono considerate un punto essenziale dell'azione dell'Esecutivo e la Commissione ha, pertanto, inteso dare subito un segnale in questa direzione, prima ancora dell'adozione, da parte del Governo, del decreto-legge n. 76 del 2013, che ha rappresentato un primo intervento sulle tematiche del lavoro e rispetto al quale, peraltro, la stessa indagine ha inteso fornire spunti di riflessione e indicazioni operative di indubbia utilità, nell'ottica di una valutazione informata e consapevole dei suoi contenuti.
  In questo contesto, la XI Commissione si è proposta di comprendere le diverse «sfaccettature» delle problematiche esistenti, concentrandosi su diversi aspetti, che vanno dalla riduzione del carico fiscale sul lavoro, alle ipotesi di interventi correttivi della legge n. 92 del 2012 (di riforma del mercato del lavoro), nelle parti in cui, alla luce dei primi mesi di esperienza applicativa, sono emersi profili di criticità e margini di miglioramento, fino all'analisi sulle politiche attive del lavoro e alle ipotesi di iniziative di riforma dei centri per l'impiego.
  L'indagine, originariamente deliberata l'11 giugno 2013, è stata successivamente prorogata fino al 30 settembre 2013, in modo da consentire la conclusione delle audizioni incluse nel programma e favorire un approfondito esame del documento conclusivo.
  Nell'ambito dell'indagine, la XI Commissione ha svolto un articolato e interessante ciclo di audizioni, che hanno avuto Pag. 8inizio, come detto in precedenza, nel giugno 2013 e si sono sviluppate lungo un arco di circa tre mesi. In particolare, sono intervenuti rappresentanti delle parti sociali, delle associazioni di categoria dei settori produttivi e professionali maggiormente coinvolti, di operatori del mercato del lavoro, delle autonomie territoriali, di istituti, centri di studio, di ricerca e di statistica, di associazioni che agiscono nel settore del mercato lavoro, di esperti del settore. Il ciclo di audizioni si è esaurito, nella seduta del 25 settembre 2013, con lo svolgimento dell'ultima audizione.
  Si ricorda, peraltro, che, all'incirca nella fase intermedia dello svolgimento di tale percorso di indagine (alla fine del mese di luglio), la Commissione ha approvato un documento interlocutorio con il quale si è inteso dare conto dei lavori svolti fino a quel momento e dei conseguenti elementi conoscitivi emersi. Per tali ragioni, si ritiene ora opportuno completare il quadro di ricognizione acquisito nel corso delle audizioni, aggiornandolo con gli ultimi dati forniti dagli auditi ed elaborando le consuete riflessioni conclusive dell'indagine, che puntano a dare un inquadramento al lavoro svolto e a riassumere le linee di tendenza rappresentate durante l'indagine.
  Nel loro complesso, d'altra parte, le audizioni hanno rappresentato un importante momento di confronto costruttivo e collaborativo con i soggetti coinvolti, che ha permesso di delineare un quadro completo delle problematiche esistenti e dei principali dati in materia, ponendo in luce anche il positivo contributo che le istituzioni rappresentative, in primo luogo il Parlamento, possono fornire.
  Per tali ragioni, il presente documento è stato elaborato in termini sintetici ed è strutturato in due parti distinte: con la prima, vengono illustrati i principali elementi di valutazione e di conoscenza forniti nel corso delle audizioni; con la seconda, invece, si punta a evidenziare talune proposte conclusive, come desumibili dai contributi ricevuti dai soggetti intervenuti nell'indagine, anche in vista della possibile adozione di specifiche iniziative in materia.

2. I principali elementi emersi nel corso delle audizioni.

  Il presente paragrafo intende realizzare una sintesi dei numerosi contributi forniti alla Commissione sul tema oggetto dell'indagine, fermo restando che – per quanto concerne l'enorme mole di dati ed elementi conoscitivi emersi nei circa tre mesi di suo svolgimento – non può che farsi rinvio ai resoconti stenografici delle audizioni svolte e alla documentazione depositata dai soggetti intervenuti.
  Lungi dal voler rappresentare l'integrale ricostruzione delle posizioni dei soggetti auditi, dunque, questa sezione contiene la sintesi dei principali elementi emersi che, peraltro, sono esposti – per ragioni di natura sistematica – nell'ordine cronologico di svolgimento delle rispettive audizioni, anche in modo da rispecchiare il contesto di riferimento nelle diverse fasi in cui le audizioni stesse hanno avuto luogo.
  Sotto questo profilo, si ricorda che le prime audizioni effettuate hanno visto la partecipazione dell'ISFOL e di Italia Lavoro.
  I rappresentanti dell'ISFOL hanno evidenziato come la riduzione del cuneo fiscale sia in grado di migliorare la competitività complessiva del sistema economico: per un verso, infatti, essa genererebbe un aumento della propensione al consumo dei lavoratori a più basso reddito e, per altro verso, produrrebbe generali effetti positivi per la crescita dell'occupazione. È stato altresì sottolineato come sia opportuno accompagnare l'attivazione di politiche per l'occupazione con politiche industriali e di sviluppo, evitando interventi che si limitino alla mera regolazione dei contratti di lavoro.
  Passando ad esaminare la diffusione dei contratti atipici, è stata evidenziata una caduta sensibile dell'utilizzo del lavoro intermittente e del lavoro mediante Pag. 9collaborazione, che, ad avviso dell'Istituto, testimonia come la legge n. 92 del 2012 abbia introdotto dei meccanismi di «pulizia del mercato del lavoro», riportando l'utilizzo di queste forme flessibili ad un livello fisiologico. Di converso, è stato sottolineato un incremento del ricorso del contratto a tempo determinato, imputabile anche all'introduzione dell'elemento di acausalità nel primo contratto tra un datore di lavoro e un lavoratore con durata massima di dodici mesi.
  È stato, quindi, fatto notare come la legge n. 92 del 2012 non abbia portato, in virtù di una maggiore flessibilità in uscita, ad una maggiore disponibilità dei datori di lavoro in termini di assunzioni a tempo indeterminato: si è registrata, piuttosto, la propensione al ricorso verso forme contrattuali meno impegnative rispetto a quella del contratto a tempo indeterminato.
  È stato evidenziato come l'apprendistato sia ancora lontano dal rappresentare il principale contratto di inserimento al lavoro dei giovani, rimanendo un istituto che porta i giovani verso il lavoro, ma in una quota limitata. Si è rilevata, dunque, la mancanza di un sistema formativo duale, in cui si abbia la possibilità di scegliere due percorsi formativi di pari dignità: studio, da un lato; alternanza scuola e lavoro, dall'altro. Sottolineata in ogni caso la difficoltà ad importare un modello come quello tedesco in Italia, si è ritenuto tuttavia possibile addivenire ad un sistema misto, che preveda, ad esempio, un raccordo maggiore con le imprese nell'ultimo anno di studio attraverso la valorizzazione dell'apprendistato.
  Segnalata l'importanza dell'orientamento, che in Italia appare troppo fragile, dal momento che migliaia di giovani scelgono corsi di laurea senza sbocchi lavorativi, è stata infine evidenziata la necessità di una riforma del sistema di servizi per l'impiego, che preveda anche la valorizzazione delle strutture accreditate.
  I rappresentanti di Italia Lavoro evidenziano, a fronte di una crisi occupazionale che assume caratteristiche critiche nel Mezzogiorno e tra i giovani, l'esigenza di intraprendere politiche attive razionali, ovvero segmentate per fasce di età e di territorio (i giovani tra i venti e i ventinove anni e il Sud d'Italia richiedono, infatti, un'attenzione specifica). Occorre, a loro avviso, semplificare le catene di comando, rendendo meno farraginosi e più chiari i rapporti tra Stato, regioni e province, elaborando politiche di fine tuning, che prevedano incentivi o investimenti molto più selezionati.
  Rilevato che il centro per l'impiego non appare funzionale all'occupazione e all'incrocio tra domanda e offerta, ma solo all'erogazione di determinate prestazioni assistenziali, si ritiene necessaria una sua rivisitazione che si fondi sulla partnership pubblico-privato e sulla collaborazione tra più soggetti, oltre che sull'interoperabilità tra le diverse strutture.
  Si ritiene inoltre necessario recuperare la tradizione delle scuole professionali e degli istituti tecnici – che è stata persa, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno – valorizzando il turismo, l'agricoltura, alcune filiere caratteristiche del made in Italy, del sistema produttivo o dei servizi, anche attraverso un rilancio dello strumento dell'apprendistato soprattutto nel Sud.
  Sulla base di fonti Eurostat, in ordine alla spesa per le politiche del lavoro dal 2005 al 2010, è stato evidenziato come dei circa 30,6 miliardi di euro stanziati per interventi di politica del lavoro ai servizi per il lavoro vanno meno di cinquecento milioni di euro, una percentuale pari all'1,5 per cento.
  Nell'ambito di audizioni di esperti della materia, il professor Tito Boeri ha parlato di 7 milioni di persone che oggi in Italia sono in condizioni di disagio occupazionale (se si considerano 3 milioni di disoccupati, altri 3 milioni di lavoratori scoraggiati, nonché coloro che lavorano part time).
  Egli ritiene che la legge n. 92 del 2012, più che incidere sulla flessibilità in uscita, abbia prodotto effetti negativi sulle assunzioni, aggravando la crisi occupazionale, senza indirizzare i lavoratori verso un percorso di stabilità. Pag. 10
  Si è poi evidenziato come gli interventi di incentivo temporanei e non strutturali tendano a tradursi in meri sprechi di denaro, non incidendo realmente sui comportamenti delle aziende.
