XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 25 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLE COMUNICAZIONI DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO «VERSO UN'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA AUTENTICA E APPROFONDITA – CREAZIONE DI UNO STRUMENTO DI CONVERGENZA E DI COMPETITIVITÀ» (COM(2013)165 DEF.) E «VERSO UN'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA AUTENTICA E APPROFONDITA – COORDINAMENTO EX ANTE DELLE GRANDI RIFORME DI POLITICA ECONOMICA PREVISTE» (COM(2013)166 DEF.):

Audizione del vice direttore generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini.
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 3 
Signorini Luigi Federico , vice direttore generale della Banca d'Italia ... 3 
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 9 
Palese Rocco (PdL)  ... 9 
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 10 
Galli Giampaolo (PD)  ... 10 
Marchi Maino (PD)  ... 11 
D'Incà Federico (M5S)  ... 11 
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 12 
Signorini Luigi Federico , vice direttore generale della Banca d'Italia ... 12 
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIRGIS GIORGIO SORIAL

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del vice direttore generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto delle Comunicazioni della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio «Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività» (COM(2013)165 final) e «Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste» (COM(2013)166 final), l'audizione del vice direttore generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini.
  Il dottor Signorini è accompagnato dal dottor Fabrizio Balassone, dirigente del Servizio studi di struttura economica e finanziaria, e dalla dottoressa Antonella Dragotto, titolare della Divisione stampa e relazioni esterne del Servizio segreteria particolare, che ringraziamo.
  Prima di dare la parola al dottor Signorini invito i colleghi che intendano intervenire a prenotarsi entro i primi venti minuti della seduta, al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori.
  Do quindi la parola al dottor Signorini, ringraziandolo per la sua partecipazione alla seduta odierna.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vice direttore generale della Banca d'Italia. Signor presidente, la ringrazio per l'occasione che mi viene fornita di svolgere alcune considerazioni sulle due Comunicazioni della Commissione europea oggetto di quest'audizione.
  Desidero iniziare fornendo un quadro di riferimento che sarà certamente già presente ai componenti della Commissione bilancio della Camera, ma che è comunque utile per il discorso e per quel minimo di valutazioni che cercherò poi di fare verso la fine del mio intervento.
  La necessità di coordinare le politiche economiche dei Paesi dell'Unione europea, come sapete, trova fondamento nell'articolo 121 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, secondo cui gli Stati membri dell'Unione europea considerano le politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano. Questo stesso articolo demanda al Consiglio dell'Unione, su raccomandazione della Commissione europea, il compito di fornire agli Stati membri gli indirizzi di massima da seguire per l'elaborazione e l'attuazione delle politiche economiche.
  Fra gli obiettivi del processo di riforma della governance economica europea, avviato nella primavera del 2010 in risposta all'emergere delle tensioni finanziarie sui mercati dei debiti sovrani europei, vi è stato quello di accrescere l'efficacia di questo coordinamento: è stata rafforzata la sorveglianza multilaterale sulle politiche di bilancio, è stata introdotta la sorveglianza Pag. 4sugli squilibri macroeconomici, sono stati costituiti meccanismi per la gestione delle crisi nazionali e strumenti per prestare sostegno finanziario a Paesi in difficoltà ed è stato introdotto il cosiddetto semestre europeo.
  Di tutte queste tappe i colleghi della Banca d'Italia hanno avuto occasione di informare il Parlamento, di volta in volta, nel corso di specifiche audizioni.
  Soprattutto però, riconosciuta la necessità di superare l'asimmetria che esiste tra l'unicità della politica monetaria comune e la molteplicità delle politiche di bilancio e strutturali nazionali, è stato definito un percorso graduale di rafforzamento dell'Unione economica e monetaria.
  Il «Piano per un'autentica e approfondita Unione economica e monetaria» pubblicato dalla Commissione europea lo scorso novembre e il rapporto «Verso un'autentica Unione economica e monetaria» presentato nel giugno 2012 e aggiornato nel successivo mese di dicembre dal Presidente del Consiglio europeo ne tracciano le tappe. Tali tappe conducono all'Unione bancaria, alla creazione di un'autonoma capacità di raccogliere risorse da parte delle Istituzioni comunitarie – fiscal capacity – per l'area dell'euro, a un vero e proprio bilancio pubblico e, in prospettiva, all'Unione politica.
  Le proposte della Commissione europea per il coordinamento ex ante delle grandi riforme e per l'istituzione di uno strumento per il sostegno finanziario delle riforme strutturali nazionali, ossia le proposte di cui ci occupiamo oggi, sono parte integrante di quest'azione di riforma.
  Con queste Comunicazioni la Commissione sollecita il contributo di tutti i Paesi interessati, a cominciare dalle Istituzioni dei Paesi membri, dai Parlamenti nazionali e dal Parlamento europeo, alla definizione puntuale di questi due meccanismi. Sulla base di tale contributo, nell'anno in corso, essa intende formulare proposte per i necessari strumenti normativi di attuazione.
  Ribadisco quindi che si tratta, per il momento, di iniziative descritte in termini generali e su cui la Commissione sollecita contributi e commenti, che potranno diventare operative solo attraverso la loro trasposizione in strumenti normativi specifici.
  La Comunicazione della Commissione sul coordinamento ex ante delle grandi riforme, la prima delle due di cui ci occupiamo, mira a rafforzare il meccanismo per il coordinamento delle politiche economiche introdotto nel 2011 con il semestre europeo, nell'ambito del quale, sulla base degli indirizzi di massima forniti dal Consiglio e delle priorità individuate dalla Commissione nel Rapporto annuale sulla crescita, ciascun Paese membro dell'Unione europea elabora i propri programmi di bilancio e di riforme strutturali.
