XVII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 16 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI D'ARMA DESTINATI ALLA DIFESA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI DICEMBRE 2013

Audizione di rappresentanti di Finmeccanica.
Vito Elio , Presidente ... 3 
Cicu Salvatore (PdL)  ... 3 
Villecco Calipari Rosa Maria (PD)  ... 4 
Marantelli Daniele (PD)  ... 4 
Frusone Luca (M5S)  ... 5 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 6 
Marcolin Marco (LNA)  ... 6 
Vito Elio , Presidente ... 7 
Pansa Alessandro , Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica ... 7 
Vito Elio , Presidente ... 13 
Pansa Alessandro , Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica ... 13 
Vito Elio , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ELIO VITO

  La seduta comincia alle 15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta televisiva sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Finmeccanica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, l'audizione dei rappresentanti di Finmeccanica, che ringrazio per essere tornati.
  Come sapete, alla luce dei rilevanti spunti di riflessione emersi in occasione dell'intervento svolto dal dottor Alessandro Pansa, in occasione dell'audizione del 26 settembre scorso, la Commissione ha valutato opportuno procedere allo svolgimento di un'ulteriore audizione di rappresentanti di Finmeccanica.
  Le modalità di svolgimento di quest'ulteriore audizione sono state decise dallo scorso Ufficio di presidenza nel quale si è stabilito di procedere prima a dare la parola ai colleghi rappresentanti dei gruppi perché rivolgano delle domande in merito all'audizione della volta scorsa e comunque con attinenza all'oggetto della nostra indagine conoscitiva e, poi, al dottor Pansa che potrà rispondere ai colleghi.
  Ringrazio il dottor Pansa per la disponibilità che ha mostrato a tornare presso la nostra Commissione. Rivolgo, dunque, un saluto e do il benvenuto, oltre che a Lui, alla sua delegazione, composta dal dottor Francesco Lalli, direttore dei rapporti istituzionali, dal dottor Lorenzo Nardelli, responsabile dei rapporti con il Parlamento, dal dottor Roberto Alatri, capo ufficio stampa, e dal dottor Angelo Bonerba, media advisor.
  Avviso preventivamente i colleghi che i lavori d'Aula riprenderanno con votazioni alle ore 16.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SALVATORE CICU. Ringrazio i rappresentanti di Finmeccanica per il contributo che hanno voluto offrirci nella precedente sessione. Formulerò una riflessione molto sintetica e alcune domande.
  Abbiamo necessità di capire un po’ di più rispetto al programma F-35. Naturalmente Lei si è soffermato anche su questo aspetto con riferimento anche ad alcune domande – ma mi interesserebbe, come credo interesserebbe a tutta la Commissione, capire alcuni aspetti.
  Volevo sapere alla costruzione di quali parti dei 90 velivoli che l'Italia acquisterà, partecipiamo, oppure se partecipiamo a un programma che va oltre questi 90 e si riferisce a quello che ha una dimensione internazionale. In sostanza, qual è la proiezione nel tempo e quale evoluzione, quale sviluppo ha ?
  Infatti, con riguardo a Cameri, abbiamo sentito parlare di diversi numeri: 6.000, 10.000, 20.000. Siamo interessati a capire, o almeno io, non solo in maniera specifica Pag. 4quello che riguarda Cameri, ma anche quale ritorno in termini complessivi avrà questo programma per Finmeccanica e per il sistema industriale italiano. Diversamente, ci soffermeremmo solo parzialmente su alcuni punti e non su altri.
  Mi interesserebbe anche capire se esistano contratti a cui dobbiamo adempiere e in che modo dobbiamo farlo. Sono gli stessi contratti ? Sono già in essere o in corso contratti che pongono aspetti penalizzanti, ossia sanzioni, così come spesso è stato negato o, da qualcun altro, affermato ? Sono questioni centrali, nevralgiche, anche rispetto alla comprensione da parte della Commissione in ordine a un progetto di questo tipo.
  Inoltre, si tratta di una scelta da voi considerata strategica ? Perché ? Lo è in ordine ad altri progetti, ad altri programmi già in essere ? Cosa costituiscono, quindi, come alternativa prioritaria rispetto agli obiettivi del sistema industriale, ma anche delle nostre Forze armate italiane ?

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Ho alcuni quesiti da porre al nostro gentile ospite.
  Innanzitutto, vorrei anch'io, correlandomi a quanto diceva il collega Cicu, alcune specificazioni sul programma F-35. Il costo dell’F-35 a oggi, secondo Lockheed Martin, è di circa 108-110 milioni di dollari. Saremmo, quindi, intorno ai 90 milioni di euro per ogni velivolo. Poiché l’F-35, che è un cacciabombardiere, ovviamente come sistema integrato monta missili e questi non sono compatibili con quello montati sull’Eurofighter, qual è effettivamente, a vostro avviso, il costo finale dell’F-35 ? Certo, non possiamo mandare il pilota munito di una Beretta, per cui compriamo il cacciabombardiere e, nel frattempo, non avremo le risorse per comprare quello che ci montiamo.
  Inoltre, quale capacità abbiamo di costruire ciò che andrà montato sull’F-35 come armamenti ? Abbiamo anche, oltre all'assemblaggio della fusoliera, una compartecipazione sul motore, per quanto attiene Piaggio, Avio e Alenia ? Siamo in grado di contribuire con un valore aggiunto o questo sarà un ulteriore costo che per ogni unità peserà sul bilancio di questo Paese ?
  Purtroppo non ero presente, ma ho potuto leggerle perché depositate in Commissione, e ho notato che in una slide, in particolare, si parla degli investimenti per la difesa e, relativamente agli investimenti della Difesa più quelli del MISE, che abbiamo una serie di principali programmi indicati in termini totali. Tra questi, c’è l’Eurofighter.
  La prima domanda è un dettaglio, ma non irrilevante forse: nel totale indicato nella lastrina intitolata «focus sull'Italia», quanto pesa l’Eurofighter tra questi principali programmi ? Qual è l'incidenza percentuale dell’Eurofighter ? È un dettaglio, ma mi interesserebbe capire.
