XVII Legislatura

Commissioni Riunite (VIII e X)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Venerdì 13 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Realacci Ermete , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GREEN ECONOMY

Audizione di rappresentanti di Confindustria.
Realacci Ermete , Presidente ... 3 
Bianchi Andrea , Direttore Politica industriale di Confindustria ... 3 
Realacci Ermete , Presidente ... 8 
Bianchi Andrea , Direttore Politica industriale di Confindustria ... 9 
Realacci Ermete , Presidente ... 9 
Bianchi Andrea , Direttore Politica industriale di Confindustria ... 9 
Realacci Ermete , Presidente ... 9 
Vallascas Andrea (M5S)  ... 10 
Realacci Ermete , Presidente ... 10 
Bianchi Andrea , Direttore Politica industriale di Confindustria ... 10 
Realacci Ermete , Presidente ... 10 
Bianchi Andrea , Direttore Politica industriale di Confindustria ... 11 
Realacci Ermete , Presidente ... 11 
Bianchi Andrea , Direttore Politica industriale di Confindustria ... 11 
Realacci Ermete , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti di Confagricoltura (Confederazione generale agricoltura italiana), Coldiretti (Confederazione nazionale coltivatori diretti), CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) e Copagri (Coordinamento organizzazioni professionali agricole italiane):
Realacci Ermete , Presidente ... 12 
Rotundo Donato , Direttore area ambiente Confagricoltura ... 12 
Di Rollo Barbara , Responsabile economie alternative CIA ... 14 
Calliari Gabriele , Membro della giunta esecutiva nazionale di Coldiretti ... 15 
Cefisi Luca , Rappresentante referente settore Copagri ... 17 
Crippa Davide , Presidente ... 19 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 19 
Pastorelli Oreste (Misto-PSI-PLI)  ... 19 
Petraroli Cosimo (M5S)  ... 19 
Crippa Davide , Presidente ... 19 
Rotundo Donato , Direttore area ambiente di Confagricoltura ... 20 
Ranaldi Alessandro , Vicepresidente di Copagri ... 20 
Calliari Gabriele , Membro giunta esecutiva nazionale di Coldiretti ... 21 
Di Rollo Barbara , Responsabile economie alternative CIA ... 21 
Prosperoni Maria Adele , Funzionario area ambiente e territorio Coldiretti ... 22 
Realacci Ermete , Presidente ... 23 

Audizione di rappresentanti del Consorzio Remedia:
Realacci Ermete , Presidente ... 23 
Bonato Danilo , Direttore generale del Consorzio Remedia ... 23 
Realacci Ermete , Presidente ... 25 
Crippa Davide (M5S)  ... 25 
Realacci Ermete , Presidente ... 25 
Bonato Danilo , Direttore generale del Consorzio Remedia ... 25 
Realacci Ermete , Presidente ... 26 

Audizione di rappresentanti di Federambiente e Fise Assoambiente:
Realacci Ermete , Presidente ... 26 
Cerroni Monica , Presidente di Fise Assoambiente ... 26 
Fortini Daniele , Presidente di Federambiente ... 28 
Realacci Ermete , Presidente ... 31 
Cerroni Monica , Presidente di Fise Assoambiente ... 32 
Realacci Ermete , Presidente ... 32 
Crippa Davide (M5S)  ... 33 
Bianchi Mariastella (PD)  ... 34 
Realacci Ermete , Presidente ... 34 
Cerroni Monica , Presidente Fise Assoambiente ... 34 
Realacci Ermete , Presidente ... 34 35 
Cerroni Monica , Presidente Fise Assoambiente ... 35 
Fortini Daniele , Presidente di Federambiente ... 35 
Realacci Ermete , Presidente ... 36 
Fortini Daniele , Presidente di Federambiente ... 36 
Realacci Ermete , Presidente ... 36 
Fortini Daniele , Presidente di Federambiente ... 36 
Perrotta Elisabetta , Direttore di Fise Assoambiente ... 36 
Realacci Ermete , Presidente ... 37 
Perrotta Elisabetta , Direttore di Fise Assoambiente ... 37 
Crippa Davide (M5S)  ... 37 
Perrotta Elisabetta , Direttore di Fise Assoambiente ... 37 
Realacci Ermete , Presidente ... 37 
Fortini Daniele , Presidente di Federambiente ... 37 
Perrotta Elisabetta , Direttore di Fise Assoambiente ... 38 
Cerroni Monica , Presidente di Fise Assoambiente ... 38 
Realacci Ermete , Presidente ... 38

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
  Come credo vi sia stato spiegato, stiamo conducendo un'indagine conoscitiva molto estesa sul tema della green economy in vista dell'anno europeo dell'economia verde, indetto per l'anno prossimo. Come sapete, essendo venerdì ed essendo in corso presso la Commissione Bilancio i lavori sulla legge di stabilità, è chiaro che i colleghi presenti non sono numerosi.
  Anche a voi, come ad altri soggetti, abbiamo chiesto, oltre alla fornitura di materiali nella misura desiderata, di fornire anche una sintesi dei punti che ritenute essenziali per poterli portare a conoscenza di tutti i deputati e utilizzarla nella stesura del documento finale dell'indagine conoscitiva.
  Devo anche dirvi che in molti mi hanno detto che l'intervento svolto ieri dal presidente Squinzi – che ho sentito stamattina per fargli i complimenti – alla Conferenza nazionale su biodiversità e green economy è stato un ottimo intervento. L'ho sentito stamattina e gli ho parlato anche della nostra indagine. Adesso ascoltiamo cosa avete da dirci.
  Do la parola al dottor Bianchi per lo svolgimento della sua relazione.

  ANDREA BIANCHI, Direttore Politica industriale di Confindustria. Presidenti, onorevoli deputati, innanzitutto vi ringrazio per l'invito a partecipare a quest'audizione, che mi consente di condividere con voi alcune considerazioni sulla rilevanza strategica che le politiche della green economy potrebbero avere nel Paese per incrementare la tutela delle risorse ambientali, la competitività delle imprese e i livelli occupazionali.
  Ai fini del raggiungimento di tali obiettivi, Confindustria ritiene opportuno agire principalmente su tre fattori: primo, porre l'industria al centro delle politiche di sviluppo, al fine di forzare la capacità del sistema economico italiano a incrementare i processi di innovazione fondamentali per la tutela delle risorse naturali e per la creazione di un benessere diffuso; secondo, puntare sull'efficiente utilizzo delle risorse, in particolare quelle energetiche, che rappresentano per il nostro Paese un fattore decisivo per la tutela dell'ambiente e la competitività delle imprese; terzo, stimolare investimenti produttivi connessi alla tecnologia per la sostenibilità e alla riqualificazione, recupero e manutenzione dell'esistente, soprattutto per quello che riguarda le risorse ambientali esauribili e non rinnovabili.
  Il primo punto pone chiaramente l'attenzione sul ruolo strategico dell'industria che, a nostro parere e anche a parere della Pag. 4Commissione europea, rappresenta un settore strategico per agganciare la ripresa. Il settore industriale rappresenta, infatti, un grande bacino occupazionale ed esprime la maggiore capacità di ricerca e innovazione tecnologica. Pensiamo che oltre l'80 per cento delle spese in ricerca e sviluppo del nostro Paese sono sviluppate dal settore industriale.
  Chiaramente, l'Italia affronta questa fase dell'economia globale potendo contare su una base industriale ancora forte. Il nostro Paese rappresenta, infatti, nonostante la crisi, il secondo produttore manifatturiero europeo, con una quota di valore aggiunto industriale superiore rispetto agli altri competitor. Questa condizione di Paese industriale ci pone in una posizione privilegiata per valorizzare le opportunità che derivano dalla green economy.
  Le imprese della green economy sono, infatti, molto spesso verticalmente integrate con altri settori industriali, da cui dipendono per l'approvvigionamento di importanti semilavorati e presentano le stesse esigenze delle altre imprese in termini di contenimento dei costi e livello di tassazione.
  Per citare un esempio, per costruire un elettrodomestico ad alta efficienza, servono comunque pannelli di acciaio, così come per sviluppare un'automobile elettrica non si può prescindere da un efficiente sistema produttivo in grado di fornire a costi contenuti elevati componenti d'acciaio, plastica, tessuto e altro.
  D'altro canto, in questo contesto la distinzione tra green economy e brown economy appare un'astrazione, che non trova riscontro nella realtà industriale del Paese, invece fortemente integrata e interdipendente. Alla luce di questo complesso sistema interdipendente, appare evidente come la green economy non possa essere vissuta in contrapposizione con il mantenimento di una forte vocazione manifatturiera, ma debba rappresentare la naturale evoluzione del sistema manifatturiero verso assetti che migliorano la competitività ambientale delle attività produttive e favoriscano lo sviluppo di nuovi prodotti. La nostra concezione di sostenibilità riguarda l'intero sistema produttivo e il nostro obiettivo deve essere far transitare il nostro sistema produttivo verso assetti più ambientalmente compatibili.
  In questo contesto, la sfida che l'Europa ha di fronte è di evitare che il raggiungimento di obiettivi ambientali alimenti fenomeni di delocalizzazione produttiva. Un processo di impoverimento della base industriale si tradurrebbe, infatti, in minori prospettive di crescita anche per i settori della green economy per effetto dell'indebolimento di pezzi delle diverse filiere produttive; un impatto negativo sull'ambiente dato dalla crescita della produzione in aree con basso livello di regolazione ambientale; una crescita della disoccupazione con un necessario riorientamento delle risorse pubbliche da iniziative per lo sviluppo verso interventi di rafforzamento del welfare.
  Al fine, quindi, di mantenere inalterati gli obiettivi strategici in termini di sviluppo sostenibile ed evitare gli effetti di delocalizzazione descritti in precedenza, occorre mettere in campo politiche industriali in grado di orientare le risorse pubbliche verso le imprese più impegnate sulle nuove frontiere tecnologiche.
  Il primo obiettivo riguarda l'uso efficiente delle risorse energetiche. L'accesso a tali risorse è diventato, infatti, un problema strategico. Il continente europeo e l'Italia devono conciliare la sfida di utilizzare in modo più efficiente le risorse di cui dispongono con l'opportunità di mantenere alti i livelli di competitività a livello mondiale. In tale contesto, l'uso razionale delle risorse energetiche assume un ruolo fondamentale al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. La strutturale dipendenza italiana delle fonti fossili nel 2030 raggiungerà il 95 per cento. Per l'Europa, ma soprattutto per l'Italia, essere efficienti sul piano energetico è, quindi, una questione di sopravvivenza. Una quota considerevole del PIL del nostro Paese è, infatti, ancora basata sul manifatturiero. Per questi settori, occorre ridurre del 30 per cento le componenti Pag. 5parafiscali della bolletta energetica, restringendo il differenziale di costo con i principali Paesi.
  Lo sviluppo delle tecnologie efficienti è sicuramente la via da percorrere, ma su questo punto voglio essere chiaro. Le politiche fino a oggi messe in campo non hanno prodotto risultati soddisfacenti sul versante dei costi nonostante lo sforzo compiuto dalle imprese, che hanno ridotto l'intensità energetica di oltre il 3 per cento annuo. Il nostro è ormai uno dei Paesi che ha un'intensità energetica dei prodotti più bassa rispetto ai propri competitori. Occorre un'inversione di rotta se vogliamo seriamente ridurre il 30 per cento di gap nei costi che sopportiamo rispetto agli altri Paesi in termini di costi energetici.
  Le tecnologie per l'efficienza energetica giocano un ruolo prioritario anche nella sfida ambientale. Con il cosiddetto Pacchetto clima-energia UE, l'Unione europea ha sottoscritto obiettivi concreti per la sostenibilità ambientale al 2020. L'efficienza energetica è uno degli strumenti cardine per la riduzione della CO2. Le tecnologie per l'efficienza energetica contribuiranno, infatti, per oltre il 60 per cento al raggiungimento dei target nazionali di riduzione di tali emissioni al 2020, mentre le fonti rinnovabili contribuiranno per meno del 40 per cento nonostante queste ultime abbiano registrato negli ultimi anni uno sviluppo importante dovuto a livelli di incentivazione particolarmente generosi.
  Nel testo che abbiamo predisposto, troverete una serie di confronti sul peso della componente A3 sulla bolletta energetica di diversi Paesi, da cui emerge che gli incentivi italiani sono leggermente più alti rispetto alla Germania.
  L'efficienza energetica è uno degli strumenti cardine per la riduzione delle emissioni di CO2. La sfida ambientale deve essere, quindi, in un'opportunità di crescita economica e industriale, puntando su quei settori in cui il nostro Paese vanta delle eccellenze industriali o potenziali filiere produttive nazionali o di fornitura di servizi all'estero. In questo senso, diventa decisivo individuare le aree tecnologiche della green economy con il più alto potenziale sia sul piano ambientale sia su quello socio economico.
  Sulla base di un'approfondita analisi costi-benefici, Confindustria ha individuato tre aree prioritarie per lo sviluppo dei progetti sull'efficienza energetica. La prima riguarda le smart building, che riguardano la riqualificazione energetica in edilizia, in particolare del patrimonio edilizio pubblico, attraverso sistemi domotici e di automazione, sistemi di riscaldamento innovativi ed elettrodomestici efficienti.
  Il secondo riguarda le urban networks, infrastrutture all'interno di una smart city, che generalmente abilitano l'applicazione di nuove tecnologie e lo sviluppo di nuovi servizi, quali mobilità elettrica, smart lighting, sistemi per l'integrazione delle fonti energetiche rinnovabili, smart grid e così via.
  Terzo settore, particolarmente interessante dal punto di vista dell'efficienza energetica, è il tema dell’industrial cluster. Come vi dicevo, il nostro Paese è già molto investito sul termine dell'efficienza energetica industriale, ma questo è un settore sul quale possiamo ancora particolarmente spingere e puntare su nuove tecnologie, quali motori elettrici ad alta efficienza, inverter di rifasamento, gruppi statici di continuità, tecnologie per il teleriscaldamento, il teleraffreddamento e la cogenerazione ad alto rendimento.
  Questi settori hanno un forte potenziale economico che necessita di un quadro di regole stabile nel tempo. Le proposte di Confindustria in materia di efficienza energetica sono: la proroga al 2020 dell'attuale quadro di misure fiscali; il rafforzamento degli obiettivi incentivanti attraverso meccanismi di efficienza energetica, con l'allargamento a nuovi settori di applicazione; la revisione del sistema tariffario per promuovere il vettore elettrico. Sulla base delle nostre analisi, ogni euro di investimento pubblico nel settore dell'efficienza energetica ne produce oltre 4 di beneficio collettivo in termini di risparmio energetico e di esternalità ambientali.Pag. 6
  L'analisi di impatto socioeconomico di queste proposte evidenzia che nel solo periodo 2014-2020 si potrebbe avere una crescita della produzione industriale italiana di oltre 65 miliardi di euro in media annui e un incremento del numero di occupati di circa 500 mila unità.
  Particolarmente significativo risulta il contributo al tasso di crescita medio annuo dell'economia, che potrebbe raggiungere il valore dello 0,5/1 per cento sulla base dello studio che abbiamo svolto sull'efficienza energetica.
  Per quanto riguarda gli effetti sulla bolletta energetica, l'applicazione delle misure a cui abbiamo fatto riferimento potrebbe determinare un risparmio di oltre 5,7 miliardi di euro annui, ovvero il 10 per cento della bolletta energetica nazionale. I potenziali benefici in termini di costo della CO2 evitata ammontano a oltre 270 milioni di euro l'anno.
  Un altro grande capitolo delle politiche per la green economy riguarda la tutela del territorio. Sotto questo punto di vista, occorre facilitare i processi di messa in sicurezza, bonifica e reindustrializzazione dei siti contaminati per assicurare, da un lato, la tutela dell'ambiente e della salute e, dall'altro, il recupero della risorsa territorio e il rilancio delle attività produttive. Su questi temi si è soffermato ieri il presidente Squinzi nell'ambito del convegno alla Sapienza, evidenziando come in materia di bonifiche, a 20 anni di distanza dalle prime norme, i risultati siano ancora piuttosto deludenti.
  Sono importanti, infatti, le applicazioni sul piano economico che possono derivare dagli investimenti produttivi per il risanamento ambientale e la reindustrializzazione. Si stima che solo nei prossimi 4 anni potrebbero essere investiti circa 8-9 miliardi di euro, di cui 3 per l'attività di riqualificazione ambientale e 5-6 per le connesse attività di riconversione industriale, tutto al netto degli ulteriori investimenti che potranno essere avviati nei siti contaminati una volta completati gli interventi di risanamento.
  È evidente che in un Paese come il nostro, fortemente antropizzato e con una densità industriale molto forte, il tema del recupero e della bonifica dei siti a storica vocazione industriale rappresenti senz'altro una grande opportunità. Per raggiungere questi obiettivi, è necessario agire sul fronte della semplificazione in modo da consentire agli operatori di realizzare attività di messa in sicurezza o di bonifica e prevedere efficaci meccanismi di attrazione di investimenti produttivi per progetti integrati di riqualificazione e riconversione anche attraverso l'utilizzo della leva fiscale.
  Si pensi, ad esempio, ai vantaggi e al potenziale per l'Italia derivanti dagli attuali investimenti sulla bioeconomia e, in particolare, sulla chimica da biomasse, che vede la conversione di siti non competitivi in bioraffinerie integrate nel territorio, funzionali alla produzione delle cosiddette bioplastiche e di altri prodotti ad alto valore aggiunto, quali gli intermedi chimici bio e i biolubrificanti.
  Da questo punto di vista, credo che l'esempio della riconversione del sito industriale di Porto Torres operato attraverso la joint venture, come è noto, tra ENI e Novamont, rappresenti uno degli esempi più interessanti nel nostro Paese di riqualificazione di un'area storica a vocazione industriale. Nel settore della bioeconomia, progetti interessanti riguardano anche l'area di Terni e altre aree che possono ottenere da queste nuove tecnologie importanti fattori di sviluppo. Il recepimento e l'applicazione delle direttive europee in campo ambientale dovrebbe, inoltre, avvenire nel massimo rispetto di quanto previsto dalle disposizioni comunitarie, evitando atteggiamenti irrazionalmente restrittivi, come spesso è accaduto in passato, con l'introduzione di limiti e oneri e procedure del tutto immotivati.
  Ciò si riflette negativamente sui nostri territori, comportando una significativa perdita di competitività a livello internazionale, soprattutto nei confronti delle industrie europee. Secondo uno studio recentemente realizzato da Confindustria sull'autorizzazione AIA, in Italia sono numerose le restrizioni non richieste da Pag. 7direttive europee in materia, che creano svantaggi competitivi alle nostre imprese nei confronti degli altri Paesi.
  La durata media di queste autorizzazioni è da noi di 5 anni; in Francia la validità copre tutto il periodo di vita utile dell'impianto; in Belgio, può variare da 15 a 20 anni; in Olanda, Austria e Romania è di 10 anni, in Germania, Svezia, Polonia e Regno Unito, è previsto un riesame in media ogni 6-10 anni.
  In conclusione, l'industria italiana può vantare molte eccellenze nel campo della green economy. Lo abbiamo visto sicuramente nel settore dell'efficienza energetica, che coinvolge tra l'altro la gran parte dei nostri settori produttivi, vetro, legno, edilizia, biomateriali; può averne sicuramente nel settore della chimica e delle rinnovabili, nel settore delle biotecnologie e in altri comparti. Tuttavia, è necessario garantire un contesto regolamentare ed economico in grado di favorire lo sviluppo in una logica di medio e lungo periodo. Le linee di intervento prioritarie su cui muoversi sono, a nostro avviso, le seguenti: definire un quadro regolatorio certo e stabile nel medio e lungo termine per favorire un uso più efficiente delle risorse, come è indispensabile ai fini della bancabilità e delle garanzie finanziarie per lo sviluppo degli investimenti (coerente con questa richiesta è il fatto di portare gli incentivi almeno al 2020 perché è evidente che i tempi di reazione delle imprese agiscono su un tempo medio-lungo e avere un'incertezza sul tema degli incentivi non rappresenta un'opportunità per gli investimenti delle imprese); rivedere e semplificare il sistema delle autorizzazioni per lo sviluppo degli impianti e delle infrastrutture accompagnati da piani di razionalizzazione degli interventi sul territorio.
  Visto, inoltre, che la maggior parte dei progetti che abbiamo presentato, dalle smart cities ai temi relativi ai progetti sull'innovazione tecnologica, richiedono consistenti investimenti pubblici, riteniamo sia necessario, a partire dal livello europeo, allentare i vincoli di spesa che bloccano molti investimenti ad alto potenziale attraverso opportune deroghe ai patti di stabilità per gli investimenti in campo energetico e ambientale. Bisogna, inoltre, puntare sull'utilizzo dei materiali derivanti da lavorazioni industriali come sottoprodotti, anziché avviarli nella gestione dei rifiuti. Questo è un punto che sicuramente troverete meglio sviluppato nel documento Verso un uso più efficiente delle risorse per il sistema Italia, che lasciamo agli atti, dove si approfondisce adeguatamente tutto il tema dell'utilizzo dei sottoprodotti e del recupero dei materiali all'interno del processo produttivo. Sul tema, chiaramente, Confindustria è particolarmente attenta. A questo proposito, nel documento abbiamo fornito anche dati e informazioni specifiche.
  Bisognerebbe anche puntare su accordi di filiera integrata per il mercato nazionale e, soprattutto, internazionale, anche in una logica di simbiosi industriale. La domanda dei Paesi emergenti di tecnologie green si basa su progetti di ampie dimensioni, strutturati e integrati, nei quali è molto difficile che la singola impresa possa presentarsi da sola poiché sempre più si va verso sistemi integrati piuttosto che verso singoli prodotti. Bisognerebbe semplificare procedure e incentivare investimenti in materia di risanamento ambientale; definire una politica che promuova l'attività di ricerca e sviluppo per assicurare un alto standard di innovazione. Il progresso tecnologico, infatti, è condizione fondamentale, tanto più in un Paese trasformatore di materie prime come il nostro, per valorizzare le risorse a disposizione. Infine, bisogna creare modelli di partenariato tra industrie, istituzioni e centri di ricerca universitari, oltre a favorire il finanziamento di progetti di sviluppo delle filiere industriali particolarmente interessanti.
  Da questo punto di vista, abbiamo apprezzato molto, nel disegno di legge di stabilità per il 2014, la norma che prevede l'istituzione di una risk sharing facility, sostanzialmente una partnership finanziaria tra fondi pubblici e BEI per il finanziamento dei grandi progetti di innovazione e ricerca. Riteniamo che, coerentemente con quanto previsto dal citato disegno Pag. 8di legge di stabilità, il tema della green economy debba diventare un elemento prioritario nell'indirizzo delle risorse messe a disposizione di questa risk sharing facility che, sulla base delle norme della stabilità, già dispone di un finanziamento pubblico di circa 100 milioni di euro, che funziona a garanzia su interventi da realizzare da parte di BEI o di altre istituzioni finanziarie. Abbiamo calcolato che l'effetto leva può essere tra il 4 e il 5, nel senso che abbiamo a disposizione risorse per oltre 500 milioni di euro di investimenti e riteniamo che vadano indirizzate verso alcune grandi priorità del Paese, alcuni grandi progetti. Chiediamo che il tema della green economy, declinato nel modo che dicevo, vale a dire in termini di sviluppo di efficienza energetica e di tecnologie per il recupero dei siti industriali, diventi prioritario nell'ambito di utilizzo di questi fondi.
  Trovo il meccanismo particolarmente interessante. Mutua i meccanismi con cui la Commissione europea sta finanziando i grandi progetti di innovazione e ricerca. Il meccanismo della risk sharing facility è, sostanzialmente, la creazione di una piattaforma finanziaria in cui i soggetti che partecipano distribuiscono in maniera diversa il rischio. Il rischio principale è assunto pienamente dallo Stato attraverso il fondo di garanzia e questo agevola l'intervento da parte di investitori istituzionali (BEI), ma eventualmente anche da parte di banche private, per finanziare progetti di innovazione e ricerca.
  Come noto, questo è uno dei punti più critici dell'attuale situazione. Segnatamente in questa fase, il sistema delle banche non è particolarmente propenso a finanziare progetti di innovazione e ricerca che, per loro natura, sono progetti ad alto rischio e a redditività molto differita nel tempo. Pertanto, si tratta di un caso evidente di fallimento oggettivo del mercato del credito. Interventi nella forma di garanzia pubblica possono sicuramente aiutare progetti di ricerca e di innovazione di medio e lungo termine. Riteniamo, dunque, che questa norma presente nel disegno di legge di stabilità vada collegata con i lavori che si stanno svolgendo in questa sede.
  L'auspicio è quello di contribuire a delineare efficaci politiche che consentano al nostro Paese di assicurare un virtuoso percorso di sviluppo sostenibile. Sono indicate in modo più dettagliato nel documento che vi lasciamo alcune osservazioni e proposte di Confindustria in tema di green economy. In aggiunta a tali contributi, mettiamo a disposizione della Commissione due nostri recenti position paper orientati a un uso più efficiente delle risorse del sistema Italia e smart energy project; i due studi sono alla base delle cifre che vi ho presentato nella relazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio per la relazione interessante e completa. Anche gli studi, cui ho avuto modo di dare un'occhiata, sono di grande interesse.
  Vorrei, anzitutto, tranquillizzarvi. Nell'impostazione di quest'indagine conoscitiva, c’è infatti il cuore e l'evoluzione, non il superamento, del manifatturiero italiano. Quella sulla green economy è vista assolutamente come un'indagine trasversale rispetto a tutti i settori produttivi. Il discorso sulla brown economy non è di ghettizzare alcuni segmenti, ma di pretendere da quelli anche un'evoluzione in una direzione trasversale, che abbracci dall'agricoltura di qualità – sentiremo le organizzazioni agricole – fino all’hi-tech. È un ragionamento che riguarda il cambiamento dell'economia nella crisi e i fattori competitivi dell'economia italiana.
  Abbiamo ben chiaro che l'Italia è un grande Paese manifatturiero, uno dei più grandi Paesi manifatturieri del mondo, tra i primi cinque Paesi al mondo. Mi permetto di segnalare che ho sentito un vostro vicepresidente scambiare il surplus manifatturiero di 100 miliardi di euro, che accomuna solo cinque Paesi al mondo (Cina, Germania, Giappone, Corea e Italia) con un attivo nella bilancia commerciale, quindi forse dovete fare un po’ di lezioni a qualcuno dei vostri da questo punto di vista. Si dice il peccato, ma non il peccatore, ma l'ho sentito in televisione. Credo Pag. 9la questione sia un po’ diversa. Suppongo che anche il Kuwait, il Qatar e magari anche Andorra abbiano una bilancia commerciale in attivo. Ciò premesso, il cuore del nostro ragionamento è proprio leggere attraverso la green economy il futuro dell'intera economia. Su questo, voglio fare solo alcune considerazioni, una delle quali riguarda i costi dell'energia. So che è un punto delicato. Per come presentate i dati, rispetto alle rinnovabili, da un lato, è sicuramente vero che sono stati sbagliati gli incentivi alle rinnovabili perché concentrati troppo nel tempo. In alcuni segmenti, come anche voi ricordate nel documento, come quello della produzione di inverter, l'Italia ha un punto di eccellenza nel mondo e i più grandi impianti fotovoltaici che si stanno costruendo in tutto il mondo spesso montano inverter italiani. Siamo, quindi, piazzati bene, come lo siamo in alcuni altri segmenti industriali di punta, ma sicuramente gli incentivi sono stati sbagliati nella loro distribuzione nel tempo. Quantitativamente, però, sulla bolletta energetica gli incentivi italiani ammontano alla metà di quelli tedeschi, quindi sono uguali a quelli tedeschi. La Germania, infatti, ha il doppio dell'economia dell'Italia.
  So che il vostro ragionamento è uguale per quanto riguarda il costo dell'energia, ma bisogna porvi attenzione. È assolutamente vero che i piccoli consumatori di energia italiani pagano l'energia elettrica – il metano è ancora un'altra partita e, come sappiamo, l'Italia paga di più anche il metano – il 30 per cento in più che in Germania, anche se spesso e per molti di questi consumatori l'energia elettrica non è un fattore competitivo, per cui alla fine non ci si concentra più di tanto sui risparmi possibili perché mancano politiche di investimento.
  Da questo punto di vista, il vostro studio è interessantissimo. Serve un'azione culturale di alfabetizzazione perché molti non sanno e, banalmente, a molti non importa molto perché in un'impresa il cui costo dell'energia vale il 6 per cento e il costo del lavoro 20 non ci si preoccupa del costo dell'energia.
  I medi imprenditori pagano invece più o meno quanto i tedeschi e i grandi, infine, pagano meno dei tedeschi. L'ILVA e l'Alcoa pagavano l'energia elettrica meno dei concorrenti tedeschi tra contratti di interrompibilità e altro benefici.

