XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Mercoledì 18 settembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MISURE PER FRONTEGGIARE L'EMERGENZA OCCUPAZIONALE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 
Aprea Valentina , Coordinatore vicario della Commissione istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle regioni e delle province autonome; assessore dell'istruzione, formazione e lavoro della regione Lombardia ... 3 
Rizzetto Walter , Presidente ... 8 
Fedriga Massimiliano (LNA)  ... 9 
Valente Lucia , Assessore al lavoro della regione Lazio ... 9 
Rizzetto Walter , Presidente ... 11 
Cesaro Antimo (SCPI)  ... 11 
Simoni Elisa (PD)  ... 11 
Rizzetto Walter , Presidente ... 12 
Martelli Giovanna (PD)  ... 12 
Rizzetto Walter , Presidente ... 12 
Porchietto Claudia , Assessore al lavoro e alla formazione professionale della regione Piemonte ... 12 
Rizzetto Walter , Presidente ... 14 

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi:
Damiano Cesare , Presidente ... 15 
Palma Giuseppe Luigi , Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 17 
Palma Giuseppe Luigi , Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi ... 17 
Damiano Cesare , Presidente ... 17 
Cesaro Antimo (SCPI)  ... 17 
Palma Giuseppe Luigi , Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi ... 17 
Damiano Cesare , Presidente ... 18 

Audizione di rappresentanti di Coldiretti:
Damiano Cesare , Presidente ... 18 
Moncalvo Roberto , Componente della Giunta esecutiva di Coldiretti ... 18 
Damiano Cesare , Presidente ... 20 
Rostellato Gessica (M5S)  ... 20 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 21 
Damiano Cesare , Presidente ... 21 
Moncalvo Roberto , Componente della Giunta esecutiva della Coldiretti ... 21 
Magrini Romano , Responsabile ufficio politiche del lavoro della Coldiretti ... 22 
Damiano Cesare , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE WALTER RIZZETTO

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Sono con noi l'onorevole Valentina Aprea, coordinatore vicario della Commissione istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nonché assessore all'istruzione, formazione e lavoro della regione Lombardia, la dottoressa Claudia Porchietto, assessore al lavoro e alla formazione professionale della regione Piemonte, il dottor Giovanni Bocchieri, direttore generale istruzione, formazione e lavoro della regione Lombardia, la dottoressa Giuliana Fenu, vicedirettore della Direzione lavoro e formazione professionale della regione Piemonte, il dottor Franco Chiaramonte, direttore Agenzia Piemonte lavoro; la dottoressa Francesca Giovani, responsabile settore lavoro della regione Toscana, la dottoressa Lucia Valente, assessore al lavoro della regione Lazio, la dottoressa Patrizia Di Monte, regione Campania, il dottor Contu, regione Sardegna, e il dottor Rossi, regione Molise.
  Per quanto riguarda la segreteria della Conferenza delle regioni e delle province autonome, sono presenti il dottor Paolo Alessandrini, dirigente responsabile dei rapporti con il Parlamento; l'avvocato Arianna Borghetti, dirigente in materia di lavoro; e il dottor Giuseppe Schifini, vice capo ufficio stampa.
  Darei immediatamente la parola, se nulla osta, all'onorevole Valentina Aprea.

