XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 23 di Mercoledì 3 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI

Audizione di rappresentanti di WRA – Web radio associate.
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 3 
Domanico Patrick , Presidente di WRA – Web radio associate ... 3 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 5 
Catalano Ivan (Misto-PSI-PLI)  ... 5 
Domanico Patrick , Presidente di WRA – Web radio associate ... 5 
De Lorenzis Diego (M5S)  ... 5 
Domanico Patrick , Presidente di WRA – Web radio associate ... 5 
Bianchi Nicola (M5S)  ... 6 
Domanico Patrick , Presidente di WRA – Web radio associate ... 6 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 6 

Audizione di rappresentanti di REA (Radiotelevisioni europee associate):
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 6 
Diomede Antonio , Presidente di REA (Radiotelevisioni europee associate) ... 7 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 10 
Betti Gabriele , Segretario Nazionale TV di REA (Radiotelevisioni europee associate) ... 10 
Diomede Antonio , Presidente di REA (Radiotelevisioni europee associate) ... 14 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 15 
Nizzi Settimo (FI-PdL)  ... 15 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 15 
Nizzi Settimo (FI-PdL)  ... 15 
Mura Romina (PD)  ... 15 
De Lorenzis Diego (M5S)  ... 16 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 16 
Diomede Antonio , Presidente di REA (Radiotelevisioni europee associate) ... 16 
Betti Gabriele , Segretario Nazionale TV di REA (Radiotelevisioni europee associate) ... 16 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 17 

Allegato 1 – Documentazione depositata dai rappresentanti di WRA – Web radio associate ... 20 

Allegato 2 – Documentazione depositata dai rappresentanti di REA (Radiotelevisioni europee associate) ... 25

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

  La seduta comincia alle 14.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di WRA – Web radio associate.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, l'audizione di rappresentanti di WRA – Web radio associate.
  Ringrazio il dottor Patrick Domanico e do il benvenuto alla delegazione. Do la parola al dottor Domanico per lo svolgimento della sua relazione.

  PATRICK DOMANICO, Presidente di WRA – Web radio associate. Ringrazio il presidente e tutta la Commissione per averci permesso di intervenire in questa indagine che riteniamo abbastanza importante. Noi siamo la principale associazione di categoria per quanto riguarda le web radio in Italia. L'associazione è nata nel 2005. Da quasi dieci anni diamo informazioni di tipo legale e tecnico a tutti i soggetti che intendono avviare un'attività di tipo radiofonico in rete. Abbiamo depositato un documento che sintetizza i temi principali che illustrerò nel corso della relazione.
  La nostra missione è sempre stata quella di tutelare le web radio, per garantire equità nella regolamentazione, promuovere le web radio, ampliare le diffusione e favorire il rispetto della legalità in rete. Abbiamo diversi accordi con la SIAE, per assolvere agli adempimenti relativi ai diritti d'autore in rete, e con la principale società che riscuote i diritti connessi. Sempre dal 2005 abbiamo stretto accordi con tutte le strutture del mondo delle web radio.
  Partiamo dicendo cosa sono le web radio. Vengono definite convenzionalmente web radio tutte le strutture che hanno un sito Internet e svolgono attività di tipo radiofonica. Anziché utilizzare un termine più tecnico, in maniera più facile si identifica la web radio in questo modo.
  Come funziona una web radio ? Dal punto di vista tecnico abbiamo un input, ovvero un segnale, che viene decodificato e inviato a un server e ritrasmesso per ogni dispositivo che si può collegare alla rete (come ad esempio computer, smart phone, tablet). C’è un parallelismo con le radio tradizionali, nelle quali abbiamo un input, ovvero un segnale, che parte, viene trasmesso tramite un trasmettitore, ripetuto con il ripetitore e fruito da tutte le radio.
  Avviare una web radio ha dei costi che distinguerei nelle tre forme tipiche di una web radio: amatoriale, dove non sono previste pubblicità e tantomeno donazioni; istituzionale e commerciale. Ho differenziato anche i costi con le nostre convenzioni, Pag. 4perché ovviamente cerchiamo di fare quello che fanno tutte le associazioni di categoria.
  In Europa i costi sono più o meno simili. Ci sono delle differenze per quanto riguarda le tipologie di radio. In Italia abbiamo la radio di tipo amatoriale e quella di tipo istituzionale, che sono simili alle radio non commerciali o no profit, come vengono definite in Europa, e le radio di tipo commerciale. Chiaramente ci sono delle tariffe favorevoli per le radio no profit che abbiano introiti annui inferiori a 7.000 euro e per le radio commerciali con introiti inferiori a 70.000 euro.
  Allo stato attuale è abbastanza facile realizzare una web radio in Italia. Grazie a un intervento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), con la delibera n. 606 del 2010, le strutture tipicamente riconducibili a web radio e web tv con introiti tipici di un'emittente radiofonica televisiva sotto i 100.000 euro non devono neanche richiedere l'autorizzazione. Questo è un bene, perché chiaramente si possono favorire molti più progetti.
  Nonostante le tariffe siano in linea con l'Europa, l'attuale tariffazione è legata alle visite nel mese delle pagine del sito Internet. Abbiamo un alto tasso di pirateria per quanto riguarda le emittenti regolari, ma soprattutto – questo è il punto più importante – le web radio sono escluse completamente dalla raccolta pubblicitaria rispetto alle radio tradizionali.
  Questo è un danno. Ho cercato di fornire un dato più o meno verosimile. Abbiamo circa 10.000 unità di posti di lavoro che mancano. Il calcolo è stato fatto su circa 1.200 emittenti, di cui 500 legali, con regolare licenza SIAE e SCF, un centinaio che trasmettono con musica libera e la restante parte totalmente illegale. Questo è un problema, perché, legato alla mancata raccolta pubblicitaria, fa sì che una web radio non abbia la possibilità di svilupparsi come un'emittente radiofonica. Ci tengo a precisare che per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria delle emittenti di tipo tradizionale il sistema ex Audiradio, o comunque quello che è ora in fase di lavorazione presso l'Agcom, sembra essere il migliore possibile. Per quanto riguarda il web, invece, noi sappiamo perfettamente in ogni momento quanti ascolti ci sono per un'emittente.
  Cito un esempio. Se un'emittente di tipo tradizionale ha 2 milioni di ascolti in media, sul web ne ha 5.000. Chiaramente questo dato viene omesso e questo va a sfavore di radio web che magari hanno molti più ascolti e non hanno la possibilità di poter competere con le radio tradizionali. Sembra un po’ un cane che si morde la coda, perché, non potendo raccogliere la pubblicità, automaticamente non si può investire in nuovi posti di lavoro e non può neanche crescere l'emittente in sé.
  Ne approfitto per fare una riflessione relativa alla percezione dei numeri. Siamo abituati a ragionare su numeri molto più alti (milioni), quando in realtà nella rete un sito Internet (esclusi Google, Amazon e le grosse strutture) ha migliaia di visite giornaliere e non riesce a fare quello che potrebbe.
  Passo ora a illustrare le condizioni ideali che noi pensiamo debbano essere realizzate. Innanzitutto bisognerebbe contrastare la pirateria in rete, per salvaguardare le emittenti legali che operano e tutti gli attori coinvolti. Mi riferisco agli autori e a tutti gli altri. Occorrerebbe soprattutto rendere disponibile la differenza tra le proiezioni dei dati rilevati sugli ascolti per le frequenze radio e tv in etere, digitale e satellitare e quelle di altri mezzi di comunicazione quali appunto le web radio e le web tv. Questo sarebbe il minimo per poter creare le basi per una competizione tra ambienti di trasmissione.
  Per questo motivo, noi nel 2012 abbiamo avviato un progetto che si chiama AudiWebRadio. A differenza delle indagini, rileviamo dati certi relativi alle radio che sono nostre associate. Abbiamo avviato una serie di studi. La metodologia è abbastanza semplice: ci si collega direttamente al server di ritrasmissione e si estrapola il dato, che poi viene lavorato per tutti gli usi di studio e di tipo commerciale.Pag. 5
  Vi ringrazio per l'attenzione. Se ci sono domande, sono a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  IVAN CATALANO. La normativa sui costi che ci ha rappresentato riguarda anche quelle radio che già trasmettono con il segnale normale e che vanno anche on line oppure si riferisce solo a radio che hanno esclusivamente un segnale on line ? Per esempio, ci si riferisce anche alla Rai o ad altre radio trasmettono sia in frequenza che sul web ? C’è qualche differenza ?

