XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 26 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE BUONE PRATICHE DELLA DIFFUSIONE CULTURALE

Audizione del professor Alberto Asor Rosa, del professor Franco Cardini e del dottor Giuseppe Laterza.
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 2 
Asor Rosa Alberto  ... 2 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 
Cardini Franco  ... 4 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 4 
Laterza Giuseppe  ... 4 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 7 
Cardini Franco  ... 7 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 11 
Ghizzoni Manuela (PD)  ... 11 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 12 
Adornato Ferdinando (AP-CpE-NCD)  ... 12 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 12 
Gallo Luigi (M5S)  ... 12 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 13 
Marzana Maria (M5S)  ... 13 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 13 
Ascani Anna (PD)  ... 13 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 14 
Asor Rosa Alberto  ... 14 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 15 
Cardini Franco  ... 15 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
FLAVIA PICCOLI NARDELLI

  La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Alberto Asor Rosa, del professor Franco Cardini e del dottor Giuseppe Laterza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle buone pratiche della diffusione culturale, l'audizione del professor Alberto Asor Rosa, del professor Franco Cardini e del dottor Giuseppe Laterza. Nel rivolgere un saluto di benvenuto ai partecipanti, avverto che è in distribuzione una memoria consegnata dal professor Cardini. Do la parola dapprima al professor Asor Rosa.

  ALBERTO ASOR ROSA. Vorrei innanzitutto complimentarmi, se mi è consentito, con la Commissione cultura della Camera, che apre un dibattito su una questione troppo spesso ignorata nel dibattito pubblico italiano. Spero che sia l'inizio di un processo e mi auguro che questo porti a dei risultati.
  Per entrare nel merito, nei tempi consentiti dal dibattito, comincerei con un episodio di carattere personale, che però forse ha qualche valenza generale. Percorro spesso la tratta ferroviaria Chiusi-Firenze, andata e ritorno, sui cosiddetti «regionali veloci» (molto «cosiddetti»). Poco prima dell'estate, mi è accaduto di prendere uno di questi treni alla stazione di Firenze arrivando un poco in ritardo; quando sono salito sul treno l'ho trovato colmo di passeggeri e, per cercare un posto, l'ho percorso, avanti e indietro, un paio di volte. Da un certo momento in poi, la mia curiosità è aumentata: nessuno dei passeggeri di quel treno (sei carrozze ricolme) leggeva alcunché: non c'era una carta stampata in mano di chicchessia. Si potrebbe supporre che qualche lettura avvenisse su smartphone o ipad ma ne dubito molto. Le statistiche dicono la stessa cosa ma, in un certo senso, l'esperienza vissuta la rende più tangibile e più drammatica. Voglio dire, in sintesi, che altri approcci sono possibili, ma questo è decisivo: il nodo di tutte le carenze culturali italiane è la drammatica minorità ed emarginazione della lettura, perché attraverso la lettura viene veicolato tutto il resto, secondo i vecchi modelli conoscitivi ma, credo, anche attraverso quelli nuovi, tecnologicamente rinnovati. Questa carenza e minorità della lettura è un fatto tradizionale nella cultura italiana post-unitaria, per non parlare di quella precedente l'Unità; ma penso che oggi la situazione tenda a diventare sempre più disastrosa. In questo contesto il libro, la lettura del libro, è un protagonista fondamentale da sempre; ma oggi, se dovessi enunciare un problema più recente e, forse più grave se alludiamo alla cultura di massa, la crisi della lettura ha investito drammaticamente i giornali, i quotidiani, la carta stampata per l'informazione e la formazione. Su questa materia ci sono stati tentativi notevoli di modifica e di rinnovamento, soprattutto da parte di grandi linguisti più che di grandi letterati od opinionisti nel senso generico del termine: Sabatini, ex presidente dell'Accademia della Crusca, oggi Luca Pag. 3Serianni, che recentemente è stato incaricato anche di rivedere certe forme scolastiche della lettura e della composizione a livello ministeriale e, soprattutto, per quanto riguarda la mia esperienza, la grande iniziativa di rinnovamento linguistico e culturale, ad opera del recentemente scomparso Tullio De Mauro.
  Siccome il problema è gigantesco, è difficile, se non impossibile, indicare linee di ricerca, perché se la Commissione cultura della Camera dei deputati, la nostra rappresentanza, i nostri organi di Governo dovessero affrontare questo problema, dovrebbero mettere in campo forze spropositate, che è difficile immaginare da chi e con quali sostegni materiali possano essere portate avanti: sostegni materiali immensi. Poiché questo non è possibile delinearlo, perlomeno non è possibile delinearlo rapidamente, molto rapsodicamente e avventurosamente indicherei tre possibilità più circostanziate e limitate di affrontare il problema, anche se ognuna di queste comporterebbe, nonostante la sua limitatezza, un investimento non indifferente.
  La prima possibilità riguarda le fiere del libro. L'anno scorso, come tutti sapete, la Fiera tradizionale del libro di Torino ha visto affiancarsi (in modi che ho ritenuto allora piuttosto fuori luogo) una Fiera internazionale del libro di Milano, che ha peraltro avuto un esito molto limitato, per le forme e gli appelli – credo – che l'hanno inizialmente ispirata. In quell'occasione, legato al Salone del libro di Torino da un'esperienza pluridecennale, mi sono schierato contro la Fiera del libro di Milano. Progressivamente e parzialmente ho cambiato la mia opinione. Se le Fiere del libro dovessero essere concertate secondo una logica ispirata al problema della riduzione della carenza di lettura, forse che ce ne sia più di una non sarebbe male. In modo particolare la cosa riguarda il sud, dove la fenomenologia negativa di cui parlavo in precedenza a proposito della lettura, come capita in tanti campi, è ancora più negativa. Perché non pensare a organizzare una Fiera del libro con un forte sostegno statuale in una città del sud, dove c'è una casa editrice illustre e gloriosa e un'università di grande livello come quella di Bari? Se questo accadesse, forse potrebbe essere lanciata una spinta di grande respiro e di grande appello.
  Secondo punto (temo più scandaloso del primo): renderei obbligatoria la lettura del giornale in classe. Si è parlato recentemente, in modi anche poco avvertiti, di una riforma dei programmi scolastici, ma come non pensare che un'ora alla settimana nei diversi ordini scolastici, dalla scuola media in su, dedicata alla lettura del giornale sarebbe un espediente, una via formidabile per aiutare i giornali a sopravvivere e per introdurre presso i giovani un'abitudine che invece si va progressivamente perdendo? L'anno scolastico si compone di 30 settimane, e in 30 settimane, cambiando ovviamente la testata ogni settimana o ogni due settimane, se ne potrebbero leggere molti, di orientamento diverso, locali e nazionali.
  Il terzo punto, ancora più avventuristico dei due precedenti, è il seguente: perché non certificare l'acquisto dei libri in libreria ad opera del venditore? Ne potrebbero risultare liste da cui l'abitudine alla lettura del libro risulterebbe inequivocabilmente. Chi ne legge 10 in un anno, viene inserito in una lista pubblica, ampiamente pubblicizzata, e riceve in dono qualcosa, per esempio altri due libri a pagamento dello Stato, delle regioni. Nel merito, qualche sondaggio statisticamente definito non sarebbe impossibile.
  In conclusione (mi richiamo a un passaggio precedente), se la Commissione intendesse affrontare, in una prospettiva anche lunga, il problema della lettura nel suo complesso, non ci si potrebbe limitare a questi accenni episodici, ma gli accenni episodici intanto servono a definire un pochino il discorso. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Asor Rosa. Non ci siamo messi d'accordo, e lo dico ridendo, professore, perché lei non sa che in questa Commissione portiamo faticosamente avanti una grande battaglia sulla lettura; quindi, aver cominciato questa nostra indagine conoscitiva con un attacco di questo genere da parte sua è di grande aiuto. Pag. 4
  Prima di lasciare la parola al professor Cardini, voglio presentarvi i colleghi presenti: il professor e onorevole Adornato, che conoscete, i deputati Gallo, Marzana, Di Benedetto, Vacca, che si è allontanato un momento, Malisani, Bonaccorsi, Anna Ascani, Blazina, Narduolo, Carocci, Rocchi e Ghizzoni. C'è una nutrita rappresentanza della Commissione, a dimostrare l'interesse e l'attenzione verso questa indagine conoscitiva e ringraziarvi per la vostra presenza.
  Lascio la parola al professor Cardini.

