XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 16 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

LA SFIDA DELLA TUTELA DELLA SALUTE TRA NUOVE ESIGENZE DEL SISTEMA SANITARIO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

Audizione del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin.
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Lorenzin Beatrice (PdL) , Ministro della salute ... 3 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 9 
Palese Rocco (PdL)  ... 9 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 11 
Gigli Gian Luigi (SCPI)  ... 11 
De Mita Giuseppe (SCPI)  ... 13 
Aiello Ferdinando (SEL)  ... 14 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 15 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 15 
Nicchi Marisa (SEL)  ... 16 
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD)  ... 17 
Lorenzin Beatrice (PdL) , Ministro della salute ... 17 
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD)  ... 17 
Lorenzin Beatrice (PdL) , Ministro della salute ... 17 
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD)  ... 17 
Monchiero Giovanni (SCPI)  ... 18 
Guidesi Guido (LNA)  ... 18 
Binetti Paola (SCPI)  ... 19 
Lorenzin Beatrice (PdL) , Ministro della salute ... 21 
Binetti Paola (SCPI)  ... 21 
Lenzi Donata (PD)  ... 21 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 23 
Boccia Francesco (PD)  ... 24 
Di Vita Giulia (M5S)  ... 26 
Gigli Gian Luigi (SCPI)  ... 26 
Di Vita Giulia (M5S)  ... 26 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26 
Lorenzin Beatrice (PdL) , Ministro della salute ... 26 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 21,05.
  (Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, alla quale do il benvenuto anche a nome del presidente della V Commissione, Francesco Boccia.
  Do il benvenuto ai colleghi in questa seduta serale, che per noi della Commissione XII è quasi un'eccezione, mentre per i colleghi della Commissione bilancio è quasi la norma.
  Come sapete, si tratta della penultima audizione formale che svolgeremo. Resta l'audizione del Ministro Saccomanni, che speriamo di poter sentire al più presto anche grazie ai buoni uffici del presidente Boccia, se possibile nel corso della prossima settimana, altrimenti comunque entro la fine del mese. Avremmo stabilito, infatti, di riuscire a concludere l'indagine conoscitiva, compreso il documento finale che dovremo approvare a Commissioni riunite, in modo che tale lavoro sia utile per la discussione sulla legge di stabilità.
  Credo che gli eventi degli ultimi giorni abbiano dimostrato e confermato quanto sia importante l'indagine conoscitiva che abbiamo deciso di iniziare proprio all'inizio di questa legislatura e di queste Commissioni. Credo che la presenza odierna di Beatrice Lorenzin sia un dato estremamente importante e che l'audizione si svolga davvero in un clima di interesse estremo di entrambe le Commissioni, anche finalizzato all'azione che vorremmo e che abbiamo pensato di svolgere quando ci sarà da discutere la legge di stabilità alla Camera.
  Do la parola al Ministro Lorenzin per lo svolgimento della sua relazione.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Presidente, sono molto contenta di essere qui perché credo che l'indagine che avete svolto, di cui ho letto i resoconti parlamentari, sia estremamente importante e sarà una base di lavoro condiviso con cui affrontare molti dei nodi di cui vi parlerò adesso, ma che dovremo sostenere in Parlamento e fuori dal Parlamento, in Conferenza Stato-Regioni, nei prossimi tre anni.
  Ho scritto una relazione di dieci pagine, che lascio agli atti, così avrete una relazione completa e dettagliata con il pensiero del Ministro. Vista anche l'abitualità che abbiamo di lavoro e l'orario, preferirei svolgere un intervento a braccio, in cui affrontare la tematica nel suo complesso. Alle eventuali domande, preferirei rispondere entrando nel merito, sempre Pag. 4fermo restando, ovviamente, che la relazione è un atto in cui abbiamo riassunto il lavoro programmatorio messo in campo in questi mesi.
  Siamo reduci da un'importantissima nottata, in cui abbiamo portato a casa un risultato direi straordinario per il futuro del Servizio sanitario nazionale: per la prima volta da dieci anni, non ci saranno tagli al fondo sanitario nazionale per i prossimi tre anni. Abbiamo messo in sicurezza il triennio e questo ci consente e ci consentirà di aprire o, anzi, di continuare una fase che è già stata avviata a giugno con la riapertura del patto sulla salute, con la Conferenza Stato-Regioni, in cui programmare e ridefinire alcuni ambiti strategici del sistema sanitario.
  Partirò proprio dalla fine di questo ragionamento, ma, se permettete, farò una breve parentesi per poi capire perché questo punto è così importante, anche se non rappresenta un traguardo, ma semplicemente un elemento di partenza che ci permetterà di dire se tutti siamo in grado di rispondere a una sfida.
  In altre parole, siamo in grado di immaginare e di avere la forza, il coraggio di mettere in atto in tempi velocissimi le misure necessarie al Sistema sanitario nazionale, un gioiello costruito in questi anni in Italia, per garantire due sfide ? Una è quella internazionale, cioè la sfida dell'assistenza sanitaria transfrontaliera. Dico per chi non è addetto ai lavori – i membri della Commissione affari sociali sanno benissimo di cosa sto parlando –, agli amici della Commissione bilancio, che tra pochi giorni diventerà operativa in Italia la direttiva transfrontaliera, che si fa carico di una normativa europea per la quale non avremo più soltanto la mobilità dei pazienti tra regione e regione, ma a livello europeo.
  È evidente che questa è una sfida che presenta delle grandissima potenzialità per il nostro sistema, ma anche molto difficile. La competizione non sarà più, infatti, tra regioni dal punto di vista della sostenibilità economica e della messa in carico di processi sanitari, ma tra Stati, con tutto quello che comporta. Su questo punto ci ritorneremo.
  L'altra grande sfida è sui numeri, ossia quella di rendere sostenibile il nostro sistema non da qui a tre o a cinque anni, ma da qui a 25-30 anni, momento nel quale il livello della popolazione italiana segnerà un invecchiamento senza precedenti. Fortunatamente, ci stiamo dirigendo verso la longevità della nostra popolazione; sfortunatamente, questa longevità non è compensata da un tasso di sostituzione delle nuove generazioni, e quindi avremo un carico di costo su quelle che sono oggi considerate le spese sociali molto diverso e molto più forte.
  Se non si comincerà sin da oggi a immaginare come affrontare queste trasformazioni, che sono innanzitutto sociali e culturali ma che investono anche il sistema sanitario e previdenziale, e quindi la sostenibilità di questo sistema, così come è stato immaginato dal dopoguerra in poi, è ovvio che rischieremo di perdere la grande occasione di mettere in campo una trasformazione vitale per la nostra struttura economica e sociale, per come la conosciamo.
  Questo è l'ambito in cui ci stiamo parametrando. Ho esposto questo ragionamento in sede di Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze quando ci siamo trovati a dover riflettere sulla tabella del finanziamento del sistema nazionale negli ultimi cinque anni. Secondo i dati riportati in questa tabella, abbiamo avuto una contrazione del fondo per ben 22 miliardi di euro. Anche se nei tre anni dal 2014 al 2016 avremo la fortuna che non ci sarà una contrazione, ciò non significa comunque che non si attui la spending review che già era stata programmata. Il sistema, quindi, ha raggiunto il suo minimo o il suo massimo dal punto di vista della capacità di reggere il crash di interventi di tipo verticale.
  Avrete condotto sicuramente nell'indagine un'analisi delle ragioni per cui si è prodotta questa situazione. È evidente che, dopo l'esplosione della spesa sanitaria e la riforma del Titolo V della Costituzione, il Pag. 5sistema non reggeva più. Qualcuno disse due anni fa che si trattava di un sistema portato sull'orlo e che, quindi, era un sistema già morto. Lo sforzo incredibile compiuto a livello nazionale, soprattutto dalle regioni in piano di rientro, che – lo ricordo – sono praticamente quasi tutte in Italia, è stato quello di riportare il livello a un equilibrio dal punto di vista sostanziale e finanziario. Oggi, a parte il Lazio, che è in condizioni estremamente negative e preoccupanti, le regioni sono già rientrate o stanno rientrando pian piano a un livello di equilibrio finanziario.
  Quello che, invece, non abbiamo registrato è un livello di equilibrio o di garanzia dei livelli essenziali di assistenza. Accanto al riequilibrio finanziario non c’è stato il lavoro volto a una riqualificazione anche del servizio sanitario. Ciò è dovuto solo in parte ai tagli, che evidentemente pure hanno inciso ma che non costituiscono l'unica ragione, altrimenti non si potrebbe capire come mai regioni che spendono meglio e meno garantiscano una migliore efficienza e una migliore qualità del servizio.
  Dalle analisi dei bilanci, dei testi, del Piano nazionale esiti, cioè entrando nella «carne viva» della sanità, azienda per azienda, ho registrato in questi mesi che in Italia il problema principale del Sistema sanitario nazionale è un problema di governance, cioè di capacità di gestione dei processi regione per regione, azienda per azienda, oltre a una centrifugazione, una duplicazione di funzioni tra livello centrale e livello periferico che non aiutano. Per questo, ritengo che sia necessario un po’ di coraggio, che occorra cioè rimediare ad aspetti che non funzionano nell'ottica non di tornare indietro ma di andare avanti.
  Come vedete, parlo con grande franchezza, né credo che ci sia bisogno di nascondersi. Questo è un ragionamento che abbiamo svolto anche insieme ai governatori di tutte le regioni italiane, da quelle più fortunate e quelle più sfortunate. Se tutte, anche quelle che oggi sono in equilibrio finanziario, non metteranno presto mano a un nuovo modo di fare programmazione sanitaria nei propri territori e a livello centrale, non è detto che potranno garantire questo livello di sussistenza nei prossimi anni. Oltretutto, se malauguratamente le regioni in equilibrio dovessero rimanere una o due, potete capire che il sistema avrà fallito nel suo complesso.
  Questa è la base del patto della salute, una base di grandissima franchezza, in virtù della quale ho chiesto a tutti, e in ciò devo riconoscere di aver trovato piena corrispondenza, un atteggiamento franco e di analisi dei dati, non dei desiderata. È una base di partenza che ci può permettere non di inventarci qualcosa di nuovo, dal momento che in sanità è stato già inventato tutto e le uniche cose che ci mancano sono le scoperte scientifiche, che fortunatamente con una certa cadenza arrivano a consolarci e a darci nuovi motivi di fiducia nella ricerca.
  Dal punto di vista della programmazione, bisogna soltanto fare in modo di applicare le buone pratiche che già esistono e fare in modo che modelli operativi funzionali possano essere traghettati in tutto il territorio, al fine di conseguire una maggiore omogeneità di funzioni, di modelli e di obiettivi, attraverso una loro misurazione, prima e dopo.
  Il segreto per individuare la malasanità è uno solo: la trasparenza. Attraverso la trasparenza e l'analisi dettagliata dei dati, si possono identificare le aziende, gli ospedali, le singole realtà che non funzionano, e ciò non in modo punitivo, ma costruttivo, ossia analizzando le criticità nel momento in cui si stanno formando, per correggerle in corso d'opera.
  Negli ultimi tre anni abbiamo messo in campo il piano nazionale esiti, che ha visto ora una sua corposa realizzazione. Si tratta di un sistema informatico alimentato dalle regioni all'interno di un database nazionale presso il Ministero della salute, nel quale è possibile verificare il rapporto tra prestazioni ricevute e costo di ogni azienda ospedaliera, di ogni reparto.
  Vorrei trasformare tale strumento in un open data della sanità, in modo che i dati siano caricati direttamente dalle Pag. 6aziende, gestiti a livello regionale e nazionale e resi accessibili in qualsiasi momento, ovviamente nel rispetto dei presupposti della riservatezza e della privacy connessi al trattamento dei dati sensibili riguardanti i malati. Questo sistema, insieme a quello dell'anagrafe assistiti, al fascicolo elettronico e a un sistema di e-health, che fa parlare lo stesso linguaggio a tutte le aziende d'Italia, ci porterà risparmi, in modo diretto e indiretto, per un ammontare di circa 14 miliardi di euro in 5 anni.
  Si tratta, come capite, di numeri che, rispetto a quelli delle manovre finanziarie per cui, purtroppo, ci stracciamo le vesti per un taglio di 200 o 300 milioni di euro ad uno dei comparti, lascia intendere quanta agibilità vi sia all'interno del mondo della sanità per poter intervenire in modo concreto e programmatico.
  È ovvio che ciò non può avvenire in un giorno, bensì richiede un lavoro sinergico tra le regioni e lo Stato centrale per mettere insieme questo tipo di informazioni. Vi sto fornendo solo una delle linee di intervento del patto della salute. Questo lavoro ci permetterà e permetterà al sistema di ottenere due grandi benefici.
  Innanzitutto, i cittadini italiani avranno consapevolezza delle realtà ospedaliere, delle aziende in cui si faranno trattare. Offriamo qualcosa però anche ai cittadini stranieri ed europei, che speriamo di riuscire ad attrarre nel nostro Paese, visto che abbiamo tutto il potenziale per poterli attrarre. Le nostre strutture, infatti, forniscono livelli di assoluta eccellenza, farmaci innovativi, trattamenti e linee di ricerca che, in Italia, sono tra le più avanzate nel mondo.
  Parliamo sempre di malasanità ma molti non sanno che nei nostri ospedali e in molti dei nostri IRCCS sono presenti linee, protocolli di ricerca, trattamenti e cure che sono presenti solo, ad esempio, da noi, in un'università americana e in Giappone. Fortunatamente, questo è il livello della sanità italiana. Ci sono poi anche tante cose che non vanno, ma che dobbiamo trovare il modo di aggiustare.
  Non è quindi eccessivamente ambizioso pensare che un abitante di Milano non vada a farsi curare a Parigi, ma che piuttosto uno di Parigi possa venire a Milano. È un obiettivo che dobbiamo riuscire a raggiungere perché vorrebbe anche dire non perdere risorse del nostro sistema sanitario, dei nostri tributi, a vantaggio di un altro Paese. Per riuscirci dobbiamo cominciare anche a fare un po’ di marketing per l'Italia, e quindi a «vendere» anche gli aspetti positivi che realizziamo a livello internazionale, e in tal senso un'occasione sarà sicuramente data dal Semestre europeo.
  Vi ho parlato dell’e-health che è un aspetto poco conosciuto, ma che è molto importante ed attiene al versante della programmazione, ossia di come, attraverso una programmazione che coinvolga settori e agenti già operativi nel Paese e nelle strutture, come Age.Na.S., si possa arrivare a porre in campo delle azioni estremamente importanti, con forti ricadute dal punto di vista economico.
  Tra gli altri aspetti, c’è sicuramente quello della realizzazione dei costi standard. Sapete che da giugno i costi standard sono legge, li abbiamo firmati – anzi ho avuto l'onore di firmare l'atto costitutivo dei costi standard – sono in Conferenza Stato-Regioni, fanno parte del patto, e ne deve cominciare immediatamente l'applicazione nelle regioni benchmarking. Ho ricevuto rassicurazioni dalle regioni circa la volontà, anche dopo quest'atto di fiducia da parte del Governo, di premere sull'acceleratore per la realizzazione dei costi standard.
  Altri temi riguardano la deospedalizzazione, cioè la realizzazione di hub&spoke volti a concentrare presso i centri che offrono grandi livelli di eccellenza onde spostare l'attenzione al territorio, ciò che diventa fondamentale per un'operazione di filtro tra il cittadino e l'ospedale, e la domiciliarizzazione delle cure.
  Lo conoscono bene i membri della Commissione affari sociali, ma cito volentieri, per chi si occupa di bilanci, l'esempio dell'ospedalizzazione di un paziente, che varia dai 2 ai 5 mila euro al giorno – Pag. 7ovviamente dipende dal tipo di patologia – mentre il trattamento dello stesso paziente a casa o a livello domiciliare comporta dai 200 ai 700 euro di spesa. Potete capire la differenza incredibile, su grandi numeri, che si viene a creare.
  Inoltre questo tipo di ristrutturazione del sistema dell'assistenza, che ovviamente comporta anche una maggiore attenzione alla medicina d'urgenza, ai pronto soccorso, alla capacità di trasformare i medici di medicina generale in medici di iniziativa, porterà ad una maggiore professionalizzazione di alcune professioni e quindi condurrà nel tempo anche ad uno sbocco, in relazione alla sfida, di cui parlavamo, di una popolazione che tende a invecchiare e della conseguente necessità di trattare diversamente i malati cronici, nonché alla nascita di nuove forme professionali e al rafforzamento di quelle già esistenti, che si collocheranno, più che nell'ospedale, all'interno dei territori.
  I temi sono dunque quelli della deospedalizzazione, dei costi standard, della centrale unica di acquisti. Ad un'analisi dei tagli effettuati in questi ultimi cinque anni, vedrete che i comparti aggrediti sono sempre gli stessi: la spesa farmaceutica, sia quella territoriale sia quella ospedaliera; il convenzionato, e quindi la medicina accreditata; i dispositivi medici. L'altro grande plafond di spesa, di 21 miliardi di euro l'anno, e cioè quello di beni e servizi, non viene aggredito.
  Questo accade perché i meccanismi di gestione degli appalti e degli elementi contrattuali che riguardano beni e servizi hanno comportato, anche negli ultimi due tentativi di manovra finanziaria, compresa la spending review, un venir meno delle configurazioni giuridiche che potessero permettere allo Stato centrale di intervenire.
  Ciò significa che su questo non si può intervenire a livello centrale ed è uno dei motivi per cui ho detto che i tagli erano inutili. Avevamo già tagliato al massimo la spesa farmaceutica e quella legata alle strutture in convenzione. C’è bisogno di intervenire contratto per contratto, azienda per azienda, regione per regione sui beni e servizi, ma ciò si può fare soltanto con le centrali uniche di acquisti e quindi con una diversa riprogrammazione dell'area contrattuale. Su 21 miliardi di euro, abbiamo avuto la dimostrazione, in tutti i settori nei quali è intervenuta la Consip, di un risparmio dal 15 al 25 per cento: fate voi il conto di quanto incide un risparmio simile su 21 miliardi di spesa.
  Qualcuno potrebbe pensare che allora si può fare sanità senza aggiungere neanche un euro a quanto si ha, che si può cercare di produrre salute attraverso un grande patto tra gli operatori sulla base di quello che abbiamo. Ritengo, però, che nel medio periodo ciò non sia sufficiente. Per questo, ad esempio, ho chiesto al Ministro Trigilia di intervenire sui fondi strutturali per liberare 2 miliardi di euro di risorse in favore delle infrastrutture. Se il presidente Boccia ci darà una mano, anche per poter trattare a livello internazionale, nel senso di escludere dal patto di stabilità interno gli investimenti in infrastrutture, allora credo che in Italia si potrà investire.
  Tra le infrastrutture del Paese, c’è quella sanitaria, che non è diversa da quella inerente la logistica o le infrastrutture stradali e aeroportuali. Quella sanitaria è un'infrastruttura base del Paese, su cui scorre non un binario delle merci, bensì conoscenza, tecnologia e salute. Servono investimenti in infrastrutture sanitarie, e quindi nelle ristrutturazioni degli ospedali e nelle operazioni necessarie per realizzare l’hub&spoke, ma anche solo per realizzare l’intramoenia: sapete benissimo in quante regioni l’intramoenia non è stata realizzata perché mancavano le risorse per rimettere a norma e realizzare strutture adeguate all'interno degli ospedali.
  Nel campo della sanità, infrastrutturazione tecnologica significa non solo ristrutturazioni, ma anche nuove tecnologie. Oggi la medicina vince la sfida se è tecnologica; quando non lo è, rimane indietro. Questo non vuol dire che l'uomo non faccia la sua parte, egli anzi è principe nella gestione del mezzo, ma oggi molto si muove sulla tecnologia e sarebbe veramente ipocrita non ammetterlo, poiché spesso è quello Pag. 8che fa la differenza tra un ospedale e un altro, oltre, ovviamente, ai bravi professionisti.
  Si tratta, quindi, di una sfida che non possiamo permetterci di perdere o sulla quale rimanere indietro, soprattutto perché la competizione che continuiamo ad avere è, da una parte, quella con noi stessi, al fine cioè di garantire prestazioni corrette e accurate, giuste, le migliori possibili, per i nostri cittadini; dall'altra, come vi raccontavo, essa richiede di essere competitivi anche a livello internazionale.
  Immaginate se un ospedale di Treviso o di Verona non avesse l'adeguata capacità di accoglienza rispetto ad un ospedale che si trovi soltanto a 50 chilometri dal confine ed al quale il paziente può recarsi ricevendo il rimborso dalla propria ASL. È evidente che queste sono situazioni concrete su cui bisogna agire.
  Vi è poi un altro buon motivo per investire in infrastrutture: ogni euro investito, infatti, riporta dieci volte il valore sui propri territori. Questo significa far muovere tutto il settore industriale, che è quello che si muove intorno alla salute e alle tecnologie, l'edilizia sui territori, rappresentando così un volano per la crescita economica.
  Questo mi permette anche di spiegare a tutti e di avere l'occasione per parlare liberamente di un altro aspetto: noi siamo abituati a vedere il nostro sistema salute solo come un sistema che riguarda la malattia, cioè l'erogazione delle cure; in realtà, dietro tale elemento, che pure è centrale, esiste un mondo.
  Questo mondo è costituito dalla ricerca scientifica, dal mondo medico e delle professioni mediche e dall'industria. Il match di queste componenti produce valore per il 12 per cento del prodotto interno lordo. Riuscire a mettere in campo una strategia così ambiziosa, ma neanche tanto, come quella che vi ho descritto, che abbiamo detto fare base solo sulla governance e su un po’ di investimenti infrastrutturali, ci permetterebbe di passare da quel 12 al 13 per cento, creando così ricchezza, valore, lavoro, anche altamente qualificato, nonché di mantenere le industrie in Italia e di non fare fuggire chi fa innovazione e ricerca nel nostro Paese abbandonandolo, ad esempio, nella direzione dei paradisi indonesiani, dove oggi molti si stanno recando, oppure più semplicemente dei Paesi dell'Europa dell'est.
  Questa è la prospettiva che abbiamo, fermo restando che, come è evidente, soltanto mettendo in sicurezza i nostri conti e realizzando non queste azioni ambiziose, ma molto di meno, come una spending interna sui beni e i servizi o la realizzazione di un po’ di risparmi attraverso i costi standard, avemmo modo di reperire le risorse necessarie per un aggiornamento costante dei LEA.
  L'aggiornamento dei LEA – i livelli essenziali di assistenza – non può infatti rappresentare un problema in un Paese che ha 107 miliardi di euro di stanziamento a valere sul fondo ma che poi non riesce a trovare 500 milioni per il suddetto aggiornamento o non riesce, ad esempio, a realizzare, a distanza di 20 anni, un adeguamento dei dispositivi audiometrici per persone che presentano diversi tipi di handicap.
  Immaginate cosa significhi soltanto avere la possibilità di accedere a un auricolare di nuova generazione che permetta di sentire, rispetto a uno di vent'anni fa, e questo fa la differenza tra chi lo può comprare e chi no. Ho citato un esempio banale per non entrare in aspetti più sofisticati o specifici.
  Questo è, in sostanza, il patto, all'interno del quale c’è anche una diversa strategia per le gestioni in piano di rientro. La regione, una volta sottoposta ad un piano di rientro, deve poterne uscire, il piano non deve apparire come una condanna a vita, anzi ci deve essere una possibilità di uscita e di monitoraggio, affinché il commissariamento non valga per sempre, come un moloc, ma presupponga piuttosto un lavoro di squadra che permetta di risolvere il problema e le criticità, di formare il personale e, una volta conseguiti gli obiettivi, di venirne fuori.
  Vi sono tantissime altre tematiche. Come avete visto, sono particolarmente Pag. 9appassionata alla questione ma credo veramente che noi abbiamo la possibilità, con il patto e, soprattutto, con un lavoro congiunto, che deve vederci coinvolti in una grande alleanza, di imprimere nei prossimi tre anni un cambiamento alla sanità italiana. La parte peggiore è già passata. Adesso bisogna guardare avanti ed avere la forza e il coraggio di abbandonare alcune piccole certezze, che non sono più tali, anche per provare a navigare verso nuove prospettive e fornire nuove soluzioni a problemi per niente nuovi, ma che ormai sono venuti tutti quanti al pettine.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Lorenzin. Non voglio naturalmente commentare in alcun modo il suo intervento, mi sembra però che abbia offerto una serie di spunti abbastanza interessanti ai ragionamenti che i colleghi introdurranno. Credo che bene abbia fatto il Ministro a parlare a braccio, anziché affidarsi alla relazione scritta, rendendo l'audizione di oggi quanto meno formale possibile, facendo emergere spunti che saranno ripresi attraverso le domande dei colleghi deputati. Credo che sia il modo giusto di procedere, e la mia è semplicemente una riflessione di metodo.
  Tutti abbiamo letto sui giornali nei giorni scorsi i rischi che un'ulteriore contrazione del fondo sanitario nazionale avrebbe potuto provocare nel corso della discussione del disegno di legge di stabilità per il 2014, e tutti abbiamo pensato quello che ha pensato il Ministro, e cioè che un'eventuale ulteriore riduzione dei fondi disponibili alla sanità potesse mettere in discussione la stessa esistenza del sistema sanitario così come noi lo conosciamo, con i suoi cardini fondanti dei princìpi di equità e di universalità che gli derivano dalla legge n. 833 del 1978.
  Tutti, però, abbiamo pensato quello che il Ministro ha poi esplicitato questa sera, e cioè che se fossimo riusciti a salvare il fondo sanitario nazionale, e quindi ad evitare odiosi tagli che ricadono sulla spesa delle famiglie e sul diritto alla salute di chi spendere non può, la tappa immediatamente successiva sarebbe stata quella del coraggio del riformismo, ossia di iniziare ad «acchiappare» problemi incancreniti del nostro sistema sanitario nazionale e di capire se i decisori possono iniziare a mettere sul tappeto scelte innovative di riforma e di cambiamento radicale del sistema, che ne garantiscano la sostenibilità nel medio e lungo termine.
  Sono azioni che avevamo ben in testa, per quanto riguarda sia la competenza della Commissione bilancio sia quella della Commissione affari sociali, quando abbiamo deciso, all'inizio della nostra attività di questa legislatura, di sfidare i carichi di lavoro della Commissione bilancio e di pensare che fosse possibile intraprendere un'iniziativa di lavoro comune sul tema fondante della qualità dei servizi sanitari e della loro sostenibilità economica nel medio periodo.
  Ciò premesso, il primo intervento dei colleghi è quello di Rocco Palese, che ci aiuta, come sempre, a rompere il ghiaccio, e di questo lo ringraziamo.