  VALENTINA APREA, Coordinatore vicario della Commissione istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle regioni e delle province autonome; assessore dell'istruzione, formazione e lavoro della regione Lombardia. È per me una grande soddisfazione ritornare alla Camera e incontrare innanzitutto i colleghi, che sono impegnati in politiche sicuramente di frontiera più che mai. Saluto loro e soprattutto i funzionari della Commissione lavoro, con cui, da presidente di Commissione istruzione, ho lavorato. Immagino, quindi, che sappiano quali problemi le regioni stiano affrontando per l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile.
  Da sempre le politiche del lavoro, attive e passive, hanno riguardato le regioni e le regioni si sono spese per rispondere alle Pag. 4emergenze, o comunque soltanto per assicurare la stabilità dei lavori – mi piace parlarne al plurale – in particolare con riferimento ai giovani. Si tratta di una categoria che evidentemente non era, fino a poco tempo fa, ricompresa in tali politiche, se non con riferimento ad alcune tipologie particolari di giovani, che magari avevano problemi, disabilità, o altre questioni che li facevano ricomprendere nelle politiche del lavoro regionale.
  Oggi la situazione è diversa, perché la crisi ha riguardato e riguarda soprattutto questo target di cittadini, i giovani. Ormai da quattro anni stiamo attraversando una fase economicamente difficile. La crisi ha toccato da vicino molte famiglie, piccoli imprenditori, artigiani, lavoratori di realtà industriali importanti, colpite in modo improvviso e violento, oltre ogni aspettativa, con contraccolpi sociali pesantissimi.
  Oggi siamo in Commissione, presidente, anche e specialmente come singoli assessori. Vorremmo, quindi, fornire più che altro uno spaccato sulle nostre politiche regionali, parlando di Lombardia, di Lazio, di Sardegna. Preannunciamo, invece, già un documento comune che il coordinamento della IX Commissione farà avere sicuramente alla presidenza. Quando parlo, mi riferisco, dunque, alla Lombardia e alla situazione della Lombardia.
  In questi anni, come sistemi regionali, la nostra priorità è stata quella di contrastare gli effetti della recessione sulla situazione occupazionale. Grazie a uno sforzo straordinario che ha visto il concorso di Governo, regioni e parti sociali, siamo riusciti più di altri Paesi a contenere l'aumento della disoccupazione e la perdita di posti di lavoro.
  Abbiamo tutelato i lavoratori colpiti dalla crisi ampliando e rendendo più flessibile lo strumento della cassa integrazione, come voi sapete molto bene, estendendo il sistema degli ammortizzatori sociali a tutte le tipologie di lavoro, incluse quelle atipiche e temporanee e comprendendo, altresì, settori in precedenza esclusi, come il terziario, i servizi e le professioni. Per una realtà come la Lombardia questo punto è stato importante.
  Non possiamo, però, limitarci a contenere gli effetti della crisi. Il nostro sforzo come Paese deve essere quello di guardare al futuro, di attivarci per la ripresa e di mettere in atto le azioni necessarie per concretizzare le opportunità di cambiamento.
  Poiché vorrei lasciarvi proprio una suggestione sul modello lombardo, andrei subito alle politiche regionali per l'occupazione giovanile, che agiscono su due fronti, in stretta connessione tra loro: le politiche sul sistema educativo di istruzione e formazione e le politiche sul sistema del lavoro.
  L'obiettivo è proprio quello di favorire la transizione scuola-lavoro. Se c’è un obiettivo che non abbiamo ancora raggiunto nel nostro Paese, che ha una grande tradizione per quanto riguarda l'istruzione pubblica, è questo: la transizione dalla scuola al lavoro, un processo complesso, dipendente sia dal livello e dal tipo di percorso scolastico frequentato, sia dalle condizioni generali del mercato del lavoro.
  In tal senso la raccomandazione del Consiglio europeo Garanzia giovani, di cui abbiamo parlato proprio questa mattina ancora in coordinamento, e il relativo programma potranno rappresentare un'occasione per l'ammodernamento dei sistemi educativi e per il lavoro del nostro Paese, risultando di primaria importanza l'avvicinamento del sistema educativo e del sistema produttivo.
  Rispetto ai coetanei di altri Paesi i nostri giovani incontrano il lavoro in età troppo avanzata, con conoscenze e competenze poco spendibili anche per l'assenza di un vero contatto con il mondo del lavoro durante il percorso di studi, a causa del permanere di un pregiudizio che vuole che chi studia non lavori e chi lavora non possa studiare. Questo è un problema.
  Nelle legislature scorse abbiamo parlato per lungo tempo, quando i Governi che si sono succeduti hanno introdotto l'apprendistato e forme di alternanza scuola-lavoro, di tirocini. In Lombardia questo è stato fatto. Vedo la collega di Trento, che sicuramente sarà contenta di sentire quello che sto dicendo, perché, per Pag. 5esempio, la provincia di Trento, come sapete, costituisce un altro modello di successo con riferimento a queste realtà.
  Che cosa abbiamo bisogno di fare ? Abbiamo bisogno di superare definitivamente l'autoreferenzialità del sistema educativo. Naturalmente mi concentro sui giovani, scelgo di parlare dei giovani, perché, se dovessi parlare di tutte le politiche attive del lavoro della regione Lombardia, avrei bisogno di ore. Mi attengo, dunque, al tempo che la Commissione ha destinato a questo dibattito e preferisco concentrarmi sul lavoro e sulle proposte per i giovani.
  Abbiamo bisogno di ripartire da alcuni punti prioritari: introdurre un efficace sistema di orientamento che riduca le situazioni di overeducation e di mismatch, termini che poi spiegherò; facilitare la transizione dalla scuola al lavoro attribuendo un ruolo attivo alle istituzioni scolastiche e formative; rilanciare l'istruzione tecnica e l'istruzione e formazione professionale centrate su un'interlocuzione sistematica tra teoria e pratica, tra studio e lavoro, tra competenze generali e professionali; potenziare l'apprendistato formativo in tutte le sue forme, fino a quelle superiori, attribuendo a questo istituto il peso che merita e soprattutto il prestigio di cui dovrebbe essere socialmente e culturalmente, oltre che professionalmente, circondato; attivare una rete di servizi al lavoro efficace che si raccordi con le istituzioni scolastiche e formative per supportare la ricerca del lavoro.
  Mismatch, overeducation e orientamento: che cosa intendiamo ? Un segnale di difficoltà crescente per l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro è l'aumento dei cosiddetti NEET. Chissà quante volte avrete affrontato sia questo problema, sia la categoria di questi giovani, che non lavorano o intendono lavorare, né sono coinvolti in attività di studio o formazione. Il Rapporto 2012 della Banca d'Italia sulla situazione economica ci mostra come in Italia nei periodi di crisi la quota dei NEET sul totale dei laureati tra i 25 e i 34 anni sia stata mediamente del 20 per cento, una cifra molto elevata, a causa soprattutto della situazione di alcune regioni del Sud, mentre il Nord Italia è più in linea con la media europea. Questo, però, non ci può soddisfare.
  Se non ci accontentiamo di un dato generale, entriamo nel dettaglio e proviamo ad analizzare anche il tipo di laurea, si conferma ancora oggi nel 2013 che l'incidenza dei NEET è maggiore, circa il 16 per cento, tra i possessori di una laurea nelle discipline umanistiche, quali lettere, storia, filosofia e lingue. Sfido chiunque a dirmi che non ha mai ricevuto un curriculum di questi laureati, di questi studenti. Vi sarà capitato e vi capiterà. Si aggiungono i laureati in scienze sociali, che comprendono, purtroppo, oggi anche quelli in giurisprudenza, economia e sociologia – questo ci preoccupa ancora di più – mentre la percentuale si dimezza per ingegneria e scienze mediche.
  Il tipo di laurea risulta un elemento estremamente significativo anche per analizzare quante persone svolgono un lavoro sottoinquadrato, che richiede competenze inferiori a quelle acquisite mediante il percorso di studio. Con questo intendiamo l’overeducation. Noi tratteniamo per molti anni studenti che poi, quando entrano nel mercato del lavoro, vanno a svolgere mansioni molto al di sotto delle competenze acquisite, che hanno maturato e certificato con certificazioni superiori. Ci sono anche laureati che svolgono mansioni che non appartengono all'ambito della laurea conseguita. Questo è il mismatch.
  Occorre generare e offrire una costante informazione sull'andamento del mercato del lavoro. La previsione di sbocchi occupazionali dei percorsi di studio deve diventare un dovere primario da parte delle scuole e degli enti di governo. In ciò evidentemente va superato il tradizionale approccio orientativo della scuola italiana, rivolto esclusivamente al sistema formativo, per aprirlo a un orientamento rivolto alle condizioni del mondo del lavoro.
  Il primo tassello è un orientamento diverso, anche con servizi al lavoro, servizi diffusi di incontri di domanda e offerta di lavoro anche nelle istituzioni scolastiche, cioè in quei luoghi dove si concentrano i Pag. 6giovani. I giovani sono nelle scuole e nelle università. Chi offre il lavoro ? Le imprese, o comunque altri servizi. Questi soggetti devono incontrarsi. Finché rimarranno con sistemi autoreferenziali, difficilmente risolveremo il problema dell'occupazione giovanile.
  Oltre al possesso di titoli di studio poco spendibili, il che magari riguarderà di più la VII Commissione, la Commissione cultura, la seconda causa del mismatch è riconosciuta nell'asimmetria informativa nella fase di accesso al primo impiego. Questo è un altro problema ancora.
  Occorre, quindi, superare il problema di terminare di studiare o di concludere una formazione senza mettersi in gioco, cioè il problema della carenza di informazioni sulle opportunità di lavoro maggiormente corrispondenti al percorso di studi effettuato. In assenza di una rete istituzionale efficace per l'incontro tra domanda e offerta di lavoro i giovani si affidano alle reti sociali, di parentela, di conoscenza e alla raccomandazione, che, da un lato, risultano insufficienti a individuare le migliori opportunità di lavoro e, dall'altro, non aiutano la mobilità sociale, perché le reti sociali tendono a individuare opportunità di lavoro solamente nel proprio ristretto ambito di relazione.
  Ritorniamo, quindi, al problema di sempre: è favorito chi è già favorito, va avanti chi è già avvantaggiato per condizioni socioambientali, anche se frequenta la stessa scuola e ha le stesse opportunità di formazione degli altri. Se noi non dovessimo riuscire a superare questo gap, questo sarebbe un fallimento per tutto il Paese.
  Che cosa possiamo fare e che cosa ha fatto la Lombardia ? Possiamo promuovere attivazioni di reti orizzontali e verticali tra istituzioni scolastiche e formative e imprese finalizzate ad accompagnare e orientare l'uscita dalla scuola verso il primo impiego; valorizzare l'apprendimento in assetto lavorativo e la didattica per competenze; condividere risorse umane, laboratori, analisi dei fabbisogni e progettualità; collegare istruzione, formazione e lavoro per l'apprendimento permanente.
  In questa direzione è andata la programmazione di diversi interventi realizzati dalle regioni in stretto raccordo con i Ministeri del lavoro e dell'istruzione. In particolare, sfruttando alcune giuste intuizioni e alcuni indirizzi nazionali, abbiamo favorito i poli tecnico-professionali, con accordi strutturati tra impresa, scuole, enti di formazione ed enti di ricerca finalizzati a creare un ambiente di apprendimenti in contesti applicativi e di lavoro che favoriscano l'esperienza di formazione in alternanza a partire dal contratto di apprendistato, qualificandone il contenuto formativo con particolare riferimento al primo e al terzo livello. In più i poli tecnico-professionali consentono di condividere risorse umane, laboratori, analisi di fabbisogno e progettualità per sviluppare competenze più in linea con i concreti bisogni aziendali.
  Vorrei evidenziare poi il programma FIxO. Non so se la Commissione abbia approfondito questo tipo di programma, ma già in altre audizioni è emersa questa opportunità, che nasce dall'articolo 29 della legge n. 111 del 2011, il quale aveva consentito lo svolgimento delle attività di intermediazione agli istituti di scuola secondaria di secondo grado statali e paritari.
  Diverse regioni, tra cui la regione Lombardia, in collaborazione con Italia Lavoro, hanno attivato il programma FIxO per rilanciare e sostenere il compito di intermediazione, ossia di placement, nelle scuole superiori.
  Molti istituti tecnici e professionali in Lombardia hanno già rapporti stretti con il tessuto economico-territoriale, hanno sviluppato comitati tecnico-scientifici con l'attiva presenza delle imprese e hanno stretto un consolidato rapporto con le imprese per l'alternanza scuola-lavoro e per la transizione scuola-lavoro.
  Con il programma FIxO si è voluto estendere sempre più queste esperienze perché diventino strutturali in tutte le scuole. Con finanziamenti del Ministero del lavoro, di Italia Lavoro e della regione Lombardia siamo riusciti a prevedere non solo la creazione di uffici di placement, ma Pag. 7anche esperienze di tirocini agli studenti che nell'ultimo anno di scuola o immediatamente dopo, entro sei mesi dal diploma o al massimo entro un anno, fanno già un'esperienza di lavoro, una work experience. Questa è la cosa più importante, oltre alla preparazione che ci aspettiamo che ovviamente abbiano.
  Abbiamo supportato, col progetto FIxO, la nascita di servizi di accompagnamento al lavoro nelle istituzioni scolastiche in rete, una relazione sinergica con la rete dei servizi al lavoro che possono accompagnare con professionalità questo processo. In alcune realtà tale intervento è stato correlato con le politiche generali del lavoro, per esempio mettendo a disposizione un finanziamento ulteriore per l'attivazione di buoni tirocini per l'inserimento lavorativo e un incentivo alle aziende per la trasformazione dei tirocini in rapporti di lavoro.
  Secondo me, questa è un'altra misura molto importante. È utile non solo far fare l'esperienza del tirocinio, che ha una sua regolamentazione e che non è un contratto di lavoro, ma anche prevedere agevolazioni per le imprese che trasformano il tirocinio in contratto di lavoro.
  Un'altra misura sempre molto specialistica per i giovani, ma che ha qualificato ulteriormente l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, è l'istruzione e formazione tecnica superiore ITS-IFTS, che ci fa recuperare sul fronte dell'educazione tecnica.
  Lo sviluppo della formazione di livello terziario non accademico è ormai per l'Italia non più eludibile. È evidente, infatti, che la riforma dell'università con la distinzione tra laurea triennale e specialistica non è riuscita a connotare le lauree triennali come immediatamente professionalizzanti. Almeno per alcuni profili tecnici e specialistici, quindi, l'offerta di Istruzione tecnica superiore e quella delle Fondazioni per l'istruzione tecnica superiore nei settori che caratterizzano particolarmente il mercato del lavoro italiano è indispensabile. Penso al made in Italy, al manifatturiero, all'energia e alle energie rinnovabili. Sicuramente abbiamo bisogno di tecnici specializzati e, poiché questa è una formazione non solo scolastica, ma che viene fatta prevalentemente con le imprese di settore, la fondazione prevede questo tipo di presenza, il che è un'ottima cosa.
  In regione Lombardia noi abbiamo già tantissime di queste istituzioni e in questi giorni i primi studenti concluderanno il loro percorso.
  Poi c’è l'apprendistato. Ancora fino ad oggi – mi avvio alla conclusione, citando solo i titoli – il contratto di apprendistato non è riuscito ad andare oltre il 17 per cento dei contratti utilizzati dai lavoratori tra i 15 e i 29 anni. Bisogna, dunque, porre al centro tali contratti perché l'offerta formativa dell'apprendistato sia un modo per valorizzare l'esperienza in azienda e anche, io credo, perché le regolamentazioni che abbiamo già approvato, i tirocini curricolari ed extracurricolari, siano un altrettanto formidabile strumento per avvicinare la formazione, l'università e l'impresa e ridurre il mismatch tra competenze promosse nei percorsi formativi e lavoro vero e proprio.
  In particolare, il tirocinio extracurricolare si è rivelato un'opportunità grande ed è divenuta la principale modalità di primo contatto con il mondo del lavoro. Ottiene anche elevati tassi di trasformazione in contratto di lavoro. Ve lo possiamo documentare anche con i numeri. Si tratta di una delle significative politiche di incentivazione, che, proprio per questo motivo, può essere rappresentata dall'assegnazione di un contributo alle imprese per la trasformazione del tirocinio in contratto di lavoro.
  Non meno importante sarà il ruolo che in questo senso potranno svolgere le università e i servizi per il lavoro, naturalmente intesi come operatori accreditati. Quello lombardo è un modello che ha messo sullo stesso piano pubblico e privato da anni. Esiste, infatti, un sistema di accreditamento regionale. Anche il pubblico si accredita per garantire forme di lavoro, un'iniziativa che finora ha dato ottimi risultati, certamente quando la situazione non aveva le percentuali di oggi.Pag. 8
  L'ultimo aspetto è quello dell'istruzione e formazione professionale, un particolare percorso formativo che non tutte le regioni hanno e che rappresenta la seconda gamba del sistema educativo lombardo. Tale percorso consente di avviare al lavoro molti di quei ragazzi che altrimenti rientrerebbero nella percentuale dei NEET, soprattutto attraverso una formazione che sfrutta l'intelligenza nelle mani e delle mani, ma che poi si traduce in una formazione di successo.
  Sia la regione Campania, sia la regione Toscana avevano predisposto documenti, perché entrambe sono presenti con i loro dirigenti, ma senza gli assessori. In particolare il Piano d'azione «Campania al lavoro !», dettagliato negli interventi, ha previsto, sempre per i giovani, formazione in impresa, investimenti, più occupazione, «L'istruzione che forma» il microcredito, la riqualificazione degli operatori e qualità e innovazione, «Imprese spin-off da ricerca» e «Imprendo» le piccole e medie imprese. Sono tutti bandi che hanno favorito e cercato di imprimere un'inversione di tendenza in Campania, con azioni di sistema e qualità della funzione pubblica e importi che sono stati sempre notevoli.
  La stessa cosa ha fatto la Toscana, che ha, invece, scelto di investire sui tirocini. Ha fatto una politica più netta e con il progetto «Giovanisì – Progetto per l'autonomia dei giovani» ha investito gran parte dei contributi per i tirocini non curricolari, per il servizio civile, per fare impresa, per assunzioni e per contratti di lavoro tramite il Fondo incentivi, come vi dicevo, e borse di studio.
  Rispetto a ciò che caratterizza le politiche e che rende sicuramente le regioni uno degli strumenti e una delle agenzie più attive su questo fronte ci sarà un documento comune, che ricomprenderà tutti gli aspetti. Con il modello lombardo mi premeva rappresentarvi il fatto che noi abbiamo pensato prima ancora dell'uscita dei giovani dai percorsi formativi a mettere insieme scuola o formazione professionale con impresa e mondo del lavoro. Esistono un'abitudine e una cultura del lavoro, con apprendistato e tirocini, che ci aiutano, ma in questo momento neanche in Lombardia questo sistema riesce ad arginare le percentuali di disoccupazione.
  Se posso, chiederei – questa è davvero l'ultima richiesta e poi mi taccio – alla Commissione lavoro di considerare nelle leggi di politiche attive l'istruzione e la formazione professionale, come già avviene nel Lazio e in Liguria. Non tutte le regioni ce l'hanno, ma laddove, come l'onorevole Polverini sa, funziona, e funziona con qualifiche professionali in uscita europee, questa è una leva valida, almeno sul versante di una determinata tipologia di studenti. Per tutto il resto ci stiamo attrezzando. Le regioni ci credono e sono certa che i risultati non mancheranno.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Aprea per questo intervento, che effettivamente penso sia piaciuto perché è stato un intervento entusiastico nei confronti del mondo del lavoro e soprattutto dei giovani che devono accingersi a entrare in tale mondo.
  Lei, onorevole, essendo di esperienza dentro queste sale dalla dodicesima legislatura, se non ricordo male, ha sicuramente fatto un percorso, in questo senso, interessante. Devo dire che tutte le case history, questa come altre, per la Commissione lavoro sono interessanti. A tutti gli effetti si fa formazione anche in seno a questa Commissione.
  Lei ha citato, peraltro, il programma FIxO, che io ricordo qualificava, e qualifica ancora, tirocini, ma agevola soprattutto una questione che a me personalmente è piaciuta, ossia agevola particolarmente l'apprendistato di alta formazione, uno strumento di cui noi abbiamo bisogno. Per esempio, lei riconoscerà che abbiamo bisogno anche della rivalutazione e della riqualificazione dei centri per l'impiego, che, lei mi insegna, attualmente in Italia sono silenti e molto spesso latenti. La ringrazio, dunque.
  Cederò a breve al Presidente Damiano la presidenza, ma nell'ambito di un'economia dei lavori che ci vede qui impegnati, perlomeno in seno a questo tipo di audizioni, Pag. 9possiamo trattenerci per non più di 20-25 minuti – anche se mi dicono che possiamo allungare un po’ i tempi – considerato che alle 15.00 ci sono alcune interrogazioni in Aula. Non so se qualcuno di voi sia direttamente interessato rispetto a queste interrogazioni, ma io chiedo se siete tutti d'accordo, con riferimento soprattutto agli ospiti di oggi, a iniziare un brevissimo dibattito rispetto a questo tema, che mi sembra piuttosto corposo, per poi lasciare la parola a voi con qualche intervento.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MASSIMILIANO FEDRIGA. Presidente, io avevo interpretato che tutti fossero d'accordo a fare in questo modo, ragion per cui non siamo intervenuti. Condividiamo la sua proposta.
  Io ringrazio ovviamente tutti i rappresentanti delle regioni e l'assessore Aprea. Credo che alcuni spunti interessanti, soprattutto il collegamento scuola-lavoro, siano fondamentali e che rappresentino il lavoro che in più legislature abbiamo cercato di fare.
  Tuttavia, non voglio svolgere in questa occasione un intervento per dire come la penso, ma per coinvolgere i rappresentanti delle regioni e proporre qualche domanda. Ho notato che il principale problema, con la consapevolezza della contrazione del mercato dell'offerta occupazionale presente nel Paese, è che anche le politiche attive che mettono in campo le regioni, sia per la prima collocazione, ossia per il passaggio dal mondo dell'istruzione a quello del lavoro, sia – ma non è il tema di questo intervento – per la ricollocazione e la riprofessionalizzazione, mancano di un serio coinvolgimento delle realtà produttive per individuare i migliori percorsi per l'inserimento nel mondo del lavoro.
  Vi faccio un esempio molto terra terra per mostrarvi che cosa intendo. Nella mia regione – vengo dal Friuli Venezia Giulia – ricordo che, parlando, in questo caso, di ricollocamento e di riprofessionalizzazione di lavoratori, per decidere quali corsi di formazione attivare per il ricollocamento si andava a chiedere ai sindacati quale tipo di corso volessero che noi attivassimo, partendo così dall'idea opposta. Bisognerebbe, invece, dal mio punto di vista, andare dalle imprese, dal mondo produttivo, e chiedere di quale tipo di personalità abbiano bisogno.
  Con questa premessa vorrei capire se esiste qualche sistema che potete suggerirci per riuscire a mettere insieme queste necessità. Su quale tipo di struttura ci si può appoggiare ? La mia preoccupazione, d'altra parte, è che non creiamo l'ennesimo tavolo di confronto tra regioni, parti sociali e mondo del lavoro per non ottenere nulla. Si dovrebbe creare, invece, una struttura che sia dinamica e magari costante nel tempo e che possa essere sempre pronta a rispondere alle esigenze del collocamento nel mondo del lavoro, partendo ovviamente da chi produce e, quindi, da chi assume.