  PATRICK DOMANICO, Presidente di WRA – Web radio associate. Sono domande tipiche. Le emittenti tradizionali, avendo già delle autorizzazioni per andare anche in rete, pagano una cifra diversa da quella che riguarda le web radio. Si tratta di quello che viene definito il simulcasting: ossia la ritrasmissione anche sul web dello stesso segnale che è stato trasmesso in etere.
  I costi che ho fornito sono riferiti esclusivamente alle attività tipiche di radio web, cioè strutture che nascono sul web e trasmettono principalmente in quel modo. Chiaramente c’è da fare una distinzione tra la radiofonia tradizionale e la nostra: noi non avremo mai problemi di affollamento di frequenze. È chiaro che queste tariffe possono essere migliorate. Allo stato attuale, come dicevo poc'anzi, ragionano solo sul numero di visite del sito Internet e non magari sull'effettiva opera della radio, cioè gli ascolti. Questo è importante perché abbiamo radio con ascolti minimi che vengono tariffate come se fossero grossi network.

  DIEGO DE LORENZIS. Innanzitutto voglio ringraziare gli intervenuti. La mia domanda riguarda principalmente le nuove tecnologie, che in realtà non sono nuove, ma ormai si definiscono tali, in relazione, per esempio, all'utilizzo di siti come Spotify o altri siti simili e all'impatto che hanno. La vostra distinzione tra web radio legali e illegali fa riferimento ovviamente alla tassazione e ai dipendenti, che sono persone impiegate per le quali ci sono dei costi. Non riesco a capire, invece, la prospettiva nel considerarvi parte di un sistema più ampio che è ovviamente in forte mutazione.
  Ricordo quello che succedeva anni fa, quando banalmente per farsi un sito bisognava domandare alle società che creavano siti Internet e facevano questo tipo di operazioni. In seguito il web è diventato molto più accessibile a tutti.
  Da questo punto di vista, immagino che la possibilità di sopravvivere per quelli che fanno il vostro mestiere e hanno la vostra passione sia legata al fatto di essere aderenti a una «customizzazione» rispetto alle richieste degli utenti. Immagino che soltanto i grossi network abbiano la possibilità di profilare con attenzione i propri utenti in modo da dare le informazioni più attinenti.
  Non riesco a capire le prospettive che voi avete, per i prossimi dieci anni o anche di più, in merito a questo tipo di problematiche, tenuto conto del quadro generale in cui operate.

  PATRICK DOMANICO, Presidente di WRA – Web radio associate. Cerco di rispondere a tutte le domande. Parto dal presupposto che, come al solito, la differenza la fa il contenuto e non il contenitore. Strutture come Spotify sono cose diverse da una radio o da una televisione.
  Le comunico che ciò che accadeva quindici anni fa, cioè il rivolgersi a una società per farsi costruire un sito, avviene ancora. La differenza tra oggi e vent'anni fa è che, ad esempio, ci sono molti più tutorial. Con l'intraprendenza dell'individuo si può dar vita a costo zero a un sito, a un blog, a una radio o a una televisione. Partendo dal presupposto che ciò che conta è il contenuto e non il contenitore, sta poi alla bravura dell'editore del web – passatemi il termine – portare avanti il proprio progetto. Tuttavia, prima di rispondere Pag. 6a questa domanda, bisogna creare le basi per far sì che si possa competere.
  Da poco tempo, ad esempio, esiste un apposito codice attività all'ufficio delle entrate che identifica la radio web. Prima non c'era. C'erano una serie di difficoltà che non permettevano neanche di operare legalmente. La gestione era fatta in maniera informale.
  In base ai dati, i grossi network sono sicuramente più avvantaggiati. Questo vale anche per le radio locali. Non prendiamocela solo con i grossi network, anche perché io amo la radio e, di conseguenza, parlo di una cosa diversa, che sono appunto le web radio.
  Un'emittente radiofonico-televisiva tradizionale magari ha più probabilità di fidelizzare lo stesso ascoltatore o telespettatore anche sul web. Per le attività tipicamente web il lavoro è un po’ più difficile, perché si deve entrare nel mercato e poi mantenere la propria quota, fidelizzare l'utente. Non ci sono grosse differenze, per fortuna, perché abbiamo imparato un po’ tutti a utilizzare la rete, chi più chi meno.
  Le radio che fanno parte della WRA e che rappresentiamo hanno ascolti in alcuni casi superiori a quelli dei network. Non si capisce il perché non possano competere, come dicevo poco fa, nella raccolta pubblicitaria, vivere di vita propria e – ci tengo a dirlo – creare posti di lavoro, oltre a garantire per sé un proprio reddito.
  Spero di aver risposto alle domande. Se ci sono altre richieste, resto a disposizione.

  NICOLA BIANCHI. Anch'io ringrazio gli intervenuti. Ho una semplice domanda in merito ai costi che avete evidenziato. Nel caso dell'apertura di una web radio amatoriale, vorrei sapere se questi costi comprendono anche l'ipotesi in cui chi apre questa web radio trasmetta solo brani con licenze Creative Commons. Vorrei capire un po’ come funziona.

  PATRICK DOMANICO, Presidente di WRA – Web radio associate. In effetti, nel documento che ho depositato ho portato solo l'esempio delle strutture che utilizzano un repertorio tutelato. Fare una radio o una televisione con un repertorio libero segue altre dinamiche. Repertorio libero non significa necessariamente gratuito. In questo caso la radio amatoriale spende a oggi 973,56 euro, non raccoglie pubblicità e non riceve neanche donazioni. Ciò significa che è una radio che vuole trasmettere legalmente, quindi riconosce il diritto d'autore, i diritti connessi e opera in totale legalità e tranquillità.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. I tempi sono stati strettissimi, ma il contenuto mi pare estremamente interessante per quanto riguarda i nostri lavori. Noi siamo in dirittura d'arrivo con un'indagine conoscitiva. I materiali che ci avete consegnato hanno la stessa dignità di quelli che ci hanno lasciato sigle più conosciute e più autorevoli. Noi siamo molto sensibili al diritto dei piccoli.
  Ringrazio i nostri ospiti per la relazione e per il documento depositato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 14.30, è ripresa alle 14.35.

