XVII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI

Resoconto stenografico



Seduta n. 28 di Mercoledì 25 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Farina Gianni , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA TUTELA DEI DIRITTI DELLE MINORANZE PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA A LIVELLO INTERNAZIONALE

Audizione di Abdirahman Mahdi, Vicepresidente della Unrepresented Nations and Peoples Organization (UNPO).
Farina Gianni , Presidente ... 3 
Mahdi Abdirahman , vicepresidente della ... 3 
Farina Gianni , Presidente ... 7 
Cassano Franco (PD)  ... 7 
Farina Gianni , Presidente ... 8 
Mahdi Abdirahman , vicepresidente della ... 8 
Cassano Franco (PD)  ... 8 
Mahdi Abdirahman , vicepresidente della ... 8 
Farina Gianni , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIANNI FARINA

  La seduta comincia alle 15.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Abdirahman Mahdi, Vicepresidente della Unrepresented Nations and Peoples Organization (UNPO).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti delle minoranze per il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale, l'audizione di Abdirahman Mahdi, Vicepresidente della Unrepresented Nations and Peoples Organization (UNPO), a cui do il benvenuto, che è accompagnato da Laura Hart, rappresentante del Partito Radicale alle Nazioni Unite, e da Matteo Angioli, componente della presidenza del Partito Radicale, che saluto.
  Ricordo ai colleghi che l'UNPO è un'organizzazione internazionale non violenta e democratica, fondata nel 1991 e composta da popolazioni indigene, minoranze, Stati non riconosciuti e territori occupati, che si sono riuniti per difendere i propri diritti politici, sociali e culturali, per preservare la propria cultura e promuovere il diritto all'autodeterminazione. Sebbene le aspirazioni dei membri dell'UNPO differiscano le une dalle altre, essi sono accomunati da una condizione generale: il non reputarsi rappresentati adeguatamente presso le Nazioni Unite.
  Quanto al tema specifico di cui si è occupato il nostro ospite, segnalo che nel marzo scorso l'UNPO ha pubblicato un report sui diritti umani in Etiopia, che ha affrontato anche la questione della minoranza somala della regione dell'Ogaden, di cui Abdirahman Mahdi è rappresentante. Ho letto il documento in inglese, e ritengo che soprattutto la violenza sulle donne sia terribile.
  Da qualche mese, si registra un aumento degli scontri tra oromo e somali nel territorio sudorientale dell'Etiopia. Tali scontri hanno provocato anche vittime e numerosi sfollati. Si tratta di una situazione che contribuisce ad accrescere l'instabilità nel Corno d'Africa, un'instabilità già purtroppo presente da diversi decenni e che noi conosciamo molto bene, con prevedibili conseguenze sul piano umanitario anche ai fini del flusso già consistente di profughi in fuga dalla regione.
  Do quindi la parola Abdirahman Mahdi affinché svolga la sua relazione.

  ABDIRAHMAN MAHDI, vicepresidente della Unrepresented Nations and Peoples Organization. Ringrazio gli autorevoli membri del Comitato permanente sui diritti umani della Camera dei deputati. Saluto i membri del Partito Radicale non violento. Sono onorato di essere qui al Parlamento italiano, di avere l'opportunità di rivolgermi a voi e di parlare in sede di Comitato sui diritti umani.
  Probabilmente, saprete che l'Ogaden è nel Corno d'Africa, è abitato da somali e al momento è governato dal governo etiope. Storicamente l'Ogaden faceva parte della nazione somala. Prima della spartizione dell'Africa ad opera degli europei gli ogaden si governavano da soli all'interno di un Pag. 4regno, che si estendeva da Nairobi alle rive del Mar Rosso fino all'Oceano Indiano. Durante la spartizione dell'Africa, si creò una forte rivalità tra le potenze europee che arrivarono nella regione e in conseguenza di ciò si ebbe la divisione della nazione somala in cinque parti e l'Ogaden fu assegnato alla parte etiope.
  Particolare è il legame con l'Italia, di cui si parla poco. Quando il Secondo conflitto mondiale arrivò anche nel Corno d'Africa gli ogaden erano nell'esercito, perché all'epoca erano in guerra con gli Etiopi e sostennero la campagna italiana in Africa. Dopo la fine del Secondo conflitto mondiale l'Italia, che governava la Somalia meridionale, rifiutò di riconoscere il confine tra Somalia ed Etiopia ritenendo che non fosse giusto. I Somali che vivevano in quella zona non avevano niente a che fare con l'Etiopia e non avevano alcuna forma di influenza. Si erano ritrovati a vivere lì solo perché avevano ricevuto quel territorio a seguito della Seconda Guerra Mondiale.