  Inoltre, tra le vostre richieste, che ho visto in un'altra lastrina, affinché il Governo rappresenti le opzioni strategiche di Finmeccanica al Consiglio europeo, non ho letto nulla a proposito del Consorzio europeo Eurofighter: cosa pensate di questo progetto, considerando che nel Consorzio sono state potenziate le possibilità di un velivolo di quinta generazione di attacco al suolo ? L'industria italiana pensa ancora di parteciparvi ? Chiederà al Governo di esprimersi in tal senso anche nel Consiglio europeo ? Oppure, pensa, al contrario, di restare margine o addirittura di sfilarsi dal Consorzio ?

  DANIELE MARANTELLI. Cercherò di rispettare l'invito del presidente Vito a stare il più possibile agganciato al tema in oggetto, rivolgendo quindi al dottor Pansa poche domande, tenendo conto e ringraziandolo dei dati che ci ha fornito la volta scorsa, segnatamente in relazione all'aereospazio. Ricordo bene, infatti, che sono stati forniti dati puntuali: 4.243 milioni di euro di ricavi di Agusta Westland, se non ricordo male; 2.974 per il gruppo Alenia. Sarebbe sempre saggio partire da questi dati fondamentali. Diversamente, quando parliamo di crisi economica e di come Pag. 5uscirne, faremo fatica a capire da dove partire per comprendere quali sono gli asset fondamentali su cui lavorare.
  Ora, a queste due realtà, complesse, presenti nell'insieme del Paese, che hanno proiezione internazionale – noto, ad esempio, che la sede di Agusta Westland è in Olanda – agli stabilimenti, rispettivamente, di Venegono e di Cascina Costa, è intenzione del gruppo garantire autonomia progettuale oppure no ?
  In relazione agli F-35, sono già state rivolte parecchie domande l'altra volta ed è interessante capire quale sia il peso strategico del nostro Paese in questa vicenda rilevante che richiama importanti scelte anche di politica estera e di alleanze in politica estera. Quali ricadute avrebbe per il nostro Paese, ovemai si decidesse di uscire da questo progetto ? Come ritenete che da parte nostra si debba andare al Consiglio europeo, tenendo conto dell'opzione che qui è stata da altri sollevata dell’Eurofighter ? Vorrei capire se avete un giudizio in questo senso molto chiaro in ordine alla complementarità delle due presenze italiane o c’è un'alternatività nel nostro Paese nell'uno o nell'altro campo.
  Anche se indirettamente collegato al tema – l'avevo detto informalmente al dottor Pansa alla fine della prima audizione, ma credo sia giusto farlo anche formalmente qui – grazie alla legge n. 808 del 1985 siamo riusciti a finanziare un addestratore come l’M346. Credo che fu una scelta saggia da parte dei governi italiani di allora. Probabilmente, la più semplice a quel tempo sarebbe stata quella di comprare, con vantaggi, un'altra macchina e un altro prodotto. Credo sia stata una scelta lungimirante e oggi siamo in grado, nonostante alcune tribolazioni, di avere una macchina tra le migliori al mondo, sicuramente la migliore in Europa.
  Mi chiedo, allora, e vi chiedo se ci sono le condizioni, se sì quali, quali gli ostacoli da superare, affinché questo gioiellino possa diventare l'addestratore europeo, tenendo conto che abbiamo capito che, se ci poniamo la domanda se sia meglio acquistare un cacciabombardiere o costruire una scuola o un ospedale, la discussione è già finita.
  Il tema vero è come riusciremo ad abbattere le spese per la difesa recuperando risorse attraverso una politica comune di difesa in Europa. Anche il senso della domanda sull'addestratore sottende, chiaramente, la consapevolezza che, se la macchina deve essere italiana, è chiaro che dovrà esserci qualche contropartita per i francesi, per i tedeschi, che la scuola si farà in Francia, non so.
  Mi piacerebbe ricevere qualche indicazione precisa al riguardo, tenendo conto che parliamo di un settore che ormai ha formidabili ricadute sul civile, come dimostra l'ultimo contratto stipulato da Agusta Westland con i cinesi.

  LUCA FRUSONE. Anche la mia domanda verte sul discorso degli Eurofighter (EFA). Finmeccanica ha una percentuale cospicua nel progetto, circa il 36 per cento, e questo comporta anche un'attività di progettazione e di sviluppo e, quindi, un notevole investimento nella capacità del nostro personale. Mi riferisco soprattutto agli ingegneri.
  Considerando che non ci sarà più l'acquisto di una tranche per quanto riguarda gli EFA proprio per acquisire, invece, gli F-35, ci chiedevamo quanti saranno i posti di lavoro di ingegneri che andranno persi a causa di questa scelta di Governo. Lei ci aveva spiegato, appunto – leggo perché non ricordo molto bene la cifra – che espellere un ingegnere di 45 anni ci costa circa 1,5 milioni di euro.
  L'altra mia domanda si ricollega al discorso dell'addestratore M346. Facciamo fatica a vedere l’F-35, benché definito come multiruolo, impiegato in ruoli che possono essere svolti molto meglio da un'accoppiata M346 ed EFA, anche più vicini alla nostra concezione dell'articolo 11 della Costituzione e della concezione di difesa che l'Italia si dovrebbe dare. Lei come giudica questa scelta rispetto all'acquisizione e all'impiego «strategico» degli F-35 per l'Italia ?Pag. 6
  Ci sarebbero molte altre domande, ma per adesso mi fermo qui.

  PAOLO BOLOGNESI. Nella scorsa audizione Le ho chiesto un parere su una legge che regoli le compensazioni industriali militari e ponga un freno all'aumento dei prezzi incontrollato degli armamenti. Lei mi ha risposto che la compensazione non è più di moda, che i Paesi emergenti vogliono che investiamo in tecnologia e che non esistono regole contrattuali con la Pubblica amministrazione, la quale non ha la possibilità di far lievitare i prezzi dei contratti senza puntuali verifiche delle motivazioni per cui questo succede.
