XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 25 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO, AL COMITATO DELLE REGIONI E ALLA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI – UN PIANO DI INVESTIMENTI PER L'EUROPA (COM(2014) 903 FINAL) E DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AL FONDO EUROPEO PER GLI INVESTIMENTI STRATEGICI E CHE MODIFICA I REGOLAMENTI (UE) NN. 1291/2013 E 1316/2013 (COM(2015) 10 FINAL), CORREDATA DEL RELATIVO ALLEGATO (COM(2015) 10 FINAL – ANNEX 1)

Audizione di rappresentanti di ANIA, ABI e Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza (FEBAF).
Boccia Francesco , Presidente ... 2 
Abete Luigi , presidente della FEBAF ... 2 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 6 
Focarelli Dario , direttore generale dell'ANIA ... 8 
Boccia Francesco , Presidente ... 9 
Abete Luigi , presidente della FEBAF ... 9 
Boccia Francesco , Presidente ... 9 
Abete Luigi , presidente della FEBAF ... 10 
Boccia Francesco , Presidente ... 10 
Focarelli Dario , direttore generale dell'ANIA ... 10 
Abete Luigi , presidente della FEBAF ... 10 
Garonna Paolo , segretario generale della FEBAF ... 10 
Abete Luigi , presidente della FEBAF ... 10 
Boccia Francesco , Presidente ... 10 
Currò Tommaso (Misto)  ... 10 
Abete Luigi , presidente della FEBAF ... 11 
Focarelli Dario , direttore generale dell'ANIA ... 12 
Abete Luigi , presidente della FEBAF ... 12 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 12 
Boccia Francesco , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 14.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di ANIA, ABI e Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza (FEBAF).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Un piano di investimenti per l'Europa (COM(2014) 903 final) e della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015) 10 final), corredata del relativo allegato (COM(2015) 10 finalAnnex 1), l'audizione di rappresentanti di ANIA, ABI e Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza (FEBAF).
  Ringrazio il direttore generale Dario Focarelli per ANIA e la delegazione di ANIA, il direttore generale di ABI Giovanni Sabatini e l'intera delegazione di ABI e Luigi Abete, presidente della federazione FEBAF con la delegazione di FEBAF.
  Do ora la parola al presidente Abete.