  ANDREA BIANCHI, Direttore Politica industriale di Confindustria. È questo il punto, l'effetto di una serie frastagliata di interventi.

  PRESIDENTE. Per onestà intellettuale, visto che il confronto tra noi c’è, così come la qualità del vostro contributo, devo dire che trovo un po’ fastidioso che si arrabbino per il costo dell'energia elettrica quelli che la pagano di meno. Quelli che si lamentano di finire fuori mercato rispetto a quelli che rappresentano il punto di riferimento per il nostro manifatturiero, ossia la Germania, sono quelli che la pagano di meno, quindi c’è un problema anche lì.
  Voi rappresentate mondi oramai molto vari, pezzi di Confindustria dicono cose opposte a quelle di altri pezzi di Confindustria. Sorvolo su cosa sarebbe successo in Italia se, come Confindustria voleva, avessimo cominciato a costruire centrali nucleari dal punto di vista del costo dell'energia e del fallimento dell'Enel che, visto l'andamento del mercato dell'energia nel nostro Paese, sarebbe diventata una bad company da sostenere come le banche. Sono d'accordissimo sulla frontiera tecnologica. Peraltro, ieri era il cinquantenario del Nobel a Natta, che è stato sicuramente quello più italiano tra tutti i Nobel.

  ANDREA BIANCHI, Direttore Politica industriale di Confindustria. È stato anche il più industriale.

  PRESIDENTE. Esattamente. Gli altri Nobel scientifici italiani erano di persone di grandissima qualità, ma hanno lavorato molto anche all'estero, Dulbecco, Montalcini, Rubbia e così via. Il vostro reiterato riferimento alla frontiera della chimica di origine vegetale, chimica verde, biochimica, è importante. Quello è un campo in Pag. 10cui per ora siamo i primi, ma se non attrezziamo le filiere industriali con investimenti di scala adeguati, corriamo il rischio che, quando si muoveranno i tedeschi, questo primato possa essere perso.
  Consentitemi un'ultima battuta sull’ecobonus, sulla stabilizzazione cioè delle agevolazioni fiscali per gli interventi di efficientamento energetico e di messa in sicurezza sismica degli edifici che, come sapete – lo dico anche a nome dei colleghi della X Commissione, anche se è una cosa più di competenza della Commissione ambiente – è per noi la battaglia storica. Abbiamo combattuto come leoni su quel fronte. Cercheremo, anche in sede di approvazione della legge di stabilità per il prossimo anno, di stabilizzare l’ecobonus. È chiaro infatti che, a fronte di una sua mancata stabilizzazione, il rischio è che prevalgano le componenti più effimere. Questo vale sia sul fronte del risparmio energetico sia su quello del consolidamento antisismico. Un'impresa non si attrezza al consolidamento antisismico di una casa, intervento complicato dal punto di vista sia progettuale sia realizzativo, se non sa che quell'incentivo diventerà un driver anche per il futuro.
  Vi chiedo se al Governo parlate di questo. Perché, se nell'interlocuzione con il Governo mettete in prima linea altre misure, come mi è sembrato dalla lettura dei resoconti di questi incontri, non ci date una mano, eppure conoscete i dati. Uno studio del Servizio Studi della Camera e del Cresme ha dimostrato che quest'anno la partita degli incentivi per le ristrutturazioni edilizie e dell’ecobonus ha mosso 19 miliardi di euro di fatturato e ha prodotto, tra diretto e indotto, 283 mila posti di lavoro in un settore come l'edilizia che, come sapete, è il più drammaticamente colpito dalla crisi. Nella filiera delle costruzioni, infatti, si sono persi oltre 500 mila posti di lavoro dall'inizio della crisi. Che ci sia, quindi, su quel tema, assoluta convergenza ! E cerchiamo anche, ovviamente nell'assoluta indipendenza, che quanto diciamo sulla green economy divenga anche una priorità nelle interlocuzioni con le istituzioni.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA VALLASCAS. Innanzitutto, mi scuso per il ritardo, ma stavo seguendo la seduta della V Commissione dedicata all'esame degli emendamenti alla legge di stabilità.
  Avete citato Porto Torres. Essendo la mia a terra, colgo al volo l'occasione. Avete citato Porto Torres, dicevo, e la joint venture tra ENI e Novamont. Sapete che la cittadinanza locale è preoccupata per la nuova impresa. Si teme che continui l'inquinamento e che non si realizzi una vera bonifica delle aree.
  Vorrei conoscere la fattibilità, economicamente, di una vera bonifica del sito, se ne siete a conoscenza. Vorrei anche sapere se sia possibile, per Porto Torres, ma anche a livello nazionale, creare dei punti di ricerca sulle bonifiche, che permettano sia di avere dei brevetti, ma anche lavoro da portare in Europa e poi a livello mondiale.
  Inoltre, cosa manca affinché questi centri di ricerca si avviino ?

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  ANDREA BIANCHI, Direttore Politica industriale di Confindustria. Rispetto alle osservazioni del presidente, credo che su alcuni temi siamo assolutamente in linea. Ad esempio, condividiamo appieno il giudizio sulla centralità degli incentivi per l'efficienza energetica come opzione strategica della via italiana alla soluzione del problema della riduzione delle emissioni di CO2 e al raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020.

  PRESIDENTE. Vorrei fare una battuta amichevole. Il problema non è solo quello del raggiungimento degli obiettivi. Personalmente, vedo l’ecobonus e più in generale le misure per l'efficienza energetica come il cuore della via italiana per essere competitivi nel mondo. Vogliamo competere sul basso costo del lavoro, sui diritti e altro o sull'innovazione ?

Pag. 11

  ANDREA BIANCHI, Direttore Politica industriale di Confindustria. Assolutamente sì. Tra l'altro, a nostro parere, unita al tema dell’ecobonus, c’è l'altra battaglia storica che Confindustria sta portando avanti negli ultimi anni, vale a dire quella del credito d'imposta alla ricerca. I due temi sembrano lontani, mentre sono molto convergenti. Tra le priorità che Confindustria ha immesso anche nell'ultima manovra di stabilità, c’è il tema del credito d'imposta alla ricerca, l'unica chiave con cui poter garantire sviluppo e sostenibilità. Un Paese che investe poco in innovazione e ricerca difficilmente potrà portare risultati significativi.
  Sul tema dei costi dell'energia, abbiamo sì una bolletta elettrica molto diversificata in funzione delle dimensioni di impresa, ma è anche vero che lo sconto applicato ai grandi consumatori di energia è anche frutto di una serie di normative che rendono poca certezza e stabilità nel tempo. Immaginiamo le somme derivanti dagli incentivi per gli interconnector, per il servizio di interrompibilità e così via. Abbiamo bisogno senz'altro di un assetto più stabile anche sul fronte delle norme che regolano i costi energetici.
  Non entro nel tema delle centrali nucleari, che non è oggetto della relazione.

