XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Giovedì 30 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PRIORITA’ STRATEGICHE REGIONALI E DI SICUREZZA DELLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA, ANCHE IN VISTA DELLA NUOVA STRATEGIA DI SICUREZZA DELL'UNIONE EUROPEA

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 ,
Della Vedova Benedetto , Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 2 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 7 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 8 ,
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 9 ,
Cimbro Eleonora (PD)  ... 10 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 ,
Della Vedova Benedetto , Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 10 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, l'audizione del Sottosegretario agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, che ringrazio per la disponibilità.
  Segnalo che, in occasione del Consiglio europeo riunito ieri, è stata presentata e accolta la nuova strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea da parte dell'Alto rappresentante, incaricata di preparare la nuova strategia del Consiglio dell'Unione europea nel giugno 2015. La strategia è risultato di un processo aperto e svolto in consultazione con gli Stati membri, le istituzioni europee e la società civile. Il documento presenta i diversi punti della nuova strategia dell'Unione europea, tra cui le priorità e i principi per l'azione esterna, sulla sicurezza, sull'ordine regionale cooperativo, sulla politica di vicinato e sull'approccio integrato alle crisi.
  Nel paragrafo sulla politica di allargamento dell'Unione europea del documento, si legge che le sfide della migrazione, della sicurezza energetica, del terrorismo e della criminalità organizzata sono condivise tra l'Unione europea, i Balcani occidentali e la Turchia e si dice che «la sfida strategica dell'Unione Europea è, quindi, quella di promuovere riforme politiche e lo stato di diritto, la convergenza economica e le relazioni di buon vicinato nei Balcani occidentali e in Turchia». In Turchia, specialmente lo Stato di diritto sarà interessante vedere come si realizza.
  Nel paragrafo sull'ordine di sicurezza europea, si dà anche molto spazio al rapporto Unione europea-Russia. La gestione del rapporto con la Russia rappresenta una sfida strategica fondamentale – leggo sempre il documento – e un approccio coerente e unito deve rimanere la pietra angolare della politica dell'Unione europea verso la Russia – prosegue il documento – ribadendo che modifiche sostanziali nelle relazioni con Mosca devono avvenire nel pieno rispetto del diritto internazionale e dei principi dell'ordine di sicurezza europeo, tra cui l'Atto finale di Helsinki e la Carta di Parigi. Il documento ribadisce che l'Unione europea non riconosce l'annessione illegale della Crimea, né accetta la destabilizzazione dell'Ucraina orientale, il che vuol dire evidentemente che queste sono questioni che si intrecciano con la sfida strategica fondamentale.
  Nel ricordare che con l'odierna audizione si conclude l'indagine conoscitiva in titolo, do la parola al Sottosegretario Della Vedova.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione Pag. 3 internazionale. Grazie, Presidente. Data la situazione, preferisco leggere e cercherò di farlo con un passo un po’ veloce per evitare di utilizzare troppo tempo, per cui, se dovessi leggere con un passo troppo veloce, ditemelo tranquillamente.
  Tra quello che accade agli affari interni e agli affari internazionali vi è una stretta simbiosi e la politica estera è ormai anche e soprattutto politica interna. Dalle nostre scelte di politica estera e dalla capacità di affrontare i piccoli e grandi temi internazionali e di orientare le scelte comuni, in primo luogo dell'Unione e degli altri partner, dipende la sicurezza, il benessere e il futuro del nostro Paese e di tutti gli italiani.
  L'appartenenza all'Unione europea – questo è il capitolo Crisi dell'Unione europea e possibili risposte – è parte integrante della nostra identità culturale e politica ed è elemento intrinseco della costituzione materiale del nostro Paese, scelta fondamentale della politica estera italiana. L'Unione europea attraversa da tempo una crisi senza precedenti, ultima in ordine di tempo è quella innescata dal voto del referendum britannico. Le vicissitudini dell'area euro, le difficoltà crescenti a trovare risposte comuni in Unione presto a ventisette, la disaffezione nei confronti del progetto europeo e la forza crescente dei sentimenti anti europeisti dei movimenti antisistema sono gli aspetti più evidenti di detta crisi.
  In questi anni è andato perso parte del capitale di soft power che ci caratterizzava, ovvero il leverage garantito dall'essere un modello di successo, un obiettivo al quale altri Paesi potevano aspirare attraverso rapporti più stretti, come lo strumento del vicinato o addirittura l'adesione. Eppure, per molti l'Europa continua a essere una meta anelata e, semmai, è appunto il modello dell'integrazione europea, fattispecie di unione trasformativa che non ha corrispettivi in diritto internazionale, a risultare troppo complesso per essere replicato altrove e finanche compreso.
  Questi fattori interni e le tensioni esterne minacciano ora il futuro del continente e propongono sfide insidiose a un Paese come l'Italia che ha fatto dell'appartenenza alla famiglia europea un ancoraggio a un sistema di valori e di principi. All'attuale crisi economica, politica, culturale e morale dall'Europa si risponde proprio con un rinnovato impegno per ricompattare tutti i membri sui principi fondanti della responsabilità comune e della solidarietà e, soprattutto, di avvicinare gli europei all'Europa.
  È una scommessa, questa, che passa anche attraverso la dimensione esterna dall'Unione europea, in un quadro internazionale, in cui sfide e opportunità sono strettamente intrecciate e hanno una portata ormai globale. Anche nell'ambito di una politica estera europea bisogna ricostruire una cultura delle responsabilità e della solidarietà.
