XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 29 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Galan Giancarlo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE STRATEGIE PER CONTRASTARE LA DISPERSIONE SCOLASTICA

Audizione di: professor Paolo Battimiello, dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia (NA); professor Giuseppe Italiano, presidente del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT); dottoressa Anna Maria Roncoroni, presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP).
Galan Giancarlo , Presidente ... 3 
Battimiello Paolo , Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia (NA) ... 3 
Galan Giancarlo , Presidente ... 3 
Battimiello Paolo , Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia – Napoli ... 3 
Galan Giancarlo , Presidente ... 6 
Italiano Giuseppe , Presidente del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT) ... 6 
Galan Giancarlo , Presidente ... 10 
Roncoroni Anna Maria , Presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP) ... 10 
Galan Giancarlo , Presidente ... 13 
Bossa Luisa (PD)  ... 13 
Gallo Luigi (M5S)  ... 14 
Galan Giancarlo , Presidente ... 15 
Battimiello Paolo , Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia – Napoli ... 15 
Roncoroni Anna Maria , Presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP) ... 16 
Italiano Giuseppe , Presidente del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT) ... 16 
Galan Giancarlo , Presidente ... 16 

Allegato 1: Documentazione consegnata dal professor Paolo Battimiello ... 17 

Allegato 2: Documentazione consegnata dal professor Giuseppe Italiano ... 33 

Allegato 3: Documentazione consegnata dalla dottoressa Anna Maria Roncoroni ... 34

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GALAN

  La seduta comincia alle 15.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di: professor Paolo Battimiello, dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia (NA); professor Giuseppe Italiano, presidente del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT); dottoressa Anna Maria Roncoroni, presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle strategie per contrastare la dispersione scolastica, l'audizione del professor Paolo Battimiello, dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia a Napoli, accompagnato dalla professoressa Paola Cortellessa, del professor Giuseppe Italiano, presidente del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT) e della dottoressa Anna Maria Roncoroni, presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP).
  Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

  PAOLO BATTIMIELLO, Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia (NA). Signor presidente, ringrazio lei e tutti voi per l'opportunità che avete offerto all'istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia, a Napoli.

  PRESIDENTE. Ormai Scampia è diventata celebre.