  FRANCO CARDINI. Preferirei, per motivi di opportunità, se lui è d'accordo, che prima di me parlasse il dottor Laterza, anche perché sono un gregario del dottor Laterza; sto facendo delle cose con lui, quindi mi farà comodo e farà comodo a tutti che mi riallacci a quanto dirà, perché abbiamo fatto qualcosa di concreto.

  PRESIDENTE. Benissimo, professore. Con una premessa di questo genere diamo subito la parola a Giuseppe Laterza.

  GIUSEPPE LATERZA. Vorrei che fosse distribuita una tabellina, che voi tutti conoscete perché sono dati pubblici, che avevo già mostrato all'onorevole Nardelli in altra occasione, che danno il senso di quello di cui parlava il Professor Asor Rosa. Per i Paesi europei, i dati sui consumi culturali, in particolare la lettura, hanno una relazione con indicatori economici. La cosa interessante è che i dati sui lettori sono esattamente rispecchiati in tutti i consumi culturali (cinema, teatro, musei, gallerie, musica) e le relazioni tra i Paesi sono identiche. Quindi, prendete il dato sulla lettura: con piccoli scostamenti, è identico. C'è addirittura una tabella (credo sia quella Eurostat) sui consumi culturali televisivi ed è identica. Che cosa risulta? Quello che voi tutti in Commissione cultura sapete: i Paesi che investono di più in cultura, in particolare in istruzione e in ricerca, sono i Paesi con la maggiore crescita, la minore disoccupazione, i minori NEET, che, come sapete, sono il vero indice, e poi, anche il potere d'acquisto, che è più interessante del reddito perché indica proprio quanto si può comprare. Fatto cento, come vedete, la classifica è uguale e sono in testa Svezia e Danimarca.
  Come diceva Asor Rosa, la situazione è questa ormai da decenni, e mi riferisco non ai parlamentari e ai politici, ma a tutte le nostre classi dirigenti, perché nel vagone in cui viaggiava Asor Rosa forse c'erano anche imprenditori; gli imprenditori italiani sono quelli che leggono di meno in Europa. Come lo sappiamo? Dai libri professionali. In assoluto, i libri meno letti in Italia sono quelli professionali, perché i nostri imprenditori vanno a intuito, sono «geniali» come tutto il resto del Paese, cioè non hanno bisogno di leggere. Qualche giorno fa, andando in giro per l'Italia a fare incontri sul contenuto di questa tabella, ponevo il problema che, pur vantandoci di avere il 70 per cento del patrimonio artistico mondiale – l'Italia è un Paese di cultura straordinaria – siamo i più bassi nelle classifiche; un imprenditore mi ha risposto: «perché noi la cultura la respiriamo nell'aria». Un bellissimo modo di ossigenazione!
  Purtroppo ho un vizio illuministico: cerco sempre le ragioni. Penso che, al netto della malafede e della stupidità, ci deve essere una ragione, e la spiegazione che do (sul fatto che non si investa da anni) è che tutti leggono sempre la tabella da destra a sinistra. Si pensa, cioè, che gli svedesi vadano a teatro e che i danesi leggano libri perché sono ricchi. Nessuno è sfiorato dal dubbio (è chiaro che chi è ricco ha più tempo libero e chi legge un libro è il professor Cardini, mentre le masse popolari notoriamente leggono più Asor Rosa, per antica preferenza) che la tabella valga anche da sinistra a destra.
  Ovviamente, il problema è l'accorciamento drammatico dell'orizzonte: sarei più ottimista di Asor Rosa. Le risorse non sono poi tantissime e bisogna avere anche una certa costanza. Regolando l'intervento sulle prossime elezioni, da qui a marzo o aprile, è ovvio che non si sta investendo in questa cosa, perché non paga elettoralmente: investire nella scuola non dà un risultato alle prossime elezioni. I governanti precedenti coltivavano anche il breve periodo, perché credo che anche Togliatti e De Gasperi lo Pag. 5coltivassero; però non si limitavano solo a quello.
  Il vostro documento, che ho letto con grandissimo interesse, si propone un'indagine sulle buone pratiche. Non essendo un teorico, un analista, come Asor Rosa o Cardini, ma un pratico, sono rimasto molto colpito da una cosa, affatto ovvia, che avete scritto, ossia che «le attività culturali costruiscono comunità». Ci sono in Italia 3 milioni di persone, tra cui i giovani sono quelli che leggono di più. Tutti dicono che i giovani non leggono, ma non è vero: statistiche anche recenti dimostrano che le classi di età che leggono di più sono quelle dai 15 ai 25 anni; quelle che comprano di più vanno sono dai 25 ai 35 anni. Quindi i giovani leggono molto di più dei padri, sebbene ci si lamenti sempre che «ai tempi nostri la cultura...». Non è vero: i giovani leggono. Certo, forse leggono Moccia; e non dobbiamo discriminare se non tutti possono leggere Cardini, per quanto mi risulta che alle conferenze di Cardini partecipino tanti ragazzi. Bauman era un idolo dei giovanissimi, pur dicendo cose terribili sulle amicizie di Facebook che considerava non amicizie: i ragazzi andavano ugualmente a sentirlo.
  La comunità è il luogo dove si incontrano questi 3 milioni di persone che, a mio parere, sono un’élite, una nicchia. Tutte le società hanno un’élite, il problema è che si tratta di un’élite senza potere, perché generalmente chi ha potere in Italia (nelle banche, in Parlamento o altrove) non va al cinema o a teatro. Pensate che alle lezioni di storia che dal 2006 facciamo all’Auditorium di Roma su tutti i temi possibili (la leadership, il ’900, la storia antica, le donne) non ho mai visto una volta (forse l'unica è la Presidente Nardelli) un parlamentare; eppure si tengono di domenica mattina. Sono tutti coltissimi, sanno già tutto, conoscono già tutti gli argomenti? Forse c'è un problema di curiosità. Quella che si reca all’Auditorium e ai festival è invece un’élite, che però non ha potere e sarebbe bene che l'avesse. Prima di tutto si tratta di persone che hanno un fortissimo senso del collettivo: io esisto in relazione agli altri. Perché vanno al Festival di Mantova o a Modena? Per ascoltare Cardini? Sì, ma lo potrebbero fare anche a casa, potrebbero prendersi un DVD. Ci vanno per un motivo che si spiega con un episodio recente al Festival di Mantova. C'è uno scrittore ignoto ai più, Franco Arminio, lucano, che a piazza Sordello al Festival di Mantova raccoglie 400 persone a parlare di paesologia – che ancora non ho capito che cos'è – e che suggerisce di andare nei piccoli paesi e parlare con i vecchi. Finito l'intervento, propone di cantare tutti insieme. Fa cantare Azzurro, Quel mazzolin di fiori e Bella ciao, e tutti i 400 si alzano e cantano. Capite bene che 400 estranei che cantano in una piazza di Mantova non lo fanno per Arminio: lo fanno perché ritengono di avere una cosa in comune, un interesse in comune, forse addirittura, come si dice alla Bocconi, una mission, quindi un progetto possibile. Questa è un’élite, non è una nicchia, e le élites non sono molti di più di questi, perché 3 milioni non sono pochi rispetto a circa 60 milioni di italiani.
  Per quanto riguarda le buone pratiche, quelle che ho fatto, sperimentano esattamente quello che voi avete scritto. Noi ne abbiamo fatte tantissime, come casa editrice siamo quella che ne ha fatte di gran lunga di più negli anni, ma ne cito solo due.