  Sulla strategia globale europea va in questo senso anche il lavoro avviato dall'Alto Rappresentante Federica Mogherini con la Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, che, approfondendo e valutando la portata delle varie minacce e opportunità che incombono sull'Europa, consente di riavvicinare le posizioni, anche molto distanti, tra i vari Paesi membri e ricomporre un comune piano d'azione, compito difficile, ma non impossibile, e in un certo modo obbligato, in quanto proprio le divergenze tra gli Stati membri e le difficoltà di trovare una risposta unanime depotenziano l'efficacia dell'azione esterna.
  La strategia tiene conto in maniera molto soddisfacente della priorità italiana. Tra i punti qualificanti della posizione italiana, segnaliamo, per primo, la necessità di un equilibrio nella strategia tra il tema della sicurezza interna e l'azione esterna dell'Unione europea; quella europea non deve essere soltanto una nuova strategia di sicurezza.
  Si segnala anche l'attenzione nei confronti del tema delle migrazioni, sfida delle sfide. L'approccio del Migration Compact italiano è riflesso in maniera fedele nella strategia e vi è una forte enfasi sulla migrazione economica e strutturale quale sfida di medio-lungo periodo. Inoltre, emerge la consapevolezza che le sfide imposte dalle migrazioni richiedono un mix di politiche, nel cui ambito vanno affrontate le ragioni Pag. 4strutturali del fenomeno attraverso la promozione dello sviluppo economico e della resilienza socio-economica in Africa.
  C'è poi il rafforzamento della resilienza istituzionale e socio-economica come un impegno a lungo termine dei Paesi vicini a est e a sud, incluso il continente africano, per promuovere riforme, good governance, istituzioni forti, sviluppo socio-economico inclusivo e un ambiente favorevole per lo sviluppo degli investimenti e la crescita economica.
  Sul quarto punto, la credibilità dell'Unione europea dipende dalla capacità di affrontare e risolvere le crisi che riguardano le regioni e i propri confini. Il Mediterraneo globale (Medio Oriente, Nord Africa e Africa sub-sahariana) quale epicentro dell'instabilità globale deve essere prioritario per gli interessi dell'Unione europea.
  Sul quinto punto, la diplomazia preventiva deve rivestire un ruolo chiave e rappresentare la nuova frontiera delle azioni dall'Unione europea. Ciò implica che l'Unione e gli Stati membri devono investire molto di più delle proprie capacità di early warning e di prevenzione e gestione dei conflitti.
  Sesto punto: la consapevolezza che la chiave del successo della strategia saranno i suoi seguiti. In tale ambito, occorre, in primo luogo, un salto di qualità nelle capacità all'Unione europea in materia di sicurezza e difesa. Ciò significa la piena attuazione delle clausole del Trattato di Lisbona in materia di politica di sicurezza e difesa comune, una maggiore sinergia tra le strutture civili e militari e una più organica collaborazione con la NATO.
  L'Alto Rappresentante Mogherini, d'accordo con il presidente Tusk nonché con i vertici delle altre istituzioni degli Stati membri, ha deciso di presentare la strategia globale al Consiglio appena conclusosi del 28 e 29 giugno, cui faceva riferimento il Presidente. Tale scelta ha confermato la volontà di mandare un segnale forte e concreto per il rilancio dell'Unione europea nell'immediato post Brexit.
  A prescindere dalle formule di rito, particolare enfasi è stata data alla consapevolezza che saranno i seguiti operativi a decidere il successo di questa strategia e delle cinque priorità in cui si è articolata: sicurezza; incremento della resilienza nel vicinato europeo; approccio integrato ai conflitti; rafforzamento dalla cooperazione regionale e della governance delle sfide globali. Si tratta di una consapevolezza che sembra ben compendiata dall'idealismo pragmatico, che ha ispirato la visione delle principali sfide geopolitiche, fatte proprie dalla strategia e che è emerso come filo conduttore anche nel recente vertice dei Ministri degli esteri dei Paesi fondatori, a Berlino.
  Riguardo alle sfide e allo scenario geopolitico attuale, la situazione estera dell'Unione si confronta con un panorama internazionale in cui proliferazione di crisi, minacce, terrorismo, radicalismo, criminalità, sicurezza informatica e nuove sfide regionali e globali sono i tratti di una realtà in profondo e costante mutamento.
  Per certi aspetti la situazione attuale ricorda le tensioni dell'epoca bipolare, però senza alcuni elementi fondamentali di garanzia del sistema, quali il riflesso di autoconservazione e i freni di sicurezza, imposti dal principio dell'equilibrio tra i due poli.
  Nel difficile rapporto con Mosca – c'è un capitolo sul rapporto con Mosca e sulla situazione dei Balcani – si intrecciano debolezze, rancori passati, interessi economici e dipendenza energetica, ma è soprattutto la percezione dell'altro, spesso distorta, ad alimentare pregiudizi e diffidenze.
  L'incomprensione reciproca e i sospetti sono anche figli di una cattiva comunicazione che la posizione, non sempre compatta dell'Europa, ha finito per favorire.