  La seconda Comunicazione della Commissione, quella relativa all'istituzione di uno strumento di convergenza e competitività, intende dare attuazione alle indicazioni contenute nei rapporti della Commissione e del Presidente del Consiglio europeo, che ho in precedenza citato. Entrambi i documenti prospettano l'adozione di accordi per la definizione di riforme strutturali e l'introduzione di meccanismi per il finanziamento delle stesse, ed in tal senso la Comunicazione profila ipotesi su come dare attuazione a questa indicazione.
  Di seguito presento una descrizione sommaria di ciascuno strumento e di ciascuna delle due Comunicazioni, fornendo altresì alcune valutazioni tecniche.
  Innanzitutto, la Comunicazione sul coordinamento delle grandi riforme delinea l'introduzione di meccanismi che permettano la sistematica discussione preventiva in sede europea dei più rilevanti progetti di riforma in materia economica previsti dai Paesi membri. Le proposte formulate dalla Commissione riguardano la definizione delle riforme soggette al coordinamento rafforzato, i Paesi coinvolti e le procedure di valutazione.
  L'oggetto del coordinamento rafforzato è individuato dalla Comunicazione nelle riforme volte a migliorare la competitività dei Paesi membri – con particolare riguardo ai mercati dei prodotti, dei servizi Pag. 5e del lavoro ed alle riforme tributarie – e nel funzionamento dei loro mercati finanziari, anche con riferimento alla sostenibilità dei debiti pubblici.
  L'enfasi è posta sui provvedimenti con particolari ricadute su altri Paesi membri. Il coordinamento sarebbe obbligatorio per i Paesi dell'area dell'euro, ad eccezione di quelli già inseriti in un programma di aggiustamento macroeconomico, quali attualmente sono Cipro, Grecia, Irlanda e Portogallo. Questi ultimi, così come gli altri Paesi dell'Unione europea fuori dall'area dell'euro, potrebbero partecipare su base volontaria.
  Gli aspetti procedurali prevedono che il coordinamento venga integrato nel semestre europeo. Gli Stati membri invierebbero alla Commissione informazioni sulle riforme che intendono attuare con un anticipo sufficiente a permetterne la valutazione; in linea di massima, con l'eccezione delle situazioni di particolare urgenza, tali informazioni andrebbero inserite nei Programmi nazionali di riforma che vengono presentati di regola entro il mese di aprile. Le comunicazioni inviate dovrebbero includere riferimenti agli obiettivi, ai costi e agli effetti economici delle riforme.
  Nel processo di valutazione, che coinvolgerebbe il Parlamento e le parti sociali del Paese interessato, la Commissione avrebbe la facoltà di suggerire modifiche, evidenziando anche le ricadute del provvedimento sugli altri Stati membri. Il ruolo della Commissione rimarrebbe comunque consultivo: la decisione finale spetterebbe allo Stato membro.
  La seconda Comunicazione, concernente la predisposizione di strumenti di incentivazione e di sostegno finanziario all'azione di riforma, propone la predisposizione di accordi che prevedano l'impegno di uno Stato membro a effettuare riforme per correggere situazioni che potrebbero avere effetti negativi oltre i confini nazionali. A fronte di tale impegno, come ho detto, lo Stato membro riceverebbe un contributo per il finanziamento degli interventi da realizzare.
  Anche in questo caso le proposte della Commissione riguardano l'individuazione delle categorie e delle tipologie di riforme interessate dal nuovo meccanismo, il novero dei Paesi coinvolti e tutti gli aspetti procedurali. Vengono inoltre discusse – seppure, come si vedrà, in termini per il momento molto generali – le modalità di finanziamento.
  Questo strumento riguarderebbe, di nuovo, tutti i Paesi dell'area dell'euro non soggetti a un programma di aggiustamento macroeconomico, ma potrebbe essere esteso anche agli altri Paesi dell'Unione europea. Per accedere allo strumento il Paese dovrebbe trovarsi in una situazione di «particolare difficoltà»: questa è l'espressione specifica; procedure diverse sarebbero invece necessarie a seconda della posizione del Paese interessato nell'ambito della sorveglianza sugli squilibri macroeconomici.
  I Paesi per i quali non è rilevata la presenza di squilibri macroeconomici potrebbero usufruire dello strumento presentando un piano di riforme in applicazione di raccomandazioni specifiche ricevute nell'ambito del semestre europeo; un meccanismo analogo varrebbe anche per i Paesi inseriti nella fase preventiva della procedura per gli squilibri macroeconomici – e l'Italia è attualmente tra questi – ma le riforme in questo caso dovrebbero fare riferimento alle raccomandazioni ricevute nell'ambito della procedura.
  Infine i Paesi con squilibri macroeconomici eccessivi – e quindi già sottoposti per questo motivo a un piano di correzione di natura obbligatoria – potrebbero accedere al sostegno finanziario previsto per la realizzazione di questo piano.
  La Commissione valuterebbe l'adeguatezza delle riforme delineate rispetto alle raccomandazioni formulate nell'ambito del semestre europeo e della procedura per gli squilibri macroeconomici, nonché le potenziali ricadute su altri Paesi, cioè su Paesi diversi da quelli che intendono attuare le riforme. L'eventuale accordo negoziato con lo Stato membro sarebbe quindi sottoposto all'approvazione del Consiglio. La Commissione sottolinea l'importanza Pag. 6del pieno coinvolgimento dei Parlamenti e delle parti sociali nazionali prima della sottoscrizione degli accordi.