  PAOLO BATTIMIELLO, Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia – Napoli. È diventata celebre, ma oggi ci interessa parlare del lavoro svolto in quella zona. Nel 2012, la Direzione generale per gli affari internazionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'Ufficio scolastico regionale (USR) della Campania e un gruppo della nostra scuola, composto dalla professoressa Cortellessa, dall'ingegnere Maciocia, dalla professoressa Veneruso e da me, hanno condotto un'indagine sul territorio di Scampia, sulle scuole dell'VIII municipalità del comune di Napoli, che comprende Chiaiano, Piscinola, Marianella e, appunto, Scampia. L'indagine si chiama «La scuola a singhiozzo».
  Nell'anno scolastico 2008-2009 si sono iscritti alle scuole superiori di quel territorio 389 alunni provenienti dalle scuole medie inferiori di tutto il territorio dell'VIII Municipalità. Nonostante l'articolo 11 del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59 prevedesse un tetto massimo del 25 per cento di assenze affinché l'anno potesse essere validato, ben 203 alunni avevano ottenuto la licenza media nonostante avessero accumulato, durante la frequenza del terzo anno di scuola media, più di 60 assenze a scuola su 165 giorni. Di questi 389 alunni, solo 221 sono stati ammessi alla classe seconda della scuola secondaria Pag. 4superiore, mentre il restante 43 per cento si è fermato al primo anno di scuola superiore e solo il 20 per cento si è iscritto nuovamente.
  Nel 2009-2010, l'anno seguente, di quei 221 alunni ammessi alla classe seconda, sono stati ammessi alla terza 140 alunni, che rappresentano solo il 36 per cento dei 389 iscritti alla scuola superiore due anni prima. In due anni, quindi, in quel territorio il 64 per cento degli alunni iscritti alla scuola superiore ha abbandonato la scuola. Quei ragazzi e quelle ragazze non ce l'hanno fatta, molti di loro soprattutto a causa delle numerosissime assenze accumulate già negli anni della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado. L'abbandono scolastico, infatti, più che la dispersione, che esplode durante i primi due anni della scuola superiore, ha le sue profonde radici nelle assenze saltuarie che caratterizzano la frequenza scolastica degli alunni del primo ciclo di istruzione, soprattutto in quelle scuole situate nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale.
  Il fenomeno è davvero drammatico e nel 2013 ancora una volta la Direzione generale per gli affari internazionali del MIUR, l'ufficio scolastico regionale della Campania e il gruppo di lavoro di cui ho parlato prima hanno svolto la stessa indagine sull'intero comune di Napoli, cioè sulle dieci municipalità che lo compongono. Tale indagine, che ha riguardato 92 delle 125 scuole presenti nelle dieci municipalità, dimostra chiaramente che esiste una relazione diretta tra zone a sofferenza sociale e scarsa frequenza a scuola. Le slide contenute nel documento che abbiamo depositato riportano i dati al riguardo.
  Come scuola, ci poniamo una domanda: sono quei ragazzi che hanno abbandonato la scuola o è la scuola che li ha abbandonati, costruendo le circostanze e le condizioni per quella che sin da piccoli poteva essere considerata, parafrasando il titolo di un libro di Gabriel Garcìa Marquez, la Cronaca di una morte civile annunciata ? Ci siamo chiesti: poteva e può la scuola, come sistema e come organizzazione, intervenire per contrastare questo fenomeno ?
  Non si tratta più, infatti, di una generica dispersione. Tutti i documenti che provengono dall'Europa identificano il fenomeno non come generica dispersione, ma come abbandono scolastico precoce: si utilizza al riguardo l'espressione inglese early school leaving, riferita ai giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni che non hanno ottenuto un diploma di scuola superiore e non sono nel ciclo dell'istruzione e della formazione.
  Il fenomeno non riguarda solo l'VIII Municipalità o, in particolare, Scampia, ma è molto diffuso in tutte le zone dell'Italia. Le più recenti raccomandazioni della Commissione europea in tema di contrasto degli abbandoni scolastici precoci si muovono nella prospettiva che sia fondamentale, per un'azione di contrasto reale del fenomeno degli abbandoni scolastici, individuare segnali di allerta che permettano di prevenire l'uscita precoce degli studenti dal sistema di istruzione e formazione. In quest'ottica, l'indicatore relativo alle frequenze irregolari e saltuarie che abbiamo rilevato nelle scuole delle dieci municipalità di Napoli può essere sicuramente considerato come un segnale di allerta rapido del successivo abbandono scolastico e può essere fatto rientrare tra gli indicatori socio-economici che caratterizzano i territori su cui quelle scuole insistono.
  Numerose ricerche effettuate provano che molti studenti che abbandonano la scuola mostrano segnali di pericolo per mesi, se non per anni, a scuola e al di fuori della scuola. Sono gli studenti che manifestano più di un segnale di allerta che hanno, ovviamente, maggiori probabilità di abbandonare la scuola. Questi segnali di pericolo indicano che gli studenti incontrano problemi legati alla motivazione allo studio, al rapporto con gli apprendimenti, in casa o nella vita, in quanto tali ragazzi si trovano ad affrontare sin da piccoli sfide personali, sociali ed emotive che richiedono la nostra attenzione e verso le quali sono spesso Pag. 5impreparate anche le loro famiglie. Chi vi parla vive tutti i giorni i racconti di storie che segnano profondamente la vita di questi ragazzi, di questi bambini, ma anche delle loro famiglie. Vi assicuro che il loro racconto ci fa davvero riflettere.
  In ogni caso, in un contesto del genere, le vere vittime sono i bambini. Fin dalla tenera età, non c’è tempo esclusivamente per loro. Le tappe fondamentali dello sviluppo dei primi tre anni di vita, nonché quelle successive, sono decisamente compromesse. A nostro parere, il nostro sistema scolastico, così come organizzato, non riesce ad assicurare loro la cura necessaria, almeno nelle zone ad alto rischio di disagio sociale e di esclusione sociale.
  La scuola diventa, suo malgrado, selettiva nella misura in cui non riesce a fornire risposte diverse a domande diverse. L'attuale organizzazione scolastica, unitamente al contributo degli altri attori del territorio, può solo arginare il problema o, addirittura, subirlo, senza poter incidere con un'azione di sistema per ottenere risultati concreti.
  A nostro giudizio, quindi, è necessaria la trasformazione della scuola in un centro di riferimento culturale e sociale del territorio: la scuola deve diventare, nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale, una potente macchina di attacco alla disgregazione sociale e anche alla conseguente diffusione della criminalità organizzata. Lo Stato, quindi, anche e soprattutto attraverso la scuola, può e deve interamente e profondamente riappropriarsi dei territori occupati da qualcun altro.