  ROCCO PALESE. Sono io a ringraziare sia i presidenti, che hanno assunto questa iniziativa che ormai sta arrivando alla conclusione, dopo le numerose audizioni già svolte, sia il Ministro, che in un intervento non molto lungo ha riassunto quanto abbiamo ascoltato nel corso di questi mesi di audizioni.
  Riteniamo che sia emerso il tema dell'accesso universalistico con tutte le problematiche già individuate, anche rispetto alla mobilità, su cui onestamente non sono molto ottimista, tra gli Stati membri dell'Unione europea. In ogni caso, il problema è che la competitività del sistema si pone ormai a livello degli Stati, da cui discende – su ciò sono totalmente d'accordo con il Ministro – la necessità di individuare le modalità per attrezzarsi anche rispetto alla situazione della sostenibilità.
  A più riprese, ho sempre sostenuto quanto emerge dai dati, cioè che le risorse per la sanità ci sono e sono anche troppe rispetto alle prestazioni erogate: ne sono convinto, d'altro canto lo testimoniano i risultati che ci sono stati forniti dalla Pag. 10Consip, quanto da lei affermato questa sera a proposito della possibilità di migliorare, ovviamente in modo graduale, nel senso che non si può ottenere subito il risultato di ulteriori 14 miliardi di euro, nonché la possibilità del 20 per cento, tutte circostanze oramai risapute da anni.
  Penso che tutto ciò vada introdotto nel piano di rientro. Siccome i centri decisionali nel contesto della gestione del servizio sanitario in grado di incidere sono tantissimi, dal Parlamento alle regioni, alle ASL, alla Corte costituzionale, al Consiglio di Stato, ai TAR, immagino che il Parlamento voglia fare la sua parte in tutta la sua interezza, attraverso quello che ovviamente emergerà in ordine a cosa, come Parlamento, noi potremo fare, legiferando, per rafforzare le linee guida dal patto per la salute.
  Ministro, anche a proposito dei 22 miliardi, bisognerebbe giungere ad un punto di chiarezza: i risparmi sono stati fatti su che cosa ? Sull'immaginario, sul tendenziale. I trasferimenti di cassa – ad eccezione dello scorso anno, che ha registrato una diminuzione di 400 milioni di euro, passando dai 107 miliardi di euro del 2012 ai 106,4 del 2013 – non sono mai stati toccati, altro che riduzione.
  Qualcuno può smentire che la cassa trasferita alle regioni nel riparto sia mai diminuita nel giro di un anno ? Assolutamente mai. Si fa sul tendenziale, che è di un certo numero di miliardi di euro, e si dice all'Europa, prendendoli anche in giro, come del resto fa anche la Germania, che sul tendenziale risparmiamo una certa cifra: questo è il gioco. Ma con riferimento al fondo sanitario, le previsioni di cassa, rispetto ai tendenziali, sono state fatte sempre così. Come potremmo dunque indurli a risparmiare su beni e servizi ? Solo diminuendo i trasferimenti di denaro, cosa che ci consentirebbe di risparmiare risorse da destinare eventualmente agli investimenti.
  Mi permetto di segnalare che tra le regioni dell'Obiettivo 1, la Puglia, quanto al problema del FAS, avendo inserito questo programma ha avuto la possibilità di utilizzare 350 milioni di euro afferenti ai fondi europei per strutture sociosanitarie ed altri 160 sono stati adesso autorizzati per costruire un nuovo ospedale nella città di Taranto.
  D'intesa con le regioni, se necessario occorre legiferare affinché nel patto della salute le regioni dell'Obiettivo 1, che hanno tanti soldi che non spendono, li spendano anche per l'innovazione; se abbiamo il problema degli acuti e della cronicità, esiste tuttavia un altro problema gigantesco, oltre a quello della mobilità tra gli Stati membri, ossia quello della medicina personalizzata sulla tecnologia e sull'innovazione. Altrimenti la gente, più che chiedere di essere curata, tra un po’ andrà direttamente a Londra, a Parigi, in Germania, dove sono già molto avanti per sottoporsi, a tre anni, all'esame del DNA per sapere di cosa si ammalerà. Anche in questo senso bisogna sfruttarlo.
  Penso che le idee che emergono dalla relazione del Ministro siano molto chiare. Si tratta solamente di cercare di rafforzare quanto avviene all'interno della Consip; se riusciremo a legiferare e a costringere le ASL a non far gestire, in alcune regioni, la stazione appaltante di beni e servizi alla criminalità organizzata, alla camorra o simili – questo è infatti successo in molte regioni – allora potremo farcela.
  C’è tuttavia un problema. È stato sufficiente mettere sotto controllo le regioni in piano di rientro e immediatamente sono rientrate, con le addizionali non c’è dubbio. Mentre però c’è una grande perentorietà sugli atti da compiere con l'immediato innalzamento delle addizionali per il mancato conseguimento dei risultati finanziari, come previsto dalla legge, esiste molta flessibilità invece sul problema del controllo dei livelli essenziali di assistenza. In proposito riscontriamo un po’ di tutto: provvedimenti sulla carta, poi non attuati, per cui non so quanto possa essere duratura e consolidata nel tempo la parte finanziaria del piano di rientro; punti nascita che sulla carta sono smontati, cui è attinente il problema della sicurezza, mentre ciò non accade, ma senza nessuna Pag. 11penalizzazione vera nel contesto – che è la parte più importante – dei livelli essenziali di assistenza.
  Cosa accade dunque ? Beni e servizi, come sottolinea lei che possiede i dati giusti, non sono toccati: diminuiscono i posti letto, le assistenze, la parte «convenzionata», i livelli essenziali di assistenza, insomma diminuisce tutto. Bisognerebbe, forse, utilizzare strumenti di controllo, peraltro già esistenti, ma corredati dalle sanzioni, in maniera da risultare vincolanti per le regioni e le ASL.
  Sono d'accordo che, quando una regione esce dal piano di rientro, non si debba tenerla sotto controllo sempre, ma queste sono regioni che prima erano in rianimazione e adesso sono in convalescenza: i controlli vanno comunque rafforzati. Il rafforzamento della Consip può essere la strada, cercando di aumentare quanto più possibile anche la parte dei dispositivi di beni e servizi, la parte della farmaceutica ospedaliera, che sta esplodendo soprattutto nelle regioni del sud, come lei sa molto meglio di noi, e la parte dei controlli.
  Sono del parere che il Ministero dell'economia e delle finanze e quello della salute abbiano il sacrosanto dovere di proporre al Parlamento leggi perentorie che istituiscano controlli seri all'interno della gestione della spesa sanitaria nelle ASL, che sono senza controllo. I collegi dei revisori sono ridicoli, al 50 per cento inutili perché non fanno niente, al 50 per cento dannosi perché costano. Potremmo mutuare, prevedendolo per legge, anche un comitato di sorveglianza, come fa l'Europa e come ha fatto il dottor Massicci, che da solo in tutta Italia ha realizzato i piani di rientro.
  Ministro, sono convinto che noi abbiamo un alto grado di professionalità. Il personale, nonostante i contratti di lavoro e il blocco del turnover, ha un grande amore nel sostenere questo servizio e siamo quindi nelle condizioni di vincere la sfida perché abbiamo oggi, rispetto a dieci anni fa, un grado di conoscenza incredibile. Ne abbiamo ricevuto una dimostrazione da lei questa sera in maniera concreta, con riferimento non solo a quanto già c’è, ma anche a quello che si deve fare.
  Dalla riforma del Titolo V a oggi la spesa è aumentata, parliamo di 54 miliardi di euro. Lei sa benissimo dei 107 miliardi, cui si aggiungano il 20 per cento di risorse private, le addizionali e via dicendo: si arriva fino a 150 miliardi l'anno, 300 mila miliardi di vecchie lire l'anno per il nostro servizio sanitario. Ritengo, se ognuno farà la sua parte, che saremo davvero in condizione non di vincere la sfida, ma di stravincerla.