Audizione di rappresentanti di REA (Radiotelevisioni europee associate).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, l'audizione di rappresentanti di REA (Radiotelevisioni europee associate).
  Io ringrazio il dottor Diomede, presidente di REA, per aver accolto il nostro invito, e gli cederei subito la parola per il suo intervento introduttivo. Successivamente, se lo ritiene, potrà intervenire anche Gabriele Betti, segretario nazionale tv.
  Do la parola al dottor Diomede, presidente di REA, per lo svolgimento della sua relazione.

Pag. 7

  ANTONIO DIOMEDE, Presidente di REA (Radiotelevisioni europee associate). Grazie, presidente. Nella relazione cercherò di riepilogare lo stato dell'arte del settore radiotelevisivo, per poi illustrare un futuro assetto. Riteniamo, infatti, che sia opportuno fare una sintesi di ciò che sta succedendo nel settore radiotelevisivo, per poi vedere quali sono effettivamente i percorsi da intraprendere, anche in vista dello sviluppo del digitale che noi dobbiamo aspettarci, che è molto interessante e soprattutto, come esplicitato anche dalla Commissione, è mirato alla convergenza di tutti i sistemi.
  La REA (Radiotelevisioni Europee Associate) è l'associazione storica delle emittenti radiotelevisive locali, alla quale aderiscono 350 imprese radiofoniche e 125 imprese televisive locali, distribuite in tutte le regioni italiane. Siamo presenti con nostre sedi in tutte e venti le regioni.
  In virtù di tale presupposto, REA è stato membro della Commissione per l'assetto radiotelevisivo. Si è trattato di una Commissione molto importante, che aveva una funzione consultiva per il Ministro delle comunicazioni dell'epoca. Questa Commissione era un importante tavolo di lavoro per noi, perché ci dava la possibilità di confrontarci periodicamente sull'andamento delle normative, ma anche sulla realtà radiotelevisiva italiana del momento.
  In seguito, abbiamo registrato che questa Commissione era stata soppressa e non ne abbiamo mai saputo le ragioni. Non siamo più stati convocati e abbiamo saputo a posteriori che la Commissione, per decreto legislativo, era stata soppressa.
  La REA è iscritta nel Registro dei rappresentanti di interessi della Commissione europea.
  Abbiamo partecipato al Comitato per lo sviluppo dei sistemi digitali, che fu un istituito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  La REA ha dato vita, in epoca abbastanza remota rispetto allo sviluppo tecnologico, che ha avuto un andamento così rapido, al consorzio più importante d'Italia: il consorzio Eurodab Italia. Questo consorzio radiofonico è sopravvissuto a tutte le vicissitudini che si possono immaginare quando si intraprende una strada nuova come quella del digitale, dove ci sono investimenti importanti da fare e dove c’è tanta capacità, anche imprenditoriale, da mettere in campo.
  Io sono il rappresentante legale della REA, alla mia destra c’è il segretario nazionale, Gabriele Betti, che si occupa del settore televisivo. Peraltro, lui è l'editore di un'importante televisione delle Marche (TVRS), quindi è una persona alla quale si può fare tranquillamente riferimento per le esperienze attuali e passate.
  Il dottor Giovanni Tanzariello, che mi doveva accompagnare dalla Puglia, non è potuto venire e ha preparato un contributo che deposito. La sua presenza per noi era abbastanza importante, soprattutto per riferire ai parlamentari una situazione contingente di cui stiamo soffrendo. Mi riferisco ai dodici canali che la Puglia perde rispetto ai diciotto che ha a causa delle interferenze. Ciò comporta 35 imprese a rischio di chiusura e 1.000 posti di lavoro in bilico.
  Entrando nell'argomento, faccio un excursus molto veloce sul digitale televisivo terrestre, che, come sapete, è stato imposto per legge. Avremmo preferito che fosse stato portato per mano durante il difficile percorso dell'evoluzione tecnologica, anziché vederlo incautamente abbandonato nelle mani della lobby dell'elettronica di consumo e di quella di produzione delle reti. Questo è successo. Un appuntamento così importante, che il Paese si aspettava, non poteva essere abbandonato a se stesso. Andava, se mai, accompagnato passo per passo, per vederne i benefici e la ricaduta, soprattutto sulla società dell'informazione.
  In sintesi, noi riteniamo che rispetto a questo argomento lo standard DVB-T, il cosiddetto T1, ovvero la fase attuale, poteva essere evitato. Potevamo fare un salto direttamente al DVBT-2, al cosiddetto T2, cioè al nuovo standard europeo, che è più evoluto rispetto al T1. In questo modo, nel giro di pochissimi anni l'utenza si troverà a dover subire una nuova rottamazione di tutti i televisori e dei decoder e gli operatori Pag. 8si troveranno a rimettere mano un'altra volta alla rete. Infatti, la rete del T1 è diversa da quella del T2 e va assolutamente cambiata.
  Voi capite bene che in meno di cinque anni fare due operazioni di questa portata è veramente problematico. Mettiamo a carico delle famiglie un costo aggiuntivo del decoder, perché quello attuale non sarà assolutamente idoneo e bisognerà provvedere a metterne uno nuovo. I benefici quali sono ? Sulle famiglie nessuno. Ci sarà una nuova spesa da affrontare per poter comprare i decoder. Noi, come dicevo, dovremmo ammodernare la rete.
  C’è un altro problema: tutto questo movimento può far pensare a un mercato dinamico, ma in realtà le nostre imprese non hanno nessun vantaggio, perché tutti i televisori con decoder integrati e i decoder nuovi vengono prodotti all'estero. Noi abbiamo fatto un grandissimo favore a tutte le aziende asiatiche, dal Giappone alla Cina, e a quelle di Olanda, Stati Uniti e Germania. A noi non viene in tasca un quattrino. Ci viene data solamente una tecnologia nuovamente cambiata, dopo cinque anni, senza che le nostre aziende usufruiscano di nessun beneficio.
  Noi ci siamo posti questo grosso interrogativo. Visto che il cambiamento è stato così breve, forse era il caso di aspettare qualche anno e fare un salto direttamente al T2, per fare un solo cambio e nello stesso tempo avere più tempo per consentire a noi di fare nuovi investimenti e al legislatore di seguire bene questa vicenda.
  Noi siamo convinti che la fretta di realizzare il T1, quello che noi vediamo in televisione, ha impedito il controllo e le verifiche del legislatore e delle istituzioni a ciò preposte. Il passaggio è stato fatto troppo in fretta ed evidentemente non si poteva star dietro a tanti problemi. A cose fatte, dobbiamo prenderne atto e andare avanti, però vi racconto questa cosa per indurre a riflettere seriamente sul futuro assetto. Il T2 da qui al 2017 sarà una realtà. I televisori che abbiamo, come sapete, dal primo gennaio non verranno più prodotti. Verranno immessi sul mercato quelli con decoder integrati di nuova generazione. Arriveremo al 2020 con televisori nuovi e i vecchi saranno tutti rottamati. Questo è il punto.
  Ci vorrà sicuramente un assetto, anche legislativo, diverso rispetto a questo scenario. Soprattutto, occorre investigare sulle eventuali ricadute di questo nuovo scenario sull'emittenza locale. Arrivo al punto. Voi sapete benissimo che il settore televisivo nel campo analogico raccoglieva in sé le due figure operative, quella del fornitore di contenuti e quella dell'operatore di rete. Infatti, lo stesso soggetto praticamente rappresentava l'azienda. Oggi i due ruoli sono stati divisi: il fornitore di contenuti ha una funzione, che è quella di fare programmi, e l'operatore di rete ne ha un'altra, che è quella di avere una rete.