  Approvato l'accordo, l'erogazione del sostegno finanziario avverrebbe secondo un calendario legato al rispetto degli impegni assunti dal Paese interessato, mentre non è previsto che esso sia legato al raggiungimento di specifici risultati economici. I pagamenti, però, potrebbero essere sospesi in caso di inadempienza.
  In tema di finanziamento, come dicevo, la Commissione rimane per il momento in termini molto generali e propone a questo stadio diverse opzioni. Le risorse potrebbero provenire da contributi fissati in percentuale del reddito nazionale lordo di ciascun Paese oppure da risorse finanziarie specifiche; in ogni caso non rientrerebbero nei massimali fissati dal quadro finanziario pluriennale per il bilancio dell'Unione europea. Si tratterebbe, quindi, di risorse aggiuntive.
  L'entità delle risorse coinvolte sarebbe inizialmente limitata per poi aumentare, nelle intenzioni della Commissione, qualora i risultati dovessero essere valutati positivamente. La Comunicazione della Commissione non offre indicazioni specifiche dal punto di vista quantitativo circa l'entità dell'impegno finanziario che si avrebbe in mente.
  Queste due Comunicazioni, come dicevo prima, si iscrivono pienamente nella strategia dei piccoli passi con cui storicamente ha progredito la costruzione europea. È dunque necessario ed essenziale inquadrarle in una prospettiva più ampia, che ha come obiettivo finale la creazione di un'unione di bilancio, oltre che economica e monetaria, e in una prospettiva, ancora più tendenziale, di un'unione politica. È questo il senso sia del Piano pubblicato dalla Commissione europea, in cui le proposte in discussione sono inserite, sia del Rapporto presentato dal Presidente del Consiglio europeo.
  Le due Comunicazioni sono, del resto, strettamente collegate. Entrambe riconoscono – questo è un punto che mi preme sottolineare – la rilevanza delle interdipendenze tra singoli Paesi e la necessità di gestirle. Il fine di entrambe è quello di imprimere nuovo impeto alle riforme negli Stati membri per favorire un processo di convergenza e di riduzione degli squilibri macroeconomici che rafforzi l'Unione economica e monetaria e riduca il rischio di tensioni disgreganti.
  Politiche economiche adeguate sono il presupposto per la crescita di ciascun Paese, ma all'interno di una unione monetaria esse hanno effetti significativi anche oltre i confini nazionali. Aumenti di competitività e crescita più elevata in uno Stato membro influiscono positivamente sulla domanda di prodotti e servizi degli altri Paesi.
  D'altra parte, i ritardi nell'attuazione di riforme strutturali in diversi Paesi sono all'origine dell'accumulo degli squilibri macroeconomici che hanno alimentato la crisi attuale, con conseguenze che si sono estese ovviamente anche oltre i confini nazionali.
  La prosperità dell'area si fonda sulla competitività dell'economia di tutti i Paesi membri e sulla loro capacità di aggiustamento al mutare degli scenari economici. Da ciò l'enfasi sugli interventi con maggiori implicazioni transnazionali e sul coordinamento con il semestre europeo e con la procedura di sorveglianza degli squilibri macroeconomici.
  La proposta di coordinamento delle grandi riforme tende ad anticipare il confronto in sede europea sulle iniziative di politica economica nazionali, ossia ad esercitare questo confronto in un momento in cui tali iniziative sono ancora in corso di definizione.
  Introduce, quindi, un momento di riflessione precoce con la possibilità per la Commissione e per il Consiglio europeo di suggerire modifiche agli interventi esaminati, tenendo conto della situazione economica dell'Unione nel suo complesso; permette di intensificare la sorveglianza sugli squilibri macroeconomici anche al di fuori di situazioni patologiche o che rischiano di diventare tali; fa leva, infine, su meccanismi di benchmarking, al fine di Pag. 7individuare i migliori esempi nell'ambito dell'Unione europea e diffondere quindi le migliori pratiche.
  Si tratta di un intervento simile a quello effettuato con il Two-Pack, una delle misure cui mi riferivo all'inizio, per l'esame preventivo dei progetti di bilancio nazionale da parte della Commissione, anche se in quel caso alla Commissione viene conferito un formale ed esplicito potere di richiedere modifiche e non la semplice facoltà di suggerirle.
  La proposta dello strumento di convergenza e di competitività è invece più ambiziosa e sicuramente anche più controversa. L'obiettivo è quello di incoraggiare i Governi a effettuare riforme che possano avere ricadute positive anche sugli altri Paesi, riducendo i costi di aggiustamento che i Governi si trovano ad affrontare.
  Da un lato, il processo decisionale nazionale può tendere a trascurare i benefici transnazionali delle riforme che per definizione affluiscono a soggetti privi di rappresentanza nelle istanze politiche nazionali. Pertanto, le scelte del singolo Paese sull'ordine di priorità degli interventi e sulla loro portata potrebbero divergere da quelle ottimali per l'area nel suo complesso.
  D'altro canto, riforme strutturali di grande portata possono comportare costi sociali elevati nell'immediato a fronte di benefici diluiti su orizzonti temporali di medio-lungo periodo e la loro attuazione può pertanto risultare politicamente difficile e costosa.