  Una è Presìdi del libro, che mi è cara, perché parte in Puglia nel 2002, con l'idea di raccogliere in una rete i gruppi di lettori. I gruppi di lettori esistono dappertutto, in Italia soprattutto nel nord, ma scopro che ce ne sono tanti anche in Puglia, e di tutti i tipi (signore che si incontrano al caffè, giovani che vanno al bar, gente che lo fa negli ospedali, nei centri di igiene mentale, a casa, nelle biblioteche). Ognuno lo fa per conto suo, in piccolissimi paesi dove magari non c'è una libreria, non c'è una biblioteca; le persone, quindi, si sentono isolate, si sentono dei marziani. Allora li mettiamo insieme, trovando una sponda nella regione: miracolosamente ripetuta perché una cosa fatta da Fitto, poi non è stata cancellata da Vendola – episodio unico nella storia di questo Paese – e viene mantenuta anche da Emiliano, che ci dà un po'di soldi per dire a queste persone: «non fate presentazioni di libri, perché questo già si fa, Pag. 6fate un progetto tematico, diteci che tutto l'anno volete lavorare su un tema e su questo chiamare degli esperti. Voi avete già letto i testi, quindi interagite con loro, siate essere parte attiva: non vogliamo che l'esperto parli e voi facciate domande, siete voi che dovete interagire!».
  Ho scritto su Repubblica per dire che non ci sono molte librerie e che forse bisogna crearle, perché, avendo studiato malamente con un grande maestro come Federico Caffè, avevo imparato che l'offerta crea la domanda. Il signor Beghelli aveva intuito che c'era il problema della sicurezza- quindi un bisogno – e ha creato il salvavita; poi è venuta la domanda. Il bisogno di lettura c'è: anche dove non esistono biblioteche e librerie. Scrivo questa cosa su Repubblica e mi scrivono 60 persone da tutta Italia, particolarmente dalla Puglia. Comincio a girare tutta la Puglia con dei colleghi e questi dicono: «dottor Laterza, noi saremmo felici di fare una rete»: oggi sono più di 60 (vi ho lasciato la documentazione); abbiamo avuto appoggi da Ciampi a Napolitano, perché è una rete sociale, una rete civica, una rete di comunità. È chiaro che parlare di un libro significa imparare a parlare (io per esempio ho già sforato, non so parlare, sono troppo lungo), darsi dei tempi, misurarsi con gli altri. Adesso i Presìdi sono in tutta Italia, ma in Puglia sono una comunità.
  La seconda esperienza è quella delle lezioni di storia. Un giorno del 2006 avevamo fatto anche il Festival dell'economia, vado dal sindaco di questa città (all'epoca Veltroni), l'Auditorium aveva cominciato a diversificare l'attività e, oltre a musica classica, faceva anche teatro, gli chiedo perché non proviamo a fare delle lezioni di storia, mi dice che gli sembra una buona idea, quindi cominciamo con Roma.
  La prima lezione doveva farla Carandini, il bravissimo direttore Fuortes mi dice: «ci sono due possibilità: o si fa alla sala Sinopoli, che ha 1.000 posti, oppure si fa alla sala Studio, che ne ha 200, però devo mettere il biglietto», ma io ero terrorizzato che con il biglietto non sarebbe venuto nessuno. Facciamo tutta la promozione possibile, la domenica che comincia Carandini si presentano 3.000 persone (ci sono le bellissime immagini del TG 3 della «folla rumoreggiante»).
  Da lì è partita un'avventura che fa sì che oggi in 10 teatri italiani, i più grandi, dalla Pergola a Firenze al Carignano a Torino, al Petruzzelli a Bari, al Bellini, si susseguano i valorosi della storia tra cui il professor Cardini, cioè quegli storici che sanno anche mettersi in gioco di fronte a un pubblico, perché molti storici fanno il loro lavoro di professori universitari, per cui lo studente non può fischiare perché altrimenti lo bocciano, ma in teatro non ci vanno, perché in teatro uno si può anche alzare e andarsene.
  La cosa pazzesca, che rivela qualcosa sulle buone pratiche di lettura, è che oggi in tutti i teatri pagano il biglietto, perché, mentre all'inizio (anni di vacche grasse, il 2006) avevamo come sponsor banche generose, UniCredit in particolare, poi abbiamo deciso di fare quello che abbiamo fatto a Roma. Sapete quanto costa oggi il biglietto che noi esauriamo in una settimana per 1.176 posti nella Sala Sinopoli? Costa 14 euro.
  Abbiamo cominciato il primo anno gratuitamente, poi ce l'ha chiesto il pubblico, perché non potevano arrivare alle 6.00 di mattina tutte le domeniche, volevano avere un biglietto, quindi abbiamo fatto 5 euro, poi 7, poi 9, poi 12. Ovviamente c'è sempre un abbonamento e gli studenti pagano sempre 5 euro, cioè sotto una certa età l'Auditorium (e noi siamo con lui) fa pagare sempre 5 euro, ma il pubblico adulto ha accettato.
  L'Auditorium fa una politica per cui si ferma a 750 abbonamenti, e pensate che l'ultimo anno in cui avevamo aumentato il biglietto a 14 euro ha rinnovato il 93 per cento! Questo vuol dire che la cultura è questione non necessariamente di grandi sovvenzioni, ma di raccordare le forze che ci sono e che nessuno le raccorda, particolarmente il pubblico.
  Come diceva Alberto Asor Rosa, il sindaco potrebbe chiamare ognuno dei maggiorenti del comune, e, come avviene in America, dire che metterà il suo nome sulla biblioteca perché suo figlio passando possa ricordarlo, ma questo non si fa, anche se Pag. 7non ci vuole moltissimo, o meglio si fa perché singole persone generosamente ci pensano, ma manca un lavoro di raccordo.
  All'Auditorium come in tutti i teatri abbiamo un sistema per cui dividiamo i ricavi, quindi il teatro si ripaga, quando facciamo i festival (e ne facciamo tanti) chiediamo al comune non soldi, ma una promozione in città, che mi sembra una cosa giusta da chiedere a un'istituzione pubblica, un'attenzione, e penso che – ripeto – si possa fare moltissimo in un Paese straordinariamente reattivo.
  Sono grato per quanto ha detto Alberto Asor Rosa sul sud, perché io non credo che esista il sud, ma questo è un mio problema personale, penso che, come dice Viesti, il sud esista solo per i segni meno, cioè Palermo, Bari a Napoli sono uguali «meno PIL, meno scuola», ma appena li qualifichi sono due realtà come Vicenza e Milano, l'idea che esista nelle caratteristiche positive un sud non mi convince, ma questo è un mio problema.
  È vero però che nel sud c'è una straordinaria potenzialità, c'è una qualità che ho sperimentato andando nei paesini pugliesi con 3.000 o 7.000 abitanti, non tutti uguali naturalmente, ma neanche al nord sono tutti uguali, ci sono città più sonnacchiose o ricche.
  Questa indagine, le cui conclusioni aspetto di leggere con grande attenzione, sarebbe tanto più utile se voi chiamaste anche persone che fanno parte dei Presìdi del libro, perché esistono in Italia 1.000 biblioteche, 1.000 scuole, 1.000 associazioni che fanno un lavoro pazzesco. Come ho sempre detto al Centro per il libro, si dovrebbe andare in giro per l'Italia, ascoltare, fare tesoro di queste esperienze. Noi abbiamo un'associazione, Forum del libro, che le chiama ogni anno a novembre, quest'anno a Pistoia, perché ci sono esperienze modello che si potrebbero replicare, seppur con alcune variazioni. Scusate se sono stato troppo lungo.