  Da quel momento l'Ogaden è sempre stato una zona di conflitto. Nel 1956, quando i britannici trasferirono tutti gli ogaden in Etiopia, questi formarono un loro partito per cercare di rivendicare pacificamente i propri diritti. Ma il partito fu soppresso. Poi ci fu la guerra del 1964, che provocò scontri tra somali ed etiopi. Grazie all'intervento della comunità internazionale, seguì un periodo di pace, poi iniziò la guerra del 1977, che fu una delle più grandi guerre del Corno d'Africa, con più di un milione di ogaden sfollati in Somalia.
  Prima la questione era somala, cioè riguardava tutti i somali che si battevano per cercare di liberare l'Ogaden. Poi nel 1984 i giovani, in rappresentanza del popolo dell'Ogaden, si ribellarono sia ai somali che agli etiopi e decisero di creare il Fronte di liberazione nazionale dell'Ogaden. Sostenendo che l'Ogaden avesse il diritto di governarsi da sé, rivendicarono il diritto all'autodeterminazione senza interferenze da parte dei somali.
  Nel 1991, con il cambio di regime in Etiopia, l'ONLF (Ogaden National Liberation Front) partecipò al cambiamento e divenne parte del nuovo governo federale di transizione dell'Etiopia. Aveva partecipato alle prime elezioni e ottenne l'87 per cento dei voti, dando vita al primo governo autonomo a guida somala dell'Ogaden. Per due anni gli ogaden si governarono da soli, con un proprio parlamento, proprie istituzioni, un sistema scolastico e proprie forze dell'ordine.
  Purtroppo, però, dopo il 1994, quando il governo etiope dell'epoca divenne potente, il partito al governo TPLF e l'Alleanza EPRDF non gradirono il livello di autonomia dell'Ogaden, ritenuto troppo veloce, per cui l'ONLF fu bandito e dal 1994 è in corso un conflitto in Ogaden. Il motivo del conflitto era legato, innanzitutto, al fatto che il popolo somalo di quella regione era emarginato. Il governo etiope impose da allora nell'Ogaden uno stato di emergenza non dichiarato, e da allora ci sono stati nella zona combattimenti sporadici. Poi tutto è sfuggito di mano nel 2007, quando i cinesi sono arrivati nell'Ogaden e hanno cercato di avviare attività di esplorazione ed estrazione del petrolio, chiudendo tutti i terreni tradizionalmente utilizzati come pascoli dalle popolazioni nomadi. Ciò ha creato difficoltà agli abitanti dell'Ogaden, per cui ci sono stati disordini che hanno provocato la morte di alcuni cinesi e il governo etiope da quel momento ha operato nella regione un giro di vite. La regione dove si svolgono le esplorazioni per il gas richiama la storia passata. Di fatto fu l'AGIP a scoprire la maggior parte del gas in Ogaden all'inizio degli anni Trenta.
  Quindi dal 2007 la regione è sotto embargo, sul piano economico, umanitario e commerciale. Il governo etiope ha costituito una propria amministrazione regionale, nominata dall'esercito, non ci sono diritti politici né economici.
  L'Ogaden è una zona semiarida, con il 70 per cento della popolazione proveniente da comunità dedite alla pastorizia; le mucche, i cammelli, le pecore, tutto il bestiame ha subìto le conseguenze del cambiamento climatico. Ci sono state siccità, poi l'imposizione delle misure da parte del governo ha reso impossibile al popolo somalo andare avanti. Gli ogaden hanno da millenni una tradizione di migrazione, dall'Ogaden Pag. 5alla Somalia, legata ai periodi di siccità. Il 70 per cento dei prodotti dell'Ogaden viene commerciato in Somalia, attraverso i porti della Somalia, come Mogadiscio, Berbera, Bosaso. I prodotti alimentari tornano in Ogaden da quell'area. Non abbiamo mai avuto relazioni con gli abitanti dell'Acrocoro Etiopico. Tutto quello che mangiamo, dal riso alla pasta, arriva dalla Somalia. Quindi, a causa della siccità e delle azioni poste in essere dal governo etiope, la vita è diventata molto difficile.
  L'esercito etiope ha commesso gravi violazioni dei diritti umani nei confronti del popolo ogaden, incluse detenzioni e uccisioni extragiudiziarie. Lo stupro è utilizzato come arma. Il 30 per cento delle donne ogaden è stato oggetto di violenze sessuali ad opera di membri dell'esercito etiope o delle milizie organizzate dall'esercito etiope. È stata creata una forza di polizia, vale a dire milizie di somali che ricevono denaro e armi e vengono autorizzate a uccidere. E così sono state commesse gravi violenze nei confronti delle donne.