  PRESIDENTE. Vi informo soltanto, così ci rendiamo conto dell'intensità dei lavori di questa sera, che sono iscritti a parlare dieci colleghi. Su suggerimento del presidente Boccia, abituato a gestire sessioni notturne, inviterei i colleghi a contenere il proprio intervento nell'ambito dei tre-cinque minuti, secondo la prassi europea, in modo da consentire a tutti di svolgere l'intervento – immagino che altri vorranno infatti iscriversi a parlare – e al Ministro una replica quanto più possibile ampia ed esaustiva per tutti.

  GIAN LUIGI GIGLI. Sono d'obbligo le congratulazioni al Ministro per aver, innanzitutto, salvato il bilancio, e conseguentemente «la baracca», ed inoltre per la passione che mi sembra stia mettendo, nel senso che mi pare ci abbia preso gusto – a Roma direbbero «gasata» – nell'affrontare questo tipo di problemi.
  Vorrei anche condividere le sfide principali che ci ha proposto, cioè quella della sanità transfrontaliera e della sostenibilità a lungo termine, alle quali aggiungerei anche – ma ovviamente non forma oggetto della presente discussione – quella dell'immigrazione, altro capitolo emergente nel medio e lungo termine.
  Alla questione transfrontaliera, già ampiamente evidenziata, sono particolarmente sensibile, vivendo a 40 chilometri della Slovenia e a 100 dall'Austria, dove questa condizione costituisce già un problema reale. È però sicuramente importante anche ciò che i giuristi chiamerebbero il combinato disposto dell'aumento Pag. 12della speranza di vita e della denatalità, che pone problemi dei quali, per fortuna, oggi ci si sta rendendo conto, ma che potevano essere ben prevedibili a partire dall'invecchiamento della piramide demografica e dalle attese delle curve demografiche stesse a lungo termine.
  Cominciamo ad entrare nel merito delle questioni. Questo Parlamento, forse per la prima volta, sta cominciando a interrogarsi sui problemi della famiglia con un'attenzione nuova. Credo che tali problemi, assieme a quello della natalità, vadano considerati anche dalla prospettiva del sistema sanitario nazionale, in termini appunto di sostenibilità a lungo termine.
  Sarò breve, vista l'ora tarda. Il secondo aspetto che riguarda la sostenibilità, è quello, in parte già accennato, del passaggio da una medicina più ospedalocentrica ad una medicina del territorio; si tratta di una vecchia storia italiana che si perpetua ormai come un refrain da almeno dieci, quindici anni. Forse, però, all'interno dello stesso ospedale occorre ormai andare oltre una visione superata rispetto alle sfide dell'invecchiamento e della denatalità, che è quella di un ospedale fondato sull'acuzie e sulla chirurgia o, comunque, su tecniche interventistiche.
  Sono tutte questioni assolutamente importanti, ma non possiamo dimenticare che non è solo sul territorio che possiamo curare le malattie non chirurgiche, in particolare le malattie croniche, in particolare quelle afferenti gli anziani.
  Si tratta di problemi che riguardano anche una riconsiderazione dell'ospedale come luogo in cui affrontare alcuni tipi di problemi, oggi sicuramente accantonati; e qui veniamo al motivo per cui forse sono stati accantonati.
  Dal momento che lei ha parlato di governance, ritengo che la prima forma di governance sia arrivare a capire che dobbiamo superare un sistema composto di finte aziende, ispirato ad un gioco che sembra quasi quello del Monopoli, di «roba che si compra e che si vende», ma che in realtà non ha le prospettive e la mentalità vera dell'azienda. Abbiamo mutuato dal sistema americano alcuni parametri di valutazione del consumo di risorse, ai quali corrispondono determinati canali di finanziamento, ma di fatto non si traduce in ciò che vorrebbe la logica di questo ragionamento portata all'estremo, ossia in una reale competizione tra le aziende. Noi facciamo finta di giocare con le aziende.
  Credo allora che il motivo per cui si privilegia la chirurgia sia, appunto, questo finto gioco del Monopoli. Alcuni DRG, diagnosis-related group, ad esempio, sono più valutati di altri e forse dovremmo avere il coraggio di compiere una rivoluzione copernicana in grado di portare un risparmio, in modo tale che il Servizio sanitario nazionale cominci in prospettiva a diventare quello che garantisce l'universalità dei servizi, non più gestendoli in proprio, bensì acquistandoli sulla base di una reale competizione tra l'erogatore privato e l'erogatore pubblico. Naturalmente, questo significa rischiare che l'erogatore pubblico, laddove non competitivo, possa o debba chiudere.
  Ciò rappresenterebbe anche la garanzia rispetto alle sfide transfrontaliere, perché solo nel momento in cui si ha una reale capacità di competizione si può competere anche con il vicino di casa, che è presente sul mercato con una logica diversa dalla propria. Non si tratta di smontare il Servizio sanitario nazionale come garanzia universalistica della tutela della salute, ma di trasformarlo in un soggetto che acquista servizi secondo una logica di competizione e di mercato tra diversi attori dell'offerta sanitaria, pubblica e privata, nazionale e straniera.
  Condivido molto la visione che lei ci ha offerto, di una sanità che può produrre anche ricchezza attraverso l'attrazione per chi deve curarsi, ma anche attraverso l'industria, la tecnologia e la ricerca. Dobbiamo però capire che, se non entriamo in un'ottica di competitività vera, come quella che ho cercato di delineare, il sistema sanitario può anche distruggere la ricchezza.
  Come infatti si può avere l'attrazione, così si può avere la fuga; come si può potenziare l'industria nazionale, così possiamo Pag. 13diventare una colonia per l'acquisto di tecnologie altrui, e in parte già lo siamo; come possiamo essere i produttori di farmaci innovativi, così possiamo diventare acquirenti di farmaci innovativi prodotti altrove, con grave sbilanciamento.
  Infine, come ho già detto e come è contenuto nella memoria relativa all'audizione del dottor Massicci, dobbiamo stare attenti all'enfatizzazione della Consip: si stanno infatti determinando anche alcuni acquisti, a tre anni di distanza, di tecnologie ormai obsolete, talvolta, come ricordavamo nella precedente occasione, acquistati in Cina per risparmiare, ma con conseguenze negative sul piano della qualità.

  GIUSEPPE DE MITA. Mi pare che quanto illustrato dal Ministro dal punto di vista dell'analisi dei problemi converga con quanto va emergendo dal ciclo di audizioni che stiamo conducendo. Se, per un verso, questo dato consola, per altro ci dice che, se abbiamo tutti la stessa visione dei problemi e non riusciamo a fare un passo in avanti, allora c’è una nostra incapacità, non una complessità del sistema.
  Il Ministro ha messo in evidenza due questioni. La prima, quella della governance, costituisce un tema che bisognerebbe affrontare soprattutto se si immagina di riorganizzare lo Stato e le sue funzioni, o di procedere ad una modifica dell'articolo 117 della Costituzione. In ogni caso, una migliore e più organica disciplina è un dovere, non fosse altro che per una lettura storica dei fatti: la nostra spesa pubblica esplode negli anni Settanta, in coincidenza con la nascita delle regioni.
  Se non vogliamo accedere a una adolescenziale lettura antropologica o geopolitica dei motivi per cui si è determinata la spesa pubblica, dobbiamo comprendere che forse anche il modo di organizzarla è stato un problema. Da questo punto di vista, però, nella sanità si coglie un problema ma nei fatti c’è già la soluzione. Il regime di commissariamento testimonia una corresponsabilità dello Stato nel governo di queste cose.
  La seconda questione, quella vera, concerne l'allocazione delle risorse. Lei ha detto una cosa in più che la pone in una posizione di responsabilità: i tagli hanno riequilibrato la spesa ma hanno squilibrato i LEA.
  Nelle regioni a gestione ordinaria, ma soprattutto in quelle a gestione commissariale, l'operazione di razionalizzazione delle risorse costituisce un punto di credibilità e il cosiddetto «tavolo Massicci» continua ad approcciarsi a tale questione, mettendo il Ministero della salute in una posizione servente e non tenendo conto di come una siffatta applicazione della logica dei tagli, basata sui numeri, in realtà stia portando non solo a un disequilibrio ma a una perdita di credibilità.
  Permangono alcune situazioni di fronte alle quali lo stesso dottor Massicci ha risposto con una leggerezza irritante, che chiamano in causa un punto di credibilità del sistema. Se si chiudono gli ospedali, secondo quanto lei afferma – ed io prendo tutto ciò che lei ha messo in prospettiva per buono, ma è la prospettiva – e non si organizza il territorio, non c’è credibilità. Se si blocca il turnover – una questione che riguarda molte regioni e non, come potrebbe apparentemente sembrare, un caso singolo – e le ASL e gli ospedali ricorrono agli autoconvenzionamenti, che costano sei volte tanto, non siamo credibili. Se le ASL e le aziende ospedaliere ricorrono a prestazioni professionali che mettono dentro acquisto di beni e servizi, che rappresenta un costo del lavoro mascherato, non siamo credibili. Lei ha posto il problema: adesso o lo aggredisce o non è credibile nemmeno sulla prospettiva.
  Da ultimo, la standardizzazione non mi persuade perché non esiste la prestazione che vale tot, ma quella che deve essere realizzata laddove si produce il bisogno. Tenga conto, come anche lei ha riconosciuto, che esistono specificità territoriali, quali la dorsale appenninica, l'area alpina, le isole. È una questione che andrebbe quindi considerata in un'ottica complessiva.
  So che gli ex ministri Barca e Trigilia, che lei ha citato, si muovono su questo Pag. 14processo sperimentale delle aree interne. Allora, andrebbe tenuto conto che una prestazione non può costare più di tanto, ma poi il bisogno deve essere tutelato così come si pone. Se al bisogno rispondiamo che può essere tutelato in maniera standardizzata, non stiamo organizzando la tutela del diritto alla salute.