  LUCIA VALENTE, Assessore al lavoro della regione Lazio. Questa considerazione sulla formazione è ottima. Il caso a cui lei fa riferimento non riguarda, però, proprio la tematica dei giovani, ma una tematica più estesa. Se posso, allargo un attimo lo sguardo, perché è un tema che ha visto negli ultimi anni, soprattutto con il meccanismo dell'erogazione della cassa in deroga finanziata dal Fondo sociale europeo, l'accompagnamento con la formazione.
  In tale contesto è stata fatta formazione fine a se stessa, che non soddisfaceva il fabbisogno ed era completamente scollegata dal fabbisogno del territorio. Soprattutto è stata una formazione fatta per i formatori e non per i formandi. Abbiamo alimentato un circuito vizioso di formazione, perché ci si chiedeva di accompagnare a ogni euro di cassa la formazione accoppiata alla cassa in deroga.
  Adesso questo ci deve fare riflettere. La cassa in deroga, che si inserisce in un sistema più globale, essendo ora finanziata completamente dallo Stato e quindi dalla finanza pubblica, ci deve aiutare a capire anche a chi vogliamo indirizzarla.Pag. 10
  Faccio un passo indietro per tornare ai giovani. Quando si fanno gli accordi sulla cassa integrazione, i giovani non sono mai rappresentati ai tavoli sindacali. Nessuno rappresenta i giovani e i precari, perché anche il meccanismo della cassa in deroga tutela solo gli insider, cioè coloro che il lavoro ce l'hanno. Gli outsider, coloro che non ce l'hanno, anche in questo meccanismo di protezione e di ammortizzatore sociale non sono mai rappresentati. Ai tavoli non c’è nessuno che li rappresenti.
  Come regione Lazio – le faccio il mio esempio – noi abbiamo pensato nell'ultimo accordo, stipulato il 4 luglio 2013, di destinare una parte della cassa in deroga anche a coloro che con un contratto di lavoro precario hanno inteso far valere la natura subordinata del rapporto di lavoro. Come si sa, spesso questi contratti atipici vengono utilizzati per mascherare forme di lavoro subordinato.
  Anche a questi giovani che hanno perso il lavoro, ma che hanno incominciato la procedura per l'accertamento della natura subordinata del rapporto, abbiamo pensato di destinare una quota della cassa. Ora stiamo vedendo con i sindacati le modalità, perché la platea, come lei può immaginare, è amplissima. I giovani, ahimè, sono i maggiori fruitori dei contratti di lavoro precari.
  Poiché, come diceva bene Valentina Aprea, il contratto di tirocinio, che quasi tutte le regioni hanno disciplinato, perché abbiamo quasi tutti recepito le linee guida nazionali, sta fornendo ottime performance, essendo un contratto molto leggero, ma non un contratto di lavoro – non è definito neanche come contratto di lavoro, perché è soltanto un modo per far accostare il giovane al mondo del lavoro – noi, come regione Lazio, abbiamo cercato di alleggerirlo il più possibile. Abbiamo pensato che piuttosto che tenere il giovane a casa può essere utile cercare di farlo uscire di casa e di farlo entrare nelle diverse realtà produttive.
  Dobbiamo potenziare quelle tipologie pensando a un tipo contrattuale, ma non lo possiamo fare come regione, perché non abbiamo la competenza normativa da questo punto di vista. Auspichiamo un nuovo tipo contrattuale per i giovani.
  Prima di fare l'assessore al lavoro io ero professore all'università. Noi abbiamo, come modello, all'università – conosco molto bene FiXO, anche perché noi abbiamo il sistema SOUL di incontro domanda-offerta – il dottorato di ricerca. Consiste in tre anni di lavoro, con uno stipendio ragguardevole, che tutela i giovani neolaureati. Chi vince il dottorato per tre anni ha questo contratto, un contratto che non ha la copertura contributiva, ma che permette ai giovani di essere assunti.
  Perché non pensare a un contratto di lavoro per i giovani, destinato proprio ai giovani, che non sono tutelati per niente in tante altre situazioni ? Quella della cassa è una di queste. Sicuramente, come diceva Valentina Aprea, occorre potenziare l'apprendistato.
  Adesso nel Lazio si è stipulato l'accordo fra le università e le imprese – noi abbiamo tantissime università nel Lazio – per l'apprendistato di alta formazione e di ricerca. Noi abbiamo patrocinato, perché non siamo parte di quell'accordo, questo protocollo, che è in deroga ad alcuni limiti posti dalla normativa nazionale sull'apprendistato. È stato stilato, quindi, un protocollo in deroga, utilizzando lo schema dell'articolo 8 della legge n. 148 del 2011, una legge che non viene molto utilizzata, ma che può fornire alcune risposte. Non ci dimentichiamo che l'articolo 8 mette nelle mani dei sindacati e della contrattazione molte potenzialità che ancora non si sono viste.
  Un'altra questione importante è potenziare l'orientamento e chi deve farlo. Ci sono tantissimi orientatori, ma la qualità dell'orientamento non è elevata. Bisogna sfruttare molto di più l'orientamento di secondo livello, quello che non consiste soltanto nel compilare la scheda anagrafica del lavoratore che cerca l'occupazione o dello studente. Bisogna fare di più, ossia offrire al giovane un ventaglio di ipotesi e accompagnarlo anche nel mercato del lavoro.Pag. 11
  Il problema è chi lo fa. I centri dell'impiego sono uffici che, se anche si chiudessero domani mattina, probabilmente nessuno se ne accorgerebbe. È brutto dirlo, perché io sono molto orientata per il pubblico, ma lo stato dell'arte è questo: i centri per l'impiego adesso fanno pura amministrazione di liste. Anche i dipendenti dei centri per l'impiego vengono da una gestione ministeriale, in cui c'era ancora il collocamento pubblico. Sono molto bravi a gestire le liste, abbiamo tantissime liste di giovani disoccupati, inoccupati e cassa integrati, ma non fanno il passo ulteriore.
  La riforma dei centri per l'impiego è sul tavolo dello Stato a livello centrale. Noi, come regioni, aspettiamo di vedere quello che succede, ma nel frattempo la situazione è bloccata. Anche l'orientamento, che è un pezzo fondamentale, in questo momento manca e pochi lo sanno fare.