  PRESIDENTE. Non bisogna recitare sempre la parte di Fonzie ! Ogni tanto dobbiamo anche dire che abbiamo sbagliato !

  ANDREA BIANCHI, Direttore Politica industriale di Confindustria. Su questo punto, non entro nel merito. Ho citato il caso di Porto Torres essenzialmente come un esempio. Per noi, il tema della riconversione dei siti produttivi è sicuramente uno tra quelli su cui puntare per due motivi. Anzitutto, come dicevo, il nostro è un territorio dove lo sviluppo industriale può avvenire nelle aree a storica vocazione industriale. Immagino Porto Torres, ma anche le aree della Sardegna, il Sulcis, Porto Marghera, Priolo, Gela, dove esiste un'infrastrutturazione, c’è una cultura industriale molto diffusa, ci sono settori industriali diversi da quelli in cui sono stati realizzati pochi investimenti e quindi, oggettivamente, adesso poco concorrenziali. Una concentrazione su quelle aree degli interventi di politica industriale è sicuramente efficace.
  Porto Torres è un esempio della riconversione di un vecchio polo petrolchimico che, come noto, era in forte perdita in un contesto in cui la petrolchimica, in base all'evoluzione del contesto internazionale, fa fatica a essere competitiva. In quel caso, si è trovata una convergenza tra una start-up tecnologica, Novamont, con una grande impresa di dimensione industriale, ENI, che ha ricominciato a investire nel settore della chimica. Da questo punto di vista, lo trovo un elemento positivo.
  Non dispongo dei fattori di dettaglio di cui mi chiede, onorevole Vallascas, sull'utilizzo del territorio agricolo e per le bonifiche. Non abbiamo, però, difficoltà a farvi avere approfondimenti sul valore delle bonifiche già realizzate e sugli ostacoli. Posso dirvi, essendoci stato personalmente, che i lavori sono iniziati e stanno andando avanti sulla base della tabella di marcia definita anche grazie a una forte collaborazione da parte delle istituzioni nazionali, regionali e locali sul tema delle autorizzazioni.
  Credo che sia un caso abbastanza virtuoso, in cui alla presenza di un grande investimento industriale ha corrisposto una forte attenzione da parte delle istituzioni in termini di accelerazione delle procedure. Credo che, da questo punto di vista, rappresenti abbastanza un prototipo di riconversione industriale.
  Quanto al mancato arrivo delle bonifiche e dei centri di ricerca, sono e siamo convinti che il settore delle bonifiche non sia solo funzionale a ristrutturare il territorio, ma produttivo di per sé, quindi con una elevatissima dose di componente d'innovazione e tecnologica. A mio parere, siamo in ritardo su questo settore perché è la domanda a essere fortemente ritardo. In realtà, in Italia si è proceduto a pochissime bonifiche, dunque è ancora il settore industriale, evidentemente, che è cresciuto in maniera limitata.Pag. 12
  Sempre nella logica che vi dicevo di finanziare, attraverso la nuova piattaforma finanziaria prevista dalla stabilità, grandi progetti di innovazione e ricerca, credo che quello delle bonifiche possa essere uno dei settori in cui creare sinergia tra ricerca pubblica e ricerca privata. Sicuramente, da parte delle imprese italiane c’è una forte attenzione a investire in questo settore. Oltretutto, non siamo gli unici con il problema delle bonifiche, poiché esiste in tutt'Europa, non è un problema solo nostro. Il punto è che noi non le abbiamo ancora fatte e nel resto d'Europa probabilmente qualcosa di più è stato fatto.

  PRESIDENTE. Ringraziamo anche per i materiali portati, di cui cercheremo di fare buon uso.

Audizione di rappresentanti di Confagricoltura (Confederazione generale agricoltura italiana), Coldiretti (Confederazione nazionale coltivatori diretti), CIA (Confederazione italiana agricoltori) e Copagri (Coordinamento organizzazioni professionali agricole italiane).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di Confagricoltura (Confederazione generale agricoltura italiana), di rappresentanti di Coldiretti (Confederazione nazionale coltivatori diretti), di CIA (Confederazione italiana agricoltori) e di Copagri (Coordinamento organizzazioni professionali agricole italiane).
  Chiediamo scusa per il ritardo. Come sapete, sono giornate un po’ convulse: a causa dell'esame del disegno di legge di stabilità in Commissione bilancio, c’è un po’ un accavallarsi dei lavori parlamentari. L'avvicendamento nell'audizione tra Confindustria e le organizzazioni agricole ha anche un che di simbolico, poiché fa capire che l'indagine sulla green economy che stiamo portando avanti vuole affrontare trasversalmente tutto il sistema produttivo. Per questa ragione, il vostro contributo da questo punto di vista è per noi importante.
  Vi abbiamo chiesto, oltre a consegnarci tutti i materiali che desiderate, anche di portarci una sintesi in cinque cartelle dei punti che ritenete prioritari. Siccome stiamo ascoltando davvero tanti soggetti economici e istituzionali, vogliamo permettere una socializzazione di queste sintesi, in maniera che possano contribuire nella maniera migliore alla stesura del documento finale che sarà predisposto l'anno prossimo, anno che l'Europa dedica proprio all'economia verde. Il nostro lavoro è infatti finalizzato anche a orientare l'azione dell'Italia in Europa col semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea.
  Se non l'avete portata oggi, vi prego di inviarci la nota sintetica per permetterci di trasmetterla anche a tutti i colleghi che non sono presenti.
  Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

  DONATO ROTUNDO, Direttore area ambiente Confagricoltura. Invieremo la nota tra lunedì e martedì.
  Vorrei presentare brevemente quello che intendiamo per green economy in agricoltura. Ho visto che, nella richiesta di audizione, nel documento che avevate presentato ci sono molti spunti generali su una serie di documenti europei e internazionali. Vorrei soffermarmi, in particolare, su due documenti che la Commissione europea ha presentato negli ultimi due anni, quello sul partenariato sulla produttività e sostenibilità in agricoltura e quello sull'avvio economia. Il principio fondamentale su cui dovremo confrontarci nei prossimi anni, dando comunque seguito a tutto il lavoro svolto dall'agricoltura sulla green economy, si impernia proprio su questi tre termini: produttività, sostenibilità e innovazione. Nei due documenti, sono riprese queste indicazioni e si parte dal presupposto che l'agricoltura dovrà, nei prossimi anni, affrontare sfide produttive molto importanti per una serie di questioni che si stanno verificando a livello internazionale, quindi produzione Pag. 13maggiore di biomasse, mangimi, cibo e biomateriali. La condizione è di lavorare attraverso la sostenibilità. La sfida che stiamo vivendo è che tutto ciò deve essere realizzato con una forte diminuzione di fattore di produzione. Parliamo di energia, prodotti fitosanitari, fertilizzanti, acqua, meno suolo a disposizione, guardando con attenzione ad ambiente, sicurezza e lavoro sul territorio, ma soprattutto all'occupazione. Mi soffermerò su quest'ultima perché penso che lo sviluppo dell'agricoltura debba guardare anche a un'impostazione che contempli la green economy, ma soprattutto l'occupazione. Diversamente, non daremo risposte al Paese.
  Sintetizzerei le possibilità dell'agricoltura e le necessità di sviluppo sui quattro punti che il documento sulla bioeconomia ha individuato, il primo dei quali riguarda la garanzia della sicurezza alimentare. Quando parliamo di sicurezza alimentare, sono diversi gli argomenti su cui occorre lavorare. Abbiamo già parlato della quantità, ma conta soprattutto la qualità, produzioni di un certo valore ecologico. Sicuramente, sono due le filiere su cui ci dovremo confrontarci: quella corta, intendendola come accorciamento della filiera, garantendo più reddito all'agricoltore e permettendogli di rimanere sul territorio con prodotti validi qualitativamente; bisogna anche guardare con molta attenzione a tutto quanto sta avvenendo nelle filiere più complesse, che conservano, trasportano, trasformano, esportano.
  Qui si sta facendo un grandissimo lavoro sulla green economy. Cito l'esempio del settore vitivinicolo, di alcuni caseifici nella lavorazione del Parmigiano per dire che si sta iniziando a lavorare su marchi certificati che guardano proprio alla sostenibilità. Tutto ciò che è green economy sta entrando in queste filiere. Cito anche l'esempio dei vivai. Non mi soffermo sul fatto che questo sta aprendo un grossissimo lavoro da parte della consulenza tecnica. Chiaramente, anche nei futuri piani di sviluppo rurale, consulenza, audit energetici, diminuzione di CO2 sono tutti temi che dovranno essere ben precisati.
  Il secondo aspetto è rappresentato dalle filiere di qualità DOP, IGP e biologico, dove c’è ancora molto da fare. Mi riferisco soprattutto al biologico, sicuramente una delle filiere più importanti della green economy, che in Italia comincia ad avere qualche assestamento a fronte di una richiesta dell'industria italiana di ulteriori prodotti biologici. Soprattutto, noi continuiamo a importare prodotto biologico, per cui sicuramente è una delle filiere di qualità che va sviluppata. Va, inoltre, in tema di bioeconomia, la gestione delle risorse. Qui abbiamo tantissimi problemi, che posso solo accennare, ma che forse nei successivi interventi approfondiranno. C’è molto da lavorare per far fronte all'utilizzo dell'acqua in agricoltura, uno degli argomenti più importanti per la produttività, ma anche nell'ambito del lavoro che può offrire l'agricoltore al territorio proprio per seguire quei possibili piani straordinari di intervento e di manutenzione che devono essere svolti nel settore proprio per offrire maggiore multifunzionalità all'azienda agricola e fornire risposte importanti.
  Quanto alla gestione delle risorse, terzo aspetto prioritario, il consumo del suolo chiaramente è una delle questioni associate allo sviluppo dell'agricoltura, non solo nei termini di un problema di perdita del suolo, ma anche di mancanza di sostanza organica, quindi tutto ciò che si sta facendo per aprire nuove frontiere anche sui fertilizzanti moderni. Cito l'esempio della filiera del biogas, dove la produzione di digestato sta cominciando a portare molte aziende agricole a produrre fertilizzanti. Si stanno, dunque, creando filiere agro-industriali estremamente importanti proprio per sostituire i fertilizzanti. Nell'ambito della gestione delle risorse, si sta inoltre lavorando molto sulle aree naturali, sui servizi ecosistemici. Anche gli ultimi due giorni hanno messo in evidenza, nella Conferenza nazionale «La natura dell'Italia», come si stia creando occupazione in queste nuove opportunità per l'agricoltura.
  L'ultimo aspetto importante è rappresentato dalla sostituzione delle risorse Pag. 14fossili. L'agricoltura ha compiuto passi da giganti negli ultimi anni nello sviluppo delle rinnovabili, ma adesso si stanno aprendo nuove frontiere sull'efficienza energetica, da ultimo sul biometano, ma soprattutto con la chimica verde. È importante ridare spinta a quello che può offrire l'agricoltura in questi settori anche dal punto di vista dell'occupazione del suolo, questione che abbiamo affrontato in diverse situazioni. È bene sempre ricordare che oggi abbiamo circa 500 mila ettari a set-aside, che possono e devono essere utilizzati. Qui si apre anche tutta la problematica delle aree marginali, dove lo sviluppo della green economy, delle rinnovabili, può funzionare proprio da volano per offrire nuove opportunità alle aziende agricole.
  Sull'occupazione, vorrei ricordare solo il caso del biogas: negli ultimi 4 anni, 800 megawatt agricoli, quasi 12.000 posti di lavoro. Ci siamo trovati veramente davanti a una rivoluzione e, nel settore zootecnico, il biogas sta diventando straordinario in Italia, un vero e proprio laboratorio dove si produce energia rinnovabile, termica, si produrrà biometano. Soprattutto, si sta cominciando a lavorare insieme al settore industriale per sviluppare anche strutture di bioraffinerie, quindi chimica verde. È proprio qui che si rileva quanto sia importante il meccanismo dell'innovazione per lo sviluppo della green economy.
  A parte i temi delle rinnovabili e dell'efficienza energetica, nella nota che invieremo presenteremo una serie di proposte. C’è molto da fare, infatti, come vi dicevo, in agricoltura per il passaggio dall'energia fossile, in particolare il gasolio agricolo, che si continua a utilizzare molto. Sulla filiera biometano, elettrica si possono compiere molti passi in avanti nonché creare nuove opportunità di lavoro.
  L'ultimo aspetto è rappresentato dai cambiamenti climatici e dalla possibilità dell'agricoltura di estendere la sua attività multifunzionale sull'assorbimento di CO2. Chiaramente, questa è una frontiera estremamente nuova, che sta cominciando a portarsi avanti. Molti esempi importanti sono già sviluppati sull'agricoltura blu, quindi sulla conservazione del suolo, che permette di assorbire la CO2.
  Esiste, inoltre, tutta la problematica delle foreste. Se riusciamo a incanalare incentivi sull'assorbimento di CO2, a inserire le foreste nella filiera della produzione di energia termica, forse riusciremo a recuperare le foreste italiane, che al 50-60 per cento si possono ritenere non ben gestite o anche abbandonate. A ciò si deve aggiunge inoltre quel milione e mezzo di ettari che ha creato una forestazione spontanea non governata.
  Il volano dell'energia, dell'assorbimento di CO2 può servire dunque a creare nuova occupazione e a offrire nuove opportunità all'agricoltore per rimanere sul territorio.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DAVIDE CRIPPA

  BARBARA DI ROLLO, Responsabile economie alternative CIA. Vi ringrazio a nome della Confederazione per il gentile invito.
  L'intervento, cui seguirà anche un contributo più puntuale, vuole essere soprattutto una richiesta rispetto agli importanti temi che sono stati trattati ieri nel corso della Conferenza sulla biodiversità e le aree protette.
  Riteniamo che l'argomento della green economy, in relazione all'aspetto specifico che riguarda l'agricoltura, non sia stato ben valorizzato a fronte delle opportunità che esistono. Questo è un po’ mancato ieri in tutti i discorsi svolti. Intendo dire che il ruolo per l'ambiente della parte agricola è stato in qualche modo relegato a una funzione limitata all'agricoltura sostenibile, che invece è soltanto una delle potenzialità che riguarda il mondo agricolo.
  L'agricoltura deve essere mantenuta appieno all'interno del discorso che riguarda l'ambiente. Può offrire ancora molto e non parliamo soltanto di quello che l'agricoltore può fare all'interno della propria azienda, ma di un'agricoltura che può essere proattiva rispetto all'ambiente, molto più di quanto non stato evidenziato.Pag. 15
  Parliamo, ad esempio, di una manutenzione del territorio, che può essere svolta, per esempio, per la prevenzione contro il dissesto idrogeologico, ma anche come recupero rispetto a una devastazione ecologica che avviene dopo un dissesto, di un'agricoltura che può fare manutenzione puntuale e che, in questa visione strategica, che guarda a un lungo periodo, deve necessariamente essere che recuperata.
  Chiedo pari dignità per l'agricoltura rispetto alle aree protette. Se in queste è la natura che agisce, nell'ambito agricolo è l'uomo a farlo. Citerò solo un esempio per far capire di cosa parlo. Se nelle aree protette è la natura che agisce rispetto alla biodiversità, nella parte agricola è l'uomo che deve agire per la biodiversità agraria e non si può lasciare tutto questo al libero arbitrio, cioè all'agricoltore che virtuosamente può scegliere o meno di coltivare una specie rara o che, comunque, domani può corrispondere agli adattamenti e ai cambiamenti climatici, una specie che probabilmente, se non tutelata dall'uomo, va persa perché non è tutelata neanche nelle aree protette. Su questo fondiamo la nostra alimentazione. Per il futuro, non possiamo aspettarci che non arrivino risposte in questo senso anche dall'agricoltura, quindi la mia è veramente una richiesta che, anche nell'ambito della green economy e di tutto quanto può fare l'agricoltura rispetto a questo importante argomento, avvenga un recupero. Moltissimi sono gli ambiti, come la riqualificazione fluviale, in cui l'agricoltura può intervenire in modo puntuale.
  In quell'ambito, l'agricoltore è presente su tutto il territorio, che conosce meglio di chiunque altro, e può agire al di fuori della propria azienda. Questo concetto va fortemente recuperato in quest'ambito. Tutto quello di cui parliamo a livello strategico si ripercuote a livello locale, dove i comuni, gli enti parco e tutti agli altri enti presenti possono individuare una risorsa alternativa nell'agricoltura. Vi è un mondo da scoprire.
  L'agricoltura può fare la sua parte, per cui invito veramente a recuperare queste situazioni, dove e quando possibile. Mi aspetto, da questo punto di vista, un maggiore coinvolgimento della parte agricola nel recuperare, se possibile, anche tempo. Questo coinvolgimento c’è sempre stato e in maniera evidente, ma può essere molto maggiore.