  Questo strumento accresce le risorse comuni disponibili a livello europeo. Come ricordavo prima, le risorse finanziarie previste, anche se non definite in questa sede, non rientrerebbero nei massimali fissati dal quadro finanziario pluriennale per il bilancio dell'Unione europea. Lo stesso strumento comporta, quasi per definizione, trasferimenti fra Paesi e prevede un ruolo forte per le Istituzioni europee, in particolare per la Commissione. Andrà quindi disegnato con cura per garantire correttezza ed efficacia nell'utilizzo delle risorse.
  Più in generale, l'effettivo contributo delle due proposte al rafforzamento della governance europea dipenderà dalla loro puntuale definizione e concreta applicazione. Innanzitutto esistono rischi di duplicazione e sovrapposizione con strumenti e procedure già esistenti. In secondo luogo, il coordinamento ex ante, basato sostanzialmente su meccanismi di peer pressure, ossia di discussione, rischia di essere poco efficace. Infine, il sostegno finanziario delle riforme comporta il rischio di comportamenti opportunistici da parte dei Paesi beneficiari, su cui tornerò tra poco.
  Lo strumento per il sostegno finanziario delle riforme mostra, in particolare, evidenti complementarietà con i fondi strutturali, che già operano con l'esplicito obiettivo di promuovere convergenza, competitività regionale e occupazione, finanziando la realizzazione di infrastrutture, gli investimenti produttivi, la valorizzazione del capitale umano e le politiche attive per il mercato del lavoro.
  I finanziamenti destinati ai fondi strutturali per il periodo 2007-2013 ammontano – ricordo – a 347 miliardi di euro, di cui circa 28 assegnati all'Italia. Sarà necessario assicurare la coerenza tra le diverse iniziative, evitando al contempo inefficienze e duplicazioni.
  Sono importanti anche le modalità con cui sia il coordinamento delle grandi riforme, sia lo strumento di sostegno finanziario, oggetto rispettivamente delle due Comunicazioni, saranno collegati con il semestre europeo e con la procedura per gli squilibri macroeconomici. Ne dipenderanno, da un lato, i costi amministrativi per i Paesi coinvolti e per le Istituzioni europee e, dall'altro, un utilizzo degli strumenti che sia coerente con le indicazioni strategiche che emergono dalla sorveglianza multilaterale.
  Appaiono apprezzabili, a questo riguardo, le proposte della Commissione di restringere il sostegno finanziario a progetti di riforma che siano connessi con le raccomandazioni ricevute dal Paese interessato nell'ambito del semestre europeo e della procedura per gli squilibri macroeconomici Pag. 8e di prevedere che le grandi riforme debbano essere annunciate, di norma, nei Programmi nazionali di riforma, in maniera da non creare una molteplicità di canali paralleli di discussione e di confronto.
  Inoltre, sarebbe opportuno adottare una definizione operativa precisa di «grandi riforme» per evitare una graduale estensione del perimetro del coordinamento ex ante oltre i confini giustificati dalla presenza di esternalità significative, ossia di effetti che vanno al di là del Paese direttamente interessato.
  Il coordinamento ex ante appare basato esclusivamente su meccanismi di peer review e di moral suasion, ragion per cui il suo impatto sui processi di riforma nazionali potrebbe essere circoscritto e limitato. Il fatto che questo rischio sia concreto è testimoniato dalle difficoltà più volte incontrate nel garantire la conduzione di politiche di bilancio prudenti nell'ambito della parte preventiva del Patto di stabilità e crescita. Andrebbe peraltro valutata la possibilità di estendere al coordinamento delle grandi riforme le procedure di monitoraggio e di sanzione già previste nella procedura per gli squilibri macroeconomici.
  Il sostegno finanziario delle riforme strutturali ne può abbassare il costo politico, ma innalza il rischio di comportamenti opportunistici e di manipolazioni da parte dei Governi nazionali: si potrebbero, infatti, ritardare le riforme fino al momento in cui le stesse divengano candidabili al sostegno finanziario e si potrebbero approvare norme per ottenere l'assistenza senza poi garantirne l'effettiva applicazione.
  L'ordine di priorità degli interventi potrebbe venire a dipendere, almeno in parte, non dalla loro effettiva utilità ma dalla possibilità di accedere al sostegno finanziario comunitario. Sarà quindi necessario definire criteri stringenti per la selezione delle riforme da finanziare, basati su un'analisi dei costi e dei benefici che tenga conto degli effetti di spillover transnazionali, disegnare con attenzione le condizioni che accompagnano il finanziamento e prevedere il monitoraggio dell'effettiva attuazione delle riforme.
  La probabilità di comportamenti opportunistici è minore se il Paese concorre al finanziamento delle riforme. Andrebbe valutata la possibilità di utilizzare a questo scopo i margini di manovra già previsti dalle regole di bilancio europee, che consentono di deviare temporaneamente dagli obiettivi di medio termine – mantenendo il disavanzo al di sotto del 3 per cento del PIL – per attuare riforme strutturali che abbiano un impatto atteso positivo sulla sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche del Paese. La Commissione europea si è impegnata a valutare le modalità per consentire tali deviazioni per finanziare, sotto specifiche condizioni, progetti di investimento.
  Presidente, mi avvio a concludere rilevando che le proposte della Commissione sono, come ho già detto, parte di un progetto più ampio e che nel valutarle occorre tenere presente sia la loro interazione con le riforme decise in precedenza, sia le loro implicazioni per i passi da compiere successivamente.