  È altresì necessaria la costituzione, presso tutti gli Uffici scolastici regionali, di un gruppo di lavoro, così come è stato fatto in Campania, per la prevenzione e il contrasto dell'abbandono scolastico e del disagio giovanile, con il compito, tra gli altri, di ricercare sistemi di allerta che permettano di individuare precocemente gli studenti a rischio di abbandono scolastico.
  È necessario, inoltre, assicurare la stabilità del corpo docente. Il continuo cambio dei docenti è spesso vissuto da questi bambini come un'altra occasione di abbandono. Il rapporto costruito tra adulto e bambino, tra docente e bambino, fondamentale nel processo di crescita e di apprendimento, quel legame empatico che si instaura tra gli alunni e i docenti diventa un patrimonio che viene disperso, a tutto svantaggio del bambino.
  È necessario, a nostro giudizio, organizzare la scuola come una comunità di apprendimento. Il coinvolgimento nel processo di apprendimento di tutti gli agenti che influenzano l'educazione aiuta a superare l'insuccesso scolastico e a eliminare i conflitti. Oggi, a nostro giudizio, è necessario più che mai coniugare strettamente la dispersione scolastica, intesa come frequenza saltuaria e abbandono, con un'autonomia scolastica compiuta e con l'anagrafe degli studenti.
  Un'autonomia scolastica compiuta, infatti, come era stata inizialmente introdotta e solo teorizzata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, consentirebbe di disegnare un progetto di scuola adatta al territorio. Pur rispettando i termini generali di un sistema di istruzione nazionale, dovrebbe e potrebbe essere capace di far diventare la scuola come il luogo che sa interpretare le domande delle famiglie di quel territorio, che sa disegnare davvero percorsi personalizzati, che sa e può prendersi cura di ciascuno, che sa e può progettare, utilizzando risorse umane ed economiche, per mettere in campo azioni di sistema che innestino processi culturali ed educativi utili alla crescita dei singoli, insieme a quella del territorio.
  A nostro avviso, un'attenzione particolare deve essere posta con riferimento al tema delle risorse finanziarie. Come abbiamo ampiamente riportato nel capitolo 11 della nostra seconda pubblicazione, vorrei far riflettere sul fatto che nel quinquennio 2007-2011, tramite i Fondi sociali europei (FSE), e i Fondi europei di sviluppo regionale (FESR), sono arrivati nelle scuole di Napoli circa 60 milioni di euro. Ci siamo quindi posti qualche domanda: quale valore aggiunto hanno dato al sistema Pag. 6scuola, quale peso hanno avuto nella trasformazione della didattica in termini di competenze spendibili ? Quale contributo hanno dato in termini di inclusione sociale ? La scuola è in grado, oggi, di abbandonare in misura minore coloro che sono in grave disagio sociale ?
  Le scuole non avevano e non hanno l'autonomia necessaria per utilizzare i finanziamenti ottenuti nella direzione del corretto rapporto tra la scuola stessa e le problematiche del territorio. Questi finanziamenti, unitamente anche ad altri, come quelli legati all'articolo 9 del contratto collettivo nazionale di lavoro (Area a rischio e a forte processo immigratorio), non sono riusciti a costruire un sistema consolidato di lotta alle assenze saltuarie e al conseguente abbandono scolastico.
  La proposizione di interventi limitati nel tempo, sporadici e destrutturati, non poteva essere utilizzata nella direzione indicata dall'Unione europea, che aveva espressamente raccomandato che fossero utilizzati soprattutto per la riduzione del fenomeno dell'abbandono scolastico. Gli investimenti in termini economici non possono dare un ritorno sul piano educativo se non c’è un analogo investimento sul capitale umano e sulla trasformazione del sistema scolastico.
  Concludo con le parole del professor Mosella. Il nostro lavoro è stato sottoposto allo studio del Dipartimento di scienze politiche dell'Università Federico II di Napoli, nonché al sindaco del comune di Napoli. Abbiamo allegato al fascicoletto che abbiamo depositato la sua manifestazione di interesse al riguardo. Ebbene, il professor Mosella, preside della facoltà, ha scritto che dall'abbandono scolastico scaturiscono risvolti penalizzanti sia sul piano microeconomico – in termini di effetti su reddito, salario, inserimento lavorativo –, sia sul piano macroeconomico, se si considera l'impatto negativo che hanno sulla crescita di un Paese la mancata valorizzazione e il mancato utilizzo del capitale umano.
  Termino con una riflessione. Un anno scolastico è composto da 33 settimane che, moltiplicate per 5 giorni di lezione – tutte le scuole hanno scelto di non svolgere attività il sabato – danno come risultato 165 giorni di scuola su 365 all'anno. Senza considerare le assenze per vari motivi e tenendo conto che le scuole terminano le proprie lezioni tra la fine di maggio e l'inizio giugno e riprendono, a scartamento molto ridotto, non prima della seconda metà di settembre, i ragazzi e le ragazze – ciò vale, in particolare, per gli studenti delle scuole in zone ad alto rischio di esclusione sociale – hanno un periodo ininterrotto di 150 giorni lontano dalla scuola. È un tempo infinito, un costo sociale elevatissimo, che nelle zone ad alto rischio di esclusione sociale rappresenta un tempo irrecuperabile sul piano educativo e formativo. È alto il rischio di un analfabetismo di ritorno. La scuola deve allungare i suoi tempi e deve rendere ordinario ciò che ora è frutto di esperienze casuali.
  A nostro giudizio, il sistema scuola non è tarato sui diritti dei bambini. La scuola è il luogo dove più difficilmente è possibile rendere compatibili i loro diritti con quelli degli adulti. Sono necessari, quindi, interventi profondi di sistema, coraggiosi, che incidano profondamente sull'organizzazione scolastica, soprattutto nelle scuole situate in zone ad alto rischio di esclusione sociale.
  È necessario dare a quelle scuole autonomia progettuale e prendere atto che esse sono capaci di assumersi la responsabilità di una guida sociale. La lotta all'abbandono deve essere una priorità irrinunciabile di qualsiasi Governo e le azioni indispensabili devono necessariamente avere il contributo di tutti. Ognuno, a nostro giudizio, deve essere disposto a momenti di riflessione sul proprio ruolo, a favore della crescita del sistema scuola, che è il vero valore aggiunto per la crescita del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Battimiello e do la parola al professor Giuseppe Italiano.