  PRESIDENTE. Grazie molte. Ricordo che, purtroppo, abbiamo ancora dieci minuti, ragion per cui chiedo un particolare occhio di riguardo alle tempistiche.
  Prima di cedere la parola alla dottoressa Porchietto, do la parola, in questo caso, in primis, all'onorevole Cesaro e all'onorevole Simoni per due domande. Dopodiché, la dottoressa Porchietto potrà integrare il suo intervento.

  ANTIMO CESARO. Sarò brevissimo. Intervengo per sottolineare un passaggio della relazione introduttiva dell'onorevole Aprea sulla disoccupazione intellettuale giovanile.
  Lei ha fatto riferimento ai laureati in discipline umanistiche e, in maniera preoccupata, anche ai laureati in discipline sociali, inserendo in questo contesto anche i laureati in sociologia e in giurisprudenza. Effettivamente bisogna riflettere molto su questo aspetto ed eventualmente valutare insieme possibili sinergie.
  Mi limiterò a citare in un minuto qualche caso specifico. Nella provincia di Napoli abbiamo più partite IVA di studi di avvocati che di bar e il foro di Napoli ha più avvocati che tutta la Francia.
  Così pure vale la pena di riflettere sull'orientamento, che è stato, a sua volta, chiamato in causa. In merito c’è un mea culpa che deve recitare anche il sistema universitario, di cui io faccio parte, perché occorre investire molto nell'orientamento dei nostri giovani sulla scelta dei percorsi universitari.
  Anche un ripensamento delle politiche del numero chiuso per l'accesso ad alcune facoltà è una possibilità che andrebbe, secondo me, seriamente valutata. Se guardiamo le statistiche prospettiche, l'Italia avrà bisogno, per esempio, di personale medico o paramedico, mentre l'orientamento universitario molto spesso si riduce a politiche di accaparramento di nuove matricole, che, stante l'autonomia universitaria, costituiscono un bacino non solo di utenza, ma anche di sostentamento per molte università sparse per il territorio nazionale, che non producono possibilità di inserimento lavorativo, né competenze specialistiche, ma sono del tutto autoreferenziali.
  Mi piacerebbe avere ulteriori momenti di confronto su questo aspetto, che credo sia importante, anche alla luce del fatto che l'ultimo provvedimento che abbiamo approvato come decreto convertito dal Parlamento era rubricato sotto la voce «provvedimenti urgenti» e «primi provvedimenti urgenti – sottolineo »primi provvedimenti urgenti« – di contrasto alla disoccupazione giovanile». Mi auguro che il Governo possa poi prevedere ulteriori provvedimenti per la disoccupazione intellettuale giovanile. Se ne avverte una straordinaria necessità.

  ELISA SIMONI. Signor presidente, lei ha fatto riferimento all'entusiasmo dell'onorevole Aprea, probabilmente perché in questi anni è stato fatto tanto, nel senso che nei territori e nelle regioni il lavoro è stato intenso, pur con risultati ovviamente diversi. Noi ci riferiamo sempre a medie nazionali che spesso non rendono giustizia sulle punte di eccellenza, viste le condizioni date.
  Proprio dalle condizioni date vorrei partire, perché il nostro ragionamento Pag. 12deve ribaltarle. Noi parliamo di politiche passive e attive e, quindi, di politiche dei servizi. Sappiamo benissimo che siamo tutti spostati sulle passive.
  La discussione non è tra pubblico e privato. Se andiamo a vedere i dati di incrocio e di mismatch, vediamo che sono imbarazzanti entrambi e che, quindi, il tema è quali politiche di servizi e quali politiche mettiamo soprattutto sulla spinta delle politiche attive su questo fronte.
  Sul fronte della formazione, reimpostandola in questo modo, è evidente che noi dobbiamo avere coscienza che in numerose nostre imprese – mi riferisco in particolare alla manifattura – nessuna formazione che valga la pena di essere fatta può esser svolta fuori dall'azienda.
  Si pone poi tutto il problema della riconversione. Il giovane può utilizzare quegli strumenti che noi conosciamo, che dobbiamo implementare e che funzionano – sono d'accordo con lei, onorevole Aprea – ma, quando facciamo riconversione, sappiamo che la formazione esterna non può funzionare nella manifattura. Addirittura anche qualora si reintroducesse un sistema della formazione un po’ retrò, ma che vede strutture formative serie, lo sviluppo tecnologico nelle imprese renderebbe sempre obsoleta la formazione che si svolgerebbe fuori, anche qualora si svolgesse non solo in Aula.
  È evidente che quello dei giovani è un tema importante, che, secondo me, può avere anche alcuni margini – apprendistato, tirocini – e spingere fortemente, anche se poi bisogna capire quanto riusciamo a fare con queste forme di lavoro e quanto si protraggono.
  Il tema della riconversione è quello che mi preoccupa di più. Parlo del tema di come riusciamo a tenere la formazione agganciata alla riconversione perché tale riconversione poi offra veramente possibilità. Questo è l'aspetto che, secondo me, è importante. Non so se nelle esperienze regionali vi siano elementi che hanno fatto innovazione su questo fronte. Non ne sono a conoscenza.
  Questa era la domanda.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Martelli, può intervenire, ma per pochi secondi. Mi raccomando, deve essere telegrafica.

  GIOVANNA MARTELLI. Impiegherò pochi secondi. La mia non era una domanda, ma una considerazione sul tema dei centri per l'impiego, che oggettivamente rappresentano un punto importante, ma che, proprio per gli scenari che stiamo vivendo sul tema della crisi e del collocamento, necessitano di una rivisitazione che tenga dentro diversi aspetti, come il tema delle politiche attive e quello della formazione professionale.
  Quando si parla di occupazione giovanile, si deve necessariamente parlare di orientamento e di formazione, ma, io mi sento di dire, alla luce di una riforma che vedrà ridisegnare il ruolo delle province, che sono i gestori dei centri per l'impiego, anche nell'ambito di una nuova concezione territoriale.
  Credo che oggi sia più opportuno ragionare su bacini territoriali omogenei dal punto di vista sia dell'offerta dei servizi, sia produttivo;, credo che ragionare su bacini territoriali e servizi misti di gestione pubblico e privato possa essere una risposta efficace ai bisogni occupazionali dei giovani.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Martelli.
  Do la parola alla dottoressa Porchietto.