  Per le seconde, in particolare, riveste una certa importanza la provenienza dei fondi che alimenterebbero lo strumento di sostegno finanziario. Quest'ultimo costituisce, nel Rapporto della Commissione, il passo preliminare per la creazione di una fiscal capacity, ossia di un bilancio autonomo per l'area dell'euro e dovrebbe, pertanto, godere di fonti di finanziamento autonome e dedicate.
  Il nostro Paese sarà verosimilmente tra i principali contribuenti allo strumento di convergenza e di competitività, quale che sia il meccanismo che si intenda alla fine attuare. L'entità dell'impegno finanziario, come ho detto, resta da precisare. A puro titolo esemplificativo, immaginando un fondo dell'ordine di 25 miliardi di euro, che rappresenta, come ordine di grandezza, la metà dell'importo medio annuo dei fondi strutturali nel periodo 2007-2013, il contributo dell'Italia potrebbe ammontare Pag. 9a circa 4 miliardi. Oltre che a contribuire, dovremo essere in grado anche di utilizzare questi fondi.
  Risparmiatori e operatori di mercato ci concedono attualmente un ristretto margine di fiducia. Il disavanzo resta al limite del 3 per cento del prodotto interno lordo. Lo strumento di sostegno finanziario suggerito dalla Commissione rappresenta, dunque, un'opportunità ma la possibilità di trarne vantaggio dipenderà anche dalla qualità della nostra amministrazione e della nostra azione.
  Noi non siamo tra i Paesi che hanno sfruttato al meglio strumenti analoghi già presenti in Europa. Ricordo che al 31 dicembre dell'anno scorso la spesa certificata dall'Italia all'Unione europea per i programmi finanziati con i fondi strutturali comunitari era pari al 31,5 per cento degli stanziamenti; secondo i dati della Commissione, il nostro sarebbe il terzultimo nella classifica dei Paesi dell'Unione europea per la capacità di utilizzare tali fondi.
  La realizzazione di riforme strutturali che consentano un recupero di competitività è un passaggio essenziale per il rilancio del nostro Paese e gli interventi da attuare sono stati in larga misura da tempo individuati. Il processo di coordinamento europeo proposto dalla Commissione può contribuire a definirne meglio i dettagli e ad assicurarne l'allineamento alle migliori pratiche, ma il processo delineato rimane rispettoso delle prerogative dei Governi e dei Parlamenti nazionali, che non sono tenuti a rispettare le indicazioni ricevute in sede europea.
  La responsabilità ultima delle riforme rimane, dunque, nazionale. Come ha ricordato il Governatore Visco lo scorso maggio, è un tratto ricorrente dell'esperienza storica del nostro Paese il fatto che le principali difficoltà di riforma non risiedano tanto nella definizione del contenuto delle nuove norme, quanto nella loro concreta applicazione.
  Presidente, io ho terminato. Accanto a me c’è il dottor Balassone, che lei ha presentato prima e che ha contribuito alla stesura di questo intervento. Siamo a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie per la dettagliata relazione e soprattutto per le conclusioni, sulle quali mi riservo in seguito di sollevare un paio di questioni.
  Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Anch'io mi associo al Presidente, che ha messo in evidenza la ricchezza delle informazioni che ci sono state comunicate, soprattutto in rapporto ai temi d'attualità ed alle prospettive future.
  Ho tuttavia chiesto la parola per intervenire in ordine alla situazione dei fondi strutturali europei, ciò tanto più dopo l'audizione del Ministro Trigilia dello scorso 12 giugno presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera.
  Giorno dopo giorno infatti – ma vorrei sapere se la mia è un'impressione giusta o se sbaglio nell'individuazione di quanto mi appresto a dire – noi ci rendiamo assolutamente conto del fatto che, se da un lato critichiamo l'Europa, dall'altro, soprattutto in relazione allo stato di utilizzo dei fondi strutturali, il nostro Paese rispetto al programma 2007-2013 rischia di andare incontro al definanziamento di una cifra non inferiore a 6 miliardi di euro rispetto ai 30 miliardi che ancora non risultano completamente spesi nel contesto delle procedure.
  La certificazione dovrebbe avere luogo nel 2015 ma se non vengono assunti impegni giuridicamente vincolanti entro la fine dell'anno, stando alle notizie e ai documenti, anche in formato cartaceo, depositati dal Ministro Trigilia, noi perderemo circa 6 miliardi di euro.
  Vi è poi la questione rappresentata dalle prospettive offerte dalla Banca europea per gli investimenti (BEI): a tale riguardo vorrei sapere se corrisponde al vero che noi non utilizziamo affatto l'opportunità offerta dai finanziamenti della BEI, ed in quale misura ciò avvenga.Pag. 10
  Un ulteriore aspetto riguarda i finanziamenti concessi in base a bandi diretti, rispetto ai quali siamo latitanti: soprattutto nei settori dell'innovazione e della ricerca l'Europa mette a disposizione finanziamenti a bandi diretti, ossia senza bisogno dell'intermediazione degli Stati membri, e nel nostro caso quindi anche di regioni, province, comuni e soggetti attuatori. Vorrei sapere se anche questo fatto corrisponde al vero.
  Inoltre vorrei una risposta su una situazione paradossale. Senza in questa sede ripercorrere per intero la vicenda dell'uscita dell'Italia dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, con le sei raccomandazioni rivolte al nostro Paese ancora una volta l'Europa invita a procedere lungo la strada dello snellimento e della sburocratizzazione, ma tale posizione sembra essere completamente diversa, se non opposta, rispetto al recepimento di una numerosa serie di regolamenti dell'Unione europea.