  GIUSEPPE ITALIANO, Presidente del Consorzio istituti professionali associati toscani Pag. 7(CIPAT). Vi ringrazio dell'invito. Vorrei innanzitutto parlare brevemente del CIPAT. La nostra esperienza è iniziata nel 2002, immediatamente dopo l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999, nel momento in cui in Italia si parlava dell'autonomia, che sembrava dovesse diventare un punto di riferimento per lo sviluppo di tutto il sistema formativo italiano. All'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica citato si fa riferimento alla possibilità per le scuole di associarsi in reti o consorzi. Abbiamo pensato da subito che quello della rete fosse uno strumento debole, utile solo in caso di finalizzazioni limitate o di progetti che nascevano e morivano in un tempo non troppo lungo. Volendo, invece, affrontare il tema della ricerca educativa e della rappresentanza delle istituzioni scolastiche, nonché dell'approfondimento di tutte le questioni relative al rapporto tra scuola e territorio, molto probabilmente una struttura formale come il consorzio è la più utile. Questa è quindi la scelta che abbiamo compiuto, anche se con un po’ di difficoltà. Evidentemente, nella tradizione scolastica italiana, all'autonomia abbiamo creduto in molti, ma rispetto allo sviluppo della stessa hanno operato solo pochissime persone. Al contrario, le scelte sono state prevalentemente orientate ad attenuare tutte le possibilità offerte dal decreto del Presidente della Repubblica n. 275 del 1999.
  La rappresentanza delle scuole, evidentemente, viene percepita in modo non corretto. Le scuole sono rappresentate dall'amministrazione, dall'Ufficio scolastico regionale, ma questo tipo di rappresentanza amministrativa è effettivamente distante dall'idea della scuola autonoma e, quindi, dalla possibilità per le scuole di affrontare in modo complesso e diretto le problematiche.
  Il consorzio ha avuto un suo sviluppo nel settore dell'istruzione professionale e in questo momento rappresenta pressoché tutti gli istituti professionali della Toscana, molti istituti tecnici e, addirittura, alcuni licei. Pur nelle difficoltà iniziali, esso ha impostato il suo percorso, che oggi risulta essere affermato e importante.
  Il primo percorso è quello relativo alla ricerca educativa, che consente quindi di offrire alle scuole momenti di riflessione, costruiti insieme alle scuole. Il consorzio è fatto dalle scuole e nel consiglio d'amministrazione sono presenti i presidi e gli insegnanti lavorano nelle azioni di ricerca, nei progetti europei che portiamo avanti, in collaborazione alcune volte con l'Ufficio scolastico regionale.
  Recentemente, in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale, abbiamo formato staff, gruppi di docenti e dirigenti di tutte le scuole non secondarie di secondo grado della Toscana. Oltretutto, le politiche del Ministero nell'ambito dello sviluppo del percorso di valutazione e di autovalutazione hanno vissuto momenti di sviluppo non sempre coerenti e lineari.
  Il consorzio si è mostrato estremamente utile anche tre anni fa, nel momento in cui è nata e si è sviluppata la responsabilità regionale sul sistema di istruzione e formazione. In quel caso, come richiesto anche dagli istituti, vi è stata una forte rappresentanza della regione e vi sono stati momenti di importante discussione rispetto alla possibilità di sviluppo del sistema di istruzione e formazione.
  In Toscana, il sistema di istruzione e formazione si è realizzato con una modalità diversa da quella delle altre regioni italiane, basato sulla sussidiarietà: gli istituti professionali sono stati presi come riferimento. In alcuni ambiti ci sembra di svolgere un lavoro utile con le nostre scuole, in particolare quello dello sviluppo del sistema di istruzione e formazione.
  Lo sviluppo del sistema di istruzione e formazione è fortemente intrecciato con il tema oggi in discussione. Non abbiamo voluto elaborare un documento sulle origini del fenomeno della dispersione in Italia. Anche il documento predisposto dalla Commissione è utile, ma avremmo preferito che contenesse una considerazione per noi fondamentale.Pag. 8
  Certo, in alcune realtà italiane vi sono elementi che ci permettono di comprendere il fenomeno della dispersione e si situano nel contesto economico-sociale al di fuori dalla scuola. Se, però, si guarda alla realtà italiana, come ad esempio quella toscana, la percentuale di dispersione è pari al 17 per cento, lontanissima dagli standard indicati come obiettivo per il 2020. La spiegazione è abbastanza semplice. È evidente che, nel momento in cui l'offerta formativa non incontra i bisogni di formazione o diverge rispetto ad essi, si crea il fenomeno della dispersione. Nella realtà italiana, soprattutto nel settore dell'istruzione tecnica e professionale, vi è una strutturazione dell'offerta formativa che continua a non incrociare i bisogni e, al contrario, la divergenza aumenta. Chi ha esperienza nel settore scolastico, come noi che sediamo intorno a questo tavolo e anche alcuni di voi, sa che la condizione di una classe in ingresso nel primo anno in un istituto professionale era problematica venti anni fa ed è praticamente non affrontabile o difficilmente affrontabile per gli insegnanti oggi. Ci sono, certamente, le situazioni estreme, come quelle delle periferie, che sono in grandi difficoltà e richiedono interventi diretti e specifici, ma per il complesso della scuola italiana il tema di fondo è la capacità di costruire un'offerta corrispondente ai bisogni. Questo è il nostro dovere. I ragazzi non devono andar via perché non siamo capaci. La scuola non è fatta per gli insegnanti o per noi, ma per rispondere al bisogno di chi entra nel sistema formativo. Lo abbiamo affermato moltissime volte, non è una grossa novità, ma molto raramente abbiamo operato per risolvere tale questione. Nel breve documento che abbiamo consegnato, più che svolgere analisi, abbiamo analizzato questioni, cercando di fornire soluzioni.
  Una questione importante da affrontare riguarda la mobilità del personale: se si garantisce agli insegnanti la possibilità di trasferirsi ogni anno, quando vogliono e come vogliono, ciò è positivo per gli insegnanti – anche se a volte non è così –, ma sicuramente non per costruire un’équipe o un gruppo che operi in una situazione complessa, come ad esempio le classi prime, quelle di ingresso, nelle quali occorre avere la capacità di fornire risposte in continuità.
  La questione relativa alla continuità e, quindi, della permanenza degli insegnanti all'interno delle istituzioni scolastiche, è il primo tema da analizzare. Non dimenticherò mai il fatto che vent'anni fa, a Palermo, quaranta persone seguivano il fenomeno della continuità presso il provveditorato di Palermo. In quell'occasione, non credo che la continuità abbia registrato un miglioramento. Al contrario, uno degli elementi di difficoltà è proprio la discontinuità negli istituti comprensivi, non tra scuola elementare e scuola media, ma all'interno degli istituti medesimi, tra il primo e il secondo ciclo, all'interno di una scuola secondaria di secondo grado tra le prime due classi e quelle successive.
  Un altro tema da affrontare riguarda la professionalità del corpo docente. Non so se sia stata approvata la legge sulla formazione iniziale degli insegnanti, ma fino ad ora era abbastanza pacifico che, nella scuola italiana, della formazione iniziale degli insegnanti dovesse occuparsi l'università. Non c’è nulla di più sbagliato. L'università non sa fornire competenze rispetto alle professionalità che un insegnante deve sviluppare nella prima classe di un istituto professionale. Non sa fornirle e non si può nemmeno chiederglielo. Sa insegnare, sa fornire le competenze rispetto alla conoscenza della lingua latina o della matematica, ma non è l'aspetto disciplinare che risolve il nostro problema nelle situazioni di ragazzi che nella classe prima di un istituto professionale non sono motivati o non sono scolarizzati. Cosa vuol dire che deve essere scolarizzato ? Che l'alunno deve diventare capace di adattarsi all'offerta che proponiamo ? Non è possibile.
  Grande attenzione deve essere data alla formazione iniziale e al servizio svolto dagli insegnanti: deve essere rinforzato il sapere disciplinare, che deve assolutamente svilupparsi negli istituti, in cui occorre saper costruire buone pratiche. Pag. 9Nella scuola italiana ce ne sono: così come ci sono situazioni deteriori, ci sono anche situazioni di grande eccellenza.
  Certamente, oltre alla professionalità iniziale, occorre anche un'articolazione dei profili e delle figure che lavorano all'interno delle istituzioni scolastiche. Non è possibile costituire attività di supporto all'attività didattica fondamentale, con votazioni all'interno dei collegi: peraltro, mentre un tempo il finanziamento del fondo d'istituito era più alto, adesso è stato ulteriormente ridotto. Anche questo è un elemento che ha a che fare in modo fortissimo con la dispersione. O riusciamo ad assecondare i bisogni, quindi riusciamo a costruire percorsi personalizzati, o il fenomeno delle assenze e della disaffezione si accentuerà. Per poter far questo, abbiamo bisogno di un'articolazione di figure all'interno delle istituzioni e non della strutturazione classica, con insegnamenti disciplinari e il consiglio di classe.
  Ritengo strategica la formazione dei docenti: ad esempio, nell'ambito del sistema di istruzione e formazione della Toscana – penso che ciò emerga in tutti i percorsi di istruzione e formazione – risultano immediate alcune carenze del sistema scolastico. Nel nostro sistema l'introduzione del termine «competenze» risale ad una circolare emanata dal Ministro Berlinguer riguardante gli esami di Stato. Abbiamo «giocato» con questo termine, spesso sostituendolo con il termine «conoscenze», facendo tutti finta che fossero la stessa cosa. Non sono esattamente la stessa cosa. Non lo sono, anzi, per niente. Costruire competenze non è costruire conoscenze. Questa è una carenza del sistema scolastico italiano, quindi di tutto il personale che vi opera: estremizzo parlando di «tutto» il personale, perché evidentemente ci sono insegnanti che in questi anni hanno imparato anche a operare in termini di competenze.
  Individuati una qualifica, un profilo o un insieme di competenze, la scuola aveva difficoltà a costruire progetti che permettessero di valutare le competenze: queste contraddizioni, nel caso della Toscana, sono emerse abbastanza presto, in quanto la regione chiedeva una formazione professionale finale descritta in termini di competenze.
  Valutare una competenza non investe mai, anzi quasi mai, un ambito strettamente disciplinare. Tutta la struttura scolastica valuta in termini di discipline. Se vogliamo sviluppare il sistema di istruzione e formazione, cui contribuiscono sia la didattica laboratoriale sia il rapporto con il territorio, dobbiamo sviluppare un'azione di formazione degli insegnanti a livello territoriale, non chiamando il solito professore o il solito esperto, ma muovendoci a partire dalle pratiche migliori, che pure ci sono nella scuola, coinvolgendo altri docenti nel lavoro, con un percorso non sporadico, ma continuo, che conduca a uno sviluppo graduale.
  Esprimo infine un'esigenza di fondo: il Parlamento si occupa dei quadri di riferimento e delle leggi. Forse in Italia sono state portate avanti troppe riforme della scuola, compresa l'ultima revisione del percorso dell'istruzione tecnica e professionale. Se andate in un istituto professionale o in un istituto tecnico e guardate senza paraocchi, ma in termini realistici, le situazioni, vi renderete conto, anche semplicemente per la questione delle competenze a cui facevo riferimento, che tutte le situazioni nuove alle quali facevo riferimento sono praticamente inesistenti. Ciò accade, analogamente, in qualsiasi azienda: se si vuole modificare il prodotto o l'organizzazione dell'azienda, bisogna iniziare un lavoro sul personale in maniera che si modifichi, che sia capace di produrre quel prodotto o di costruire quel processo. Nella scuola, non l'abbiamo mai fatto o l'abbiamo qualche volta fatto in termini estremamente sporadici. Se non prestiamo attenzione al personale al fine di costruire quella risposta che incroci effettivamente i bisogni, se non affrontiamo il tema di fondo del personale, non riusciremo né a raggiungere l'obiettivo di Lisbona, né a evitare che i nostri figli escano dalla scuola e vadano ad unirsi a quei ragazzi che non sono né a scuola né a lavoro. Purtroppo, ce ne sono tanti. Alla Pag. 10fine, la responsabilità è di chi eroga il servizio formativo. Non possiamo tirarci fuori.
  Il tema del personale, quindi, da tutti i punti di vista, della formazione, dell'organizzazione, della creazione di profili intermedi e di carriere, è strategico o, almeno, noi lo giudichiamo così, soprattutto rispetto al tema della dispersione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professore e do la parola alla dottoressa Annamaria Roncoroni, presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP).