  CLAUDIA PORCHIETTO, Assessore al lavoro e alla formazione professionale della regione Piemonte. La ringrazio. Buongiorno a tutti. Chiedo scusa del ritardo, ma eravamo anche noi impegnati in un'altra riunione.
  Io provo a portare un esempio, sperando non che possa essere esaustivo, ma che possa fornire una serie di risposte a queste riflessioni estremamente importanti. Mi riferisco soprattutto agli ultimi due interventi.
  Credo sia fondamentale, a prescindere dal fatto che noi si stia parlando di disoccupazione giovanile o meno, fornire Pag. 13risposte che possano mettere insieme e in fila possibilmente alcuni soggetti e risultati, in primis per capire come riuscire a far lavorare bene strutture pubbliche e private.
  Io credo che oggi il tema non debba essere «centri per l'impiego sì, centri per l'impiego no», ma il fatto che, se andiamo a vedere le percentuali di capacità di intercettare e di attrarre, che si tratti della sfera del pubblico o di quella del privato, i soggetti che cercano un posto di lavoro, siamo a percentuali assolutamente preoccupanti e imbarazzanti.
  Pertanto, l'aspetto che a me premeva sottolineare è che in questo momento la nostra sensazione – parlo, se posso, Valentina, anche a nome delle regioni – è che si stia male interpretando la futura strategia sia sullo Youth Guarantee, sia sulla risposta della disoccupazione, chiedendoci «centri per l'impiego sì, centri per l'impiego no» e se lasciare al pubblico o al privato.
  Il problema deve andare oltre e io credo che questo sia un messaggio importante che tutti insieme dobbiamo inviare. Diversamente, rischiamo di bloccare le strutture regionali, soprattutto in funzione di quelle che sono state fino a oggi una parte delle autonomie nella scelta di gestione, perdendo di vista l'obiettivo: mandare il maggior numero di giovani possibile a fare esperienze lavorative che creino per loro il curriculum professionale necessario.
  Permettetemi se sottolineo un fatto. Arrivando da una regione che vede un impatto pesante della disoccupazione over 50, vi invito a non dimenticare che a fianco dei giovani disoccupati c’è tutta una fascia estremamente debole di over 50 che in questo momento sconta pesantemente la crisi.
  Scusandomi per la premessa, provo a portare alcuni esempi, ricordando anche che lo sforzo che stanno facendo le regioni attraverso la IX Commissione è quello di utilizzare le best practice in giro per l'Italia per comporre una sorta di manuale di gestione delle migliori pratiche da trasferire in funzione delle diverse esigenze territoriali sui territori.
  Personalmente, credo che questo sia uno sforzo importante, che va riconosciuto alle regioni, a prescindere dal fatto che parta dal Piemonte o dalla Sicilia. Cerchiamo di generare standard e processi comuni che aiutino.
  Prestiamo attenzione, in merito alla cassa integrazione in deroga, a non privilegiare o meno cittadini italiani, che lo sono a prescindere dal fatto che siano piemontesi, lombardi o siciliani. Molto spesso rischiamo, nel non condividere alcuni percorsi, di avere differenze importanti anche nella gestione degli ammortizzatori sociali, perché le regioni decidono in funzione della competenza territoriale. Questo è uno sforzo che stiamo facendo e che io credo vada riconosciuto alle regioni, perché è estremamente importante.
  Provo a portare un esempio rispondendo anche all'onorevole che ha dovuto uscire, ma che chiedeva come riuscire a intercettare sul tema della formazione le esigenze delle imprese. Ricordo che in tutti i tavoli su cui si definiscono i percorsi formativi ci sono sia le rappresentanze datoriali, sia le rappresentanze sindacali. Lo sforzo non deve essere fatto solo dalle istituzioni. Io credo che oggi lo sforzo, nell'ottica di una formazione seria e condivisibile, vada fatto anche dalle parti sociali. Non dimentichiamoci che molto spesso noi ci ritroviamo da soli a gestire un contesto in cui è facile criticare, ma non c’è assolutamente la partecipazione attiva di tutte le parti sociali.
  Sul tema della riqualificazione noi abbiamo sperimentato uno strumento che sta dando un importante risultato e in cui tutti questi soggetti sono presenti. Abbiamo generato alcune ATS in cui abbiamo inserito i centri per l'impiego, le agenzie per il lavoro, le agenzie formative e le istituzioni e in cui svolgiamo riqualificazione e ricollocazione mirata in funzione dell'azienda che va a ricollocare.
  Mi farebbe piacere se fosse possibile produrre alla Commissione, nel momento in cui lo stiamo concordando con una Pag. 14grande azienda del settore ferroviario presente in Piemonte – io ieri ero da loro – anche una sorta di CD che spiega quello che tale azienda ha fatto. Cerco di sintetizzarlo veramente in breve.
  Noi abbiamo messo a disposizione alcune risorse e abbiamo «orientato» le agenzie per il lavoro e le agenzie formative a collaborare con le imprese che manifestavano la necessità di assumere persone con alcune caratteristiche. La formazione è stata svolta dentro le aziende.
  Anche nel momento in cui si deve riqualificare il personale, la parte di formazione generale standard viene effettuata dalle agenzie formative, ma poi il processo, insieme alle agenzie formative, viene svolto presso l'azienda. Sarebbe molto lungo, anche se molto interessante, da spiegare, ma non penso che sia questo il frangente. Vi porto soltanto i risultati.
  Ieri ero in quest'azienda e ho saputo che 98 persone hanno partecipato a questo primo percorso e 72 sono state assunte. Stiamo parlando di numeri significativi e non è un caso, perché noi in questo momento, con questa misura, abbiamo già ricollocato 700 persone, di cui il 42 per cento over 50. Il restante 58 per cento, se la matematica non mi confonde, è costituito da ragazzi alla loro prima esperienza lavorativa, che, usciti dal percorso o professionale o di istruzione, hanno trovato all'interno dell'azienda la possibilità di elevare la propria istruzione tecnica attraverso un percorso definito con le imprese.
  Io ritengo utile la formulazione che si sta facendo anche con il Ministero dell'istruzione, dell'Università e della ricerca, tenendo conto della formazione tecnica specifica che va portata su questi tavoli. Mi permetto di sottolineare come le politiche attive, come ricordavano prima le colleghe, svolte in questi anni, perché vi eravamo obbligati, utilizzando anche risorse del Fondo sociale europeo per coprire le necessità di risorse sulla cassa integrazione in deroga ci hanno fatto voltare pagina.
  Tuttavia, abbiamo obbligato comunque le persone a fare formazione. Bene o male che sia, le abbiamo obbligate. Questo è fondamentale, perché, se vogliamo pensare di poter accompagnare persone che magari hanno una formazione non specifica, ma che hanno ancora la capacità di ricollocarsi, si tratta di riuscire a creare alcuni percorsi.
  Quanto al tema delle banche dati – e chiudo – noi ne stiamo parlando a livello di Commissione. Ci sono – non soltanto nella regione Piemonte, assolutamente – alcune best practice in cui oggi abbiamo la necessità di avere in tempo reale il matching tra domanda e offerta. Questi dati devono arrivare in tempo reale, ma, ahimè, mi dispiace doverlo dire, non sempre attraverso gli strumenti che i soggetti pubblici preposti mettono a disposizione questo si può fare. Non è un caso se noi oggi non siamo in grado di fornire al Ministero del lavoro e delle politiche sociali i dati sulla cassa integrazione in deroga del tiraggio, perché l'INPS in questo momento non è ancora in grado di metterli a disposizione.
  Con le banche dati che si stanno adottando addirittura arriviamo a riferirvi nel più piccolo comune dell'ultima provincia dell'ultimo paese della regione Piemonte quanti sono stati gli avviamenti, qual è stata la loro durata, quali sono le attività che hanno assorbito il personale e, quindi, quali sono le professionalità richieste. Questo è possibile perché abbiamo deciso, come regione, di dotarci di strumenti informatici che poi metteremo a disposizione della rete.
  Secondo me, e chiudo veramente, esiste la possibilità, lavorando anche con le Commissioni, cosa che io penso sia fondamentale, di costruire un sistema in cui il modello che le regioni stanno attuando da Nord a Sud possa rappresentare un fattore di competitività anche nel combattere la disoccupazione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Porchietto. Chiedo scusa per la sintesi a cui siete stati sottoposti.
  Ringrazio nuovamente i nostri ospiti, che congedo, e dichiaro conclusa l'audizione.

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, l'audizione dei rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi.
  È presente il dottor Giuseppe Luigi Palma, presidente. Vorrei ringraziare ancora una volta il nostro ospite per la sua presenza.
  Do la parola al dottor Palma per lo svolgimento della relazione.