  Ci sono più di 20.000 persone in carcere; in particolare nel carcere di Jig Jiga, che viene chiamato Jail Ogaden («prigione Ogaden»), sono rinchiuse circa 10.000 persone e di queste 3.000-4.000 sono donne. Se si ascoltano le storie di quei detenuti si capisce che le donne di routine vengono sottoposte a umiliazioni: tutti i detenuti al mattino vengono condotti all'esterno, lasciati nudi gli uni di fronte agli altri, donne e uomini; poi alla sera vengono messi in pozze d'acqua e torturati, e le donne sono sistematicamente sottoposte a violenze sessuali.
  Nel 2008 le Nazioni Unite hanno inviato una missione di inchiesta, che ha rilevato gravi violazioni dei diritti umani. Non era distribuito cibo e c'erano enormi difficoltà per tante persone. Furono raccomandate altre indagini, che però non andarono mai avanti a causa della situazione internazionale. Le ong presenti nell'area, come Medici Senza Frontiere e il Comitato Internazionale della Croce Rossa, hanno parlato di calamità nell'Ogaden. Il governo etiope si è seccato molto per queste notizie e ha vietato al Comitato Internazionale della Croce Rossa di recarsi in Ogaden. A tutt'oggi il Comitato, nonostante il mandato di protezione civile per guerre e siccità, non è autorizzato a entrare in Ogaden. L'organizzazione MSF è stata autorizzata a entrare in alcune città, ma non nelle zone rurali. L'accesso agli aiuti umanitari è impedito e anche i sostegni internazionali sono bloccati nell'Ogaden.
  Di recente, a marzo 2017, più di 7.000 persone sono morte di colera in Ogaden, ma il Governo etiope lo ha negato, parlando di casi di diarrea coleriforme acuta, ma non di colera. Adesso, a seguito di quelle morti, è stato concesso un accesso limitato. Ogni giorno tante persone muoiono di colera, tante muoiono di fame e di malnutrizione. Secondo studi recenti, il 42 per cento degli ogaden è esposto al pericolo di morte per denutrizione a causa della siccità. A marzo 2017 si è verificata la più grande siccità nel Corno d'Africa. La maggior parte degli ogaden ha perso il bestiame: questa è la situazione che soffriamo adesso.
  A causa di ciò, a causa della mancanza di spazio politico in Ogaden e a causa dell'embargo, le condizioni di vita sono molto difficili. Quello che temiamo non riguarda soltanto la situazione dell'Ogaden ma la situazione di tutta l'Etiopia. Il governo etiope ha negato diritti a tutti, ai somali dell'Ogaden, agli oromo, agli amhara, ai benisciangul, ai gambella, agli afar. Il gruppo al governo ha chiuso qualunque spazio.
  Nel 2005 ci sono state le elezioni e, a causa della perdita di circa il 30 per cento dei consensi, il governo ha imprigionato tutti i gruppi di opposizione. Nel 2010, un solo parlamentare delle minoranze ha vinto le elezioni e poiché ha criticato il governo in pubblico, nel 2016 non è stato più consentito all'opposizione di candidarsi, quindi il partito al governo oggi ha un consenso pari al cento per cento.
  Al momento noi nutriamo un grande timore e questo è il messaggio che stiamo trasmettendo al mondo. Chiediamo un sostegno non solo per le violazioni di diritti umani nei confronti dei somali. In Etiopia vi sono il 50 per cento di musulmani e il 50 Pag. 6per cento di cristiani che vivono insieme in pace da millenni. Ma oggi il nostro timore è che lo Stato etiope imploda: se ci fosse un'implosione determinata dalle ingiustizie perpetrate dal regime etiope, sarebbe una catastrofe per l'intero Corno d'Africa, che colpirebbe Kenya, Somalia, Gibuti, Sudan, Etiopia, il Sud Sudan e anche la parte meridionale del Sudan. Il 60 per cento della popolazione in Etiopia è costituito da giovani e per la maggior parte si tratta di giovani senza lavoro e senza cibo a sufficienza. Per la mancanza di democrazia il Paese è a rischio di implosione. Ci sono persone che non hanno prospettive per il futuro e che si sono viste private dei propri diritti. Questo è ciò che accade nel Corno d'Africa.
  Sapete bene quello che accade in Medioriente. L'attività dei gruppi estremisti può essere un rischio e una minaccia. Il Corno d'Africa rischia di divenire un'altra zona di scontri, dove potrebbero infiltrarsi Daesh e altri gruppi. Ci siamo rivolti, quindi, all'Unione europea. Sono rientrato da poco anche da Washington. Quello che diciamo a tutti è che i diritti di tutte le popolazioni dell'Etiopia sono a rischio. La comunità internazionale lo sa: siamo in pericolo di implosione. Se non riusciamo ad avere democrazia in Ogaden, non ci sarà democrazia in tutta l'Etiopia. Se non c'è pace da noi, non ci sarà pace nel resto del Paese. Noi stiamo perseguendo i diritti dei somali, abbiamo diritto all'autodeterminazione e ci battiamo per conseguirla, ma ci sono altre etnie che stanno soffrendo in Etiopia. Non parliamo soltanto in nome del popolo dell'Ogaden. Ciò di cui parliamo sono diritti umani per tutti, diritti che vengono gravemente violati dal regime.