  ANNA MARIA RONCORONI, Presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP). Ringrazio il presidente e tutti i membri della Commissione per l'invito a parlare di una tematica che credo sia stata poche volte all'attenzione della Commissione, in modo da allargare la prospettiva di riferimento. Quando parliamo di alunni plusdotati e di abbandono scolastico, sembra che si faccia riferimento a due realtà che non hanno quasi nulla a che vedere l'una con l'altra.
  Innanzitutto, gli alunni plusdotati, o high achiever, sono studenti che hanno determinate abilità, competenze superiori o molto superiori a quelle dei pari età, che possono eccellere in alcuni ambiti specifici, accademici, artistici, creativi, in capacità di leadership, e che hanno bisogno di alcune particolari attenzioni. Tali particolari attenzioni sono di tipo formativo.
  Premetto che, in realtà, non esiste a livello internazionale una definizione condivisa da tutto il mondo scientifico e dei ricercatori della giftedness, la plusdotazione, che rappresenta un criterio generale. In realtà, è fondamentale focalizzarsi sulla definizione, quando si affronta un tema che per l'Italia è assolutamente nuovo sotto il profilo legislativo.
  In Israele, ad esempio, si svolgono attività per gli studenti plusdotati, solitamente il sabato e la domenica mattina: si selezionano ragazzi dai 7 ai 9 anni e si procede a uno screening con una serie di prove concentrate sulle abilità matematiche, verbali e logiche. A loro interessa questo, quindi tutto ciò che essi fanno è in funzione di tale obiettivo. Tutto quello che riguarda gli aspetti legati alla creatività, alla leadership e alla capacità artistica non fa parte della policy di quel Paese. Si tratta di una scelta, che è rispettabilissima. È fondamentale, quindi, prima pensare a cosa si vuole.
  Credo che la definizione contenuta nel documento che abbiamo depositato valorizzi, invece, ciò che la scuola italiana ha di importante: la creatività e la libertà di pensiero. I nostri ragazzi più eccellenti sicuramente vanno all'estero, dove danno contributi importantissimi. Ciò avviene perché la nostra scuola ha tanti difetti, ma ha anche pregi, uno dei quali è la capacità di avere una mente più aperta. Ho letto il documento sulla nuova anagrafe nazionale degli studenti e mi auguro che – visto che dal 2012 si stanno inserendo anche i dati che riguardano gli scrutini in itinere e i voti, e quindi si può monitorare la carriera del singolo studente – si possa svolgere un'analisi quantitativa del fenomeno. Molti di questi studenti più dotati che abbandonano la scuola, in realtà, andavano benissimo a scuola e ciò è assurdo. Molti di questi, probabilmente, hanno avuto una buona carriera alla scuola elementare, ma anche nei primi anni della scuola media, quindi teoricamente non c'era nessun segnale che potesse far pensare a un possibile fallimento, a un abbandono scolastico. Le percentuali che riguardano gli altri Paesi oscillano, a seconda delle rilevazioni: i documenti che abbiamo analizzato contengono non solo dati quantitativi, ma anche qualitativi, sulla base di interviste, del dialogo con i ragazzi, che a noi interessa. Stiamo parlando, infatti, di persone, non solo di numeri. Per capire di cosa ha bisogno un ragazzo, bisogna conoscerlo e capire cosa gli passi per la testa.
  Fondamentalmente, infatti, il nostro lavoro si svolge molto sul campo. Lavoriamo in tutta Italia. Io non sono che la punta dell’iceberg, in realtà, di un gruppo molto più numeroso che svolge questo tipo di attività: ognuno di noi conosce i ragazzi, uno per uno, il che è fondamentale.Pag. 11
  Vi sono alcuni fattori comuni con riferimento agli studenti plusdotati, il dato relativo ai quali oscilla all'estero, a seconda delle rilevazioni, in una percentuale tra l'8 e il 17 per cento. Questi studenti presentano alcune caratteristiche, per quanto riguarda i fattori di rischio, comuni alla popolazione generale. Si è parlato prima del problema socioeconomico, del basso livello culturale della famiglia: è sicuramente così per tutti. Negli Stati Uniti, ad esempio, in alcune aree, questo aspetto è molto forte, e ciò ha conseguenze anche sull'assenteismo, sul fatto che non si svolgano i compiti assegnati, sull'allontanamento della scuola.
  Cosa succede a un bambino plusdotato ? Possiamo dirlo non solo per quello che abbiamo letto, ma per l'esperienza che ormai abbiamo. Da tredici anni mi occupo di quest'argomento, prima all'estero, adesso in Italia. In realtà, il bambino che arriva in prima e seconda elementare è entusiasta della scuola, il bambino plusdotato molto spesso, quando arriva, vorrebbe imparare tutto. Sogna di entrare in classe perché gli hanno sempre detto che, quando sarebbe andato a scuola, avrebbe imparato molte cose. Va a scuola, molto spesso ha competenze molto superiori ai suoi compagni, non solo con riferimento alla lettura e alla scrittura. Molti di loro, infatti, non sanno né leggere né scrivere, ma apprendono molto rapidamente, in quanto la loro capacità di ragionamento è accentuata. Una volta che si spiega loro qualcosa e lo capiscono, poi per due mesi li si tiene impegnati su quell'argomento. Cosa succede ? Il bambino poco alla volta si disaffeziona alla scuola, si chiede cosa gli dia, pensa al fatto che gli avevano detto che fosse bella e interessante, mentre non lo è più. Comincia a non fare più i compiti, a essere lento nello svolgimento delle attività: molto spesso si effettua addirittura una misdiagnosi di problemi di attenzione, deficit di attenzione, di concentrazione. Il bambino viene portato dallo psicologo perché non è attento, non segue le lezioni ma, interrogato, sa sempre tutto, eppure non va bene lo stesso. Negli studenti di sesso maschile, questo fenomeno, come dimostrano anche i dati relativi all'estero, è molto più alto. Anche l'abbandono scolastico, infatti, è più alto con riferimento al sesso maschile che al sesso femminile. I maschi sono più turbolenti di natura e manifestano molto più apertamente quest'aspetto, mentre le femmine tendenzialmente scompaiono e si disinteressano. Questo è un aspetto non di poco conto.
  Cosa nota l'insegnante ? Se il bambino va comunque bene a scuola e ottiene risultati buoni, addirittura eccellenti, non si pone neanche il problema, giustamente, perché vede un risultato buono e dice che va bene così. Molto spesso, però, da cosa è prodotto questo risultato buono ? Da nessun tipo di lavoro. Molti fanno i compiti durante gli intervalli, arrivano a casa e finiscono in tre minuti. Altri si alzano un quarto d'ora prima dell'inizio della scuola, fanno i compiti e non imparano mai a studiare.
  Per loro, la scuola è un luogo dove devono andare perché così è sempre stato detto loro. Questi ragazzi immaginano un percorso lunghissimo: nella prospettiva di un bambino, infatti, è chiaro che a sette, otto anni di vita, altri cinque o otto anni di scuola sembra un tempo infinito in un posto dove gli sembra di non imparare tantissimo. Questo porta al fatto che poco alla volta ci si disinnamora.
  Sono appena tornata da Budapest, dove sotto l'egida dell'Unione europea si è svolto il meeting internazionale per il talent day, che ha riunito 30 Paesi. Mi hanno chiamato per rappresentare l'Italia perché da tanti anni lavoro, appunto, in Europa: la prima parola che è emersa alla fine di tutto questo discorso è stata «amore».
  Questi studenti amano gli argomenti, sono curiosi, vogliono sapere, quindi manifestano amore e passione. Se ammazziamo questo amore e lo soffochiamo, li perdiamo. In una situazione normale, uno studente che non ha problemi particolari poco alla volta non impara a studiare. Arriva alle medie, può essere che abbia qualche difficoltà in seconda perché il programma di seconda media è un po’ più complesso, ma tutto sommato esce dalla Pag. 12scuola media, va al liceo perché è bravo, in gamba e molto spesso gli viene suggerito di frequentare un liceo valido, ma in realtà non ha mai studiato in vita sua. Alcuni ragazzi hanno avuto attacchi di panico e attacchi d'ansia, non riuscendo più a gestire la situazione: in alcuni casi il loro ricovero si è reso necessario proprio per grandi problemi emotivi. È come se improvvisamente fossero diventati «stupidi». Gli hanno sempre detto che è intelligente e arriva lì che non sa più niente. Ci si chiede come sia possibile: è possibile perché bisogna studiare. Non si hanno strategie perché se non si è mai studiato – e invece servono anche strategie per studiare –, non si è abituati a fallire, non si è mai avuta la possibilità di sfide cognitive adeguate a quelle capacità e alle proprie aspettative.
  Quando improvvisamente ci si trova davanti questo muro, i ragazzi più in gamba hanno un momento di sbandamento, ma proseguono, soprattutto quelli che sono supportati dalla famiglia o hanno famiglie con un livello culturale elevato, che, quindi, possono seguire di più i ragazzi. Gli altri abbandonano la scuola, sono bocciati, cominciano a sperimentare situazioni di fallimento: l'autostima diminuisce molto, ma, in realtà, era già molto bassa quando frequentavano la scuola primaria.