  GIUSEPPE LUIGI PALMA, Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi. Desideravo innanzitutto ringraziare la Commissione e il presidente della Commissione per l'invito e per l'opportunità che mi viene concessa in questo contesto. Come psicologi, noi possiamo intervenire sull'argomento da un duplice punto di vista.
  Sicuramente siamo testimoni dell'aumento del disagio psicologico derivante dalla crisi economica e occupazionale. Non parlo dei casi più eclatanti, come i suicidi, ma di un disagio psicologico molto diffuso, rispetto al quale noi, come professione, siamo in una posizione privilegiata, perché ci facciamo carico anche di questo problema.
  Il secondo punto riguarda, invece, la professione di psicologo, con tutte le criticità e le problematiche derivanti dalla crisi economica. Casualmente, come Consiglio nazionale, avevamo svolto una ricerca proprio sullo stato dell'occupazione e sul reddito degli psicologi prima della crisi del 2008. Abbiamo poi replicato questa ricerca di recente, ragion per cui da pochi mesi abbiamo alcuni dati e siamo, pertanto, in grado di fare un confronto per poter verificare quale sia stato l'impatto della crisi economica sulla professione.
  Abbiamo preparato una scheda che contiene questi dati. Molto brevemente, dopo averli illustrati, cercherò di avanzare anche alcune proposte. I dati da soli certamente sono importanti, ma, se poi non hanno una dimensione operativa a livello progettuale, servono a ben poco.
  Gli psicologi in Italia sono quasi 90.000, mentre in Europa, in tutti i Paesi europei, la somma degli psicologi è di 270.000. Un terzo degli psicologi europei risiede, dunque, in Italia. Questo è un dato importante. In nazioni che hanno lo stesso numero di abitanti dell'Italia ce ne sono 4-5-10.000, mentre noi abbiamo 90.000 psicologi. Questa situazione è veramente seria a livello occupazionale per gli psicologi. È una situazione davvero problematica.
  Le battute verrebbero facilmente. Come mai in Italia ci sono tanti psicologi ? Sarà perché gli italiani hanno problemi ? Non è questo il punto. Per una serie di ragioni siamo arrivati a questa situazione.
  Ogni anno si iscrivono all'ordine degli psicologi a livello nazionale circa 6.000 nuovi psicologi, esattamente il numero del totale di quelli che lavorano nel Servizio sanitario nazionale. Nel Servizio sanitario nazionale ci sono 6.000 psicologi in tutta Italia. Ogni anno i nuovi psicologi che si iscrivono sono 6.000. È facile comprendere che la possibilità di entrare nel sistema sanitario nazionale è praticamente inesistente.
  Circa la metà dei 90.000 psicologi non lavora e per quelli che lavorano c’è una forte variabilità e differenza di reddito tra i giovani, intendendo, nella ricerca, gli under 30, e tutti gli altri. C’è una differenza di reddito enorme, il che significa una forte difficoltà di entrare nel mondo del lavoro da parte dei giovani psicologi.
  Anche rispetto ai laureati coetanei in altre discipline si è allargato il divario a livello reddituale. Tra il reddito dei giovani laureati in psicologia e quello dei laureati nelle altre discipline c’è un divario rispetto alla crisi, ossia ai dati che noi avevamo rilevato dalla ricerca del 2008, prima della crisi. Una delle conseguenze della crisi stessa è stata quella di ridurre il reddito, Pag. 16allungare i tempi di entrata da parte dei giovani nel mondo del lavoro e aumentare ancora di più il divario rispetto ad altre professioni, ossia ai coetanei laureati in altre discipline.
  Vi risparmio tutto il resto, perché sono sei pagine di dati, ma vorrei arrivare alle conclusioni e alle proposte operative. Come dicevo prima, mi pare opportuno che oltre ai dati si facciano anche alcune proposte.
  In questi anni noi ci siamo sforzati di elaborare alcune proposte che possano mettere d'accordo, anche se questo può sembrare un miracolo ragionieristico, l'aspetto economico, la crisi economica – che ovviamente riguarda anche il pubblico, cioè le risorse che lo Stato può mettere a disposizione – e la carenza di risorse economiche da parte dello Stato con alcuni interventi che hanno come protagonisti gli psicologi.
  Mi spiego meglio. Abbiamo elaborato alcune proposte per dimostrare che è possibile risparmiare, almeno nel campo della sanità, attraverso un intervento molto semplice, frutto di una sperimentazione che dura ormai da dieci anni e che viene condotta presso l'Università «La Sapienza» di Roma dal professor Solano. Mi riferisco all'istituzione della figura dello psicologo di base.
  Lo psicologo di base lavora all'interno di questa sperimentazione a fianco del medico di base. Questa collaborazione, che è stata realizzata ed è tuttora in corso come sperimentazione, ha dimostrato in maniera inequivocabile che è possibile intervenire sulla spesa farmaceutica, sulla spesa derivante dalle analisi cliniche, che è di gran lunga maggiore rispetto al costo che bisognerebbe sostenere per pagare lo psicologo di base stesso.
  In un solo anno solo per la spesa farmaceutica la collaborazione tra medico e psicologo, che è presente nello studio del medico di base solo due giorni alla settimana, ha portato come risultato a un risparmio di 75.000 euro solo per la spesa farmaceutica. Manca, invece, la quantificazione del risparmio delle analisi cliniche ritenute inutili dallo stesso medico di base.
  Questo avviene perché il 50 per cento delle persone – questi sono dati europei – che si rivolgono al medico di base ha, in realtà, problematiche di tipo psicologico. La prima interfaccia di qualunque forma di disagio, però, non è lo psicologo, ma il medico di base.
  Ovviamente il medico di base risponde a questa domanda con gli strumenti di cui dispone, magari prescrivendo analisi, accertamenti e farmaci, sapendo e intuendo, però, che non è quello il vero problema. Questa sperimentazione di compresenza nello stesso studio ha consentito di dimostrare che, se questa domanda di salute, che comprende anche la dimensione psicologica, può essere e viene letta in maniera adeguata da una persona professionista che si occupa del disagio psicologico, in questo caso lo psicologo, è possibile anche generare un risparmio notevole.
  I dati sono pubblici. Il professor Solano, oltretutto, è un medico ed è colui che ha sperimentato questa nuova figura, che non è nuova in Europa. In Europa ci sono già altre esperienze di questo tipo. Sono stati pubblicati libri che contengono anche i dati. Questa è una delle proposte.
  In merito ritengo sia fondamentale sottolineare che in questo modo si rende possibile qualcosa che solitamente viene considerato inconciliabile: una maggiore o migliore e più appropriata assistenza alle persone con una minore spesa. La sperimentazione dimostra che ciò è possibile. È possibile, quindi, risparmiare e, nel contempo, prestare un'assistenza alle persone, ai pazienti, più appropriata.
  È evidente che in questo caso si tratta di rispondere in maniera appropriata a una domanda di salute che comprende non soltanto la dimensione organica e biologica, ma anche quella psicologica. Come sapete, nella sanità l'appropriatezza degli interventi è uno dei requisiti e dei fattori fondamentali che dovrebbero caratterizzare la sanità pubblica.
  Altre proposte riguardano, per esempio, lo psicologo scolastico. Voi sapete che in Europa l'Italia è l'unico Paese che non ha una legge che istituisce la figura dello psicologo scolastico.Pag. 17
  Queste sono tutte iniziative e proposte operative che hanno a che fare con la prevenzione. Investire sulla prevenzione e promuovere la cultura della prevenzione rappresenta un'evidente modalità che porta a un risparmio, che certamente, in alcuni casi, si può realizzare anche in tempi brevi, come nel caso dello psicologo di base. Nel caso, invece, dello psicologo scolastico il risparmio in termini di prevenzione si può realizzare in tempi medio-lunghi. Sono comunque interventi e proposte che vanno nella direzione della prevenzione e che hanno come obiettivo quello di evitare che alcune situazioni possano degenerare e, quindi, comportare costi ancora maggiori.
  In Inghilterra, pochissimi anni fa, un economista, non la lobby degli psicologi, tanto per essere chiari su questo argomento, ha valutato che per la cura della depressione, che è il male del secolo, fosse molto più conveniente assumere psicologi e fare prevenzione e riabilitazione piuttosto che aspettare la degenerazione del disagio. Se i segnali non venivano colti nei tempi giusti, alcuni problemi si potevano trasformare in disagi ancora più forti, che richiedevano interventi molto più costosi.
  Alcuni economisti in Inghilterra hanno svolto, dunque, questo tipo di valutazione, che ha portato il Governo inglese ad assumere 10.000 psicologi in un solo colpo, perché c'era stata una valutazione meramente di tipo economico. Ripeto, è stato un economista, non la lobby degli psicologi a segnalare ciò. I risultati, che oggi ormai abbiamo, perché questo intervento è stato fatto qualche anno fa, confermano la bontà dell'analisi degli economisti.
  Mi dicono che mi devo fermare qui, ragion per cui concludo. Vi ringrazio per l'attenzione e spero di non aver annoiato la Commissione.

  PRESIDENTE. Scusate, ma anch'io replico quello che ha fatto prima di me l'onorevole Rizzetto, quando ha presieduto. Non c’è alcuna intenzione vessatoria. Ho visto che, da psicologo, lei ha risposto prontamente alla sollecitazione di un potenziale paziente.

  GIUSEPPE LUIGI PALMA, Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi. Ho colto la comunicazione non verbale nei suoi gesti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTIMO CESARO. All'inizio della sua relazione lei ha fatto riferimento a dati statistici sulla diffusione di questa professione in Italia rispetto agli altri Paesi europei, ponendo a se stesso, e quindi anche a noi, la domanda su come si potesse eventualmente spiegare.
  Se volesse per un istante ritornare su questo argomento, che mi ha colpito e che credo sia interessante approfondire, gliene sarei grato.