  LUIGI ABETE, presidente della FEBAF. Buongiorno a tutti e grazie di averci invitato.
  Quando siamo stati invitati, non per disattenzione, ma per rispetto nei vostri confronti, mi ero chiesto perché venire, visto che c'erano sia ABI sia ANIA, essendo la FEBAF la federazione che le unisce, assieme ad altre associazioni del settore. Stiamo cercando di razionalizzarci, ma questo non è ancora percepito da un punto di vista pubblico in modo complessivo. Poi, sia per l'insistenza cortese del presidente Boccia sia perché abbiamo concordato con i colleghi Sabatini e Focarelli di presentare un documento unico, che abbiamo presentato e che raccoglie le osservazioni che ciascuno aveva preparato per suo conto, abbiamo deciso di rappresentare unitariamente la nostra posizione. Spenderò, quindi, qualche parola sul Piano Juncker, poi Sabatini e Focarelli esprimeranno alcune riflessioni puntuali per gli effetti e gli interessi dei due settori specifici delle banche e delle assicurazioni.
  FEBAF è nata alcuni anni fa proprio perché banche, assicurazioni e tutte le altre associazioni dalla finanza – a noi aderiscono Assogestioni, i fondi di private equity, Assoimmobiliare e tutte le altre organizzazioni del settore – volevano avere una voce unitaria sul tema della politica economica. Storicamente, lo dico io che decenni orsono ho rappresentato Confindustria, la politica economica è oggetto di interlocuzione con le istituzioni, quindi anche col Parlamento e le Commissioni, in modo prevalente da parte di Pag. 3alcune associazioni e non di altre, che invece si concentrano più puntualmente sulle tematiche di propria competenza. Noi riteniamo che le tematiche di interesse generale siano di competenza di tutti e per questo è nata FEBAF.
  Fatta questa premessa, introduco quindi una posizione non unitaria, ma unica – unitario è già un termine del sindacalese, quindi preferirei usare l'altro, più chiaro – che sostanzialmente è la seguente: abbiamo visto con molta attenzione e molto favore il Piano Juncker per un insieme di motivi.
  Uno è quello economico, perché evidentemente la perdita che c’è stata, non solo in Italia ma anche in Europa, del tasso di investimento negli ultimi anni è stata molto rilevante. Negli ultimi sette anni, dal 2007 al 2014, gli investimenti dell'Unione europea sono scesi di circa il 15 per cento, quindi di 400 miliardi di euro. Certamente in Italia questo tasso di riduzione è stato ancora più grave, il 25 per cento, e conseguentemente la percentuale di investimenti in termini di rapporto al PIL arriva oggi appena al 17 per cento, 5 punti in meno della media del periodo antecedente alla crisi.
  È evidente, quindi, che abbiamo giudicato la decisione della Commissione di presentare un piano per promuovere gli investimenti molto opportuna. Ovviamente, viene incontro anche alle aspettative e alle istanze del Paese in senso più lato, come sono state espresse anche dal Governo durante il periodo di responsabilità nel secondo semestre del 2014. Certamente, è un'opportunità che ci consente, se ben utilizzata, di ottenere un tasso di crescita rilevante nel rapporto tra l'Europa e i singoli Stati e tra l'Europa e i cittadini europei.
  Finora avevamo nella cultura europea due espressioni: riforme strutturali e controllo fiscale del bilancio. Oggi se ne sono aggiunte altre due: investimenti e quantitative easing. Da un punto di vista complessivo, i pilastri passano da due a quattro e il terzo e il quarto possono concorrere, ovviamente, anche a dare una diversa interpretazione del primo e del secondo, che riteniamo dover rimanere essenziali – sia ben chiaro – ma che devono essere accompagnati da interventi di altra natura.
  Come tale, direi che oggi il tema è politicamente sdoganato. Adesso la vera riflessione che si sta facendo in sede europea e anche all'interno dei Parlamenti dei singoli Paesi, e quindi del nostro, per cui l'occasione di quest'audizione è molto utile per noi, è quello di evitare che l'occasione sia sprecata, cioè che le tecnicalità con le quali il Piano viene interpretato e applicato siano coerenti con l'obiettivo che si dichiara di voler perseguire.
  Avendo avuto, nelle ultime settimane, occasioni di incontro in Europa per la mia funzione di presidente della federazione FEBAF, mi sembra di capire che la preoccupazione che il Piano potesse rappresentare la foglia di fico di un'esigenza non perseguìta, è comunque superato. La Commissione è coinvolta a pieno titolo, il presidente Juncker certamente, ma anche vicepresidenti che nell'immaginario collettivo hanno un'immagine molto legata al controllo fiscale e alle politiche di rigore. Katainen, ad esempio, oggi è fortemente concentrato, per quella che è la nostra percezione, su questi temi. Il punto è che rimangono l'interpretazione da parte della burocrazia delle condizioni e gli equilibri per far sì che tutti i Paesi possano farne uso.
  La seconda percezione che vi manifesto, che come tale ovviamente è soggettiva, è che paradossalmente anche la Germania, strutturalmente più prudente su queste tematiche, oggi si rende conto che, avendo anch'essa bisogno di un livello aggiuntivo di investimenti, si deve trovare un percorso perché gli investimenti, pur nel controllo dei conti e nell'attenzione prioritaria alle riforme, abbiano una dignità e una significatività.
  Il tema tecnico diventa, quindi, un tema politico, nel senso che la politica secondo me ha sdoganato il tema. Se la tecnica non riesce a sdoganarlo, di fatto blocca l'operazione politica. Questa mi sembra la preoccupazione, e quindi volevo innanzitutto rappresentarvela. Bisogna che di Pag. 4questo tutte le nostre strutture deputate e coinvolte a vario titolo, anche all'interno della struttura di Bruxelles, abbiano piena consapevolezza. Evidentemente, il fatto di avere cappelli diversi non toglie l'obbligo di pensare europeo e italiano.
  Entriamo nel merito. Il nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) diventa oggetto della proposta di regolamento, identificando le modalità con le quali questi finanziamenti devono arrivare, quindi project financing e comunque partnership pubbliche e private, oltre al criterio dell'addizionalità, che è importante, perché è evidente che deve passare ed essere chiaro che il livello di investimenti che entrano nell'operabilità del Piano, al di là del merito degli stessi, che va valutato per ciascuno, deve costituire un valore aggiuntivo.