  FERDINANDO AIELLO. Sono molto d'accordo con le osservazioni dell'onorevole De Mita, ma dissento solo su un punto, ossia che quello che ha detto il Ministro sarebbe convergente con la nostra indagine conoscitiva. Alcune descrizioni fornite, su più livelli, da diversi soggetti che sono stati auditi nel corso dell'indagine conoscitiva sono infatti completamente diverse da quanto asseriva il Ministro.
  La prospettiva offerta dal Ministro può essere realizzata se si ha un'altra sanità, che non può essere quella di oggi. A mio avviso, attualmente, da questo punto di vista si deve avere il coraggio – ecco perché sono d'accordo con De Mita – di rivedere il Titolo V della Costituzione e di arrivare a un risparmio all'interno delle aziende ospedaliere e delle ASP attraverso tre stazioni uniche appaltanti, che possano servire tutto il territorio nazionale.
  È il Governo a mandare i commissari sui territori. Si può dunque affermare con assoluta tranquillità – oggi in Calabria se ne sono autosospesi due – che non hanno prodotto nulla se non dei tagli di posti letto – e non i tagli agli sprechi, che era il loro compito prefissato – su tutto il territorio nazionale, quindi, là dove ci sono, non hanno garantito i LEA all'interno dei territori.
  Non so come faremo, allora, a ospitare un cittadino di Parigi nel nostro territorio nazionale se abbiamo le più alte liste d'attesa d'Europa, se non c’è la garanzia dei LEA, se non ci sono i farmaci negli ospedali, se c’è una differenza di trattamento nel versare i soldi, pari a 1.800 euro cadauno nel Mezzogiorno e a 2.100 euro nelle regioni del nord.
  Non voglio qui aprire una competizione tra nord e sud. Senza dubbio esiste una differenza di posti letto – 300 euro per abitante – per cui è normale che anche le casse del nord vanno a riempire gli ospedali ed è normale che vi sia un disavanzo costante nel Mezzogiorno per quanto riguarda il bilancio all'interno dei nostri territori.
  Le riconosco, Ministro, di avere in dote molta fantasia, riesce anche ad ammaliare la platea, ma nel merito non siamo entrati al cuore della questione sanitaria, per cui non è sufficiente, di per sé, che nel disegno di legge di stabilità non siano presenti tagli, per merito anche di tanti presidenti di regione che si sono ribellati e hanno rivendicato i loro diritti sacrosanti nell'ora in cui si paventavano eventuali tagli, anche se nel DEF qualche cosa c’è stata e si ravvisa una continuità di tre anni.
  Ritengo però che, all'interno delle nostre aziende ospedaliere e nelle ASP, in assenza di piani socio-sanitari che evitino l'ospedalizzazione e mettano in funzione un territorio, come del resto accade in poche regioni su tutto il territorio nazionale, non si capisce dove si può risparmiare.
  Con la stazione unica appaltante è stata fatta una sperimentazione. In Calabria, per esempio, si sono risparmiati 100 milioni di euro con un bando sui farmaci: il risultato è che la stazione unica appaltante è stata chiusa, e il presidente della regione è un suo amico in questo momento.
  Siccome ha fallito come commissario, dimostri che la politica non entra nella gestione della sanità e lo mandi via insieme al sub commissario, che si è dimesso, e all'altro. Da questo momento in poi, cominciamo a garantire i LEA all'interno dei territori. Oggi sono stato in una trasmissione televisiva su Sky: il 20 per cento dell'utenza che entrava negli ospedali ha rinunciato a curarsi a causa delle liste d'attesa e perché non ha i soldi per andare dal privato.
  Questo è un allarme sociale. Si afferma che la salute è un diritto ancora costituzionalmente garantito: ma di cosa stiamo parlando ? Vogliamo entrare in Europa con questo modello di sanità ? Di cosa stiamo parlando ? Le chiedo quale sia la Pag. 15prospettiva sanitaria di questo Paese, ma deve rispondere seriamente, entrando nel merito delle questioni.
  Aziende ospedaliere e ASP non fanno i bilanci, non ci sono, non vengono resi pubblici. Senza i bilanci, non si vedono gli sprechi presenti nelle aziende ospedaliere ma su questo i commissari non sono intervenuti, ed abbiamo addirittura un ex generale della Guardia di finanza, non sono intervenuti per rendere pubblici i bilanci di quelle aziende ospedaliere in questi ultimi tre anni.
  Tagli agli sprechi e blocco del turnover: ormai ci sono i reparti vuoti, senza infermieri, senza personale OSS, OTA. Qual è la prospettiva sanitaria all'interno di quei territori con il blocco del turnover, mentre le aziende ospedaliere e le ASP si rivolgono alle società di servizi, pagando il lavoratore il triplo ? Là è la clientela politica, nelle società di servizi utilizzate nelle aziende sanitarie e nelle aziende ospedaliere ! È quella che bisogna combattere.
  Da questo punto di vista, quindi, non sono affatto soddisfatto. Il collega De Mita è stato più elegante, lui ci riesce, è più moderato. Io non sono affatto soddisfatto della relazione del Ministro perché i costi sono aumentati all'interno delle aziende ospedaliere.
  Basta che lei legga la tabella ISTAT e qualche altra tabella che ci ha lasciato qualcuno del settore nell'ambito dell'indagine conoscitiva delle due Commissioni: vedrà che i costi sono aumentati e sono diminuiti i livelli essenziali di assistenza. In questi giorni è uscito un libro – lo legga – su quello che succede all'interno di tutte le regioni d'Italia.
  Forse riusciremo a mettere insieme, visto che parlate sempre di riformismo, una riforma per far tornare in capo allo Stato la materia sanitaria ora di competenza delle regioni, che hanno subìto una degenerazione in questi anni facendo pagare il cittadino e, soprattutto, il cittadino povero, che deve attendere un anno e mezzo di lista d'attesa per una risonanza magnetica, un fatto vergognoso.
  Se poi vuole uno spot, vada su Youtube e vedrà la sala operatoria di Cosenza, all'interno della quale camminano i topi. Quello è un ottimo spot per portare i parigini a curarsi nel nostro territorio del Mezzogiorno.

  PRESIDENTE. Colleghi, vi pregherei, se fosse possibile, di rivolgere domande al Ministro affinché, nella fase di replica, possa dedicare almeno lo stesso tempo che ci ha dedicato nella fase di introduzione e ci possa aiutare a capire che cosa è nelle sue intenzioni con riferimento all'azione del Governo nel campo della sanità.
  Anch'io, se fossi autorizzato a svolgere un intervento per il quale io stesso mi autolimito, probabilmente mi appassionerei come la maggior parte di voi sta facendo, e per chi eventualmente non appartiene alla maggioranza governativa, la passione significa ovviamente anche andare verso toni più propriamente tipici di un comizio da strada.
  Pregherei tutti i colleghi, se fosse possibile, di mantenere nel corso dell'audizione un atteggiamento rivolto all'approfondimento specifico del problema, fermo restando che è comprensibile la passione che ciascuno di noi mette su temi che sicuramente sono tra i più sensibili che possiamo toccare.

  ANDREA CECCONI. Le devo confessare, Ministro, che mi aspettavo questa sera che venisse a dirci qualcosa di più. La maggior parte delle cose che ci ha detto, infatti, le ho lette un'oretta fa su Quotidiano Sanità, e ricalca esattamente la linea che ha tenuto nell'intervista.
  Debbo dire, però, che la maggior parte delle cose che lei ha detto sono largamente condivisibili e che anzi, se veramente si riuscisse a portare avanti tutte queste innovazioni in sanità, sarebbe un risultato non eccellente, ma molto di più.
  Ho tuttavia l'impressione che, nonostante la buona volontà, esista un problema di fondo in questo Paese, come ha già ricordato il collega Aiello, ed ho quasi la certezza che la maggior parte dei deputati che sono questa sera qui presenti sa Pag. 16che esso consiste nella riforma del Titolo V della Costituzione.
  Si può parlare di hub&spoke e col decreto Balduzzi sono stati ridotti i posti letto, è avvenuta una traslazione dall'acuzie alla riabilitazione, ma nei territori ci si rende conto che molte regioni non lo stanno facendo o lo stanno facendo male. Alcuni ospedali non vengono chiusi, per ragioni politiche o di elettorato, altri invece vengono chiusi perché, probabilmente, non dispongono dell'appoggio politico necessario. Le centrali d'acquisto regionali, previste comunque da leggi finanziarie dello Stato, sono nate un po’ a macchia di leopardo, l'ultima è sorta in Sicilia due o tre mesi fa e neanche funziona.
  Il collega Gigli è un po’ contrario alla Consip e alle centrali d'acquisto. Io, che in verità sono andato personalmente a parlare alla Consip, credo invece che, almeno negli altri Stati europei, ciò funzioni. Il problema è che si impiegano tre anni per bandire le gare d'appalto, ma questo avviene anche perché lo impone la legislazione italiana sulle gare d'appalto.
  Un leader nel settore delle risonanze magnetiche, per esempio, può impugnare la gara d'appalto, la porta in tribunale e il tribunale impiega tre anni per emettere la sentenza; le assicuro che Consip vince praticamente sempre e porta a compimento la gara d'appalto. Se lo si vuole far funzionare, si cambia non il sistema Consip ma quello delle gare d'appalto in questo Paese.
  Ritornando alla questione connessa alla Costituzione, mi piacerebbe veramente sapere dal Ministro cosa ne pensa della riforma del Titolo V. Ho la sensazione che né lei né il Governo abbiate alcuna intenzione di andare a toccare questo capitolo, nonostante il Ministro Quagliariello due giorni fa sia venuto alle Camere per lo svolgimento della sua relazione sulle riforme costituzionali.
  Ha parlato del Titolo V, ma non ha assolutamente toccato la parte sanitaria. Ho l'impressione che non riuscirà a realizzare alcuna delle misure di cui lei ci ha parlato qui, perché le regioni non lo vorranno fare. Ci saranno sempre la Lombardia, la Toscana, l'Emilia-Romagna e il Veneto, ossia le regioni più efficienti, che in fase di contrattazione presso il tavolo Stato-Regioni battono i pugni e ottengono quello che vogliono.
  Le regioni più negligenti si disinteressano invece completamente delle direttive dello Stato e tutte le volte che i Governi hanno provato a inserire delle sanzioni economiche, sotto forma di mancati trasferimenti, nel caso in cui le regioni non si fossero mosse in una certa direzione, guarda caso, poi, queste sanzioni sono sempre state tolte, anche recentemente per mezzo di un decreto, ma non c’è stata neanche la capacità da parte dei Governi precedenti di imporre un limite alle regioni nel settore della sanità.
  Pur condividendo quindi la maggior parte di ciò che lei ha qui illustrato, credo che senza una riforma del Titolo V della Costituzione il patto della salute e il tavolo Stato-Regioni non siano sufficienti a trovare il modo di rinnovare questa sanità, che purtroppo, a mio parere, fallirà.

  MARISA NICCHI. Riaffermo la mia volontà di essere europea, cioè sintetica, d'altronde molte cose sono già state dette. Siamo tutti sollevati oggi dalla decisione del Governo perché i tagli preannunciati erano indescrivibili. Alcuni di noi erano molto allarmati, sul piede di guerra e quindi apprezziamo il fatto che il Governo abbia raccolto il grido di allarme delle regioni. Una assai vasta opinione ha sollevato questa preoccupazione. Siamo sollevati, ma vedremo come andrà a finire perché le cose non sono ancora arrivate al capolinea. Vigileremo tuttavia su eventuali nuove imboscate. Venendo alla sua relazione, vorrei rivolgere alcune domande.
  L'annuncio dei tagli non era piovuto dal cielo improvvisamente. Vorrei ricordare che abbiamo discusso la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2013, nella quale alcune cose già erano e rimangono scritte. Penso ai dati presentati, che portano la spesa sanitaria, rispetto al PIL, dal 7,1 al 6,7 per cento tra il 2012 e il 2017. Questa è una Pag. 17tendenza che rimane: ma cosa accade con ciò che è scritto nero su bianco e che è stato già discusso ?
  Inoltre, lei parla di riforma della governance. Vorrei che chiarisse questo concetto. Sempre nella predetta Nota si parla di una riforma della governance finalizzata a garantire prestazioni non incondizionate rivolte principalmente a chi ne ha effettivamente bisogno. Vorrei che chiarisse quest'affermazione perché le parole sono come pietre e, poiché la lego alle tante altre affermazioni che lei fa sull'universalismo selettivo – che è una contraddizione in termini, come direbbero i filosofi – siamo molto preoccupati.
  È ovvio, infatti, che non si devono erogare prestazioni a chi non ne ha effettivamente bisogno. Cosa vuol dire dunque prestazioni non incondizionate ? A mio avviso, il problema che sta emergendo in tutti gli studi – di recente, l'università Tor Vergata di Roma ha condotto un'analisi molto oculata – è che oggi il nostro sistema sanitario ha un problema di diseguaglianze, per cui una parte della popolazione italiana rinuncia, si sottrae alle cure. Questo è un problema ed è forse proprio su questo che il coraggio del riformismo dovrebbe misurarsi.
  Una ulteriore questione è la seguente: come si concilia ciò con il fatto che – il primo intervento mi ha fatto riflettere – veniamo da anni di definanziamento del sistema sanitario ? Lei ha citato dei numeri all'inizio: se messi insieme in rapporto al panorama europeo, essi vedono un sistema sanitario nazionale sotto la media europea, se pensiamo almeno all'Europa del welfare.
  Proprio a questi temi la richiamo: come si concilia l'assenza di tagli con le previsioni di una tendenza ai tagli ? cosa vuol dire la governance, come è stata definita dal DEF, documento che lei avrà visto prima che insorgesse e si mobilitasse mezzo mondo rispetto ai tagli drammatici che venivano preannunciati ?

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Anch'io evito un discorso articolato, anche se l'intervento introduttivo del Ministro avrebbe meritato alcune valutazioni più generali.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. La prossima volta leggerò l'intervento.

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Non lo dico con tono di polemica, tutt'altro. Lei ha affrontato tante problematiche e non volevo assolutamente polemizzare.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Era una battuta.