  GIUSEPPE LUIGI PALMA, Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi. La ringrazio moltissimo per questa domanda, perché mi offre la possibilità di parlare di un aspetto molto importante.
  In Italia noi non abbiamo alcun vincolo per l'accesso alla nostra professione, nonostante ci sia l'ordine professionale, mentre in altri Paesi europei, dove non c’è l'ordine professionale, ma ci sono associazioni private che regolano l'accesso alla professione di psicologo, tale vincolo esiste. In Italia l'accesso alla professione, almeno alla professione di psicologo, è privo di vincoli. Non ci sono predeterminazioni numeriche. La nostra è la professione più liberalizzata d'Italia e d'Europa.
  Questo è un primo motivo, dunque: non c’è una predeterminazione numerica. Non c’è una programmazione degli accessi che, invece, sarebbe necessaria e che è presente per altre professioni anche in Italia. La programmazione degli accessi naturalmente ha a che fare con la valutazione del numero di professionisti che escono dal circuito lavorativo e, quindi, con la previsione a livello universitario dei relativi accessi, che servono per rimpiazzare gli uscenti. Un metodo di questo tipo viene, per esempio, utilizzato da alcuni anni per quanto riguarda i medici. C’è una programmazione degli accessi.Pag. 18
  Questo è un problema che riporta a un'altra questione, quella del diritto allo studio, che pure è un diritto garantito dalla Costituzione ed estremamente importante, ma che, secondo me, va correttamente coniugato anche con un altro diritto, altrettanto importante, che è il diritto al lavoro.
  Per diventare psicologi sono necessari cinque anni di laurea, un anno di tirocinio e 4-5-6 mesi per fare l'esame di Stato. Siamo a sei anni e mezzo. Dopodiché, per entrare nel sistema sanitario nazionale bisogna necessariamente acquisire una specializzazione almeno quadriennale. Siamo a undici anni di studio, costosissimi per la famiglia, per poi non avere alcuna possibilità di lavorare.
  Io credo che questo sia un dispendio, uno spreco, non soltanto per le famiglie, ma anche per lo Stato. Ci sono 60.000 studenti di psicologia nei vari corsi di laurea, che ormai sono presenti in tutte in tutte le regioni. L'offerta formativa è, dunque, sovradimensionata. Sarebbe necessario intervenire su questo aspetto. Questo creerebbe un risparmio certo e immediato.
  Non dico di abolire le facoltà, perché questo non è possibile, non sono tanto «matto» da proporre una cosa del genere. Ci sarebbe, però, un risparmio, un aumento della qualità della formazione, che pure è un altro problema. Un'altra questione riguarda, cioè, una formazione orientata alle reali necessità e ai veri bisogni, nonché ai mutamenti della società. In questo modo sarebbe anche più facile entrare nel mondo del lavoro.
  Spero di essere stato sufficientemente chiaro. Anche questa era una delle proposte, la programmazione degli accessi all'università, perché crea risparmio per lo Stato, aumenta la qualità e offre la possibilità a coloro che hanno già intrapreso il corso di studio di avere qualche probabilità in più di trovare uno sbocco professionale.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il nostro ospite per la sua presenza, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Coldiretti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, l'audizione dei rappresentanti della Coldiretti.
  Sono presenti il dottor Roberto Moncalvo, componente della Giunta esecutiva, e il dottor Romano Magrini, responsabile Ufficio politiche del lavoro.
  Ringraziandoli per la presenza, do la parola al dottor Moncalvo.

  ROBERTO MONCALVO, Componente della Giunta esecutiva di Coldiretti.Buongiorno ai componenti della Commissione. Vi ringraziamo per averci dato la possibilità di modificare leggermente il calendario per impegni che ci avrebbero impedito di essere presenti ieri. Cercherò di essere rapido e di fornire il nostro contributo ai lavori di questa Commissione, iniziando l'audizione con una breve premessa sul settore agricolo.
  In questi ultimi anni di grave congiuntura economica, che hanno reso sofferenti sostanzialmente tutti i settori produttivi, il settore agricolo ha, invece, espresso caratteristiche un po’ diverse. È l'unico settore, infatti, che, in controtendenza rispetto agli altri, ci ha mostrato indicatori interessanti sia dal punto di vista dell'incremento dell'occupazione, sia per quanto riguarda la crescita dell’export dei prodotti agroalimentari made in Italy, sia anche per l'effetto calmieratore sui prezzi al consumo che le iniziative di vendita diretta nelle loro più svariate forme hanno contribuito a fornire ai cittadini consumatori.
  La nuova occupazione che si è creata in questi ultimi anni è sostanzialmente di tipo subordinato, con lavoratori dipendenti a tempo determinato o indeterminato. A questa si è aggiunto un contributo importante del lavoro occasionale e accessorio, con i voucher.
  I numeri ci dimostrano che, da un lato, è aumentata l'occupazione con i contratti classici a tempo determinato e indeterminato, Pag. 19mentre, dall'altro, c’è stato un aumento attraverso i voucher, che ci permette di riconoscere la funzione che noi ci aspettavamo dai voucher stessi, ossia la possibilità che essi forniscano un contributo positivo in termini di formalizzazione di quei particolari segmenti di occupazione, come i pensionati e gli studenti, che difficilmente troverebbero una formalizzazione diversa.
  Non si registrano in agricoltura utilizzi impropri dei contratti di tipo co.co.pro, di false partite IVA o di associazioni in partecipazione. Il 95 per cento dei contratti è a tempo determinato. Questo ha fatto sì che gli ultimi interventi che abbiamo visto – dalla legge n. 92 del 2012, per esempio – molto centrati sulle assunzioni a tempo indeterminato e sui contratti di apprendistato, non abbiano potuto avere un utilizzo importante in termini numerici in agricoltura, anche per via di una tematica relativa agli aiuti di Stato, su cui ritornerò fra breve.
  Il punto su cui è importante riflettere è che il settore agricolo presenta indicatori interessanti in termini di export, oltre che di occupazione. Questi indicatori ci fanno anche ben sperare rispetto al futuro. Chiuderemo il 2013, se il trend continua in questo modo, con una crescita ulteriore del valore economico dei prodotti agricoli esportati, che passerà dai 30 miliardi del 2011 ai 32 del 2012, ai 34 ipotetici nel 2013. Noi crediamo che questi indicatori vadano sicuramente letti con attenzione. A essi devono seguire azioni dal punto di vista delle politiche del lavoro, perché le aziende inevitabilmente soffrono in termini di aumento dei costi di produzione e per alcuni settori anche in termini di non aumento del valore del prodotto agricolo in campagna.
  Noi riteniamo che sia interessante agire su otto linee di intervento diverse, che citerò in modo molto schematico. Queste linee di intervento devono avere la capacità di leggere le potenzialità del settore, ma anche di azionare misure che consentano di interpretare la peculiarità del sistema occupazionale agricolo, che, come dicevo prima, è costituito per la gran parte da contratti a tempo determinato. Lo richiedono la stagionalità delle produzioni e tutto il tema legato al meteo e, quindi, al tempo atmosferico. Cito le otto linee di intervento molto schematicamente.
  Per quanto riguarda la prima, l'incremento occupazionale, quelle che proponiamo sono azioni che derivano da questa lettura, cioè dal fatto che il 95 per cento dei contratti è a tempo determinato. Riteniamo interessante pensare a un credito di imposta che legga la capacità dell'impresa di aumentare per lo stesso lavoratore le giornate lavorative dall'anno precedente a quello in corso e, quindi, la capacità di un'impresa di aver aumentato per il lavoratore il numero di giornate lavorate. Su questo aumento di numero di giornate lavorate noi crediamo sarebbe interessante avere un credito di imposta che possa agevolare l'impresa in questo aumento di offerta di lavoro.
  La seconda leva è quella delle nuove assunzioni, che sicuramente rappresentano una possibilità per l'agricoltura. Da questo punto di vista lo sgravio totale della contribuzione per i nuovi assunti sarebbe ovviamente un'azione interessante, unita, per quanto ci riguarda, al riconoscimento per il nuovo assunto del regime previdenziale agricolo anche quando tale lavoratore si occupa sostanzialmente di attività connesse.
  Voi sapete, infatti, che lo sviluppo dell'attività agricola passa molto anche attraverso le attività connesse. La possibilità che il regime previdenziale agricolo sia applicabile sempre anche a questi lavoratori è una necessità che il nostro settore sente.
  La terza leva riguarda lo start-up delle nuove imprese. Il concetto di staffetta generazionale in agricoltura è molto legato alla situazione dei titolari di impresa. Oggi in Italia circa il 37 per cento dei titolari di impresa è over 65 e, quindi, potenzialmente ci sono 200.000 nuovi giovani che possono subentrare a queste altrettante imprese caratterizzate da titolari con età così avanzate e prossimi alla pensione.
  Per fare questo crediamo sia importante pensare a uno sgravio quinquennale Pag. 20e, quindi, alla sospensione del pagamento delle imposte e dei contributi per le nuove imprese che nascono proprio garantendo questo concetto di staffetta generazionale.
  Il quarto tema è quello dei tirocini. I tirocini sono sicuramente un'opportunità importante anche in agricoltura per far fare un'esperienza a un giovane che abbia la volontà di capire come funziona il mondo agricolo. Sono anche un modo importante per l'azienda di conoscere un potenziale nuovo lavoratore, un potenziale nuovo componente della squadra dell'azienda.
  Da questo punto di vista la norma attuale ci vincola alla presenza di un lavoratore assunto a tempo determinato o indeterminato. Poiché, come dicevo prima, la gran parte dei lavoratori è a tempo determinato, i tirocini spesso rischiano di non essere possibili, perché, quando viene a mancare il lavoratore a tempo determinato, manca il tutor.
  Considerata la caratteristica delle imprese agricole, nelle quali l'imprenditore ha un ruolo attivo e quotidiano all'interno del lavoro dell'impresa stessa, sarebbe importante che il tirocinio si potesse attivare anche quando, in mancanza di un lavoratore a tempo determinato, ci sia la figura dell'imprenditore a tempo pieno presente in azienda.
  Quanto all'apprendistato, ho già affermato che è una possibilità importante anche per arrivare a un contratto a tempo indeterminato. È importante semplificare le procedure, non applicare il contributo ASpI e cercare, se possibile, di mantenere le agevolazioni anche nel caso in cui la conferma sia anticipata e, quindi, il passaggio a tempo indeterminato sia anticipato.
  Quello degli aiuti di Stato, che rappresenta la sesta linea di intervento, è un tema importante per le imprese agricole, perché le regole comunitarie attuali ci impongono di non superare i 7.500 euro per quanto riguarda il cosiddetto regime de minimis. Ciò fa sì che le nostre imprese spesso non riescano a usufruire in modo pieno delle agevolazioni già previste, per esempio, sull'apprendistato con la legge n. 92 del 2012. Questo è l'esempio più eclatante, ma siamo anche vincolati rispetto alle risorse che l'INAIL mette a disposizione per interventi di adeguamento sul tema della sicurezza aziendale.
  Il settimo tema è quello dei voucher. Come dicevo prima, i numeri ci confermano che nelle zone in cui ci sono molti voucher ci sono anche molti aumenti di giornate lavorative. Pertanto, non si destruttura il mercato del lavoro, ma c’è un'opportunità in più per le figure che rischierebbero di non essere diversamente formalizzate. Noi riteniamo sia importante mantenere libera la contrattazione del corrispettivo, non appesantire troppo la burocrazia delle procedure e garantire la disponibilità costante dei voucher in forma cartacea.
  L'ultima leva, e chiudo, è quella del costo del lavoro. Per quanto ci riguarda la componente più importante del costo del lavoro per le nostre imprese è rappresentata dai contributi INAIL dovuti dal datore di lavoro agricolo per i propri dipendenti. Nel nostro caso l'aliquota è del 13,24 per cento. Per fare un confronto, l'aliquota più alta per i settori industriali è il 12 per mille. Abbiamo, dunque, un'aliquota decisamente importante, che probabilmente non è più adatta rispetto al grande lavoro di aumento della sicurezza sul lavoro nelle campagne che stiamo facendo e che inizia a portare anche in termini numerici i suoi primi risultati.
  Visto il tempo a disposizione, credo di poter chiudere qui quest'audizione. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Moncalvo.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GESSICA ROSTELLATO. Voi avete specificato che c’è stato un aumento dell'occupazione, il che ci fa piacere, perché c’è almeno un settore che vede un aumento di occupazione. Non ho, però, colto se avete specificato l'età delle persone che vengono occupate, se sono di età mista, Pag. 21oppure se c’è una preponderanza tra i giovani o tra le persone più anziane.
  Inoltre, vorrei sapere se le persone che vengono assunte hanno svolto studi di agraria, a livello sia di diploma, sia universitario, oppure se la questione è indifferente. Mi interessa sapere se gli studi riescono a fare accedere meglio a quel mondo del lavoro, oppure se vi arrivano persone da diverse esperienze.
  Per quanto riguarda, invece, gli imprenditori agricoli, voi dicevate che ci sarebbe la necessità di un riciclo degli attuali imprenditori, che hanno raggiunto ormai un'età prossima alla pensione. Volevo chiedervi come si potrebbe aiutare i giovani a entrare in questo mondo del lavoro. Voi vedete che c’è una richiesta, che ci sono giovani interessati, avete visto un aumento negli studi agrari ? Bisognerebbe fare qualcosa di più per sviluppare questo settore ?
  Infine, volevo chiedervi che cosa intendete per attività connesse. Io non conosco tantissimo la materia.