  A mio parere, il problema non è quello di far lievitare i prezzi di contratti giustificando questo con la verifica delle motivazioni. Il punto è piuttosto quello di evitare uno spreco di denaro pubblico. Se il programma di armamento costa una certa cifra, deve rimanere quella fino alla fine, a meno che non ci siano percentuali sicure di aumenti.
  Inoltre, vorrei precisare che la mia domanda sulle compensazioni industriali militari, di cui sarebbe necessario prevedere una percentuale e attivare un controllo sull'effettivo scambio acquisto/compensazioni, contemplava anche, ed è ovvio, l'investimento in tecnologia. Vorrei, quindi, approfondire la sua opinione sulla possibilità di prevedere strumenti normativi che blocchino programmi di armamenti i cui costi continuano a lievitare con o senza motivazioni e di vincoli più stringenti nel valutare le scelte di investimenti secondo i criteri di efficienza.
  Nell'audizione che la Commissione ha svolto lo scorso 1 ottobre, il dottor Francesco Vignarca, della Rete Italiana per il disarmo, ha illustrato, tra l'altro, i punti critici in merito al settore della spesa militare del mercato del sistema d'arma riguardo agli F-35 e ha affermato che, in termini di politica industriale, per il trasferimento di tecnologia e per l'impatto occupazionale i risultati sono ancora scarsi e molto distanti dalle previsioni iniziali, sulla base delle quali sono state stabilite le modalità di partecipazione al programma, rivelando ancora la scarsa affidabilità della programmazione dei costi effettivi di tale sistema d'arma.
  In sostanza, se dovessero essere in linea con le previsioni del Parlamento canadese, i costi di esercizio e manutenzione saranno superiori a 30 miliardi di euro. In 30 anni, quindi, il programma F-35 costerà ai cittadini italiani circa 45 miliardi di euro. Vorrei una sua opinione al riguardo, ma anche più in generale un'analisi dell'attuale sistema della programmazione dei costi effettivi di sistemi d'arma. Vorrei anche capire come sia possibile renderlo più efficiente in termini di valutazione e programmazione iniziale dei costi.
  Nella prima audizione, Lei ha anche affermato che Finmeccanica è in troppi settori. Alla luce del riordino di tutto il sistema militare che il Parlamento sta discutendo, vorrei sapere quali sono i comparti che Lei ritiene non più strategici e che Finmeccanica potrebbe decidere di eliminare anche in vista della riorganizzazione e incremento dei propri investimenti nei settori dell'aeronautica, dell'aerospazio e della difesa.
  Infine, nell'ambito degli assetti industriali, al momento sono tutt'altro che definiti, il tema riguarda sia le cessioni, sia la natura delle acquisizioni. Solo per citare un esempio, Avio, che ha un ruolo anche nel militare, come definirà gli assetti proprietari di questa struttura ?

  MARCO MARCOLIN. Sono qui da cinque mesi e sento parlare sempre di F-35 e più se ne parla, più ciò mi crea confusione in testa. Chiederei se può fornirci una scheda con dei dati precisi, in modo che definiamo meglio la questione e possiamo sapere se si tratta di 40 milioni di euro per aeroplano o novanta. Così, li leggeremo per buona pace di tutti. Sappiamo un po’ tutti come la pensiamo sugli F-35.
  Ciò che mi preme, invece, chiedere al dottor Pansa è come Finmeccanica intenda procedere all'esterno. L’F-35 è una macchina da guerra, come ne possiamo acquisire Pag. 7o vendere o realizzare. Mi spiegherà poi se la realizziamo in parte, tutta, come, se la manuteniamo e basta, ma con riguardo a quanto ruota intorno all’F-35, ricerca, rotte, spazi aerei, soprattutto internazionali, dove viaggiano e si intersecano queste macchine – penso che il problema cielo sia importante negli anni a venire per ciò che riguarda sia l'aviazione militare sia quella civile – vorrei capire se il settore ricerca di Finmeccanica è in grado di fornire queste risposte. Mi riferisco, ad esempio, agli aerei senza pilota che saranno interessati per ciò che riguarda il monitoraggio di coste, mari, e quant'altro, ma anche per la costruzione stessa, soprattutto per ciò che riguarda la sicurezza dei voli.
  Quanto alla SELEX, da voi controllata, e alla nostra fornitura di sistemi di radar su tutte le coste, chiedo se i nostri ingegneri stanno creando i presupposti per portare ad un avanzamento di questi sistemi. Credo che le commesse che noi oggi abbiamo in seno alla Finmeccanica abbiano un periodo determinato, uno, due, tre anni, per garantire anche i posti di lavoro. Su questo verte la mia domanda iniziale se il settore ricerca non sia da ritenersi primario piuttosto che la costruzione del semplice mezzo d'arma.
  Inoltre, in relazione al settore della difesa e della sicurezza, qual è la vostra opinione sul discorso degli armamenti per le attività produttive ? Che sinergia si è creata tra voi e la Commissione europea su questo settore ?

  PRESIDENTE. Visto l'interesse che ha suscitato l'audizione, do la parola al dottor Pansa per la replica.
  Naturalmente, tutto il materiale che metterà a disposizione dalla Commissione, per il quale La ringrazio, sarà distribuito ai colleghi e resterà agli atti.

  ALESSANDRO PANSA, Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica. Ringrazio il presidente, tutti gli onorevoli presenti e anche chi ha rivolto le domande.
  Ricordo che nell'audizione del 26 settembre fu chiesta una serie di informazioni più precise in merito al tema dell’F-35 e anche una scheda scritta, che abbiamo diligentemente prodotto e ora consegno alla Presidenza.
  Mi auguro che in essa possiate trovare alcune delle risposte alle numerose domande. Proverò, comunque, a rispondere in modo che, una volta date queste risposte, senz'altro la scheda potrà integrare e a mia volta potrò integrare le ulteriori domande qualora quanto avrò detto non sia stato ritenuto soddisfacente.