  PRESIDENTE. Grazie davvero, anche perché tutte le cose che il dottor Laterza ha detto in questa Commissione sono spesso argomento di conversazione e di dibattito da tanti punti di vista, direi da tutti quelli che sono stati trattati. Prego, professor Cardini.

  FRANCO CARDINI. Grazie a tutti per essere qui e per avermi invitato. Dopo Asor Rosa e Laterza per la verità potrei anche tacere, salvo la nuda esposizione del materiale che non ho alcuna intenzione di commentare, ma vorrei semplicemente giustificare perché sono arrivato con una – apparentemente pesantissima – memoria, che in realtà è una raccolta di cicalate.
  Uno si pone il problema di che cosa sia la cultura, questo oggetto misterioso, come farsi una cultura pazzesca. Lascio perdere tutte le definizioni che sono state date (letteraria, filosofica, antropologica, gnoseologica) e che conosciamo tutti, forse ne sappiamo addirittura più di quanto crediamo di saperne, perché le abbiamo assunte attraverso vari canali indiretti, tutti noi sappiamo più di quanto crediamo nello stesso tempo in cui sappiamo molto meno di quello che dovremmo sapere.
  A livello personale, però, la cultura non è istruzione, non è educazione, non è informazione: credo che la cultura sia sapersi e volersi rimettere in discussione, che è anche una condizione di coraggio morale e intellettuale. È desiderio di imparare, di ascoltare gli altri, di portare un contributo al processo di crescita quando e nella misura in cui c'è, oppure rimedio al processo di crescita quando non c'è, perché è questa la cosa essenziale.
  Ho sentito da Asor Rosa un discorso che ho apprezzato e non sento dire spesso: pensavo così e ho cambiato un po'idea, ed è successo anche a me a proposito di quella circostanza, perché in un primo tempo anch'io sono partito lancia in resta, anche perché alcuni miei colleghi universitari mi spronavano a farlo in difesa del Salone di Torino che io amo, ci sono affezionato, e poi mi sono ricreduto, perché, per citare il Presidente Mao che un tempo andava molto di moda e oggi è diventato quasi disdicevole, che cento fiori sboccino e mille scuole si confrontino.
  C'è a Milano della gente che vuol vendere dei libri: certo bisogna vedere cosa vende, ma questo vale anche per i supermarket, e ben vengano i supermarket dove Pag. 8si vende e si fa un'offerta di altissima qualità di cibi e bevande di qualità, e bisogna essere sicuri che lo siano veramente. Questo vale anche per i libri, e mi sono trovato in contraddizione con me stesso, perché sono – assolutamente non per mio merito – ancora attaccato come i cuccioli all’École des hautes études di Parigi, quando a Parigi cominciarono ad aprire le prime librerie dove si faceva anche caffè o addirittura ristorante trovavo bellissima questa idea di prendere l'aperitivo o cenare in un posto con tutto Gallimard da una parte e Payot dall'altra.
  Per la solita mentalità esterofila e provinciale degli italiani, appena qualche libreria italiana ha cominciato a fare lo stesso, a cominciare dal tempio della libreria romana, dove andavamo (ci vado ancora) in devoto pellegrinaggio appena si scendeva da Termini, percorrendo la strada fino a Palazzo Venezia per passare davanti a Tombolini, mi sono meravigliato e indignato nel vedere che Tombolini esponeva gadgettistica, caffettiere, penne d'epoca, ma mi sbagliavo perché è sacrosanto e legittimo, ma è anche patetico rimpiangere il bel tempo antico in cui la gente leggeva belle cose.
  Come dicono molti dei miei colleghi della scuola media superiore, che amo e con cui collaboro spesso, gli studenti sono lontani, sono distratti, sbuffano. A me non succede perché, anche se qualche volta sbaglio il tono, se mi invitano a parlare dell'Unità d'Italia e il tema scelto da una bravissima collega di storia di un liceo di una piccola/grande città della provincia di Firenze è il grande evento del Risorgimento, e naturalmente tutti, a cominciare dai colleghi, cominciano a snocciolare la Breccia di Porta Pia, la battaglia di Solferino, la prima, la seconda e la terza guerra d'indipendenza, la spedizione dei Mille, io attacco il discorso dicendo: «ragazzi, il fatto fondamentale del nostro Risorgimento è il taglio di Suez e il fatto che Sua Maestà britannica dopo il 1870 ha scippato il pacchetto di maggioranza in tasca dell'imperatore Napoleone III, che aveva perduto a Sedan, perché Sua Maestà britannica aveva mandato avanti il cuginetto cattivo, il re di Prussia, a dare una lezione a questo troppo intraprendente parvenu.
  Da allora la prospettiva dell'Unità d'Italia è totalmente mutata, siamo passati da un'alleanza con i francesi che ci avrebbe impedito di prendere Roma, perché Napoleone III era sostenuto dai cattolici, a un'alleanza a una potenza anglicana, che era contentissima se gli italiani prendevano Roma».
  Tutto ciò ci fa uscire non solo dalla provincia italiana, ma addirittura dalla provincia mediterranea, e ci manda lungo l'Oceano indiano, ci fa riflettere che Sua Maestà Britannica già possedeva Gibilterra, nel ’70 ha aggiunto ai gioielli della corona il Canale di Suez e non c'è da meravigliarsi se la regina Vittoria nel ’76 è diventata anche imperatrice dell'India.
  C'è invece da meravigliarsi e da informare i ragazzi sul fatto che la new Silk Road concepita dai cinesi (Governo cinese, multinazionali a testa cinese, tante altre cose che non sono solo cinesi) sta rivalutando i traffici su terra e su mare e sta mettendo alla corda anche quei traffici per via aerea che per tanto tempo abbiamo considerato la chiave del postmoderno e invece tutto sommato no, quindi bisogna ripensarci. I cargo, i grandi containers non hanno mai viaggiato per via aerea per ovvi motivi, e adesso c'è questa rinascita degli aerei e delle navi che non a caso passano da Suez e arrivano ad Amsterdam e a Londra, contemporaneamente al sistema concepito dai cinesi, per cui i treni partono da Pechino e arrivano via terra attraverso la France asiatica e la transiberiana.
  Tutto questo è straordinario, come medievista vi invidio veramente (credo che la maggior parte di voi sia molto più giovane di me) gli anni che avete da vivere più di me non tanto per il banale egoismo del vecchietto che vede il suo tempo venir meno nella clessidra, ma perché i prossimi anni saranno straordinari nel senso cinese del termine, cioè come dicono i cinesi «guai a chi vive tempi storicamente interessanti», saranno forse terribili, però saranno anni straordinari.
  A livello di World History, come si dice oggi, mentre un tempo si diceva WeltgeschichtePag. 9 (il mio maestro Cantimori mi avrebbe preso a morsi se avessi osato dirgli World History e anche Nouvelle histoire) questi tempi sono straordinari, e pochi tempi (forse nessuno) sono stati straordinari come questi.
  I ragazzi rispondono, non lo so percentualizzare perché non sono mai stato bravo in matematica, però lo vedo nella mia pratica continua in quanto, come Giuseppe Laterza ha detto, ho collaborato come gregario (molti come Barbero sono molto più bravi di me) e ci siamo accorti che i vari pubblici, a cominciare dai pubblici giovani, a queste cose rispondono.
  A me dispiace (poco, non tanto) di essere diventato emerito, cioè di essere uscito dal servizio attivo, anche se in realtà non è successo, perché mi piaceva fare lezione e continua a piacermi, in un Paese come l'Italia, dove qualche imprenditore è perfino in buona fede quando dice che la cultura la respiriamo, ma qualunque medico specialista in vie respiratorie vi dirà (prima di lui l'hanno detto fior di guru e di dervisci) che respirare è un'arte difficilissima.
  Lo sapevano anche i nostri monaci del Medioevo, lo dice anche San Bernardo di Clairvaux, è difficile respirare bene, non credo che San Bernardo o il Gautama Siddharta detto il Buddha sapessero quello che sappiamo noi a livello scientifico, però in qualche modo avevano intuito che usiamo soltanto un settimo delle nostre capacità polmonari, per non parlare delle capacità cerebrali.
  Come medievista mi trovo davanti al seguente paradosso: le nostre università sono ormai asmatiche, la gente se ne va, c'è una forte mortalità universitaria, cioè gente che abbandona prima di conseguire la laurea (lasciamo perdere le statistiche, alcune sono più ottimistiche, ma la realtà continua a essere questa), non c'è ricambio, le nostre cattedre (mi riferisco a storia medievale, ma in alcune discipline la situazione è ancora peggiore) sono in ribasso numerico, quando se ne va un cattedratico spesso la cattedra si sdoppia in due insegnamenti da associato oppure si preferisce addirittura i ricercatori, largo ai giovani, benissimo.