  Anche la situazione nei Balcani mostra segnali di logoramento degli assetti consolidatisi dopo il conflitto, seguito alla risoluzione della ex Jugoslavia. Apro e chiudo parentesi: forse accade perché questi sono troppo consolidati e troppo poco in movimento. Su questo scenario, cioè quello balcanico, si ripercuotono le nuove fibrillazioni tra Est e Ovest, l'assenza di sufficienti risposte europee alle aspettative di quei Paesi, le irrisolte conflittualità intrabalcaniche e un impegno riformista delle leadership locali non sempre privo di ombre. Una politica europea più concorde rispetto agli sviluppi di tale area è anche un modo per Pag. 5ricondurre i popoli dei Balcani sulla strada dell'avvicinamento agli standard europei.
  Vi sono, poi, i grandi sconvolgimenti che interessano l'area del Medio Oriente e del Nord Africa, ma in modo particolare il Mediterraneo. L'Italia, come nessun altro Paese europeo, è immersa nel Mediterraneo. In tale spazio, affondano le radici della nostra storia e della nostra identità; siamo noi il ponte tra quest'area e l'Europa continentale.
  Per la sua contiguità con i focolai di crisi, all'Italia viene richiesta, con insistenza, l'assunzione di una leadership, a cominciare dalla Libia. Si tratta di una responsabilità e di un ruolo che non possiamo e non vogliamo rifiutare, in particolare rispetto alla Libia. L'impennata dei flussi migratori, il radicalismo islamico e la moltiplicazione di realtà statuali, in crisi sulla soglia di casa, sono sfide reali, che fomentano un preoccupante senso di insicurezza e di paura nella nostra opinione pubblica. Tali avvenimenti impongono all'Italia di agire in fretta e di convincere i nostri partner ad agire come noi.
  C'è un elemento che mi ha colpito recentemente. Come avete visto dai dati sugli sbarchi dei primi sei mesi, è evidente che ci siano, rispetto all'anno precedente, meno partenze dalla Libia e più partenze dall'Egitto. Questa è una fotografia abbastanza sintomatica di come agiscono le stabilizzazioni o le destabilizzazioni sul terreno rispetto alle partenze.
  Le cause della crisi dell'area mediterranea sono profonde e diverse da Paese a Paese. Con tutti i distinguo necessari, esistono comuni motivi di fondo che spiegano l'attuale situazione di instabilità: decenni di malgoverno da parte di regimi autoritari; corruzione; nepotismo; incapacità di promuovere sviluppo socio-economico equilibrato, assicurando i necessari investimenti in infrastrutture materiali e immateriali (istruzione e sanità); l'emarginazione socio-politica e socio-culturale di ampie fasce della popolazione.
  Ci sono pochi dubbi, quindi, sul fatto che occorre agire sulle cause strutturali. È necessaria una rinnovata mobilitazione per porre le basi di una rinascita economica sociale, civile e istituzionale dei Paesi del Nord Africa e del Vicino Oriente. Dobbiamo porre, tra le priorità, il rafforzamento politico, istituzionale e socio-economico di quei contesti che riescono ad arginare tanto il fondamentalismo quanto derive troppo autoritarie, in primo luogo la Tunisia. Bisogna assolutamente evitare che altri Stati siano trascinati nel baratro della disgregazione e trasformarli, invece, in ancoraggio e in punto di riferimento per le realtà più critiche.
  Occorre una strategia multidimensionale di medio-lungo termine, nella quale dovranno interagire iniziative nazionali ed europee multilaterali per stabilizzare e rafforzare i Paesi dell'area, per esempio attraverso: la promozione degli investimenti e della cooperazione economico-commerciale e il rafforzamento della cooperazione militare e di sicurezza; una politica europea di vicinato più attenta ai temi dello sviluppo socio-economico, anche sotto il profilo della propria azione locale e dei parametri e livelli di condizionalità da negoziare con i governi dalla sponda sud; il rafforzamento e/o la creazione di strumenti finanziari multilaterali per investimenti in infrastrutture e tecnologie, in un disegno quanto più possibile condiviso di stabilizzazione e di sviluppo a lungo termine della regione con il coinvolgimento dei principali attori internazionali, ovvero Unione europea, Paesi del Golfo, Cina, America Russia e altri.
  Passo ora alla questione iraniana e concludo questo excursus sull'area mediterranea e mediorientale con una nota di fondato ottimismo.
  L'Accordo complessivo sulla questione nucleare iraniana è stato ottenuto grazie all'impegno di tutti i negoziatori, con un ruolo importantissimo – questo va sottolineato – dell'Alto Rappresentante Mogherini, che su questo ha raccolto, a mio giudizio, il testimone di lady Ashton. Dell'operato di quest'ultima, nel corso del suo mandato, si può discutere su tante cose, ma sicuramente il ruolo proattivo dall'Unione europea sul tema dell'Accordo sul nucleare con l'Iran ha aperto la strada, che Federica Mogherini ha brillantemente proseguito, Pag. 6fino alla conclusione. Tale Accordo dimostra l'efficacia della diplomazia.
  L'Italia ha sempre mantenuto aperti i canali di dialogo con Teheran e ha agito affinché l'Unione europea assumesse un ruolo da protagonista nel negoziato. Emma Bonino è stato il primo Ministro degli affari esteri di un Paese europeo a tornare a Teheran.
  L'Accordo traccia un percorso di normalizzazione dei rapporti con la comunità internazionale che potrà avere effetti molto positivi anche per le nostre imprese, sulla reintegrazione a pieno titolo di Teheran nell'economia globalizzata.
  In merito agli interessi dell'Italia, malgrado la priorità che riveste la situazione del nostro vicinato mediorientale, l'Italia non deve essere ostaggio della propria geografia. Abbiamo interessi globali, in primo luogo per il multilateralismo che ha sempre ispirato la politica estera dell'Italia repubblicana; l'appartenenza alle Nazioni Unite è la cifra di questo impegno.