  GABRIELE CALLIARI, Membro della giunta esecutiva nazionale di Coldiretti. Ringrazio la Commissione per averci offerto la possibilità di proporre la nostra visione rispetto a questo tema, sicuramente importantissimo, che tocca la sensibilità di tutti, ma soprattutto anche chi concretamente svolge questo tipo di attività sul territorio.
  Lasceremo la sintesi richiesta e la invieremo anche telematicamente. Sarò molto breve, ma molto «agricolo». Faccio veramente l'agricoltore e conosco benissimo il pensiero degli agricoltori rispetto al ragionamento sulla sostenibilità, che purtroppo è stata percepita per tanti anni quasi come il normale condizionamento che derivava dal dover ottemperare a degli obblighi, a delle norme, a dei rigidi protocolli. Credo che il mondo contadino l'abbia vissuta sicuramente non per la sua natura, in una maniera certamente diversa fin da subito, adeguando un po’ il suo essere e la sua natura al fatto che la natura e il paesaggio che abbiamo attorno sono frutto del sapere dell'uomo moltiplicato nei secoli. Per fortuna, esiste una condivisione anche diversa su quest'aspetto da parte di tutta la società. In questo momento, finalmente la sostenibilità è considerata dagli agricoltori, ma anche da tutti i consumatori, che accettano di contribuire a questo sostentamento con le risorse che la PAC riversa sui territori, non più come un limite, ma come un'opportunità, un valore, da declinare in maniera assolutamente positiva.
  Credo che il mondo agricolo sia pronto a fare fino in fondo la propria parte, come ha sempre fatto, ma probabilmente deve essere anche messo nelle condizioni di farlo. Servono obiettivamente gli strumenti che la politica agricola comune ci mette a disposizione, ma anche percorsi che portino effettivamente il nostro Paese a una Pag. 16visione un po’ diversa rispetto alla possibilità concreta di perdere la sua istintività, per la quale intendo i valori che il territorio riesce a esprimere, in particolare nell'agroalimentare, ma credo anche nei paesaggi.
  Il nostro Paese dovrà vivere di due grandi filoni e ritengo che abbiamo ancora la possibilità di salvare queste due risorse: l'agricoltura e tutto quanto possiamo porre in campo da un punto di vista turistico. Vanno di pari passo, così come credo vadano di pari passo la necessità di una visione diversa, una tutela diversa, in particolare del territorio montano, o meglio più periferico, e delle foreste, come è stato richiamato anche dall'intervento precedente.
  Abbiamo una possibilità infinita di ottenere energia anche prelevando materiali dai nostri boschi, ma soprattutto rendendo anche i residui di produzione delle opportunità. All'80 per cento, i nostri boschi, secondo i dati del Corpo forestale dello Stato, non sono coltivati, non sono utilizzati, non c’è nemmeno prelievo e questo significa addirittura diminuire anche la possibilità per il bosco di fissare il carbonio. Chiaramente, sono cose che voi stessi mi insegnate, ma ragioniamo anche su questo.
  Credo che un ragionamento complessivo vada affrontato anche su tutta la ricerca delle possibilità di energia pulita: tuttavia, a che prezzo ? Credo che quello sia un filone. Probabilmente non lo è, invece, come dobbiamo dire chiaramente, l'installazione di fotovoltaici a terra di centinaia e centinaia di ettari, che credo raggiungano l'obiettivo dal punto di vista dell'energia pulita, ma qui c’è un po’ un inganno. Nessuno disconosce che sia energia pulita, ma a che prezzo ? Sottraendo ulteriormente ettari importanti, magari di terreno fertilissimo, a quella che potrebbe essere invece una produzione destinata al compito molto più nobile di nutrire l'uomo ? Credo che su questo aspetto dovremmo ragionare rispetto alla differenza fra piccoli impianti fotovoltaici sui tetti delle strutture e gli impianti a terra realizzati in terreni, come abbiamo visto, di una fertilità assolutamente elevata. A mio avviso, questo è uno dei nostri grandissimi problemi, su cui la green economy può veramente influire. Credo che il mondo contadino sia disposto a fare la propria parte potendo avere la certezza del consumo dell'acqua, ma con l'impegno, nello stesso tempo, di poter ridurre, come ha fatto e come intende fare ancora, il prelievo dell'acqua, per renderne un utilizzo circolare, ma in ogni caso molto più moderato, calibrato, con strumenti assolutamente alla portata.
  La possibilità che il nostro sistema produca eccellenze va aiutata, ad esempio – sarà una battaglia anche di Coldiretti, ma vedo che è assolutamente condivisa anche dalla società civile – regolando velocemente o, comunque, applicando i decreti che servono per la legge sull'etichettatura. Se vogliamo bene al nostro Paese, alle eccellenze agroalimentari che il nostro Paese riesce a produrre, ma anche all'industria di trasformazione, che effettivamente valorizza quel prodotto, e ai nostri consumatori, credo che una distinzione veloce, netta rispetto a un prodotto piuttosto che un altro, vada fatta, chiaramente lasciando una scelta assolutamente libera del consumatore su come orientarsi, ma di fronte a etichette chiare, che possano valorizzare l'impegno dei nostri agricoltori sul territorio. Su questo aspetto, credo che nella green economy non possiamo nemmeno non toccare il concetto di OGM. Sappiamo benissimo quali ripercussioni un allentamento rispetto a una vigilanza su quella materia potrebbe portare a tutte le nostre istintività. Vi inviterei veramente a riflettere su questo.
  Vi inviterei a riflettere anche su un concetto a proposito del quale porto l'esperienza, che probabilmente conoscete, della mia provincia: il consumo del suolo. Se vogliamo veramente che tutte le cose che abbiamo detto, produttività, occupazione, buon cibo, siano garantite, deve essere garantita anche la sostenibilità e la sicurezza ambientale, sempre più precarie perché cambia il clima, ma anche perché forse molti territori non sono più curati come dovrebbero (solo l'uomo infatti sa Pag. 17come curarli: non si possono soltanto scrivere norme, bisogna sapere dove deviare l'acqua), dovremmo ragionare circa il fatto che il nostro Paese, sempre rifacendomi alla mia esperienza del Trentino, deve riflettere in maniera diversa sull'occupazione continua e sistematica, non razionale che avviene del nostro territorio, secondo un uso per il quale non c’è assolutamente ritorno. Mi riferisco in particolare a un'urbanizzazione qualche volta non razionale, controllata, a una cementificazione assolutamente insostenibile e alla sottrazione di terreni, quasi sempre quelli più fertili.
  Abbiamo vinto una battaglia infinita e il legislatore in Trentino finalmente, da 2-3 anni, ha licenziato il piano urbanistico provinciale, che prevede l'obbligo, per ogni comune – mi piacerebbe vedere introdotto questo tipo di principio – di censire molto bene le aree agricole e prevedere, come è accaduto, anche l'invarianza delle stesse superfici.
  Se anche comuni molto piccoli hanno necessità – il mondo ha bisogno di spazi e non debbono essere legati alla comunità – di superfici per realizzare qualche struttura o infrastruttura, possono farlo, ma allo stesso tempo bisogna mettere a disposizione del mondo agricolo la stessa superficie recuperata da superfici già utilizzate e magari dismesse, non utilizzate, mal utilizzate e così via, altrimenti non si potrà fare un passo. Questo non significa negare la possibilità di realizzare strutture che servono alla comunità – il mondo agricolo è anche comunità – ma salvaguardare una percentuale di terreni che debbono rimanere assolutamente a disposizione del mondo agricolo. Dico da trentino, che sarebbe veramente bello vedere applicata questa logica anche nel territorio nazionale. Credo che ce ne sia assoluto bisogno.
  In ogni caso, credo che sia necessario almeno il censimento delle aree dismesse o, comunque, non utilizzate prima di prevederne altre. Questo non significa negare la possibilità per altri di svolgere altre attività, ma serve un monitoraggio delle aree già sottratte al mondo agricolo e male utilizzate. Credo davvero che ne verrebbe fuori un elenco molto lungo.

  LUCA CEFISI, Rappresentante referente settore Copagri. È con me anche il vicepresidente di Copagri, dottor Ranaldi.
  La questione da affrontare è di enorme importanza in senso strategico, per il futuro dei nostri Paesi e dei nostri sistemi economici, oltre che per la Terra in quanto pianeta. Lo è a maggior ragione nella fase di crisi che stiamo attraversando. Credo che possiamo dire definitivamente conclusa una lunga fase storica in cui in Italia si è a lungo percepita l'agricoltura come marginale e residuale. Sul piano globale, questa era l'idea che il primo mondo si occupasse di tecnologia e industria, il terzo di agricoltura per tutti. Per fortuna, quest'idea a livello nazionale e globale è terminata, non soltanto perché ci si è resi conto nel primo mondo che esiste un problema di autosufficienza alimentare, ma anche perché è assolutamente evidente che l'agricoltura non è la residualità, il passato e l'arretratezza, ma al contrario l'avanguardia della nuova economia moderna. Con uno slogan, può esistere l'archeologia industriale delle antiche officine, ma vi è l'assoluta modernità della terra e della sua coltivazione, assolutamente inscindibile in un circolo virtuoso. Dalla tecnologia si fa agricoltura soltanto con un forte valore aggiunto tecnologico, almeno nel primo mondo. Questa è la ragione per cui la funzione è importante. Venendo al tema della green economy, vi è anzitutto la questione della sostenibilità sociale. Riallacciandomi, inoltre, anche agli interventi dei colleghi, non può, non deve essere più e non è mai stata vista la cultura rurale più virtuosa come un costo aziendale. La sostenibilità è, al contrario, il criterio con cui si misura il progresso della produzione non solo nella sua compatibilità ambientale, ma anche il suo valore. In altre parole, tutte le migliori caratteristiche dell'agricoltura italiana, la qualità del gusto, che è immateriale, ma misurabile, vale e ha un prezzo e un valore, la salubrità dei prodotti, la loro Pag. 18tipicità sono tutti valori che stanno soltanto all'interno di una green economy, cioè di un'agricoltura tecnologicamente avanzata e ambientalmente sostenibile.
  Riconosco l'onorevole Pastorelli, che è stato nel Comitato delle regioni dell'Unione europea, ma altri nel loro cursus honorum avranno sicuramente partecipato alle riunioni delle istituzioni europee: la green economy si fa soltanto all'interno di un grande quadro di investimenti, la strategia di Lisbona, l'attuale agenda di Europa 2020, non solo per spontanea evoluzione delle tecnologie e del mercato, che pure è un elemento che conta, ma solo in presenza di una forte capacità di scelta politica, di governance del fenomeno, che indirizzi decentemente questo processo di qualità. Ovviamente, nella globalizzazione questo significa che l'Italia e l'Europa devono compiere delle scelte. Non è tutto facile, scontato. A livello di politica agricola comune (PAC), troviamo avversari forti a livello europeo, che propongono una PAC puramente quantitativa, basata sull'unico parametro della quantità di terra e non sulla qualità della produzione. A livello mondiale, l'acquisizione di terra per motivi speculativi e fondiari è il contrario di un'agricoltura sostenibile, di una sufficienza alimentare della comunità, è un fenomeno macro, che però ha ripercussioni continue ed evidenti anche nelle emigrazioni nei loro aspetti drammatici, come dal Canale di Sicilia, frutto di una crisi agricola mondiale, non dovuta a fattori climatici, ma anche appunto di mancanza di investimenti, di mancanza di scelte politiche ed economiche adeguate e, al contrario, di scelte predatorie.
  Copagri, come è evidenziato nel documento in distribuzione, ha sottolineato diverse urgenze, partendo appunto dal dato che mi permetto di ripetere che l'agricoltura italiana non solo non è residuale, ma è in crescita in termini qualitativi e di valore umano. Così come crescono le facoltà di agraria, gli iscritti alle facoltà e i laureati, crescono i nuovi imprenditori agricoli giovani, laureati e così via. Siamo in una fase delicata di transizione del mondo dell'agricoltura che va incoraggiata. La governance dell'agricoltura italiana ed europea deve difendere i grandi valori che ho cercato di accennare prima, ma tutto questo ha strumenti molto pratici. Abbiamo il problema dell'accesso al credito. Non si fa green economy, cioè cambiamento tecnologico e modernità, senza credito. Credo che il dramma del credito in agricoltura sia sotto gli occhi di tutti.
  Occorre deburocratizzare, semplificare, specialmente per il mondo della piccola e piccolissima impresa agricola italiana. Penso, per esempio, alla gestione degli scarti in agricoltura, a come riutilizzarli sia a fini energetici sia in altro modo. Vi sono normative e regolamenti da alleggerire e semplificare, altrimenti gli esiti sono gravi. È quasi un luogo comune, ma è vero che la nuova moderna impresa agricola è multifunzionale. Questo vuol dire che produce tante cose diverse: servizi sociali, ecoturismo, energia.
  Al riguardo, segnalo che quando si parla di energia sostenibile, l'opinione pubblica tende a pensare soprattutto alle pale eoliche e al solare. Dal nostro punto di vista, però, sia le une sia l'altro presentano costi ambientali. Dal punto di vista sia ambientale sia economico, per l'operazione del pannello solare a coprire terreno fertile, probabilmente, il saldo finale non è esattamente positivo. Peroriamo, al contrario, la questione biogas e quella del riciclo degli scarti per chiudere il cerchio produttivo. Questo è particolarmente importante, per esempio, per l'aspetto ortovivaistico. Ci sono i modelli che non consumano più gasolio agricolo, ma riciclano, e quindi sostengono la refrigerazione o il riscaldamento delle serre. Abbiamo verificato che sono efficaci.
  Ci sarebbe da aggiungere molto. Copagri rimane a disposizione per ogni forma di approfondimento e ribadisce la convinzione che la green economy sia un modello futuro particolarmente importante per un'agricoltura a economia sostenibile socialmente e ambientalmente, fatta di conoscenza e di tecnologia, il contrario di un'idea ormai vecchia della modernità che fa a cazzotti con l'ambiente, ma anzi Pag. 19proprio moderna e tecnologica nel senso che è in armonia con l'ambiente. Tutto questo richiede, ahimè, scelte politiche e investimenti finanziari, altrimenti sono solo parole da convegno.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA CHIARA GADDA. Vorrei chiedere un approfondimento sul tema dell'etichettatura, magari in questa sede una breve risposta e, eventualmente, anche delle integrazioni in una fase successiva sulle proposte e le richieste che si possono avanzare su questo fronte.

  ORESTE PASTORELLI. Ringrazio le associazioni per l'importante contributo che hanno offerto a questa indagine conoscitiva.
  Credo che vada preso in seria considerazione quanto è stato illustrato, come credo che il Parlamento già stia facendo. Dobbiamo insistere sulle problematiche esposte, dalla difesa del suolo, alla prevenzione e alla sburocratizzazione delle pratiche che in qualche maniera investono chi vuole mettere una attività agricola in questo momento.
  Sul piano della prevenzione del rischio idrogeologico, identifico gli agricoltori che difendono il territorio con delle sentinelle. Non mi riferisco alle grandi imprese agricole, ma a quelle piccole e medie delle aree svantaggiate e depresse, che in qualche maniera lavorano per cercare di eliminare le calamità.
  Su questo, è necessaria una sinergia, un confronto diretto per sviluppare sempre di più questi elementi, cercando però in tutti i modi di far sì che questo diventi realtà. È un discorso che va portato nella prossima impostazione della legislazione in vista proprio della sburocratizzazione delle procedure a livello sia ambientale sia di prevenzione del rischio idrogeologico.

  COSIMO PETRAROLI. Anzitutto, ringrazio per l'esposizione. Sinceramente, sono rimasto abbastanza affascinato dall'ultimo intervento, in cui si dà risalto appunto alla nobiltà di questo mestiere e di questo lavoro. Da pugliese, però, ho anche notato che abbiamo saltato una generazione professionale. Ricordo che i nostri nonni erano per lo più agricoltori, mentre i nostri genitori no, quindi c’è un gap generazionale.
  Vorrei conoscere le vostre idee per recuperare quella generazione di professionalità perduta. Fondamentalmente, abbiamo una carenza di personale disposto e capace ad attivare un percorso di questo tipo.
  Vorrei rivolgere un'altra domanda non proprio convenzionale: qual è la vostra opinione sulla possibilità di usare uno strumento pratico come la valuta complementare per rilanciare questo settore ?

  PRESIDENTE. Avrei soltanto una precisazione da chiedere su un intervento di Confagricoltura quando, parlando all'inizio di sovranità alimentare, siamo arrivati al discorso del digestato biogas e delle ottime prospettive che avete delineato.
  Credo che si debba stare molto attenti. Le due dimensioni possono infatti non essere perfettamente in accordo. Spesso, oggi, stiamo assistendo al proliferare di un sacco di impianti biogas, in realtà provenienti da colture dedicate. Visto che non siamo negli Stati Uniti, non abbiamo una superficie agricola così ampia, non siamo in grado di avere la sovranità alimentare e le colture energetiche. Altro è, infatti, avere delle colture energetiche di scarto, in modo da utilizzare il prodotto nobile ai fini alimentari e lo scarto ai fini energetici.
  Chiederei, inoltre, una precisazione sulla parte dedicata al contenimento del consumo del suolo, quindi dello spostamento di quote. L'idea che si delineava era di spostare le quote. Nel momento in cui ci sia necessità urbanistica di occupare nuovo suolo agricolo, si sollevava, infatti, giustamente la questione della necessità che la medesima porzione sia ridistribuita al suolo agricolo da un'altra parte, con una transizione delle aree.Pag. 20
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  DONATO ROTUNDO, Direttore area ambiente di Confagricoltura. Rispondo alla domanda sull'agroalimentare no food, sicuramente un argomento abbastanza importante anche per il futuro sviluppo.
  Parto da una considerazione generale. Chiaramente, ogni fonte rinnovabile ha prodotto qualche problema, ma in limitatissime aree. Secondo i dati nazionali, infatti, o le varie indicazioni del GSE, solo alcune province presentano problemi di sovraccarico di alcune fonti rinnovabili.
  Per quanto riguarda il biogas, quindi l'utilizzo delle colture dedicate, credo sia bene avere sempre a portata di mano un dato nazionale, ma importante. Oggi in Italia, secondo le nostre stime, utilizziamo circa 240.000 ettari per le coltivazioni dedicate per le rinnovabili. Parliamo di biomasse, biogas, biocarburanti, tutto quello che in qualche modo è portato verso la produzione di energia. Parliamo di neanche del 2 per cento della superficie agricola utilizzata (SAU). Non voglio paragonarmi ad altri Stati europei perché non ha senso, ognuno attua le proprie politiche, ma rispetto alla programmazione che ci eravamo dati a partire dal 2007, quando si è iniziato a parlare di sviluppo delle rinnovabili in agricoltura, ci si era prefissati un obiettivo di impegno di circa 600.000 ettari, per cui oggi non siamo andati molto oltre.
  Rimane il problema di alcune aree specifiche sul biogas, ma oggi, dopo un inizio abbastanza importante, improvviso, siamo già in una fase di stabilità. Oggi, il nuovo sistema di incentivazione privilegia gli impianti che utilizzano effluenti zootecnici o sottoprodotti, per cui stiamo andando avanti verso un futuro di impianti a biogas collegati alla zootecnia o in zone marginali. Sicuramente, quindi, ci sono stati dei problemi in qualche provincia, ma tutto da verificare rispetto all'impatto che ha avuto sull'agroalimentare perché l'aumento del prezzo del mais o altro sono dipesi sempre da problemi internazionali.
  Oggi, il prezzo del mais è estremamente basso e, comunque, gli impianti esistono. Alcune oscillazioni, quindi, sono legate più a problemi internazionali, ma comunque l'impostazione che abbiamo è molto attenta a queste problematiche e privilegia sicuramente gli effluenti sottoprodotti.

