XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Martedì 4 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catalano Ivan , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI

Audizione di rappresentanti di A.L.P.I. – Radio TV (Associazione emittenti locali per la libertà e il pluralismo dell'informazione).
Catalano Ivan , Presidente ... 2 
D'Alessandro Bernardo , Direttore tecnico di A.L.P.I. – Radio TV (Associazione emittenti locali per la libertà e il pluralismo dell'informazione) ... 2 
Catalano Ivan , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IVAN CATALANO

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di A.L.P.I. – Radio TV (Associazione emittenti locali per la libertà e il pluralismo dell'informazione).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, l'audizione di rappresentanti di A.L.P.I. – Radio TV (associazione emittenti locali per la libertà e il pluralismo dell'informazione).
  Mi scuso per l'assenza di alcuni colleghi, ma purtroppo oggi ci sono state delle variazioni nel calendario dei lavori dell'Assemblea, conseguenti alla posizione della questione di fiducia.
  Ringrazio Bernardo D'Alessandro, Direttore tecnico di A.L.P.I. – Radio TV per aver accolto l'invito della Commissione e gli do la parola per lo svolgimento della relazione.

  BERNARDO D'ALESSANDRO, Direttore tecnico di A.L.P.I. – Radio TV (Associazione emittenti locali per la libertà e il pluralismo dell'informazione). Buongiorno. Ringrazio anche a nome del nostro presidente, Luca Montone, che oggi non è potuto essere presente in questa Commissione.
  L'economia del nostro Paese si basa esclusivamente sulle piccole e medie imprese, che infatti producono il 70,8 per cento del prodotto interno lordo nazionale e assicurano lavoro all'81 per cento degli occupati del sistema produttivo nazionale. Ma le piccole e medie imprese per produrre PIL e occupazione hanno bisogno di stimolare i consumi dei loro prodotti. Hanno quindi bisogno di comunicare, pubblicizzare, promuovere sé stesse.
  Trattandosi di imprese di piccole o medie dimensioni, ovviamente non possono utilizzare i media nazionali, hanno necessità di utilizzare i media locali e, in particolare, le tv locali. Queste ultime, infatti, sono le uniche in grado di entrare nelle case di tutti i cittadini, senza distinzioni di sesso, età, livello culturale e status sociale ed economico.
  Le piccole e medie imprese, quindi, avrebbero bisogno di tv locali forti e con buoni ascolti per poter adeguatamente promuovere i loro prodotti, in modo da stimolarne consumi per fare aumentare i fatturati, quindi la produzione, l'occupazione, il PIL.
  La stretta correlazione esistente tra crescita delle piccole e medie imprese e tv locali è stata dimostrata da studi condotti in Puglia e in Veneto, che sono addivenuti a risultati pressoché identici: l'investimento pubblicitario delle piccole e medie imprese su una tv locale forte innesca un processo di espansione aziendale, aumentandone il fatturato dell'11,8 per cento, che si traduce quasi per intero in incremento dell'occupazione, che si incrementa del 9,7 per cento.Pag. 3
  Una ulteriore dimostrazione della correlazione esistente tra tv locali, sviluppo economico e occupazione è data dall'esame dei dati ISTAT sulla disoccupazione precedenti al cambio di metodologia dell'ISTAT. Dall'esame di questi dati emerge che nelle regioni in cui opera una tv locale forte, come Telenorba in Puglia, Basilicata e Molise, si registrano dai 6 ai 10 punti in meno di disoccupazione. tengo a precisare che a partire dall'anno successivo al 2003 l'ISTAT ha cambiato metodologia. Sino al 2003 il dato della disoccupazione era il risultato della differenza tra la forza lavoro e il numero degli occupati; a partire dal 2004, l'ISTAT inizia a considerare occupati tutti coloro che abbiano svolto almeno un'ora di lavoro retribuito, anche in natura, in qualsiasi attività, o anche non retribuito nella ditta di un familiare. Sempre a partire dal 2004, l'ISTAT considera disoccupati coloro che abbiano effettuato nei trenta giorni precedenti un'azione attiva di ricerca lavoro. È chiaro, quindi, che i dati non sono confrontabili, vista la macroscopica differenza di metodologia, poiché in alcune regioni che sino al 2003 avevano un tasso di disoccupazione altissimo, negli anni successivi il dato si dimezza, non perché siano aumentate le occasioni di lavoro, bensì perché, in mancanza di concrete opportunità d'impiego, i disoccupati tendono a rifluire nell'inattività, cioè non provano neanche a cercare lavoro, e così facendo non compaiono più nel dato disoccupati.