  Richiamata l'esigenza di evitare di alimentare un conflitto generazionale tra anziani e giovani, è stata sottolineata l'utilità di creare un meccanismo di ingresso alternativo al lavoro basato su un sistema progressivo di tutele, destinato ad incrementare i livelli di tutela in relazione agli anni di lavoro e suscettibile di porre fine alla dicotomia tra lavoratori garantiti e precari.
  Quanto al sistema previdenziale, il professor Boeri ha sottolineato le criticità della recente riforma Fornero, segnalando l'esigenza di introdurre una gradualità nell'uscita dal lavoro, sfruttando anche le possibilità di anticipazione delle previdenza integrativa per far fronte al problema degli esodati. Egli ritiene opportuno concentrare tutte le risorse oggi disponibili nella riduzione della pressione fiscale sul lavoro, soprattutto a favore dei redditi più bassi, introducendo un incentivo condizionato all'impiego e un minimo salariale.
  Il professor Ugo Trivellato ritiene rischioso puntare tutto sulla riduzione del costo del lavoro, in quanto ciò vorrebbe dire puntare a una concorrenza verso il basso (anche in termini di competizione sul mercato internazionale), mentre evidenzia l'importanza di elaborare politiche differenziate per aree e per popolazioni, in una logica propriamente sperimentale, che non diano benefici automatici a pioggia. In tale ottica, giudica opportuno impostare attività di monitoraggio e valutazione in un'ottica prospettica, analizzando gli effetti delle politiche attraverso criteri controfattuali, ovvero rilevando la differenza fra quello che è accaduto a seguito della politica e quello che sarebbe accaduto se la politica non fosse stata elaborata.
  La sua impressione è che ci siano un eccesso di fiducia nella norma e una scarsa attenzione alla realizzazione della politica e ai correttivi che questa richiederebbe. Occorre, a suo avviso, attrezzarsi per disegnare, monitorare e valutare politiche pubbliche, segnatamente politiche del lavoro, in modo da selezionare quelle efficaci per incrementare l'occupazione.
  Il dottor Paolo Sestito ha evidenziato, anzitutto, un forte aumento della disoccupazione, giunta nel 2012-2013 al 23,3 per cento nella classe d'età 20-29 anni. Egli ritiene necessario migliorare la situazione complessiva del mercato del lavoro e dell'economia, agendo sulle condizioni di crescita dell'economia.
  Dopo aver rilevato che lo strumento degli sgravi non necessariamente condiziona l'orientamento ad assumere, a fronte di un mercato del lavoro in cui si rileva sempre un flusso di assunzioni, ha evidenziato l'esigenza di rivalutare il sistema dei servizi per l'impiego (garantendo maggiore omogeneità d'intervento sull'intero territorio nazionale), sottolineando come non tutte le azioni da porre in essere debbano necessariamente far capo all'operatore pubblico.
  Richiamate alcune stime recenti formulate dall'Ente Veneto Lavoro, con riferimento a uno sgravio definito dalla legge n. 214 del dicembre 2011, che stima come l'incentivo in questione sia stato o sia efficace nel garantire un aumento anche molto consistente del flusso di assunzioni della specie contrattuale incentivata, il dottor Sestito ha rilevato come questo aumento, anche consistente, del flusso di assunzioni in realtà significhi che in circa due terzi dei casi l'intervento è venuto a premiare eventi che si sarebbero comunque realizzati, indipendentemente dall'incentivo stesso. Ha fatto presente, dunque, che questo viene tecnicamente definito «effetto peso morto» ed è ovviamente una situazione endemica da tenere in conto nel momento in cui si discute di incentivi.
  Ha quindi rilevato che la piena attuazione del sistema universalistico di tutele a fronte della perdita dell'impiego può rafforzare la condizione giovanile nel mercato del lavoro, parimenti al contrasto degli abusi spesso celati nella congerie di rapporti lavorativi a termine. Ha altresì fatto notare come la legge n. 92 del 2012 abbia contribuito alla riduzione di talune Pag. 11fattispecie contrattuali flessibili, fatta eccezione per il contratto a tempo determinato (in relazione ai primi rapporti).
  Quanto all'apprendistato, egli ha sottolineato come gli interventi normativi nazionali non abbiano risolto i problemi istituzionali connessi alla componente formativa del contratto, la cui regolamentazione in ultima istanza è demandata alle regioni, rischiando di frapporre ostacoli burocratici alla propensione delle imprese a farvi ricorso.
  Il professor Alberto Martini ritiene che il Governo abbia un'occasione storica, viste le pochissime risorse, per provare a mettere in moto meccanismi di allocazione mediante sorteggio, che ritiene producano risultati molto più leggibili e credibili di qualsiasi alchimia econometrica o di qualsiasi graduatoria. Egli ritiene opportuno monitorare l'efficacia degli incentivi per il lavoro, per evitare che siano solo una forma di interventi per generare consenso. Ritiene che il problema comune a tutti gli incentivi è la difficoltà di distinguere tra coloro che avrebbero intrapreso comunque l'azione incentivata e coloro che sono effettivamente spronati dall'incentivo a svolgere quell'azione.
  Il dottor Roberto Cicciomessere ritiene che esista un problema di bassa occupazione delle fasce giovanili e di alto tasso di inattività, soprattutto nel Sud. Egli ravvisa inoltre l'esigenza di collegare l'apprendistato ad un percorso di formazione effettiva, rendendo efficienti i servizi per l'impiego, atteso che, allo stato, solo l'1,6 per cento degli occupati ha trovato lavoro attraverso un centro pubblico per l'impiego.
  Tra le proposte per adeguare il sistema dei servizi per l'impiego, egli suggerisce una maggiore cooperazione tra pubblico e privato, prevedendo un aumento del personale che consenta, ad esempio, l'avvio di specifici servizi di consulenza per l'avvio di start up. Egli propone altresì la costituzione di un'Agenzia federale per il lavoro, che garantisca su tutto il territorio più alti livelli degli standard di qualità dei servizi, nonché l'affidamento in outsourcing ad agenzie private d'intermediazione del lavoro, di ricerca e di selezione del personale, attraverso l'istituto dell'accreditamento, con schemi di remunerazione del servizio che tengano conto sia della quota di disoccupati che vengono poi effettivamente occupati sia del loro livello di occupabilità.
  I rappresentanti dell'ISTAT hanno anzitutto rilevato il calo di occupazione, in particolare della componente giovanile, che ha visto un crollo di 727 mila unità, con sette punti percentuali di calo del tasso di occupazione giovanile fino a 29 anni, che è arrivato al 32,5 per cento, accompagnato da un aumento della disoccupazione e dell'inattività (6 milioni di persone che premono nei confronti del nostro mercato del lavoro e che vorrebbero lavorare).
  Si è tuttavia evidenziato come cominci ad emergere anche un problema di disoccupazione cosiddetta «adulta», atteso che i giovani, intesi come individui sino ai 29 anni di età, non sono la maggioranza del complesso dei disoccupati attuali (fino a 29 anni, infatti, è disoccupato il 38 per cento; oltre i 39 anni, il 35 per cento; il resto dei disoccupati si trova fra i 30 e i 39 anni).
  È stata altresì sottolineata la crisi dei centri per l'impiego – tra quelli che hanno trovato lavoro nell'ultimo anno solo l'1,4 per cento dei giovani si era rivolto al centro per l'impiego – a fronte della prevalenza dei canali informali (il 77 per cento dei disoccupati lo cerca tramite reti di amici, di parenti e di conoscenti).
  Si è poi sottolineato come il contratto a tempo determinato, in gran parte di breve durata, sia utilizzato come forma di entrata nel mondo del lavoro, diffusa soprattutto tra i giovani – in particolare nel Sud del Paese – seppure emerga una componente adulta assunta a tempo determinato (del 39,5 per cento fra 35 e 54 anni).
  Si è quindi evidenziata la combinazione tra i tempi determinati e il part time, in particolare il part time involontario, facendosi notare come i tempi determinati in Italia siano stati 2.375.000 nel 2012, il 13,8 per cento dei dipendenti, più o meno Pag. 12come nella media europea: essi hanno una durata breve (il 50 per cento è al di sotto dei dodici mesi) e sono diffusi tra i giovani, ma esiste anche una componente adulta (si registra un 10 per cento oltre i 54 anni). È stata quindi segnalata una crescita del part time, non inteso, tuttavia, come strumento di conciliazione dei tempi di vita (spesso non è voluto dalle persone che lo praticano).
  Essi hanno poi identificato un collettivo, quello dei lavoratori considerati «indipendenti», che tuttavia non hanno propri dipendenti con mono-committenza, che risulta pari a 797.000 unità, al cui interno il 35 per cento ha, tuttavia, vincoli stretti anche di orario, di luogo di lavoro, di organizzazione del lavoro nei confronti del proprio committente. Questo è stato giudicato un elemento interessante, perché il segmento evidenziato è quello che più si avvicina non tanto a caratteristiche di lavoro indipendente, quanto a caratteristiche di lavoro dipendente mascherato.
  È stato poi fatto notare, sulla base dell'applicazione di simulazioni statistiche, come ridurre il carico fiscale e contributivo delle imprese di un punto percentuale di PIL, circa due punti di aliquota contributiva sui datori di lavoro, generi occupazione aggiuntiva, rispetto a uno scenario in cui questo non avviene, di 200 mila unità, mentre, attraverso una simulazione della riduzione del carico contributivo sul fronte delle famiglie, si avrebbe un effetto a regime in termini di occupazione aggiuntiva di 30 mila unità, a fronte di un aumento dei consumi.