  Sulla riforma delle istituzioni per la governance globale, la sommatoria delle crisi e di questioni globali sempre più complesse mette, ovviamente, alla prova la fisionomia delle organizzazioni internazionali e la stessa filosofia che ne guida i vari interventi. L'obiettivo di adattare a tale realtà le Nazioni Unite, le sue agenzie e le politiche da esse condotte va nella direzione di un rilancio del multilateralismo, anche attraverso la riforma del sistema dell'ONU. Si tratta di una riforma che dovrebbe investire anche le istituzioni preposte alla governance globale, economica, politica e sociale, prendendo atto che la distribuzione del potere su scala mondiale è profondamente mutata, per l'affermazione di un gruppo di Paesi emersi, oltre che emergenti, che, a ragione, chiedono maggiore considerazione e più spazio nei processi decisionali. Allargare la platea degli attori, nei consessi in cui si prendono decisioni determinanti e si stabiliscono le regole, è anche un modo per sensibilizzare e responsabilizzare tali Paesi e quelli che emergeranno nei prossimi anni rispetto alle grandi questioni. La capacità della comunità internazionale nel gestire le nuove sfide globali sarà, di conseguenza, più incisiva.
  Voi sapete che la posizione, che attraversa i Governi italiani degli ultimi anni rispetto alla riforma delle Nazioni Unite, è quella che si raccoglie nel gruppo di Paesi United for Consensus che preme per un allargamento del Consiglio di sicurezza, ma non per un aumento del numero dei membri permanenti con diritto di voto, quindi per membri non permanenti, con mandati più lunghi e per un migliore assetto dal punto di vista regionale. Altri, invece, premono per aggiungere tre, quattro o cinque membri permanenti. La nostra visione, insomma, è più corale e multilaterale.
  Riguardo alla tutela dei global commons e alla liberalizzazione dei commerci internazionali, la collaborazione con tali nuove potenze è indispensabile per la tutela dei cosiddetti global commons, in contrasto ai cambiamenti climatici, per esempio, e per portare a compimento vari processi di riforma, come la liberalizzazione dei commerci internazionali e la regolamentazione della finanza internazionale.
  Questo excursus non sarebbe completo senza un riferimento agli altri pilastri della collocazione internazionale dell'Italia, nel cui ambito si esplica la nostra azione internazionale.
  La dimensione transatlantica è, ancora oggi, la garanzia principale della nostra sicurezza. La chiave fondamentale di questa equazione risiede nel nostro rapporto con gli Stati Uniti e nell'appartenenza alla NATO. La lealtà e il rispetto dei trattati e della rete di alleanze hanno garantito la nostra sicurezza e permesso lo sviluppo economico del secondo dopoguerra. La solidità del nostro rapporto con Washington deve essere la base su cui costruire una partnership ancora più ampia, in sintonia con i nostri interessi di sicurezza ed economico-commerciali. Il partenariato con gli Stati Uniti, la solidarietà del rapporto con i partner europei e la collaborazione con altri grandi attori internazionali – Russia, Cina e Giappone – sono gli strumenti attraverso i quali l'Italia può sperare di affrontare le sfide, sempre più multiformi, soprattutto in campo securitario.
  In merito al ruolo dell'Italia nello scenario geopolitico odierno, la sicurezza del ventunesimo secolo non ha solo una dimensione, Pag. 7 ma è un intreccio di fattori, che riguardano: economia, finanza, difesa, demografia, migrazioni, sanità, tecnologie dell'informazione e della comunicazione; sostenibilità; ambiente ed energia.
  L'Italia osserva questo complesso scenario e deve cercare di trovare una collocazione che sia in sintonia con le proprie capacità e interessi. Non possiamo considerarci, se non in quanto membri dell'Unione europea, potenza globale, ma siamo senza dubbio attore globale, con energie economiche e culturali che travalicano i confini regionali.
  Per poter continuare a coltivare tale ambizione, l'apertura al resto del mondo è un elemento irrinunciabile. Il nostro perdurante successo sui mercati maturi, tuttora determinanti per il nostro export, deve essere di impulso per la conquista dei mercati dal futuro, in particolare l'Asia, ma anche rispetto agli altri Paesi emergenti in America latina – un continente al quale siamo legati da un rapporto speciale per il lavoro dei nostri emigranti – e, sempre più, in Africa.
  Stamattina, è stata ospitata in questa Camera un'iniziativa per discutere sull'ASEM, quindi sul rapporto tra Asia ed Europa, in cui sono venuti fuori anche i dati rispetto alle potenzialità dal punto di vista economico. È emerso un potenziale di gran lunga maggiore di quanto noi facciamo, come Italia, per l’export verso la regione.
  Proprio nella corsa verso l'Africa che ha caratterizzato questi ultimi anni, l'Italia può svolgere un ruolo fondamentale, per ricercare nuove opportunità per le imprese italiane e, nel contempo, per contribuire a una crescita sostenibile, allo sviluppo di istituzioni democratiche ed efficienti, anche attraverso una migliore collaborazione tra pubblico e privato, e agli strumenti forniti dal nostro sistema di cooperazione allo sviluppo.