  Questo dipende fondamentalmente dal fatto che non c'è più la spettabile clientela, la gente non si vuol più laureare in storia, sceglie altre cose oppure va all'estero o resta in Italia, si guarda intorno, però di tornare all'università a studiare nemmeno per idea!
  Il paradosso qual è? Come in parte ha già detto Laterza, è che quando noi facciamo le nostre divertenti iniziative, la Settimana medievale di Gubbio oppure il Festival di qualcosa la gente corre, fa a spinte, è disposta a pagare. Certo, i ragazzi che vanno a Gubbio e ad Assisi e si vestono fantasiosamente da uomini e donne del Medioevo non hanno del Medioevo l'idea che hanno i cattedratici, me compreso, ma hanno un'idea molto più vicina al Trono di spade o a Il Signore degli Anelli, ma è inutile bacchettarli sulle dita, perché questo è il materiale su cui dobbiamo cominciare a lavorare.
  Se dico loro «cari ragazzi, bisogna leggere storia delle istituzioni, cos'era il feudo, e poi Diritto canonico», me li perdo. Poco fa, en passant, Giuseppe Laterza ha detto una cosa fantastica, alla quale non riflettiamo mai, ma che diremo forse mille volte al giorno, perché ormai è diventato un adagio: l'offerta crea la domanda.
  Lo sanno tutti che l'offerta crea la domanda, però (qui entra un po'il medievista) se facciamo un passetto indietro e, visto che lo stiamo facendo, facciamo un passone indietro, e torniamo a un tempo che riguardava tutto il mondo e tutte le civiltà, incluse quella cinese, quella azteca, quella Maya, figurarsi quella greca o quella latina, che l'offerta crea la domanda è la sintesi della grande rivoluzione della modernità.
  Questo prima della nostra modernità, che l'Occidente si buttasse a capofitto alla conquista del mondo, rompesse un mondo fatto a compartimenti stagni, stabilisse l'economia mondo e quindi (bisogna anche ricordarlo) lo scambio ineguale, per cui io ti do grandi valori, magari immateriali ma impagabili, ti do la nostra civiltà, la nostra cultura, magari il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù, la grande cultura greca, la grande cultura romana, il meglio che l'umanità abbia mai saputo esprimere, Pag. 10quindi dammi qualcosa anche tu! In fondo cosa ti chiedo? Ti chiedo soltanto le tue materie prime, ti chiedo soltanto la tua forza lavoro. Questa è stata la modernità.
  La modernità è partita (ne so qualcosa perché sono fiorentino) proprio da Firenze, non solo da Firenze, ma anche da Bruges, anche da Barcellona, anche da Milano, anche da Venezia, dalle grandi città mercantili del Medioevo, abbiamo rovesciato come un calzino una realtà che era forte da millenni e forse neanche naturale, la realtà secondo cui nel rapporto fra produttore e consumatore il volano lo teneva saldamente in mano (il vecchio Marx l'ha spiegato bene per il capitalismo romano) il consumatore, se il consumatore non voleva consumare perché aveva già troppi beni, non c'era verso. Non portate vasi a Samo, perché la gente a Samo i vasi se li fa per conto suo, anzi li esporta.
  Fra il ’200 e il ’500 abbiamo scoperto come incentivare l'offerta in modo assolutamente affascinante, per far sì che si rovesciasse questo rapporto e che fosse il produttore a fare aggio e a strappare al consumatore il volano del rapporto fra produzione e consumo. È banalissimo, guardate una Madonna di Giotto o di Cimabue, guardate il grande marforium e il mantello color indaco violetto che è la vera, autentica porpora imperiale, e scoprite che dal ’200 in poi questi diavoli dei pittori toscani, lombardi ma anche provenzali, anseatici, catalani hanno cominciato a fare le fodere al mantello della Vergine di giallo zafferano, di rosso vermiglio, e nel frattempo i nostri tessitori, i nostri mercanti immettevano sul mercato non solo la stoffa azzurro-blu fatta con il lapislazzulo, ma anche altre stoffe altrettanto care e nuove.
  È la moda, che è esattamente il femminile originariamente peggiorativo (il Medioevo è maschilista) della parola modus, che vuol dire moderazione. Noi abbiamo fondato la modernità sulla base di questo principio, il rovesciamento fra offerta e domanda.
  Credo che qualcuno di voi, che è anche un collega insegnante, lo sappia, ma davanti a queste cose banali i ragazzini, abituati all'idea che bisogna sapere abbastanza di Zanardelli, qualcosa anche di Giolitti ma, se si signora che era Tamerlano, non cambia nulla, se si signora cosa era l'impero cinese, non cambia nulla, se si signora chi ha tagliato il Canale di Suez, non cambia nulla, si trovano scoperti, di contropiede e restano assolutamente affascinati.
  D'altra parte, con tutto il rispetto per Zanardelli e per Giolitti che non mi hanno fatto nulla di male, oggi è criminale mandare in giro dei liceali che sanno abbastanza di storia del Risorgimento italiano (lo so cosa pensa Adornato: il solito vecchio reazionario che fa l'apologia del Granduca di Toscana, ma non è questo il punto), ma non sanno nulla dell'Impero cinese o dell'Impero indiano, perché c'è una novità, cioè che l'impero cinese e quello indiano ci stanno arrivando tutti addosso, e allora, come diceva Dante, «saetta previsa vien più lenta», quindi organizziamoci.
  Per organizzarsi bisogna seguire il principio base della lotta giapponese, stare ai gusti della gente, accettare il fatto che la gente non legge più abbastanza poesia, letteratura, filosofia, che non è mai inginocchiata davanti alla cultura e sfruttare la forza dell'interlocutore. Questo bisogna cercare di fare, non è facile, però (per questo volevo che Laterza parlasse prima di me) ci stiamo provando e credo che il Parlamento e anche i singoli parlamentari potrebbero darci un aiuto straordinario.
  Quando faccio qualcosa a Pistoia non manco mai di avvertire il mio vecchio amico Chiti, che è un mostro sacro a Pistoia, anche se non ha più tanta voglia di fare il mostro sacro, perché venga anche lui e la gente lo veda, perché è importante ricoinvolgere la politica nella società civile, altrimenti il problema che lamentate anche voi, lo scollamento fra la classe politica e la società civile, sarà sempre più forte e più pesante.
  Ho chiacchierato troppo e termino illustrandovi cosa vi ho portato da leggere e che, se eventualmente non leggerete, amici come prima. Vi ho portato innanzitutto una serie di riflessioni su temi come la Big History di Bill Gates, come il rapporto tra l'impero come idea, gli imperi e la governancePag. 11 attuale, una divertentissima polemica fra White e Ginzburg, che parte dal tema della Shoah, ma poi arriva a quello che per noi storici è la sostanza, il rapporto tra il fatto e l'evento, quindi coinvolge un problema non solo di didattica della storia, ma di didattica tout court.
  Ho aggiunto un grido di dolore per il bellissimo museo di via Merulana, il Museo Orientale, che tutti definiscono un po'sprezzantemente «la vecchia collezione Tucci», sottintendendo che questo è un ragazzaccio che ha anche firmato il Manifesto della razza. Tucci era per certi versi una persona poco raccomandabile, e non perché avesse firmato il Manifesto della razza o per altre cose, ma era anche uno straordinario scienziato, e quello è un museo bellissimo, a due passi dalla stazione Termini, quindi tutte le volte che vedo arrivare i cinesi o i giapponesi in frotta mi piange il cuore a sapere che con un quarto d'ora si potrebbero dirottare verso una cosa che fra l'altro li riguarda, perché è un museo orientale.
  Ora rischia di andare all'EUR, andateci anche voi all'EUR, andate a vedere i pullman dei turisti che arrivano davanti al Museo della Civiltà Romana e cominciano a restare perplessi perché c'è l'erbaccia alta così sui gradini, poi si chiedono come possa essere chiusa una cosa di questo genere di cui hanno sentito parlare nelle guide di Kyoto o di San Francisco.
  Ultima cosa: io non amo molto Marchese, lo confesso, non sono quasi mai d'accordo con lui, ma ho riesumato dal mio archivio un vecchio articolo del luglio 2017 di Curzio Maltese, in cui dice delle cose che disapprovo, ma anche delle cose interessanti. Tralasciando le cose che disapproviamo, su certe cose interessanti vi inviterei a riflettere, perché bisogna sempre rimettersi in discussione.
  Grazie e scusatemi se sono stato troppo lungo.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Cardini. Naturalmente non mi sono soffermata a presentarvi i nostri relatori perché non ce n'era bisogno e anche perché si sono presentati direttamente con le cose che ci hanno detto. Noi purtroppo abbiamo pochissimo tempo. Ho una richiesta di intervento dell'onorevole Ghizzoni, prego.