  In questo caso, allora, è vero che esiste una doppia corsia e che, per usare un'espressione, il braccio destro non sa quello che fa il braccio sinistro ? Oppure, peggio ancora, siamo noi, come Stato membro, a costruirci da soli delle camicie di forza nella fase del recepimento ?
  Cito un esempio per tutti: con riferimento all'attuazione della discplina in materia di sicurezza sul lavoro, mentre in Francia esiste un unico centro di autorizzazione rispetto alle richieste avanzate dalle aziende e dagli altri soggetti noi con il decreto legislativo n. 626 del 1994 ne abbiamo creati 16 tra comuni, province, regioni, ASL, vigili del fuoco e via elencando.
  Esiste anche in questo caso, dunque, una contraddizione o siamo noi che recepiamo o abbiamo finora recepito in maniera dissennata la regolamentazione europea che disciplina in via di principio tutta la materia ? Ricordo che a tale regolamentazione tutti i 500 milioni circa di cittadini europei dovrebbero attenersi ma il suo recepimento avviene a livello di Stati membri.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Palese. Poiché sono previsti diversi interventi, invito i colleghi a contenere i tempi in modo da lasciare poi spazio alle delucidazioni ed alle eventuali repliche dei soggetti auditi.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio anch'io il dottor Signorini perché questa relazione è effettivamente utile, oltre che dettagliata. Mi pare tuttavia che ne traspaia – o comunque io la leggo in questo modo – una notevole preoccupazione, o almeno un qualche scetticismo, circa le prospettive degli strumenti che la Commissione europea vuole mettere in campo.
  Volendo descrivere il bicchiere mezzo pieno, si potrebbe affermare che si tratta dei classici piccoli passi in avanti che l'Unione europea compie: in questo caso è un piccolo passo verso l'Unione di bilancio e, in una prospettiva tendenziale, verso un'Unione politica. Elenco, però, talune criticità.
  Innanzitutto, manca sostanzialmente un bilancio. Ammesso pure che si possano stanziare i 25 miliardi di euro citati – che non sono pochi nell'ottica europea attuale e che equivarrebbero a circa 4 miliardi per la quota dell'Italia – quanto si può tirare ? Il problema è cioè quanto sbilancio il Paese sarebbe autorizzato a fare nel caso in cui servano i finanziamenti, altrimenti si dà e si riceve quanto si è dato, il che è poco utile. Immagino, quindi, che lo sbilancio possa essere inferiore ai 4 miliardi. Manca dunque, per problemi oggettivi, un bilancio.
  In secondo luogo, manca un'Autorità in grado di decidere su questo bilancio. Giustamente si dice che l'impatto potrebbe essere limitato perché il coordinamento è basato esclusivamente su meccanismi di peer review e di moral suasion. Non è chiaro, pertanto, chi decide, mentre in questo contesto occorrerà assolutamente assumere decisioni molto complesse.
  Non è chiaro, inoltre, nemmeno l'oggetto. Quali riforme potrebbero essere oggetto, da un lato, di coordinamento e, dall'altro, di sostegno finanziario ? Nel documento della Banca d'Italia si parla di Pag. 11quelle che sono oggetto dei Programmi nazionali di riforma, in cui si può mettere un po’ di tutto, ma ciò non basta. Mi chiedo, per essere concreto: qualora queste iniziative fossero già entrate in vigore l'anno scorso, a fronte della nostra riforma delle pensioni ci avrebbero forse finanziato gli interventi in favore degli esodati ? Mi sembra improbabile.
  O, per fare un esempio attuale: a fronte della perdita di competitività dei Paesi periferici dovuta al fatto che in Germania i salari nominali dall'inizio dell'euro sono aumentati del 20 per cento, mentre in Italia e in Spagna, ma anche in Francia sono aumentati del 40 per cento, le due proposte illustrate aiuterebbero a fare che cosa ? A ridurre i salari ? Ad aumentare quelli tedeschi, compensando gli imprenditori per questa perdita ?
  In fondo le grandi raccomandazioni della Commissione europea mirano a eliminare gli squilibri in termini di costo del lavoro per unità di prodotto. È quindi una riflessione che va nella direzione giusta. Vediamo allora pure il bicchiere mezzo pieno, ma lo facciamo in virtù di un certo ottimismo.

  MAINO MARCHI. Ringrazio anch'io per la relazione e vorrei chiedere l'opinione su un tema che credo rappresenti l'elemento di maggiore problematicità dello strumento di convergenza e di competitività: mi riferisco alla previsione del ricorso ad accordi contrattuali bilaterali, i quali presentano criticità per almeno quattro aspetti.
  Il primo di essi, già segnalato anche dal Parlamento europeo, è che non appare chiaro quali sarebbero la natura e il valore giuridico di questi accordi contrattuali, che sembrano evocare strumenti di diritto privato.
  In secondo luogo, il ricorso a strumenti negoziati di natura bilaterale, invece che a regole erga omnes, potrebbe non garantire l'unitarietà e la coerenza complessiva delle strategie da perseguire. In questo modo potrebbe anche essere inficiato l'obiettivo che si intende perseguire, quello del più stretto coordinamento, in ragione delle ricadute di alcune scelte adottate da ciascun Paese sull'area dell'euro e sull'Unione europea nel suo complesso.
  In terzo luogo, non appaiono chiare le ragioni per cui gli obiettivi da perseguire potrebbero essere più efficacemente realizzati mediante il ricorso a tali accordi piuttosto che attraverso le procedure vigenti per il coordinamento ex ante delle strategie macroeconomiche nell'ambito del semestre europeo.