  Per promozione del Paese, in cui il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale trova una delle sue primarie funzioni, non va, però, solo inteso il sostegno agli investimenti, all'esportazione e alla diffusione culturale. In questa equazione, è essenziale il ruolo che la società civile, nazionale e transnazionale e gli attori non statuali di politica estera svolgono globalmente. Questa nuova dimensione è frutto della, già citata, forte compenetrazione tra realtà interna e internazionale, che caratterizza il mondo di oggi, trainata dalle nuove tecnologie dell'informazione digitale, ma è anche la conseguenza della democratizzazione delle relazioni internazionali, avvenuta nel corso degli ultimi decenni, che ha trasformato profondamente il modo di pensare la politica estera.
  Mi avvio alla conclusione. Oggi, popoli, Parlamenti, organizzazioni non governative, gruppi e singoli individui influenzano le decisioni di politica internazionale dei governi. L'opinione pubblica chiede insistentemente conto di quanto accade fuori dai confini nazionali e la politica estera deve tenere in considerazione le sollecitazioni provenienti dai cittadini e dal mondo dell'informazione. La questione di fondo è assicurare il rispetto dei ruoli e incanalare queste istanze in un processo decisionale, che consenta di valutare, in maniera approfondita e su basi solide, tutti gli aspetti dei problemi. Poter richiamare tali fattori democratizzazione in politica estera consente di affrontare la complessità dei vari scenari con strumenti più affinati e con un sostegno maggiore dell'opinione pubblica alle politiche che vengono intraprese. Le linee strategiche di politica estera, così formulate, saranno espressione di tutto il sistema Paese.
  Arrivare a questi risultati richiede, tuttavia, avere ben chiaro quello che è il rapporto tra obiettivi e strumenti. La congruenza tra quello che si persegue e i mezzi di cui si dispone è un passaggio cruciale nel processo che va dalla definizione degli interessi nazionali alla liberazione degli indirizzi strategici della politica estera. Solo rispettando questo equilibrio di fondo, l'Italia potrà essere protagonista nella cornice necessaria dell'Unione europea, rinnovata, di un nuovo assetto internazionale più stabile e sostenibile, anche per le prossime generazioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  ERASMO PALAZZOTTO. Intanto ringrazio il sottosegretario Della Vedova per le cose che ci ha detto e per la relazione così complessiva e globale, che penso e spero avremo modo di approfondire anche oltre questa seduta perché molte cose vi sono state inserite. Penso che, in questo momento storico particolare, probabilmente i tempi della discussione e del dibattito, anche parlamentare, su quello che sta accadendo, soprattutto sul piano europeo, debbano essere ampliati, essendo stati, per ora, confinati semplicemente ai brevi momenti rituali, relativi al Consiglio europeo.
  Provo, per punti, a interloquire con le cose che ci sono state dette, partendo da alcuni elementi che, secondo me, vanno segnalati.
  Riguardo alla crisi dell'Unione europea, io penso che noi faremmo un grande errore a problematizzare i sintomi di questa crisi e non andare a fondo per guardare quali sono i mali che affliggono, oggi, il progetto europeo. La Brexit e la crescita dei movimenti antisistema appunto sono i sintomi e non sono la causa della crisi che attraversa oggi l'Europa.
  Probabilmente, c'è la crisi complessiva del progetto europeo che, dalla battuta di arresto del Trattato di Nizza in poi, si è arenato e si è orientato solo dentro un processo di integrazione utile ai mercati finanziari, per cui noi, dal tentativo di costituzionalizzare l'Unione europea, siamo passati non più al tentativo, ma alla manovra per unificare semplicemente il sistema bancario, tra l'altro, non riuscendoci, ma mettendo un sistema di regole fiscali che hanno prodotto un disastro dal punto di vista del malessere sociale che si è generato in Europa, nel combinato disposto tra crisi e politiche di austerità. In questo, c'è sicuramente un'inadeguatezza di fondo delle classi dirigenti europee, a tutti i livelli. La metto sul piano politico, perché è chiaro che in questi anni non c'è stata la capacità da parte dei leader europei di mettere in campo una proposta che potesse arginare l'onda che si vedeva lontano un miglio che stava arrivando. Si è provato ad arginare la Brexit aprendo una trattativa con la Gran Bretagna che ha accelerato la Brexit. È chiaro che, se io contratto l'idea che si torna indietro rispetto al processo, a quel punto, vuol dire che è meglio che me ne vado a casa, perché non c'è una prospettiva di crescita sul terreno democratico e sul processo di integrazione.
  Poi, c'è il tema della politica estera europea. Io credo che quello sia un altro degli elementi del fallimento del progetto europeo. Una vera politica estera europea non c'è stata, se non per singoli e piccoli dossier. La politica di vicinato, a seconda dei punti di vista, è stato uno degli elementi su cui questa assenza della politica estera si è misurata – penso alla vicenda libica – dal 2011 a oggi. Al netto di una dichiarazione di intenti, poi, sotto il tappeto covano conflitti intereuropei che si giocano su scenari altri.
  È evidente a tutti che, ieri come oggi, le posizioni strategiche nostre e della Francia sulla soluzione del conflitto libico sono diverse. Abbiamo obiettivi diversi, stiamo su fronti diversi. Noi siamo impegnati nel sostenere il governo internazionale di Fayez al-Sarraj e, in questo momento, i francesi, con gli egiziani, sono intenzionati a fortificare la posizione di Haftar che, fintanto che resiste con quella strutturazione istituzionale, impedisce il pieno dispiegamento di un governo di unità nazionale libico. Per quanto la situazione sia indubbiamente migliorata rispetto al quadro precedente, rimane il rischio che il protrarsi di questa pax attuale, in realtà, venga incrinato in una fase successiva, perché non si sono risolti i nodi che sono all'origine del conflitto libico e che non riguardano i libici, ma gli europei.