  MANUELA GHIZZONI. Grazie, presidente, peraltro mi dispiace che il dottor Laterza se ne debba andare, ma leggerà poi i nostri interventi. Mi scuso anticipatamente ma non potrò sentire le vostre repliche, perché sta per iniziare una conferenza stampa convocata dall'Associazione dottorandi e dottorati di ricerca.
  La mia domanda è semplicissima, anche se avrei voluto avere più tempo per riflettere su ciascuna delle buone prassi che ci è stata indicata, non ultima quella del premio alla lettura del professor Asor Rosa, perché mi metto nei panni del decisore e noi abbiamo bisogno di diffondere la lettura, di diffondere l'acquisto dei libri oppure che si rechino in biblioteca, il premio al lettore che è già forte attiva un circolo forse non totalmente virtuoso, perché io ho bisogno di raggiungere coloro i quali in libreria e in biblioteca non ci mettono mai piede.
  Certo, la lettura del quotidiano può avvicinare, ma noi abbiamo bisogno di trovare misure che siano premiali per coloro i quali in questi spazi non ci vanno mai, quindi sarebbe bellissimo poter approfondire, ma le do questo spunto, e magari nella replica potrà amplificare meglio il suo pensiero.
  Vengo a un altro tema che avete toccato e parto di nuovo dal professor Asor Rosa. Anch'io come lei ero titubante su questo «spacchettamento» della Fiera del libro, poi all'analisi del programma ho ritenuto come lei che questi eventi seminino, peraltro il contenuto del programma di Milano era fortemente innovativo e quindi interessante.
  Rispetto ai grandi eventi, tema su cui nel nostro Paese abbiamo già fatto polemica dalle grandi mostre ai grandi festival (lo dico da promotrice del Festival Filosofia, esperienza di cui sono stata parte in causa come amministratore), qual è la vostra opinione? Ho visto le folle che ascoltavano Bauman, sono anche convinta che il 70 per cento di coloro che stavano nella piazza in quel momento non avrà compreso esattamente il significato, ma ha partecipato Pag. 12 non a un evento, ma a un movimento, a un sentimento di attenzione verso un maestro.
  Penso che queste siano esperienze troppo episodiche, però vi posso dire dal territorio che nella creazione di questi eventi che hanno un esito finale nel consumo di cultura c'è anche tanta produzione culturale, perché le tre città coinvolte per tutto l'anno producono, inventano, pensano e riflettono sul tema dell'edizione successiva. Questo è importante, perché tutti gli istituti culturali (e spero che possiamo inserirli nelle buone prassi) lavorano con la comunità, perché non c'è dubbio che siano presidio di agio sociale.
  Con agio sociale intervengo contro il disagio, perché i servizi sociali hanno un gran lavoro da fare, ma, se le istituzioni culturali lavorano meglio e di più, preveniamo, e non è una banalità perché l'ho visto nella pratica amministrativa di una città di media grandezza. Volevo conoscere la vostra opinione, che leggerò nei resoconti perché purtroppo devo raggiungere la sala stampa. Grazie delle vostre sollecitazioni.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ghizzoni. Prego, onorevole Adornato.

  FERDINANDO ADORNATO. Intanto volevo ringraziare i nostri ospiti soprattutto per quelle piccole cose inaudite (più o meno uso i termini di Alberto Asor Rosa) che ho avuto il piacere di ascoltare.
  Non ho seguito, signora presidente, la genesi di questa indagine conoscitiva, quindi le chiedo scusa se dirò cose fuori luogo o da lei già pensate, vorrei fare una proposta più che delle domande perché mi dichiaro soddisfatto dalle cose che ho ascoltato. Credo che non sarebbe male come cosa inaudita concludere questa indagine conoscitiva con un convegno interno alla Camera dei deputati, dove la Commissione cultura, auspicabilmente insieme, maggioranza e opposizione, presenti un documento con 10, 20 o 30 proposte di buona prassi culturale, da presentare alla presenza di Confindustria visto che si è parlato anche di imprenditori, al Governo nazionale e ai Governi del territorio, sollecitando le loro risposte su questa proposta.
  Dovrebbe avvenire intorno a febbraio, quindi fare in tempo per chiudere la legislatura con un'iniziativa del genere che potrebbe essere una testimonianza importante del lavoro di una legislatura della Commissione cultura. Pur avendo raggiunto uno stato di pessimismo accentuato (non dico cosmico per non meritare paragoni), pur pensando che nulla serva a nulla ormai, credo però che questo potrebbe essere un modo per stimolare risposte sulle buone pratiche culturali alle proposte che abbiamo ascoltato oggi, a quelle che possono fare tutti i commissari, alle quali se ne possono aggiungere delle altre.
  Mi sono sempre domandato perché in un popolo di poeti non ci sia nessun festival di poesia, esiste il festival della canzone, ma tutti sappiamo che non c'è italiano che non abbia una poesia nel cassetto, vediamo quanta gente partecipa a concorsi anche non eccellenti di riviste varie. Ho fatto solo un piccolo esempio, si possono fare molte proposte di buona prassi culturale, ma credo che sarebbe un buon modo di concludere la legislatura per la Commissione cultura, invitando tutti i nostri auditi si potrebbe realizzare un evento significativo.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Adornato, credo possa essere veramente una buona proposta su cui lavorare. Prego, onorevole Gallo.