  Se gli investimenti fossero finanziabili dal mercato senza un intervento promozionale da parte dell'istituzione, non ci sarebbe bisogno che nessuno di noi si applichi. È evidente che il contributo di garanzia o di investimento da parte dell'istituzione pubblica deve consentire, a investimenti che da soli non l'avrebbero ottenuta, di ottenere la finanziabilità dal mercato.
  L'elemento dell'addizionalità deve essere, quindi, fortemente sottolineato, altrimenti corriamo il rischio che, per stare tutti tranquilli, quelli che gestiscono operativamente queste strutture pensano che bisogna immaginare l'investimento tipo finanziabile dal mercato, indipendentemente dall'intervento del Piano. In quel caso, viene a essere annullata la funzionalità additiva del Piano.
  Ricapitolando, abbiamo la partnership pubblico-privato e l'addizionalità come elemento di assunzione di un profilo di rischio più elevato, che diventa accettabile in relazione al contributo pubblico, in termini sia finanziari, sia di garanzia, sia con gli altri strumenti che possono essere individuati e su cui spenderemo qualche parola. Gli strumenti che, infatti, possono essere individuati per rendere finanziabile un progetto, e quindi aumentare l'investimento privato su progetti di interesse collettivo, evidentemente attengono, da un lato, al rischio economico e di garanzia e, dall'altro, alle politiche fiscali, che nei singoli Paesi possono essere attuate per incentivare il capitale privato a rivolgersi a investimenti di tipo collettivo e non soltanto privato o a rendimento «sicuro».
  Dicevo, quindi, che, accanto a questi due temi, c’è il terzo tema dell'apertura alle cosiddette piattaforme nazionali, ossia individuare la possibilità che, accanto a investimenti di particolare rilievo, che quindi possono assumere una dimensione a livello europeo, ce ne siano altri che possono entrare nella procedura avendo una rilevanza quantitativamente meno significativa, ma qualitativamente significativa. Facendo parte, infatti, di quelle piattaforme nazionali che sono considerate prioritarie dai singoli Paesi, diventano anch'essi consistenti.
  I temi sono, quindi: la partnership pubblico-privato, l'addizionalità, e l'utilizzo flessibile e gli incentivi connessi alle cosiddette piattaforme nazionali. Questi sono i tre temi ai quali a mio avviso bisogna dedicare attenzione.
  Per quello che riguarda le garanzie pubbliche, sappiamo che il Piano prevede certe percentuali e pensiamo che questo sia un elemento importante. Si prevede anche una certa destinazione di queste risorse. Una parte di queste, infatti, devono essere orientate a investimenti delle piccole imprese, che si fanno soltanto in un modo, ossia aumentando le garanzie pubbliche sui finanziamenti alle piccole imprese stesse. Bisogna trovare la modalità per implementare i sistemi di garanzia per le piccole imprese.
  Peraltro, anche fuori dal discorso del Piano, questo è un tema che personalmente considero strategico. Vengo dall'esperienza di piccola e media impresa e penso che debba essere una priorità assoluta quella di pensare al fatto che il sistema della piccola impresa non può trovare forme di finanziabilità adeguate in assenza di innovazione sui sistemi di garanzia, anche consortili, quindi anche a carico delle imprese, non necessariamente del soggetto pubblico.Pag. 5
  Se non sarà così, paradossalmente la crescita partirà, come farà, e come sta facendo a mio avviso più di quanto non sia quantificato nelle statistiche pubbliche, ma le piccole imprese non saranno toccate da questo fenomeno. La crisi e le difficoltà delle piccole imprese non nascono, infatti, dalla recessione, ma dalla globalizzazione. La recessione è stato l'epifenomeno che ha fatto emergere il delta competitivo che le piccole imprese, che avevano una loro capacità competitiva in mercati definiti, si sono trovate ad affrontare quando i mercati sono diventati globali.
  Nel primo periodo questo non si è evidenziato perché tutti crescevano; nel secondo è arrivata la recessione e questo tema si evidenziato. Adesso si dice che riprenderà la crescita e che, quindi, dovremmo tornare alla prima fase, ma per la piccola impresa in questo contesto si è creata una tale separazione rispetto agli altri che, se non supportata a livello collettivo, consortile, di garanzie, avrà strutturali difficoltà a rientrare nel ciclo della crescita.
  La conseguenza sarà una crescita molto più a macchia di leopardo che nel passato, molto più con zone d'ombra e zone forti, che non penso sia nel nostro interesse. A noi interessa, infatti, la percentuale finale, anche dello 0,5 per il 2015, com’è oggi quantificata. Penso, però, che saremo più vicini all'1 che allo 0,5. Tutti lo pensano, ma nessuno lo dice, perché tutti pensano che in questo momento non porti bene, visto che negli ultimi anni queste previsioni sono state tutte bypassate dai fatti. Penso, però, che dobbiamo anche dare un minimo di fiducia razionale e oggi ci sono le condizioni per farlo. Come il pollo di Trilussa, però, quello 0,8-0,9 non si distribuirà su tutti. Ci saranno differenze tra aree, territori, dimensioni e tipologie di impresa.
  Dovremo trovare il modo, nell'ambito dei 75 miliardi di euro previsti nel Piano Juncker, per favorire gli investimenti del sistema delle piccole imprese e per individuare modalità di supporto e di garanzia additive rispetto a quelle del Fondo centrale di garanzia. Se diventeranno sostitutive infatti, saranno inutili. Il Fondo funziona e bene, ma ha una dimensione quantitativa non rapportata al problema che deve affrontare, un rapporto da 1 a 7, da 1 a 8, se pensiamo ai finanziamenti che possono essere garantiti oggi dal Fondo centrale di garanzia rispetto a quelli utilizzati dal sistema delle piccole imprese. Su questo tema, quindi, bisogna sicuramente creare forte attenzione.