  C'è stato uno schiacciamento della politica di sicurezza e di difesa dell'Europa sulla politica della NATO, anzi, più che uno schiacciamento, c'è stata un'identificazione. All'ultima Conferenza de L'Aja, cui anche noi abbiamo partecipato, tutta la discussione sulla politica di sicurezza è stata incentrata sull'aumento – anche qui, in un periodo di austerità – del budget finanziario dei singoli Stati, per portarlo al rapporto del 2 per cento del PIL per la corsa agli armamenti. Quella discussione è stata tutta puntata – anche qui, poi si entra Pag. 9nel meccanismo della politica di vicinato e dei rapporti con la Russia – sulla militarizzazione del fronte orientale dell'Europa.
  La politica di espansione a est dell'Europa – a mio avviso, uno dei punti di crisi che oggi si vede, perché è stata fatta in maniera frettolosa, ed è uno dei punti di crisi sul piano della cultura europea – ha seguito, di fatto, l'espansione a est della NATO. Normalmente, il processo è: l'adesione alla NATO di un paese balcanico e, successivamente, l'integrazione dentro il processo europeo o l'apertura della trattativa per il processo europeo. Questa politica di colonizzazione dell'est dell'Europa è anche uno degli elementi di frizione con la Russia, perché non possiamo ridurre il problema dei rapporti con la Russia solo a un problema di misunderstanding tra noi e la Russia, senza guardare al fatto che la vicenda ucraina ha riguardato una contesa su uno Stato, che era appannaggio di un'egemonia economica e anche militare della Russia e che, invece, con la politica di espansione NATO ed europea noi abbiamo provato ad annettere a un altro campo.
  Il Sottosegretario faceva riferimento all'idea che, ancora oggi, sembra che siamo nella politica dei due campi e, probabilmente lo siamo, con formule diverse e meno ideologiche. Noi abbiamo deciso di fare una politica che provava ad annettere una parte di territorio, che stava nell'area egemonica dall'altro campo. La via d'uscita da quella cosa sarebbe stata immaginare un terreno di neutralità per l'Ucraina, cosa che, ancora oggi, non si mette in campo come proposta, perché sono state trovate una tregua e una pace, ma, dal punto di vista della politica, c'è un sostegno al governo ucraino perché rientri dentro questo campo. L'unica soluzione, che rappresenterebbe anche un passo avanti nei rapporti con la Russia, sarebbe quella di tornare a una politica di neutralità per l'Ucraina. Rifacendomi a un paragone storico, la metterei, per intenderci, sul modello finlandese.
  Chiudo con un'altra ed ultima questione che riguarda appunto la politica nel Mediterraneo e le migrazioni. Noi corriamo un rischio enorme, anche lì, in assenza di una visione strategica e di lungo periodo, affrontando con un politica di corto respiro sia il fenomeno migratorio sia le relazioni nel campo del Mediterraneo globale, quindi inteso anche come Africa sub-sahariana e Medio Oriente. Noi proviamo a mettere in campo politiche che fanno da tampone, ma non affrontiamo i nodi strutturali. Tutto quello che è stato messo in campo, in questi mesi, sul piano degli accordi bilaterali tra Unione europea e Paesi di transito o di origine dei flussi migratori – penso all'Accordo con la Turchia, ma anche a tutto quello che è derivato dal processo di Khartoum, dal processo di Rabat e poi dal vertice a La Valletta – sono accordi che vincolano i fondi alla cooperazione e alla gestione dei flussi migratori e finanziano spesso governi, su cui c'è una discutibile reputazione sui diritti umani, per dirla in maniera edulcorata, quindi non producono politiche di sviluppo, anzi rischiamo di renderci complici di violazioni dei diritti umani. La Turchia è il caso più emblematico, ma si parlava anche dell'Egitto. Per noi, c'è il tema di scegliere la partnership, e del doverla vincolare a un processo e alle questioni dei diritti umani e democratiche. Lei stesso, Sottosegretario, diceva: «evitando di sostenere derive autoritarie». Ecco, noi dobbiamo difendere la Tunisia, però dobbiamo evitare di far diventare l'Egitto un baluardo della democrazia, perché evidentemente non lo è, o la Turchia un partner fondamentale per l'Europa, perché oggettivamente, in questo momento, non lo è.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Il mio è un intervento breve. Ringrazio molto il Sottosegretario per la completezza del suo intervento, che è conclusivo rispetto al lavoro che abbiamo fatto in Commissione sul tema della strategia europea di politica estera.
  Credo che le vicende della Brexit, che complicano effettivamente molto tutto quanto, sia sul fronte interno che sul fronte esterno, ci sollecitino a rendere più utile l'Unione europea.
  Sul fronte esterno, questo significa spiegare come mai l'Unione europea è effettivamente un baluardo, rispetto alle sfide che Lei, Sottosegretario, ha analizzato, ma anche perché l'Unione europea sia la risposta Pag. 10giusta e perché la sia la risposta giusta, se rispondiamo insieme a quelle sfide.
