XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Giovedì 12 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Manciulli Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PRIORITÀ STRATEGICHE REGIONALI E DI SICUREZZA DELLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA, ANCHE IN VISTA DELLA NUOVA STRATEGIA DI SICUREZZA DELL'UNIONE EUROPEA

Audizione di Nathalie Tocci, Special Adviser dell'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea sulla nuova Strategia Globale dell'Unione europea sulla Politica Estera e di Sicurezza.
Manciulli Andrea , Presidente ... 3 ,
Tocci Nathalie , Special Adviser dell'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea sulla nuova strategia globale dell'Unione europea sulla politica estera e di sicurezza ... 3 ,
Manciulli Andrea , Presidente ... 7 ,
Farina Gianni (PD)  ... 7 ,
Di Stefano Manlio (M5S)  ... 8 ,
Grande Marta (M5S)  ... 9 ,
Cassano Franco (PD)  ... 9 ,
Manciulli Andrea , Presidente ... 9 ,
Tocci Nathalie , Special Adviser dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea sulla nuova strategia globale dell'Unione europea sulla politica estera e di sicurezza ... 10 ,
Manciulli Andrea , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ANDREA MANCIULLI

  La seduta comincia alle 9.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Nathalie Tocci, Special Adviser dell'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea sulla nuova Strategia Globale dell'Unione europea sulla Politica Estera e di Sicurezza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, l'audizione di Nathalie Tocci, Special Adviser dell'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea sulla nuova Strategia Globale dell'Unione europea e sulla Politica Estera e di Sicurezza, che ringrazio per la sua cortese disponibilità.
  Per ragioni di brevità connesse all'esigenza di consentire lo svolgimento dell'Ufficio di Presidenza per le ore 9.45, prima dell'inizio delle votazioni in Aula, previste per le 9.50 circa, do subito la parola alla dottoressa Tocci per lo svolgimento della sua relazione.

  NATHALIE TOCCI, Special Adviser dell'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea sulla nuova strategia globale dell'Unione europea sulla politica estera e di sicurezza. Grazie, presidente. È un piacere essere di nuovo qui con voi.
  Vorrei innanzitutto farvi un breve resoconto del processo di elaborazione della strategia globale dell'Unione europea, ormai in dirittura d'arrivo, e raccontarvi i contenuti. Tengo a sottolineare che il contributo dell'Italia a questo processo è stato fondamentale. Non tutti gli Stati membri hanno lo stesso peso in un processo del genere e, vuoi per il ruolo dell'Alto rappresentante vuoi anche per l'attuale politica estera italiana, abbiamo lavorato a strettissimo contatto in questi mesi.
  Questo documento non è negoziato tra i ventotto Stati membri. La penna resta in mano all'Alto rappresentante e, nella fattispecie, alla sottoscritta. Abbiamo però bisogno del consenso dei ventotto e quindi ci siamo inventati un metodo poco ortodosso per procedere. Da un lato, c'è l'esigenza di non negoziare il testo. Dall'altro, il 23 giugno si terrà un referendum molto importante in uno Stato membro e c'è il pericolo di un leak di questo documento. Dobbiamo fare quindi grandissima attenzione in questi mesi. L'ultima cosa che vorremmo è un impatto negativo sulla campagna elettorale in Gran Bretagna.
  Per quanto riguarda i contenuti, è importante sottolineare che questa non è solamente una strategia di sicurezza. La prima e unica volta che l'Unione europea ha svolto un esercizio di questo tipo è stata nel 2003. La strategia di Solana era chiamata proprio strategia di sicurezza europea. Noi non la chiamiamo strategia di sicurezza perché, a differenza del 2003, oggi abbiamo il Trattato di Lisbona. Abbiamo un Alto rappresentante e vicepresidente Pag. 4 della Commissione. L'idea della strategia globale non va soltanto intesa in senso geografico, ma anche in senso tematico e funzionale. Guardiamo agli strumenti di sicurezza e difesa, ma guardiamo anche al commercio, alla cooperazione, agli aiuti umanitari, all'energia, alla migrazione. È una strategia globale sul piano sia tematico sia geografico.