  Questo scorporo di funzioni e anche di professionalità, per quanto ci riguarda, comincia a preoccuparci, perché stiamo notando che si procede con provvedimenti normativi frammentati e non ci viene mai presentato un punto di arrivo. Non ci viene detto dal Ministero dello sviluppo economico, in particolare dal dipartimento delle comunicazioni, ciò che si intende fare, non dico nel lungo termine ma neanche nel breve termine, cioè a distanza di un anno.
  Cito l'esempio della Puglia. A distanza di sei mesi sono stati consegnati i diritti d'uso delle frequenze per vent'anni e poi sono stati ritirati. Voi immaginate quali aziende in Italia potrebbero resistere a una cosa di questo tipo. Aziende che hanno investito milioni di euro per fare le reti il 31 dicembre 2014, teoricamente saranno chiuse. Questo è il problema.
  Ci viene detto: «voi come fornitori di contenuti non verrete cancellati, però andatevi a trovare il posto altrove, cioè in un altro operatore di rete per diffondere i vostri contenuti». Cosa fa questa azienda con la rete che ha ? Vengono dati dei quattrini per consentire la rottamazione. Il fondo messo a disposizione, secondo noi, è abbastanza limitato, ma non è solo questo il problema. Il problema è che questo soggetto, che fino al 31 dicembre 2014 fa il fornitore di contenuti e ha una rete su Pag. 9cui ha investito, si vede sfilato da sotto il naso il ramo principale dell'azienda. È una perdita sicuramente molto importante da un punto di vista patrimoniale e anche dal punto di vista delle funzioni professionali, perché l'azienda sarà costretta a fare dei licenziamenti e a ridimensionare tutta la propria attività, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare.
  Se questi scenari fossero stati previsti e se il Ministero dello sviluppo economico un anno fa o due, quando abbiamo cominciato questa avventura del digitale, ci avesse chiesto di metterci a tavolino e di dare una mano a capire come avviare lo sviluppo tecnologico – noi, senza falsa modestia, siamo operatori e conosciamo bene il nostro mestiere – avremmo potuto aiutare il Ministero a capire come si sviluppa il nostro lavoro professionale. Con il dovuto rispetto per le professionalità dell'amministrazione competente, un consiglio a volte non è assolutamente superfluo. Li avremmo aiutati e avremmo programmato il nostro destino, come si fa in tutte le aziende.
  Anziché dare dei soldi e mandare i dipendenti a casa, si sarebbe potuto chiedere all'azienda di fare una scelta, facendo presente che rimanere sul campo equivaleva a dover dimensionare i propri investimenti e dopo cinque anni lasciare la partita. Questo non ci è stato detto. Abbiamo fatto quattro pianificazioni per due anni, con modifiche sempre continue. Questo non è possibile. Abbiamo visto i dettati legislativi, li conosciamo bene. A nostro modo di vedere, adesso c’è un elemento di distorsione delle leggi del settore.
  La legislazione sull'assetto televisivo italiano, così come fu prevista dalla legge Mammì, a nostro giudizio, è una delle più avanzate. Ai tempi della legge Mammì non si poteva neanche immaginare lo scenario di oggi, ma il legislatore dell'epoca aveva già intuito che c'erano dei cambiamenti fortissimi da fare e aveva auspicato di fare una rapidissima pianificazione sia della radio che della televisione. Il legislatore dell'epoca addirittura ci dava un tempo di 700 giorni per poterlo fare, quindi aveva previsto uno scenario dinamico nel settore radiotelevisivo.
  Evidentemente non è stata rispettata la pianificazione di allora. Abbiamo aspettato venti anni per averne una e ora che ne abbiamo una, con l'evoluzione tecnologica del digitale, ogni sei mesi si cambia. Inoltre, ci siamo accorti che, non solo si cambia, ma queste pianificazioni vengono fatte con lo spirito di uno sviluppo tecnologico che non è, a nostro avviso, né funzionale alle aziende di produzione né – permettetemi di dirlo – alla società.
  Noi ci chiediamo qual è l'offerta televisiva che offriamo noi in digitale rispetto a quella analogica. Basta prendere un telecomando una sera qualunque e vedere cos’è cambiato. Si narra questa storia fantascientifica che sono aumentati i programmi. Sono tutti programmi vecchi e ridondanti che si trasmettono per occupare una risorsa così preziosa e importante come quella dello spettro. Potevamo e possiamo ancora impiegare quella risorsa diversamente. Perché mettere cinque o sei programmi su altre numerazioni che sono gli stessi che già sono stati trasmessi ? Non ha senso.
  Non ci sono capacità di investimento da parte nostra per fare programmi nuovi, perché la programmazione costa. I costi della programmazione sono terribili. Questo riguarda gli editori locali, ma anche quelli nazionali. La Rai non sta meglio di noi. Mediaset forse si salva un po’, perché essendo privata ha maggiori stimoli ai ricavi. Quindi, non abbiamo la possibilità di mettere programmi nuovi, perché non ne abbiamo e se li andiamo a costruire costano parecchio.
  Mi permetto di dire che sul tema della pianificazione e dell'uso efficiente dello spettro – qui voglio arrivare – dobbiamo fare veramente una riflessione seria. Domandiamoci oggi che cosa stiamo combinando per poter programmare un futuro migliore.
  Noi abbiamo individuato in cinque passaggi questo futuro migliore. Non bisogna buttare tutto alle ortiche. Facciamo ancora in tempo a ripensare lo sviluppo tecnologico Pag. 10del digitale e i vantaggi che ci può dare. I passi sono cinque e sono quelli già dettati dalla legislazione. Basta applicare quelli, non bisogna fare leggi nuove.
  Che cosa dice la legislazione ? Per quanto riguarda le emittenti locali, afferma che un terzo della capacità trasmissiva utile deve essere data esclusivamente all'emittenza locale, per tutelare il pluralismo e quanto garantito dall'articolo 21 della Costituzione. Questo è importante. Una volta ottenuto questo terzo, bisogna fare il secondo passaggio, ovvero pianificare, utilizzando le frequenze buone, coordinate e riconosciute dall'Europa, e non quelle frequenze che ogni sei mesi cambiano e vengono rottamate, perché questo crea incertezza e problemi. Ci sono 21 canali buoni, e di questi il Ministero ce ne dovrebbe dare sette. Su questi noi possiamo lavorare, però devono essere frequenze certe per vent'anni, così come il diritto d'uso che abbiamo ricevuto prevede.
  Il terzo passaggio è quello della numerazione dei canali sul telecomando, che è una cosa importantissima. Se alle nostre emittenti ex analogiche non vengono riconosciuti i diritti d'impresa che sono stati acquisiti in 35 anni di lavoro, sia di uso pre-uso che in qualità di concessionari, abbiamo distrutto le imprese.
  Signori, abbiamo delle imprese che lavorano da 35 anni in questo settore. Non possiamo mandare a gambe all'aria un'impresa perché, pur avendo avuto una frequenza buona, sul telecomando ha il numero 1.000 e non la vede più nessuno. In questo modo la distruggiamo, perché scompare dal video.
  C’è una diatriba in corso con l'Agcom. Come sapete, noi siamo stati tra i promotori di una contestazione al Tar. I magistrati hanno dato ragione a noi e hanno annullato quella delibera. Io mi permetto di dire che siamo il primo Paese al mondo dove ad un'Autorità viene annullata una delibera così importante. Un'Autorità di garanzia che si vede annullare dalla magistratura una delibera di tale rilievo, secondo me, non è più di garanzia. Quando la magistratura nomina un commissario ad acta che la sostituisce, questa Autorità non è più di garanzia e dovrebbe avere, quantomeno, il buoncostume di ripensare le proprie posizioni.
  Scusate se mi sono dilungato. Abbiamo in ogni caso predisposto una documentazione più dettagliata, che mi auguro possa essere presa in considerazione.