  ALESSANDRO RANALDI, Vicepresidente di Copagri. Vorrei cercare di offrire qualche contributo per la domanda sull'etichettatura. Da anni diciamo che l'etichettatura è un elemento importantissimo per il mondo della produzione, ma soprattutto per quello dei consumatori. L'etichettatura non indica il prodotto migliore, ma serve, se si vuole acquistare il prodotto di una certa zona, a sapere che all'interno di una confezione c’è un determinato prodotto. È assurdo che l'ultima trasformazione possa conferire l'origine a un prodotto, per cui credo sia un discorso anche di tutela del lavoro delle aziende. Credo che non risolverà tutti i problemi, ma offrirà risposte importanti, soprattutto per quelle produzioni di qualità che, a fronte di un maggiore impegno economico e di lavoro delle imprese, può sicuramente trovare un valore aggiunto da questa chiarezza. Il consumatore può scegliere, poi, se prendere un prodotto che costa di meno, che comunque rispetta certe caratteristiche di salubrità e di qualità, o uno che viene da una zona particolare cui attribuisce un valore aggiunto.
  Credo, inoltre, che la sburocratizzazione rappresenti un elemento fondamentale per tutta l'agricoltura. Oggi, qualsiasi impresa agricola deve rispettare le leggi, come è giusto che sia, e questo significa che da lei o dalle organizzazioni professionali cui si riferisce almeno 100 giornate sono impegnate per offrire le risposte a tutte le norme e tutte le leggi che esistono a livello comunitario o nazionale.
  Quanto alle piccole imprese e alle zone svantaggiate, forse sarebbe opportuna un'attenta riflessione, soprattutto in un momento in cui, con la nuova politica agricola comunitaria, siamo portati a prendere delle decisioni.Pag. 21
  In Italia, l'87 per cento delle aziende percepisce meno di 5.000 euro e il 62 per cento meno di 1.250 euro, i cosiddetti piccoli agricoltori. Specialmente nelle zone montane e nelle zone svantaggiate, tante piccole imprese sono sull'orlo dell'abbandono di certi presidi sul territorio, specialmente in questo momento, quando vediamo che qualsiasi evento atmosferico leggermente superiore al normale causa degli eventi imprevedibili.
  Credo che l'agricoltura non abbia bisogno di tante risorse, ma di risorse indirizzate a dare risposte. Non possiamo pensare a risposte a 360 gradi senza un'attenzione da parte delle istituzioni. In relazione agli sgravi previsti per le zone svantaggiate, ad esempio, è opportuno istituzionalizzarle, rendere per legge chiaro quello che succede non solo per quest'anno, ma anche per gli anni futuri. In questo modo, se qualcuno vuole impegnarsi, sa di poter contare su certe agevolazioni.
  L'incertezza è ciò che meno garantisce in agricoltura. Oltretutto, le attività agricole non sono stagionali o mensili, ma si impostano e si portano avanti negli anni.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERMETE REALACCI

  GABRIELE CALLIARI, Membro giunta esecutiva nazionale di Coldiretti. Se veramente vogliamo bene al nostro Paese, alla nostra agricoltura, ma soprattutto ai nostri consumatori, non vediamo perché non possa essere assolutamente velocizzato l'iter che sta dormendo rispetto a un'etichettatura precisa e non confondibile, che indichi chiaramente da dove proviene la materia prima che ha generato quel prodotto trasformato o, comunque, fresco. Oggi, scade il termine per l'Europa per regolamentare tutto il ragionamento della carne suina e abbiamo ottenuto certi risultati in tema di macellazione e di allevamento, ma non vediamo perché non si debba prevedere anche un'etichetta in più sulla provenienza. Vi sono resistenze fortissime e noi confidiamo nella politica perché, a livello europeo, siano smantellate, ma ancora di più perché a livello italiano sia resa chiarezza se vogliamo veramente che il made in Italy alimentare abbia il riconoscimento che merita e, soprattutto, l'agricoltura anche in territori difficili possa avere una chance in più.
  Non siamo contro il mondo, che è aperto, i mercati sono liberi. Chiediamo soltanto che i consumatori consapevolmente possano scegliere. Non bisogna necessariamente acquistare il mio latte piuttosto che il latte della Polonia. Si può scegliere quello polacco se lo si giudica migliore, ma non si deve essere indotti in inganno sul fatto che si pensa di acquistare latte della mia stalla mentre si tratta di latte che viene dalla Polonia.
  Quanto alle aree agricole, abbiamo previsto un censimento mappato. Il mio comune ha 300 ettari di terreno agricolo: non debbono diminuire. Nel momento in cui il comune ha bisogno di allestire una strada, uno spazio pubblico, una zona artigianale o industriale, deve assolutamente recuperare la stessa superficie che per motivi logistici si sono dovuti sottrarre. Questo serve a garantire la capacità del nostro Paese di mantenere alcuni territori veramente in funzione dell'agricoltura.
  Quanto alla professionalità perduta, credo che non si recuperi. Per fortuna, c’è un orientamento diverso da parte dei giovani, per cui credo ci siano ancora gli spazi per recuperare anche alcuni saperi e alcune professionalità che sembrano perdute. Se ci si riappropria dei nostri spazi e della voglia di fare, esiste la possibilità di colmare il gap generazionale che si è creato tra mio nonno e forse mio figlio. In qualche maniera, ci penso io, do l'esempio per riuscire a recuperare una risorsa che il nostro Paese non può perdere.

  BARBARA DI ROLLO, Responsabile economie alternative CIA. Sull'etichettatura non dirò altro, se non che trattasi effettivamente di una questione di rilievo, soprattutto se posta in relazione alla questione OGM, perché prima o poi, questa Pag. 22questione sarà necessariamente in grado di offrire una risposta.
  Per quanto riguarda le problematiche della difesa del suolo, l'accenno al consumo di suolo, e quindi alla legge che lo riguarda, è condizione sine qua non. Senza un'opportuna legge sul consumo di suolo, non si attua efficace prevenzione e non si fa contrasto contro il dissesto idrogeologico, ma gli agricoltori vanno coinvolti. Non è pensabile una legge sul consumo di suolo prevedendo che questo garantisca di per sé una tutela del suolo agricolo.
  Come accennava il collega di Confagricoltura, il suolo agricolo è diverso, presenta diversi gradi di fertilità. Questo deve essere tenuto in considerazione, soprattutto se vogliamo continuare a parlare di assorbimento dell'anidride carbonica che il suolo può garantire nel contrasto ad adattamenti climatici. È chiaro che una distinzione in questo senso va portata avanti.
  Non aggiungo molto altro, se non sulle professionalità. Che sia saltata una generazione è sicuramente un fatto grave, ma i nuovi agricoltori sono altamente professionalizzati. Per la maggior parte, sono laureati. Molto di quello che si è perso, quindi, forse si è anche recuperato con un maggior grado di studio, con un approccio professionale all'agricoltura notevolmente diverso e che imprime un grosso input anche nel senso della green economy. È chiaro, infatti, che il giovane che ha studiato, che conosce determinate dinamiche, è molto più proattivo nel senso della sua attività.
  Rispetto a quanto detto sulle possibilità di consumo di suolo, quanto si richiamava poc'anzi si chiama tecnicamente compensazione e non deve essere di ordine monetario, ma in questo caso giustamente una compensazione alla pari: tanto terreno viene sottratto, tanto terreno deve essere restituito.

  MARIA ADELE PROSPERONI, Funzionario area ambiente e territorio Coldiretti. Vorrei aggiungere poche considerazioni sull'etichettatura d'origine per focalizzare l'attenzione sul fatto che, se da una parte è una grossa opportunità perché un buon territorio produce un buon prodotto, e quindi c’è un rapporto biunivoco tra i prodotti e i territori, dobbiamo stare attenti perché per l'agricoltura è una grossissima responsabilità che da anni chiediamo di assumerci. La fase che attraversiamo è quella di particolari contaminazioni, che hanno irrimediabilmente compromesso l'immagine dei prodotti. Come ricordavo, infatti, tra i territori e i prodotti c’è inevitabilmente un rapporto biunivoco. È stato pubblicato il 10 dicembre scorso in Gazzetta Ufficiale il decreto-legge sulla Terra dei fuochi: dobbiamo aprire necessariamente una riflessione sulla necessità di riconquistare la fiducia dei consumatori in quelle aree. La Terra dei fuochi è un esempio, la punta di un iceberg. Sono quasi 80 i siti contaminati in Italia tra regionali, di interesse nazionale, da bonificare. Adesso sicuramente l'immagine mediatica è molto concentrata sulla Terra dei fuochi, ma non è il principale o l'unico problema in Italia per quanto riguarda terreni, siti contaminati, falde contaminate. La situazione è drammatica in alcune aree. Partiamo dalla Terra dei fuochi per creare un modello importante di un sistema per riconquistare la fiducia dei consumatori e fare in modo che, in una situazione in cui l'agricoltura è comunque anche vittima di una contaminazione grave e di pregiudizio del territorio, si possa certificare con strumenti volontari o, comunque, politiche di marketing garanzie ai consumatori anche per differenziare i prodotti che effettivamente sono compromessi e quelli che non lo sono. Paradossalmente, in questi casi l'etichettatura di origine rischia di essere pregiudizievole per l'agricoltura.
  Ci assumiamo dunque tutta la responsabilità, come settore agricolo, di portare avanti modelli di sviluppo sostenibile. Ci crediamo molto e il presidente ha ampiamente esposto la nostra posizione, ma chiediamo anche che ci siano offerti strumenti per rendere oggettiva l'effettiva sicurezza dei prodotti alimentari.

Pag. 23

  PRESIDENTE. Come ricordato all'inizio, vi prego di sintetizzare, se possibile, in 5 cartelle i punti che ritenete più importanti, in maniera che ne possiamo tenerne conto nel documento finale.
  Per quanto riguarda le ultime cose che ho sentito, come credo sappiate, non solo da parte mia personale, ma anche da parte delle due Commissioni, c’è una fortissima attenzione alla tracciabilità dei prodotti del made in Italy, in generale, e, in particolare, delle produzioni agricole di qualità legate al territorio. Riteniamo, infatti, quella sia la chiave anche per il futuro dell'Italia dal punto di vista della competitività della nostra agricoltura. Cercheremo di fare tutto quanto è in nostro potere e, sicuramente, sarà tra i temi presenti nel documenti finale di quest'indagine conoscitiva. Ringrazio i nostri ospiti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del Consorzio Remedia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti del Consorzio Remedia.
  Chiedo scusa. Il direttore Bonato è anche un amico ma, come si può immaginare, l'intensità delle audizioni ci porta ad essere un po’ frenetici nel lavoro. Come il direttore generale Bonato sa, stiamo conducendo quest'indagine conoscitiva sulla green economy. Anche a lui chiediamo, come abbiamo fatto auditivo gli altri soggetti intervenuti, di farci avere una nota di cinque cartelle al massimo contenente l'indicazione delle loro priorità, in maniera che possiamo tenerne conto in sede di stesura del documento finale dell'indagine conoscitiva. Chiediamo di rimanere nell'ambito dei 10-15 minuti, in modo da lasciare spazio a eventuali richieste di chiarimenti.

  DANILO BONATO, Direttore generale del Consorzio Remedia. Ringrazio il presidente Realacci e i membri delle Commissioni X e VIII per aver pensato a noi come rappresentanti del settore relativo alla gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). Credo che il tema dei rifiuti elettrici ed elettronici possa rientrare tra le attività nell'ambito dello sviluppo di una economia sostenibile e anche della creazione di posti di lavoro in un settore con grosse potenzialità.
  Per rispetto del vostro tempo limitato, ho cercato di dare un taglio molto operativo e quantitativo all'intervento, quindi risparmio grandi discorsi di prospettiva o di tipo più teorico e userò il mio tempo per fornirvi delle informazioni molto concrete. L'unica parte un po’ più accademica è la definizione da cui parto.
  State conducendo un'indagine sulla green economy e bisogna intendersi sulla sua definizione. Personalmente, ne ho scelta una che mi piace e che uso con i miei studenti al Politecnico a Milano: la green economy è un'economia che funziona con dei limiti previsti dalla sostenibilità riguardo a quattro aspetti, tre dei quali sono relativi al lavoro che facciamo sui RAEE: uso delle risorse naturali, difesa del clima e mantenimento dei servizi ecosistemici. Questi sono i tre punti su cui cercherò di fare un collegamento rispetto al settore di gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici in Italia. Sinceramente, la nostra attività non c'entra molto con il quarto aspetto, quello della biodiversità.
  Venendo all'aspetto fondamentale, la parte economy della green economy, nel senso di crescita e di sviluppo dell'occupazione, è soprattutto in questo momento l'aspetto fondamentale. Vi lascio una tabella, che commenterò molto velocemente mostrandovi cos'era questo settore nel 2005, quando è stato emanato il decreto legislativo n. 151, che disciplina la gestione dei rifiuti elettronici in Italia. Questa è la situazione a oggi. Vi illustrerò anche qual è la prospettiva al 2019 a fronte del recepimento della nuova direttiva. Con i tassi di raccolta eravamo al 10 per cento, oggi siamo al 30, calcolati sull'immesso sul mercato di apparecchiature elettriche ed elettroniche, e dobbiamo arrivare al 65. È un trend molto importante perché aumentano Pag. 24le aziende. Nel 2005, ce n'erano pochissime, era un settore artigianale; nel 2013, abbiamo più di 50 aziende industriali accreditate e in grado di operare con qualità; nel 2019 ne avremo oltre 100. I volumi disponibili per il trattamento erano forse meno di 100 mila tonnellate; oggi ne raccogliamo e ne ricicliamo 250 mila; l'obiettivo al 2019 è di 700 mila. Non credo esista un settore con una potenzialità di crescita più elevata di questo in Italia. Il tasso d'innovazione tecnologica era quasi inesistente; oggi, abbiamo una buona diffusione di tecnologie di processo efficienti; nel 2019, andremo con tecnologie innovative legate alla idrometallurgia e alla biometallurgia, quindi anche tecnologie importanti sul piano della riduzione dell'impatto ambientale. Il tasso di riciclo di materie prime critiche, parlo di terre rare e anche di metalli preziosi come quelli del gruppo del platino, era inesistente; adesso è ridicolo, circa l'1 per cento, ma potremmo arrivare al 10 per cento creando valore anche sul piano economico. L'occupazione diretta era di circa 300 unità, quindi molto bassa; potremo arrivare a 3 mila unità negli impianti più altre almeno 7 mila unità di indotto. Il valore aggiunto in milioni di euro potrebbe aumentare di un fattore 10, da 100 milioni a un miliardo di euro. È chiaro che si tratta di un settore piccolo, ma importante nell'ambito del panorama della green economy nazionale.
  Vado velocemente al secondo fattore, relativo al rispetto delle risorse naturali. Un corretto riciclo dei RAEE consente di ottenere dei buoni risultati da un punto di vista di recupero di materie prime. I RAEE sono prodotti, infatti, con una grande quantità di metalli e non solo. In un cellulare, ad esempio, ci sono oltre 40 sostanze e materiali diversi, quindi è un rifiuto, una risorsa molto ricca sul piano della valorizzazione. Questo significa che, nel solo 2012, riciclando 250 mila tonnellate di rifiuti, abbiamo come sistema nazionale, non solo come Remedia, recuperato 120 mila tonnellate di acciaio, 8 mila di alluminio, 7 mila di rame e 40 mila di plastica, poi riciclate quasi integralmente, 3 mila di altri metalli non ferrosi e, molto importante, 1.000 tonnellate di schede elettroniche, che contengono oro, palladio, platino, argento e terre rare, senza contare i dischi, che contengono il neodimio e i disprosio, molto richiesti dall'industria del settore eolico. La potenzialità è, dunque, importante. Recuperare queste risorse naturali vuol dire non andare in miniera a scavare e a trovarle come risorse primarie, per cui il tema del riciclo della circular economy qui emerge in maniera abbastanza forte.
  Un terzo elemento, partendo dalla mia definizione, è la difesa del clima. Il settore RAEE ha un effetto positivo da questo punto di vista perché, banalmente, consente di ridurre le emissioni di gas serra, qui espressi in tonnellate di CO2 equivalenti, e di risparmiare energia rispetto allo scenario miniera. È chiaro che il riciclo su impianti che hanno sì consumi energetici, comunque richiede attività che hanno delle emissioni. Se, però facciamo un confronto, a parità di output, con l'impatto emissivo e di consumo energetico per le attività minerarie (che sono estremamente impattanti non solo per la parte di esplorazione ma anche per tutto quello che segue i processi di raffinazione, trasformazione dei minerali in metalli), risulta, secondo studi molto validi di enti di ricerca che lo hanno certificato, che siamo nell'ordine di emissioni risparmiate per 1,5 milioni di tonnellate equivalenti di CO2 e 500 mila gigajoule di energia risparmiati. Sono dati interessanti, soprattutto se pensate alla prospettiva di crescita 2019, dove pensiamo a triplicare i volumi intercettati, per cui questi dati potrebbero grossolanamente triplicare a loro volta.
  Infine, un tema molto importante è quello relativo al mantenimento dei servizi ecosistemici offerti dai nostri sistemi naturali. Come settore RAEE, infatti, siamo all'interno di una più ampia strategia che, rispetto al beneficio che possiamo portare ai sistemi naturali, tocca tre elementi fondamentali di sviluppo: quello della near-zero waste, una delle linee di sviluppo di Horizon 2020 – io personalmente sono nell’Advisory board della Societal Challenge Pag. 255 (Climate action, environment, resource efficency and raw materials), dove appunto la near-zero waste è una delle call più importanti legate alla green economy – che vuol dire discarica zero, inceneritore zero in una prospettiva 2020.
  Simbiosi industriale, un'altra filiera fondamentale, è il concetto di trasformare i rifiuti di un settore nell’input produttivo di un settore affine, magari in una logica di PMI, piccole e medie imprese, e di distretti; infine, il tema più ampio, che comprende un po’ tutto questo è il concetto di «economia circolare», molto seducente, ma anche molto complesso da realizzare, In questo quadro, il tema del corretto riciclo dei RAEE è in qualche modo un supporto allo sviluppo di queste strategie europee e mi auguro anche nazionali. Ho cercato di stare in tempi molto stretti. C’è una relazione per rendere anche quantitativa l'opportunità che questa industria può generare per la nostra green economy.
  Vi chiedo, in questo senso, però anche un aiuto.
  Siete, infatti, alla vigilia dell'esame di un testo appena uscito dal Consiglio dei ministri che riguarda il recepimento della direttiva europea che si pone obiettivi estremamente ambiziosi e importanti, che deve rafforzare il sistema RAEE. Rispetto a questo testo, che comunque ha già una sua valenza, una sua positività, come Consorzio Remedia, mi permetterò di sottoporre alcune indicazioni – non è oggi la sede – che potrebbero aiutarci a migliorare ulteriormente il sistema intervenendo in maniera puntuale, selettiva, avendo noi una conoscenza molto approfondita. È dal 2005, infatti, che ce ne occupiamo, l'abbiamo visto crescere, ci abbiamo lavorato molto, e quindi approfitteremo della vostra disponibilità per sottoporvi alcune ipotesi, proposte di ulteriore miglioramento del testo.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Vorrei capire, sulla base dei dati di recupero delle materie prime, quali sono le zone di origine, di provenienza, per riuscire eventualmente a discriminare le zone ad ampia vocazione di raccolta differenziata da quelle di cui non abbiamo mai neanche sentito parlare. Vorrei capire cioè se, effettivamente, esiste una cultura che da qualche anno si sta portando avanti di un certo tipo. Fino a quando, ovviamente, ragioniamo in termini di grandi elettrodomestici, immagino che sia abbastanza palese. Difficilmente metterò il frigorifero nel sacco nero, ma probabilmente per il frollino o la scheda del computer è difficile immaginare che, dove la raccolta differenziata non è neanche iniziata, dove finirà. In questo modo, si alimentano circuiti d'incenerimento e simili. Vorrei sapere se sia possibile avere questi dati disaggregati, in maniera da riuscire eventualmente capire se esiste una diversità.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  DANILO BONATO, Direttore generale del Consorzio Remedia. Mi fa piacere vedere il vicepresidente molto informato sulla situazione.
  Dividerò la mia risposta in due parti. A livello geografico, abbiamo una situazione in Italia, come al solito, più che di leopardo, a macchia di coccinella. Sostanzialmente, però, su una media nazionale di 4 chilogrammi di RAEE per abitante che raccogliamo all'anno, il Nord viaggia sui 6-6,5, quindi sulla media europea, il Centro sui 3, il Sud sotto i 2. Esiste, quindi, il solito annoso problema di questa forte disparità, prevalentemente perché il Sud ha una carenza di infrastrutture, in quanto, attualmente, il grosso della raccolta avviene nelle isole ecologiche dei comuni, quindi al Sud l'infrastrutturazione è scarsa e questo penalizza la raccolta.
  Per quanto riguarda, invece, la tipologia di apparecchiature, come giustamente ha osservato, il vero problema sono i tassi di ritorno sui piccoli apparecchi elettronici. Sui televisori e sui frigoriferi siamo messi abbastanza bene; il tasso di ritorno della piccola elettronica è intorno al 15 Pag. 26per cento sul totale del venduto in peso. Sottolineo, inoltre, che questi 4 chili riguardano la raccolta del sistema ufficiale, quello che garantisce una contabilità dei volumi e anche una corretta gestione a valle, scegliendo gli impianti, certificandoli, procedendo agli audit. Esistono, però, dei flussi paralleli che sfuggono alla contabilità del sistema, la parte che può essere oggetto di esportazioni illegali o di un riciclo sotto gli standard richiesti.
  La nuova direttiva introduce, rispetto a questa sua considerazione, due elementi importanti. Da un lato, ci pone l'obiettivo di arrivare, dagli attuali 4 chili, a un 65 per cento sull'immesso, che corrisponde a circa 10-12 chilogrammi. Abbiamo, dunque, una pressione enorme entro il 2019 per riuscire a intercettare tutta la parte che oggi sfugge al sistema. Sarà importante che il recepimento riesca a definire regole di sistemi di controllo per portare tutti questi flussi informali all'interno di un flusso controllato e certificato. L'altro elemento di forza è l'1 contro 0. Oggi, già esiste l'obbligo di ritiro gratuito da parte dei distributori e dei negozianti a fronte dell'acquisto di un prodotto equivalente a quello che si restituisce, ma non ha funzionato molto bene. Fatta 100 la raccolta dei RAEE domestici in Italia, il 90 per cento e oltre arriva dalle isole ecologiche e meno del 10 dalla distribuzione. Con l'1 contro 0 dovrebbe e potrebbe cambiare la situazione. Si può portare il vecchio apparecchio, senza obbligo di acquisto e, fortunatamente, con delle semplificazioni molto forti per i distributori. Non aiuta, infatti, l'obbligo di censire il consumatore o compilare il modulo. L'insieme di semplificazioni per la distribuzione e l'1 contro 0 dovrebbe, quindi, incentivare e incrementare la raccolta dei rifiuti da piccoli apparecchi elettronici. Sul testo normativo sarebbero possibili alcuni interventi per favorire ulteriormente questa modalità.