  È una strategia che parte delineando gli interessi dell'Unione europea in materia di politica estera e di sicurezza. Abbiamo evitato la solita dicotomia interessi/valori e valori/interessi tipica del gergo europeo. La evitiamo semplicemente perché, nell'articolazione stessa degli interessi, è evidente che stiamo anche parlando di valori.
  Il primo interesse dell'Unione europea è la sicurezza dei cittadini e del territorio. Questo implica un interesse alla pace e alla stabilità delle regioni che circondano l'Unione europea sia a est sia a sud.
  Il secondo interesse è la prosperità dell'Unione europea e dei suoi cittadini. Anche questo ha implicazioni esterne. Abbiamo un interesse allo sviluppo sostenibile a livello globale e a un sistema economico aperto e regolato.
  Il terzo interesse, una deviazione rispetto alla filosofia del 2003, è la resilienza delle nostre democrazie. Non parliamo tanto della promozione della democrazia all'estero quanto della resilienza dei nostri sistemi democratici, cosa che dovrebbe condizionare la nostra azione esterna a tutto campo, dal processo di allargamento alla nostra reazione alla crisi dei rifugiati, al fatto stesso che, qualunque cosa facciamo esternamente, dobbiamo rispettare il diritto internazionale e il diritto europeo se vogliamo rispettare le nostre leggi, le regole e le norme democratiche interne.
  Il quarto interesse è l'unico ad avere un carattere più esplicitamente esterno che interno con risvolti esterni. È un interesse a un ordine globale, a un rules-based global order. Si tratta della conditio sine qua non per soddisfare i primi tre interessi, che sono interessi più di carattere interno.
  I principi alla base dell'approccio dell'Unione europea alla sua strategia sono quattro. Ci rifacciamo all'analisi che abbiamo svolto e presentato al Consiglio europeo nel giugno scorso. Si tratta di una sorta di valutazione del contesto strategico in cui si colloca l'Unione europea. Quel documento racconta un mondo più connesso, più conflittuale e più complesso. Queste tre «C» hanno implicazioni sulla strategia.
  Se il mondo è più connesso, come vediamo dai flussi migratori, dai cambiamenti climatici, dal terrorismo e via dicendo, questa deve essere una strategia imperniata sull'apertura e sull’engagement esterno. Non può essere una strategia di chiusura. Può apparire ovvio per la comunità della politica estera, non tanto ovvio se si parla con altri interlocutori, come, ad esempio, i ministeri dell'interno. Il punto principale è l’engagement. Non c'è modo di tenere il mondo fuori. Non ci sono muri o reti che possano impedire al mondo di arrivare da noi.
  Il secondo principio, in un mondo più conflittuale e più contestato, è il principio della responsabilità. Responsabilità si declina in una serie di posizioni che vanno dall'idea del do no harm, cioè di un attivismo nel mondo prudente e responsabile, all'idea che quando ci impegniamo all'esterno dobbiamo farlo nel lungo termine, all'idea di agire sulle cause profonde delle crisi e dei conflitti. La responsabilità ha chiaramente vari significati.
  Il terzo principio è l'unità. Il mondo è più complesso perché il potere si sta spostando da occidente a oriente e si sta diffondendo al di là dei confini degli Stati. Gli Stati membri agendo da soli o in maniera non coordinata tra loro riescono a ottenere ben poco nel mondo, inclusi Paesi grandi come la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e l'Italia. L'idea è quella dell'unità all'interno dell'Unione europea.
  Il quarto principio è il principio della partnership esterna. Anche l'Unione europea in quanto tale riuscirà a ottenere ben poco nel mondo agendo da sola o in maniera disgiunta da altri. L'Unione deve quindi affinare l'arte delle partnership esterne e non deve limitarsi solamente a partnership con Stati e organizzazioni regionali e internazionali. Deve diventare Pag. 5partner anche della società civile e del settore privato, a seconda dell'area di intervento.