  PRESIDENTE. Il suo intervento è stato molto chiaro e molto ampio. Diamo la parola al suo collega, il segretario nazionale delle televisioni di REA, Gabriele Betti.

  GABRIELE BETTI, Segretario Nazionale TV di REA (Radiotelevisioni europee associate). Buonasera a tutti. Sono l'amministratore di un'emittente televisiva delle Marche. Vorrei ricordare la genesi delle televisioni locali. Le emittenti locali sono nate prima delle televisioni nazionali private. Infatti, quando noi abbiamo iniziato a fare televisione, c'era solo la Rai; per poterlo fare abbiamo dovuto commettere un vero e proprio abuso di legge, perché la legge non ce lo consentiva. Gli editori che hanno iniziato nel 1976-1977 sono stati denunciati perché violavano delle precise norme che riservavano alla Rai e allo Stato il diritto di fare informazione mediante lo strumento televisivo e radiofonico.
  Noi abbiamo iniziato in questa maniera, ma nel tempo queste nostre attività, poi riconosciute progressivamente dalle varie leggi (legge Mammì e seguenti), sono diventate delle imprese. Abbiamo svolto fondamentalmente un servizio al territorio. Siamo nati per fare informazione, per far conoscere il territorio e per sviluppare la sua economia. Le imprese che hanno fatto pubblicità attraverso i nostri canali inizialmente erano imprese di piccolo territorio. In seguito sono cresciute, hanno travalicato il territorio e sono diventate nazionali. Alcune sono cresciute di enorme dimensione anche all'estero. Chi passa per la dimensione locale molto frequentemente nell'economia diventa grande, ma noi siamo voluti rimanere piccoli. L'attività della televisione locale è legata a una Pag. 11dimensione poco più che provinciale e tipicamente regionale. Noi non volevamo essere alternativi, ma complementari all'attività della Rai.
  In seguito, però, in conseguenza del nostro progetto, sono nate le realtà nazionali, ossia emittenti che, usando lo strumento dell'essere fintamente locali, sono diventate poi nazionali. La legislazione ha riconosciuto loro qualcosa di più. Loro sono diventate l'importante televisione nazionale, mentre noi siamo rimasti una cosa che non esito paragonare a Cenerentola. In questo percorso noi siamo stati molto marginalizzati.
  Questo è molto disdicevole, perché la nostra intenzione era solo quella di offrire un servizio al territorio, come abbiamo fatto dagli anni 1970 a oggi con continuità. Il passaggio alla televisione digitale terrestre doveva garantirci, come in altre nazioni, la prosecuzione serena e indenne di questo tipo di lavoro. Purtroppo, nella realtà, è avvenuta una cosa molto diversa.
  Nel momento del passaggio alla televisione digitale l'Italia è andata a reclamare un numero di canali. Uso questo termine. Sentirete queste tre parole: canali, frequenze e mux. Sono tre sinonimi. Noi abbiamo ottenuto un numero altissimo di frequenze dal consesso internazionale. Inizialmente, come dichiara la stessa Agcom, erano 25, poi sono state ridotte a 22 e poi ancora a 21. Non è molto importante il numero, quanto l'enorme differenza con quello che hanno ottenuto le altre nazioni. La Francia, l'Inghilterra, la Spagna e la Germania hanno chiesto e ottenuto solo otto frequenze.
  Con ognuna di queste frequenze si trasmettono almeno dieci programmi televisivi. L'Italia ha avuto in prima battuta la capacità di trasmettere 250 programmi televisivi rispetto ad altre nazioni, non meno industrializzate ed economicamente forti di noi, a cui bastavano otto frequenze. Come le hanno usate le altre nazioni ? Le altre nazioni sono state accorte nell'uso, perché lo spettro era poco abbondante e, quindi, lo hanno usato con cura. Innanzitutto, hanno riconvertito tutto quello che esisteva all'interno di queste frequenze, sia le televisioni nazionali (in Inghilterra la BBC, in Francia la TDF) che quelle private. Con le prime due-tre frequenze hanno completamente sostituito le precedenti reti in analogico. Le ulteriori reti sono state messe all'asta per creare introito economico e per dare sviluppo soprattutto a soggetti che immettessero forte investimento nel settore.
  Questi dati sono reperibili. Non sono dati che ho prelevato da Internet e non esprimono una posizione personale. Sono riportati in maniera estremamente nitida in un documento che la stessa Agcom ha redatto a giugno e che purtroppo ha pubblicato soltanto quindici giorni fa. Questo studio, che guarda sia alle nazioni europee che a quello che è avvenuto in Italia, individua chiaramente che l'utilizzo di queste frequenze doveva essere molto attento.
  Cosa avviene, invece, in Italia ? L'Italia prende 25 frequenze e non pensa di doverle utilizzare intelligentemente, distribuendole tra i soggetti già esistenti di tv nazionale e salvaguardando l'esistenza di tutti i soggetti locali. Vorrei precisarvi che l'Italia ha avuto questo numero così elevato perché nel contesto internazionale ha fatto valere il fatto che quelle frequenze servivano per salvaguardare l'esistenza in vita delle imprese locali e il lavoro di tutti i soggetti che operavano nella televisione locale. È stato detto che l'Italia ha tante tv locali, che sono nate sulla base della Costituzione perché tutelavano un diritto e, per diritto, si doveva continuare a farle esistere, in quanto ormai erano posti di lavoro.
  La Comunità europea non si è opposta minimamente, anzi ha sviluppato e sostenuto questo progetto, con vari tipi di raccomandazioni. L'elemento fondamentale è stata l'assegnazione delle frequenze. Purtroppo, quando si è arrivati a distribuire queste frequenze, nonostante la legge Mammì e la seguente legge Gasparri del 2004 – scusatemi se le chiamo con i nomi degli estensori, mai è più chiaro per chi già le conosce – prevedessero la riserva del 30 per cento per l'emittenza locale, questa norma non è stata applicata. Pag. 12Hanno preso quelle 21 frequenze e le hanno attribuite in toto alle 21 televisioni nazionali che c'erano già. Non è stata fatta un'applicazione scalare, iniziando a consumare le prime tre, quattro o cinque frequenze o mux e riservando le altre per una gara.
  Se avessimo fatto una cosa di questo tipo, con sei o sette frequenze al massimo anche noi in Italia avremmo sostituito l'esistente e continuato a far lavorare tutte le emittenti locali. Questo non è stato fatto e non abbiamo avuto l'effetto di disporre di 15-18 frequenze da poter mettere a gara. Cosa avrebbe prodotto un'ipotetica gara ? Rifacendosi ai documenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'unica gara che è stata esperita in Italia, l'unica frequenza venduta ha prodotto 31 milioni di euro per vent'anni di assegnazione. Siccome la frequenza è stata attribuita quando già tutto era avvenuto, non c'era più tutto il valore economico, per cui il ricavo è stato «solo» di 31 milioni di euro, ma avrebbe potuto essere di 50. Immaginatevi cosa avrebbe prodotto la moltiplicazione di 50 milioni di euro per 18 frequenze. È una stima che si avvicina ai 2 miliardi di euro, che sono andati perduti per dare gratuitamente queste frequenze, anziché riconvertirle solo al fine di fare quello che serviva per predisporre una gara finalizzata alla crescita del settore, facendo in modo che nuovi investitori immettessero liquidità e producessero occupazione. Si è difesa l'occupazione, ma non si è creato un vantaggio con le frequenze.
  Arrivati al momento delle televisioni locali, finite le disponibilità europee, è stato deciso di assegnarci delle frequenze, perché qualcosa ci dovevano pur dare. Io lo considero un grandissimo errore (uso una parola molto tenera) di gestione del bene pubblico. Se avessero fatto l'operazione che ho illustrato poc'anzi, ci sarebbero stati il guadagno e la garanzia. A noi, invece, hanno attribuito frequenze non assegnateci dall'Europa.
  Ciò ha generato quella lamentela internazionale che si è propagata attraverso l'Unione internazionale delle telecomunicazioni e che ha portato a dei richiami in sede europea. Noi violiamo la logica di non interferire con le altre nazioni. Questo ormai è avvenuto. Non siamo stati convocati per cercare una soluzione. Noi potremmo fare delle proposte. Ci viene detto che dobbiamo brutalmente spegnere entro il 31 dicembre 2012, nonostante abbiamo ricevuto dei documenti dove c’è scritto che siamo autorizzati per vent'anni e dove sono specificati dei dati tecnici. Noi abbiamo rispettato quei dati tecnici e il Ministero non ce li ha contestati, perché sapeva che ci assegnava una cosa che non ci poteva assegnare.
  Il Ministero ha dato all'Agcom questo pacchetto di frequenze da assegnare, e l'Autorità le ha semplicemente disciplinate sulla carta, senza fare nessuna ulteriore valutazione, e le ha restituite al Ministero. Quest'ultimo ce le ha date per accontentarci sui numeri.