  Relativamente al finanziamento delle infrastrutture e al coinvolgimento dei grandi investitori istituzionali, c’è il ruolo della BEI, che ovviamente è il perno su cui si costruisce questo discorso. Penso, però, che la BEI abbia un ruolo fondante, ma che non possa averne uno esclusivo.
  Diversamente, corriamo un rischio in merito alle politiche di decisione degli investimenti. Conoscete il meccanismo, steering committee, advisory committee e organo deliberante: se a deliberare è solo l'organo della BEI, in cui ci sono i 28 Paesi e si cominciano a fare discorsi di percentuali, allora la possibilità di spingere sui progetti migliori, che fanno rete, e sui Paesi dove servono di più, viene a essere fortemente ridotta. Il ruolo della BEI, quindi, è importante, ma non può essere esclusivo.
  Allo stesso modo, è molto importante il ruolo dell’advisory, perché chi seleziona deve ricordarsi dei principi di addizionalità. Mi sembra che una delle riflessioni in corso sia sulla realizzazione di advisory board a livello delle piattaforme nazionali, come mi sembra molto utile, perché collega la struttura a tutti i livelli.
  La terza considerazione rilevante riguarda i tempi della validazione degli investimenti. Questa procedura già è articolata, è chiaro quindi che avremo il prodotto solo se i tempi sono ristretti. Se i tempi di ognuno di questi elementi sarà non parallelo, ma successivo, nel frattempo avremo avuto la crescita indipendentemente dal Piano Juncker, se l'avremo avuta, ma allora evidentemente avremo perso comunque un'occasione per implementarla.
  I temi sono, quindi, il funzionamento dell’advisory a livello sia europeo sia, eventualmente, Pag. 6a livello delle piattaforme nazionali; i tempi; il ruolo centrale ma non esclusivo della BEI nel deliberare; la possibilità, già prevista nel piano 2014-2020 per i fondi strutturali, quindi esterna al Piano Juncker, ma che con questo può fare sinergia, di una maggiore flessibilità per i Paesi per l'utilizzo dei fondi stessi. Se questa flessibilità diventasse operativa rapidamente, avremmo un ulteriore strumento che concorre col Piano Juncker per ampliare il tasso di investimenti.
  C’è poi, ovviamente, e concludo, questa riflessione di carattere generale: la centralità dei settori prioritari di investimento a livello europeo. Questa deve essere un'occasione perché le reti europee facciano un passo in avanti, quelle dell'energia, quelle delle telecomunicazioni o l'agenda digitale, per citare tre temi che vanno di moda, quelle della banda larga e larghissima. Se non cogliamo quest'occasione per far fare un passo avanti non solo nella quantità del livello degli investimenti, ma anche nella qualità con cui le reti vengono portate in avanti, ovviamente perdiamo un'occasione unica.
  Penso che abbia fatto bene il Governo italiano, come hanno detto peraltro quasi tutti coloro che si sono già espressi, a coinvolgere la Cassa depositi e prestiti come soggetto di partecipazione, perché questo darà comunque un’expertise aggiuntiva. Piaccia o meno, infatti, al di là dei giudizi che si danno e che leggiamo sui giornali in relazione alle posizioni di interesse congiunturale, la Cassa depositi e prestiti ha comunque acquisito oggettive competenze negli ultimi anni su questi temi. Non valorizzarle sarebbe una dispersione.
  Lascerei a Sabatini e Focarelli qualche riflessione più puntuale e concluderei quest'introduzione ricordando quanto ho detto in premessa. Abbiamo Juncker, abbiamo la politica che si è convinta che bisogna sviluppare il terzo pilastro, abbiamo Draghi che ha istituito il quarto pilastro, abbiamo creato meccanismi che potrebbero funzionare se adeguatamente supportati, abbiamo le piattaforme nazionali, entro le quali possono essere inseriti gli investimenti strategici, anche se di dimensioni ridotte. Le politiche fiscali a livello nazionale per orientare il risparmio privato verso questi investimenti diventano importanti a loro volta, perché aggiungono anche questo valore.
  Non dimentichiamo, infatti, che il coefficiente di moltiplicazione da 1 a 15 ha bisogno dei valori fino al 14. È giusto, quindi, avere avviato l'uno, ma serve il restante 14. I tempi sono quelli che sono, l'investitore è molto prudente, e quindi bisogna dargli delle motivazioni razionali.
  Chiederei a Sabatini e Focarelli, a uno per l'ottica della banca, all'altro per quella delle assicurazioni, se intendano aggiungere qualcosa su questo tema in particolare o su altro che mi è sfuggito, spero poco, perché sarei un pessimo presidente. Dal momento che è una delle prime volte che ci presentiamo assieme, se mi consentite, facciamo anche un po’ di exercise.
  Dico al presidente Boccia, che prima di diventare rappresentante dei cittadini italiani, da ragazzo frequentava anche i sistemi associativi, che cercare di avere dei sistemi associativi che si integrano è un valore. Non possiamo gestire la complessità con sistemi associativi che non solo restano disarticolati, ma tendono anche a moltiplicarsi. Spero, quindi, che apprezzerete il nostro sforzo, anche sul piano simbolico, di venire a darvi una rappresentazione unica.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Ringrazio il presidente Boccia e i deputati per quest'opportunità.
  Ovviamente, il tema del rilancio degli investimenti assume una grande rilevanza anche per il settore bancario. Siamo molto favorevoli rispetto al Piano Juncker perché è la dimostrazione importante di un cambiamento di priorità nelle politiche comunitarie, che passa da una focalizzazione sui temi della stabilità alla focalizzazione sui temi della crescita. Come abbiamo avuto occasione di ribadire anche rispetto ai temi relativi all'unione bancaria, la stabilità è una condizione per la crescita, ma se nel medio termine non c’è crescita, viene compromessa anche la stabilità.Pag. 7
  Il rilancio degli investimenti è, quindi, fondamentale anche sotto il profilo delle dinamiche creditizie. Come purtroppo dimostrano anche le statistiche della Banca d'Italia, a oggi nel bank lending survey la domanda di credito vede ancora una quasi totale assenza di domanda di finanziamenti per investimenti ed è, invece, ancora guidata dalla domanda per ristrutturazione di precedenti posizioni debitorie o, al più, di finanziamento del circolante. L'iniziativa del Piano Juncker è, quindi, un'opportunità per l'Europa, ma è anche importante per l'Italia. Esiste ampia letteratura che dimostra come il rilancio degli investimenti pubblici funzioni anche da volano per quelli privati: da qui emerge anche l'interesse e il ruolo che il settore bancario possono giocare nell'attuazione del piano e, soprattutto, a vantaggio del sistema Italia.