  Peraltro questi strumenti individuano indirizzi comuni per tutti i Paesi, ferma restando l'adozione di apposite raccomandazioni per ciascuno di essi, in tal modo realizzando almeno un quadro più unitario nell'ambito del percorso del semestre europeo.
  Infine c’è da chiedersi se, stante il carattere bilaterale degli accordi, le condizioni previste possano poi dipendere dalla diversa capacità negoziale di ciascun Paese nei confronti delle Istituzioni europee e se eventualmente si affronteranno con diversi pesi e diverse misure anche situazioni che potrebbero avere invece caratteristiche simili.
  Chiederei quindi l'opinione della Banca d'Italia su tale insieme di elementi, a mio avviso problematico.

  FEDERICO D'INCÀ. Per quanto riguarda la proposta dello strumento di convergenza e di competitività, essa appare assai controversa sulla base anche di quanto riportato a pagina 9 del documento della Banca d'Italia, con riferimento a tutta la parte che può comportare nell'immediato costi sociali. Soprattutto nei Paesi dell'Europa meridionale, che già si trovano in grandi difficoltà, ciò appare piuttosto impensabile.
  In rapporto ad essi, alcuni benefici che vengono diluiti nel lungo e medio periodo pongono comunque una serie di problemi oggettivi che occorre, allo stato, prendere in considerazione. Ci pare strano infatti come, riguardo a Paesi diversi, in relazione alle proposte della Commissione possa esprimersi una valutazione positiva in merito a quello che sembrerebbe essere uno svuotamento dei Parlamenti nazionali, per Pag. 12quanto è evidente che oramai una decisione sul punto debba essere assunta.
  Chiediamo inoltre un chiarimento su quanto affermato, sempre a pagina 9, in merito alle riforme strutturali di grande portata che possono comportare costi sociali nonché, in rapporto a quanto sostenuto a pagina 11 del documento, sulla parte relativa ai progetti di investimento, per capire se debbano essere considerati al di fuori della procedura di disavanzo rispetto al tre per cento.

  PRESIDENTE. Se non vi sono altri interventi, intendo associarmi a quello che ritengo sia un ottimismo positivo, come detto anche dall'onorevole Galli. Mi sembra tuttavia che dagli interventi svolti emerga uno scetticismo generale in merito proprio alle Comunicazioni stesse.
  Mi riferisco, in particolare, ai 25 miliardi di euro, di cui l'Italia dovrebbe finanziare una quota pari a 4 miliardi, considerato che per il programma 2007-2013 la percentuale di riutilizzo dei finanziamenti stessi risulta pari al 30 per cento.
  In merito vorrei capire se effettivamente esiste la possibilità di estendere il campo di operatività del cofinanziamento stesso a riforme di un certo tipo, anche perché in questo momento 4 miliardi di euro costituiscono per il nostro Paese un significativo ammontare di risorse. Do quindi la parola al dottor Signorini per la replica.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vice direttore generale della Banca d'Italia. Poiché sono stati citati, in un paio di occasioni, numeri che sono stati presentati a titolo esemplificativo nell'ultima parte del mio intervento, ribadisco che essi rappresentano un puro esempio e sono stati inseriti solo per fornire un ordine di grandezza ed immaginando un ordine di grandezza che corrisponde più o meno alla metà dei fondi strutturali.
  Ripeto, però, essi sono solo un esempio. Le due Comunicazioni della Commissione, in particolare quella che si riferisce allo strumento finanziario, non recano numeri. Le affermazioni che ho riportato nel corso del mio intervento sono di carattere qualitativo e generale; se questo strumento avrà un minimo di significatività dal punto di vista economico, è evidente che l'Italia sarà chiamata a contribuirvi in una proporzione che sarà sicuramente significativa. Non mi impunterei, però, sul numero specifico, che è stato inserito semplicemente per indicare che una qualsiasi dimensione ragionevole di questo intervento comporterebbe, naturalmente e normalmente, una contribuzione significativa da parte dell'Italia.
  Vorrei inoltre sottolineare, come diversi degli intervenuti hanno del resto già fatto, quanto sia importante, da un lato, che lo strumento in astratto sia disegnato bene, in maniera corretta ed efficace, dall'altro, che a livello nazionale vengano predisposte le strutture finalizzate alla sua utilizzazione, qualora venga effettivamente istituito nel migliore dei modi.
  Faccio riferimento, in particolare, all'intervento dell'onorevole Palese, che poneva il dito sulla piaga del mancato utilizzo dei fondi strutturali, che ho ricordato anche io nel corso del mio intervento: essi naturalmente non sono direttamente collegati alla discussione dei nuovi strumenti di cui si immagina l'istituzione, ma vi sono riconducibili in maniera forte, sia pure indirettamente, nella misura in cui, nel valutare qualsiasi prospettiva di evoluzione in questa direzione, un Paese come l'Italia deve porsi il problema di saper comunque utilizzare al meglio, qualora venga istituito, questo strumento.
  Anche andando nella direzione dello snellimento e della sburocratizzazione necessaria al corretto ed integrale recepimento, senza – ripeto – eccessi di burocratizzazione, delle direttive europee, occorre porsi il problema – che non è purtroppo nuovo né di questi ultimi tempi, bensì tradizionale – della nostra capacità amministrativa di sfruttare efficacemente gli strumenti che vengono messi a disposizione.