  Siccome l’F-35 ricorre nelle domande di tutti i presenti, intenderei, se mi consentite, rispondere in una volta sola, dopodiché avrete la gentilezza di dirmi a cosa non ho risposto. Potrò, poi, cercare di integrare quelle informazioni che non ho fornito nella mia esposizione generale.
  Cominciamo col dire che dell’F-35 non ci si sta occupando da oggi. Chi mise la prima firma sulla storia dell’F-35 nella storia di questo Paese ? Beniamino Andreatta, Ministro della difesa nel 1998 (commenti dell'onorevole Cicu).
  Proverò a rispondere anche alle sue domande, onorevole Cicu, e spero che le mie risposte siano almeno in parte soddisfacenti rispetto al suo interesse.
  L’F-35 è stato una scelta compiuta alla fine del secolo scorso in merito a un sistema di pianificazione della difesa fondato, come noto, sull'idea di disporre unicamente di due sistemi di volo. Uno era l’Eurofighter, l'altro era l’F-35, sostituendo con circa 131 F-35, quello era il numero dell'epoca, i circa 250 o 260 aerei da mandare in pensione, i Tornado, gli AMX e così via.
  A tal fine – so che lo sapete, ma è bene ricordarlo – sono state in questo Paese poste in essere tre cose: è stato investito circa un miliardo di euro in attività di training o, comunque, di partecipazione al programma tra il 1998 e il 2007-2008; è stato costruito un incrociatore a tutto ponte, la nave Cavour, per accogliere degli aerei a decollo verticale, l'unico modello dei quali esistente è l’F-35 una volta andati in pensione i sei aerei attualmente presenti sull'incrociatore Garibaldi; è stata costruita, nel sito di Cameri dell'Aeronautica Pag. 8militare italiana, la FACO, l'area produttiva dotata di tutte le caratteristiche ritenute necessarie da Lockheed Martin a questo riguardo.
  È importante ricordare questi eventi. Quando parliamo, infatti, dei costi di questo velivolo, se ci riferiamo unicamente al fatto di comprare un certo numero gli aerei per poi metterli in opera, manutenerli o ripararli qualora presentino dei problemi, abbiamo una visione abbastanza fuorviante della situazione.
  In realtà, tutto il sistema di pianificazione dei sistemi di difesa di questo Paese si fonda – sia per la parte aeronautica, sia per quella marina – su questo velivolo, come però non è stato deciso ieri, ma che arriva da scelte compiute quindici anni fa. Questo è un fatto importante. Presumo, da quel poco che ho appurato e nella misura in cui ho cercato di rendermi un po’ più edotto, che tutto questo sia passato tante volte – sia per le scelte governative sia per le Commissioni parlamentari sia per il voto del Parlamento medesimo – per cui ha avuto un suo processo.
  Da adesso, cercherò di essere più veloce in questo quadro per quanto riguarda le domande che mi sono state rivolte. L'onorevole Cicu chiedeva quali parti di questo velivolo costruiamo. L'impianto originale del programma era rappresentato dall'acquisto di 131 velivoli e dalla costruzione di circa mille sistemi di ala. L’F-35, infatti, non ha due ali, ma una sola, un grande sistema di ala inserito nel corpo dell'aereo.
  In seguito, l'Italia ha deciso di ridurre la sua partecipazione da 131 a 90, 60 dei quali tradizionali, cioè a normali sistemi decollo atterraggio, e 30 a decollo e atterraggio a corto raggio, cioè quelli che dovranno essere imbarcati sulla nave Cavour una volta approntati.
  A questo riguardo, c’è un emendamento all'accordo e all'impegno originario. Il contatto originario, infatti, prevedeva che, nel momento in cui vi fosse stata una riduzione del numero dei velivoli acquistati al di sotto dei 100, non vi sarebbe stata più alcun tipo di «diritto» da parte dell'industria nazionale a produrre alcunché per questo aereo.
  Diversamente, nonostante il fatto che si sia scesi da 131 a 90, oggi all'industria nazionale è dato il compito di produrre 800 sistemi di ala. Teniamo conto che le previsioni della Lockheed Martin sono per circa 3.200 velivoli più altri mille di esportazione, quindi tra i 4.000 e i 4.300-4.400. Non ho idea se queste previsioni siano realistiche, ottimistiche o conservative. Se dicessi che ho un'opinione abbastanza formata al riguardo, affermerei il falso e sarei intellettualmente poco onesto. Si tratta dei dati che mi sono stati forniti dalla Lockheed Martin medesima.
  Il sistema industriale italiano, quindi, onorevole Cicu, porta a casa, dal punto di vista complessivo dei ricavi potenziali rispetto a quest'iniziativa, almeno 10 miliardi di dollari. Dico dollari e non euro. In termini occupazionali, è da valutare cosa saremo in grado di riuscire a fare di questo aereo. Tutto il sistema costruito attorno a questo programma fu progettato all'atto in cui si immaginava di acquisire 131 velivoli: la riduzione di 41 unità non è un fatto irrilevante perché significa ridurre il programma di un 35-40 per cento, il che, in termini di impegno industriale, impianti e macchinari, ha una sua rilevanza.
  Ribadirò per la terza volta che lavoriamo insieme all'Aeronautica militare e che questo non è un programma della Finmeccanica, ma in cui la Finmeccanica di mestiere cerca di essere l’«esecutore intelligente» di scelte compiute in altri tempi e da istituzioni a cui rispondiamo per la parte in cui siamo chiamati a fornire degli asset che servono ad obiettivi diversi rispetto a quelli che, in quanto azienda o gruppo industriale quotato in borsa, perseguiamo.
  Riteniamo che i ritorni industriali di questo programma sotto il profilo occupazionale dipendano in misura cruciale dalla capacità che avremo di utilizzare le infrastrutture create per attrarre la manutenzione, e non solamente quella – passatemi il termine – del «carrozziere».