  È stata quindi evidenziata l'esigenza di promuovere incentivi strutturali e non solo temporanei, al fine di spingere le imprese a compiere scelte definitive in termini di assunzioni.
  Dopo aver rilevato che la laurea ha svolto un ruolo di protezione per i giovani, è stato evidenziato che i tassi di occupazione sono calati di molto per la componente giovanile, mentre per la componente sopra i 54 anni in realtà sono aumentati, sottolineando come l'innalzamento dell'età pensionabile abbia inciso sull'occupazione.
  Quanto ai centri per l'impiego, si è fatto presente che vi è un'incidenza dell'utilizzo dei centri per l'impiego più alta del passato, che tuttavia non produce risultati efficaci.
  I rappresentanti dell'associazione San Precario ritengono che tutte le politiche sul lavoro attivate in Italia negli ultimi anni, a partire dalla riforma Biagi fino alla riforma Fornero, abbiano agito esclusivamente sul lato dell'offerta, determinando una progressiva precarizzazione dei rapporti del lavoro in base al principio secondo il quale l'aumento della flessibilità in entrata e in uscita dei lavoratori avrebbe comportato un aumento dell'occupazione.
  Sottolineato, al contrario, che, a loro avviso, non vi è alcun nesso causale tra l'aumento della flessibilità e l'aumento dell'occupazione, essi registrano un evidente peggioramento delle condizioni materiali dei lavoratori, con una costante riduzione del loro potere di acquisto e con un palese abbassamento delle tutele. In tale ottica, è stato evidenziato che la riforma Fornero non è riuscita nel suo intento originario di favorire l'instaurazione di rapporti di lavoro stabile e il contrasto all'utilizzo abusivo delle forme contrattuali atipiche.
  Si è sottolineata l'esigenza di una riforma strutturale, che colleghi le politiche attive del lavoro alle politiche sociali, affinché, agendo sul lato della domanda (attraverso incrementi salariali, nonché mediante il recupero della contrattazione collettiva e di categoria, che introduca forme di salario minimo), si incrementino anche le aspettative di ripresa della produzione delle imprese.
  Si è quindi sottolineata l'esigenza di sancire in maniera definitiva la differenza tra assistenza e previdenza, affinché tutte le forme di sostegno al reddito diretto e indiretto siano a carico della fiscalità generale e non a carico della previdenza e della contribuzione sociale.
  I rappresentanti del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che registrano il 40 per cento di disoccupati nella fascia di età che va dai 15 ai 24 anni, ritengono si Pag. 13debba ragionare sul necessario coordinamento tra il mondo dell'istruzione, fase in cui si acquisiscono le competenze, e il mondo del lavoro.
  Rilevata una difficoltà nel far incrociare la domanda e l'offerta di lavoro, a causa un problema nel definire le funzioni oggi disponibili, è stato evidenziato come sia complicato oggi coprire ruoli che richiedono professionalità tecniche. Rilevato come cresca il numero di persone laureate senza un impiego (il tasso di disoccupazione è pari al 20-22 per cento), ritengono, pertanto, che una vera riforma del lavoro debba essere anticipata da una strutturale riforma del sistema universitario, rispondente alle reali esigenze di un mercato globalizzato.
  Essi evidenziano che, a fronte di quasi 3 milioni di inattivi nel 2012, vi sono ancora tipologie di lavoratori richiesti dal mercato, per i quali, tuttavia, non si riesce a soddisfare la richiesta (i cosiddetti lavori dimenticati). Si ritiene, inoltre, opportuno prevedere un monitoraggio in una fase precedente all'emanazione di una norma, al fine di ragionare su quella che potrebbe essere la ricaduta dei fenomeni.
  Sottolineato come la legge Fornero abbia reso maggiormente difficile l'utilizzo di tutte quelle forme di lavoro flessibile che erano state introdotte con la legge Biagi, i consulenti del lavoro hanno segnalato che in materia di apprendistato – contratto reso più oneroso a causa dell'aumento della contribuzione a favore dell'Aspi – appare necessario superare la frammentarietà del quadro normativo determinato dalla una forma di legislazione regionale confusa e segmentata (in parte, si ritiene che il decreto-legge n. 76 abbia provato a semplificare il quadro rinviando alle linee guida della Conferenza Stato regioni).
  Essi hanno evidenziato, inoltre, come la legge Fornero abbia bloccato gli sgravi concessi alle imprese che assumevano lavoratori iscritti alle liste di mobilità, nonché aumentato l'aliquota prevista per la gestione separata INPS, incrementando i costi contributivi per i contratti a tempo determinato (l'1,4 per cento per il finanziamento dell'Aspi). Si è fatto notare, inoltre, che tale legge ha previsto una serie di agevolazioni in favore dell'occupazione femminile che, tuttavia, sono rimaste prive di misure attuative.
  Preso atto che talune misure recate dal decreto-legge n. 76 del 2013 vanno certamente nella direzione di un tentativo di ripristinare situazioni di maggior inclusione lavorativa, si è rilevato, tuttavia, che le risorse a disposizione sono davvero esigue. Inoltre, si è rilevato che, se da un lato si liberalizza sul contratto a termine, nello stesso tempo si inseriscono degli ulteriori vincoli, limitando la causalità all'interno delle percentuali previste dai contratti collettivi o prevedendo limiti in materia di contratto a intermittenza.
  Infine, per quanto riguarda gli incentivi, è stato sottolineato come taluni incentivi previsti sotto forma di credito contributivo dal decreto legge n. 76 del 2013 coprano la stessa fascia d'età dell'apprendistato (dai 18 ai 29 anni), con il rischio di determinare contraddizioni e sovrapposizioni. Sarebbe auspicabile, a loro avviso, applicare tali agevolazioni alla fascia di età che va dai 29 ai 40 anni.
  I rappresentanti di Confprofessioni ritengono preferibile dare certezza alla qualificazione dei rapporti di lavoro, come la certificazione dei contratti di lavoro, piuttosto che prevedere interventi basati su meccanismi volti a ricondurre il lavoro ad un unico tipo legale. Pur giudicando opportuno intervenire in maniera immediata su alcune disposizioni contenute nella legge Fornero, al fine di semplificare le procedure relative alla flessibilità in entrata, essi ritengono necessario preparare interventi strutturali, al fine di favorire la ripresa dell'economia.
  Per il settore degli studi professionali, la riforma del mercato del lavoro costituita dalla legge 92 del 2012 non ha alcun equilibrio, in quanto prevede soltanto una maggiore rigidità nell'utilizzo di lavori flessibili e un aggravio dei relativi costi, non solo sul piano normativo, ma anche su quello strettamente economico.
  Nel salutare con favore talune norme contenute nel decreto-legge n. 76 del 2013, come la riduzione degli intervalli dello Pag. 14stop and go nei contratti a tempo determinato, è stata evidenziata l'esigenza di un innalzamento del limite massimo per i rapporti a tempo determinato in somministrazione a 48 mesi – oltre il quale, l'eventuale prosecuzione del rapporto di lavoro potrebbe considerarsi a tempo indeterminato – nonché una estensione della possibilità di stipulare il primo contratto di lavoro a termine senza causale.
  Nel prendere atto con favore dell'intervento operato dal decreto-legge n. 76 del 2013 sulla formazione trasversale di competenza regionale, è stata quindi avvertita la necessità di favorire una semplificazione degli obblighi formativi in materia di apprendistato, dando preferenza ad un tipo di formazione sul luogo di lavoro.
  È stata altresì giudicata utile una reintroduzione, seppure con adeguamenti della disciplina originaria, del lavoro a chiamata con la possibilità che sia utilizzabile in tutti i settori produttivi, esclusivamente per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, senza limiti di età.
  Espressa perplessità sulle norme della legge Fornero in tema di lavoro autonomo e collaborazioni, in particolare con riferimento ai meccanismi presuntivi, Confprofessioni si è fatta poi promotrice di un sistema di incontro tra domanda e offerta di lavoro, che ruota intorno alla valorizzazione del ruolo delle parte sociali e della bilateralità, alternativo, o comunque complementare, ai centri per l'impiego.
  Sottolineata l'esigenza di valorizzare il praticantato, è stato fatto notare che gli incentivi alle assunzioni o alla stabilizzazione sono importanti, ma senza interventi a regime è difficile che si possa dare una svolta reale alla situazione del Paese. A tale riguardo, si ritiene inutile prevedere altre forme di agevolazione se prima non si dà applicazione a quelle già in vigore, tra le quali vengono citati gli sgravi derivanti dall'assunzione di lavoratori iscritti alla piccola mobilità, licenziati per giustificato motivo oggettivo da aziende con meno di 15 dipendenti, nonché quelli per la stabilizzazione di giovani e donne.
  Si ritiene che l'obiettivo primario debba essere il rilancio della produttività, da conseguire mediante lo sgravio della parte del salario legata a incrementi di produttività ed efficienza, con un'attenzione particolare alle voci premiali della retribuzione, nonché attraverso un sostegno all'imprenditoria giovanile e allo start up di nuove imprese.
  I rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative italiane fanno presente che tutte le cooperative italiane nel quinquennio della crisi 2008-2012 hanno incrementato l'occupazione dell'8 per cento, utilizzando solo la gestione dei lavoratori dipendenti dell'INPS. È stata quindi ravvisata l'esigenza di ridurre il cuneo fiscale e contributivo, segnalando la sofferenza delle imprese per l'IRAP, che è giudicata ancora molto alta, ed evocando la necessità di agire anche sul credito di imposta. Essi giudicano necessario rendere strutturale la decontribuzione e la detassazione del salario di produttività, riattivando meccanismi di incentivazione e credito d'imposta per l'occupazione nel Mezzogiorno.