  Due anni dopo il passaggio al digitale, scaglionato nelle varie regioni, succede questo disastro. Ci dicono che noi dobbiamo chiudere le trasmissioni su quelle frequenze, ci viene dato un esiguo risarcimento, perché viene previsto un meccanismo di questo tipo, e non ci viene data nessuna garanzia su come proseguire l'attività.
  Il Governo si è reso conto e ha predisposto un emendamento alla legge di stabilità. Purtroppo anche questo emendamento non ci è stato minimamente anticipato, e ne abbiamo potuto prendere conoscenza per vie traverse. Questo, nell'ambito del mestiere che svolgiamo, è sconcertante. Non abbiamo potuto avere la precedente conoscenza della modifica che si intendeva apportare.
  Questo emendamento crea un ulteriore danno: alcune frequenze, che magicamente saltano fuori dalla manica del Ministero, vengono rimesse a un'ipotetica asta qualitativa non ben chiara. Temiamo che vadano in mano ad altri soggetti e che poi noi dovremo pagare per poter trasmettere. Si viola il principio di equità, che era previsto in tutte le leggi precedenti, per cui se si dà la frequenza all'emittente nazionale, la si dà anche all'emittente locale. Pag. 13C'era un rapporto quantitativo (70 a 30) a favore della nazionale, che comunque nella nostra misura era accettabile e l'abbiamo sempre ritenuto valido. Questo principio ora salta e non siamo in grado di guardare al futuro. In questi giorni noi non siamo in grado di interloquire con nessuno. Ci si predispone un futuro molto brutto e pericoloso.
  Forse questo fa parte del percorso che l'Italia vuole affrontare e della maniera in cui vuole farlo. L'Italia deve obbedire alle norme comunitarie, ma sembra che faccia di tutto per trovare sistemi di aggiramento alla normativa stessa. Questa è una delle cose più chiare. Abbiamo ottenuto tante frequenze perché spettavano a noi, ma poi in realtà ci vengono assegnate cose che non ci permettono di vivere.
  Non so in che modo la vostra Commissione possa incidere in questo momento, ma perlomeno nel momento successivo del percorso si tenga conto che, se si vuol far proseguire questo settore di informazione locale, deve essere quantomeno tutelata la possibilità di esistere. In qualunque procedimento successivo di evoluzione questi sono meccanismi che non si debbono ripetere. Noi ci sentiamo colpiti veramente nel modo peggiore.
  Non so come reagirà il nostro settore. Noi stiamo cercando di capire. Ogni editore è rimasto sconcertato da questo ipotetico percorso non voluto dalla politica. È chiarissimo per noi che quell'emendamento non è stato scritto da nessun politico, ma è stato scritto da funzionari ministeriali preoccupati delle sentenze per l'LCN, come diceva il nostro presidente, e anche del fatto che noi avevamo già fatto ricorso contro i provvedimenti dell'Agcom, che individuava le frequenze da spegnere, quando erano state definite idonee solo due anni fa.
  Questa classe burocratica forse tiene in mano il Paese. Non mi sento di dirla in termini diversi. Il Paese forse non è in mano alla politica nel senso più chiaro del termine. I burocrati, quando hanno sbagliato, non vogliono ammetterlo. Quando devono risolvere un problema, non lo vogliono risolvere. Questo tipo di documento ce lo indica chiaramente. Si cerca soltanto di levare di torno dei fastidiosi aventi diritto, come riteniamo di essere noi. Dobbiamo essere levati di torno perché non si sa come altro risolvere il problema, dopo 35 anni che facciamo questo lavoro su frequenze che sono state legittime fin dal primo giorno per effetto di una sentenza della Corte costituzionale e che oggi all'improvviso diventano non più legittime solo per noi.
  In questo contesto la radiofonia digitale è un altro problema. In quelle poche righe di questo emendamento sembra che le frequenze che magicamente saltano fuori dal Ministero sono le stesse che dovevano essere utilizzate per la radiofonia digitale. Si contrabbanda nuovamente una cosa che l'Europa ci ha dato per una determinata operazione, spostandola su un'altra. Questo emerge chiaramente. I numeri sono quelli delle frequenze predisposte per il DAB.
  Con questa previsione, non so se il passaggio alla radiofonia digitale si potrà fare. Se quelle frequenze dovessero essere le stesse che ipoteticamente, nella mente dei ministeriali, salvano la brutta partita che si è venuta a creare, non potremmo fare la radiofonia digitale.
  Chi gira con la macchina ha sentito che la radio spesso in molte zone si sente male, ci sono scariche e sovrapposizioni. Questo deriva dal fatto che quel segmento non è stato mai ben organizzato. Basterebbe una ripianificazione. Con gli strumenti tecnologici di oggi e la possibilità di usare la medesima frequenza, sarebbe possibile farlo.
  Anche in questo, tuttavia, non c’è un colloquio con gli uffici del Ministero. Nessuno vuole ascoltare le nostre associazioni. Fino a due anni fa avevamo dei colloqui. Negli ultimi due anni, da quando siamo passati al digitale con la televisione, il Ministero si è chiuso a riccio e non vuole più ascoltare la nostra interlocuzione.
  L'ipotesi di passare alla radiofonia con una ripianificazione e abbandonare la radiofonia digitale è plausibile, ma deve essere decisa in maniera comune e comunicata all'Europa, perché il passaggio alla Pag. 14tecnologia digitale radiofonica è uno degli obiettivi che la Comunità europea si è data, per un motivo abbastanza valido. Anche in questo, la pianificazione deve coinvolgere tutte le nazioni. Non è possibile che una nazione rimanga in analogico e l'altra passi al digitale.
  Noi non abbiamo una chiarezza sulle frequenze e continuiamo a commettere errori su errori, anziché fermarci, capire quali sono gli errori e guardare avanti evitando di ripeterli. Se continuiamo a commettere errori in questa maniera non faremo neppure la radiofonia digitale e continueremo ad avere una ricezione radiofonica di pessima qualità in molte zone d'Italia.
  Concludo con due parole relative alla migrazione e alla convergenza delle reti, uno dei pilastri di questa Commissione. Nell'andare verso la televisione diffusa su rete Internet e, quindi, raggiungere le case con un programma trasportato dalla rete Internet, c’è un problema di fondo. Anche di questo potete trovare traccia, perché lo hanno spiegato bene i consulenti che hanno redatto lo studio dell'Agcom a cui faccio riferimento nella mia relazione.
  La rete Internet è nata 40 anni fa per applicazioni militari. In passato non aveva la potenza e la capacità di fare quello che sta facendo oggi. È già un miracolo lo sviluppo della grande potenzialità della rete Internet, che tutti viviamo nel quotidiano.
  Purtroppo nel caso di una tecnologia particolare, ovvero per trasportare immagini televisive in movimento, è richiesto un flusso continuo e stabile di dati, altrimenti l'immagine non si vede o subisce interruzioni. Questo è il fenomeno che tutti proviamo quando guardiamo uno streaming su Internet. Affinché il sistema della rete possa trasportare stabilmente i dati della televisione occorre installare su migliaia di nodi della rete di ogni nazione degli speciali server che sono descritti nei dettagli in quella relazione. Chi è interessato, può vederlo lì.
  La presenza di questi server garantisce che la televisione diffusa su Internet sia correttamente ricevibile nelle case di ognuno. Senza quei server non si potrebbe trasmettere la televisione con una visione stabile, se non per un ristretto numero di utilizzatori.
  Pertanto, c’è un nuovo strumento da controllare e un processo da dominare, prima che sfugga di mano. Se questi server sono in mano a qualche organizzazione economica che ne fa un business particolare, quell'organizzazione economica potrà decidere cosa si vede bene e con continuità. Chi non passa attraverso quei server fruirà della rete generale, secondo il cosiddetto principio del best effort (tradotto in italiano «alla meglio»). La rete Internet funziona su questo principio. In queste condizioni, occorre un regolatore che individui chiaramente che quelle reti devono funzionare bene anche per la televisione e non possono far passare qualcuno perché paga e qualcun altro no perché non paga o per altri motivi.
  Questo è uno dei temi che vi sottopongo. Se necessario, sono in grado di darvi più dettagli su questo argomento. Credo che questo problema sia sfuggito anche nell'ambito della pianificazione europea del segmento della televisione su Internet o IPTV, come viene più comunemente descritta. Se questa questione non viene affrontata prima, poi ci sarà il solito problema. Quando una cosa è scappata dalle mani, rimetterla in linea è molto complesso.