  La parola è sgradevole e, soprattutto, imprecisa, ma mi riferisco alla manutenzione vera, cioè a quella della parte avionica Pag. 9e dell'elettronica incorporata in questi aerei, che volano o sono di pertinenza, sia degli altri Paesi europei che li acquistano, sia degli aerei statunitensi di stanza in Europa. Ci riferiamo, quindi, agli aerei inglesi, olandesi, norvegesi, qualcuno dice anche turchi, ma sulla Turchia metto un piccolo punto interrogativo. La Turchia, infatti, compie scelte politiche di un certo tipo e non sono in grado di fornire valutazioni sufficientemente sensate rispetto alle sue scelte di politica di difesa industriale. Credo che questo richiederebbe un'audizione a sé perché è un argomento di grande interesse strategico e intellettuale. Forse non abbiamo oggi il tempo di riuscire ad affrontarlo.
  Riteniamo di essere nelle condizioni di garantire una certa attrazione perché il sito di Cameri è particolarmente attrezzato al riguardo e non vi sono altri siti europei col medesimo tipo di requisiti, sia di adeguatezza degli impianti, sia di sistemi di sicurezza, ai quali, come è noto, i nostri partner americani sono particolarmente attenti, per cui l'occupazione complessiva che potrebbe, stabilmente e negli anni, generare questo programma potrebbe coinvolgere almeno 5.000 persone.
  In buona parte, parliamo di occupazione qualificata. L’F-35, infatti, non è certamente un tema da manovalanza non specializzata, per cui parliamo degli ingegneri, cui l'onorevole Frusone si riferiva precedentemente. Riteniamo, quindi, che vi sia la possibilità di fornire un buon contributo per evitare di sopportare quel milione e mezzo di costi cui, come ricordato correttamente, incorre un Paese o un sistema ogni volta che viene espulso un lavoratore con certe caratteristiche.
  Le società italiane coinvolte nel programma a oggi sono circa novanta, ovviamente non tutte delle dimensioni dall'Alenia o della Finmeccanica, ma in molti casi aziende di dimensioni medio-piccole. Purtroppo, il sistema industriale italiano nel settore della difesa non è costituito da grandi aziende o multinazionali, ma da aziende di dimensioni medio-piccole.
  Attualmente, l'ammontare dei contratti sino a ora stipulati è per 715 milioni di dollari, di cui 565 milioni di pertinenza del gruppo Finmeccanica, mentre il complemento, sostanzialmente 150 milioni, assegnati ad aziende di tipo diverso, ma che comunque sono industrie italiane.
  A mio modo di vedere, dunque, il tema fondamentale per valutare l’F-35 è sintetizzato, anzitutto, dalle scelte in termini di pianificazione di sistemi di difesa compiute dalla Difesa e ormai consolidate nel tempo e che, in termini di oneri e costi di manutenzione, non sono antieconomiche.
  Per quanto, infatti, l’F-35 sia maggiormente costoso, stiamo riducendo di circa 160 unità il numero dei velivoli ricompresi, ma soprattutto ci ritroveremo, senza parlare degli addestratori e degli aerei da trasporto, con due sole famiglie aeronautiche: l’Eurofighter, da un lato, e l’F-35, dall'altro. Come è noto, questo consente di ridurre in modo consistente gli oneri collegati con la manutenzione degli aerei. Manutenere dieci aerei è molto più costoso che manutenerne cento in termini proporzionali e questo è evidente.
  L'onorevole Cicu chiedeva se questa è una scelta strategica: certo, lo è stata di sicuro. Lo è per la Difesa e su questo non possiamo far altro che il nostro miglior lavoro a questo riguardo. Essere «esecutori intelligenti» vuol dire cercare di riuscire a massimizzare, da un lato, i ritorni industriali per il sistema delle aziende italiane e, dall'altro, i ritorni economici finanziari per la Finmeccanica in quanto tale all'interno dei vincoli dati – un matematico direbbe che questa è un'equazione vincolata, dove i vincoli sono la design authority, o comunque la proprietà del velivolo, che è della Lockheed Martin e non nostra, come nel caso dell’Eurofighter, o almeno parzialmente – e tentare di recuperare tutto quanto è possibile per l'insieme industriale.
  Industrialmente, credo che il compito di Finmeccanica sia, come in molte altre circostanze, di riuscire a far sì che il ritorno sul capitale investito sia maggiore del costo del capitale. In poche parole, questo è il compito di qualsiasi azienda Pag. 10industriale. Noi stiamo gestendo il programma F-35 in modo che il ritorno sul capitale che investiamo sia, se saremo bravi, efficienti e capaci, maggiore del costo del capitale che stiamo utilizzando.
  Vengo alle domande dell'onorevole Villecco Calipari. L’F-35 costa tra i 90 e i 95 milioni di euro, a occhio e croce. Se parliamo di dollari, è ovvio che dipende dall'oscillazione. Tutto questo costo è comprensivo dei sistemi d'arma che vi sono dentro, non parliamo della macchina vuota. Negli F-35 vi sono gli armamenti dell'OTO Melara per gli aerei italiani, una parte degli sistemi avionici di SELEX, che sono su quelli italiani e stiamo lavorando perché una parte di questi stiano anche sugli F-35 non necessariamente prodotti per la nostra Aeronautica. Il costo complessivo dell'aereo è, quindi, tra i 90 e i 95 milioni di euro in quanto tale.
  L'onorevole Villecco Calipari chiedeva, inoltre, dell'EFA, la cui incidenza sulla pagina che citava è di circa il 20 per cento. Lei ha, però, messo in relazione l'EFA con il Consiglio europeo di dicembre, ma sono due concetti un po’ diversi.
  Come Lei sa, l'Europa, nel suo splendore entropico, è riuscita a produrre tre piattaforme di aerei da combattimento: una quadripartita – anche se il termine sa un po’ di Seconda guerra mondiale – ovverosia l'EFA; una piattaforma francese e una svedese.
  È inutile discutere cosa sia meglio e cosa peggio. Questi tre aerei sono in competizione l'uno con l'altro perché, come sa, il Rafale e l’Eurofighter competono nella maggior parte delle campagne commerciali al di fuori dell'Unione europea. È successo in India, negli Emirati Arabi, in Kuwait e in Brasile. Con la nostra capacità di tirarci la zappa sui piedi ogni volta che facciamo un passo in avanti, riusciamo ad andare avanti per strade differenti.