  Prendiamo ad esempio l'area della cyber security. È evidente che deve esserci un partenariato con attori privati. Nel caso dell'area dei conflitti, invece, ci dovranno essere partenariati con la società civile. A seconda dell'area di impegno esterno, la configurazione dei partner cambierà.
  Dopo i principi, arriviamo al cuore del documento e cioè alle priorità dell'Unione europea. Le priorità sono cinque e non sono articolate in senso strettamente geografico. Alcune hanno risonanza più vicino a casa. Altre hanno carattere globale.
  Iniziamo da casa nostra, perché è evidente che una massa critica di Stati membri condivide la forte sensazione che la casa stia andando a fuoco e che ci dobbiamo rafforzare. La prima priorità è quindi rafforzare l'Unione europea in quanto unione. Un'Unione europea forte ha una serie di significati che hanno ben poco a che fare con la politica estera, a partire dall'economia. Poiché questa è una strategia globale per la politica estera e di sicurezza, noi menzioniamo queste altre aree senza poter entrare nel dettaglio. Ci concentriamo, invece, su come rafforzare l'Unione europea in termini di sicurezza e difesa.
  Ci concentriamo su sei aree. La prima è la difesa. L'approccio è molto pragmatico e assai poco ideologico. Il punto non è dire che serve maggiore cooperazione nella difesa tra gli Stati membri, perché è giusto che sia così, ma semplicemente che gli europei in quanto europei hanno bisogno di determinate capabilities per assicurare la sicurezza dell'Europa, ed è molto difficile, se non impossibile, immaginare che questo venga realizzato attraverso l'azione individuale degli Stati membri. La cooperazione è quindi un mezzo per un fine.
  Il retropensiero, non espresso, è che «Uncle Sam» non verrà sempre a soccorrerci in futuro o per lo meno non possiamo darlo per scontato. Dobbiamo assicurarci che l'Europa in quanto Europa abbia le capabilities per garantire la propria sicurezza e agire all'esterno laddove necessario. Che queste vengano utilizzate in un contesto UE, in un contesto NATO, in un contesto multinazionale o in un contesto ONU è secondario.
  Il secondo punto è l'antiterrorismo. Questa area presenta due aspetti. Il primo è il countering violent extremism e comporta diverse azioni a livello di istruzione e comunicazione online e offline, ad esempio, all'interno delle prigioni, dove spesso avviene la radicalizzazione. Sono tutte azioni mirate all'antiradicalizzazione. Il secondo è l'aspetto più tradizionale dell'antiterrorismo, per il quale ci concentriamo molto sulla cooperazione tra agenzie di intelligence a livello europeo.
  La terza area è la cyber security. C'è una dimensione di cooperazione tra gli attori, e per attori non intendo solamente gli Stati e le istituzioni europee, ma anche la società civile e il settore privato, come dicevo poc'anzi. Si tratta di creare piattaforme di scambio di informazioni. C'è poi la dimensione «fisica» relativa allo sviluppo di alcune cyber capabilities.
  La quarta questione è la sicurezza energetica. I risvolti sono sia interni sia esterni e noi ci concentriamo su questi ultimi, tra cui cito la diversificazione delle rotte, degli approvvigionamenti e dei Paesi fornitori. C'è però anche il tema dell'efficienza energetica, delle rinnovabili e via dicendo.
  Quinta area è quella delle migrazioni e del controllo delle frontiere. Se dovessimo attenerci a una strategia puramente esterna, ci dovremmo concentrare solamente su aspetti esterni e di frontiera. Teniamo invece a sottolineare che dobbiamo certamente sviluppare una politica più efficace di migrazione esterna e il controllo delle frontiere, ma queste due misure non potranno mai essere efficaci a meno che non facciamo i compiti a casa. Ci muoviamo, quindi, verso un reale sistema di asilo comune.