  LUIGI GALLO. Grazie, presidente, ringrazio i professori Asor Rosa, Cardini e Laterza. Con Laterza ho notato affinità rispetto a temi trattati dalla Commissione in altri ambiti e vorrei riproporre alcuni concetti.
  Laterza, citando gli esempi dei gruppi di lettura e delle lezioni di storia, ha riportato il concetto di fare rete tra soggetti, spazi e luoghi differenti, cosa che anche in alcune proposte il Movimento 5 Stelle ha sottoposto in ambito educativo, parlando di educazione o cultura diffusa, cioè della possibilità di mettere in rete spazi e luoghi che a volte sembrano suddivisi in compartimenti stagni. Pag. 13
  Sul tema della lettura come già affrontato nella nuova proposta di legge abbiamo sostenuto da sempre che la lettura non è solo la lettura del prodotto cartaceo e del prodotto libro, come dicono anche altri professori universitari intervenuti in tanti dibattiti in cui si dice che non si legge più, non si parla più, non si scrive bene, senza poi mettere il focus e l'attenzione sulle forme di scrittura e di lettura che cambiano, anche sulle modalità che cambiano.
  Credo quindi che dobbiamo fare una grossa operazione di ascolto rispetto a tutte le dinamiche e una vasta iniziativa di rete rispetto a tutte le modalità in cui vengono vissuti tutti gli aspetti della cultura. Su questo in che modo possono entrare più in rete (forse potrà rispondere il professor Cardini che ha già accennato a proprie esperienze personali) il mondo della scuola e il mondo dell'università, che a mio avviso sono ancora mondi che non comunicano adeguatamente, non hanno ancora avviato una relazione proficua di scambio reciproco? La società, il Paese ne ha bisogno, così come ha bisogno di mettere in connessione questi mondi con il mondo della cultura e degli spazi culturali.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Gallo. Prego, onorevole Marzana.

  MARIA MARZANA. Ringrazio i professori per i loro contributi e in particolare mi soffermo sulle definizioni di cultura. Inizialmente il dottor Laterza, attraverso la sua tabella, ha parlato dell'importanza della correlazione tra istruzione e cultura, mentre il professor Cardini ha sottolineato come la cultura non sia istruzione, ma sia la capacità di mettersi in discussione.
  Ritengo che queste due componenti dipendano moltissimo dall'educazione, perché stiamo parlando di capacità critica e autocritica, così come anche l'auspicio del professore Asor Rosa di introdurre la lettura del giornale in classe era inteso come una lettura critica, comparata, non una semplice lettura per accrescere il bagaglio informativo, ma per educare alla curiosità, alla capacità critica, che è la base della crescita culturale e del desiderio di leggere durante tutto il corso della propria vita.
  Visto che sono state citate tante ottime pratiche dal punto di vista normativo e che la finalità è quella di metterle a sistema e favorirne il più possibile la diffusione, evitando una sensibilizzazione a macchia di leopardo, siamo tutti tutti concordi sulla finalità, ma dal punto di vista normativo come possiamo intervenire per la promozione della lettura e dell'attività culturale in generale? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Marzana. L'ultimo intervento è quello dell'onorevole Ascani.

  ANNA ASCANI. Naturalmente, anch'io aggiungo i miei ringraziamenti a quelli dei colleghi per il tempo che oggi i tre professori ci hanno dedicato, ma mi permetto non di dissentire, perché mi sembra troppo, ma di mettere in discussione l'idea che sia l'offerta a fare la domanda quando si tratta di cultura, e provo a spiegare perché dal mio punto di vista abbiamo un problema diverso di incentivo alla domanda.
  Credo che in questi anni si sia verificata una parcellizzazione e moltiplicazione di eventi piccoli, di piccolissime realtà culturali, che hanno giustamente chiesto e talvolta preteso il sostegno pubblico, e questo abbia causato quello che provocatoriamente qualcuno ha chiamato «l'infarto culturale» o comunque il rischio che la cultura, sostenendoli con fondi pubblici, debba svilirsi di fronte al fatto che si sostiene così e non con la domanda di cultura.
  Lo sforzo della politica deve essere rivolto non solo a finanziare l'offerta di cultura, dando una mano alle realtà esistenti che vanno sostenute, ma anche a preoccuparsi di come sostenere la domanda. Noi abbiamo provato a farlo in maniera limitata, molto criticata, molto contestata e sicuramente parziale con lo strumento che abbiamo chiamato bonus (sicuramente non è un bel nome), cercando di dare ai ragazzi come ai docenti un incentivo a consumare cultura, e alcuni risultati ci sono (ne parlavamo ieri con la presidente della Commissione).
  Forse anche questo può aiutare a rimettere in moto rispetto alla marginalità soprattutto Pag. 14 della lettura perché, se gran parte del bonus dei diciottenni è stato speso in libri, forse dobbiamo farci delle domande, forse questa cosa, che magari piace poco a chi teorizza cultura, nella pratica funziona, quindi la politica deve porsi anche questo problema.
  Altra cosa: sono umbra, quindi apprezzo molto le manifestazioni di Gubbio, di Assisi sul Medioevo, Bauman parla di retromania nell'ultimo libro che è uscito postumo.
  Sicuramente noi abbiamo un tema molto importante rispetto alla valorizzazione della nostra storia e a come i ragazzi la vivono anche grazie a queste serie tv che gliela fanno conoscere in modo così contemporaneo, però abbiamo un problema ulteriore nella valorizzazione del contemporaneo vero, in quanto, preoccupandoci molto di tutela e di valorizzazione di un patrimonio immenso, che quindi richiede risorse e fondi che non bastano mai (ne abbiamo messi pochi e non bastano mai), abbiamo però lasciato da parte il contemporaneo, la creatività, cioè chi oggi fa cultura, è giovane e magari spende talenti e tempo su questo.
  Oggi verrà discussa in Assemblea una legge sulle imprese culturali e creative, che credo sia un primo piccolo passo parziale nella direzione che dicevamo, perché per creare consumo culturale bisogna anche che viva la cultura contemporanea, quindi da questo credo che possa venire una sollecitazione in più rispetto al mondo dell'offerta, che non è soltanto quella che storicamente conosciamo.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ascani. Ho già capito di aver sbagliato i tempi, quindi nelle prossime audizioni dell'indagine conoscitiva sulla cultura dovremo mettere in preventivo una maggiore disponibilità di tempo perché c'è una partecipazione che chiede anche questo.
  Chiedo al professor Asor Rosa e al professor Cardini se in cinque minuti ciascuno possano replicare, sul professor Asor Rosa non ho dubbi che riuscirà a farlo, sul professor Cardini abbiamo capito che forse...