  Questa stretta correlazione e l'importanza delle tv locali per assicurare il pluralismo sono state, poi, più volte riconosciute dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento, dalla Corte costituzionale, da Confindustria e da moltissimi autorevoli economisti. Purtroppo, a causa delle nefaste decisioni del Parlamento e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, (Agcom), che hanno deliberato negli ultimi anni in tema di LCN, assegnazione frequenze digitali e contributi, le tv locali stanno scomparendo, con drammatiche conseguenze sull'intero sistema economico nazionale.
  Falliscono circa 1.650 piccole e medie imprese al giorno, tra imprese di produzione e di distribuzione e vendita, come evidenziato dall'Associazione artigiani piccole imprese; le ore di cassa integrazione hanno superato abbondantemente il miliardo, con gravissimi oneri per lo Stato, e le percentuali di disoccupazione nel nostro Paese sono drammatiche.
  Certo, queste cifre vanno lette anche alla luce della crisi economica mondiale, e in particolare europea. Ma i dati italiani sono di gran lunga peggiori rispetto ai dati degli altri Paesi, proprio perché la nostra economia è diversa dall'economia di tutti gli altri Stati europei.
  Nel 1976, mentre si stava liberalizzando l'etere, la Corte costituzionale riaffermò il principio della libertà e del pluralismo dell'informazione sancito dall'articolo 21 della Carta costituzionale, riconoscendo che ogni cittadino poteva esprimere il proprio pensiero anche attraverso l'etere, che fino a quel momento era monopolio della Rai, sentenziando non solo la legittimità delle tv libere, ma anche e soprattutto la necessità che il Paese, proprio in ossequio alla Costituzione, avesse quante più voci libere possibili, purché di natura locale.
  Le motivazioni risiedevano non solo nella necessità di avere la certezza che in Italia ci fosse libertà d'espressione e pluralismo, ma anche nella necessità che fossero le tv locali e non le reti nazionali a caratterizzare il nostro sistema televisivo, proprio in virtù del particolare sistema economico italiano basato sulla piccola e media impresa. Invece, nel giro dei due anni successivi, si organizzarono le reti nazionali, vietate dalla Corte costituzionale ma tollerate e favorite dal Parlamento e dal Governo dell'epoca, che rastrellarono canali e si impossessarono dell'etere. La magistratura tentò di bloccare il fenomeno: a seguito di un convegno nazionale sulla libertà d'espressione, tre giudici, in Toscana, Piemonte Lazio, presero atto che con un escamotage si aggiravano la legge e la sentenza della Corte costituzionale, attraverso società apparentemente diverse che gestivano Pag. 4un'unica rete nazionale che trasmetteva, con pochi secondi di differenza tra una regione e l'altra, lo stesso programma. Pertanto, i tre giudici dichiararono illegittime queste reti e ne disposero lo spegnimento.
  Ma la politica intervenne. L'allora Presidente del Consiglio in tre giorni approvò un decreto-legge per consentire la prosecuzione delle trasmissioni su quelle reti nazionali. A queste reti venne dato tutto il tempo di consolidarsi e rafforzarsi, prima di arrivare, nel 1990, a una legge, la cosiddetta «legge Mammì», che fotografò la situazione esistente, legalizzando il duopolio Rai-Mediaset.
  Ovviamente tutti conosciamo i richiami che l'Italia ha ricevuto dall'Unione europea a causa dello squilibrio del sistema televisivo. Nel 1997 fu emanata una legge, la n. 249, che peraltro ha istituito l'Agcom, che prevedeva che una rete Mediaset si trasferisse sul satellite e una rete Rai perdesse la pubblicità. Ma tanti sono stati gli escamotages per evitare che tali norme si applicassero, tra i quali in particolare la legge Gasparri, che fissò il calendario per il definitivo passaggio dal sistema analogico al sistema digitale, perché tale passaggio sulla carta avrebbe dovuto rappresentare il superamento del duopolio in favore del pluralismo.