  Io credo che una seria riflessione sul tema degli strumenti della politica estera debba essere fatta, perché gli strumenti della politica estera europea sono, da un lato, le politiche di cooperazione, che sono sempre più tecniche e sempre meno politiche e, dall'altro, lo strumento militare, che è un arto sostanzialmente inesistente della politica estera europea. Una seria riflessione deve essere fatta anche sul tema delle politiche migratorie, che stentano a nascere, e sul tema delle politiche commerciali, che sono frenate dalle difficoltà degli Stati membri. Tali temi ci dicono che, se noi non riflettiamo sugli strumenti, al di là della visione, non abbiamo appunto gli strumenti con cui, poi, spiegare ai cittadini che non hanno ragione a votare per un leave. Se, infatti, l'aggregazione sovranazionale has not been delivered, non si capisce perché si debba stare insieme.

  ELEONORA CIMBRO. Io vorrei, invece, fare il focus sull'UpM, ossia sull'Unione per il Mediterraneo, di cui, da poco, abbiamo assunto un ruolo fondamentale.
  Io credo che, negli scenari che abbiamo di fronte nel Nord Africa e, in generale, nel Mediterraneo, sia arrivato il momento davvero di dare un segno di discontinuità, perché il processo di Barcellona, che è partito nel 1995, non è mai giunto a compimento. C'è stato un tentativo, da parte di Sarkozy con l'UpM, di dare nuovo slancio a questa Unione per il Mediterraneo, che aveva, come obiettivo, quello di pensare, di pianificare e di progettare una convivenza di pace e di prosperità, anche con questo interlocutore a sud dell'Europa. Mi pare che, a oggi, i risultati siano davvero deficitari.
  Oggi, l'Italia può giocare un ruolo importante e lo può fare anche rispetto alla politica estera, con il ruolo di Federica Mogherini, quindi non possiamo più tirarci indietro. Unanime è stato il giudizio negativo rispetto alla gestione della Ashton, per i cinque anni precedenti, mentre, oggi, davvero l'Italia, ha anche dei ruoli chiave, sia rispetto alla politica di vicinato sia rispetto alla politica per il Mediterraneo, nello specifico l'UpM. A fronte di questa nuova posizione centrale Italia, io credo che non ci siano più scusanti, dobbiamo davvero avviare delle politiche che lascino il segno e che diano un esempio di discontinuità, quindi prendiamoci questo compito come un obiettivo prioritario. Lo dico perché il ruolo c'è e la riflessione politica anche. Quello della Brexit può essere davvero uno spunto per dare nuovo impulso alle politiche europee, per cui cerchiamo davvero di essere protagonisti, in discontinuità, rispetto a quanto – purtroppo, mi permetto di dire – è stato fatto fino ad oggi.

  PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Della Vedova, per la replica.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale. Grazie, Cercherò di essere breve e, soprattutto, di evitare di farmi trascinare dalle mie visioni personali, che mi piacerebbe mettere a confronto.
  Sull'articolato intervento dell'onorevole Palazzotto, vorrei dire che, al di là dei giudizi su cosa ha causato la Brexit, sono d'accordo con Lei, onorevole Palazzotto – anche se questa è la mia posizione personale – sul fatto che l'Accordo, come era evidente, avrebbe dato più ragione al leave che non al remain, perché non c'era una risposta soddisfacente per il leave, però si andava in quella direzione.
  Sul fronte est, io non so se, sulla vicenda dell'Ucraina, davvero ci siano colpe. Sicuramente la tattica poteva essere diversa, però la vicenda dell'Ucraina non riguarda solo l'Ucraina, ma riguarda anche la Moldavia e la Georgia. Quelle sono situazioni, che prescindono dalla crisi che si è determinata con l'Accordo di associazione in Ucraina e che danno l'idea di una proiezione abbastanza robusta della Confederazione russa, nei confronti dei vicini ex membri dell'URSS, con un atteggiamento molto proattivo e rivendicativo, che genera, sì, atteggiamenti di ricerca di un ancoraggio, anche in termini di sicurezza nazionale, verso ovest.
  Non so se la risposta può essere quella, come Lei, onorevole Palazzotto, diceva, della neutralità, perché è difficile non riconoscere Pag. 11 una possibilità dei Paesi, e dei popoli o degli elettorati, di assecondare le proprie volontà e il proprio desiderio di avvicinarsi, per esempio nel caso di Paesi europei, all'Unione europea. Poi, le gestioni probabilmente si possono anche discutere, però le responsabilità, a mio avviso, devono essere abbastanza chiare.
  Sul Mediterraneo, è vero quello che Lei dice, circa il vertice di La Valletta, il processo di Khartoum e il processo di Rabat, cioè che vincolano i fondi alla cooperazione. Tuttavia, io credo che quello sia un tentativo da mettere a fattor comune, vista la difficoltà. Il Migration compact, per esempio, chiede un salto di qualità anche nei finanziamenti, ossia di avere una scala finanziaria europea adeguata per implementare progetti strategici europei. Altrimenti, come Lei ha detto, si vincola, in qualche modo, la destinazione delle risorse di progetti, anche bilaterali.