  Dal nostro punto di vista, un primo tema più generale riguarda il finanziamento degli investimenti a lungo termine e anche il tema dell'incentivazione del risparmio a lungo termine. Uno degli effetti della crisi che abbiamo osservato è che è aumentata moltissimo la raccolta a vista delle banche, mentre gli strumenti di raccolta a medio termine, necessari per finanziare investimenti e opere a più lungo termine, è andata drammaticamente riducendosi.
  Sul tema più specifico del Piano Juncker, sono tre le aree, per integrare sinteticamente quanto già detto dal presidente Abete, sulle quali abbiamo sviluppato delle riflessioni. Il primo tema è quello della selezione degli investimenti, e quindi il tema già accennato della governance del FEIS e delle modalità con cui all'interno della governance si sviluppa il processo di selezione degli investimenti, affinché sia chiaro, trasparente e non determini terreni di gioco non adeguatamente livellati.
  È sicuramente importante, da questo punto di vista, il passo avanti compiuto con la comunicazione di gennaio della Commissione europea, che consente, a determinate condizioni, di non computare i contributi dei singoli Stati al finanziamento del Piano Juncker, ma il rischio è anche che questi contributi non tornino sotto forma di finanziamenti agli investimenti proposti dal singolo Paese. Diventa importante, quindi, la presenza nello steering board del Fondo di rappresentanti degli Stati, ancorché questa presenza sia determinata in proporzione all'ammontare dei contributi apportati da ogni Stato. Ricordo che allo steering board, com'era stato detto, compete anche il diritto di nominare il Comitato degli investimenti, che poi valuta i singoli progetti e sceglie quelli finanziati dal FEIS. Diventa fondamentale in questo processo il regolamento del Fondo.
  Al momento non è ancora sufficientemente chiaro quali siano i criteri di selezione dei progetti di investimento. A oggi, l'unica linea guida è che, sulla base del criterio di additività, l'intervento del Fondo riguarda iniziative con un livello di rischio tale che il mercato non finanzierebbe, ma è ancora un criterio molto generale. Questo è un primo tema molto rilevante.
  Un secondo tema, oltre quello della selezione degli investimenti, è anche come funzioneranno i meccanismi di cofinanziamento dei progetti affinché si possa effettivamente realizzare quel grado di leva che porterebbe le iniziali dotazioni apportate al FEIS al totale dei 315 miliardi di euro di risorse mobilitate.
  Al riguardo, la proposta di regolamento prevede un'ampia gamma di strumenti di intervento con cui la BEI può intervenire a supporto dei progetti, ma non è chiaro come poi questi strumenti interagiscano con la quota di finanziamento nazionale o dei privati. Com’è stato ricordato, il Governo italiano ha previsto che la Cassa depositi e prestiti possa utilizzare fino a 8 miliardi di euro per il cofinanziamento dei progetti di investimento. È importante che queste risorse siano addizionali, e quindi seguano anche modelli differenti da quelli finora già utilizzati.
  A questo proposito, vorrei ricordare che la collaborazione tra Cassa depositi e prestiti e banche, che si è concretizzata in una serie di accordi, dal plafond per il Pag. 8finanziamento delle piccole e medie imprese a quello per i beni strumentali – la cosiddetta nuova Sabatini – a quello per la piattaforma delle imprese, di fatto ha movimentato finora oltre 26 miliardi di euro, e quindi ha rappresentato in questa fase un importante contributo al superamento della crisi da parte del sistema delle piccole e medie imprese. È necessario che queste risorse vadano a finanziare ulteriori investimenti proprio seguendo quel principio di additività, e quindi vadano a finanziare quei progetti di investimento che hanno un livello di rischio superiore a quanto possa essere finanziato oggi.
  Questo è, dal nostro punto di vista, un tema particolarmente importante e che si ricollega anche, come ricordava sempre il presidente Abete, all'integrazione del meccanismo delle garanzie che possono essere offerte attraverso lo strumento europeo ai sistemi di garanzie nazionali. È importante garantire che i due strumenti operino attraverso un effetto moltiplicatore e non siano una semplice duplicazione di quanto già oggi abbiamo.
  Il Fondo centrale di garanzia è stato finora uno strumento eccellente per migliorare il merito di credito delle imprese, quindi per consentire alle imprese un accesso al credito anche durante la crisi. Con le imprese avevamo anche promosso un'iniziativa per arrivare a un sistema di garanzie, il Sistema nazionale di garanzia, che pure aveva trovato una cornice normativa nella legge di stabilità 2014, ma poi soffriva di una carenza di risorse. Speriamo che questa sia un'opportunità per potenziare questo sistema.
  L'ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi è il tema delle regole. Oggi viviamo nell'ambito di regole che, con l'unione bancaria, dovrebbero essere uniformi, almeno per quello che riguarda l'area dell'euro, ma osserviamo che questo sistema delle regole non favorisce l'erogazione del credito e, in particolare, del credito a medio e lungo termine. Anche sotto questo profilo, forse, il quadro delle regole fissate da CRD IV (Capital Requirements Regulation and Directive) e delle misure attuative dovrebbe lasciare maggiori spazi proprio nella logica di trovare un corretto bilanciamento tra stabilità e crescita. Questa è un'area su cui oggi abbiamo qualche perplessità alla luce dei recenti provvedimenti adottati dall'EBA (European Banking Authority) e per l'approccio dell'SSM (Single Supervisory Mechanism), su cui però abbiamo anche espresso il nostro parere in altre audizioni.
  Concluderei qui e, col permesso del presidente, lascerei la parola a Dario Focarelli.