  Invece, dopo tali premesse, le modalità del passaggio dal sistema analogico al sistema digitale si sono trasformate in un'occasione per rinforzare il duopolio e la concentrazione, in una tutela smisurata per le reti nazionali e in un continuo sopruso a danno delle tv locali.
  Si è consentita la moltiplicazione del numero dei canali di Rai e Mediaset; i tre canali generalisti di Rai e Mediaset si sono trasformati in tre mux, ciascuno con la capacità di trasportare sei reti, ma, come se non bastasse, ai tre mux ne sono stati aggiunti altri due, per un totale di cinque ciascuno. Dunque, a fronte di tre reti in capo a Rai e Mediaset nel sistema analogico, oggi RAI e Mediaset hanno trenta reti televisive ciascuno.
  Tutto ciò, ovviamente, ha già procurato, come abbiamo visto, le sue fatali conseguenze sul sistema economico nazionale. Era chiaro che l'economia del Paese avrebbe avuto tali conseguenze. Nel sistema televisivo del nostro Paese, che basa la sua economia sulle piccole e medie imprese, ci sono troppe reti nazionali. Le reti nazionali pubblicizzano e quindi stimolano i consumi dei prodotti delle multinazionali e dei pochissimi prodotti italiani, perché pochissime sono le aziende nazionali Italia.
  Pertanto, in Italia, a causa dello strapotere delle reti nazionali e della crisi delle tv locali, consumiamo per la maggior parte prodotti stranieri. Ciò comporta l'incremento della produzione all'estero, del versamento delle tasse all'estero, dell'occupazione e del PIL all'estero, e il fallimento delle piccole e medie imprese italiane, con conseguente decremento del PIL e dell'occupazione nel nostro Paese, che generano povertà e disperazione.
  Per cui il passaggio al sistema digitale, che avrebbe dovuto rappresentare l'occasione per correggere gli errori del passato, non ha fatto altro che peggiorare la situazione, in assoluto contrasto con le decisioni della Corte costituzionale. Sono state assegnate troppe frequenze alle reti nazionali, danneggiando le tv locali. Inoltre, alle reti nazionali sono state assegnate tutte frequenze coordinate, mentre alle tv locali sono state assegnate tutte frequenze interferenti e interferite, nonostante l'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, disponesse che nel piano di assegnazione delle frequenze un terzo della capacità trasmissiva fosse riservato alle emittenti locali.
  Il legislatore con questa norma non a caso ha utilizzato la locuzione «capacità trasmissiva» e non un terzo delle frequenze. Il legislatore ha considerato che la trasmissione dei programmi non dipende solo dal possesso di una frequenza, ma dalla sua qualità.
  Il Piano predisposto dall'Agcom con la delibera 300 del 2010 e le successive modificazioni ha violato la norma sopra riportata, in quanto ha ritenuto di soddisfare il criterio normativo di riparto delle risorse radioelettriche attribuendo Pag. 5alle tv locali un terzo delle frequenze, senza preoccuparsi della qualità delle frequenze stesse, destinando alle tv locali soltanto frequenze non coordinate a livello internazionale. Quindi, l'Autorità ha destinato alle tv locali solo un terzo delle frequenze e non un terzo della capacità trasmissiva, come richiesto dalla legge. Per applicare la legge l'Agcom avrebbe dovuto assegnare alle tv locali un terzo delle frequenze coordinate e un terzo delle frequenze non coordinate.
  Oggi al danno si aggiunge la beffa. Dal momento che alle tv locali sono state destinate solo frequenze non coordinate a livello internazionale, e quindi frequenze assegnate ad altri Paesi, adesso bisogna spegnere quelle frequenze per non incorrere nelle infrazioni internazionali, e in alcune regioni, come ad esempio la Puglia, tra quest'anno e l'anno prossimo bisognerà spegnere tutte le frequenze assegnate alle tv locali. Infatti, alle dodici frequenze da spegnere entro il 31 dicembre 2014, come appena deliberato dall'Agcom, si aggiungono le sei frequenze da spegnere entro poco più di un anno, a seguito della digitalizzazione degli Stati esteri Montenegro e Albania prevista per giugno 2015, lasciando le tv locali operanti nelle regioni della dorsale adriatica (Puglia, Abruzzo, Molise e Marche) senza nessuna delle frequenze ad esse destinate dal Piano nazionale di assegnazione.