  Figuriamoci se non raccolgo l'idea che ci sia il rischio di cooperare con regimi discutibili o di fare accordi sui rimpatri, o sulle difficoltà o sulla diminuzione dei flussi, con regimi complicati. Inoltre, c'è il rischio, di cui io credo che i Paesi dell'Unione europea siano abbastanza consapevoli, di fare un outsourcing alla polizia europea. Si tratta di un rischio di cui credo siamo tutti consapevoli, però è evidente che la scommessa, al di là della retorica, di contrastare le cause profonde dei fenomeni migratori involontari è una politica che va praticata, con tutti i caveat possibili. Inoltre, è evidente che la partnership, per lo sviluppo economico, è una via tracciata e che non ha alternative. Il leverage che bisogna usare è esattamente quello, in una logica di partnership, di spingere verso soluzioni anche politiche, compatibili con i valori fondativi dell'Unione europea, sapendo benissimo che questo è un meccanismo che non può essere proposto o imposto con una rigidità che preveda o pretenda le soluzioni da domani. L'alternativa che noi proponiamo, rispetto ad altri grandi player che investono in Africa, come, per esempio, la Repubblica popolare cinese, è un'alternativa di engagement con le autorità locali, anche nella definizione dei progetti: non facciamo le cose «chiuse» e «chiavi in mano». Noi usiamo dei vettori per la cooperazione, che sono l’empowerment femminile, la questione ambientale o la questione sulla desertificazione e il rispetto dei diritti umani per i bambini. Queste sono tutte cose che, a mio avviso, vanno in quella direzione. È inevitabile assumersi alcuni rischi, perché, se tu vuoi fare «cherry picking» degli interlocutori in Africa, rischi di non affrontare il tema delle migrazioni.
  Sulla Tunisia – e qui arrivo anche al tema dell'UpM sollevato dall'onorevole Cimbro – io ho visto ieri in Aula, qui alla Camera, la discussione che è stata fatta, anche se, in questa sede, mancano gli interlocutori che erano più agguerriti nell'attaccare l'Accordo sull'olio tunisino. Certo, la mia è una posizione personale, posto che l'Italia ha consapevolmente supportato quella scelta, quantitativamente minima, ma è evidente che una partnership euro-mediterranea riguarda anche accordi che hanno a che fare magari col movimento delle merci, idealmente sostitutivo del movimento delle persone. Bisogna avere una strategia su ciò e, secondo me, uno dei ruoli fondamentali che l'UpM dovrebbe avere è quello di cooperare per aumentare le relazioni intra Paesi del Maghreb, ossia le relazioni politiche, le infrastrutture e le relazioni commerciali.
  Da questo punto di vista, la partnership, comunque di un'area fortemente integrata, con un percorso di integrazione che, a mio avviso, resta di successo – ma non ne discutiamo adesso – dell'Unione europea, dovrebbe spingere a fornire strumenti, indicazioni ed altro, per una maggiore integrazione economica, se non politica, ma partiamo dall'integrazione economica, del Maghreb.
  Se si considerano, infatti, le cifre del commercio tra Egitto, Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, è impressionante quanto scarso sia il commercio tra questi Paesi, quindi l'idea di proporsi come facilitatori di alcuni elementi di integrazione credo che possa essere – lo dico all'onorevole Cimbro, anche se adesso non c'è – quella di sfruttare la presidenza di turno italiana, per migliorare l'aspetto parlamentare dell'organizzazione. Pag. 12
  Concludo rispondendo all'intervento dall'onorevole Quartapelle. Io credo che, nel racconto di quello che l'Unione Europea fa o non fa, l'elemento degli strumenti sia centrale. È un classico la questione dell'immigrazione perché è un circolo vizioso. Non è che l'Unione europea non si occupa o non risolve o non affronta il tema delle migrazioni, ma all'Unione europea, in quanto tale, nessuno ha mai dato gli strumenti e il ruolo su questo problema. Tant'è che all'inizio si discuteva di avere un Commissario per l'immigrazione plenipotenziario, ipotesi successivamente, e giustamente, scartata, perché il rischio sarebbe stato quello di offrire al pubblico ludibrio europeo, un Commissario che non avrebbe avuto gli strumenti per essere, in qualche modo, responsabile di quello che faceva e dei risultati che otteneva.
  Anche dal punto di vista dell'integrazione militare – e concludo davvero su questo tema – io credo che vi sia una richiesta che viene dall'altra parte dell'Atlantico. Ora, se vince Trump, che può vincere anche senza avere l'Unione europea di fronte, con tutti i suoi burocrati ed altro, si aprirà un altro capitolo. Tuttavia, è evidente che già la richiesta in una chiave di partnership è stata evocata da Trump; della serie: «adesso, sono affari vostri», cioè la richiesta di una maggiore assunzione di responsabilità europea anche nell'ambito dalla cornice NATO. Capisco l'idea «ci chiedono solo soldi per gli armamenti», però anche il tema di una maggiore autonoma partecipazione, anche nell'ambito di un sistema di alleanza difensiva, come quello della NATO, dovrebbe essere posto, forse senza il ruolo della Gran Bretagna e con qualche margine di fantasia e di autonomia in più. Quale che sia la decisione strategica che si prenderà, credo che i prossimi quinquenni saranno di una maggiore assunzione di responsabilità, sul capitolo difesa dei Paesi europei.
  Io mi auguro che, se l'Unione europea resterà in piedi, ma, se ci lavoriamo bene, resterà in piedi, che questo focus sia dentro le istituzioni europee, come è stato più volte evocato, ma, a proposito degli strumenti, non ancora praticato. Noi abbiamo tutti gli strumenti che riguardano la politica estera di sicurezza comune, delle cooperazioni ed altro, però non c'è uno strumento che possa, realisticamente e in modo efficace, rispondere alle esigenze di sicurezza. Se non creiamo tale strumento, ogni Paese farà per sé. Forse c'è qualche margine in più per pensare cose diverse, nel settore della difesa, da quelle attuali, ma l'impegno non sarà minore di quello di oggi, secondo me.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Della Vedova e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.