  Finmeccanica e l'Italia non hanno nessuna intenzione di abbandonare l'EFA per due ragioni molto banali. La prima è che l'EFA rappresenta un concentrato di tecnologia da noi sviluppata, tra le migliori che siamo riusciti a inventare per un considerevole numero di anni. Credo che rappresentiamo il 20 per cento della parte strutturale e circa il 50 di quella di elettronica imbarcata sull'aereo, la prima attraverso l'aeronautica, la seconda attraverso la SELEX e l'OTO Melara; l'MBDA per la parte missilistica e altre aziende del nostro gruppo.
  Pertanto, oggi il nostro impegno è quello di favorire la vera attività, quella di esportazione. Siamo impegnati in campagna in Kuwait e negli Emirati. Abbiamo venduto, come è noto, l'EFA in Oman. È in corso un'ulteriore campagna in Arabia Saudita, se non vado errato, successivamente a quella che ha già visto l'acquisizione di settanta aerei. Vi era stata una campagna Eurofighter in India, poi sospesa e in corso di riedizione. I processi in quei Paesi non sono del tutto lineari, e quindi i tempi e le procedure sono connotati da un po’ di farraginosità.
  D'altro canto, l’Eurofighter rappresenta la spina dorsale del sistema di difesa aerea del nostro Paese. Peraltro, faccio presente che nell'operazione militare in Libia, comunque si voglia valutarla sotto altri punti di vista – non è compito mio esprimere giudizi a questo riguardo – gli Eurofighter italiani hanno mostrato il più alto tasso di efficienza tra tutti gli aerei utilizzati. Cosa questo significhi è un'altra faccenda, ma dal punto di vista della capacità di gestire un mezzo militare, si è dimostrato che quelli che abbiamo costruito sono stati i migliori e che il modo in cui sono gestiti è certamente un benchmark rispetto a numerose altre aeronautiche militari in giro per il mondo.
  Il Consiglio europeo di dicembre non ha il compito di occuparsi di quello che c’è, ma di quello che dovrà esserci. Siccome, come è noto, il monopolio della forza è, grazie a Dio, ancora in mano solamente agli Stati e non a soggetti sovranazionali che non si sa esattamente come lo utilizzerebbero, ci auguriamo di far compiere dei passi avanti verso un maggior coordinamento del sistema di difesa europea.
  È, certamente, un'illusione immaginare che siano varate, al di là di dichiarazioni di principio, iniziative per non più che un Pag. 11tentativo di coordinare le attività di politica estera e militare. Soprattutto, siamo profondamente convinti che si occupi di definire l'avvio di un limitato, ma ben preciso, nucleo di programmi di investimento in tecnologia, che definire militare o civile è impossibile.
  La distinzione tra le due, infatti, è sparita completamente. Oggi, il sistema delle telecomunicazioni militari è tributario dei nostri telefonini e degli investimenti di Eriksson e Nokia per sviluppare prima dal GSM fino all'UMTS e, poi, le altre tecnologie di questo genere.
  Molto probabilmente, nell'Aeronautica militare non ci saranno più velivoli pilotati, ma velivoli non pilotati – lo chiedeva anche prima, se non vado errato, l'onorevole Marantelli – i quali avranno certamente delle funzioni tanto civili quanto militari. Serviranno, infatti, da osservazione, da sorveglianza e, per la misura in cui saranno in grado di essere dotati di questa capacità, anche per la parte di combattimento.
  Oggi, gli unici a produrre aerei senza pilota sono gli Stati Uniti, che possiedono i Predator, sistemi di cui l'Italia dispone e che credo abbia anche utilizzato in alcune circostanze, forse in Afghanistan, ma non voglio dire una stupidaggine.
  La nostra sensazione è che l'Europa debba avviarsi verso lo sviluppo di tecnologie che consentano l'utilizzo tanto civile quanto militare, nel caso dell'Aeronautica, di sistemi di volo che non sono più aerei, ma sistemi. Oggi, infatti, si ha un sistema di gestione di un certo numero di aerei senza pilota, pilotati – mi si scusi l'allitterazione – da qualcuno a terra, con un solo server di attività.
  Da questo punto di vista, quindi, l’Eurofighter è ben lontano dall'essere di scarso interesse per noi. Tra l'altro, va detto con grande chiarezza che rappresenta, come tutti quelli in cui vi è stato un grande sviluppo di tecnologia, un programma che ha generato e genera per Finmeccanica margini operativi ampiamente consistenti, certamente molto superiori rispetto a quelli che genererà l’F-35. Essendo, infatti, noi proprietari di buona parte di quella tecnologia, è chiaro che il margine incorporato nei prezzi pagati incorporerà anche il costo sostenuto in passato.
  Non è, invece, vero che il rapporto tra F-35 ed Eurofighter porterà ad una perdita di posti di lavoro: lo sviluppo di tecnologia Eurofighter c’è stato e oggi, fondamentalmente – ditemi se sbaglio – c’è quello di grande importanza del radar a scansione elettronica rispetto a quello a scansione meccanica, oggi montato. È un investimento in cui la SELEX è impegnata. Lo sta facendo sia per l'Italia, sia per la Gran Bretagna. È di grande rilevanza non solamente per l'utilizzo militare del medesimo, ma per la gestione – lo chiedeva anche l'onorevole Marcolin – poiché questo rappresenterà certamente un passo in avanti nei sistemi di controllo del traffico aereo. Andrà, quindi, a riverberare sulla gestione dello spazio cui accennava nelle sue domande.
  Non ci aspettiamo un degrado del livello di qualità della nostra struttura occupazionale in virtù del rapporto tra Eurofighter ed F-35. Oggi, il problema di Finmeccanica non è di espellere ingegneri dalle proprie strutture produttive. Al contrario, per certi versi, onorevole Marantelli, credo che, nella misura in cui l'Italia parteciperà – bisognerà vedere attraverso quali finanziamenti e lo dirò tra breve – allo sviluppo dei sistemi aeronautici non pilotati, è una grande domanda di lavoro ingegneristico. Questo richiederà, infatti, lo sviluppo di tecnologie che per la nostra parte oggi non esistono se non in parte e che, di conseguenza, non faranno altro che richiedere una crescita in questo senso.