  ANTONIO DIOMEDE, Presidente di REA (Radiotelevisioni europee associate). Vorrei aggiungere una riflessione conclusiva. Ringraziandovi per l'attenzione, che vedo molto forte, vi rivolgo un appello. So che vi arrivano molte carte, ma in ragione dell'importanza che ha questo problema, vi invito a leggere i documenti che abbiamo depositato, in cui c’è molto di più di quello che noi abbiamo esposto. Forse non siamo riusciti a essere esaustivi, perché la materia è veramente complicata.
  Non vogliamo essere pessimisti, ma vogliamo dare un'impronta di positività al problema. Nonostante tutto questo quadro, noi ce la possiamo fare a rimettere in piedi un assetto dignitoso della radiotelevisione Pag. 15e degno di questo nome e a fare anche bella figura in Europa, perché, come diceva Betti, le risorse ci sono state date dall'Unione europea e le capacità professionali le abbiamo. Bisogna stare attenti a non distruggere queste capacità professionali con queste operazioni che mandano a casa le aziende, perché altrimenti perdiamo tutto il lavoro che abbiamo fatto in questi anni.
  Semmai, occorre invitare il Ministro dello sviluppo economico a rimettere in piedi i tavoli. Sono due anni che noi non veniamo più convocati. Sono tutti blindati. Che io ricordi, e io sono vecchio, questo non è mai successo nella storia di questo Paese. Il dialogo è stato il primo valore della politica. Se nella politica viene meno il dialogo è finita. Qui ognuno parla per conto suo. Io dico che andiamo verso l'autarchia. Ognuno è sufficiente per se stesso.
  Vi assicuro che nel nostro settore, come in tutti gli altri settori, quando si toccano interessi così importanti, non solo dal punto di vista dei valori costituzionali, ma anche dal punto di vista dell'investimento che si è fatto e delle professioni che si sono coltivate, si creano delle tensioni sociali fortissime. Vi assicuro che il nostro è un settore fatto di persone perbene e molto miti, che sono abituate all'analisi dei problemi e a capire la politica.
  Ciò che noi chiediamo è semplicemente di poter esporre i nostri problemi e, quantomeno, di poter essere auditi, come avete fatto oggi. Per questo vi ringraziamo. Perché il Ministero non la fa ? Si sono chiusi. È impossibile parlare perfino con un dirigente di secondo livello. Hanno paura di parlare con noi. Evidentemente hanno ricevuto un ordine che si sta propagando in tutto il Paese e, che, secondo me, è molto pericoloso per la democrazia. Da qualche anno con le associazioni e con i sindacati non si parla più.
  Noi non vogliamo cogestire niente, perché conosciamo benissimo il nostro ruolo, però vogliamo essere considerati a disposizione del Paese.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SETTIMO NIZZI. La situazione è a dir poco scioccante a sentir voi. In tutte queste audizioni abbiamo sentito molte cose. Io chiedo al presidente se è possibile in tempi brevi audire i dirigenti competenti del Ministero dello sviluppo economico.

  PRESIDENTE. Audiremo i rappresentanti del Ministero a conclusione del ciclo di audizioni.

  SETTIMO NIZZI. Non ho sentito da parte vostra qual è la cosa più importante che in questo momento si può fare. Naturalmente continuate la battaglia legale, perché mi sembra impossibile non farlo, per far valere i vostri diritti.
  Tutti sappiamo quanto è importante il livello periferico della comunicazione. Gli errori che abbiamo compiuto sono stati tanti, ognuno per la propria parte. Dateci strumenti per far sì che chi vorrà lavorare in questo senso possa contribuire ad aiutarvi.