  Chiediamo all'Unione europea, agli Stati Uniti, alla comunità internazionale, alle Nazioni Unite di intervenire con urgenza. Altrimenti, si rischia una situazione simile a quella del Medioriente. In Somalia la comunità internazionale non è riuscita a gestire la situazione negli ultimi vent'anni. Pensate a cosa potrebbe accadere se 300 milioni di persone nel Corno d'Africa soffrissero tutte insieme per vari motivi. Se l'Etiopia implode, la situazione sarebbe senza speranza per tutti noi. E noi non vogliamo questo.
  Noi e le nostre organizzazioni crediamo nella democrazia e nella pace. In caso di implosione dell'Etiopia, vi sarebbe un grave danno per tutti. Quindi, chiedo a questo Comitato di aiutarci a vedere riconosciuti i nostri diritti umani, ma soprattutto chiediamo al Governo italiano di intercedere anche presso il resto della comunità internazionale affinché venga dato sostegno a tutta l'Etiopia. La richiesta che vogliamo avanzare si basa sui seguenti punti: che il Governo italiano interceda presso il governo etiope affinché sia condotta un'indagine indipendente sulle accuse di violazioni dei diritti umani in Ogaden e in altre parti dell'Etiopia; che il governo etiope si convinca a consentire il libero accesso umanitario in tutte le parti dell'Ogaden e dell'Etiopia; che il Governo italiano e l'Unione europea ribadiscano l'importanza di un controllo della cooperazione allo sviluppo.
  Da dieci anni sensibilizziamo l'Unione europea e sono stati stanziati aiuti consistenti per l'Etiopia e, in particolare, per l'Ogaden. Purtroppo va detto che in relazione a quegli aiuti si rileva tanta corruzione, perché non esiste alcuna forma di controllo, e poi non si tratta degli aiuti giusti. Il 70 per cento della popolazione è nomade e dedita alla pastorizia, e le scuole vengono costruite nelle città: quindi, come fa il 70 per cento delle persone a essere istruito? Si muore di fame e di sete e al di fuori delle grandi città mancano i servizi. Dunque, gli aiuti non sono diretti a soddisfare le esigenze delle aree rurali. L'esercito in Ogaden ha un ruolo molto forte: assegna contratti a imprese di dubbia fama e da queste prende denaro. Non esiste alcun controllo e noi riteniamo, invece, che ne serva di più.
  L'Etiopia sta implodendo. Abbiamo bisogno della volontà da parte del governo etiope di avviare un negoziato e garantire una transizione democratica pacifica. Abbiamo bisogno che la comunità internazionale aiuti il popolo etiope a risolvere questa situazione in modo pacifico. Qualunque nazione in Etiopia dovrebbe avere il diritto all'autodeterminazione, a uno Stato di diritto Pag. 7 e a una convivenza pacifica. La nostra richiesta, quindi, è che l'Italia e l'Unione europea portino avanti questo tema nell'ambito dell'agenda internazionale. Ringrazio il Comitato permanente sui diritti umani per l'interesse mostrato anche in merito alla situazione delle donne in Ogaden e Oromia.
  Resto a disposizione per rispondere a eventuali domande e ricordo che l'Etiopia oggi ha bisogno del vostro aiuto, ne ha bisogno il popolo dell'Etiopia, a prescindere che si tratti di somali, oromo, tigrini o altre etnie. Non dobbiamo permettere che si ripetano gli errori del passato. Temo che la comunità internazionale non stia prestando sufficiente attenzione alla situazione dell'Etiopia. Per alcuni sembra contare solo la questione del terrorismo, ma se un Paese implode allora non c'è più spazio per nulla.

  PRESIDENTE. Ringrazio veramente il vicepresidente Mahdi per questa sua esposizione commossa e lucida che ci ha descritto cosa sta succedendo nella regione dell'Ogaden, che anche storicamente è stata molto vicina al nostro Paese e verso cui abbiamo responsabilità, anche morali. La situazione colpisce tutti noi.
  Io credo che, essendo l'Etiopia, e in particolare la regione dell'Ogaden, ricca di materie prime, su questo punto si debba attirare l'attenzione della comunità internazionale, sia delle Nazioni Unite sia dell'Unione europea. Lo sfruttamento di queste materie prime non può essere unicamente riservato a Paesi stranieri, ma deve aiutare le popolazioni locali affinché trovino un momento di progresso e di emancipazione, che è loro fondamentale diritto.