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. La colgo come tale. Anch'io ho apprezzato l'impegno del Governo – suo e del Presidente del Consiglio – per evitare questi ulteriori tagli, ma andrò subito a porre poche domande.
  Lei ha posto il tema dei rischi che incontreremo nei prossimi anni a causa della competitività con altri Paesi. Torno a proporre la questione del riequilibrio del nostro sistema sanitario, delle tante differenze che, purtroppo, esistono nel nostro territorio nazionale tra il nord e il sud. Parliamo anche di attrezzature tecnologiche, delle residenze ospedaliere, della carenza degli ambulatori per l'esercizio dell'attività intramoenia, con la conseguente necessità di fare l’intramoenia anche extramuraria perché alcuni ospedali e alcune aziende non si sono dotati delle strutture necessarie.
  Una seconda questione continua ad essere quella degli sprechi che, purtroppo, sono presenti nel campo della sanità. In particolare, mi riferisco a quelli della farmaceutica territoriale. In troppi territori si utilizzano in maniera smisurata alcuni farmaci. Basta poi notare che, quando scade il brevetto, questi farmaci non vengono più utilizzati e si cambia patologia.
  Credo che su questo tema, in modo particolare su quello degli sprechi nella farmaceutica, si debba affondare il bisturi. Oltretutto, lei ben sa, signora Ministro, che gli sprechi farmaceutici determinano i ticket, Pag. 18i quali sono nati e si sono definiti proprio per questo, ossia per frenare l'eccesso di spesa farmaceutica e tentare di riequilibrare alcuni problemi di natura economica.
  Di certo, l'elevata presenza dei ticket nazionali e regionali determina le circostanze che descriveva la collega, ossia che tanti cittadini non ricorrono più al sistema sanitario ed evitano di curarsi. È necessario dunque intervenire su questo terreno.
  L'ultima questione riguarda ancora l'accesso al sistema sanitario, in particolare le lunghe liste d'attesa: al riguardo, ci aspettiamo un intervento forte da parte del Governo per superare uno dei problemi purtroppo annosi che la nostra sanità presenta.

  GIOVANNI MONCHIERO. Io sono abituato a cenare, signor Ministro, quindi sarò brevissimo. So che non dovrei e che dovrei, piuttosto, curare la linea, ma non lo faccio.
  Colgo quest'occasione per farle una proposta ed offrirle un consiglio. Signor Ministro, facciamo circolare alcuni dati ufficiali, che mi sembra non siano così conosciuti nel nostro Paese. Ritengo che il decisore politico abbia tutti i diritti di prospettare la propria visione ideologica del mondo, ma aiuterebbe tutti noi poter ragionare su dati assolutamente certi, ufficiali. Molti dei luoghi comuni a cui siamo affezionati, ognuno di noi secondo la sua provenienza, non sono così aderenti ai dati di reali.
  Concludo con un'affermazione: purtroppo, la situazione non è così ottimistica come ha prospettato il collega Palese. Se avessimo, infatti, margini così ampi di miglioramento, saremmo stati tutti tranquilli in questi giorni. Se siamo convinti di poter recuperare 20 miliardi – Palese è meno ottimista del sottosegretario del Governo precedente, che in un convegno asserì che se ne potevano recuperare 50 – se siamo solo a 14 o 15, perché mai avremmo dovuto batterci per risparmiarne 4 ?
  Credo, signor Ministro, che tutti gli operatori della sanità, di qualunque parte politica, e chiunque abbia una qualche dimestichezza con il settore le siano grati oggi per aver evitato i tagli che si prospettavano e che avrebbero reso il sistema insostenibile a partire già da domani mattina. Credo, però, che per ragionare per il futuro e renderlo sostenibile per i prossimi anni occorra un'operazione-verità che cancelli molti luoghi comuni e metta tutti noi nella condizione di ragionare meglio.
  Poiché AGE.NA.S. e il Ministero dispongono di alcuni dati certi, pubblicizziamo bene quelli certi e su quelli incerti lavoriamo affinché diventino certi.

  GUIDO GUIDESI. Ministro, innanzitutto le faccio i miei complimenti per essere riuscita nell'intento di difendere il comparto. Anch'io sono convinto che anche un minimo taglio avrebbe provocato l'insostenibilità da parte delle regioni del sistema sanitario. Il suo è stato un atto di coraggio in difesa, per cui può immaginare cosa io pensi del coraggio di questo Governo.
  Ciò premesso, ho apprezzato la sua franchezza e sono estremamente convinto anch'io che i dati – glielo dico da componente della Commissione bilancio, non da tecnico sanitario – possano essere comunque utili a fare una certa chiarezza. Se, infatti, c’è ancora qualcuno che pensa che la revisione del Titolo V della Costituzione, con un accentramento totale, possa migliorare tutto quello che c’è, si sbaglia di grosso. Probabilmente, invece, un'attenta riflessione sull'irresponsabilità – di amministratori o governance, di qualsivoglia colore politico o indicazione – deve essere assolutamente attestata e condannata.
  Per questo le chiedo, visto che i costi standard sono entrati nella legge, se esista un cronoprogramma per la loro applicazione. Lei ha parlato di un sistema sanitario transfrontaliero di servizi in funzione della nuova normativa europea, ma oggi viviamo un pendolarismo extraregionale e chi ha seguito alcune questioni all'interno della Conferenza Stato-Regioni sa perfettamente Pag. 19che esso trae origine dalle regioni che purtroppo spendono di più e che – diversamente, del resto, non ci sarebbe il pendolarismo – hanno servizi meno efficienti. Questo ha comportato anche scompensi dal punto di vista dei bilanci sanitari delle regioni, nel caso delle trattative per crediti e debiti degli uni e degli altri.
  Suggerisco inoltre, rispetto ai software e alla trasparenza massimale dei dati di gestione delle varie aziende, un investimento dal punto di vista della comunicazione. Dal mio punto di vista, infatti, abbiamo due problemi.
  Uno è che spesso si giudica un'azienda rispetto al suo presidio e non, invece, al dato principale dell'indice di mortalità di quel servizio. Un presidio va valutato a seconda di quell'indice: se l'indice di mortalità è alto, quel presidio è inutile o può addirittura diventare dannoso.
  L'altra questione inerente la comunicazione che le pongo forse investe un rapporto corretto con riguardo non tanto alla competizione, quanto alla trasparenza nella gestione delle varie aziende. Abbiamo aziende inefficienti, ma anche aziende efficienti e notevolmente innovative dal punto di vista della gestione. Dobbiamo portare quegli esempi a sostegno di un miglior sistema generale, dal momento che essi si pongono in maniera funzionale al miglioramento dell'efficienza e della qualità dei servizi nonché ad una razionalizzazione dei costi. Le chiedo, perciò, se secondo lei non sarebbe utile programmare un investimento specifico in strumenti e dotazioni volti al miglioramento della qualità del servizio e dei tempi delle liste d'attesa.
  Sono d'accordo con chi ha citato la spesa farmaceutica, che nelle varie regioni appartenenti al sistema sanitario nazionale deve e può essere assolutamente migliorata. Un tavolo specifico sulla razionalizzazione e il miglioramento dei costi con le imprese e con le case farmaceutiche sarebbe, dal mio punto di vista, assolutamente utile.
  Un altro problema collegato, a mio avviso, alle liste d'attesa è il fatto – credo che anche questa sia una questione comunicativa – che comunque i cittadini pensano ancora che all'ospedale ci si vada per qualsiasi tipo di emergenza. Dobbiamo assolutamente entrare nell'ottica per cui, invece, il servizio dei medici di famiglia deve migliorare ed essere più utile nei confronti dei pazienti.
  Non sono assolutamente convinto che la centrale unica degli acquisti risolva tutti i problemi. Sono assolutamente convinto, invece, del fatto che un confronto gestionale tra le aziende, in rapporto anche agli investimenti e alla strumentazione, sia utile a tutti: chi ha fatto bene all'interno dei singoli territori e delle singole aziende, siano essi direttori o amministratori, deve assolutamente essere portato ad esempio.
  Se, infatti, delle aziende sono migliorate, hanno garantito migliore qualità nei servizi e sono diventate invitanti anche per utenti extra territoriali, dobbiamo prenderle ad esempio. Ritengo che la trasparenza e il confronto tra le singole aziende, sulla base di dati assolutamente trasparenti e resi ampiamente disponibili, possano migliorare le aspettative dell'utenza, le liste d'attesa e il servizio nel suo complesso.

  PAOLA BINETTI. Ringrazio il Ministro anche per il coraggio dimostrato nell'utilizzare un tono ottimista, che ha mantenuto durante tutta la sua relazione. Sicuramente potremmo dire che, dal punto di vista dell'opportunità politica, è stata anche fortunata ad illustrare in questa sede la sua relazione dopo l'annuncio della sospensione dei tagli. Indubbiamente, questo è un buon modo di avere accesso alle nostre Commissioni, che forse sono preoccupate.
  Anch'io voglio procedere per spot perché mi farebbe piacere ricevere delle risposte. Lei ha posto un'attenzione particolare ai temi della governance, della health technology, della medicina territoriale, temi – non so se lei lo ricorda, perché apparteneva ad una Commissione diversa – su cui abbiamo lavorato nel corso di tutta la legislatura precedente.
  Abbiamo lavorato sul tema della governance e devo dirle che il filone principale Pag. 20su cui ci siamo confrontati, anche con la passione che ciò merita, erano i criteri di identificazione dei direttori generali. La parola d'ordine era che la politica dovesse fare un passo indietro; l'auspicio era che volevamo gente realmente competente. Alla Camera forse eravamo anche arrivati a portare a compimento l'iter della nostra proposta di legge, poi è intervenuta la fine della legislatura.
  Anche il tema della health technology è importante. Tutti ne siamo convinti, dalla tessera sanitaria elettronica, con tutti i dati riportati, alla telemedicina, alla prassi, di cui abbiamo discusso, anche con la collega Amato, attraverso un'interrogazione da lei presentata –, per cui i dati viaggiano – penso soprattutto alla radiologia – e arrivano direttamente sullo schermo delle persone.
  I dati che si comunicano tra una realtà e l'altra magari pongono dei problemi di privacy, ma sicuramente offrono anche delle soluzioni potenziali in termini di efficacia. Ne abbiamo parlato, ma non siamo arrivati molto lontano.
  Quello della territorializzazione era uno dei temi forti all'interno del cosiddetto «decreto Balduzzi»: ricordiamo tutti gli ambulatori h24, quelli convenzionati, le formule integrate volte a promuovere la dimensione polispecialistica, la chiusura dei piccoli ospedali, la trasformazione di alcuni ospedali in realtà maggiormente corrispondenti ai nuovi dati epidemiologici.
  Abbiamo bisogno di RSA di un certo tipo, di strutture all'interno delle quali i pazienti possano affrontare tutte le fisioterapie possibili e riabilitazioni di ogni tipo. Abbiamo bisogno di luoghi e contesti concreti in cui, in qualche modo, integrare quella che possiamo chiamare la fatica assistenziale delle famiglie. Ne abbiamo discusso ma oggettivamente, che ciò abbia avuto una ricaduta pratica non l'ho visto; probabilmente non ho avuto sufficiente sensibilità per vederne traccia all'esterno, ma non l'ho visto.
  Auspico per lei, ma anche per tutti noi, che si possa davvero porre la propria attenzione e concentrarsi sulle cose che si possono fare, per farle. Non sto a dirle – non mi sembra di vedere gli amici della Lega, anzi sì – tutto il dibattito sul federalismo e sulla virtuosità che esso avrebbe dovuto restituire. Chi non era in Parlamento non ha un'idea del tempo che abbiamo dedicato a tale argomento, che tuttavia non ha dato gli esiti sperati. Non mancano neanche, in tutto ciò che le ho illustrato, aspetti interessanti o virtuosi.
  In ogni caso, vedrà la prossima settimana, quando arriveremo in Aula, dove spero sarà presente, a discutere la piccola parte di competenza della XII Commissione nell'ambito del cosiddetto «pacchetto scuola», ovvero i famosi articoli 20 e 21, soprattutto il 21, che riguarda le scuole di specializzazione, i criteri di accesso, quale tipo di figura e di specialista vogliamo la politica accademica rimanga fuori da tutto ciò.
  I ragazzi sono sgomenti all'idea di essere oggetto di un turnover di privilegi, di raccomandazioni. Avrò modo di intervenire su questo, ma mi hanno raccontato delle cose per me allucinanti, di assoluta disonestà. Circola una lettera che, se vuole, posso inviarle, come posso inviarla ai colleghi se non l'avessero ricevuta, che è pazzesca. È mai possibile che un professore faccia riempire in bianco i quiz perché così, al momento di correggere, si possano riempire correttamente ? Non lo dicono gli studenti, è un professore a dirlo. In ogni caso, una buona dose di clientelismo c’è.
  Abbiamo dunque bisogno di medici più competenti, di recuperare alla formazione specialistica la formazione generalistica e in tal modo si risparmieranno tanti soldi se il malato potrà interfacciarsi con un medico competente e non dovrà fare passare per un calvario, fatto di 12-15 visite per venire a capo di problemi con chi, nell'immagine di molti di noi, è il clinico competente. Questa è economia di tempo, di risorse, di tutto.
  Si parlava prima della competitività, facendo l'esempio del medico che da Parigi viene a Roma. Le citerò semplicemente il caso di un ragazzino partito dalla Sicilia per sottoporsi ad un intervento di chirurgia Pag. 21toracica presso la Cattolica, ospedale che amo moltissimo per essermi lì formata benché non sia il mio ospedale, che è stato operato brillantissimamente e dopo tre giorni è stato dimesso: ma dove va un ragazzino di Palermo, può tornare a Palermo dopo tre giorni ? Ha bisogno di essere visitato, sottoposto a dei controlli. Dove va ? Hanno fatto una colletta nel reparto per garantirne la permanenza non solo al bambino ma anche alla madre e al padre.
  Abbiamo bisogno di pensare che va benissimo ottimizzare i tempi, con la formula «tre giorni e a casa», ma chiamiamo almeno transfrontalieri tutti i malati che non vivono a Roma perché a questo punto lo sono tutti. Cosa facciamo per loro ? Quale servizio, quale continuità assicuriamo loro ?
  Non disgiunto è il tema del servizio ambulatoriale polispecialistico che funge come day hospital per un paziente, anche anziano, e tutta la rete dei trasporti e degli accessi. Non possiamo pensare che prenda il taxi tutte le volte. È la dimensione sistemica di tutto questo che abbiamo bisogno di rivedere.
  Ecco perché vogliamo i LEAS, livelli essenziali di assistenza sociosanitaria – altro leit motiv di cui non può immaginare quanto abbiamo discusso – e non solo i LEA. Ne abbiamo parlato tantissimo perché ormai la dimensione sociale è parte integrante del progetto terapeutico.
  Tutto questo rende affascinante il cambiamento ma crea autentiche paure che in realtà non si verifichi, che resti una dissertazione accademica, che sia il corso di innovazione in medicina, in sanità, un bel dibattito tra professori universitari, una delle esercitazioni intellettuali più affascinanti su ciò che si potrebbe fare, ma poi il decisore politico ha bisogno forse di abbassare il livello, di identificare davvero le priorità.
  In tema di trasporti, parliamo tutti del miglioramento assoluto della Freccia Rossa. Adesso, anziché andare a Milano in tre ore, lo facciamo in due ore e 55 minuti, ed è stupendo. Siccome vivo a Roma, mi considero fortunata ma spero di andare solo a Napoli, Firenze, Bologna, Milano e Torino: non mi allontanate da questa strada perché tutto il resto è drammatico. Il tutto non può essere giocato solo sulla Freccia Rossa, considerato che esiste il pendolarismo dei malati, la maggioranza dei quali sono come dei pendolari della sanità. Non sono malati da Freccia Rossa.
  Credo che questa sia la consapevolezza che dobbiamo avere. Siamo la Commissione affari sociali e non siamo neanche riusciti a cambiarci nome e a definirci «sanità e affari sociali».