  Pertanto, in tema di frequenze, è assolutamente necessario e improcrastinabile rivedere l'intero assetto, prendendo in esame soltanto le frequenze coordinate per l'Italia e assegnandone un terzo, come previsto dalla legge, alle tv locali. Ciò comporterà necessariamente un ridimensionamento delle frequenze delle reti nazionali. Il fatto che in passato si sia illegittimamente aggirata la legge non significa che si debba perseverare con l'illegittimità. Dal momento che, entro il 31 dicembre di quest'anno, nasce l'esigenza di evitare che l'Italia incorra in procedure di infrazione, ora è il momento di aggiustare il tiro, rivedendo complessivamente il Piano nazionale delle frequenze e destinando alle tv locali di qualità un terzo delle frequenze coordinate.
  Gli operatori di rete che eserciscono l'attività nelle aree più colpite dalla legge n. 9 del 21 febbraio 2014, quali Puglia, Molise, Abruzzo e Marche, dovranno potersi avvalere della provvista frequenziale residuale del dividendo interno (di cui alla gara indetta con delibera Agcom n. 277 del 2013), cioè i lotti L1 ed L2 non aggiudicati, e dovranno poter attingere a ulteriori risorse frequenziali coordinate a livello internazionale in tecnica KSFN, provenienti in quota percentuale da più reti nazionali, assicurando loro copertura comunque non inferiore all'80 per cento. Si tenga conto, infatti, che per l'arco del basso Adriatico le risorse frequenziali al momento rimaste disponibili, cioè sei su diciotto, saranno oggetto di nuove situazioni interferenziali quando il prossimo anno, entro giugno 2015, si digitalizzeranno Montenegro e Albania, che accenderanno siti su montagne altissime (1.500-1.800 metri) ubicate in Albania tra Biokovo, Lovcen, Dajti, che vedono le coste pugliesi e molisane con la conseguente creazione di interferenze sulle frequenze.
  In questa nuova assegnazione sarà necessario, come disposto dalla legge n. 9 del 2014, utilizzare le graduatorie delle tv locali già esistenti e non nuove graduatorie. Si ricorda, infatti, che le graduatorie esistenti erano state redatte per assegnare frequenze per uso ventennale; sono invece trascorsi soltanto due anni, quindi sono quelle certamente le graduatorie da utilizzare per le nuove assegnazioni.
  Tutti gli operatori di reti locali che non potranno più avere frequenze con il nuovo Piano, o perché decidano di dismetterle o perché non collocati utilmente nelle graduatorie, dovranno ottenere un indennizzo congruo. Se per la prossima rottamazione dovessero restare i 20 milioni già stanziati, si avrebbe una disparità di trattamento insostenibile, perché a fronte dei 54 centesimi di euro per abitante riconosciuti alle emittenti interessate dalla rottamazione del 2012, per il rilascio della banda 800, nella Pag. 6prossima rottamazione si riconoscerebbero solo 11 centesimi di euro per abitante. Si consideri che l'articolo 36 del decreto legislativo n. 259 del 2003, così come modificato dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 70 del 2012, al comma 2 prevede che «i diritti d'uso delle frequenze radio o i diritti di installare strutture non possono essere limitati o revocati prima della scadenza del periodo per il quale sono stati concessi. Limitazioni e revoche sono ammesse in casi eccezionali e adeguatamente motivati e previo congruo indennizzo».
  Inoltre, la direttiva comunitaria n. 140 del 2009 definisce e specifica il principio di neutralità tecnologica applicata alle risorse di rete. Tale principio di matrice comunitaria, recepito nel nostro ordinamento, predica la fungibilità delle risorse frequenziali che nel sistema digitale possono essere adibite in modo simmetrico per una pluralità di servizi, dalla telefonia ai servizi televisivi. Il portato del principio di neutralità tecnologica è l'equivalenza delle risorse di rete in riferimento al loro valore.