  È dimostrato dagli studi che l'abbandono scolastico inizia dai primi anni della scuola primaria, durante i quali il ragazzo percepisce l'inutilità della scuola. Un aspetto «affettivo» che gli studi hanno verificato nell'analisi generale dell'abbandono scolastico è l'importanza di sentirsi parte di una scuola, di un'istituzione, il rapporto con i pari e con gli insegnanti. Per uno studente gifted è necessario che essi siano autorevoli e poterne comprendere la competenza: se dall'altra parte, invece, vi sono insegnanti non preparati, che non creano nessun tipo di rapporto, è proprio allora che si crea l'allontanamento progressivo dello studente dalla scuola.
  L'altro fattore fondamentale che aiuta molto a capire il fenomeno dell'abbandono scolastico nei ragazzi gifted è rappresentato dal challenge, ossia la sfida. I ragazzi, infatti, vogliono da subito essere impegnati in attività complesse, approfondire gli argomenti, andare avanti con il programma, molto più di quanto la scuola in quel momento può offrire.
  Il punto chiave di tutto il fenomeno è la formazione degli insegnanti, della quale esistono due livelli: il primo è informativo e dovrebbe essere esteso il più possibile, con attività di dieci o venti ore: ovviamente mi riferisco all'aspetto informativo, non a quello formativo, perché il processo formativo è altro e richiede tempo. All'estero si svolgono master, al termine dei quali si effettua un progetto, seguìto da due o tre anni di praticantato: si possono fare in ogni area, il che è anche molto più economico.
  Il pensiero che in una regione o in una provincia esista anche solo una persona formata su quest'argomento, è tantissimo: in tal caso le altre persone, trovandosi in una determinata situazione, sanno che si possono rivolgere a un esperto, che essendo un docente proviene dalla scuola e, quindi, sa cosa vuol dire stare in una classe. Bisogna entrare in una classe, infatti, per sapere cosa significhi lavorare con i bambini.
  Sicuramente, la ricerca è fondamentale per chi la fa e per dare basi teoriche, ma per l'attività progettuale, per non sprecare risorse, è fondamentale fare riferimento a soggetti veramente preparati.
  Per noi, un'altra proposta sarebbe l’optimum. È un sogno, ma ho visto che si è realizzato in tantissimi Paesi europei ed extraeuropei, quindi non vedo perché debba rimanere solo un sogno. Mi riferisco al networking, di cui abbiamo parlato molto a Budapest: si tratta della possibilità di mettere non solo le scuole, ma anche i ragazzi in rete con mentori, che possono essere altri docenti, che possono guidare soprattutto gli high achievers, che lavorano molto al di sopra della loro età anagrafica e, quindi, riscontrano molte difficoltà all'interno della scuola, che la scuola stessa non può gestire. Non si può gestire in prima elementare un bambino che potrebbe frequentare la prima media, non si Pag. 13può chiederlo a un insegnante. Si può, però, aiutare a colmare un gap. Per questi ragazzi, che sono così avanti, c’è bisogno di altro.
  In Ungheria, ad esempio, l'Accademia delle scienze ha coinvolto circa 100.000 studenti, interessati ad argomenti scientifici. Non c’è solo questo: esistono anche network europei di insegnanti formati sul tema e numerose iniziative, anche al di fuori del nostro Paese, possono consentirci di rifarsi alle best practice, chiaramente rimodellandole sul nostro modello e sui nostri obiettivi, che devono essere stabiliti a priori. A mio avviso, questo tipo di lavoro è fondamentale.
  L'orientamento, inoltre, è importante: non perché si è gifted si deve essere bravi in tutto, si deve eccellere in tutto ed essere un fenomeno in qualunque campo. Noi usiamo molto la metafora degli occhiali: avere queste caratteristiche è come avere un paio di occhiali diversi con cui si guarda il mondo. Ciò non corrisponde per forza a un'eccellenza accademica. Un bambino molto creativo non deve essere inserito in una scuola molto rigida, che struttura la mente, come invece si fa per altri, perché lo si uccide. In realtà, occorre flessibilità, ma per tutto questo gli insegnanti possono avere un occhio di riguardo, con l'ausilio di esperti.
  Bisogna intervenire da subito, a partire dalla scuola primaria: è a quell'età che nasce la disaffezione scolastica, non dai 14 anni. Allora è molto più difficile intervenire e si rischia anche di non farcela perché ormai è troppo tardi e si è creato un circolo vizioso, con la famiglia che pretende e giustamente vorrebbe dei risultati, e il ragazzo che invece non ce la fa più. Se si interviene presto, è tutto molto più semplice: soprattutto, si crea un legame affettivo e il bambino comprende che l'istituzione scuola è importante.
  Secondo me, un'altra attività informativa molto importante – il fenomeno della dispersione si verifica dappertutto: anche in Liguria si è registrato un incremento della percentuale di dispersione scolastica nell'ultimo anno – è legata alla necessità di rendersi veramente conto di ciò che è importante e ciò che è inutile anche a livello progettuale. È fondamentale un orientamento che parta dalla scuola primaria e guidi, quindi, il percorso del bambino, aiutandolo a tirare fuori tutte le sue prerogative.
  Questi sono chiamati solitamente underachiever, ma un po’ tutti i gifted sono underachiever perché lavorano sempre al di sotto del loro potenziale. In questo caso, però, gli underachiever sono quelli che a volte escono dal sistema. Esistono anche i low achievers, che hanno un basso rendimento scolastico: questo è dovuto alla presenza di quella che viene definita la twice exceptional, che potrebbe essere un DSA (disturbo specifico di apprendimento), come la dislessia, la discalculia e così via: in questa popolazione particolare tali disturbi, molto spesso, sono riconosciuti tardivamente, quando non si può più fare nulla. L'intelligenza aiuta a compensare. La presenza di ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività) e una serie di altre situazioni in comorbilità portano ad avere, invece, proprio un abbassamento del rendimento e dell'autostima.
  Cito solo un esempio risalente a molti anni fa, che ricordo perché secondo me rende tantissimo. Una bambina molto in gamba, bravissima in tutte le discipline ma discalculica, in quinta elementare non aveva ancora imparato le tabelline. Gli insegnanti si chiedevano come fosse possibile che una bambina così intelligente non sapesse fare i conti e glielo dicevano apertamente. Non era colpa di quella bambina se non poteva imparare le tabelline. Agire in questo modo, però, è come «ammazzare» una persona ed è come dare due messaggi contrastanti: «sei così brava, ma certo sei scadente in questa disciplina». Bisogna riconoscere che non si può eccellere in tutto.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LUISA BOSSA. Innanzitutto, vi ringrazio per la vostra preziosa presenza, che ci Pag. 14consente di vedere con gli occhi di chi lavora sul campo realtà così diverse tra di loro. Rivolgo velocemente due domande al professor Battimiello e alla professoressa Cortellessa. Mi scuso con la dottoressa Roncoroni, ma degli iperdotati non mi sono mai occupata. Capisco però che dovremmo occuparci anche di tale problematica.
  Appartengo a una generazione che ha imparato a memoria un passo del libro Lettera a una professoressa, in cui don Milani afferma: «In Africa, in Asia, in America Latina, nel Mezzogiorno, in montagna, nei campi, perfino nelle grandi città, milioni di ragazzi aspettano d'essere fatti uguali. Timidi come me, cretini come Sandro, svogliati come Gianni. Il meglio dell'umanità».
  Nelle pubblicazioni che avete depositato, vi siete riferiti anche voi a don Lorenzo Milani e alla sua sperimentazione della scuola di Barbiana. Da uno screening veloce, emerge chiaramente quanto quel sistema possa essere ancora oggi applicabile. Don Lorenzo, che per molti di noi in anni difficilissimi è stato il faro che guidava il nostro comportamento didattico, nella sua lettera a un certo punto suggeriva, direi meglio ammoniva, la famosa professoressa a dare uno scopo agli svogliati. È la scuola che non sa cogliere e non sa motivare. Se ci fossero motivazioni adeguate per realizzare i sogni dei nostri ragazzi, forse non li perderemmo. Noi sappiamo motivare ? La scuola, in quei contesti così difficili, che conosco bene essendo io napoletana, sa motivare ?
  Conosco non solo la realtà napoletana, ma anche quella dell'area metropolitana: il ritardo, le bocciature e la mortalità scolastica sono sempre l'espressione di un insuccesso che riguarda tutti, dunque, prima di tutto, la politica. Vi assicuro che la dispersione di quei ragazzi ci pesa: com’è possibile fare scuola fuori dalla scuola ? A Scampia, il centro Mammut, l'oratorio di padre Valletti, il Gridas, l'associazione culturale «I ragazzi di Scampia» con il suo progetto di scuola di musica permanente, il centro Hurtado aiutano ? Qual è il vostro rapporto con quest'universo composito, direi anche generoso, del mondo dell'associazionismo ?