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. [fuori microfono] Stavolta, sono anche in Giunta per il Regolamento e non ci sono riuscita.

  PAOLA BINETTI. Questa è la dimostrazione pratica della misura in cui l'elemento del sociale, per quanto strutturale, sia presente nella percezione del decisore massimo rispetto a ciò che dovrebbe essere questa Commissione e la sanità in generale.

  DONATA LENZI. Se i colleghi vogliono aderire alla mia proposta di modifica del Regolamento, già presentata e volta a denominare la nostra Commissione «salute e affari sociali», ve la faccio pervenire onde aggiungere le firme.
  Penso che il risultato sia positivo perché tagli avrebbero creato grandissime difficoltà alle regioni. Nonostante le considerazioni del collega Palese, non si può lavorare sempre sotto l'ansia del cambiamento in peggio, del taglio improvviso di anno in anno, con la conseguente difficoltà di effettuare una programmazione.
  Penso che vada riconosciuto al Ministro e a tutta quella rete collegiale composta dai presidenti delle regioni, a cominciare dal presidente Errani, e dai partiti, e penso che il mio segretario abbia fatto la sua parte, il merito di questo risultato. C’è stata una sollevazione generale che ci attribuisce anche una grande responsabilità.
  A me sembra d'aver capito che i tavoli di lavoro del patto per la salute abbiano Pag. 22un compito molto rilevante: è quello il luogo dove si risponde a molte delle questioni sollevate questa sera. Forse una parte dei ragionamenti di questa sera devono confluire nel documento finale che sarà approvato al termine dello svolgimento dell'indagine conoscitiva, in modo da dialogare, per quello che possiamo contribuire, con il lavoro in corso.
  Invecchiando, ho perso un po’ di attenzione alle questioni della governance. Mi sono convinta che in Italia partiamo sempre dalla governance e mai dal basso, ma forse, se per una volta invertissimo, potremmo riuscire a portare a casa dei risultati.
  In sanità, penso che tutto il ragionamento e il lavoro portati avanti nell'indagine conoscitiva in corso ci portino a riconoscere che abbiamo bisogno di strutture – Ministero della salute e agenzie – in grado di svolgere una parte che garantisca e sostenga il federalismo, adesso un po’ impropriamente svolta dal Ministero dell'economia e delle finanze.
  Sinceramente, non vorrei discutere di appropriatezza delle ricette mediche con il dottor Massicci, perché trovo che bisognerebbe farlo col Ministro della salute. Onestamente, penso che sarà difficile modificare il Titolo V della Costituzione perché abbiamo di fronte questa situazione di fondo: la metà della popolazione, che vive da una parte d'Italia, è convinta che andare sotto Roma sia una colossale fregatura, un'altra parte, che peraltro si lamenta dei commissariamenti, ritiene che sotto Roma forse starebbe meglio. Esiste cioè una divergenza che non vedo componibile e mi riferisco alla modifica del Titolo V, anche se in realtà secondo i saggi taluni aggiustamenti andrebbero fatti, pur non riferendosi alla sanità.
  Peraltro, in relazione alla pervasività degli interventi recati dalle leggi finanziarie e dagli interventi della Ragioneria generale dello Stato, basta leggere un piano di rientro per rendersi conto che l'autonomia regionale non esiste. Vorrei che ci rendessimo conto, come in parte anche l'onorevole Aiello ha giustamente evidenziato, che anche la singola assunzione nelle regioni soggette a piano di rientro ha bisogno dell'autorizzazione del MEF e della direzione generale del Ministero della salute. L'autonomia, dunque, è già molto ridotta e credo che siamo tutti d'accordo sul fatto che il risultato dei piani di applicazione dei LEA non sono stati eccezionali.
  Vorrei anche porre due domande. Con la prima, riprendo l'intervento del collega Burtone: i ticket stanno avendo un effetto destabilizzante del sistema. Tutti ci hanno parlato di fughe, di gente che rinuncia alle prestazioni, di passaggi verso il privato non convenzionato. Quello convenzionato è un privato che accetta di entrare nel sistema, che sta dentro una logica di una concorrenza regolata. Il privato che si pone totalmente fuori è un competitor irregolare, che qualche volta fa anche concorrenza sleale, con prezzi low cost. Nella zona in cui vivo ci sono i manifesti pubblicitari di cure dentistiche a 20 euro.
  Non possiamo andare avanti così. Ha ragione l'onorevole Binetti quando afferma che una riflessione sull'efficienza dei ticket, sulle loro conseguenze e sulla loro eventuale sostituzione era stata tentata anche da Balduzzi, il ministro pro tempore, con alcune proposte, ma bisognerà pure che anche noi giungiamo alla formulazione di proposte su questo tema.
  Inoltre, abbiamo adesso in discussione il decreto-legge sulla pubblica amministrazione. Questa mattina, in Commissione abbiamo discusso dell'articolo 4, comma 10, e dell'applicazione di questa normativa nel settore della sanità. Le dichiarazioni del Ministro sul tema del personale sono importanti. Questo decreto è già vincolante. Mi dicono che nel disegno di legge di stabilità potrebbero esserci ulteriori vincoli. Anche in rapporto ad una politica del personale che ogni tre mesi vede una regola diversa esprimo una certa preoccupazione. I vincoli alle assunzioni a tempo determinato, infatti, potrebbero creare dei problemi concreti nella gestione dei servizi.
  Infine, come già sottolineato dall'onorevole, se rimane qualche risorsa e qualcosa risparmiamo da tutti questi interventi Pag. 23– e voi avete fatto previsioni di risparmi significativi – qualcosa deve andare a favore del settore sociosanitario, che versa nella difficoltà più assoluta.
  Manca il fondo per la non autosufficienza, il pezzo del sociale non c’è, il pezzo del sociosanitario non viene più svolto, il tema della dimissione dopo tre giorni è corretto dal punto di vista di chi gestisce le acuzie, ma non dal punto di vista della presa in carico del paziente. Probabilmente, questo settore è quello sul quale è necessario avanzare una proposta organizzativa seria, così come prevedere nuovi finanziamenti.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Ho avuto modo di conoscere il Ministro pochissimo tempo dopo la sua nomina, ed in quella occasione ha avuto la franchezza di riconoscere il fatto di essere stata appena nominata, chiedendoci un po’ di pazienza; io le risposi, a mia volta, dicendo che anche noi avremmo dovuto richiedere un po’ di pazienza.
  Rispetto alle linee programmatiche che lei ha illustrato, probabilmente scritte dai suoi consulenti e collaboratori, si riscontra davvero una grandissima evoluzione. Non so se lei abbia avuto modo di vedere o ricordare le nostre «contro-linee» programmatiche, ma c’è stato un processo di osmosi interessante. Peraltro, noi prendiamo in considerazione i rapporti universitari più importanti in Italia – quelli OASI e CEIS – con i quali, rispetto al nostro e al programma di tutti gli altri partiti, c’è una convergenza straordinaria. A livello comunicativo, quindi, lei è stata straordinaria, mettendo in luce un 80 per cento di aspetti assolutamente presenti nei programmi di tutti i partiti attuali che hanno provato a immaginare un futuro in materia di sanità.
  Le è mancata però – e questo personalmente, come probabilmente tutto il Movimento 5 Stelle, non glielo perdono – la stessa cosa che è mancata nel corso delle audizioni: nessuno mette mai in luce il problema della corruzione in sanità, che è, da un lato, una corruzione culturale e, dall'altro, una corruzione che ovviamente deriva da tutti questi centri di costo completamente fuori controllo in assenza di programmi di governance assimilati, i quali stanno ad indicare, come lei già ha spiegato, modelli di sanità di iniziativa.
  Abbiamo già avuto modo di riscontrare singolari coincidenze: 15 regioni su 20 non hanno assorbito modelli di sanità di iniziativa ed appare una sostanziale ed incredibile coincidenza il fatto che sono proprio quelle stesse regioni che, a causa della politica regionale, non si assumono la responsabilità di adottare un modello di sanità di iniziativa. Questo è un tema su cui io stesso e molti miei colleghi, tutti della Commissione affari sociali, in particolare la collega Di Vita, abbiamo cercato di sensibilizzare la presidenza delle due Commissioni per l'inserimento di un'audizione in materia di corruzione, ed è un vero peccato che ciò non sia stato fatto.
  Sempre a proposito di programmi convergenti, anche in quello del Movimento 5 Stelle, c’è l'auspicio di una maggiore centralizzazione in materia di organizzazione sanitaria. È ovvio, infatti, che quando la legge n. 328 del 2000, sostanzialmente la grande visione dei i modelli di sanità di iniziativa, ha impattato con la riforma del Titolo V della Costituzione, ha permesso la disgregazione delle organizzazioni politiche e micropolitiche.
  Se ieri in Assemblea ho denunciato che un consigliere regionale del Lazio era stato indagato per una tangente di 2 milioni di euro per le slot machine, figuriamoci cosa possiamo trovare ascoltando semplicemente il procuratore o chi si occupa di indagare in materia di filoni relativi alla sanità, come anche il collega Aiello aveva sottolineato.
  Parliamo inoltre, se è possibile farlo, di mafia a livello di colletti bianchi. Noi abbiamo un sistema sanitario nazionale praticamente finanziato solo al 3 per cento, unico al mondo insieme al Giappone, dalle assicurazioni e per il resto totalmente a carico dello Stato, e in tanti in Italia hanno capito certe dinamiche. Tra gli altri, una delle persone che abbiamo audìto e che a Roma è noto come il «Papa», Walter Ricciardi, nominato il 13 Pag. 24settembre alla III sezione del Consiglio superiore di sanità, praticamente continua a portare ed aggregare dati di tipo europeo completamente fuori dalle visioni e dalle analisi di Tor Vergata, della Bocconi e di chi frequenta tavoli di lavoro in materia di sanità.
  Noi la mettiamo in guardia, allora, rispetto a chi si occupa di medicina preventiva e, fondamentalmente, propone modelli assicurativi per far passare il nostro Paese dal 3 al 15 per cento, come l'Australia o il Canada, che a livello mondiale sono conosciuti come modelli totalmente pubblici, mentre non è così. Siamo noi che abbiamo un modello totalmente pubblico e questo potrebbe rappresentare per lei un grande punto di forza se riuscisse, oltre che a livello comunicativo, a scrollarsi di dosso certi personaggi.
  In audizione, lo stesso Ricciardi si è vantato di aver svolto la funzione di consulente per tanti ministri della salute. Forse è una visione che può essere anche rivista dal momento che i dati sono pubblici, tenuto peraltro conto che la visione che lei ha illustrato oggi è senz'altro più vicina alla nostra di quella del suo consigliere Ricciardi, tanto per citare un piccolo esempio.
  Per quanto riguarda i programmi, la invitiamo a continuare su questa strada e a diffidare degli stakeholders. Nelle corso delle audizioni di questa indagine conoscitiva, ci sono stati presentati dati aggregati in maniera assolutamente parziale e che dimostrano l'assenza di una visione di fondo e di una prospettiva futura. La stessa Elena Cantù, nel rapporto OASI 2012, propone una potente inversione culturale quando sostiene che occorre iniziare a investire in medicina di territorio, in ambulatori, in assistenza domiciliare, tanto più se sappiamo che, ad esempio, le risorse in prevenzioni secondarie nel Lazio, la patria degli ospedali, rappresentano il 70 per cento.
  Quando parliamo di deospedalizzazione, siamo tutti sulla stessa linea ma dimentichiamo il problema del degrado culturale che ha interessato la classe medica. Non è possibile una deospedalizzazione armonica senza una demedicalizzazione. I grandi esperti o coloro che hanno delle visioni in materia di sanità, frequentano troppo questi palazzi anziché cercare di applicare sul territorio le loro visioni. Bisogna piuttosto capire se sia possibile una sanità a basso livello di specializzazione. Con ciò non intendo riferirmi ad una dequalificazione, ma solo spiegare che abbiamo bisogno di figure a bassa specializzazione sanitaria in grado di lavorare in rete sul territorio. Diamo infatti per scontato che le nostre strutture ad alta e altissima specializzazione, come lei ha spiegato con quella famosa metafora del volano della fiducia, possano trarre delle risorse, dei benefìci nel momento in cui il sistema funziona a livello globale.
  Non è la rete ospedaliera, notoriamente collaborativa e relazionata con la casta della politica, a soffrire in questo momento, ma tutte le persone «abbandonate» in case di proprietà che praticamente non hanno una programmazione e un progetto terapeutico individualizzato. Il 40 per cento degli italiani soffre di patologie croniche: non deve recarsi in ospedale per la dialisi, ma in ambulatorio.
  Queste sono solo alcune osservazioni e tanto altro potremmo dire. La invitiamo anche a monitorare il discorso delle isorisorse. A livello epidemiologico, se lei, come ha dichiarato, intende dare forza a questo tipo di ricerche, è possibile iniziare un'analisi a livello di isorisorse poiché il 40 per cento dei residenti in Italia è già diagnosticato con patologie croniche e presenta specifici bisogni.
  Noi siamo collaborativi e rimaniamo a vostra disposizione, ma vi controlleremo come abbiamo fatto fino a questo momento.