  DARIO FOCARELLI, direttore generale dell'ANIA. Buongiorno. Rappresentando gli assicuratori europei, rappresento 8.500 miliardi di euro di investimenti e vi assicuro che in Europa le nostre compagnie guardano al Piano Juncker come a un'opportunità di investimento. Al tempo stesso, però, vi dico, e questo è un punto importante per la vostra riflessione, che la valutazione complessiva è che i progetti che si vedono e che ora sono noti sono poco finanziabili in una regola di mercato, dove ovviamente si investono i soldi degli assicurati, che vogliono avere un certo tipo di rendimento e, soprattutto, di sicurezza. A mio avviso, questa è la prima questione molto importante da esplicitare.
  Citerò un esempio che so essere controverso, ma proprio per questa ragione forse aiuta a capire il progetto. Forse il più importante, in termini quantitativi, dei progetti italiani riguarda la scuola e la rimessa a nuovo della scuola, obiettivo sacrosanto. Non ci sono, però, i cash flow per stimolare l'investimento privato su questo tipo di progetto. Questo è il punto fondamentale.
  Se gli 8 miliardi di euro, quanto vale il nostro progetto, trovassero finanziamento, non avrebbero i 14, che dovrebbero conseguire per effetto del moltiplicatore, a fronte dell'uno. Questo è il dilemma del Piano Juncker. Rappresentando quelli che dovrebbero erogare i 14, vi dico in maniera chiara che occorre proporre progetti finanziabili. Il settore privato che investe e che dovrebbe erogare i 14 a fronte dell'uno forse deve essere rappresentato anche nella governance. È ben difficile che Pag. 9chi eroga uno decida tutto e chi eroga 14 segua. Anche nella governance del Fondo, come gli assicuratori hanno chiesto a livello europeo in maniera molto chiara, deve esserci una forma di rappresentanza di chi eroga i 14. Ovviamente, non stiamo parlando di una forma maggioritaria, ma di una forma di partecipazione, che al momento non è prevista.
  La seconda questione è sempre molto assicurativa, ma ovviamente ci teniamo molto. Le regole di Solvency II, ossia il nuovo sistema di vigilanza per gli assicuratori, che entrerà in vigore il 1o gennaio 2016, trattano gli investimenti in infrastrutture come i peggiori possibili in assoluto per una serie di ritardi, di incongruenze e di definizioni non sempre chiare.
  Grazie al Parlamento europeo e alla Commissione, è stato aperto un tavolo di lavoro per rivedere gli aspetti quantitativi relativi al trattamento previsto da Solvency II per le infrastrutture, ma è evidente che non si può chiedere agli assicuratori di costituire gran parte della parte privata e poi trattare quel tipo di investimento come il peggiore in assoluto rispetto a qualsiasi asset class. Credo che, se Parlamento e Governo italiani partecipassero a questo tipo di valutazione, potrebbe essere un grande punto a vantaggio di tutti.
  L'ultima è la questione italiana. Lo ha già detto Giovanni Sabatini, ma voglio essere più esplicito e anche più diretto. Dobbiamo convincere i risparmiatori italiani a investire a lungo termine e magari nei progetti del Piano Juncker, direttamente o indirettamente: indirettamente, passando attraverso il sistema bancario, una polizza di assicurazione, il fondo pensione e così via. Dobbiamo costruire un sistema di incentivazione per il risparmiatore, non per noi intermediari, tale per cui i soldi che finiscono nel Piano Juncker abbiano sul rendimento un trattamento fiscale migliore del famoso 26 per cento a cui siamo oggi ancorati per qualunque finanziamento al settore privato.
  In parte si sta iniziando a fare questo per i fondi pensione. Avete approvato, nella legge di stabilità, un credito d'imposta, ahimè di soli 80 milioni di euro, a vantaggio degli aderenti ai fondi pensione se investono a medio e lungo termine: uniformare quelle due azioni a medio e lungo termine nell'economia italiana, ovviamente, e nel Piano Juncker, secondo me potrebbe rappresentare una spinta a trovare i 14, che dovrebbero conseguire per effetto del moltiplicatore, per usare ormai la definizione del presidente Abete.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti per le relazioni esaustive e molto chiare.
  Provo a tirare le fila del lavoro svolto fin qui. Questa è la sesta audizione dell'indagine, che concluderemo la prossima settimana col Ministro Padoan. È evidente anche dagli interventi di Abete, Sabatini e Focarelli che il Piano Juncker è assimilabile a un piano di garanzia, che può generare investimenti, ma stiamo parlando di un piano di garanzia.
  Ieri, dall'audizione del presidente di Cassa depositi e prestiti è emerso che le modalità con le quali verranno valutati gli investimenti saranno determinanti: deve essere stabilito se a decidere sia l'uno o se codecideranno anche i 14. In funzione di quello che codecidono coloro che devono erogare i 14, questi valuteranno se partecipare o meno agli investimenti pubblici. Il nodo è questo.
  Ho una domanda, semplicemente per capire il grado di raccordo del sistema bancario italiano e delle assicurazioni: ritenete che il ruolo di Cassa depositi e prestiti sia fondamentale in questo momento rispetto all'accordo con BEI ?