  Sesto punto è la comunicazione strategica. Gli aspetti principali sono due. C'è la comunicazione strategica e più in generale la public diplomacy rivolta alle preoccupazioni a est, soprattutto con riferimento alla destabilizzazione ibrida da parte della Russia e al contrasto di questo messaggio che Pag. 6riguarda soprattutto i Paesi del centro e dell'est Europa. Per quanto riguarda il sud, il tema invece è quello della contro-narrativa di ideologie come quella di Daesh.
  Tornando alle priorità, la seconda è la resilienza degli Stati e delle società che circondano l'Unione europea. Ci spostiamo quindi all'esterno. Usiamo, in questo caso, un termine poco istituzionale perché parliamo di surrounding regions, cioè di regioni circostanti. Lo facciamo perché il segnale che vogliamo mandare è che a noi non interessano esclusivamente gli Stati che partecipano al processo di allargamento o che rientrano nella politica di vicinato. Ci interessa una geografia ben più ampia, che a est arriva fino all'Asia centrale e all'Afghanistan e a sud arriva più o meno fino all'Africa centrale.
  Parliamo di resilienza di Stati e di società perché resilienza è un termine interessante, che ha una risonanza sia nelle comunità della cooperazione sia nelle comunità della sicurezza. Parla a comunità diverse, sempre nell'ambito della politica estera. Per noi resilienza è un termine che mira a dare un messaggio di trasformazione e di cambiamento. Ciò che è resiliente ha infatti la capacità di cambiare e adattarsi, rispondendo a choc, stress e crisi.
  Il messaggio che vogliamo dare è chiaro: lo Stato autoritario non è uno Stato resiliente. Può apparire stabile, ma basta un niente, come abbiamo visto in passato, e salta tutto. Resilienza ha un senso diverso, più trasformativo.
  In questa geografia esistono stratificazioni diverse. I Paesi che sono all'interno del processo di adesione sono i Paesi con cui possiamo avvalerci di uno strumento unico e cioè la politica di allargamento. Questa però deve essere rivitalizzata e utilizzata per mirare alla resilienza dei Paesi dei Balcani occidentali e della Turchia.
  Abbiamo poi i Paesi che rientrano nella geografia della politica di vicinato. In questa geografia ci sono due categorie di Paesi, e non mi riferisco alla classica differenza tra est e sud. Mi riferisco soprattutto alla differenza nella volontà di spostarsi oppure no in direzione dell'Unione europea. Agli Stati che hanno la volontà di avvicinarsi a noi, senza alcuna imposizione da parte nostra, abbiamo il dovere e l'interesse di rispondere. Questa loro volontà, se ben utilizzata, può contribuire alla resilienza di questi Paesi. Non facciamo volutamente nomi perché sarebbe facile parlare a est, di Ucraina, di Moldavia e di Giorgia e a sud, di Tunisia e Marocco. Tra un anno, però, potrebbe succedere qualcosa, mentre la vita di questa strategia è più o meno di sette, otto anni. Dobbiamo essere quindi molto attenti a non puntare il dito su alcuni Paesi e alcuni regimi.
  Come dicevo, ci sono Paesi che si vogliono avvicinare a noi e a questi dobbiamo rispondere. Rimane valida la filosofia dell'allargamento light, che era alla base della politica di vicinato. Ci sono però Stati, sia all'interno della politica di vicinato sia al di là del vicinato, che non ci pensano proprio ad avvicinarsi all'Unione europea. La loro resilienza per noi rimane comunque importante ed è la vera sfida. La vera sfida è sviluppare una politica estera che sia non un allargamento light, ma una vera politica estera e considerare la resilienza in tutte le sue dimensioni.
  La resilienza di questi Paesi ha una dimensione di sicurezza, una dimensione politica di governance, una dimensione socio-economica e una dimensione legata a energia e clima. Il mix cambia da Paese a Paese. Se si parla, ad esempio, di Libano, che negli ultimi anni ha vissuto un flusso enorme di rifugiati, la resilienza lì avrà un significato diverso da quello della resilienza dell'Ucraina.