  Sarà nostra preoccupazione riferire quanto Lei ci ha chiesto in modo chiaro ma anche emotivo: un aiuto importante affinché ci sia l'interesse internazionale, l'interesse dell'Italia, sulla situazione dell'Ogaden e, insieme, come Lei ha detto bene, dell'Etiopia e delle etnie che laggiù vivono. Oltretutto, il Corno d'Africa è una zona strategica per tutti, e noi dobbiamo fare in modo che non arrivi anche lì il messaggio terribile e grave del terrorismo ancora più accentuato di quanto non lo sia oggi. Attireremo l'attenzione della presidente del Comitato sui diritti umani, Pia Locatelli, e del presidente della Commissione affari esteri e comunitari, Fabrizio Cicchitto, sui lavori di oggi.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCO CASSANO. Anch'io ho ascoltato con attenzione il suo resoconto rispetto ad una situazione drammatica, ma vorrei porre delle domande diverse. Credo che, per dare una mano, occorra saperne di più di quello che effettivamente io so.
  La prima domanda è una curiosità. A un certo punto, Lei ha detto che tra etiopi e somali c'è stata una diffidenza perché «i somali erano troppo veloci». Vorrei capire cosa intendesse dire: che cos'è questa «velocità dei somali» che ha prodotto addirittura una diffidenza?
  L'altra domanda è la seguente: che cosa fa forte sul piano internazionale l'Etiopia? Chi, anziché vedere questa situazione dal lato dei diritti umani, la vede da un altro lato? Chi sta alle spalle e sostiene, al di là della forza endogena, questa situazione? Chi contribuisce a perpetuare una condizione di frantumazione e di marginalizzazione dell'opposizione?
  Un altro punto è connesso a quello che diceva il vicepresidente Farina. La presenza di materie prime d'importanza strategica è, ovviamente, un magnete che attira le grandi potenze che vogliono appropriarsene. Su questo piano è importante che si dia visibilità a un progetto alternativo, in quanto queste risorse non sono a disposizione di chi vive lì. Anche relativamente ai somali, vorrei capire come si concilia la condizione nomade con questo tipo di problemi. Ciò può essere stato anche un elemento di debolezza nella resistenza? Le situazioni sono sempre molto diverse e la storia ci insegna cose molto diverse.
  Ancora un punto: Lei ha parlato di altre opposizioni rispetto a quella interna all'Etiopia. Ha parlato non solo di somali, ma di musulmani e di cristiani: che cosa impedisce che si uniscano queste opposizioni, e che quindi rendano più evidente un problema drammatico? Pag. 8
  Infine, leggo dalla convocazione della Commissione che Lei è vicepresidente dell’Unrepresented Nations and Peoples Organization: cosa sono le «nazioni non rappresentate»? Vorrei capire che significato c'è dietro questa espressione. Qual è l'intenzione di un'organizzazione di questo tipo? Riuscire a rappresentare chi non ha la forza per essere rappresentato? Vorrei capire di più su questo punto, perché mi sembra un'idea molto importante. Ovviamente, ci si rivolge a chi è debole e manca di questa risorsa decisiva per combattere. L'organizzazione è un elemento importante. Poi, sul piano della solidarietà, non solo umana, ma anche politica, credo che si possano avere ben pochi dubbi.

  PRESIDENTE. L'onorevole Cassano ha posto domande estremamente importanti, che meritano dei chiarimenti opportuni, anche per permetterci, poi, di operare e informare sulle future iniziative importanti al riguardo.
  Cedo la parola al vicepresidente Mahdi per la replica.

  ABDIRAHMAN MAHDI, vicepresidente della Unrepresented Nations and Peoples Organization. Grazie per queste domande così interessanti. Per quello che riguarda la sfiducia tra i somali e gli etiopi nel 1994, la storia dell'Ogaden è segnata dal conflitto. Per oltre cent'anni il nostro popolo fu colonizzato dagli etiopi e non c'è stato mai un buon rapporto. Poi, nel 1991, il nuovo gruppo dirigente accettò di riconoscere il diritto all'autodeterminazione e lo inserì nel proprio statuto. Noi, quindi, accettammo di entrare nella coalizione, ma purtroppo, sin dall'inizio, da quando iniziammo a governare, si affermò che nel Tigrè, da dove proveniva il partito principale, poteva operare soltanto un partito e che in tutta l'Etiopia poteva operare soltanto un partito, che era l'EPRDF. Ma nella regione somala si affermò che ogni clan poteva avere il proprio partito. Quindi l'ONLF, che era il partito di maggioranza, stava cercando di ottenere consenso presso il popolo somalo e incoraggiò tutte le tribù. Pertanto, nella nostra regione si crearono sedici partiti. Decidemmo di competere a livello elettorale e ottenemmo l'87 per cento dei voti.