  ROMINA MURA. Prendiamo atto del contesto che ci avete descritto e lo approfondiremo, anche attraverso la lettura della relazione. Esprimo anche la consapevolezza, che penso sia condivisa in questa Commissione, dell'importanza dell'emittenza locale sia per il pluralismo dell'informazione sia per la valorizzazione delle valenze culturali territoriali, a cui negli anni passati l'emittenza locale ha sempre risposto.
  Vorrei che le mie domande non venissero considerate impertinenti, ma solo strumenti per acquisire ulteriori informazioni.
  Mentre voi parlavate, mi chiedevo se il mondo dell'emittenza locale ha fatto tutto il possibile per provare a integrarsi con la multimedialità e con Internet. La seconda domanda è una proposta del segretario generale della Federazione nazionale dalla stampa, Franco Siddi, che qualche giorno Pag. 16fa, in un convegno fatto proprio qui nel Lazio in cui si discuteva di emittenza locale, diceva che, in un percorso di riforma che dovremo affrontare – nel settore bisogna assolutamente impostare una riforma seria – forse è il caso che i contributi vadano esclusivamente agli editori e non più anche ai semplici proprietari di antenne. In questi anni è successo anche questo.

  DIEGO DE LORENZIS. Ringrazio gli intervenuti. Come sanno tutti, ho chiesto esplicitamente l'audizione della vostra associazione per il particolare contesto che si è venuto a creare con il decreto-legge cosiddetto «destinazione Italia». Le parti politiche che sono più direttamente coinvolte con il Governo in carica non possono far finta che questa situazione non sia responsabilità del Governo attuale. Questo è stato detto abbastanza esplicitamente.
  C’è stato sicuramente un percorso storico che ha fatto sì che ai tavoli internazionali non andasse il Ministero, ma le televisioni nazionali. A fronte della situazione che si è venuta a determinare, c’è la paradossale volontà di questo Governo di dire dopo due anni: «Io Stato ho dato per vent'anni una concessione, ve la ritiro e vi do un indennizzo». Questo indennizzo è di pochi milioni di euro e ovviamente non vale a coprire gli investimenti che sono stati fatti. Al Senato c’è una mozione al riguardo di un collega del MoVimento 5 Stelle.
  Quello che hanno detto mi sembra altrettanto grave: manca un'interlocuzione con il Ministero e con l'Agcom, nonostante la delibera Agcom dovesse nascere proprio da un'interlocuzione con i diretti interessati. Non è possibile che in uno Stato civile si faccia prima una concessione e poi il giorno dopo si dica che si è scherzato e finisca tutto a tarallucci e vino.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ANTONIO DIOMEDE, Presidente di REA (Radiotelevisioni europee associate). Noi abbiamo impugnato la delibera n. 480, che in realtà si riferisce ad una legge, come sapete benissimo, che è la legge 21 febbraio 2014, n. 9 che già aveva individuato questo percorso di revisione delle frequenze.
  Per la verità, noi siamo stati auditi dall'Autorità. L'Autorità ci convoca molto spesso e per questo dobbiamo ringraziare un dispositivo di legge, contenuto nella legge n. 249 del 1997, che impone di convocarci. Come dicevo, la legge n. 422 del 1993 istituiva la commissione per l'assetto radiotelevisivo, che era in un certo senso l'organo consultivo del Ministro. Noi non abbiamo mai saputo le ragioni per le quali questa commissione è stata cancellata. Guarda caso, è stata cancellata nel 2008, alla vigilia dell'avvento del digitale. Evidentemente qualcuno ha stabilito di chiudere con la commissione perché aveva deciso di chiudersi nelle stanze e di non parlare più con noi. Da quell'epoca, noi non siamo stati più consultati da nessuno. Questo è il punto.
  Noi ci rivolgiamo alla magistratura e andremo anche a Strasburgo. Probabilmente invocheremo anche l'intervento della Corte costituzionale su alcuni aspetti che non sto qui a dire. Tuttavia, io da dirigente dell'associazione delle imprese, quando ottengo un risultato, come l'abbiamo ottenuto (vi ricordo che l'annullamento della delibera n. 366 dell'Agcom è stato promosso da noi come REA), mi sento sconfitto. Non ho portato a casa qualcosa, ma ho ottenuto l'annullamento di una delibera. Questa, secondo me, è una sconfitta anche per la politica, perché il magistrato non si deve sostituire né a noi né alla politica.

  GABRIELE BETTI, Segretario Nazionale TV di REA (Radiotelevisioni europee associate). Aggiungo solo un'annotazione. Vi ringraziamo di questa attenzione. Rispondo alla domanda che veniva posta relativamente al nostro settore e alle altre associazioni.
  Ci sono tre associazioni in questo settore. Molte associazioni si sono rimesse passivamente alle decisioni che venivano prese. Questo meccanismo per cui rischiamo Pag. 17di non avere molte frequenze, che sta riguardando il ramo adriatico e forse, secondo mie valutazioni tecniche, si estenderà in gran parte d'Italia, sta iniziando a preoccupare tutti gli altri editori, perché il mostro di aver usato frequenze vietate non si risolve togliendo frequenze al ramo delle regioni adriatiche. Questo problema è emerso in Sicilia, in Liguria e in Toscana e colpirà la Sardegna. Il problema è grave. Noi non riusciamo a commisurarci con le regole europee. Forse anche l'Europa non lo capisce.
  Vi voglio riferire un fatto che ci ha lasciato veramente di stucco. L'unica convocazione che abbiamo ricevuto da parte del Ministero in quest'ultimo anno è avvenuta non per iniziativa di quest'ultimo. Infatti, il Ministero non voleva la riunione. Siamo stati convocati dal direttore generale della ITU, l'organizzazione internazionale sotto l'egida dell'ONU, che assegna le frequenze. Questo direttore ha voluto convocare le emittenti locali e le emittenti nazionali per capire che cosa era successo in Italia, perché non credeva più alle parole che gli diceva il Ministero. In altri termini, siamo ormai diventati non credibili in questo contesto – mi riferisco per certezza di elementi al contesto dell'emittenza radiotelevisiva nazionale e locale – per la fenomenologia di un'Italia che ha avuto tanto, non ha saputo usare le risorse e continua ad avere un mare di problemi e a crearne degli altri.
  Anche il direttore di questa organizzazione internazionale si è reso conto che noi non sappiamo e non vogliamo affrontare questi problemi e continuiamo a nascondere la spazzatura sotto il tappeto. Se noi siamo la spazzatura, qualcuno ce lo deve dire. Se dobbiamo smettere, ce lo dicano, ma non facciano cose come queste. Hanno fatto lavorare le nostre imprese, ci hanno fatto indebitare, abbiamo comprato milioni di attrezzature trasmittenti e poi ci hanno detto che non vanno più bene.
  Imprese italiane sono cresciute costruendo trasmettitori e lavorando nell'automazione radiofonica e televisiva. Oggi cercano sbocco all'estero con molta difficoltà. Avevano il mercato italiano che funzionava, ma ora non funziona più e le prospettive non ci sono. Ci sono anche industrie che hanno prodotto apparecchiature e che ora non vedono più futuro, sempre per colpa di questa mancata pianificazione disastrosa.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti, anche per la documentazione consegnata di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2), e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.Pag. 18

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A L L E G A T I 

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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