  PRESIDENTE. Ovviamente, siamo disponibili a valutare tutti gli interventi migliorativi sul testo di recepimento della normativa comunitaria. Credo sia di competenza dell'VIII Commissione, ma certamente lavoreremo anche assieme ai colleghi della X Commissione su questo terreno. Inviterei, dunque, se possibile da subito, a farci avere i punti su cui sono richieste le modifiche, in maniera che possiamo verificarle e eventualmente condividerle e lavorare in questa direzione, come è nostra intenzione fare.
  Ringrazio i nostri ospiti e Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Federambiente e Fise Assoambiente.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy, l'audizione di rappresentanti di Federambiente e Fise Assoambiente.
  Come sapete, abbiamo avviato, congiuntamente fra la Commissione Ambiente e territorio e la Commissione Attività produttive, un'indagine conoscitiva sulla green economy. L'obiettivo è leggere trasversalmente le possibilità della green economy, in rapporto anche alla crisi, quindi anche dal punto di vista economico e occupazionale, e di arrivare alla predisposizione di un documento finale all'inizio dell'anno prossimo, in maniera da influire sia sull'anno europeo dell'economia verde, il prossimo, sia sul semestre italiano di presidenza dell'Unione europea nella seconda metà dell'anno prossimo.
  Adesso ascolteremo quanto avete da dirci, ma vi abbiamo anche chiesto di avere, se possibile, oltre a tutto il materiale che vorrete farci pervenire, per essere più efficaci nel tener conto e nel divulgare il vostro punto di vista ai membri delle Commissioni, una nota di sintesi di cinque cartelle in cui evidenziate i punti principali.
  Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento delle relazioni.

  MONICA CERRONI, Presidente di Fise Assoambiente. Non abbiamo avuto il tempo di redigere un documento congiunto anche con Federambiente per segnalare delle Pag. 27particolarità, ma sarà magari l'occasione successivamente se riceveremo anche il vostro contributo.
  Ringrazio, innanzitutto, il presidente, e tutti i componenti delle Commissioni di averci offerto quest'opportunità per dare il nostro contributo sulla green economy nei rifiuti.
  Abbiamo redatto una disamina di due pagine, estrapolando tutti i momenti chiave in cui le organizzazioni internazionali sottolineano l'importanza che riveste il settore dei rifiuti e la corretta gestione dei rifiuti nell'ambito della green economy e queste sono le nostre prime due schede molto sintetiche, come il presidente ci ha suggerito.
  Nel nostro settore la green economy ha assunto adesso una valenza ancora più importante dal punto di vista della salute, della crisi finanziaria e dell'impatto che deve suggerire l'eventuale soluzione di queste problematiche. L'ambito dei rifiuti è troppo spesso conseguenza di fasi emergenziali drammatiche. Abbiamo, quindi, attraverso la green economy, la possibilità di trovare soluzioni e via d'uscita per gli argomenti principali, ma soprattutto per il superamento delle situazioni emergenziali.
  La politica chiede alle imprese una loro corretta gestione, che stiano nelle regole e raggiungano standard e obiettivi qualitativi. Noi diciamo alla politica, nell'ambito della possibilità del nostro sviluppo, per raggiungere obiettivi che tutto il Paese ci richiede, così come l'Europa, che non abbiamo a oggi un Piano nazionale per la gestione dei rifiuti efficace. Mi sto limitando a estrapolare proprio i concetti dell'OCSE per quanto riguarda le nostre criticità.
  Quanto all'applicazione non omogenea del sistema di autorizzazione anche nell'ambito delle stesse regole, non esiste una ricetta dei rifiuti valida, ma va indagato sul territorio cosa succede e vanno individuate le soluzioni. La criticità maggiore è la mancanza di un quadro normativo certo e stabile a questo riguardo. Inoltre, non abbiamo una regolamentazione omogenea, ma autorizzazioni completamente diverse fra loro. Alcuni impianti sono classificati come smaltimento, altri di recupero.
  Non siamo venuti qui oggi a chiedere incentivi o altro, come magari ci si aspetta, perché abbiamo già tante criticità normative cui trovare soluzione adeguata che potrebbero sbloccare anche i contenuti economici di cui disponiamo.
  Quanto alle risorse, ad esempio, bisognerebbe veramente destinare al recupero e riciclo quelle derivanti dal mancato raggiungimento degli obblighi della raccolta differenziata dei comuni. Tutte quelle multe erogate non sono indirizzate al nostro settore. L'altro argomento su cui mi confronto sempre con il presidente Realacci è quello della tassa sulle discariche.
  Tutto quel contributo, il 10 per cento alle province, il 20 alle regioni, dal 1995 non è stato destinato, da parte di questi organismi, a operazioni di incentivo per la raccolta differenziata e per gli impianti di recupero e di riciclo. Per noi, sono necessità fondamentali.
  Potremmo proseguire per tempo, soprattutto per quanto riguarda i piani finanziari. L'accesso al credito è ridotto, abbiamo bisogno di queste regole certe. L'argomento principale è quello, ovviamente, di Tares, IUC e altro, che hanno veramente danneggiato il nostro settore. Alcuni studi hanno rilevato che dal 2010, le tasse pagate meno pagate sono le contravvenzioni e la tassa sui rifiuti. Si è creato un caos, un disordine mentale nei cittadini, che giustamente si trovano, in un momento di tutela sociale così scarsa, veramente in grave difficoltà. Stiamo compilando un documento, che porteremo alla vostra attenzione, da parte degli istituti bancari di cosa è necessario per sviluppare e imprimere una crescita necessaria per investire negli impianti di recupero di riciclo necessari per la parte la green economy. Si tratta degli impianti di recupero e di riciclo, ma anche di tutto quanto concerne le bonifiche e lo smaltimento.
  Per il superamento delle discariche, infatti, da 120 discariche legittime, con infrazione da parte dell'Unione europea, a Pag. 28discariche non autorizzate, a discariche tal quali che sono presenti nel nostro settore, per arrivare almeno alle discariche residuali del tal quale, abbiamo bisogno di un sostegno da parte della politica, una chiarezza delle norme, una semplificazione, una stabilità. Non siamo venuti, quindi, a chiedere incentivi, ma quello che la politica può offrirci.

  DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati per quest'occasione. Ringrazio, soprattutto, per l'opportunità di trasferire nelle aule parlamentari un dibattito sull'opportunità offerta da un'economia verde in un contesto di recupero, crescita e sviluppo per il Paese.
  Il fatto che se ne parli nelle aule parlamentari e che da questo possa venire anche qualche provvedimento legislativo è, ovviamente, incoraggiante per chi, come noi, crede davvero nella possibilità che, da questo settore, possano nascere nuove opportunità per il futuro del nostro Paese.
  Nel merito, immediatamente proverò a emulare la dottoressa Cerroni sulla sintesi. Ci occupiamo prevalentemente di rifiuti, anche se tante delle nostre attività contemplano anche il recupero di materia e di energia dai rifiuti. Prevalentemente, però, le attività che svolgiamo nel nostro Paese sono quelle di raccolta, avvio alla selezione e al trattamento con le finalità di valorizzazione dei rifiuti. Condividiamo dall'atto di nascita di Federambiente l'idea che i rifiuti siano risorse e non un problema. Fa parte della missione assegnata alla nostra associazione.
  Ciò premesso, prima di tutto, nelle politiche di prevenzione, presidente, servono centri per il riuso, sostegno alla riparazione e rifunzionalizzazione di oggetti, equipaggiamenti, attrezzature, beni ancora adoperabili. Ce ne sono molti nel nostro Paese. Ormai abbiamo superato la soglia dei mille centri di riuso e le stazioni aperte ai cittadini nelle quali possono essere conferiti materiali riparabili.
  Il rapporto con cooperazione sociale, piccolo artigianato, piccole e media impresa è molto diffuso nel nostro Paese, soprattutto nelle regioni del Nord, ma si sta diffondendo anche nelle regioni del Sud e penso, essenzialmente, a Sardegna e Campania. Tante attività nascono sul territorio suscitate molto spesso dal volontariato, sempre accompagnate dalle aziende pubbliche e condivise dalle amministrazioni locali.
  Qui, però, una politica di sostegno al riuso dei beni recuperabili e rifunzionalizzabili è molto importante. La definizione di rifiuto, infatti, molto spesso deprime o scoraggia la possibilità che queste iniziative possano essere messe in cantiere in modo più adeguato di quanto non lo siano state fino a oggi. Se tutto ciò resta confinato nel meccanismo del solo volontariato e della sola iniziativa soggettiva, rischia di non avere una grande possibilità di sviluppo, come invece potenzialmente potrebbe.
  Un secondo aspetto riguarda la correzione delle distorsioni commerciali nella distribuzione di generi alimentari e nel consumo degli alimenti e del cibo. Questa porta a distruggere enormi quantitativi di alimenti che, invece, possono e potrebbero essere vantaggiosamente utilizzati – pensiamo soprattutto alle fasce più deboli, ma non solo – ai fini della conservazione dei cibi. Nello stoccaggio di lungo periodo, potrebbero essere attivate politiche che oggi, invece, non sono inverate essenzialmente per le distorsioni commerciali della grande distribuzione organizzata e del sistema di distribuzione degli alimenti.
  Una politica in questo senso coerente con il Piano nazionale di prevenzione dei rifiuti, appena approvato dal Ministero dell'ambiente, è importante soprattutto se da quel piano riusciamo a individuare le azioni concrete che possono essere dispiegate per garantire risultati.
  Il Piano nazionale di prevenzione dei rifiuti è una declaratoria di capitoli ed è un'individuazione di contesti in cui si può agire, ma abbiamo bisogno che sia declinato e dettagliato nelle azioni da incoraggiare, e quindi in correzioni legislative sufficienti a mettere in concretezza e realizzazione le attività. Molto importante per noi, signori deputati, è che si possa, sul Pag. 29tema della prevenzione dei rifiuti, finalmente aggredire qualche sorgente dei rifiuti che, nel corso di questi anni, ha avuto una crescita esponenziale e incontrollata e che, invece, ha necessità di essere regolamentata. Mi riferisco, essenzialmente, ai 9 miliardi di acque imbottigliate nella plastica e consumate ogni anno nel nostro Paese. Siamo il primo consumatore mondiale di acque minerali imbottigliate, ma siamo, nello stesso tempo, il quinto Paese classificato dall'Organizzazione mondiale della sanità per qualità, abbondanza e salubrità delle acque potabili distribuite dal circuito pubblico. La contraddizione è spaventosa. Troviamo 6 miliardi di bottiglie di plastica ogni anno nei nostri rifiuti, che dobbiamo raccogliere in modo differenziato e avviare a riciclo. Di queste, soltanto il 50 per cento si riesce effettivamente a riciclare; il resto è destinato agli inceneritori. Non è possibile che il quinto Paese al mondo per quantità, qualità e salubrità delle acque potabili, che possono essere acquistate dal cittadino a tariffe convenienti semplicemente aprendo un rubinetto, nella realtà consumi 9 miliardi di litri all'anno, leader mondiale del consumo delle acque minerali.
  Pensiamo che iniziative che possono scoraggiare questo incremento, una crescita esponenziale, debbano essere intraprese. La cauzione sul vuoto a rendere e l'incoraggiamento del vuoto a rendere almeno nell'imbottigliamento del vetro è possibile. Si fa in tanta parte d'Europa e noi riteniamo che sia una misura necessaria per consentire che il vetro sia recuperato prima che diventi rifiuto. Esistono esperienze in Europa, segnatamente in Olanda e in Germania, per la cauzione sulle plastiche da imbottigliamento per i liquidi. È da valutarsi se anche in questo caso ne valga la pena. Tuttavia, sarebbe una misura di grande interesse per il Paese che vuole risparmiare, gestire con educazione le risorse naturali, per esempio, poter vietare nelle scuole, negli ospedali e nelle caserme il consumo di acque minerali imbottigliate nella plastica. Sarebbe già il segno di un'iniziativa che tende a scoraggiare quel tipo di consumi.
  Abbiamo, inoltre, un problema molto importante che riguarda il trattamento delle plastiche eterogenee rivenienti dalla raccolta differenziata. Finché si tratta di PET o di HDPE, cioè plastiche dure, quelle dell'imbottigliamento dei detersivi per intenderci, o di plastiche più leggere, polimeri come il PET, quelle per l'imbottigliamento dei liquidi alimentari, il mercato è in grado di garantire e assicurare il recupero e una valorizzazione delle attività.
  Sulle plastica eterogenee, purtroppo, questo non è possibile e il risultato è che il mercato non risponde, per cui ci ritroviamo con grandi quantitativi di plastiche, circa 600 mila tonnellate all'anno, destinate all'incenerimento per recupero di energia.
  Riteniamo che incentivare la ricerca sull'impiegabilità delle plastiche eterogenee sia fondamentale, altrimenti ci troveremo comunque sempre con grandi quantitativi di plastica, che costano moltissimo. Abbiamo portato oggi il resoconto sull'analisi dei costi della raccolta differenziata nel 2013 in Italia, di cui lasceremo una copia e ovviamente siamo disponibili a consegnarne a tutti gli onorevoli e senatori che ne facessero richiesta. Sosteniamo grandi costi per la raccolta differenziata e non possiamo consentire che la metà della plastica a valle della raccolta differenziata debba essere destinata agli inceneritori perché non si riesce a costruire un'impiegabilità di quel prodotto che possa trovare un riscontro sul mercato, una valorizzazione. Lo stesso discorso vale per gli oli combustibili, di recupero, quelli di uso sia domestico sia industriale. Possono essere raccolti in modo differenziato e diventare carburanti sostitutivi dei combustibili fossili, ma nella maggior parte dei casi possono essere rigenerati per impieghi differenti rispetto a quelli originari. Anche in questo caso, riteniamo che debba esserci una politica di sostegno.
  Quanto alle frazioni organiche dei rifiuti, come sappiamo, sono la parte più complessa da gestire nelle attività sia di raccolta sia di valorizzazione. Siamo tra coloro che pensano che, se anche dalla Pag. 30frazione organica dei rifiuti raccolta in modo differenziato avviata agli impianti di compostaggio non uscisse compost di qualità, reimpiegabile, ad esempio, ai fini dell'agricoltura, e cioè dovesse essere un cosiddetto «compost fuori specifica», resta comunque opportuno che la frazione organica sia raccolta in modo differenziato e avviata a recupero.
  Infatti, anche se la biomassa così ottenuta – il citato «compost fuori specifica» – non fosse utilizzabile in agricoltura, perché le caratteristiche tecniche non lo consentono, ancorché utilizzata solo per la risagomatura di cave, ovvero per il risanamento di discariche ordinarie e contaminate, è comunque un prodotto che sequestra CO2 dall'atmosfera, trattiene carbonio al suolo, per cui il contributo ambientale che ne viene è comunque importante, anche se, ripeto, non se ne può fare compost da utilizzare in agricoltura o, nelle fioriere delle nostre case. È una misura importante, questa, che va incentivata.
  Esistono, inoltre, due punti di difficoltà estrema. Il primo è il Mezzogiorno, dove ormai ci sono regioni, come la Campania, in grado di raccogliere 300 mila tonnellate all'anno di rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata domestica. La dotazione impiantistica per la produzione di compost in Campania è invece di sole 36 mila tonnellate. Questo vuol dire che oltre 250 mila tonnellate di rifiuti organici dalla Campania vanno in Veneto, in Friuli-Venezia Giulia, in Sicilia ogni anno a costi economici ed ambientali spaventosi.
  So che uno dei temi che stanno più a cuore al presidente Realacci è quello della pigrizia di talune amministrazioni locali sia nello svolgimento dell'attività di raccolta differenziata sia nella capacità di assumere la responsabilità per la realizzazione degli impianti. Confermo che questo è un tema che si deve affrontare. Il risultato di quella pigrizia è che 300 mila tonnellate rischiano di essere l'impedimento allo sviluppo della raccolta differenziata. Se ogni tonnellata di rifiuto organico che si raccoglie, infatti, diventa un moltiplicatore di costi perché va portata a distanza di 5-600 chilometri, è evidente che quelle amministrazioni smetteranno di fare la raccolta differenziata perché non sono più in grado di sostenerne i costi. Serve impiantistica in Sicilia, in Calabria, in Puglia, in Basilicata, in Campania, in Sardegna. Serve impiantistica di supporto in generale e quella degli impianti per il recupero della frazione organica è quella più importante. Se anche non se ne ricavasse compost, come ho già detto, resterebbe comunque utile e intelligente che si avessero impianti per recuperare la biomassa da restituire all'ambiente.
  Il secondo punto di criticità sono le aree metropolitane. Il sistema organizzativo del ciclo integrato dei rifiuti a Bari, Napoli, Palermo, Genova, Roma ancora non garantisce la messa in sicurezza, secondo le normative europee e nazionali, per i cittadini che risiedono in queste città. Stiamo parlando di 15 milioni d'italiani che risiedono a Palermo, a Reggio Calabria, a Bari, a Napoli, a Genova, che non hanno la garanzia che il ciclo integrato dei rifiuti nei loro territori garantisca la salute, la salvaguardia ambientale, l'economicità della gestione.
  È un problema che crediamo meriti un'attenzione specifica. Non si possono pretendere le stesse performance di un comune di 10 mila abitanti del Veneto in una città di 2,5 milioni di abitanti. Si può tendere a ottenere gli stessi risultati, ma pensare che siano raggiungibili nell'arco di pochi mesi e con poco sforzo non è ragionevole. Abbiamo bisogno di pensare alla chiusura del ciclo nelle grandi città.
  Due ultimi temi riteniamo ancora di dover segnalare. Uno di questi è la responsabilità estesa del produttore. Il 2014 sarà l'anno della revisione di tutte le direttive comunitarie in materia di rifiuti, come ci ha ricordato appena ieri il commissario Potocnik. In questa opera, accanto al principio «chi inquina paga» sarà accostato il principio della responsabilità estesa del produttore, secondo il quale chi produce rifiuti ne è responsabile fino al momento in cui quel rifiuto torna a essere un bene.Pag. 31
  Sappiamo che questo nella disciplina nazionale è molto importante. Crediamo che il primo riverbero che deve avere questo tipo di iniziativa debba essere quello di cominciare a considerare che quella dei rifiuti è una raccolta di risorse che devono essere nuovamente valorizzate. In questa prospettiva, il ruolo del Conai non deve essere solo quello di un soggetto che si occupa di imballaggi, ma che deve occuparsi di materie recuperabili e riciclabili. Il contributo ambientale Conai, il CAC, deve essere legato non soltanto al recupero degli imballaggi, ma delle materie, la plastica, il vetro, l'alluminio, e non soltanto gli imballaggi in plastica, in alluminio. Serve una politica per il recupero delle materie. Infine, in gran parte del Paese si raggiungono risultati anche eccellenti – non siamo un Paese del terzo mondo – nella raccolta differenziata e nel recupero di materia, quindi nella green economy connessa alla gestione dei rifiuti. L'Italia è certamente ai primi posti a livello internazionale, sono stati fatti grandi processi, ma anche la dottoressa Cerroni ricordava che il sistema di finanziamento del circuito della valorizzazione dei rifiuti è altamente squilibrato: costa moltissimo alle tasche dei cittadini e non molto alle tasche dell'industria che produce soprattutto imballaggi. Abbiamo perciò bisogno di determinare riequilibri. Se lo squilibrio, infatti, continua a essere così forte, rischiamo processi di implosione e di rigetto della raccolta differenziata laddove questa raggiunge soglie di costo che ricadono interamente sulle tasche dei contribuenti, mentre tutto il circuito successivo della valorizzazione e commercializzazione dei prodotti riciclati (e dunque del profitto originato dalle raccolte differenziate) diventa appannaggio di pochi. Questo non è possibile. Dobbiamo generare degli equilibri per far risparmiare qualcosa alle famiglie e ai comuni e magari far pagare qualche cosa in più, invece, a chi da questo tipo di attività, comunque intelligente e socialmente utile, ricava dei profitti talvolta anche ingiustificati.

  PRESIDENTE. Le vostre osservazioni sono molto interessanti, ma vorrei avere qualche delucidazione. Sulla partita degli acquisti verdi, per capirci, credo che potremmo fare qualcosa, se è vero che nell'annunciato disegno di legge in materia ambientale collegato alla manovra finanziaria per il 2014, che per la verità avrebbe dovuto essere stato presentato già da qualche tempo alla Camera, vi è una parte che riguarda le misure a favore dell'utilizzo di materiali da recupero. Se così sarà, sicuramente esiste la possibilità, in sede di esame parlamentare, di rendere più efficace questo filone normativo. Ci lavoreremo assieme, vi sentiremo.
  Quanto alla raccolta differenziata, a me risulta, dalle indagini che ho visto, che dove è organizzata bene e ha generato una filiera produttiva, i cittadini pagano di meno e non di più. Se penso, ad esempio, ad alcune esperienze positive del Nord, alla provincia di Treviso o ad alcune aree della Lombardia, dico che dove si è generata una filiera industriale del riciclo, senza le diseconomie agghiaccianti date dalla raccolta della frazione umida, come in Campania, che deve portarla in Veneto, mediamente le tariffe che i cittadini sono chiamati a pagare sono inferiori a quelle dei luoghi dove questo non avviene. Esiste, allora, un problema di efficienza della filiera complessiva più che di costi delle attività di raccolta differenziata. Oltretutto, nel frattempo, come sapete meglio di me, i prezzi di molte materie prime, rispetto a quando era partita la politica della raccolta differenziata, sono salite, per cui da questo punto di vista esiste uno spazio per agire se si fa filiera, se si procede come coi avete illustrato.
  È molto interessante il riferimento del presidente Fortini, come lo sarebbe avere una mappatura delle esperienze su quest'estensione delle azioni di recupero e di riparazione di oggetti, connesse anche alle isole ecologiche. Non penso che quello sia la panacea di tutti i mali, ma nella crisi abbiamo bisogno di innalzare sia il livello tecnologico sia la modifica di stili di vita. Uno slogan potrebbe essere «Papa Francesco, più elettrificazione». Bisognerebbe Pag. 32cioè rendere più efficienti le tecnologie della filiera, ma anche collegare questo a un atteggiamento diverso nei confronti dei modelli di consumo. Sotto questo profilo, mi farebbe molto piacere avere, se ne disponete, una mappatura di esperienze come quelle che avete citato per capire come funzionano e chi sono gli interlocutori. Mi sembra di capire che, come purtroppo è ovvio, siano esperienze diffuse soprattutto nel Centro-Nord, un po’ perché il ciclo dei rifiuti è più organizzato un po’ perché c’è un volontariato organizzato più forte in quelle regioni rispetto a quelle del Sud.
  Infine, conosciamo le nostre rispettive posizioni e quindi mi concedo una battuta sulla questione del recupero energetico da rifiuti. Premesso che il modo più efficace di gestione dei rifiuti è il recupero dei materiali, a me risulta che grosso modo l'Italia risparmia complessivamente dal recupero di materiali, quindi non solo da quello derivante da rifiuti urbani, circa 15 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all'anno, di cui 5 milioni di tonnellate equivalenti dagli urbani. Da questo punto di vista, siamo il primo Paese riciclatore d'Europa come recupero di materiali, tant’è vero che dobbiamo importare materiali da riciclare dall'estro perché per antica tradizione siamo abituati a farlo.
  Sul recupero energetico, non ho obiezioni di principio, ma vorrei ricordare che alcuni dei Paesi che vi fanno ricorso molto più dell'Italia non hanno incentivi. La Germania, che vi ricorre molto più dell'Italia, in realtà come incentivo vero ha le regole, come sottolineava anche la dottoressa Cerroni. In Germania, ad esempio, l'unico incentivo al recupero energetico è che non si possono mandare in discarica rifiuti che non abbiano determinate caratteristiche. Addirittura, qualche Paese europeo, se non sbaglio la Danimarca, impone una tassa sul recupero energetico. Il problema principale, allora, è ripristinare attraverso sul terreno delle regole, certo non regole astratte e burocratiche, ma regole praticabili, un terreno delle buone politiche. Mi sembra un po’ questo il terreno su cui, purtroppo, abbiamo un'Italia molto divisa.

  MONICA CERRONI, Presidente di Fise Assoambiente. Vorrei solo aggiungere, come ha ricordato il presidente, a proposito delle buone regole, che per esempio la Sicilia è forse la regione dove è più utilizzata la discarica e dove i costi di conferimento in discarica sono elevatissimi. Ma, vi chiedo: come è possibile fare un buon ciclo integrato dei rifiuti laddove, come in quella regione, c’è un ritardo dei pagamenti nei confronti delle imprese di un miliardo di euro nonostante il decreto-legge n. 35 del 2013 sul pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, nonostante specifici emendamenti, decreti regionali e così via ? Quando mancano proprio le regole o non vengono rispettate, come è il caso del miliardo di euro dovuto dalla regione Sicilia alle imprese – questo chiediamo alla politica – potremmo elevare ancora di più i costi di conferimento in discariche dei rifiuti, che sono già elevatissimi, ma avremmo comunque che, come è successo in Sicilia, molte società che stavano nelle regole hanno abbandonato ed è entrata nel ciclo dei rifiuti la criminalità organizzata, che può sopportare ritardi di pagamento, e anzi a volte ne è avvantaggiata, di 1 o anche 2 anni. Quando, però, tutte noi associazioni sottoponiamo alla politica questi argomenti, a volte abbiamo sentito, senza citare nomi e cognomi – ma, volendo... –, che lì l'emergenza è talmente ampia che non ci si potrà mettere le mani. Non vogliamo assolutamente sentire di questa disfatta. Penso anche che le nuove leve entrate nella politica, i nuovi movimenti, non debbano arrendersi di fronte all'evidenza.

  PRESIDENTE. Oltretutto, da questo punto di vista, la Sardegna testimonia un caso diverso. Certo, si può fare molto di più anche in Sardegna, ma quello della Sardegna è il caso di una regione dove si è registrato un forte aumento nella raccolta differenziata, mentre la Sicilia è rimasta dove era.Pag. 33
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. In realtà, non ho preconcetti contro la termovalorizzazione, sono proprio contrario, per cui non credo che su quest'aspetto riusciremo a trovarci d'accordo. Tuttavia, vorrei partire da alcuni dati che mi piacerebbe conoscere.
  Visti, obiettivamente, i dati dichiarati sul recupero delle plastiche, quelle non destinate a recupero di materia, quindi quelle che, nonostante la raccolta differenziata, comunque vanno ad alimentare inceneritori, vorrei capire com’è gestito il medesimo dato in Europa. Di che percentuale parliamo nel resto dell'Europa di plastiche sottoposte a raccolta differenziata, poi incenerite ?
  Pur venendo io da una zona dove la raccolta differenziata è nata, Novara, in realtà il vicinante, il solito vicino con cui c’è sempre una diatriba comunale, Vercelli, fino a quando, notizia di qualche settimana fa, l'inceneritore finalmente ha cessato di esistere, aveva una raccolta differenziata del 30 per cento.
  Anche da qui nasce la mia convinzione che, laddove ci siano gli inceneritori, la politica non abbia mai pensato a nessun tipo di iniziativa chiara verso una raccolta differenziata spinta. Novara si era mossa per tempo verso la raccolta differenziata che aveva portato a un risultato record di qualche anno fa, poi ovviamente ci si è fermati su quella linea e guai a schiodarsi dal 60-65 per cento.
  Rilevo, però, in alcuni casi, il paradosso per cui siccome gli inceneritori sono stati costruiti, molti sono al Nord, la priorità diventa che questi impianti devono essere poi alimentati. Considero un delitto supremo che vi siano plastiche che, dopo essere state raccolte con la raccolta differenziata (e dopo che sono stati spesi soldi per questo), debbano essere incenerite. Se fosse diffuso questo dato presso l'opinione pubblica, potrebbe portare a comportamenti devastanti dal punto di vista etico. La gente, a quel punto, si chiederebbe se valga davvero la pena separare la plastica dalla carne o se non si debba mettere tutto nell'indistinto. È ovvio che così avremmo finito ogni ragionamento !
  Non è lì che noi vogliamo arrivare, ma vorrei che cominciassimo con un'informazione chiara e netta. Di prendere in giro gli italiani e di essere presi in giro siamo un po’ stanchi ! Ad esempio, segnalo la campagna sui rifiuti promossa dal Piemonte dell'allora presidente Bresso andava in tutt'altra direzione e inventava dati sulla raccolta differenziata sulle plastiche, ma, a un certo punto, indagando su quali fossero i consorzi in cui finiva la plastica raccolta, si è scoperto che «magicamente» finiva in un centro di raccolta, e da lì chissà dove mai, anche se va detto quel centro di raccolta era nel milanese, dove gli inceneritori sono abbastanza frequenti, come anche nel pavese. In qualche modo, allora, rilevo sempre questa correlazione molto pericolosa tra presenza dell'inceneritore e mancanza di efficienza della raccolta differenziata dei rifiuti.
  Esistono, inoltre, esperienze di studi oltre oceano sulle discariche esistenti, storiche, cioè, che sono considerate come miniere di materiali. Vi chiedo: secondo voi è percorribile la strada di rimettere le mani nelle discariche indistinte degli anni Settanta, Ottanta e Novanta per estrarre materiali recuperabili da quelle zone, magari cominciando da quelle comunque viziate da problemi di bonifiche non chiare o nelle quali è necessario mettere mano per percolati o sversamenti o rottura dei bacini di contenimento ?
  Se, inoltre, non si danno le caratteristiche organolettiche e chimiche per il compost, vorrei capire qual è l'altra modalità per restituire l'organico all'ambiente cui lei faceva riferimento. Credo, inoltre, che anche sul compost debba essere condotto un ragionamento un po’ più ampio.
  Oggi, purtroppo, il compost è demonizzato anche dalla cattiva qualità della raccolta dello stesso e dalla cattiva qualità dell'informazione sulle caratteristiche che deve presentare un compost di qualità. Peraltro, assistiamo a un pericoloso avvicinamento tra compost da fermentazione anaerobica da biogas e compost da fermentazione Pag. 34aerobica da umido. Quest'accorpamento sta facendo demonizzare, a mio avviso, quello che potrebbe essere invece il fiore all'occhiello del compost aerobico. Si dovrebbe chiedere dunque una regolamentazione chiara di quello anaerobico, con paletti ben chiari su quali siano le caratteristiche per la posa sui terreni.
  Quanto al principio «chi inquina paga», mi sarebbe piaciuto riversarlo anche sul cittadino. Secondo noi, deve diventare prioritario che il cittadino paghi a peso la tariffa sui rifiuti. Certo, noi possiamo insegnare questa virtuosità a scuola, ma dobbiamo tenere presente che questo «investimento» richiede tempo e soldi.
  Se invece cominciamo da subito a toccare la parte economica e il cittadino pagherà in base a quello che effettivamente consegna, allora questa si tradurrebbe in un'assunzione di responsabilità abbastanza evidente. Non dico di arrivare al paradosso del «sacco nero di Zurigo», dove chi può permetterselo, in teoria, può gettare tutti i rifiuti nel sacco nero indistintamente, basta che paghi, ma io credo che bisogna quantificare la tariffa sui rifiuti in base al peso dei rifiuti consegnati.
  Oggi qualcosa sul compost si sta facendo con iniziative locali dei singoli comuni, come la detassazione della parte dell'umido, ma francamente anche quell'iniziativa, se non si riesce a rendere virtuoso il modo in cui realizzare il compost, creerà problemi al vicino che si lamenterà degli odori. Bisogna partire con un certo tipo di cultura.