  Si aggiunga che mentre la rottamazione del 2012 si riferiva a frequenze autorizzate temporaneamente, la prossima rottamazione si riferisce a frequenze autorizzate per venti anni. Quindi, le emittenti che hanno ottenuto una frequenza con autorizzazione ventennale hanno ovviamente effettuato maggiori investimenti rispetto alle emittenti che già sapevano di dover lasciare quelle frequenze (parliamo delle frequenze della banda 800, 61-69, date poi agli operatori telefonici). Pertanto, la prossima rottamazione dovrà prevedere risarcimenti di gran lunga superiori a quelli riconosciuti nel 2012.
  In tema di LCN (Logical Channel Number), cioè di riordinamento automatico dei canali, sarà ormai il Consiglio di Stato a decidere. Per il 20 novembre, infatti, è fissata la camera di consiglio nella quale il Consiglio di Stato prenderà le sue decisioni in merito alla bozza di nuovo piano LCN che verrà predisposto dal Commissario ad acta nominato dallo stesso Consiglio di Stato con sentenza nel 2013, data l'incapacità dell'Agcom di redigere un piano LCN conforme al dettato legislativo.
  In questa occasione ci preme solo ricordare che ci sono già state tre sentenze del Consiglio di Stato che hanno ravvisato poca chiarezza da parte dell'Agcom nell'assegnare le numerazioni 7, 8 e 9 a reti nazionali, contravvenendo alle disposizioni del Testo Unico della Radiotelevisione. In particolare, per il numero 7 non sono state considerate univoche le abitudini degli utenti a sintonizzare, in analogico, una rete nazionale su tutto il territorio nazionale, mentre per le numerazioni 8 e 9, oltre alla non univocità delle abitudini e preferenze degli utenti, è in discussione proprio l'esistenza di nove reti televisive generaliste nazionali in sistema analogico, perché solo queste, oltre alle tv locali storiche, possono ottenere le numerazioni dall'1 al 9, secondo quanto previsto dalla legge.
  Tutte queste premesse ci fanno ben sperare che il Consiglio di Stato vorrà riconoscere almeno le numerazioni 8 e 9 del telecomando alle tv locali, rispettando quelle che erano le reali abitudini e preferenze degli utenti in analogico.
  In tema di contributi, partendo dalla stretta correlazione esistente tra crescita delle piccole e medie imprese e tv locali, più volte riconosciuta dal Presidente della Repubblica, dalla Corte costituzionale e da Confindustria, essa è stata anche riconosciuta all'unanimità da entrambi i rami del Parlamento, attraverso due ordini del giorno con identico testo approvati negli anni 1992-1993. A seguito di tali ordini del giorno fu emanata una norma – l'articolo 10 del decreto-legge 323 del 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 422 del 1993 – che destina annualmente alle tv locali contributi che dovrebbero ammontare a 270 milioni di euro annui prevedendo anche l'utilizzazione di parte delle quote di competenza delle amministrazioni statali del canone di abbonamento Rai.
  Tali contributi furono introdotti nel nostro ordinamento nel tentativo di riequilibrare un sistema televisivo duopolistico Pag. 7che penalizzava le tv locali, volano per l'economia nazionale fondata sulle piccole e medie imprese.
  Tale condizione duopolistica, negli anni, non solo non è venuta meno, ma si è aggravata passando dal duopolio Rai-Mediaset all'oligopolio delle reti televisive nazionali (Rai- Mediaset-Sky). L'articolo 10 della legge n. 422 del 1993 non è mai stato applicato integralmente. Vi si prevedono 270 milioni di euro annui per le emittenti locali, ma il picco si è toccato negli anni 2008-2009, con uno stanziamento di 150 milioni di euro.
  Oggi gli stanziamenti previsti sono meno di un quarto degli stanziamenti degli anni 2008-2009. Risultavano stanziati, infatti, per il prossimo triennio, circa 35 milioni di euro annui, ma ulteriori tagli sono già stati previsti dal disegno di legge di stabilità.