  Prima sono stati citati l’M346 e la legge n. 808 del 1985. La vera domanda è con quali strutture finanziarie il nostro Paese sarà nelle condizioni di sostenere sviluppi di tecnologie aeronautiche dal momento che – come peraltro accaduto di recente – la legge n. 808, legge fondamentale per lo sviluppo delle tecnologie aeronautiche, sembrerebbe non rifinanziata con la legge stabilità.
  Faccio presente, come già ho precisato nella scorsa audizione, che la legge francese Pag. 12– la legge n. 808 italiana è stata, di fatto, copiata da quella – è stata finanziata nel 2013 per 3 miliardi e 200 milioni di euro. Quella italiana, se arriva ai 40 milioni, è grasso che cola. Sarà, quindi, importante capire se, nel processo di approvazione della legge di stabilità, saremo in grado di far sì che su questa norma confluiscano fondi a sufficienza per permettere ulteriori sviluppi in questa direzione.
  La legge n. 808 del 1985 è l'unica legge totalmente devoluta o devota o destinata allo sviluppo di tecnologia, mentre le altre leggi relative alla difesa – ad esempio, la n. 266 del 1997, per l’Eurofighter – si occupano dello sviluppo, ma anche della produzione. La legge, per le fregate multimissione si occupa dello sviluppo, ma anche della produzione delle fregate; il bilancio della difesa include i fondi per gli investimenti in tecnologia e per la produzione di beni; la legge n. 808 del 1985 è, invece, l'unica in Italia ad essere totalmente destinata allo sviluppo di tecnologia.
  Su questo punto, aveva ragione in parte un vostro collega, di cui ora mi sfugge il nome, che ricordava che, mentre è abbastanza sbagliato distinguere la tecnologia dalla produzione, la parte ontologicamente ricca di un sistema militare si trova nello sviluppo della tecnologia. Che questa debba necessariamente trovare sbocco in un prodotto è necessario. Diversamente, è un signore che impara a memoria una poesia ma non la recita a nessuno: lo fa per sua soddisfazione, ma alla fine non prende neanche un voto in classe. È lo sviluppo della tecnologia che crea conoscenza e, soprattutto, capitale e il vero asset dell'industria militare è creare capitale, non fisico, ma intangibile, cioè conoscenza e competenza, brevetti e proprietà intellettuale, l'unico vantaggio competitivo di cui oggi un Paese sviluppato gode rispetto ai propri concorrenti.
  Non dimentichiamo che oggi i nostri concorrenti non sono più europei. Circa 15 giorni fa, quindi dopo la nostra audizione precedente, la Turchia ha deciso di comprare un sistema di difesa missilistica cinese. Questo ha creato uno scompiglio terribile. Oltretutto, la Turchia non solo è un Paese NATO, ma è anche un importantissimo Paese sotto il punto di vista geopolitico, perché si trova in un luogo secondo forse solo all'Italia strategicamente. Infatti, geograficamente, la Turchia conta molto più di altri Paesi dell'Alleanza atlantica.
  Quest'iniziativa dimostra quanto sia cruciale per il nostro sistema sviluppare non prodotti, ma tecnologie e come questo sia la conseguenza di una tecnologia di avanguardia, senza la quale non saremo certamente in grado di mantenere il gap temporale che oggi ancora abbiamo con i Paesi emergenti in termini di competenze e di capitale intangibile, vero capitale di cui abbiamo bisogno.
  Vorrei rispondere alle domande in merito ad Agusta Westland, che non ha più la sede in Olanda. Dal 1 dicembre 2014, la sede sarà a Cascina Costa, provincia di Varese, poiché, francamente, è bene che tutti questi sistemi di complesse holding che nel tempo si erano costruite siano smantellati, e quindi le cose siano chiare. Agusta Westland sarà una Spa con un solo consiglio di amministrazione, una sola sede in Italia, una società per azioni di diritto italiano regolata dal codice civile.
  Non so cosa sia l'autonomia progettuale. Se ci si riferisce al fatto che all'Agusta Westland e all'Alenia Aermacchi sarà consentito di essere sviluppatori o progettisti di prodotti proprietari, rispondo che solamente questa è la ragione per cui esistono. La leadership nei settori dell'aeronautica e della difesa, degli elicotteri, militari o civili, non cambia niente, si ha solamente quando si possiede il prodotto. Il successo di Agusta Westland risiede nel fatto che, a partire dall’AW-109 per arrivare all’EH-101, possiede tutto quello che vende: 109, 109 Grand, 129, 139, oggi 149, 169 e 189. Se ci si riferisce a capacità di sviluppare e produrre prodotti proprietari, la risposta è positiva. Avranno sempre l'autonomia progettuale. Non è questo il punto.
  Lo stesso discorso vale per l'aeronautica. A Venegono si realizza l’M346, i Pag. 13piloni dell’Eurofighter, se non vado errato, e in parte anche i contenitori dei motori a reazione degli aerei. Non vi è nessuna ragione per la quale non si debba continuare. Questo è del tutto indipendente dalle sedi sociali o operative delle aziende. Trovo abbastanza fantasioso essere più contenti che abbiano sede in via Rossi piuttosto che in via Bianchi. Sinceramente, ha poca importanza.

  PRESIDENTE. Mi scusi, dottor Pansa, abbiamo ancora cinque minuti prima delle votazioni dell'inizio delle votazioni in Assemblea.

  ALESSANDRO PANSA, Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica. Mi permetto di fornire solo due risposte. Sarebbe molto bello avere un addestratore europeo, una sola piattaforma aeronautica europea, una sola piattaforma navale europea. Credo che il momento in cui vi sarà una vera integrazione dei sistemi militari europei è lontano.
  A oggi, la nostra speranza è che l’M346, veramente un ottimo prodotto, possa essere venduto dopo l'Italia, dopo Israele, dopo Singapore, in altri sistemi, non sono sicurissimo se europei. Non dimentichiamo mai che la persona che più odiamo è sempre il nostro vicino, come è ragionevole e come secondo la teoria economica americana del beggar your neighbour. Come sapete, ci sono svariate campagne a questo riguardo.