  LUIGI ABETE, presidente della FEBAF. Abbiamo detto in premessa tutti che le esperienze degli ultimi anni sono positive. Peraltro, lì c’è un expertise, un'esperienza che altrove non c’è. Esiste qualchedun altro in grado di fare questo mestiere con i tempi necessari e con il know how ? No. Direi che, quindi, al di là delle preoccupazioni...

  PRESIDENTE. Naturali...

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  LUIGI ABETE, presidente della FEBAF. Sì, sono preoccupazioni naturali quelle sui ruoli che ognuno deve mantenere. Però noi dobbiamo lavorare con l'offerta attuale. Personalmente e come associazioni siamo confidenti.

  PRESIDENTE. L'ultimo tema è connesso all'oggetto. Mi pare che Focarelli ponesse il tema delle scuole: se dovesse persistere questa scelta del decisore pubblico, quale sarebbe la vostra valutazione sulla finanziabilità di investimenti come questi ? Il Parlamento dovrà esprimersi con una risoluzione, poi il regolamento finale sarà approvato dal Parlamento europeo il 24 giugno: da quel momento si parte e il decisore pubblico politico dovrà fissare alcuni punti fermi. È evidente che siamo tutti d'accordo sul fatto che la banda larga può produrre un volano di un certo tipo e le scuole un altro: qual è la vostra valutazione su questo ?

  DARIO FOCARELLI, direttore generale dell'ANIA. È esclusivamente tecnica. Dal punto di vista generale, non c’è nessun dubbio che le scuole debbano essere funzionanti, rimesse a posto e portate in sicurezza. Per attivare il volano di 14 serve un flusso di interessi: da dove nasce il flusso di interessi per la scuola ? In teoria, non sarebbe impossibile neanche creare qualcosa del genere, ma onestamente è molto difficile.

  LUIGI ABETE, presidente della FEBAF. È evidente che è più difficile, ma è anche evidente che dipende dalla misura e dalle modalità dell'intervento pubblico. Dobbiamo immaginare che il mercato finanzi questa bottiglia e noi dobbiamo finanziare un progetto in cui c’è la bottiglia più il bicchiere. Dipende da quanto è alto il bicchiere e da quanto lo è la bottiglia: se il bicchiere è più alto, forse la bottiglia è più finanziabile, anche se è un mestiere difficile, che può trovare in attività connesse delle forme di remunerazione. È una scelta politica.
  Mi sembra che l'osservazione di Focarelli sia esemplare.

  PAOLO GARONNA, segretario generale della FEBAF. L'innovazione recente delle piattaforme nazionali, tra l'altro promosse e guidate anche da istituzioni e banche promozionali come Cassa depositi e prestiti, può giocare un ruolo centrale, perché potrebbe fungere da istituto aggregatore di piccoli progetti.
  Uno dei problemi delle infrastrutture è la differenziazione in tanti piccoli progetti. Se, invece, sono aggregati, se la qualità di questi progetti, attraverso supporti di assistenza tecnica, viene migliorata, è chiaro che si rende possibile la loro finanziabilità. Se a questo si aggiungono strumenti di garanzia, è chiaro il quadro portato in Europa. Da questo punto di vista, quindi, la piattaforma è una buona innovazione.

  LUIGI ABETE, presidente della FEBAF. Per dirlo in sintesi, il problema non è realizzare una scala di tipologie di progetti, finanziabili o meno, ma avere una flessibilità organizzativa e applicabile, che consenta di rendere finanziabili alcune tipologie di progetto, in sé più difficilmente finanziabili. L'intervento della piattaforma nazionale può svolgere, appunto, il ruolo di piattaforma, che si muove su se stessa e incrocia domanda e offerta.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Abete.
  Chiede di intervenire l'onorevole Currò, al quale do la parola.