  Non so se l'intervento sia suonato scettico. Non voleva essere un intervento necessariamente scettico, ma quello che si voleva porre in evidenza, e che credo sia Pag. 13stato posto in evidenza, è che questo è un modo, come è stato rilevato anche dall'onorevole Galli, per accrescere le risorse disponibili a livello europeo al di là del tetto di risorse fino a oggi concordato; è uno strumento in cui, come mi pare di avere fatto notare, si prevede un forte ruolo per le Istituzioni europee e, all'interno di queste, per la Commissione europea.
  È molto importante, quindi, valutare i meccanismi di governance di questo strumento che, nelle Comunicazioni al vostro esame, sono in effetti accennati in maniera estremamente generica e sintetica. Occorre garantire non solo che – per rispondere anche ad alcune preoccupazioni sollevate dall'onorevole Marchi sull'effettiva gestione di questi fondi – la governance sia soddisfacente e corretta a livello europeo ma che l'intero meccanismo sia disegnato in maniera tale da risultare efficiente.
  Nel momento in cui si decidesse di procedere effettivamente nella direzione di un bilancio comune tramite l'incremento delle risorse disponibili a livello comunitario, a livello europeo, o più specificamente a livello della zona euro, sarebbe importante che ciò avvenisse evitando i rischi di sovrapposizione con altri strumenti, di eccessiva burocratizzazione e di incentivi errati, come quelli a cui ho fatto riferimento nel mio intervento.
  È molto importante – cito un'altra questione che ha menzionato l'onorevole Marchi – che non si tratti di azioni che, invece di essere coordinate e organiche, tendano a essere episodiche e rivolte in maniera differenziata ai singoli Paesi, piuttosto che rientrare in un quadro complessivo. La presenza di un quadro complessivo, di definizioni chiare e regole precise rappresenta, a mio avviso, una condizione assolutamente necessaria per il buon funzionamento di questo strumento.
  Tale strumento – faccio riferimento agli interventi dell'onorevole Galli e dell'onorevole D'Incà – è stato immaginato dalla Commissione europea proprio per quelle circostanze in cui l'attuazione di determinate riforme strutturali a livello del singolo Paese può comportare alcuni costi.
  Non sarei ora in grado di commentare quali riforme in passato avrebbero potuto essere finanziate da uno strumento del genere, in che forma e per quali importi, ma il concetto alla base della proposta è il seguente: nel momento in cui un Paese si può trovare ad affrontare costi particolarmente elevati per realizzare riforme strutturali che si riconosce essere nell'interesse non solo del Paese stesso, ma anche dell'Europa nel suo complesso, tramite i meccanismi di spillover e di esternalità cui facevo riferimento nel mio intervento, si ritiene opportuno – ed è questo il senso della proposta della Commissione – mettere a disposizione di quel Paese uno strumento finanziario che gli consenta di affrontare alcuni dei costi.
  Naturalmente, però, nel momento in cui si decida un qualsiasi importo complessivo di questo strumento e, quindi, una ripartizione secondo un criterio o un altro tra i Paesi, come dicevo nel mio intervento, quasi per definizione esso comporterà trasferimenti di risorse tra un Paese e un altro. È, quindi, importante che i meccanismi di governance, le procedure e i criteri siano disegnati in maniera soddisfacente.
  Infine, per quanto riguarda la domanda posta più esplicitamente dall'onorevole D'Incà e implicitamente anche dall'intervento finale del presidente, questa proposta non tocca la questione del tre per cento. Ho fatto riferimento nel mio intervento alla possibilità riconosciuta di allentare determinati vincoli o di consentire temporanee deviazioni per quanto riguarda il perseguimento degli obiettivi di finanza a medio termine ma, come voi sapete, ciò comporta che venga comunque rispettato il tetto del tre per cento.
  Al limite, indirettamente – ci si può esprimere forse in questo modo – la proposta ha una qualche attinenza con le risorse disponibili nella misura in cui, fermo restando il tetto del disavanzo del tre per cento per le finanze pubbliche e per le pubbliche amministrazioni di ciascun Pag. 14Paese, verrebbero messe a disposizione dei Paesi che compiono riforme strutturali risorse aggiuntive accentrate a livello europeo.
  Tali risorse però come è ovvio, non cadono dal cielo ma, nel momento in cui vengono deliberate, devono poi essere costituite per mezzo di contribuzioni degli Stati membri, in una forma o in un'altra, per esempio tramite contribuzioni dirette.
  Come dicevo prima, la forma di finanziamento rimane per il momento del tutto indefinita. Si formulano ipotesi generali, che vanno dalle contribuzioni dirette in proporzione al reddito nazionale lordo a cespiti specifici che potrebbero essere trasferiti; in ogni caso, ciascuno di questi elementi andrebbe ad incidere sugli Stati membri.
  Presidente, non so se sono stato esauriente o se ritenete che vi sia ancora qualcosa da chiarire.

  PRESIDENTE. È stato assolutamente chiaro, dottor Signorini, anzi la ringrazio proprio per le risposte e aggiungo solo un'osservazione mia del tutto personale.
  Penso che saremmo d'accordo in merito ad un allentamento dei vincoli, ma penso anche che per noi e per una parte dei colleghi proprio il disavanzo del tre per cento sia il padre di tutti i vincoli. Sarebbe stato quindi bello anche per noi vedere allentare questo stesso vincolo. Comunque sia, la mia è un'opinione personale, che ho espresso perché condivisa da molti altri colleghi.
  Ringrazio il dottor Signorini, il dottore Balassone e la dottoressa Dragotto e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.25.