  Riguardo alla recente riforma del mercato del lavoro, è stata espressa preoccupazione per l'addizionale dell'1,4 per cento dell'Aspi sui rapporti a tempo determinato, mentre, sull'apprendistato, si è rilevata la necessità di superare il disaccordo tra regione e regione, che impedisce alle imprese di avere certezza del diritto. Sono state quindi espresse valutazioni positive sulle misure recate dal decreto-legge n. 76 del 2013 in materia di contratto a tempo determinato, apprendistato, assunzione di soggetti beneficiari dell'Aspi, tirocinio. Espresso, quindi, un orientamento favorevole ad eventuali ipotesi di staffetta generazionale, si è, da ultimo, richiamata l'esigenza di rivedere la normativa sul lavoro in cooperativa.
  Nel corso di audizioni di altri esperi del settore, il professor Michele Raitano ha evidenziato un quadro di mobilità e fluidità del mercato del lavoro, con frequenti cadute dal contratto a tempo indeterminato, sottolineando la penalizzazione subita Pag. 15dai lavoratori sia in termini salariali sia sul versante delle aliquote contributive e degli ammortizzatori sociali.
  Esiste, a suo avviso, una forte fragilità del mercato del lavoro, soprattutto in danno dei giovani (in specie dei laureati, che risultano penalizzati soprattutto all'entrata nel mondo del lavoro, sebbene si registrino poi migliori dinamiche occupazionali e professionali successive), che si trovano all'interno di un sistema previdenziale equo esclusivamente in termini attuariali, come il sistema contributivo. Egli ritiene opportuno creare incentivi che si muovano non solo sul lato del costo, ma anche su quello della produttività.
  Il professor Michele Tiraboschi ha evidenziato che vi sono Paesi (come la Germania) che, pur avendo una certa rigidità in uscita dal lavoro, vantano un mercato del lavoro efficiente: oltre a una buona scuola, essi godono di un buon sistema educativo, di un buon sistema di transizione scuola-lavoro, di un sistema cooperativo di relazioni industriali, di un quadro normativo chiaro, semplice e semplificato.
  Egli ritiene, pertanto, che si debba agire su più pilastri: sistema di istruzione, con specifico riferimento al profilo dell'integrazione e della transizione della scuola al lavoro; qualità del sistema di relazioni industriali.
  Esaminando nel merito il decreto-legge n. 76 del 2013, egli evidenzia che da un lato esso reintroduce un pò più di flessibilità sul versante dei contratti atipici, dall'altro prevede una dotazione di incentivi economici. Ritiene, tuttavia, che tale provvedimento sia privo di una visione d'insieme, recando misure tese a promuovere l'occupazione stabile dei giovani non coordinate con gli incentivi già previsti per l'apprendistato e per i tirocini.
  È stato poi sottolineato che l'apprendistato non garantisce una effettiva formazione al lavoratore, essendo utilizzato, in realtà, come contratto temporaneo e flessibile volto ad abbattere il costo del lavoro.
  Ritiene si dia troppa enfasi al quadro normativo – quando sarebbe più opportuno elaborare coerenti azioni di sistema – dal momento che si tende a cambiare ogni anno le norme, generando incertezza presso gli operatori, che restano in attesa dei vari decreti attuativi e delle diverse circolari interpretative.
  I rappresentanti di ANCE hanno evidenziato lo stato di crisi del settore dell'edilizia, che fino ad oggi, a loro avviso, ha sofferto maggiormente della perdita dei posti di lavoro e della chiusura di aziende (690.000 posti di lavoro persi dall'inizio della crisi).
  Dopo aver evidenziato una flessione del 26,5 per cento di posti persi in relazione all'occupazione giovanile al di sotto dei 35 anni di età, i rappresentanti di ANCE hanno fatto riferimento agli scarsi risultati raggiunti dal contratto di apprendistato – nonostante su quest'ultimo si siano concentrati importanti elementi di decontribuzione – che ritengono sia penalizzato da una disciplina troppo complessa, suscettibile di determinare una sovrapposizione tra normativa nazionale e le tante normative locali. Ai fini occupazionali, si è giudicata necessaria una ripresa del mercato interno da favorire attraverso un forte intervento nelle opere pubbliche, oltre che una riduzione del costo del lavoro.
  Occorre, a loro avviso, semplificare la normativa sul lavoro, coinvolgendo maggiormente gli enti bilaterali nei processi di riqualificazione dei lavoratori, e avviare la realizzazione di programmi edilizi favoriti da un alleggerimento del rispetto del patto di stabilità.
  I rappresentanti delle associazioni datoriali agricole (CIA, Confagricoltura e Copagri) hanno evidenziato come nell'ultimo anno la crisi abbia colpito anche il settore dell'agricoltura, nell'ambito del quale si registra una grande percentuale di giovani impiegati con contratti flessibili.
  È stata segnalata l'esistenza di un'occupazione para-stabile, non solo occasionale o stagionale, che negli anni viene confermata, che andrebbe incentivata e non osteggiata con provvedimenti che mirano a irrigidire e a privare l'imprenditore e lo stesso lavoratore di opportunità. Al riguardo, è stato infatti sottolineato come Pag. 16negli ultimi anni la tendenza del Governo sia stata quella di favorire i contratti a tempo indeterminato, ignorando le particolari esigenza del settore agricolo, esposto ad esigenze di forte elasticità lavorativa (si è al riguardo segnalata l'esigenza di rivalutare l'importanza di voucher e lavoro accessorio).
  Si è inoltre fatto notare come il ricorso all'apprendistato sia stato molto ridotto a causa di talune limitazioni normative che delimitano troppo le agevolazioni alle imprese agricole (solo 2.485 apprendisti contro oltre il mezzo milione che c’è negli altri settori produttivi).
  I rappresentanti della CISAL evidenziano un calo dell'occupazione dell'1,9 per cento su base annua, un aumento del numero di disoccupati dell'11,8 per cento su base annua, una riduzione dell'occupazione giovanile di 4,3 punti percentuali su base annua nonché una riduzione dei contratti a tempo determinato del 9 per cento.
  È stata evidenziata l'esigenza di rilanciare il sistema del welfare attivo, attraverso la valorizzazione dei centri per l'impiego, che, integrati in un sistema capace di interagire tra le diverse parti, dovrebbero assumere un ruolo decisivo nella riqualificazione dei lavoratori. Si è fatta notare l'insufficienza delle politiche attive che spingono i giovani a trovare lavoro secondo canali informali. Più che un problema di natura lavoristica, i rappresentanti di CISAL ritengono che sussista un problema fiscale: occorre, a loro avviso, combattere l'evasione, in vista di una diminuzione della pressione fiscale sulle aziende.
  I rappresentanti della CONFSAL ritengono fondamentale ridurre l'imposizione fiscale sul lavoro e sull'impresa virtuosa, laddove abbia piani di sviluppo e tenda a sviluppare l'occupazione di qualità, mentre i rappresentanti dell'USB individuano nella permanenza al lavoro anche fino a 70 anni un evidente impedimento all'ingresso al lavoro delle nuove generazioni. Questi ultimi ritengono necessario l'avvio di un piano che preveda grandi opere che abbiano caratteristiche sociali, attraverso cui dare buona e continua occupazione a centinaia di migliaia di giovani, disoccupati, precari.
  I rappresentanti della CGIL rilevano una tendenza legislativa contraddittoria, che, da un lato, incentiva le assunzioni a tempo indeterminato, dall'altro mira ad aumentare la flessibilità. Si ritiene necessario incentivare il lavoro stabile, evitando di moltiplicare l'uso e spesso l'abuso di forme contrattuali flessibili, in relazione alle quali si ritiene risultino ancora deficitarie le coperture offerte dal sistema degli ammortizzatori sociali. I rappresentanti della CGIL giudicano importante sfruttare l'occasione offerta dal programma europeo della Garanzia Giovani al fine di rilanciare gli investimenti sulle politiche attive del lavoro e sui servizi all'impiego (attribuendo un ruolo di regia alle regioni), tenuto conto che la maggior parte dei giovani entra nel mercato del lavoro attraverso contatti personali. Occorre in tale prospettiva lavorare sul target degli interventi, tenendo in considerazione che esiste una fascia molto ampia di circa 1 milione di giovani in possesso di un titolo di studio piuttosto basso.
  I rappresentanti della CGIL evidenziano l'esigenza di rivedere la riforma previdenziale dell'ex Ministro Fornero, guardando alle figure fragili del mercato del lavoro, sottolineando, infine, la necessità di ridurre il costo del lavoro (IRPEF e IRAP), al fine di rendere strutturale l'accesso al mercato del lavoro.
  I rappresentanti della CISL giudicano opportuno agire sulla leva fiscale per ridare fiato ai consumi, agli investimenti, in vista di un sostegno al reddito delle famiglie e di una ripresa della crescita economica. Si ritiene quindi necessario un riordino complessivo del sistema fiscale, che vada direttamente a ridurre la tassazione soprattutto sui redditi da lavoro e da pensione per le famiglie e anche per le imprese, che investono in ricerca e in innovazione. Si è poi sottolineato come sulla fascia di età 18-29 anni insistano quasi tutte le normative di incentivazione e di sostegno all'occupazione – quella sui contratti a termine, l'apprendistato e il Pag. 17nuovo incentivo rivolto all'occupazione giovanile – evidenziandosi l'esigenza di sostenere anche i soggetti over 29, che rischiano di saltare completamente l'appuntamento con il lavoro. Dopo aver espresso condivisione sulle sperimentazioni di forme della cosiddetta «staffetta intergenerazionale», è stata richiamata l'esigenza di estendere le agevolazioni previste per l'apprendistato anche per le aziende più grandi. È stata quindi sottolineata l'esigenza di uno stretto collegamento tra le politiche attive e le politiche passive del lavoro tramite l'istituzione di una sorta di patto di servizio, mettendo i servizi per l'impiego in grado di concretizzare offerte di politiche attive adeguate, attraverso un'effettiva sinergia tra pubblico e privato e la previsione di premi collegati al numero dei soggetti effettivamente formati, riqualificati e collocati.