  TOMMASO CURRÒ. Vi ringrazio per averci espresso oggi concetti che ho appreso e che, a mio avviso, sono molto interessanti e importanti.
  Vorrei esprimere, ma è stato già detto da voi sommariamente, proprio questa perplessità relativamente all'asimmetria di un progetto di piano di investimenti che deve coinvolgere il settore pubblico in senso lato, in particolare il settore delle infrastrutture. Peraltro, si diceva poc'anzi che proprio il comparto delle infrastrutture non è capace di offrire prospettive sostenibili di remunerazione per il capitale privato. Quello che rilevo, in tutto questo ciclo di audizioni che abbiamo svolto, è un Pag. 11nodo centrale, e cioè proprio la discrasia che sussiste tra l'obiettivo che si vuole porre questo Piano e lo strumento posto in essere che vuole coinvolgere, appunto, il capitale privato, il quale, per sua logica necessaria, come avete benissimo espresso, richiede giustamente una quota di remunerazione.
  Ora, la questione che pongo forse è frutto anche di una mia non completa conoscenza delle questioni macroeconomiche, soprattutto di carattere finanziario. Abbiamo avuto una serie di attività poste in essere dalla Banca centrale europea, abbiamo avuto nel 2011 il long term refinancing operation – LTRO, e adesso è stato varato il targeted long term refinancing operation – TLTRO, con una certa quota di stanziamenti che erano stati previsti, anche abbastanza rilevanti. La domanda che mi pongo è molto semplice: se l'obiettivo di un piano di investimenti di recupero del gap micidiale che questa crisi ha portato deve essere mirato a opere infrastrutturali pubbliche, che per loro natura non sono capaci di restituire una remunerazione al capitale privato, non c'erano degli strumenti più lineari, più semplici, se mi permettete meno contorti, per coinvolgere direttamente il capitale che proviene dalla BCE e arriva al sistema bancario ? È quella liquidità, quel capitale che a mio avviso deve essere messo a disposizione. È quel capitale che richiede una minore restituzione in termini di rendimenti, di redditi e così via. Non comprendo davvero le ragioni.
  Sicuramente ci sono questioni che attengono anche alla limitatezza delle possibilità istituzionali da parte della BCE di fare politica economica, ma sappiamo che già da tempo si stanno attuando manovre di politica monetaria, che si fanno, a mio avviso, per poi trovare i canali di trasmissione verso l'economia reale; se ci aggiungiamo il fondo e la leva con la quale da 21 miliardi di euro dobbiamo arrivare a 300, quel capitale richiederà attività speculative – questo è il tema centrale – e sarà impossibile, secondo me, riportare questo quadro di sistema a una simmetria tra attività e passività maturate. A mio avviso, bisognava che la Commissione europea si sforzasse un po’ di più e facesse un raccordo tra le politiche monetarie, attuate con giustissima ragione da Draghi, e l'obiettivo che si pone.

  LUIGI ABETE, presidente della FEBAF. Questo è un dilemma amletico risolto dal mercato. Per questo serve il mercato. Tutto è finanziabile dal mercato, anche un oggetto o un progetto con un rendimento minimo: tutto dipende dalla parte di contributo del settore pubblico. Se un oggetto che costa 10 dà un rendimento di 1 e quest'1 non è un rendimento atteso, è evidente che, se il costo in realtà è di 5 perché l'altro 5 è messo dal pubblico, il rendimento di 1, non redditizio nella prima ipotesi, sarà redditizio in questa. Il mercato serve a selezionare, perché ci saranno comunque sempre progetti più e meno utili, ben fatti e meno ben fatti.
  Giudico positivamente l'azione della Banca centrale europea. Andavo a scuola insieme a Mario Draghi, ma non ne parlo bene per consonanza storica, bensì perché è dimostrato dai fatti. Prima ha bloccato il rischio della credibilità dei crediti sovrani, poi ha creato le condizioni di disponibilità sul mercato e oggi ha creato le condizioni dei tassi.
  È chiaro che il tasso e la disponibilità aiutano, che entrambe le cose servono, ma serve anche che il progetto sia ben fatto e abbia un minimo di rendimento. Non penso che la BCE avrebbe potuto bypassare quelle risorse, che potevano andare solo in questo modo a quell'obiettivo. Il tema è il seguente: come diceva prima il presidente Boccia, in che modo e in che misura la garanzia pubblica può essere applicata perché sia la più efficace e la meno rischiosa possibile per gli Stati ?
  Dobbiamo partire dal presupposto che su certi investimenti strutturali la garanzia pubblica deve essere applicata con una metodologia più innovativa. Probabilmente, se dobbiamo fare una riflessione in più, essa riguarda come si applichino oggi le garanzie pubbliche sugli investimenti di interesse collettivo, al di là del classico project financing. È quello, a mio avviso, il Pag. 12tema. Non so se sia sufficiente come risposta.

  DARIO FOCARELLI, direttore generale dell'ANIA. Intervengo solo per un flash. In primo luogo i soldi alla BCE vanno comunque restituiti. Quando si restituisce, vuol dire che non si tratta di un'operazione a fondo perduto. Qualunque investimento non a fondo perduto, ma che va restituito, ha delle caratteristiche di finanziabilità, di analisi e così via.
  In secondo luogo, non è vero che le infrastrutture non portano reddito. Si pensi alle autostrade, alla banda larga: queste portano reddito. Naturalmente, gli ospedali possono ben portare reddito in certe condizioni, quindi non è vera in assoluto la sua argomentazione che alle infrastrutture non corrisponde alcun reddito, al contrario.

  LUIGI ABETE, presidente della FEBAF. Focarelli faceva riferimento al fatto che Solvency II le ha valutate più severamente di altri investimenti. Lo ha detto sinteticamente, ma questo era il concetto.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Vorrei fare un'ultima osservazione: le misure della BCE lavorano sul lato dell'offerta, cioè rendono disponibile liquidità, ma oggi noi abbiamo un problema di domanda, in particolare di carenza di investimenti privati.
  Da questo punto di vista, il Piano Juncker è fondamentale perché, dando un impulso alla realizzazione di investimenti in infrastrutture, quindi con una componente pubblica, queste misure hanno un effetto volano anche sugli investimenti privati, e quindi lavorano anche sul lato della domanda. In questo modo si ottiene il raccordo tra le due misure a livello europeo.

  PRESIDENTE. Ringrazio le delegazioni di ANIA, ABI e FEBAFF.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.