  La terza priorità si concentra, invece, su crisi e conflitti che hanno una particolare caratteristica, ossia quella dell'implosione o della semi-implosione dello Stato. Puntiamo alla resilienza ma, quando lo Stato non c'è più, c'è poco da fare. In casi come Libia, Siria e Somalia – in futuro ce ne potrebbero essere altri – in cui lo Stato non esiste più, in cui c'è uno svuotamento dello Stato, abbiamo quello che viene definito «approccio comprensivo (comprehensive approach) ai conflitti e alle crisi». Esso è imperniato sul nesso tra sicurezza e sviluppo e prevede di utilizzare Pag. 7strumenti sia di sicurezza sia di cooperazione.
  Noi diciamo che dobbiamo andare oltre questa definizione di comprehensive approach e applicare il concetto di «comprensivo» a vari livelli. In primo luogo, dobbiamo avere un approccio più sistematico, che miri a tutto il ciclo del conflitto, raddoppiando gli sforzi sia nella prevenzione sia nelle fasi di stabilizzazione, anziché pensare solo a cosa fare per intervenire. Esiste un ciclo del conflitto, e spesso non si tratta di un ciclo lineare.
  In secondo luogo, c'è l'idea, che ritengo più interessante, di un approccio multilivello a tali conflitti. Agire a livello dello Stato e a livello internazionale, cioè i due livelli principali dei conflitti, va benissimo ma, poiché in questi casi c'è un'implosione de facto dello Stato, dobbiamo agire maggiormente a livello locale e a livello regionale. Dobbiamo considerare questo tipo di conflitti nelle loro quattro dimensioni, locale, statale, regionale e internazionale, e agire a tutti e quattro i livelli.
  Infine, per questi conflitti serve un approccio più multilaterale sia sul terreno – ritorna il tema delle partnership con i donatori e le potenze regionali presenti sul terreno – sia a livello internazionale.
  La quarta priorità riguarda gli ordini sostenibili regionali. Nel passato, la filosofia dell'Unione europea era quella di aiutare le altre regioni ad assomigliarle, essendo essa il maggior successo di integrazione regionale. Era un vecchio approccio. Noi invece riconosciamo le regioni come spazi di governance sempre più importanti nel mondo in cui viviamo, in grado di aiutare a dare risposta alle sfide transnazionali che non possono essere affrontate né esclusivamente a livello locale o nazionale né esclusivamente a livello internazionale. Le regioni uno spazio intermedio e noi riconosciamo questi ordini.
  In alcuni casi esistono organizzazioni regionali che possono volere il nostro supporto. Penso all'Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN), alla Comunità di Stati latinoamericani e dei Caraibi (CELAC) o all'Unione africana. In molte altre aree, come il Medio Oriente, esistono invece organizzazioni regionali o sub-regionali che spesso tendono a replicare le divisioni esistenti nella regione. In questi casi dobbiamo lavorare con queste organizzazioni, ma dobbiamo anche cercare di andare oltre e creare spazi di dialogo e di cooperazione al di là delle strutture esistenti.
  L'ultima priorità è un sistema di governance globale più efficace. Nel documento del 2003 il multilateralismo efficace (effective multilateralism) era uno dei punti principali, ma, tradotto, significava mantenere il sistema multilaterale esistente. Ricordiamo che il contesto di quella strategia era il post guerra in Iraq e quindi c'era il tentativo di riaffermare il primato delle Nazioni Unite.
  Quello che diciamo oggi è che il nostro impegno a livello multilaterale si deve tradurre in qualcosa di più efficace. Dobbiamo mirare non soltanto a mantenere, ma a trasformare questo sistema e a riformarlo. Dobbiamo investire sulle funzioni umanitarie e di peacekeeping delle Nazioni Unite, implementare gli accordi multilaterali che sono stati raggiunti, quali i Sustainable Development Goals, l'Agenda 2030 o l'Accordo sui cambiamenti climatici di Parigi, e creare nuovi meccanismi di governance globale per i settori che si trovano alla frontiera degli affari globali di oggi. Penso al cyber, all'energia, all'emigrazione, dove meccanismi globali non esistono o sono estremamente deboli.