  MARIALUISA GNECCHI. Pongo una domanda veloce. Rispetto alla nuova ASpI e, quindi, alla modifica della disoccupazione, chiedo quello che avete valutato voi in termini di modifica rispetto ai requisiti ridotti e se avete intenzione, come Coldiretti, di avanzare richieste specifiche, in particolare rispetto al 2013, per i problemi meteorologici che ci sono stati, o comunque che cosa pensate al riguardo.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, svolgo solo una breve osservazione sui voucher. Come tutti sanno, li abbiamo introdotti al tempo del Governo Prodi per studenti e pensionati, per la vendemmia. Ora il loro uso si è un po’ troppo allargato, secondo me. Bisogna che i voucher rimangano sempre per la vocazione originaria, ossia per studenti e pensionati. Se diventano la sostituzione della manodopera, è problematico. Non so che cosa ne pensate.
  Sull'INAIL siamo d'accordo, perché i premi pagati sono eccessivi. Noi vorremmo diminuire i premi quando l'azienda dimostra incidenti zero, tributando una sorta di riconoscimento, di premio alla scommessa sulla sicurezza, purché l'azienda sia senza incidenti e senza infortuni.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ROBERTO MONCALVO, Componente della Giunta esecutiva della Coldiretti. Inizio in ordine con il tema dell'età. Sicuramente quello del ritorno dei giovani all'agricoltura è un tema che ruota intorno a tutto il settore nelle sue più svariate forme. Tale tema ha ripercussioni dal punto di vista sia delle assunzioni, sia dei giovani che cercano di tornare con un ruolo imprenditoriale nel settore agricolo.
  È chiaro che questa seconda opportunità è sicuramente più interessante e coraggiosa, ma anche molto più difficile da realizzare, perché l'accesso al bene terra è molto difficile in Italia. Spesso il nuovo giovane che torna in realtà è un nipote, che magari ha un nonno che ha della terra a disposizione e che viene rimessa in utilizzo. È già un fenomeno sicuramente interessante, ma che in termini numerici non può andare oltre in modo significativo rispetto al numero che ho fornito sulle aziende che oggi hanno come titolari gli over 65.
  L'età nelle assunzioni è sicuramente giovane. C’è un aumento di giovani anche per quanto riguarda le assunzioni.
  Sul titolo di studio registriamo un aumento delle iscrizioni negli istituti tecnici e anche nelle università, nelle facoltà di agraria. Questo conferma il fenomeno di attenzione al nostro mondo, che ha ormai assunto una rilevanza anche mediatica.
  Sempre con riferimento al titolo di studio è ovvio che sui lavori più semplici, che richiedono un livello di manualità più elevato, come la raccolta, il titolo di studio è tendenzialmente più basso, mentre su figure più professionalizzate nell'ambito di alcune fasi particolari della produzione o della trasformazione dei prodotti c’è un'incidenza maggiore di lavoratori che hanno titoli di studio più elevati.
  Sul tema della staffetta generazionale sicuramente c’è l'attenzione da parte dei Pag. 22giovani. Questa attenzione, come ho detto, ritorna anche in termini di ricerca della possibilità di aprire una nuova azienda agricola. La scommessa è quella di legarla a soggetti con età avanzata, che chiudono la propria esperienza, perché questo rende in automatico disponibile il bene terra.
  Da questo punto di vista io penso che un'azione come quella che proponiamo, unita alla prossima apertura della nuova Politica agricola comunitaria 2014-2020 e dei nuovi Programmi di sviluppo rurale, sicuramente potrà contribuire, in termini numerici, a un bel salto in avanti, che in questi ultimi due o tre anni si è visto poco, perché le risorse in molte regioni erano già impegnate su bandi aperti negli anni passati. Abbiamo visto, quindi, proporzionalmente un calo delle nuove aperture legato all'indisponibilità effettiva dei fondi.
  Le attività connesse sono, ai sensi dell'articolo 2135 del Codice civile, tutte quelle attività che sono a valle della produzione o dell'allevamento, come la trasformazione dei prodotti e la vendita diretta. Si aggiunge il caso particolare dell'agriturismo, che però ha una sua normativa storicamente attiva.
  Questi sono, sostanzialmente, i temi.

  ROMANO MAGRINI, Responsabile ufficio politiche del lavoro della Coldiretti. Per quanto riguarda l'ASpI, l'onorevole ha toccato l'unico aspetto che riguarda il settore agricolo e in parte i requisiti ridotti. In merito noi ci aspettiamo che ci siano alcune modifiche e alcune risorse a disposizione per poter soddisfare anche il settore agricolo.
  Sappiamo, infatti, che non sono tantissimi i lavoratori agricoli che si avvalgono dei requisiti ridotti. In agricoltura ci sono i 51isti, i 101isti e i 151isti che vanno per la maggiore, ma ci sono anche i 78isti, quelli con i requisiti ridotti. Noi ci aspettiamo che, al termine del percorso di analisi dell'indagine di questa Commissione, si possa arrivare a una semplificazione.
  Approfitto della parola per agganciarmi sul discorso dell'INAIL. Io credo, presidente, che, parlando di costo del lavoro, indipendentemente dalla sicurezza, che, torno a ripeterlo, deve essere la stella polare per tutti – siamo sicuramente d'accordo sulla sua proposta – si debba operare una riduzione secca. Quando noi parliamo di cuneo fiscale in agricoltura, dobbiamo parlare anche di qualche cos'altro, altrimenti sul cuneo fiscale rischiamo di non trovare niente.
  Dobbiamo intenderci, quando sosteniamo che il Governo vuole ridurre il costo del lavoro per quanto riguarda il settore agricolo. Per questo motivo io lanciavo questa come una possibilità. È l'unica vera aliquota che non tocca le pensioni dei lavoratori, ma qualche altra risorsa. Parliamo, infatti, del 13,24 per cento, che è un'aliquota importantissima per il settore agricolo.
  Chiudo sul discorso dei voucher, che ci ha visto spesso e volentieri parlare insieme. In merito io credo che le modifiche che sono state introdotte dalla Fornero, in relazione al discorso per cui l'anno precedente il soggetto non debba essere un lavoratore agricolo, abbiano messo l'ultimo bavaglio, incidendo sull'ultima tutela nei confronti dei lavoratori: se io l'anno scorso non sono stato un lavoratore agricolo, non destrutturo il mercato del lavoro, ma lo completo.
  Si tratta di uno strumento che per le nostre imprese, soprattutto quelle piccole e soprattutto quelle che non hanno altri operai, diventa importante poter utilizzare, proprio per arrivare a completamento e non per destrutturare.

  PRESIDENTE. Grazie. Ci rivedremo, credo, sempre che il Governo proceda la sua marcia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.50.