  I rappresentanti della CISL, infine, ritengono opportune normative che consentano forme di decontribuzione e di sgravi fiscali alle aziende che investano su salute e sicurezza, nonché una revisione della disciplina previdenziale che consenta una graduale, progressiva flessibilità in uscita, attraverso il meccanismo degli incentivi e dei disincentivi in relazione all'età e alla contribuzione.
  I rappresentanti della UIL hanno evidenziato la necessità del rilancio delle politiche industriali, della revisione degli assetti istituzionali e dell'efficienza della spesa pubblica, sottolineando l'esigenza di una riforma del fisco e di una sua semplificazione, diminuendo il carico fiscale sul lavoro. Sugli incentivi per l'occupazione, è stata fatta notare l'esigenza di evitare sovrapposizioni con quelle già previste per l'apprendistato, sottolineando la necessità di estenderli anche ai soggetti over 30, purché siano subordinati al mantenimento della base occupazionale. È stato altresì fatto presente che occorre contrastare la precarietà, che appare correlata alla scarsa produttività, promuovendo forme di ingresso al lavoro più stabili, atteso che nel 2012 l'80 per cento di attivazioni di rapporti di lavoro è avvenuto con tipologie di lavoro flessibile, il 2,7 per cento con contratti di apprendistato (che non decollano), più del 60 per cento con tempi determinati. I rappresentanti della UIL hanno poi giudicato importante avviare percorsi di vero tirocinio e progetti di alternanza scuola/lavoro, finanziando e rafforzando i finanziamenti agli Istituti tecnici superiori (ITS), nell'ottica di realizzare una revisione del nostro sistema di domanda e offerta di lavoro proprio sulla base del piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile, laddove la Youth guarantee parla del servizio per l'impiego come avente un ruolo centrale nella ricollocazione dei vari lavoratori. Auspicato che la staffetta generazionale non diventi una misura parentale, che faccia occupare i figli o i nipoti delle persone che sono al lavoro, si ritiene quindi necessario risolvere il gap retributivo e contributivo che subisce chi è prossimo alla pensione.
  I rappresentanti dell'UGL hanno individuato il primo elemento critico nel quadro normativo e nella governance degli interventi in materia di occupazione, sottolineando come spesso vengano adottati provvedimenti che necessitano di successivi decreti attuativi, che per una serie di ragioni sono presentati sovente in ritardo.
  Essi si sono poi soffermati sul sistema scolastico italiano che, nonostante le numerose riforme attuate, ritengono non riesca a fungere da trait d'union tra allievi e mondo del lavoro, nonché sulla sostanziale inefficienza dei servizi per l'impiego, atteso che le percentuali di persone che trovano occupazione attraverso questi due canali è stimabile intorno al 4 per cento.
  È stata quindi segnalata l'esigenza di ridurre il costo del lavoro, partendo da una vera riforma fiscale che si basi sul quoziente familiare, facendo notare che se non si fanno ripartire i consumi e non si rilancia la produzione, sarà difficile far riprendere anche l'occupazione.
  I rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome hanno evidenziato le iniziative assunte nei diversi territori regionali al fine di contenere l'aumento della disoccupazione e la perdita di posti di lavoro dei giovani, sottolineando Pag. 18anzitutto le misure assunte sul sistema degli ammortizzatori sociali, che sono stati estesi anche a favore delle tipologie contrattuali atipiche e ai settori in precedenza esclusi.
  Si è valutato di primaria importanza l'obiettivo dell'avvicinamento del sistema educativo e del sistema produttivo, da conseguire attraverso una migliore transizione scuola-lavoro. Si è infatti evidenziato che rispetto ai coetanei di altri Paesi i nostri giovani incontrano il lavoro in età troppo avanzata, con conoscenze e competenze poco spendibili anche per l'assenza di un vero contatto con il mondo del lavoro durante il percorso di studi.
  Si ritiene opportuno introdurre un efficace sistema di orientamento che riduca le situazioni di overeducation e di mismatch (da intendersi come non rispondenza della forza lavoro alle esigenze del mercato), facilitare l'alternanza scuola-lavoro, rilanciare l'istruzione tecnica e l'istruzione e formazione professionale, potenziare l'apprendistato formativo in tutte le sue forme, attivare una rete di servizi al lavoro efficace che si raccordi con le istituzioni scolastiche e formative per supportare la ricerca del lavoro, favorire l'orientamento dei giovani mediante servizi diffusi di incontri di domanda e offerta di lavoro anche nelle istituzioni scolastiche.
  I rappresentanti delle regioni ritengono importante anche prevedere agevolazioni per le imprese che trasformino il tirocinio in contratto di lavoro, valorizzando altresì lo strumento dell'apprendistato, nonché potenziare le strutture informatiche in modo da mettere in comunicazione i giovani con le imprese.
  I rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi hanno evidenziato le difficoltà che i lavoratori del settore incontrano nell'ingresso nel mondo del lavoro, anche a causa di una mancata programmazione degli accessi alle facoltà e dell'assenza di qualsiasi tipo di vincolo e predeterminazione numerica. Si è sottolineato, infatti, come gli psicologi in Italia sono quasi 90.000 (mentre in Europa, in tutti i Paesi europei, la somma degli psicologi è di 270.000), metà dei quali non lavora. Sono state infine avanzate proposte tese a favorire il lavoro degli psicologi, consentendo anche un risparmio di spesa, come la collaborazione tra medico di base e psicologo, che si ritiene possa determinare un risparmio di 75.000 euro solo per la spesa farmaceutica.
  I rappresentanti di Coldiretti, intervenuti (per ragioni di carattere logistico) al di fuori dell'audizione delle associazioni imprenditoriali agricole, hanno evidenziato come quello agricolo sia stato l'unico settore che ha mostrato indicatori interessanti sia dal punto di vista dell'incremento dell'occupazione, di tipo prevalentemente subordinata (il 95 per cento dei contratti è a tempo determinato), anche grazie all'importante contributo fornito dal lavoro occasionale e accessorio. Si è quindi fatto notare come la legge n. 92 del 2012 abbia avuto una scarsa incidenza sul mondo agricolo, atteso che tale normativa si rivolge soprattutto alle assunzioni a tempo indeterminato e sui contratti di apprendistato. Inoltre, è stato sottolineato come in agricoltura non si registrano utilizzi impropri dei contratti di collaborazione a progetto, di false partite IVA o di associazioni in partecipazione.
  Tra le proposte avanzate a favore del settore, vi è la previsione di un credito di imposta per l'incremento del numero delle giornate lavorate, lo sgravio totale della contribuzione per i nuovi assunti, anche per le attività connesse a quelle agricole, la previsione di agevolazioni per le start up e la valorizzazione dei tirocini. Si ritiene altresì importante non imbrigliare lo strumento del voucher con troppi passaggi burocratici, consentendo inoltre alle nostre imprese di beneficiare in pieno delle agevolazioni già previste dalla normativa vigente (per esempio, sull'apprendistato), con il superamento del regime de minimis. Si giudica necessaria, infine, una riduzione del costo del lavoro, soprattutto per la parte rappresentata dai contributi INAIL dovuti dal datore di lavoro agricolo per i propri dipendenti, a fronte di un'aliquota del 13,24, che appare eccessiva rispetto a quella che si registra negli altri settori. Pag. 19
  I rappresentanti di Federdistribuzione hanno evidenziato che nel loro settore il 91 per cento degli addetti ha contratti a tempo indeterminato (il 20 per cento ha un'età inferiore ai 30 anni), sottolineando tuttavia come l'indice dei neoassunti, ovvero delle persone entrate nelle aziende della filiera nell'ultimo biennio, sia sceso dal 2011 al 2012 di oltre 2 punti percentuali.
  Nel ritenere che il cuneo fiscale elevato sia la vera causa della divaricazione e dell'aumento del costo per le aziende, incidendo sul timore delle assunzioni, essi sottolineano l'esigenza di una semplificazione normativa in relazione alla ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in materia di apprendistato, tirocinio o incentivazione all'occupazione giovanile, a fronte di una plurilocalizzazione delle aziende. I rappresentanti di Federdistribuzione evidenziano, quindi, una problematica in relazione all'ordinamento regionale disomogeneo, sia in merito all'apprendistato che ai tirocini, che determina dubbi sull'applicabilità delle norme e sull'individuazione della regione incaricata di finanziare la formazione. È stata poi valutata positivamente la reintroduzione della fattispecie del contratto di inserimento, a favore di lavoratori anziani e donne in situazioni svantaggiate.
  Si è quindi espresso un orientamento favorevole a svincolare il contratto a tempo determinato dalla specificazione della causale, mantenendo il limite di durata massima di 36 mesi e definendo una percentuale di utilizzo massima di tali contratti, sollecitando una esclusione dal contributo aggiuntivo dell'1,4 per cento di alcune tipologie di rapporto (soprattutto per i cosiddetti lavori stagionali).