  MARIASTELLA BIANCHI. Vorrei chiedere, in particolare, del recupero della plastica eterogenea. Ho visto esperienze toscane di grande qualità come quella della Revet. A visitare quello stabilimento, si vede concretamente che possibilità di sviluppo esistono per un settore del genere. Quali sono, a vostro avviso, gli strumenti per riuscire a sostenere davvero una filiera di recupero ?
  Voi avete parlato di un contributo sull'uso dei materiali e dei beni ambientali, che è un fatto di prevenzione; del Conai che deve recuperare materiali e non solo imballaggi; il presidente, giustamente, poneva l'accento sulle misure a sostegno degli acquisti verdi, ma non so se riteniate che serva una combinazione di questi strumenti o se si debba ragionare anche di incentivi, come abbiamo fatto per l'energia da fonti rinnovabili, per il recupero della materia prima seconda.

  PRESIDENTE. Vorrei sottolineare un aspetto evidenziato anche dal collega Crippa: per noi, la questione della tariffa per la raccolta dei rifiuti è fondamentale ed è collegata anche alla vicenda siciliana, richiamata prima. È chiaro che, se la fiscalità sui rifiuti diventerà un pezzo della fiscalità generale, avremo perso la partita. Temo che sia quello che sta accadendo.

  MONICA CERRONI, Presidente Fise Assoambiente. Avete perso prima voi, però, perché se tutti siete d'accordo su questa questione della tariffa, allora chi è stato contrario ?

  PRESIDENTE. Il Governo e, purtroppo, anche i comuni. Vi dico, infatti, anche a Federambiente, che, purtroppo, esiste una volontà dei comuni di semplificarsi la vita. Immaginatevi quei comuni siciliani o campani che non hanno avviato la raccolta differenziata: a quei comuni, secondo voi, conviene andare calcolare la tassa sui rifiuti a metro quadrato oppure adottare un'iniziativa più efficace come è quella di sviluppare la raccolta differenziata e calcolare la tariffa in base al peso dei rifiuti consegnati ?
  Dai comuni è venuta una spinta, almeno per un periodo, a buttarsi verso la fiscalità generale, con l'effetto di indebolire le politiche fondate sulla raccolta differenziata. Questo è un terreno su cui, sicuramente, bisogna cercare di recuperare. Oltretutto, si tratta di politiche, dal punto di vista non solo ambientale, ma perfino occupazionale, deleterie. L'unica occupazione prodotta da questo balletto sull'IMU è quella dei commercialisti. Credo che, con questo delirio, anche il poverino che aveva imparato come pagare Pag. 35l'imposta sui rifiuti debba andare a un centro di assistenza fiscale o da un commercialista !

  PRESIDENTE. Non ho problemi in materia, queste stesse cose le ho dette e le ho spiegate anche in altra sede, durante l'esame del disegno di legge di stabilità: è stata una battaglia persa che deve essere recuperata !

  MONICA CERRONI, Presidente Fise Assoambiente. Occorre, però, dire che, a livello politico, sia il PD, sia il PdL sia il M5S erano favorevoli su ciò che anche le associazioni hanno sempre sostenuto, congiuntamente, con forza, ancora insieme e anche separatamente: il principio, cioè, che l'imposta sullo smaltimento dei rifiuti non va calcolata a metro quadrato, ma in base al principio «chi inquina paga». È stato così in tutte le conferenze e in tutti i convegni. Giustamente, però, in un momento così difficile, anche i comuni dovranno farsi carico magari di qualche tutela sociale nei confronti delle fasce più deboli. Queste scelte però non spetta a noi farle – o, meglio, spetta anche a noi a livello etico –, ma spetta alla politica sul piano delle soluzioni concrete. Per questo, ci paiono strani questi tipi di provvedimenti adottati quando tutti erano favorevoli a soluzioni diverse, a parte qualche frangia.

  DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. La raccolta differenziata, soprattutto quando è porta a porta, «spinta», determina un abbattimento dei costi, e quindi è vero quel che diceva il presidente, che è più vantaggiosa rispetto ad altri modelli di raccolta. Nello studio che abbiamo consegnato è assolutamente confermato, quindi conviene anche economicamente oltre che ecologicamente. Il problema è quando si sale di scala.
  Per chiarire bene, prendiamo il territorio di un comune o di un gruppo di comuni, ad esempio la provincia di Treviso. In questo caso, avremo circa 430 mila abitanti che producono 161 mila tonnellate di rifiuti all'anno, con raccolta differenziata all'83,5 per cento. Fra parentesi, dico che a Treviso e provincia si sono mandate a bruciare comunque 26 mila tonnellate di rifiuti nel 2013 perché non sono recuperabili a valle del ciclo della rigenerazione, ma questo è un aspetto secondario perché su 161 mila tonnellate raccolte, francamente, direi che è più che accettabile il 16 per cento di solo smaltimento. Ciò premesso, in quel territorio la tariffa è intorno ai 120 euro pro capite, pagati ogni anno dai cittadini, contro la media nazionale di quasi il doppio, quindi molto più elevata. Tuttavia, quando la densità di popolazione passa dai 434 abitanti per chilometro quadrato della provincia di Treviso agli 8.500 del comune di Napoli, ai 6.700 del comune di Roma, ai 7.900 del comune di Milano, la scala fa la differenza.
  Voglio dire che la capacità dei cittadini di sentirsi parte della sfida, la sorveglianza e vigilanza nella comunità, la modalità concreta in cui può essere svolta la raccolta differenziata spinta porta a porta, le caratteristiche specifiche della viabilità, della mobilità, dei tempi e ritmi della città, la congestione del traffico, l'esistenza di periferie degradate o di grandi aree industriali, sono tutti fattori di costo importanti e quando si sale di livello i costi della raccolta differenziata crescono in modo importante. Ci servono studi che ci aiutino a capire come migliorare anche nelle grandi aree urbane, quindi per emulare i modelli che Contarina Spa o altri hanno dispiegato sul territorio, ma che devono prevedere che l'elemento dimensionale delle grandi aree urbane è molto importante. Non c’è dubbio, però, che dove si potesse realizzare il porta a porta in modo spinto, come in talune province del Veneto o dell'Emilia-Romagna, in tutto il Paese, il beneficio che ne ricaverebbero i cittadini sarebbe impressionante. Per le grandi aree metropolitane ci pare che il modello San Francisco, per intenderci, oggi richiamato in tante esperienze del Paese, possa essere preso a riferimento, almeno come passaggio di fase. Il modello San Francisco è quello dei 3 contenitori stradali (al di là della city, ovviamente servita in modo Pag. 36speciale) per umido, secco e indifferenziato. Nelle periferie invece c’è solo l'indifferenziato, quindi consideriamo di essere più avanti perché nelle periferie di Roma o di Napoli, infatti, non c’è il solo cassonetto del differenziato (anche se a San Francisco si sono orientati su quella scelta del solo indifferenziato nelle periferie, probabilmente perché le grandi concentrazioni di ispanici, di etnie afro-americane hanno un altro tipo di comportamento quando devono consegnare i rifiuti). Quello, però, è un modello che in tanta parte d'Italia e nelle aree metropolitane potrebbe essere prevalentemente gradito.
  Sulla tariffa puntuale noi siamo assolutamente d'accordo. Siamo i primi ad averla sostenuta, ma chiediamo che il sistema di finanziamento, come abbiamo scritto nel documento che vi lasceremo, del sistema di gestione del ciclo dei rifiuti debba essere premiale dei buoni comportamenti dei cittadini. Su quello, dunque, siamo assolutamente d'accordo, ma aspettiamo una normativa. Mettiamo a disposizione la nostra esperienza.
  Infine, siamo assolutamente d'accordo sul fatto che non debba essere incentivato l'incenerimento dei rifiuti.

  PRESIDENTE. Adesso, però, lo facciamo.

  DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Esistono gli incentivi per la parte biodegradabile.

  PRESIDENTE. In Germania, non ci sono neanche quelli.

  DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Lì, però, hanno una tassazione particolare sulle discariche. È un problema di politiche. D'altra parte, in questo momento in Gran Bretagna sono in costruzione sette nuovi inceneritori, che abbiamo visitato, impianti per il recupero di energia. Contemporaneamente, hanno imposto una tassa di 80 sterline a tonnellata per il conferimento in discarica. Sono scelte possibili.
  Infine, nel contesto delle buone politiche ambientali, siamo dell'opinione che, per quanto riguarda la possibilità di reimpiegare le plastiche eterogenee che raccogliamo con il differenziato, non servano incentivi. Bisogna puntare fortemente sulla ricerca scientifica, sulle applicazioni industriali dei ritrovati. Le nostre imprese del circuito della rigenerazione delle plastiche non chiedono incentivi, non chiedono i CIP6, ma semplicemente di essere aiutate a finanziare la ricerca per individuare l'impiegabilità di questi materiali.
  Se poi l'ENI, per dircela tutta, avesse una politica meno invasiva per vendere e tenere occupato il suo mercato nazionale e globale – per carità – delle plastiche vergini e avesse un atteggiamento meno invasivo e più incoraggiante per l'uso di bioplastiche (anche qui torna il problema del sostegno alla ricerca) e per l'uso delle plastiche eterogenee, probabilmente troveremmo tutti un vantaggio.

  ELISABETTA PERROTTA, Direttore di Fise Assoambiente. In relazione ad alcuni punti evidenziati, partirei proprio dall'ultimo, degli incentivi, affrontato anche dal presidente Fortini.
  Di fatto, nel nostro documento ribadisco e confermo la nostra posizione, già illustrata anche da Federambiente e che condividiamo pienamente. Oggi serve, se vogliamo proprio partire in senso pratico e operativo con ciò che abbiamo, innanzitutto cominciare con uno stop alle continue modifiche della normativa. Anche l'altalenarsi delle norme e le modifiche puntuali contribuiscono a creare confusione in un contesto quale quello del riciclo che, invece, ha bisogno di norme certe e stabili. Si tratta di un mercato che deve partire: senza norme stabili e certe, è difficile riuscire a svilupparlo. Non si chiedono incentivi perché dovrebbero già esserci fondi a disposizione per questo settore. Oggi due normative lo prevedono. La prima è quello del tributo in discarica, che come ricordava il presidente Cerroni, prevedeva un accantonamento di fondi già dal 1995 proprio per sviluppare i sistemi di riciclo, di raccolta differenziata e di Pag. 37prevenzione. Quei fondi sono stati utilizzati ? Non lo so.
  In secondo luogo, il decreto legislativo n. 152 del 2006 prevede già oggi un sistema di penalizzazioni per i territori che non raggiungono gli obiettivi di raccolta differenziata. Le penalizzazioni economiche dovrebbero supportare proprio lo sviluppo di meccanismi alternativi alla discarica. Esistono, dunque, già due fondi.
  Le norme sono richiamate nella nota, in particolare l'articolo 205, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 per quanto riguarda le penalizzazioni, mentre per le ripartizioni anche ai fini del riciclo della tassa di conferimento in discarica, il riferimento normativo è l'articolo 3, commi 24 e 27, dove è precisata la ripartizione della legge n. 159 del 1995. Sulla tassa è già stato detto tutto e condividiamo pienamente l'esigenza che, a questo punto, è di tutti i presenti qui al tavolo, quindi non c’è nulla da aggiungere.
  Quanto alle discariche utilizzate come miniere, non dobbiamo andare oltre oceano. La Germania non ha le discariche o le usa poco. Quel Paese ha un problema grandissimo a livello nazionale. Molto spesso, i Paesi che, anche giustamente, riteniamo virtuosi in ambito europeo hanno sviluppato una politica ambientale e di gestione soprattutto dei rifiuti che risponde non tanto al virtuosismo che ne è derivato, ma a esigenze prettamente nazionali interne. La Germania, dati Eurostat, che riportano zero discariche, è tra i primi Paesi che non le utilizzano, ma è vero che lì esistono aree immense, si circola con le macchine in miniere di sale. Queste, oggi dismesse perché non c’è più l'estrazione, servono per riuscire a non far collassare il terreno dove è stato estratto il sale e sono riempite con i big bags di rifiuti che in Italia avremmo chiamato discarica deposito sotterraneo. La Germania è riuscita a far passare questo sistema di gestione come ripristino ambientale, quindi la norma che oggi applichiamo...

  PRESIDENTE. Se non ho capito male, il collega Crippa alludeva ad altro.

  ELISABETTA PERROTTA, Direttore di Fise Assoambiente. In Germania, c’è anche chi lo sta già facendo.

  DAVIDE CRIPPA. Il problema non è questo. Non ci siamo capiti. Mi riferivo a discariche già esaurite che, potenzialmente, presentano anche problemi di natura ambientale, se si riapre per vedere cosa ci è stato buttato venti anni fa. A quel punto, si trova il motorino che pesava 40 chili di ferro ed è rimasto lì, immaginando che quello diventi una miniera, nel senso di risorse storiche in realtà buttate in maniera indifferenziata venti anni fa.

  ELISABETTA PERROTTA, Direttore di Fise Assoambiente. Non so, allora, se stiamo parlando di discariche autorizzate.

  PRESIDENTE. Il problema vero, probabilmente, non è oggi, ma sarà tra dieci anni. A un certo punto, al di là degli aspetti ambientali della movimentazione, a una verifica di quanto movimentare di materia di terra, di rocce e così via per recuperare i minerali che usiamo e capire quanto movimentare, si scoprirebbero alcuni ordini di grandezza. È probabile che, se bisogna cercare ferro e simili in una discarica di quelle ancien régime, anche «autorizzatissime», vi si troverà una certa quantità di materiale. Non si propone, in ogni caso, di farlo adesso.

  DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Uno studio di Greenpeace degli Stati Uniti, credo di un anno e mezzo fa, verte sulla riapertura delle discariche con finalità di recuperare materiali, soprattutto rame e terre rare. Probabilmente, è assolutamente vero che nel corso del tempo diventerà necessario, ma un fatto distingue le condizioni per cui quell'esperienza negli Stati Uniti è stata anche molto interessante: si trattava di un deserto. In condizioni climatiche desertiche, i materiali si erano conservati come i papiri arrivati dagli egiziani a noi.
  Nella situazione climatica italiana, le condizioni sono ragionevolmente differenti, ma per il futuro siamo convinti che, Pag. 38se non altro ai fini del risanamento ambientale, quindi per la decontaminazione di aree che quarant'anni fa hanno ricevuto di tutto, il recupero di suoli e, aspetto fondamentale, per recuperare anche terre rare, metalli preziosi, materia prime riutilizzabili, sarà di grande interesse.

  ELISABETTA PERROTTA, Direttore di Fise Assoambiente. In ogni caso, in materia, forse potremmo aspettare solo un paio di anni. Ho letto neanche due giorni fa l'articolo di una rivista tedesca in cui si diceva che, nonostante i benefici portati dalla messa in miniera dei rifiuti, i terreni in Germania stanno collassando. Non è detto che saranno loro i primi a partire con questa ricerca e portarci gli studi dei risultati. Infine, molto spesso ho rilevato, già dall'attacco della risposta, che siamo etichettati come quelli degli inceneritori. Non siamo quelli degli inceneritori, ma quelli del ciclo integrato dei rifiuti. Non è l'inceneritore che offre la soluzione alla gestione, ma l'insieme degli elementi che mette a comun denominatore dando un sistema di gestione, che può essere in alcuni casi l'inceneritore, la discarica, il ciclo di raccolta e altro.
  Secondo i dati del rapporto annuale ISPRA, proprio le aree dove esistono anche, non solo, gli inceneritori, sono quelle dove esiste una raccolta differenziata più avanzata. Il discorso, dunque, non è sempre legato alla questione della tipologia.

  MONICA CERRONI, Presidente di Fise Assoambiente. Vorrei solo aggiungere che non siamo d'accordo con quello che fa la Germania sulle discariche sotterranee. A volte, sono giudicati virtuosi Paesi che da noi sarebbero risultati forse gli ultimi della lista.

  PRESIDENTE. Una famosa frase di Adam Smith recita che non dalla benevolenza del birraio o del panettiere ci si aspetta un buon pasto, ma dal loro amore di sé. Dobbiamo fare le cose che ci servono. Ringrazio i nostri ospiti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.35.