  FRANCESCO BOCCIA. Ministro, prima di darle la parola per la replica, vista l'ora non porterò via ai miei colleghi più di qualche secondo. Vorrei solo mettere a fuoco il lavoro svolto sinora e confortare l'onorevole Baroni circa l'impegno collettivo posto in quest'indagine conoscitiva, ritengo condiviso da tutti i presenti.Pag. 25
  Mentre siamo qui, in parallelo il nostro ufficio stampa mi comunica che la nostra collega Castelli, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione bilancio, avrebbe dichiarato in diretta che queste Commissioni sono impegnate nel tentare di dimostrare come la privatizzazione della sanità sia l'unica strada percorribile, accusando indirettamente e in maniera sgradevole le Commissioni stesse e il lavoro svolto. Noi siamo qui a lavorare mentre la collega partecipa a un talk show televisivo, accusandoci indirettamente di aver audìto solo soggetti privati.
  Mentre interveniva l'onorevole Baroni, che ho ascoltato con molta attenzione, mi sono ricordato di tutti i rappresentanti dei sindacati, delle organizzazioni e delle associazioni – cioè di quella parte bassa della piramide, cui faceva riferimento la collega Lenzi, che è stata oggetto di attenzione e di un dettagliato e approfondito confronto, e di una valutazione emersa non casualmente dai centri di ricerca che abbiamo ascoltato all'inizio di quest'indagine conoscitiva.
  Dalla replica del Ministro Lorenzin, che ringrazio certamente anche a nome del presidente Vargiu per l'esaustiva relazione, per la chiarezza delle idee e, soprattutto, per le convinzioni che caratterizzano la visione del Governo sull'evoluzione di uno dei comparti più delicati del Paese, dobbiamo trarre una sintesi efficace per i quesiti che dovremo poi sottoporre al Ministro Saccomanni.
  Penso, infatti, da presidente della Commissione bilancio, che sia finita una stagione.
  La stagione finisce con la relazione del Ministro Lorenzin, che offre una chiara visione della direzione verso cui sta andando la sanità e i risultati di quest'indagine lo dimostrano. Penso che con la definizione dei livelli essenziali di assistenza e dei costi standard e con il richiamo continuo, che anche da noi ha fatto Massicci, nel corso della sua audizione, all'articolo 32 della Costituzione, che dovrebbe costituire una sorta di assunto di fondo ed il cui rispetto non dovrebbe nemmeno essere più oggetto di discussione in Parlamento, si chiuda una stagione che, personalmente, ho vissuto nella fase di ripartenza del 2007, quando vennero ideati i cosiddetti «piani Massicci» – era allora Ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa –, i quali nacquero in un contesto storico che vedeva la spesa sanitaria totalmente fuori controllo.
  Da allora sono trascorsi circa sette anni e credo che ciò che ci ha detto stasera il Ministro sia la dimostrazione di come, paradossalmente, oggi sia tutto invece sotto controllo e non fuori controllo. Ritengo inoltre che il risultato del Consiglio dei ministri di ieri, che ha prodotto per la prima volta un disegno di legge di stabilità, ex manovra finanziaria, che viene licenziata con tagli uguali a zero, sia il punto di ripartenza di una storia che deve essere completamente nuova.
  Alla vigilia della discussione parlamentare sul disegno di legge di stabilità, a mio avviso esistono spazi per intervenire sulla regolamentazione anche in funzione dei risultati che comporterà l'applicazione dei costi standard. Siamo ormai prossimi ed il passaggio in Conferenza Stato-Regioni è in fase molto avanzata. Queste Commissioni e i due rami del Parlamento hanno già con la legge di stabilità l'opportunità di chiudere questa fase storica e di trasformare i risultati cui faceva riferimento il Ministro Lorenzin, che rappresentano la sua visione e quella del Governo, in uno dei passaggi che può consentirci di considerare il 2014 quasi l'anno zero, così come fu l'anno 2007, quando il Ministro Padoa-Schioppa mise un punto fermo a una vicenda connessa alla nostra sanità oggettivamente fuori controllo.
  Stavolta si parla di servizi, di territorio, degli ultimi, dei pendolari della salute, come li definiva la collega Binetti, oltre che di quelli che viaggiano sul Freccia Rossa. La metafora mi è piaciuta molto, era molto efficace. Mi auguro che il contributo sia collettivo e che ci si limiti ai risultati finali anche per le esternazioni da parte dei gruppi parlamentari. Mi rivolgo a tutti i colleghi, di maggioranza e di opposizione, perché ho trovato particolarmente stridente oggi la contrapposizione Pag. 26tra quanto illustrato dal Ministro Lorenzin qui, le valutazioni dei colleghi e un'accusa oggettivamente infamante pronunciata fuori da quest'Aula, mentre quest'Aula lavorava (Commenti dei deputati del gruppo Movimento 5 Stelle). Avevo il dovere di dirlo né voglio far polemiche. Lo farò semmai nella mia Commissione. In qualità di presidente di Commissione, sono stato accusato assieme al collega Vargiu, che non ne è ancora al corrente, di aver favorito attraverso quest'indagine conoscitiva le assicurazioni e il mondo privato: la trovo una scorrettezza. Ho il dovere di dirlo: l'ho trovato sgradevole (Commenti dei deputati del gruppo Movimento 5 Stelle).
  Ho capito che si può fare, ma possibilmente senza accusare il lavoro di queste Commissioni. Lo potete fare in Aula, ma in un contesto esterno ai lavori di queste Commissioni. Lo dico per rispetto al lavoro di queste Commissioni, quindi anche al vostro lavoro (Commenti dei deputati del gruppo Movimento 5 Stelle). Non c’è dubbio e li combatteremo insieme, ma senza affermare che quest'indagine conoscitiva li incrocia. Avevo il dovere di dirlo. Prima della replica del Ministro, concedo la parola ad un rappresentante del gruppo Movimento 5 Stelle per un solo intervento.

  GIULIA DI VITA. Siccome non mi sembra questa la sede adatta per polemiche su posizioni politiche, non volevo assolutamente intavolare un dibattito né chiedere la parola, ma noi portiamo rispetto istituzionale e politico senza ingolfare i lavori di nessuna indagine conoscitiva in nessuna Commissione criticando o citando, ad esempio, dichiarazioni di esponenti di altri partiti, come invece ha fatto il Presidente del Consiglio che, come tutti sapete, ha mentito alla trasmissione Che tempo che fa.
  Non ci siamo permessi di farlo. Lo facciamo nelle sedi opportune, attraverso dichiarazioni e comunicati stampa. Gradirei lo stesso trattamento. Se ci chiedete, infatti, e la richiesta è legittima, il rispetto istituzionale, ovviamente anche noi, da parte nostra, lo esigiamo.
  Se posso replicare nel merito, è la seconda volta che sento, da parte sua, presidente Boccia, male interpretare le dichiarazioni della collega Laura Castelli. L'ultima volta, in Ufficio di presidenza, ha ripetuto lo stesso concetto affermando che nell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale abbiamo rintracciato una certa convergenza, una linea, quasi a volere spingere verso determinate posizioni, come quelle espresse, ad esempio, precedentemente dal collega Gigli sull'utilizzazione delle assicurazioni, sulla spinta verso i privati.
  In quella sede, mi pare di avere capito che lei abbia frainteso questa frase senza neanche dare modo di replicare. A suo avviso, la collega Castelli avrebbe inteso dire che nell'indagine conoscitiva voi fate intervenire i vostri interessi privati e spingete in una determinata direzione. Non intendevamo assolutamente questo, bensì criticare la posizione che, per esempio, in questa sede è stata esposta dal collega Gigli.

  GIAN LUIGI GIGLI. Io non ho parlato di assicurazioni.

  GIULIA DI VITA. Mi riferivo agli istituti privati. È chiaro a cosa facessimo riferimento. Si tratta della nostra posizione politica, quindi chiederei, se possibile, il rispetto delle regole anche nei confronti dell'opposizione.
  Mi pare, tra l'altro, che quello dei presidenti debba essere un ruolo super partes, per cui non mi sembra corretto che critichino o esprimano i propri giudizi sulle posizioni politiche di altri partiti.

  PRESIDENTE. Le assicuro che questo accade, come lei sa. Per restare agli atti, credo che l'emendamento «no Tav» dell'altra settimana in Commissione bilancio rappresenti l'aspetto più evidente. La ringrazio, è stata molto chiara e mi scuso con il Ministro Lorenzin per questo intermezzo, che però ritengo fosse utile per il lavoro di queste Commissioni.