  Il governo decise di congelare le nostre risorse finanziarie, ciononostante noi abbiamo costituito le nostre istituzioni. È stato bloccato ogni passo della transizione biennale, perché si aveva paura: i somali, infatti, sono ottimi guerrieri e se avessero potuto contare su stabilità e risorse sufficienti, avrebbero potuto ribellarsi un giorno. Si cercò, quindi, di costituire un proprio partito alternativo in Ogaden.

  FRANCO CASSANO. Erano troppo veloci: avevano paura che si emancipassero rapidamente.

  ABDIRAHMAN MAHDI, vicepresidente della Unrepresented Nations and Peoples Organization. Sì, è proprio così. Volevano creare un partito che andasse più lentamente, perché noi avevamo uno spirito molto rivoluzionario; così ci bloccarono. Quando abbiamo dichiarato di non accettare questa situazione, ci attaccarono dicendo che eravamo terroristi. La sfiducia è nata in questo modo.
  All'epoca, volevamo un'autodeterminazione interna: se lo Stato etiope avesse soddisfatto i nostri bisogni, avremmo potuto convivere in un'Etiopia democratica. Quello che è successo è che, quando abbiamo avviato l'autoamministrazione e l'autogoverno, è stato frammentato il regime dei clan e siamo arrivati ad avere, come dicevo, sedici partiti, oltre all'ONLF. Nel Tigrè rifiutarono di farlo. Se non si dà al popolo la possibilità di creare istituzioni forti e si fomenta la frammentazione, non si arriva da nessuna parte. Si è arrivati al caos: una democrazia di sedici partiti su base tribale che venivano strumentalizzati. Nel Tigrè si affermò, invece, che poteva operare soltanto il TPLF.
  Abbiamo, comunque, accettato questa situazione e abbiamo partecipato alla competizione elettorale, ottenendo l'87 per cento dei seggi, cercando di costituire le nostre istituzioni. Di fronte alla nostra vittoria, è stato bloccato il flusso dei finanziamenti: le nostre autorità locali avrebbero dovuto ricevere Pag. 9 denaro per i vari ministeri. Per quasi due anni il denaro è stato bloccato per dimostrare che il nostro governo era inefficiente, che non era in grado di risolvere i problemi. Questa era la propaganda.
  A quel punto, visto che non ci fu permesso di far parte di un governo unitario, abbiamo chiesto che fossero riconosciuti i nostri diritti, ma il Parlamento rispose che non ci volevano, quindi ci attaccarono e da qui è nata la sfiducia. Sì, siamo troppo veloci, hanno paura della nostra velocità, della nostra forza. Si è temuto che questo fosse l'inizio di una secessione, volevano un partito nominato da loro. Questa è la storia del 1994.
  Quando hanno iniziato ad attaccarci, prima – negli anni Settanta – dicevano che si trattava di una questione di confine tra la Somalia e l'Etiopia, come se la Somalia volesse prendersi una parte dell'Etiopia. Questo argomento, poi, non è valso più, per cui avevano bisogno di un capro espiatorio e hanno incoraggiato un partito islamista, dandogli addirittura una sede nel 1995. A quel punto, nel giro di un anno, cominciarono ad attaccarci dicendo che combattevano contro i terroristi islamici. Tra il 1995 e il 1997, quindi, l'ONLF fu attaccato in base alla presunzione che avesse rapporti con quel partito islamista.
  Poi hanno avuto il sostegno americano, c'era tutta la questione di Bin Laden, la minaccia del terrorismo islamico, dicevano che i somali erano musulmani e, quindi, anche la nostra organizzazione somala era ritenuta terrorista. Hanno avuto così molto sostegno, anche se dicevamo che eravamo un'organizzazione nazionale, laica, che non combattevamo per motivi religiosi e che volevamo vivere insieme con i cristiani. La religione per noi è un rapporto personale con Dio, non una forma di Governo. Questa era la nostra argomentazione, ma è rimasta inascoltata. Hanno detto che i somali erano terroristi in quanto musulmani.
  In tempi più recenti, l'Ogaden è stato diviso in 23 comparti, che sono stati messi in vendita. Inizialmente hanno dato delle concessioni all'America, a Dubai. Le aziende americane e quelle svedesi hanno cominciato a violare i diritti umani ma poi, quando abbiamo avviato delle campagne per i diritti umani in Svezia, negli Stati Uniti e in Canada, alcune aziende si sono ritirate.
  A quel punto, sono arrivati i cinesi e sono stati assegnati alcuni contratti: uno alla Petronas, società della Malesia, e uno alla Poly-GCL, società di proprietà dell'esercito cinese. Pertanto, l'Ogaden è stato dato in pasto a queste società, che hanno cominciato a esplorare gas e petrolio. In Ogaden ci sono 4 trilioni di metri cubi di gas naturale e ci sono più di cinque giacimenti di petrolio. Si è cominciato, così, ad attrarre aziende dall'Oriente. Nessuno può lamentarsi con la Cina. D'altra parte, non è che si può andare in Cina e manifestare davanti alla sede del governo cinese a Pechino.