  È stata evidenziata la necessità di interventi sui centri per l'impiego in modo da facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, tra formazione e riqualificazione professionale e tra il mondo della scuola e quello del lavoro. Si giudica favorevolmente, inoltre, il ricorso a strumenti di ponte generazionale (part time con patto generazionale), al fine di accompagnare l'allungamento della vita lavorativa in relazione alle modifiche intervenute nel sistema pensionistico, aiutando i giovani ad entrare nel mercato del lavoro. A tale fine si ritiene si possa prevedere una contribuzione figurativa a favore del senior che non gli procuri danni nel momento in cui maturi l'età della pensione.
  I rappresentanti dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili evidenziano che la tassazione sulle imprese e sul lavoro è tra le più alte d'Europa, sottolineando come il lavoro stabile sia più costoso di quello flessibile, caratteristica contraria alle regole del mercato e, quindi, a quelle del mercato del lavoro.
  Nel giudicare opportuno diminuire il costo del lavoro stabile, evitando tuttavia di è aumentare quello del lavoro flessibile, essi evidenziano l'esigenza di estendere la durata della acausalità del primo rapporto, al fine di dare maggior respiro e maggiore sicurezza al datore di lavoro che vuole assumere regolarmente un lavoratore a tempo determinato.
  Essi hanno quindi auspicato un aumento del periodo di prova nei contratti di apprendistato (fino a 6 mesi), introducendo sgravi contributivi nei confronti dei datori di lavoro che stabilizzano l'apprendista. È stata quindi valutata favorevolmente la cosiddetta staffetta generazionale, ovvero il ricorso a contratti d'ingresso di giovani in sostituzione di un dipendente prossimo all'età pensionabile, prevedendo una retribuzione del neoassunto inferiore a quella prevista dal contratto collettivo nazionale, nonché una copertura figurativa per il soggetto vicino all'età pensionabile.
  Si è ritenuto altresì opportuno avvicinare la contribuzione INPS dei lavoratori autonomi a quella della gestione artigiani e commercianti, introducendo un sistema premiale quantomeno per i redditi medio-bassi, in relazione a volumi di fatturato. Si giudica inoltre importante intervenire sulla deducibilità del costo del lavoro (IRAP).
  I rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia hanno evidenziato che la crisi continua ad attanagliare il quadro economico italiano, con pesanti risvolti sul piano Pag. 20occupazionale, come confermato dagli ultimi dati ISTAT sull'occupazione in Italia. Pur giudicando positivi taluni interventi assunti dal Governo, come quelli a favore dell'occupazione giovanile nel Meridione, si ritiene che il lavoro non si crei per decreto, atteso che i provvedimenti in materia di occupazione devono essere necessariamente conciliati con misure che rilancino l'economia e incentivino i consumi.
  È stata quindi evidenziata la necessità, in una fase economica ancora profondamente recessiva, di interventi strutturali sul mercato del lavoro italiano, tra cui la riduzione radicale del costo del lavoro per stimolare l'occupazione e incentivare gli investimenti.
  È stato poi sottolineato che la ripresa dell'occupazione e l'incremento della produttività non possono prescindere dalla flessibilità degli orari e dalla possibilità per le imprese di ricorrere, nel rispetto delle norme di legge, a tutte le forme contrattuali; si tratta di esigenze di flessibilità particolarmente sentite dalle imprese dell'artigianato e del terziario, le quali necessitano di strumenti contrattuali che consentano di far fronte alle necessità della produzione nei momenti di picchi di attività.
  Si ritiene opportuno, in tal senso, agevolare il ricorso ai contratti a tempo determinato, al fine di sfruttare le importanti occasioni di crescita economica offerte dall'Expo 2015, eventualmente estendendo la acausalità per gli anni 2014 e 2015 e incentivando la stabilizzazione attraverso la restituzione integrale al datore di lavoro del contributo addizionale dell'ASpI, dell'1,40 per cento.
  Si è giudicato altresì importante favorire i contratti di apprendistato, semplificando la normativa, equiparando i versamenti ASpI fatti per gli apprendisti con quelli dovuti per i lavoratori ordinari e rendendo strutturale la norma di sgravio contributivo totale nelle imprese fino ai nove addetti, da estendere anche alle imprese con più di nove lavoratori dipendenti.
  Da ultimo, dopo aver evidenziato il bisogno di intervenire sui centri per l'impiego, coordinandoli tra di loro, i rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia hanno sottolineato l'esigenza di adottare misure che consentano di inserire i giovani nel lavoro e, al contempo, di conservare le competenze dei lavoratori più anziani.
  I rappresentanti di Confindustria giudicano necessario ridurre la tassazione sul lavoro e sulle imprese, favorendo gli investimenti pubblici e privati e rilanciando la domanda interna. In tal senso, si ritiene utile proseguire lungo la strada intrapresa dal Governo in materia di agevolazioni alle imprese, accompagnandole con buone politiche del lavoro e del mercato del lavoro. Valutando la competitività sui mercati esteri fondamentale, considerato l'effetto dell'export sul PIL, si giudica essenziale valorizzare la capacità delle imprese di internazionalizzarsi.
  Confindustria propone di eliminare completamente il costo del lavoro dalla base imponibile IRAP e di tagliare di 11 punti gli oneri sociali che gravano sulle imprese manifatturiere, lasciando più soldi in tasca ai lavoratori dipendenti meno retribuiti, anche attraverso il miglioramento degli assegni familiari e un aumento delle specifiche detrazioni fiscali IRPEF. Si ipotizza, inoltre, di ridurre i contributi, in parte fiscalizzandoli, così da non perdere alcun diritto previdenziale per i lavoratori, in parte armonizzando le aliquote contributive per gli ammortizzatori sociali, adeguando, inoltre, l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni all'avvenuta diminuzione dei sinistri.
  Confindustria giudica opportuno far leva sul sistema contrattuale per rafforzare la produttività e la competitività dell'impresa, migliorando le retribuzioni dei lavoratori: occorre, ad avviso dell'organizzazione, dare maggior spazio alla contrattazione di secondo livello, seppur governata dal contratto nazionale. In tale contesto, si ritiene sempre attuale l'obiettivo di una detassazione e decontribuzione delle retribuzioni legate ai risultati aziendali, per favorire gli elementi retributivi legati ad incrementi di produttività.Pag. 21
  Quanto al mercato del lavoro, Confindustria sottolinea l'esigenza di rilanciare l'apprendistato, anche attraverso l'azzeramento degli oneri contributivi, di semplificare la disciplina del contratto a tempo determinato, con l'estensione dell'ipotesi di acausalità, di introdurre una misura incentivante che preveda l'integrale restituzione del contributo aggiuntivo Aspi dell'1,4 per cento.
  Confindustria ritiene sia necessario perseguire l'efficienza, cercando al tempo stesso di temperarne gli eventuali risultati socialmente indesiderabili. In tale direzione, si ritiene necessario disporre di anche un'efficace organizzazione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, sfruttando l'occasione dello Youth guarantee per rendere più efficienti i nostri servizi per l'impiego. In questa prospettiva si ritiene necessario favorire forme di collaborazione tra pubblico e privato, ampliando la sfera di azione delle agenzie private.
  Valutate positivamente le misure del Governo sulla durata degli intervalli fra un contratto a termine e l'altro, si sono invece espresse perplessità sulle modalità di rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga – sistema di cui si auspica una complessiva rivisitazione – che, ad avviso di Confindustria, hanno penalizzato il sistema della produzione, delle politiche attive e della formazione. Confindustria ritiene che, accanto al contratto a tempo indeterminato, vadano valorizzati l'apprendistato – sul quale bisogna agire per contrastare l'incertezza normativa tra regione e regione – il contratto a termine e, eventualmente in connessione con l'evento EXPO, un nuovo «contratto di inserimento lavorativo», di natura temporanea, acausale, caratterizzato da una disciplina snella e di facile attuazione.

3. Conclusioni e proposte.

  Dalle audizioni svolte nel corso dell'indagine conoscitiva emerge, in primo luogo, che la disoccupazione in Italia presenta caratteristiche peculiari, in termini quantitativi e qualitativi. Innanzitutto, dal confronto con gli altri Paesi europei emerge che nel nostro Paese il rischio di rimanere disoccupati è molto più alto per i giovani (sino a 4 volte) rispetto alle altre classi di età. Inoltre, gli «scoraggiati» (ossia coloro che non sono classificati tra i disoccupati in quanto hanno abbandonato la ricerca attiva di un impiego) sono – caso unico in Europa – più numerosi (2,9 milioni) rispetto ai disoccupati (2,7 milioni). Nel complesso, tuttavia, si può stimare che i soggetti in situazione di disagio occupazionale (includendovi, cioè, anche i part time involontari e i lavoratori che beneficiano di uno strumento di sostegno al reddito) siano circa 7 milioni.
  L'analisi su base territoriale, pur facendo emergere, in maniera abbastanza omogenea, i medesimi problemi su tutto il territorio nazionale, mostra una differenziazione tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno.