  LUIGI GALLO. Dagli interventi che abbiamo ascoltato emerge una questione principe, nella scuola tanto raccontata, tanto annunciata, ma di difficile applicazione, quella relativa all'insegnamento individualizzato. Da docente, numerose volte, durante i corsi di formazione, ho sentito dire da dirigenti e colleghi che dovevamo svolgere insegnamenti individualizzati con gli studenti per riuscire ad accompagnare tutti a raggiungere gli obiettivi specifici di ognuno: questo è, forse lo strumento più adatto a evitare gli abbandoni scolastici in ogni caso. Penso che il soggetto con i bisogni educativi speciali abbia molti punti di contatto con il soggetto che ha, invece, capacità, voglia o entusiasmo di apprendimento superiori ma non riesce a colmare questo bisogno.
  Nella realtà, avverto che ciò diventa impossibile per un docente in una classe con 25-30 studenti, a volte anche con 15, di cui tre diversamente abili, uno con comportamenti non qualificati come diversamente abili, ma che rientrano tra i disturbi di attenzione e che non rendono facile il lavoro a lui e all'intero gruppo classe. Dedicarsi allo studente con insegnamenti individualizzati e svolgere interventi specifici per piccoli gruppi o per singoli studenti durante il corso dell'anno diventa praticamente impossibile.
  Apprezzo l'idea, che è anche quella che il Movimento 5 Stelle in questi mesi sta cercando di portare avanti, che la scuola abbia bisogno di esperti e figure professionali da affiancare in vari ambiti alla figura docente. Non so se questa sia una scelta scientifica, se semplicemente abbia drenato risorse alla scuola pubblica, ma da tanti anni si è deciso che il docente deve occuparsi di tutto, dalla vigilanza all'informatica, mentre sarebbe giusto affiancare queste figure professionali.
  Mi affascina l'idea del networking, di una rete tra studenti e docenti. Abbiamo avuto anche l'esperienza del book in progress, ossia della produzione di libri digitali. Alla fine, però, si è trattato di una Pag. 15rete di 150 scuole, che ha visto la collaborazione di docenti e studenti: il risultato dei test di questi studenti per le competenze linguistiche e matematiche sono stati più alti della media italiana. Tale progetto, quindi, funziona, è autorganizzato e non è finanziato dall'università e oggi potrebbe diventare un sistema nazionale.
  Mi chiedo anche quali siano i punti in comune tra tutte le esperienze di cui si è parlato. Come affermava la collega Bossa – al di là delle associazioni che operano sul territorio e che, naturalmente, devono essere integrate in questo processo – occorre approfondire il concetto di scuole all'aperto, negli spazi pubblici, in quanto dai 3 fino ai 25 anni si apprende con modalità di gioco. Si apprende in modo diverso: al cambiare dell'età, cambia la concezione di gioco, ma sostanzialmente è così. Vorrei capire se siano state mai elaborate, sotto questi aspetti, soluzioni sulla dispersione scolastica.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  PAOLO BATTIMIELLO, Dirigente scolastico dell'Istituto comprensivo Virgilio 4 di Scampia – Napoli. Risponderò prima alla seconda domanda posta. È fondamentale che, in un territorio come quello di Scampia – lei sa benissimo che Scampia è solo un esempio dei territori a forte disgregazione sociale –, la scuola sappia creare una forte alleanza educativa. La scuola non può essere sola contro una serie di problematiche territoriali. Lei ha citato tutti gli attori protagonisti di quel territorio: li conosce perfettamente e sono tutti nella scuola. Mi è stato chiesto se quegli attori siano nella scuola. Io rilancio: quegli attori e noi siamo tutti nella direzione di creare una comunità di apprendimento che tenga conto di tutte le risorse del territorio. La scuola non può assolutamente rinchiudersi in una piccola torre d'avorio pensando di essere l'unica protagonista e depositaria di un progetto qualsiasi, formativo o anche didattico. Altre realtà ci aiutano e sono sempre al nostro fianco: avete citato Fabrizio Valletti, il Mammut, il Gridas. Una delle cose che ho imparato, andando a Scampia dieci anni fa, è l'esistenza di una grande rete di solidarietà. C’è solo un piccolo problema: la debolezza della scuola nella sua capacità progettuale. Siamo qui proprio perché pensiamo che sia arrivato il momento di svolgere una sperimentazione di autonomia scolastica che metta le scuole in condizione di realizzare non un progetto di scuola, ma un progetto di territorio, utilizzando tutte le risorse che sui territori ci sono, ivi comprese quelle famiglie che sono la causa delle numerose assenze e delle frequenze saltuarie alla base degli abbandoni. Con riferimento alla prima domanda, è stato utilizzato il termine «motivazione», che è un termine articolato. Per generazioni, a Scampia si è fatto a meno della scuola e la vita quotidiana è talmente pesante che la prima cosa a cui si pensa di dover e di poter rinunciare è la scuola. Cito solo l'esempio della condizione femminile in zone di questo tipo. Quando gli uomini sono impegnati e rinchiusi da qualche altra parte, le donne sono nella condizione di sopportare, senza averne le capacità e la possibilità – anche loro sono figlie di una condizione di abbandono – una situazione difficilmente sopportabile. La scuola non può chiudere gli occhi rispetto a ciò.
  Il termine «motivazione», allora, assume connotati un po’ diversi e diventa capacità di tenere i ragazzi dentro la scuola insieme a tutti gli attori del territorio, trovare strade educative tarate sulle loro capacità, per le quali non userei il termine «alternative». Svolgiamo moltissime attività: ad esempio, stasera, siamo in teatro per la nostra ultima rappresentazione, ma il nostro problema è la capacità di progettazione con risorse umane ed economiche certe.
  La scuola, adesso, deve assumersi una responsabilità sociale, che preveda anche un momento di rendicontazione sociale del proprio operato. Probabilmente, è giunto il momento di svolgere una sperimentazione di autonomia compiuta che metta le scuole davanti alla possibilità di assumersi le loro responsabilità.Pag. 16
  A nostro giudizio, uno dei punti deboli del sistema scuola è il limbo in cui le responsabilità non sono sempre definite. La buona volontà e la disponibilità dei docenti della scuola devono essere valori aggiunti innestati in un sistema ben certo. Non possono essere i capisaldi in una situazione normale.
  Rispondo all'onorevole Gallo in merito agli interventi individualizzati. È difficile, complicato, soprattutto in condizioni molto diverse. I bambini hanno problematiche incredibili: vi sono bambini diversamente abili dichiarati diversamente abili, bambini diversamente abili o con bisogni educativi speciali non certificati. In pratica, è necessario che la scuola adotti un'alleanza educativa. Quando lei presuppone l'intervento e l'ingresso nella scuola di esperti, credo di interpretare anche una richiesta nella direzione di una scuola che sia comunità di apprendimento, con tutte le risorse del territorio che confluiscono nella scuola e fanno crescere un sistema scuola in cui ciascuno si riconosce come partecipante del progetto scuola.
  Affinché vi siano interventi veramente individualizzati e personalizzati, occorre che la scuola sia la convergenza di interessi dell'intero territorio. Pensi che da tre anni a scuola siamo senza libri. È una contraddizione in termini, eppure cerchiamo di porre rimedio a quest'emergenza con l'aiuto del territorio, che ci aiuta ed è al nostro fianco. Come scuola, però, credo che siamo ancora la parte debole del sistema.