  Quindi la nostra gente nel 2007 è andata in una località chiamata Obole, dove c'erano circa 100 chilometri quadrati di pascoli; sono scoppiati dei disordini e alcuni cinesi hanno perso la vita. A seguito di quell'episodio, l'Etiopia dichiarò che gli ogaden erano terroristi e che avevano collegamenti con Al-Shabaab, allo scopo di ottenere sostegno internazionale. Quelli che sostenevano che i somali avessero relazioni con Al-Shabaab, uccidevano i nostri membri dicendo che avevamo uffici a Londra, in Australia, in America e che eravamo infedeli perché ci accompagnavamo agli infedeli. I nostri, invece, rispondevano che si accompagnavano ai cristiani. Uccidevano i nostri membri in Somalia e dicevano che tutto questo era opera dei terroristi di Al-Shabaab. Con questa propaganda e con il pretesto di contrastare il terrorismo nel Corno d'Africa hanno ottenuto il sostegno internazionale.
  Per quanto riguarda il fatto di essere popolazioni nomadi, i somali sono nomadi dall'inizio dei tempi. È un punto di forza ed è anche un punto di debolezza. È un punto di forza, perché siamo guerrieri capaci di combattere. Non riusciamo a sconfiggere gli etiopi non perché siano più forti di noi, ma perché abbiamo le mani legate: non ci danno finanziamenti, non ci danno soldi, non ci danno armi. Ci sono le forze NATO nel Mar Rosso e non riusciamo ad avere le Pag. 10armi. Ci hanno legato le mani. Nei tardi anni Trenta e negli anni Quaranta, quando avevamo le armi, abbiamo sconfitto gli etiopi e li abbiamo spinti nell'Acrocoro. Siamo più forti come guerrieri, ma oggi, visto il clima internazionale, non ci siamo riusciti.
  Il nomadismo, però, ha anche dei punti deboli legati anche al mutamento climatico. Tuttavia, con delle appropriate politiche agricole, secondo me questo può diventare anche un punto di forza. Ho visto che anche in Europa le persone che vivono nelle città e nelle campagne riescono a formare una sorta di rapporto simbiotico. Le città hanno bisogno dell'agricoltura e del bestiame. In Ogaden ci sono quattro fiumi: i nostri fiumi consentono di coltivare le banane, che arrivano anche in Italia. I nostri quattro fiumi, che sono i più ricchi dell'Africa, giungono fino in Somalia, nello Jubaland. Abbiamo i fiumi più ricchi, i migliori pascoli, il 16 per cento del bestiame africano, esportiamo il 60 per cento dei nostri prodotti ovini in Arabia Saudita. Tutto questo significa ricchezza quando c'è la pace. Il nomadismo, quindi, non è il problema, ma lo sono le politiche di emarginazione.
  Ovviamente, il Niño e il mutamento climatico ci colpiscono, ma colpiscono anche Europa e America. Ora siamo a ottobre e qui in Italia fa caldissimo. Sappiamo che c'è la siccità, ma in Europa la gente non muore di fame perché ci sono politiche valide, quindi in Etiopia il problema sono le politiche. Se ci fossero le politiche opportune, il nomadismo non sarebbe più un problema. Il problema è proprio quest'emarginazione deliberata.
  Quanto poi alle forze di opposizione e alla frammentazione, il nostro popolo è unito agli oromo e agli amhara. Sono stato da poco a Washington, dove ho avuto un incontro con Ginbot 7, che è un gruppo amhara, e prima di loro ho raggiunto un accordo con gli omoro. Tutte le opposizioni hanno bisogno del sostegno internazionale per avere un forum. Ora abbiamo un'agenda comune, che ha come obiettivo il cambiamento democratico in Etiopia. Dobbiamo salvare lo Stato. Non vogliamo la separazione, non vogliamo la disgregazione. Noi vogliamo un cambiamento democratico in Etiopia, anche per quello che riguarda i tigrini, che non vogliamo isolare. Se si isola un gruppo etnico, infatti, poi ci sarà un'altra guerra.
  Le forze dell'opposizione hanno raggiunto un accordo sulle questioni più importanti, ma senza il sostegno internazionale. Abbiamo bisogno del vostro sostegno. Occorre sostenere anche il governo. I negoziati in corso con il governo, ad esempio, sono iniziati tre volte grazie all'aiuto del governo del Kenya, ma non vanno avanti perché non c'è stato un interesse internazionale sufficiente, non c'è stata pressione. Secondo me, c'è la possibilità sia di rafforzare le opposizioni sia di migliorare il negoziato.