  Queste sono le cinque priorità. L'ultimo capitolo della strategia dice che cosa dobbiamo fare per investire in modo da essere più credibili, per lavorare meglio e in maniera differente al nostro interno, per diventare più flessibili in alcuni nostri meccanismi e assicurarci che la nostra politica estera abbia comunque una solida knowledge base e per assicurare maggiore coerenza alle nostre politiche esterne.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Tocci e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIANNI FARINA. Credo che su queste questioni occorrerà riflettere molto più a Pag. 8lungo e con la possibilità di dibattere e chiarire problemi che sono enormi in un momento particolarmente difficile e complesso, di continua e oggettiva trasformazione.
  Siamo in un periodo in cui non si sa bene cosa l'Europa farà e quale sarà la strada da intraprendere in futuro per governare processi drammatici. A Berlino, dove sono stato in questo periodo, si sottolinea con particolare favore il ristabilimento dei rapporti di collaborazione e di confronto tra Italia e Germania. Il fatto che l'Italia, in questo momento, conduca una politica di sicurezza, soprattutto sui problemi dell'immigrazione, di alto livello, come giustamente sottolineato in Europa, in Germania viene evidenziato con la dovuta importanza.
  Di fronte al dramma del Brennero, per esempio, la politica tedesca si è schierata a favore dell'Italia e a favore di una politica che va verso il controllo delle frontiere esterne, e non verso la chiusura. Questa è la prima considerazione che si può fare, dal punto di vista di Berlino, in un momento estremamente importante del processo migratorio.
  Io ho avuto la percezione che l'Europa viva un momento di grandissima transizione. I tedeschi vivono con preoccupazione la Brexit e il referendum a cui Lei ha accennato. Nel discutere con i soggetti politici protagonisti in Germania si percepisce questa attesa, persino spasmodica. Ha fatto bene Lei a sottolineare come ogni e qualsiasi iniziativa che vada a interferire, in queste settimane, con un giudizio dell'opinione pubblica contrario all'Europa sarebbe estremamente grave. Dobbiamo stare molto attenti.
  Ho avuto la netta sensazione, per esempio, che in Europa ci siano forze importanti per le quali la politica di sicurezza voglia dire anche ristabilire un nuovo rapporto con la Russia e guardare all'Est. Una politica non è ancora definita. Ci sono gli Accordi di Minsk ed altro, ma siamo ancora nell'attesa – che probabilmente è l'attesa per le elezioni americane – di vedere come si governerà il processo in futuro.
  La netta sensazione è che questa preoccupazione esista e andrà a influire su tutti i Paesi dell'Est che fanno parte dell'Unione europea e che applicano oggi una politica di chiusura, totalmente contraria agli interessi della sicurezza e della cooperazione in Europa.
  Siccome non si può parlare a lungo, vorrei porre solo due domande. È giusta questa mia percezione che a Berlino, verso l'Est europeo e verso la politica di sicurezza europea, dopo il referendum inglese, che noi ci auguriamo vada nel modo a cui Lei ha accennato, si attende solo un momento positivo per aprire la questione e, quindi, dare all'Europa una prospettiva di sicurezza che non può che partire dai Paesi dell'Est, dal problema ucraino, moldavo ed altro? Questa è la domanda più importante che le volevo porre.
  La seconda domanda riguarda i processi integrativi dell'immigrazione. L'affermazione di Angela Merkel «Wir schaffen das» («Possiamo farlo») le sta costando oggi una impopolarità terrificante. Due terzi dei tedeschi, secondo un sondaggio di ieri, si pronunciano contro una sua prossima candidatura al quarto cancellierato. È, però, una politica di grande respiro, che dimostra come la Germania guardi non all'oggi, ma al futuro.