  La crisi occupazionale si lega soprattutto a una carenza di domanda di lavoro, in calo costante dall'avvio della crisi. Sotto questo profilo, senza entrare in una analisi dettagliata delle ragioni di tale carenza di domanda, va comunque messo in evidenza che, se non si rilanciano i consumi, non si aumenta il potere di acquisto dei lavoratori e non si adottano misure anti-recessive, è impossibile che le aziende aumentino i livelli produttivi e, quindi, il quadro occupazionale: come emerge chiaramente dall'indagine, dunque, occorre proporre politiche ad hoc per creare domanda di lavoro. E tuttavia, non può essere trascurato anche il fenomeno inverso, quello della carenza di offerta di lavoro, che riguarda soprattutto taluni profili professionali (si tratta dei cosiddetti lavori dimenticati, quali infermieri, panettieri, falegnami, baristi e camerieri, tecnici informatici, operai specializzati, pari a circa 150.000 posti di lavoro disponibili e non coperti). Per far fronte ai fenomeni di skill mismatch, ossia della mancata rispondenza della forza lavoro alle professionalità richieste dal mercato, e di skill gap, fenomeno inteso come obsolescenza professionale della forza lavoro, nonché di Pag. 22overeducation (per cui molti giovani in possesso di titoli di studio qualificati sono costretti a svolgere mansioni non in linea con le competenze acquisite), occorre favorire la transizione scuola-lavoro, potenziare l'istruzione tecnica e professionale (IFTS), rimuovere le cause che portano spesso il sistema di formazione professionale a essere autoreferenziale e, soprattutto, investire sui servizi di orientamento scolastico e di placement universitario, con l'obiettivo di fornire ai giovani gli strumenti necessari per compiere in autonomia scelte (di studio, formative e lavorative) consapevoli e informate, coniugando in modo coerente talento, aspirazioni individuali e prospettive occupazionali. In quest'ottica un ruolo cruciale va riconosciuto anche ai tirocini (su cui il legislatore è ripetutamente intervenuto negli ultimi tempi), per i quali sarebbe opportuno immaginare degli incentivi specifici, che vadano a beneficiare le imprese che dimostrino maggiore propensione alla trasformazione dei tirocini in contratti di lavoro.
  L'ampia diffusione di contratti di lavoro a termine e flessibili (con un alto tasso di ricadute nella precarietà anche di lavoratori con rapporti a tempo indeterminato), conducono a carriere lavorative, soprattutto dei più giovani, caratterizzate da frammentarietà e discontinuità, mettendo a rischio l'accumulo di anzianità contributiva e, in prospettiva, l'ammontare degli assegni pensionistici.
  Il contratto di apprendistato, nonostante gli investimenti fatti negli ultimi anni, resta marginale e ancora non rappresenta lo strumento privilegiato di accesso al lavoro per i giovani. Benché dopo l'Accordo interconfederale del 18 aprile 2012 si sia assistito a una lieve ripresa, l'apprendistato resta sottoutilizzato rispetto alle sue potenzialità, legate ai benefici economici e normativi previsti dal decreto legislativo n. 167 del 2011 e dalla legge di riforma del mercato del lavoro. I dati sembrano dimostrare, inoltre, che il ricorso all'apprendistato da parte dei datori di lavoro trova in tali benefici la sua motivazione principale, mentre la vera e propria formazione in azienda, in un'ottica di investimento individuale finalizzato alla stabile assunzione, continua a rappresentare un elemento marginale (sintomatico, in tal senso, è anche l'alto tasso di ritorno al precariato tra gli apprendisti stabilizzati). A ciò si aggiunge l'instabilità normativa, cui si legano in particolare le difficoltà che derivano dalla competenza legislativa concorrente riconosciuta alle regioni e, conseguentemente, dalla coesistenza, sul territorio nazionale, di una pluralità di sistemi normativi differenziati.
  A taluni di questi aspetti problematici il legislatore ha fornito una prima risposta con il decreto-legge n. 76 del 2013, ad esempio imponendo di applicare – nel caso di realtà produttive localizzate in differenti territori regionali – la sola normativa della regione ove è ubicata la sede legale dell'impresa. Resta, tuttavia, l'incertezza sulle modalità di svolgimento della formazione professionale all'interno delle aziende, che ancora scoraggia molte aziende a ricorrere più estesamente a tale forma contrattuale.
  Le ragioni dello scarso utilizzo dell'apprendistato vanno tuttavia ricercate soprattutto nel fatto che tale forma contrattuale non si inserisce organicamente all'interno del sistema scolastico e formativo del Paese, diversamente da quanto accade nei sistemi duali (Germania e Austria), dove i due percorsi (scolastico e lavorativo) hanno pari dignità e l'apprendistato rappresenta effettivamente il canale di accesso al lavoro per la maggioranza dei giovani. Nei sistemi duali, la fascia di età degli apprendisti è molto più bassa che nel nostro Paese e le retribuzioni sono più contenute (ciò che tuttavia si concilia con il fatto che si tratta di retribuzioni percepite da studenti contemporaneamente impegnati in un percorso scolastico).
  Se la realizzazione di un sistema duale analogo a quello tedesco richiederebbe un generale ripensamento del sistema scolastico, evidentemente non realizzabile in tempi brevi, ciò nondimeno appare necessario interrogarsi sull'opportunità di introdurre nuove misure volte a garantire un più esteso accesso alla formazione aziendale, Pag. 23a valorizzare il ruolo di scuole e università per il collocamento degli apprendisti nel tessuto produttivo locale, a promuovere un più esteso ricorso a forme di alternanza scuola-lavoro. Inoltre, andrebbe valutata l'opportunità, magari in via transitoria e sperimentale, di estendere i benefici contributivi attualmente previsti anche alle aziende di maggiori dimensioni (pur nella consapevolezza delle difficoltà che ciò comporterebbe sul piano finanziario), prolungare il periodo di prova (al fine di garantire ai datori di lavoro un tempo più congruo per valutare l'opportunità di proseguire il rapporto di lavoro al termine dell'apprendistato) e modulare l'utilizzo delle risorse a favore dei datori di lavoro che scelgono di stabilizzare gli apprendisti.
  Infine, nel definire la disciplina di altre fattispecie contrattuali e incentivi all'assunzione e stabilizzazione di giovani, occorre prestare particolare attenzione per evitare sovrapposizioni e incoerenze. Infatti, è stato osservato da più parti come talune norme contenute nel decreto-legge n. 76 del 2013 rischiano di «cannibalizzare» il contratto di apprendistato, riducendone la convenienza relativa rispetto ad altre forme contrattuali oggetto di nuovi e più ampi benefici.
  In tal senso, occorre evitare una pericolosa tendenza all'eccessivo sbilanciamento del contratto di apprendistato sul lato del lavoro, che rischia inevitabilmente di penalizzare i veri e propri profili formativi, che sarebbero invece alla base di tale tipologia contrattuale. Da questo punto di vista, se da molti è emersa la convinzione che un'adeguata manutenzione normativa di questo tipo di contratto possa dare frutti importanti in termini di nuova occupazione, professionalmente più qualificata, è anche importante assicurare che l'apprendistato non si trasformi (con minori tutele e più bassi salari) in una nuova tipologia contrattuale «precarizzante», che prende il posto degli altri contratti flessibili.
  La qualità dei servizi offerti dai Centri per l'impiego è nel complesso ampiamente insoddisfacente, nonostante alcune positive eccezioni, collocate in particolari aree del Paese. I Centri per l'impiego intermediano appena l'1,6 per cento della nuova manodopera (dati Istat, 2012). Tre giovani NEET su quattro non hanno avuto contatto con i Centri per l'impiego negli ultimi sette mesi, mentre tra coloro che ad essi si sono rivolti, più della metà lo hanno fatto (nel medesimo arco temporale) con un unico contatto.
  Dai confronti internazionali sulla ripartizione della spesa per le politiche del lavoro, emerge che il livello di investimenti pubblici nei Servizi per l'inserimento nel mercato del lavoro si colloca sensibilmente al di sotto della media europea (appena un quinto). Inferiore alla media europea (sebbene in termini assai meno evidenti) risulta anche la spesa per Politiche attive, mentre la spesa per Integrazioni al reddito e, in particolare, la spesa per Pensionamenti anticipati, sopravanzano la media europea.
  Le difficoltà dei Centri per l'impiego si legano alla grave carenza di personale (appena 7.500 addetti, molti dei quali precari, a fronte dei 77.000 della Gran Bretagna e i 115.000 della Germania), a un quadro di competenze normative e amministrative disarticolato (strutturato su tre livelli – Stato, regioni e Province – e, soprattutto, segnato dalla mancanza di un soggetto a livello nazionale con funzioni di coordinamento dell'intero sistema), alla scarsa interoperabilità degli uffici, alla mancanza di un efficace raccordo con gli altri operatori pubblici (scuola, università) e privati (agenzie per il lavoro e sistema della bilateralità).
  La Youth Guarantee prevede, com’è noto, che ogni giovane di età inferiore a 25 anni riceva un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema di istruzione. A ben guardare, si tratta di livelli di prestazioni del tutto assimilabili a quelli già definiti, a livello nazionale, dal decreto legislativo n. 181 del 2000 e rimasti sostanzialmente sulla carta.
  L'attivazione delle risorse della Youth Guarantee rappresenta una grande occasione Pag. 24per mettere finalmente mano alla riforma dei Centri per l'impiego, con l'obiettivo di incrementarne i livelli di efficienza. Occorrono interventi rapidi ed efficaci, che facciano leva su meccanismi volti a premiare le strutture più efficienti, sulla base di indicatori che tengano conto non tanto dell'attività di intermediazione genericamente svolta, quanto dei risultati occupazionali effettivamente ottenuti. Tale mutamento richiede, non v’è dubbio, la disponibilità di adeguate risorse, in primo luogo umane. A tal fine appare opportuno, a fronte dei limiti derivanti del processo di contenimento dei costi del pubblico impiego, considerare in via prioritaria l'attivazione di processi di mobilità interna alla pubblica amministrazione, operando tutte le razionalizzazioni possibili al fine di convogliare risorse umane sull'emergenza occupazionale. Senza un'ampia e solida «infrastruttura» del mercato del lavoro (che faccia decisamente leva anche sulle agenzie private), del resto, la stessa attivazione della Youth Guarantee nel nostro Paese appare fortemente a rischio.