  Il partito di governo in Etiopia, l'EPRDF, è composto da quattro partiti e noi, che siamo somali segregati, non siamo rappresentati. Le decisioni sono assunte a livello centrale e anche se loro dicono che esistono governi regionali, noi non abbiamo nulla, nessuna voce in capitolo, non possiamo far valere i nostri diritti, non possiamo determinare la nostra vita.
  La maggior parte dei membri dell'UNPO, i tibetani, gli uiguri dalla Cina, i mapuce, le popolazioni di minoranza in Belucistan, Pakistan, Iran e Afghanistan, anche alcune minoranze dell'Europa, non sono rappresentati e non hanno il diritto di decidere sul proprio destino. Questo non vuol dire che si richiede la secessione, ma di poter gestire le proprie risorse e decidere sul proprio modus vivendi. Cerchiamo di dare una voce in quest'organizzazione.
  Il Partito Radicale, ad esempio, ci aiuta da dieci anni. Noi non facciamo parte dell'ECOSOC, siamo un'organizzazione rurale, siamo un popolo povero, quindi all'ONU non siamo in grado di dire neanche le cose che vi sto dicendo oggi. Grazie ai buoni auspici del Partito Radicale, in qualche maniera siamo stati rappresentati e abbiamo avuto una voce attraverso le Nazioni Unite al Forum sulle Minoranze e al Forum sui Popoli Indigeni.
  Grazie all'UNPO, quindi, ci sono anche molti europei istruiti che ci aiutano ad avere una voce. L'UNPO è una piccola ONU, Pag. 11con poche decine di membri, i più poveri dei poveri, senza voce, senza diritti, criminalizzati, accusati di essere terroristi. La nostra è un'organizzazione per la liberazione e la democrazia nel mondo. Siamo aiutati da buoni amici, come il Partito Radicale, e da altre organizzazioni, che ci consentono di far sentire la nostra voce, come è accaduto oggi.
  Vi ringraziamo di questa possibilità e ringraziamo anche il Partito Radicale.

  PRESIDENTE. Concludo con due considerazioni. La prima riguarda la presidente del nostro Comitato, Pia Locatelli, che, in quanto presidente del Comitato sui diritti umani della Commissione affari esteri e comunitari, ha potuto guidare la delegazione italiana all'Interparliamentary Union a San Pietroburgo una settimana fa. L'onorevole Locatelli è una collega e una presidente di straordinaria sensibilità. A San Pietroburgo abbiamo difeso i popoli che in questo momento soffrono altrettanto e forse più, quali quelli del Myanmar e del Venezuela, che è molto vicino a noi per tradizioni storiche e presenza di una grande comunità italiana. Sarà nostro dovere informare la collega e presidente Pia Locatelli di questo grave problema.
  Infine, cito una nostra grande personalità, Romano Prodi, un politico già Presidente del Consiglio e della Commissione europea, amico dell'Africa, e per la verità amico anche della Cina, e questo potrebbe essere estremamente utile e importante anche per avviare una riflessione seria sulle condizioni, come Lei giustamente ha detto, dell'Etiopia nel suo insieme, affinché veramente si vada ad avviare un vero processo democratico, che rispetti tutte le minoranze presenti sul territorio. Romano Prodi afferma che i cinesi sono ovunque, fuorché dove esistono delle grane. Probabilmente, è anche loro interesse fare in modo che anche in questa parte di territorio africano vi sia possibilità di sviluppo democratico e di futuro.
  L'Unione interparlamentare si riunirà tradizionalmente, come ogni anno, a marzo a Ginevra e credo che questo problema debba essere sollevato. Mi collego a quanto il vicepresidente Mahdi ci ha detto oggi: si deve fare in modo che l'Unione interparlamentare, che a marzo affronterà problemi enormi e urgenti, quali quelli del Venezuela e quelli del Myanmar, affronti anche con grande forza il problema del Corno d'Africa, dell'Etiopia e delle etnie che vivono in quella regione. Naturalmente, è importante soprattutto il problema dell'Ogaden.
  La ringrazio ancora e concludo dicendo che informeremo la collega presidente Pia Locatelli e il presidente della Commissione affari esteri e comunitari, Fabrizio Cicchitto, dei contenuti di questo incontro. Il nostro ruolo è quello di parlamentari membri della Commissione affari esteri e comunitari e cercheremo anche, in questa nostra funzione, di attirare l'attenzione del nostro Governo affinché agisca ovunque in Africa, ma soprattutto in Europa, essendo l'Italia Stato membro dell'Unione europea, affinché anche in questo importante settore dell'Africa, a noi così vicina, ci sia possibilità di sviluppo democratico.
  La ringrazio veramente di tutto cuore, vicepresidente Mahdi, e ringrazio la delegazione del Partito Radicale.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.