  ANNA MARIA RONCORONI, Presidente dell'Associazione italiana per lo sviluppo del talento e della plusdotazione (AISTAP). Rispondo molto brevemente con due osservazioni. Don Milani è una persona che stimo in maniera incredibile, è stato un uomo illuminato che ha fatto cose impensabili, oserei dire eccezionali. Penso che fosse libero di brillare. Il suo talento è stato libero di illuminare gli altri, di non soffocare gli altri, ma di dare a tutti la possibilità di tirar fuori delle cose. La sofferenza di un bambino è sempre la sofferenza di un bambino. Non faccio differenze e non penso che i ragazzi di cui mi occupo siano migliori o peggiori di altri. La sofferenza è uguale per tutti. Se, però, si fa brillare la propria luce, altro aspetto che cerchiamo di condividere con i nostri ragazzi, si avrà la possibilità di illuminarne altri che potranno tirare fuori la loro. A tal fine basterebbero poche risorse.
  Il nostro obiettivo finale e il nostro sogno è quello di una scuola che non abbia bisogno di etichette. Dobbiamo passare attraverso alcuni step. L'individualizzazione, secondo me, in questo momento è imprescindibile. Dobbiamo capire i bisogni di ognuno e, una volta acquisite le competenze, l'insegnante si rende conto e procede.

  GIUSEPPE ITALIANO, Presidente del Consorzio istituti professionali associati toscani (CIPAT). Vorrei aggiungere una brevissima osservazione sul tema della personalizzazione. È difficile, ma mi pare che sia emersa da tutti gli interventi, definire una modalità per affrontare la questione, ossia l'articolazione dei profili all'interno della scuola. Il tutor, il mentore, l'insegnante che progetta, l'integrazione della scuola con il territorio rappresentano strumenti per fornire risposte alla personalizzazione, attraverso percorsi e progetti di formazione che possano effettivamente realizzarsi.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e gli onorevoli colleghi che sono intervenuti.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Paolo Battimiello (vedi allegato 1), dal professor Giuseppe Italiano (vedi allegato 2) e dalla dottoressa Anna Maria Roncoroni (vedi allegato 3).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.35.

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