  BEATRICE LORENZIN, Ministro della salute. Spero di riuscire a rispondere a Pag. 27tutte le domande. Devo ammettere che ho perso un po’ il filo, tuttavia mi sono appuntata una serie di questioni.
  Partiamo da una linea di fondo: io non sono un ottimista, sono costruttiva. Come tutti, ho visto la sanità italiana, che era una delle prime al mondo, avviarsi verso un lento declino, e spesso con delle accelerazioni. Non ne sono stata felice, innanzitutto come persona, come utente del Servizio sanitario nazionale, poi come politico ai vari livelli. Quando sono arrivata a ricoprire il ruolo di Ministro – scusate questo siparietto personale – ho sperato di poter fare qualcosa.
  Se non ce la si mette tutta e non si affrontano le questioni anche in un certo modo volitivo, è difficile fare qualcosa, per gli stakeholders nonché a causa di una sovrapposizione di strati che sono diventati cementificati nel nostro Paese, per cui sembra sempre che non si possa fare nulla. In realtà, fortunatamente, con la buona volontà di molti, passo dopo passo qualcosa si fa e si ottengono anche dei cambiamenti, spesso non in modo veloce. Se, però, non si fa nulla, non si cambia mai niente.
  Esistono, inoltre, momenti storici nei quali ci si trova a governare un processo in un momento in cui tutto converge verso un elemento che può significare andare indietro velocemente o andare avanti altrettanto velocemente.
  Qual è stato l'elemento di conversione di questo dato ? Da una parte, il lavoro di cui parlava prima il presidente Boccia, di rimessa in sicurezza, dal 2006 a oggi, del sistema sanitario dal punto di vista finanziario, ha portato finalmente a dei risultati. Se, dopo 22 miliardi di euro di tagli, commissariamenti di quasi tutte le regioni, e Ministero dell'economia e delle finanze praticamente dentro quasi tutte le aziende italiane, non ci fossero stati dei risultati nell'equilibrio di bilancio, allora il pessimismo sarebbe stato totalmente giustificato.
  Dall'altra parte, esiste, a mio avviso, una presa di consapevolezza da parte della popolazione tutta e anche di gran parte della classe politica del fatto che si è arrivati a un punto in cui o avviene una svolta in positivo o il sistema, così come è stato organizzato – parlo dell'organizzazione – non può reggere. Certo, come ho detto, se rimangono solo in due – sembra quel noto film, Highlander – e tutto il resto fallisce, vuol dire che un metodo, un modello, un sistema ha fallito e ovviamente non può valere per tutti. Credo, quindi, che siamo arrivati ad un momento in cui questa consapevolezza rappresenta un patrimonio di tutti e quando ciò accade bisogna portare quella consapevolezza a regime, farla fruttare.
  L'Italia è divisa oggettivamente in due, ma non si tratta solo di nord e sud. In sanità, la distinzione è tra le regioni che funzionano e quelle che non funzionano, spesso è tra città che funzionano e città che non funzionano, anche all'interno di una stessa regione. È, quindi, necessario prendere in mano questa situazione.
  A mio parere, il patto della salute è l'ultimo treno per le regioni italiane. L'ho detto molto francamente anche a loro, quindi credo che non ci sia nulla di male se lo dico qui con grande franchezza a questa tarda ora della sera.
  Dopo tutti i sacrifici di questi anni, infatti, col raggiungimento di un sistema di bilancio che, di fatto, può rimanere così com’è – perché abbiamo toccato veramente il fondo, lo dico all'onorevole Rocco Palese – vi è la necessità di una nuova stagione di programmazione sanitaria.
  Le osservazioni dell'onorevole Binetti sono verissime. Nella precedente legislatura facevo parte della Commissione affari costituzionali e in Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale e abbiamo impiegato cinque anni per elaborare e partorire i costi standard, insieme alle procedure per la responsabilizzazione delle regioni e dei governatori e alla definizione di premi e sanzioni. Ci abbiamo messo cinque anni e quasi altrettanti ne stiamo impiegando per vederli funzionare. È evidente, allora, che il cittadino non può più permettersi attese o di vedere un'asfissia tra il momento in cui è assunta una decisione e quello in cui questa viene realizzata operativamente sui Pag. 28territori. Mi riferisco non solo al cittadino ma al sistema stesso, intendendo per quest'ultimo gli operatori, le strutture, la nozione di competitività, in considerazione anche degli spostamenti. Andare dalla Calabria a Milano rappresenta un depauperamento terribile del territorio calabrese, ma comunque rimane tutto in Italia, ce la giochiamo in casa. Non sto giustificando questo fatto, sto solo citando un esempio paradossale. Certo però che, se dalla Calabria si va a Zurigo, a Monaco o a Vienna, cambia tutto e, oltre a essere un depauperamento terribile, ciò rappresenterebbe un depauperamento del territorio nazionale e delle nostre risorse.
  Ricordiamo, infatti, che il sistema viene pagato con i nostri tributi, con le tasse, e le regioni in piano di rientro, onorevole Aiello, lo pagano ancora di più. Sono cittadina di una regione in piano di rientro e il mio IRPEF parla da solo, così come le tasse aggiuntive.
  Non si tratta dunque di un ottimismo della volontà o di un certo candore, ma di volere in modo testardo cercare di sfruttare al massimo un momento a mio avviso favorevole, dal punto di vista storico, per raggiungere un risultato che poi rimarrà e, soprattutto, aprire un dibattito serio anche per cercare di comprendere cosa faremo di alcuni provvedimenti e quali decisioni assumeremo nei prossimi anni rispetto ad alcune questioni.
  Una di esse, quella dei ticket e della compartecipazione alla spesa, è stata qui affrontata. È vero, erano state proposte varie iniziative, come quella di una franchigia o quella di un collegamento all'ISEE, in modo da renderli equi, nel rispetto dell'articolo 32 della Costituzione, secondo la cui la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti.
  Quando dai dati mi rendo conto che gli esenti dal ticket in alcuni territori raggiungono l'80 per cento della popolazione, mi viene in mente qualcosa a proposito di corruzione culturale. Credo che non dovremmo lasciar svolgere questo lavoro solo al MEF, ma riappropriarcene anche nelle sedi parlamentari, come questa che vede riunite le Commissioni bilancio e affari sociali.
  Venendo agli affari sociali, pensate a cosa è successo negli ultimi anni. Il Ministero della salute era scomparso, era stato eliminato. A un certo punto, si è pensato che in Italia la gestione della salute e del diritto alla salute fosse in capo alle regioni e al Tesoro. La funzione del Ministero della salute è stata vissuta, per una fase, come uno spreco. Poi ci si è resi conto che non era così, che le competenze di valutazione del sistema della salute sono diverse. Ciò non vuol dire che non debbano essere integrate, ma solo che sono diverse.
  Credo che la riforma del Titolo V della Costituzione vada affrontata con coraggio – lo sostenevo già da parlamentare e non ho cambiato idea – e con realismo, rinunciando ad un'impostazione ideologica e ricorrendo invece ad un'impostazione pragmatica, che ci permetta di risolvere i problemi sul campo che sono via via maturati, senza che nessuno si senta ferito perché c’è un problema piuttosto che un altro. Noi siamo i decisori e come tali dobbiamo affrontare i nodi venuti al pettine dopo aver realizzato alcune cose. Forse è necessario non tanto tornare indietro, quanto andare avanti.
  Cito taluni esempi che ho vissuto proprio nella mia esperienza pratica di Ministro: vi sembra normale che le epidemie possano essere gestite a livello regionale ? Le epidemie sono un fatto di interesse nazionale, di sicurezza pubblica, che hanno bisogno di velocità di decisione, tempestività di azione. Secondo voi, i virus girano secondo i tempi della burocrazia ? Non è possibile. Esistono, allora, questioni, come quella dell'igiene e del contrasto alle epidemie, che non coinvolgono solo le persone ma investono, soprattutto, l'ambito veterinario.
  Non dimentichiamo che le epidemie nel settore veterinario impattano sul sistema agricolo e sulla filiera agroalimentare in Italia per un valore di miliardi e miliardi di euro: con un virus ci bruciamo mezzo punto di prodotto interno lordo.Pag. 29
  Un altro tema molto delicato è quello del rapporto tra ambiente e salute, che sta diventando sempre più una questione nazionale, laddove il Ministero è chiamato ad effettuare valutazioni approfondite. Il Ministero non ha competenze, può intervenire in seconda o terza battuta, ma non ha neanche più le risorse per farlo.
  Vi è poi la questione inerente la politica farmaceutica: la politica sulla distribuzione del farmaco è, a mio parere, una politica nazionale. Occorre cioè garantire, ex articolo 32 della Costituzione, che un farmaco innovativo sia presente a Cosenza come a Milano.
  Ho citato alcuni esempi per dimostrare che si deve analizzare con intelligenza, senza toccare il potere di governance delle regioni, e capire chi fa che cosa, in modo che non lo si debba fare due volte, sprecando risorse, e soprattutto, più che creare conflitti di competenze incomprensibili per le persone, in particolare quelle coinvolte nei processi decisori che riguardano la salute, e c’è chi sta male, occorre offrire risposte immediate ed efficaci.
  Questo non è un lavoro – ritorno a chi mi ha giustamente provocato – che possa essere svolto da un ministro. Noi stiamo facendo un dibattito ora, ma questo è un lavoro del Parlamento. Non siete turisti qua dentro; siete chiamati, nei prossimi mesi, a fare la più importante riforma dello Stato che sia mai stata realizzata, una riforma complessiva dell'assetto strutturale dello Stato, tra cui anche il Titolo V della Costituzione.
  Credo, quindi, che tenere il dibattito a un livello alto e il più possibile disinteressato e, se permettete, per quanto riguarda il comparto che ci interessa, ancorandolo a una lettura dei dati obiettiva, possa soltanto aiutare tutti e renderci tutti fieri di essere stati parte di un processo decisionale così importante. In questo sono un ottimista, anzi una sognatrice, ma fa anche un po’ bene avere una dimensione del sogno.
  Un'altra questione riguarda proprio il rapporto tra il MEF e le regioni, i territori: senz'altro c’è stato di fatto, progressivamente, un affievolimento dei processi federalisti, in cui alla fine si è intervenuti sui vincoli di bilancio e attraverso questo si è ripreso in mano alcuni processi. Questa non può essere, però, la prassi. Denota uno stato di emergenza, che non può diventare abitudine, ma deve trasformarsi in qualcosa che ci permetta di operare i cambiamenti necessari.
  Bisogna, però, responsabilizzare i livelli locali e chi assume le decisioni, non è che poi arriva il commissario. Tra l'altro, tutta la parte sui LEA è prevista dalla legge. I commissari erano nati originariamente come due, il Ministero potrebbe ancora oggi in teoria – nella prassi non è stato così – fare un commissariamento per i LEA. È uno degli elementi che stiamo discutendo e che forse dovremmo valutare proprio nel patto della salute.
  Nella relazione sono presenti molti aspetti, ed altri ve ne fornirò, anche se dovrebbe essere già tutto reso pubblico, perché il lavoro del patto, in questa fase, è molto interessante, dal momento che esso entra nello specifico di diversi punti, molti dei quali sono stati toccati anche da voi, tra cui tutta la questione del personale, delle scuole di specializzazione e dell'individuazione dei fabbisogni reali. Noi continuiamo, infatti, a compiere valutazioni sulle scuole di specializzazione senza avere un'analisi dettagliata dei fabbisogni per specialità dei prossimi anni. Anche qui il dato si può falsare. C’è dunque tantissimo lavoro da fare anche da parte del Parlamento.
  Per quanto riguarda l'aggressione del problema, più che aggredirlo così, non so in quale altro modo poterlo fare. Lo stiamo però scandagliando, cercando di arrivare fino in fondo e c’è un elemento in più, nel senso che, con riferimento al richiamo che è stato fatto alla trasparenza dei dati, fortunatamente oggi esiste un sistema grazie al quale i dati sono fruibili da tutti.
  La fruizione dei dati e la valutazione del Programma nazionale esiti, che va per prestazioni e anche per decessi, permette a ognuno di noi di entrare dentro la singola azienda e dentro il singolo reparto e lì non si mente. Se il lavoro di un sub Pag. 30commissario, di un direttore, di un dirigente sanitario o di un primario non è stato appropriato, si vede.
  Questa cosa ha destato molte resistenze. Quando ho parlato del trip advisor della sanità, che era un modo divulgativo per spiegare un concetto dal momento che non mi veniva un altro nome – non ho un creativo che mi aiuti – non sapete le resistenze che ci sono state, perché vi si è guardato ovviamente con paura, mentre non bisogna avere timore della trasparenza, che permette anche di valutare il merito.
  A proposito dei bravi dirigenti, io ho chiamato quelli che hanno conseguito i maggiori risultati in Italia. Ovviamente, non li posso pagare, ma per fortuna sono felici della gloria di essere chiamati al Ministero. In realtà, infatti, nel mondo della salute ci sono ancora elementi gerarchici. Molte delle cose di cui vi parlo non sono frutto della fantasia del ministro, ma di dati, di analisi delle maggiori università, del MEF, di AGE.NA.S. e delle best practice che mi sono state portate da aziende straordinarie, che hanno realizzato risultati veramente positivi anche in territori degradati. Questo per dire che la governance fa la differenza.
  Inoltre, sto immaginando – questo sì è un po’ visionario, quindi devono dirmi se è realizzabile – anche misure diverse per realizzare una sorta di controesodo dei medici e degli operatori, cioè un ritorno nelle regioni del sud. La maggior parte dei più grandi medici e professori che lavorano, non solo all'estero ma anche in Italia, nelle regioni non in piano di rientro, vengono da regioni che, purtroppo, hanno un elemento interno di valutazione del sistema negativo. Ma di questo avremo modo di parlarne ancora.
  Per quanto riguarda la questione della corruzione, non ne ho mai parlato in modo diretto, ma il problema della legalità è affrontato nel documento. Sono stata talmente presa dai fronti aperti in questi mesi, che non c’è stata l'occasione di soffermarsi specificamente su questo argomento, che però considero interdisciplinare, parte di tutte le decisioni che noi assumiamo.
  Oltretutto, dietro la maggior parte dei casi di malasanità esiste una corruzione diretta, indiretta o, come è stata anche definita, in questa sede, culturale. Più che corruzione, la definirei un humus culturale che favorisce la malasanità e il disservizio piuttosto che il servizio. Tale tematica costituisce quindi una delle parti principali del progetto sulla trasparenza e sull’open data, proprio perché quando è consentito accedere ai dati è possibile farsi un'idea più chiara.
  Qualora, però, il Parlamento istituisse una Commissione ad hoc su questo argomento, o semplicemente si organizzasse un convegno, una conferenza o un workshop diverso da quello istituzionale di una Commissione, sarò molto contenta di potervi partecipare e di poter portare anche un contributo.
  Un altro aspetto che è stato sollevato è quello dei pregiudizi sul sistema sanitario. È pieno. Con le pochissime risorse a disposizione del Ministero della salute, oramai ridotte all'osso, sto cercando di far pubblicare tutti i dati che abbiamo sul sito, ma non solo i nostri: le relazioni di AIFA, di AGE.NA.S., del Centro nazionale trapianti, i cui dati sono assolutamente attendibili e smontano anche alcuni pregiudizi. Quando ho avviato la discussione contro i tagli della sanità, mi sono trovata di fronte interlocutori che conoscevano poco il settore sanitario, un pregiudizio enorme. Nell'immaginario collettivo, si è infatti rimasti alla dimensione del 2006-2007, non capendo quanto è stato fatto.
  Non è vero che le operazioni di cassa sono rimaste le stesse. La spesa sanitaria prevista per quest'anno era di 112 miliardi e 393 milioni di euro ed è stata invece di 107; per il 2015, la previsione del tendenziale era di 120 miliardi di euro e sarà di 113. Questa non è teoria, è cassa: vuol dire che si è affrontata nel comparto farmaceutico d'emblée una spesa che vale miliardi e miliardi di euro. Stavo cercando di Pag. 31fare il conteggio, ma sicuramente siamo sopra gli 8 miliardi nel giro di pochissimi anni.
  Mi è stato chiesto di controllare la spesa territoriale farmaceutica e vi faremo pervenire questi dati, ma in realtà la spesa territoriale è assolutamente dentro i parametri, è stata molto stretta, e quindi è rimasta sotto controllo; la spesa che è andata fuori controllo e che ha sforato tra i 4 e gli 8 punti percentuali è quella ospedaliera, che ha sforato per due motivi.
  Anzitutto, forse era stata anche calcolata un po’ troppo al ribasso: stabilendo un tetto iniziale bassissimo, è poi difficile riuscire a mantenere le prospettive. Ho letto le relazioni tecniche allegate all'epoca, quando venne definita, e tutte le analisi tecniche affermavano che il tendenziale a cui era stata ancorata era troppo basso. Tra l'altro, signori, i farmaci che trovate negli ospedali, e cioè i farmaci per le malattie rare, per i chemioterapici, costano. La territoriale spesa, invece, si è mantenuta negli standard anche grazie, ad esempio, a un maggiore aumento dei farmaci generici.
  L'altro motivo è nella distribuzione dei farmaci ospedalieri. La rete di distribuzione è a maglie troppo larghe e su questo elemento si sta già lavorando, ma lavorare su dati effettivi credo sia estremamente importante, anche per voi.
  I costi standard non impatteranno in modo esiziale sulle regioni del sud, perché non riguardano solo per il costo della famosa siringa, ma la spesa ospedaliera in generale. Ci permetteranno, però, di avere parametri più oggettivi, e quindi più valutabili.
  Sono d'accordo sul fatto che non si possa standardizzare tutto, soprattutto nel nostro territorio nazionale; tuttavia, tra non standardizzare tutto e non standardizzare niente esiste una via centrale, che si può cavalcare con un certo buonsenso.
  Tra le specificità del territorio italiano sono state giustamente richiamate le differenze esistenti non solo tra nord e sud, ma anche tra pianura e montagna. In relazione alle aree montane, gli aspetti legati all'erogazione dei servizi e alle funzioni di pronto soccorso sono molto importanti. Le farmacie che fanno servizio in aree rurali, ad esempio, sono al limite del sostentamento perché, ovviamente, non hanno l'afflusso di persone e il mercato tipico di altre farmacie. Nell'immaginario collettivo, quindi, si vede la farmacia in un certo modo ma poi, a misurare la realtà effettiva nei territori, la situazione cambia moltissimo.
  Le differenze esistono anche per quanto riguarda le isole. La Sardegna ha una sua dinamicità tutta particolare e problemi logistici, come del resto anche la Calabria presenta un problema molto serio, essendo tutta percorsa da montagne per cui un intervento d'urgenza non può essere realizzato senza elicotteri. Esistono pertanto specificità di cui occorre assolutamente tenuto conto. Non sono, quindi, a favore della standardizzazione di tutto, ma per omogeneizzare il più possibile i processi, i procedimenti e i manuali di controllo. Ovviamente, bisogna tenere conto delle specificità, il che è sempre stato una nostra caratteristica.
  Ribadisco che nessuno vuole mettere in discussione l'articolo 32 della Costituzione e l'universalità del servizio. Intuisco il modo in cui ragiona il DEF sulla compartecipazione della spesa, su un'idea di riorganizzazione dei ticket, credo tuttavia che per lo più la domanda che dobbiamo porci sia un'altra, al di là delle questioni del DEF.
  Nel futuro, si verificherà la situazione che abbiamo già descritto per quanto riguarda il trattamento della longevità, uno scenario sociale molto diverso. Dall'altra parte, avremo farmaci sempre più costosi. Diciamo quello a cui non possiamo rinunciare: io dico che non possiamo rinunciare a un aspetto che rende l'Italia un luogo unico, per cui chiunque di noi può essere curato con cure che valgono milioni di euro, cosa che non accade in altri Paesi.
  Dobbiamo garantire a tutti l'alto livello di prestazione e poi lavorare in modo intelligente sugli screening, sui territori, sull'attività di prevenzione, per cercare di ridurre l'impatto del costo della sanità sull'altro livello, cioè su quello che non è Pag. 32così e che, però, tenderà a essere sempre più alto, sempre più costoso per il livello di tecnologie di cui, fortunatamente, possiamo disporre.
  Dobbiamo, però, porci queste domande per tempo, non per dare una risposta da qua a cinque anni ma per progettare un sistema che possa garantire a tutti l'accesso alle cure, dal più indigente a chi non lo è, nei prossimi 20 anni. Bisogna rendere il sistema equo e sostenibile, questa, almeno, è una questione che mi pongo.
  L'altra questione riguarda la non autosufficienza che, paradossalmente, non è una mia competenza, ma di cui avverto molto il carico. In questo mi riallaccio alla questione che avete sollevato e che ritengo essenziale, in base alla quale non si può immaginare l'assistenza divisa dalla salute, dalla cura. Prima di incontrare gli assessori d'Italia alla salute, ho incontrato gli assessori al sociale. Li ho ricevuti con grande piacere e mi hanno descritto i loro problemi nei vari territori, abbandonati un po’ tutti a se stessi. Credo che questo sia un tema su cui il Parlamento può darmi oggettivamente un grande aiuto.

  PRESIDENTE. Ringrazio i valorosi colleghi che sono rimasti fino a quest'ora e, ovviamente, il Ministro per la presenza di oggi, anche a nome del presidente Boccia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 23,40.