  ALBERTO ASOR ROSA. Naturalmente, non c'è neanche bisogno di dire che, ascoltandoci a vicenda e soffermandosi su ciascuno degli interventi, il tema ha continuato ad allargarsi, immensamente, sicché la proposta di Adornato di fare su queste tematiche un convegno prima della fine della legislatura mi sembra quanto mai positiva.
  L'onorevole Ghizzoni ha chiesto un'opinione sulle molte iniziative di promozione culturale promosse da enti locali e associazioni, la mia opinione è ovviamente che siano molto positive, con il rischio che la loro moltiplicazione eccessiva provochi una specie di attenuazione della carica che ognuna di esse può provocare. Questo significa a mio giudizio che nell'elenco delle molte iniziative positive fatte ad esempio da Giuseppe Laterza prevale il criterio della spontaneità, sono le singole comunità generalmente periferiche a promuovere qualcosa di utile in questo senso.
  Mi ero attenuto a un criterio di ordine generale, cioè che cosa fanno il Governo del Paese, i suoi organi di rappresentanza, in questo senso, può fare qualcosa o si affida unicamente alle iniziative dei singoli editori, comunità, associazioni? Credo che questo sia il problema di fondo di cui una Commissione parlamentare e un Parlamento dovrebbero occuparsi.
  Per evitare di complicare troppo le cose, non ho introdotto nel mio intervento un tema di cui invece Cardini ha parlato diffusamente, cioè l'università. Non c'è dubbio che, se si affronta il tema della elaborazione e della diffusione della cultura, l'università dovrebbe rientrarci, e, siccome io penso che la situazione universitaria italiana sia catastrofica (non grave, ma catastrofica), si aprirebbe un altro fronte fondamentale di dibattito. Se decidiamo di farcela rientrare, bisogna attrezzarsi per farlo.
  Condivido le cose dette dall'onorevole Ascani, mi pare che siano molto corrette, anch'io penso che nell'equilibrio tra offerta e domanda dare troppo spazio all'offerta sia estremamente rischioso.
  Ultima cosa dell'onorevole Gallo: certo, anch'io sono d'accordo, nonostante i miei limiti informatici, sul fatto che la rete possa adempiere ad una grande funzione in questo Pag. 15 senso, ma anche in questo caso le risultanze finora non sono tranquillizzanti, per esempio gli ebook, che dovrebbero essere uno strumento fondamentale di diffusione della lettura con i nuovi mezzi di trasmissione, non crescono per niente, sono ancorati a percentuali minimali, il che significa che esiste anche un problema specifico di quel tipo dentro il grande problema generale della diffusione della lettura e della cultura italiana.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Prego, professor Cardini.

  FRANCO CARDINI. Innanzitutto un chiarimento: quando parlavo del rapporto tra offerta e domanda e della rivoluzione moderna che ha imposto il primato dell'offerta bisogna sottintendere che questa offerta è servita proprio a incentivare la domanda, tanto che siamo diventati tutti (non solo noi occidentali) dei consumisti.
  Il problema sarebbe incentivare un consumo di cultura, e qui sono perfettamente d'accordo con il professore Asor Rosa, anch'io ho i miei dubbi e le mie paure per quanto riguarda tipi di lettura informatico-telematici. Non ce l'ho con Twitter perché non è su carta, ce l'ho con Twitter perché chi lo usa spesso lo usa male, a sproposito, talvolta anche in malafede, ma soprattutto il problema è che manca di metodo, così come quando i ragazzi presentano (e lo fanno anche all'università) delle ricerche fondate su Wikipedia, che per carità va benissimo, anche il vecchio Bignami serviva alla stessa maniera, perché chi sa le cose e ha metodo da Twitter ricava il meglio, è chi non sa nulla che assume gli errori, assume il peggio. Questo succedeva tempo addietro anche con il Bignami, perché, se uno aveva studiato durante l'anno, la lettura del Bignami il giorno prima dell'esame era una benedizione, se non aveva fatto nulla, aumentava solo la frittata!
  Ho sentito molte cose interessanti, sono d'accordo con l'onorevole Ghizzoni, penso che i grandi eventi vadano veramente incentivati e, se un grande evento poi va male, è il pubblico stesso che lo abbandona, le distorsioni culturali tutto sommato non esistono, perché quando si incentiva quello che – forse troppo schematicamente – ho chiamato «il rimettersi in discussione», le cose vanno sempre bene.
  Mi interessava il problema sollevato dall'onorevole Marzana sul rapporto fra mondo della scuola e mondo dell'università. Qui il mio coté autoritario, che è fortissimo, mi farebbe quasi scappare cose che ormai sono ereticali, come l'idea che bisognerebbe obbligare i professori universitari a occuparsi di più della scuola, perché c'è un problema fondamentale che è l'aggiornamento. L'aggiornamento è legato all'investire sulla scuola, noi siamo un fanalino di coda in Europa (non conosco la situazione africana o americo-latina, quella asiatica un po'di più e devo dire che si difendono meglio) per quanto riguarda l'aggiornamento.
  Nessuno di noi manderebbe il figlio da un dentista che usasse ancora il trapano a pedale, però lo mandiamo tranquillamente a studiare la storia con un professore o una professoressa che, non per colpa loro, hanno imparato trent'anni fa cose che al tempo erano l'ultimo grido della moda e continuano a riferirle e rielaborarle oggi, e questo è impossibile. Bisogna rompere il diaframma fra l'università e la scuola media almeno superiore, obbligando gli universitari, perché loro sono pagati più dei colleghi che fanno solo insegnamento appunto perché devono fare la ricerca, ma la ricerca è un bene sociale, non è un accrescimento e un vantaggio soltanto per chi la fa, e i risultati della ricerca vanno socializzati, altrimenti il docente universitario che non fa questo truffa il popolo italiano.
  I canali opportuni sono quelli della scuola, quindi lo studio delle possibilità di integrare meglio l'insegnamento e la conoscenza universitaria con quella media superiore sarebbe importantissimo. Fra l'altro, l'università forse va male anche perché gran parte dei professori queste cose o non le vuol fare o pensa che siano inutili o si rifiuta di prenderle in considerazione.
  Ultima cosa a proposito di Bauman e della retromania (anch'io ho letto e apprezzato molto Bauman): ho apprezzato molto il libro di Bauman, ma, attenzione, ci sono Pag. 16due modi di essere retromani, c'è la retromania come fuga dal presente, che può essere anche divertente, ma ogni bel gioco dura poco, e la retromania che serve per il ritorno al presente, quella che nello studio classico della storia si diceva «studiare il passato in funzione del presente e nella prospettiva del futuro».
  Questo va spiegato non solo nelle scuole, ma anche ai ragazzi travestiti da cavalieri o dame che vanno in giro per la città di Gubbio, perché evidentemente, se fanno così, non sono contenti del loro tempo e ne vogliono uscire, però si esce soltanto migliorandolo, quindi essendo più presenti possibili al presente. Questo è piuttosto difficile da farsi, da insegnarsi e anche da imparare, ma rompere quel diaframma potrebbe essere l'uovo di Colombo del rimettere in circolazione vera cultura.
  Quando vado in Iran (ci vado abbastanza spesso), trovo le code di giovani (certo l'Iran è un Paese giovane) che vanno quotidianamente a venerare il poeta nazionale Hafez, e non ce li manda il regime, quando vado a Ravenna tutto questo non succede. Mi chiedo perché, uno mi ha risposto che questo avviene perché in Iran non hanno altre possibilità per esprimersi, perché il regime è oppressivo. Forse è una risposta necessaria, però non è una risposta sufficiente, vorrei colmare il vuoto per capire bene la lacuna di questa risposta.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Cardini, siamo riusciti a mantenere i tempi. Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.45.