  I Governi che si sono succeduti a partire dal 2009 hanno fatto scempio del fondo delle tv locali, distraendo le risorse ad esso assegnate per coprire le spese più disparate, nonostante nel marzo 2012 la Camera dei deputati, ribadendo l'importanza delle tv locali per il ruolo propulsivo che rivestono all'interno del sistema economico nazionale, avesse unanimemente impegnato il Governo a riportare il fondo delle tv locali almeno in linea con le cifre del biennio 2008-2009, quindi 150 milioni di euro annui.
  Tutte le suddette politiche dei tagli, insieme alle norme disastrose che hanno disciplinato il passaggio al sistema digitale, hanno messo in ginocchio il sistema televisivo locale e con esso l'intero comparto delle piccole e medie imprese, pilastro dell'economia del Paese. Negli ultimi due anni, a causa dei suddetti tagli, l'intero settore delle tv locali è dovuto ricorrere allo strumento dalla cassa integrazione (fonte UILCOM UIL). Si consideri che il settore televisivo locale conta oltre 5 mila dipendenti e rappresenta la prima forza lavoro del settore televisivo nazionale, Rai esclusa.
  Ma c’è di più. Scomparendo il settore televisivo locale – è ciò che accadrà se le istituzioni preposte, quindi il Parlamento, il Governo e l'Agcom non porranno subito riparo – le aziende di piccole e medie dimensioni del Paese, cioè il 94 per cento del settore produttivo italiano, non avranno più lo strumento necessario per poter restare sul mercato e verranno schiacciate dalle multinazionali. Pertanto, il nostro Paese non avrà più un suo settore produttivo e diventerà solo terra di conquista delle grandi aziende straniere.
  Quindi, per assicurare al Paese pluralismo dell'informazione e crescita delle piccole e medie imprese, quest'ultima necessaria per far uscire il Paese dalla recessione economica, è indispensabile dare un nuovo assetto al settore televisivo nazionale, in cui si privilegino le tv locali invece delle reti nazionali, attraverso la destinazione alle tv locali: di un terzo delle frequenze coordinate, come previste dalla legge; di LCN importanti, nel primo arco di numerazione, cioè da 1 a 9, come previsto dalla legge; di contributi annuali certi, in linea con quanto previsto dalla legge, quale corrispettivo del servizio pubblico che esse già svolgono sui territori attraverso l'informazione locale.
  L'associazione A.L.P.I. – Radio TV, infatti, sposa in pieno quanto velatamente annunciato dal Sottosegretario al Ministero dello sviluppo economico con delega alle Comunicazioni, onorevole Antonello Giacomelli. È un inutile spreco di denaro pubblico l'informazione locale prodotta da Rai 3, che con risorse ingentissime non riesce assolutamente ad essere competitiva con le tv locali storiche, che sui territori sono il vero punto di riferimento per i cittadini, per l'informazione locale. Vedasi, ad esempio, Videolina per la Sardegna, Primo Canale per la Liguria e Telenorba per Puglia, Basilicata e Molise.
  A solo scopo dimostrativo dal confronto degli ascolti, in Puglia, sull'informazione locale di Telenorba e Rai 3, specificando che tale confronto viene fatto per i giorni dal lunedì al venerdì, perché il sabato e la domenica il TG regionale di Rai 3 non va in onda, è Pag. 8chiaro ed evidente che i cittadini riconoscono il ruolo di servizio pubblico alle tv locali storiche e di qualità, che quotidianamente producono tante ore di informazione dedicate ai territori.
  Pertanto, non alla Rai regionale, o non solo ad essa, ma è a queste tv che bisognerà riconoscere una quota del canone per il servizio pubblico che quotidianamente svolgono, assicurando al Paese quel pluralismo dell'informazione che il Presidente della Repubblica ha più volte riconosciuto, come già detto in precedenza.
  Solo con tali improrogabili correttivi il nostro Paese potrà sperare di uscire dalla crisi economica ed occupazionale che lo attanaglia da troppi anni e potrà assicurare ai cittadini un sistema televisivo pluralista e democratico. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di A.L.P.I. – Radio TV per il loro intervento e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.