  Per quanto concerne le varie ipotesi di staffetta generazionale, pur riconoscendo l'utilità (soprattutto in alcuni settori produttivi) dell'affiancamento degli anziani per favorire l'inserimento lavorativo dei giovani e agevolare la trasmissione dei saperi, resta aperto, e di difficile soluzione, il problema di fondo della necessità di ingenti risorse pubbliche per assicurare l'appetibilità della misura (salvo che non ci si indirizzi verso discutibili declinazioni «familistiche» dell'istituto), tenendo conto della necessità di garantire la copertura (che inevitabilmente comporta un costo) della contribuzione mancante e di compensare, in qualche misura, la riduzione reddituale che deriva dalla contrazione di orario del lavoratore prossimo al pensionamento.
  Le modalità attraverso le quali è possibile intervenire per promuovere l'occupazione mediante l'utilizzo di risorse pubbliche sono state oggetto di un ampio dibattito. Taluni ritengono preferibile adottare misure generalizzate di riduzione del costo del lavoro (intervenendo, in una misura che sia comunque significativa dal punto di vista economico, sul cosiddetto cuneo fiscale) che riguardino lo stock e non solo i flussi lavorativi. Altri, al contrario, soprattutto considerando il contesto di vincoli di bilancio assai stringenti, auspicano la concentrazione delle poche risorse disponibili su platee definite, in un'ottica di politiche del lavoro segmentate. Con specifico riferimento, poi, alla disoccupazione giovanile è stato osservato, in particolare, che l'evidenza empirica consiglierebbe di estendere gli interventi ai giovani da 29 a 35 anni, trattandosi di una fascia di età per la quale non sono previsti specifici benefici (l'apprendistato è rivolto a giovani fino a 29 anni) e mediamente caratterizzata da maggiori carichi familiari.
  Per quanto concerne gli incentivi finalizzati a nuove assunzioni o alla stabilizzazione di lavoratori flessibili, è stato osservato come il legislatore sia spesso vittima di una presunzione di efficacia, che porta a ricondurre a un incentivo tutti gli effetti che si osservano successivamente alla sua introduzione. Si tratta di una prospettiva fuorviante, che induce sistematicamente a sovrastimare gli effetti degli interventi, conducendo spesso a sprechi di risorse pubbliche. Non tutto quello che si osserva a seguito di un intervento normativo (in termini di assunzioni e stabilizzazioni), infatti, è ad esso legato da un nesso di causalità. Un'ormai consolidata letteratura, fondata sull'analisi cosiddetta «controfattuale» (tesa cioè ad indagare cosa sarebbe comunque accaduto in assenza dell'intervento), mostra che gli effetti netti degli incentivi per l'occupazione sono spesso assai inferiori a quanto comunemente si ritiene. A tali conclusioni sono giunti, ad esempio, importanti studi aventi ad oggetto il credito d'imposta per le assunzioni a tempo indeterminato di cui all'articolo 7 della legge n. 388 del 2000 (cosiddetto «bonus Sud»). Un analogo intervento della regione Piemonte del 2007 (voucher di 5.000 euro per la stabilizzazione di lavoratori precari) ha mostrato scarsa efficacia (l'addizionalità è risultata pari al 10 per cento, con il risultato che Pag. 25ogni assunzione stabile aggiuntiva è costata, in realtà, 50.000 euro). Anche con riguardo all'intervento di recente disposto dall'articolo 24, comma 27, del decreto-legge n. 214 del 2011 (12.000 euro per la stabilizzazione di rapporti di lavoro flessibile), le prime analisi giungono a conclusioni analoghe, in quanto circa i due terzi delle risorse impegnate sono andate a datori di lavoro che, secondo le stime, avrebbero comunque proceduto ad assunzioni o stabilizzazioni (il costo reale per ogni nuova assunzione/stabilizzazione è stato quindi pari, in realtà, a 30.000/40.000 euro).
  In linea più generale, con riferimento al taglio del cuneo fiscale o alla concessione di incentivi per le nuove assunzioni, un elemento di riflessione che si rimette all'attenzione della Commissione, emerso soprattutto dalle audizioni degli istituti e dei centri di ricerca (in particolare, l'ISTAT), riguarda le modalità di attuazione di tali misure: molti degli interlocutori, infatti, ritengono che sia necessario bilanciarne attentamente la direzione, in modo da «massimizzare» gli effetti positivi a regime sul piano dell'occupazione aggiuntiva; in sostanza, occorre capire in che misura si debba incidere sul differenziale delle aziende, sicuramente in grado di produrre una riduzione della pressione contributiva sulle imprese, e in che misura sul fronte della diminuzione del carico contributivo delle famiglie e, dunque, sulle retribuzioni effettive dei lavoratori.
  Per quanto la letteratura fin qui prodotta consenta di formulare alcune valutazioni di carattere generale, che inducono a ritenere di scarsa efficacia incentivi temporanei sui flussi, permane il problema di fondo della valutazione delle politiche pubbliche, su cui l'Italia registra un grave ritardo. Occorre acquisire consapevolezza che già in sede di definizione di un nuovo intervento normativo il legislatore deve precostituire gli strumenti che consentano l'analisi controfattuale, al fine di poter operare valutazioni attendibili della reale efficacia degli interventi rispetto agli obiettivi e, sulla base di esse, apportare progressivamente i correttivi necessari (secondo il metodo che ha contrassegnato le riforme Hartz in Germania).
  Quanto, poi, alla legislazione vigente, la legge n. 92 del 2012 ha rappresentato l'ultima tappa di un percorso di riforme legislative del mercato del lavoro avviatosi nel 1997 con l'approvazione del cosiddetto «pacchetto Treu». A giudicare dai dati sull'occupazione, la situazione attuale sembra essere ritornata la medesima di allora: i continui e repentini cambiamenti del quadro normativo, infatti, rendono difficile alle imprese programmare le proprie politiche occupazionali; l'annuncio di nuovi incentivi normativi e benefici economici (che spesso precedono di mesi l'effettiva entrata in vigore delle misure) porta le aziende a rinviare scelte occupazionali già programmate, con il risultato di ritardare assunzioni che sarebbero state invece effettuate; la concreta operatività degli interventi, poi, è messa a repentaglio dal fatto che le riforme rinviano a numerosi provvedimenti attuativi, spesso adottati con ritardo e/o parzialmente.
  In questo senso, bisognerà capire se il decreto-legge n. 76 del 2013 riuscirà davvero a garantire un quadro di maggiore affidabilità e certezze, anche perché, allo stato, per molte disposizioni in esso contenute è previsto il rinvio a successive norme attuative.
  Per quanto concerne l'attuazione della legge n. 92 del 2012, dai primi dati del monitoraggio (forniti dall'ISFOL) emerge una significativa riduzione dei contratti a tempo indeterminato (più sensibili all'andamento economico), a fronte di un incremento dei contratti a termine (soprattutto di breve durata e, quindi, senza causale), per effetto del travaso da altre forme contrattuali flessibili e parasubordinate (per le quali il legislatore ha introdotto correttivi volti a contenerne l'uso incongruo). Nel complesso, appare che la riforma, pur modificando la composizione delle forme contrattuali, non abbia aiutato a rafforzare, nel suo complesso, il mercato del lavoro in un periodo di crisi.
  Peraltro, taluni correttivi apportati dal decreto-legge n. 76 del 2013 alla legge n. 92 del 2012 appaiono opportuni. In Pag. 26particolare, per quanto riguarda i contratti a termine, la riduzione dei periodi di sospensione tra successivi contratti appare utile e condivisibile. Resta da chiedersi – e su questo punto la Commissione ha potuto apprezzare posizioni divergenti a seconda dei diversi soggetti auditi – se il protrarsi della crisi occupazionale possa giustificare (fermo restando il quadro di garanzie delineato a livello comunitario) un momentaneo «allentamento» dei vincoli normativi che tuttora caratterizzano l'istituto: per alcuni, infatti, si potrebbe agire, in particolare, sul requisito dell'acausalità (in sostanza muovendo nella direzione indicata dalla grande maggioranza delle associazioni datoriali e da una parte, sicuramente più delimitata, del mondo sindacale); per altri, invece, occorre mantenere fermi i vigenti vincoli, anche temporali, di causalità, che rappresenterebbero una garanzia irrinunciabile per i lavoratori (in tal senso, la parte ampiamente maggioritaria delle organizzazioni sindacali).
  Più in generale, occorre valutare, alla luce dei numerosi interventi normativi che si sono stratificati negli ultimi anni, anche l'ipotesi di una semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti.
  Una complessiva riflessione dovrebbe essere avviata, infine, sul lavoro autonomo, al fine di comprendere che, se il contrasto al fenomeno delle false partite IVA passa anche attraverso la conversione dei rapporti di lavoro e, quindi, attraverso aliquote contributive più alte, l'aggravio contributivo per i veri lavoratori autonomi non iscritti a ordini professionali (con il passaggio dal 27 per cento al 28 per cento dell'aliquota contributiva da versare alla gestione separata INPS nel 2014) appare ingiustamente penalizzante e andrebbe «congelato».
  Queste sono le conclusioni principali che il presente documento rassegna al Parlamento, al Governo e a tutti gli «addetti ai lavori», ai fini di una valutazione compiuta delle politiche sinora poste in essere, oltre che delle possibili iniziative che potranno essere intraprese per favorire un rilancio dell'occupazione e la messa a regime di un efficace sistema di regole per combattere la disoccupazione, in particolare giovanile.