  Non sono così sicuro che sia una grande idea abbattere le spese per gli investimenti in difesa, ma mi rendo conto di parlare pro domo mea, e quindi non sono certo di essere obiettivo. Come ho già spiegato nella precedente audizione, gli investimenti in tecnologia militare sono quelli col più alto livello di moltiplicatore della domanda aggregata sul reddito nazionale tra tutti i capitoli della spesa pubblica.
  Non sto sostenendo che si debba prendere i soldi dalle pensioni e metterli sugli Eurofighter, gli F-35, gli elicotteri Agusta, ma che si deve fare molta attenzione. A oggi, in un sistema come quello italiano, dal quale molti settori industriali sono spariti, per le più svariate ragioni che non è il caso di approfondire, gli investimenti in difesa sono tra i pochi che consentono un'effettiva crescita in termini relativi più elevata del prodotto interno lordo.
  Credo che il tema sia, piuttosto, di riuscire a razionalizzare gli investimenti di difesa tra personale, esercizio e investimenti. Mi risulta sia stata approvata dal Parlamento una legge, a suo tempo proposta dall'allora Ministro Di Paola, se non vado errato, che prevede una razionalizzazione delle Forze armate, e quindi un abbattimento dei costi per la gestione ordinaria dell'attività e una maggiore tecnologizzazione – scusate il bisticcio di parole – dei sistemi.
  Da ultimo, onorevole Bolognesi, esistono due strutture di contratti nel mondo della difesa: quelli a prezzo fisso e quelli cost-plus. Sulla base dei primi, il fornitore deve fornire un prodotto a un certo prezzo e saranno fatti suoi far sì che vi siano ricompresi margini tali da consentire al capitale investito in quest'iniziativa di rendere più di quello che questo stesso capitale costa. È, mediamente, la scelta fatta da tutti i procurement dell'Europa continentale.
  I sistemi cost-plus, invece, sono tipici del mondo anglosassone, ma richiedono una grandissima competenza da parte del cliente. Si stabilisce il costo di produzione, gli si attribuisce un margine, considerato una sorta di giusto ritorno o di giusta remunerazione del capitale, evidentemente anch'esso oggetto di negoziazione tra il cliente e il fornitore, a seguito del quale il cliente però deve essere bravissimo ad accertarsi che i costi non lievitino.
  Un fornitore furbo, infatti, mantenendo il margine fisso, fa crescere i costi di fornitura a dismisura, tanto il margine è sempre applicato, per cui si pagano i costi di produzione più il 10 per cento. Si guadagna comunque, ma se si è bravi, si riesce anche a «sgraffignare» un po’ di margini facendo costare il prodotto più di quello che in realtà non sia costato.
  Il tema, secondo me, è un altro. I prodotti militari e quelli civili collegati alla Pag. 14tecnologia militare, quindi aerei civili, elicotteri civili, satelliti, sistemi di controllo del traffico aereo, non solamente militari, e anzi in buona parte civili, sensori, che consentono di gestire non solamente l'arrivo di un aereo nemico, ma anche di un terremoto o di un'alluvione, costano tanto, e quindi sono tanto meno costosi per i taxpayer, cioè i cittadini, quanto più si riesce a sfruttare il concetto delle economie di scala e di scopo.
  Tanto più si è nelle condizioni di definire un ammontare di produzione su cui spalmare in maniera efficiente i costi di sviluppo della tecnologia quanto più si è in grado di riuscire a far lavorare una azienda in settori in cui le tecnologie sono complementari. Tra la tecnologia elicotteristica e quella aeronautica esistono grandi complementarità. Tra la tecnologia del controllo del traffico aereo e quella della sensoristica per il VTS, citato precedentemente in relazione ai controlli delle coste, si trovano grandi complementarietà.
  Solamente dove si è nelle condizioni di applicare la medesima tecnologia più produttiva, si riesce a ridurre il costo che si deve caricare su ogni prodotto per l'investimento di tecnologia affrontato e a tenere bassi i prezzi pur con margini accettabili per il fornitore.
  Il problema di questo Paese è che, purtroppo, l'Italia compra poco di tutto, mentre dovrebbe comprare tanto ma di un minor numero di beni. Comprare sei o nove M346 è molto importante, ma purtroppo è diverso che comprarne trenta. Se guardate il grafico dell’F-35, quando si arriva alla produzione numero 100, un aereo costa molto meno di quando si è alla produzione numero 1.
  Questa è la ragione per cui a noi interessa svilupparci e stare in settori nei quali la tecnologia è complementare. È questa la ragione per cui riteniamo che il nostro mondo siano l'aeronautica e lo spazio della difesa. Il tema di Avio è molto importante poiché ha sviluppato la tecnologia di straordinario livello della propulsione solida per i lanciatori dei missili, che peraltro ha avuto un grande successo.
  Credo, infatti, che per la prima volta sia riuscita a realizzare con successo i primi due lanci. Di solito, i primi due vanno sempre male e, invece, sono andati a segno in modo adeguato. Siamo profondamente convinti che disporre o mantenere in Italia la tecnologia spaziale, sia dello spazio in quanto tale, sia per la gestione dei satelliti, sia per la gestione dello spazio, molto più affollato di quanto non si creda guardando la sera il cielo stellato di Kant, rappresenti un valore aggiunto e che non deve andare disperso.
  Oltretutto, come avrete potuto vedere anche dai giornali, questo tipo di tecnologia è ricercata da numerosi nostri concorrenti stranieri. A nostro avviso, se le istituzioni di questo Paese saranno in grado di creare le condizioni, sarebbe un peccato che questa occasione migrasse verso altre proprietà.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Pansa per la cortesia e la competenza con le quali ha risposto alle domande dei colleghi intervenuti.
  Tra poco avranno luogo le votazioni in Aula.
  Ringrazio i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione in titolo.

  La seduta termina alle 16.10.