  Ho visto la loro politica di integrazione. Abbiamo visitato alcune zone. Abbiamo visto come vengono ripartiti gli immigrati e qual è la prospettiva che si vuole dare a questa che è una tragedia umana. Ho la netta impressione che, al di là dell'impopolarità del momento, sia una grande politica dell'integrazione che noi dobbiamo studiare e che può essere anche una politica europea nel futuro.

  MANLIO DI STEFANO. Ringrazio la dottoressa Tocci per la sua analisi. Alcune cose mi hanno colpito dal punto di vista della progettualità.
  In un passaggio, parlando di capacità condivise all'interno dell'Unione europea e di uno «Zio Sam» che non potrà sempre difenderci, ha detto che il rafforzamento del contesto UE o NATO è indifferente. Io credo invece che sia uno dei punti più importanti e che non sia indifferente. Il Pag. 9contesto UE ci lascia molto più liberi di agire con una maggiore credibilità. Il contesto NATO ha un approccio totalmente diverso, soprattutto nei rapporti internazionali con alcune aree geografiche.
  Non a caso, il mio gruppo politico ha ribadito più volte, nell'ultimo anno, che nelle questioni libica e siriana – ma io l'ho proposto anche per la questione israelo-palestinese – sarebbe il caso di uscire dal binomio Stati Uniti d'America contro altri e provare a parlare da Europa, sedendo al tavolo di contrattazione tra Israele e Palestina o con la Libia o con la Siria, parlando a nome dei ventotto Paesi europei. Dovremmo iniziare a prendere un ruolo centrale e, con un processo strategico, togliere di mezzo la logica di Stati Uniti e Russia ed essere noi l'ago della bilancia.
  Per lo stesso motivo, le vicende di Libia e Siria prenderebbero un'altra piega. Contrattare da Unione europea, coinvolgendo l'Unione africana e il Medio Oriente, forse ci darebbe una capacità di moral suasion maggiore. D'altra parte, i Paesi storicamente alleati degli Stati Uniti diranno sempre le stesse cose che dicono gli Stati Uniti. La questione non è risolvibile.
  Nello stesso quadro, farei attenzione a come l'Europa si muove nei rapporti con i Paesi che vogliono esserci più vicini. Lei ha citato Ucraina, Georgia e Moldavia, Paesi che oggi non vogliono solo entrare in Europa, ma che vogliono anche fare un dispetto alla Russia. Recentemente sono stato in Georgia con il Consiglio d'Europa e la questione dell'occupazione territoriale russa ha una chiara finalità di controversia nell'adesione della Georgia all'Europa. Secondo me, trattando da Europa e non da Stati Uniti, forse le cose si semplificherebbero.
  Non condivido l'idea che l'Europa o voi, nel vostro ruolo, possiate nascondere la polvere sotto il tappeto fino al 23 giugno. Se il progetto dell'Europa è questo, i cittadini britannici hanno tutto il diritto di sapere quale Europa stanno approvando o meno. Capisco che, dal punto di vista delle priorità strategiche, chi crede nel progetto europeo voglia farsi bello prima del referendum, ma è anche importante prendere questo referendum per quello che è, cioè la dimostrazione di una forte sofferenza europea anche in Paesi nettamente stabili come la Gran Bretagna.
  Bisogna investire nell'insegnamento che ci dà un referendum di questo tipo. Secondo me, è l'inizio di una serie di controversie europee legate al concetto stesso di partecipazione all'Europa, non più percepita come fondata sul diritto. Penso alla Grecia e all'ultimo «attentato» di Syriza di due giorni fa, con i nuovi 4 miliardi di tassazione sui greci.
  Concludo sulla Siria. Lei ha parlato di assenza dello Stato. Ne avevamo già parlato in un recente incontro. Aggiungo però che dovremmo analizzare il perché di questa assenza dello Stato. Credo che in Siria si dovrebbe usare la ricetta che io ho sempre utilizzato in cooperazione internazionale facendo il volontario: a volte non è importante esserci di più, ma esserci di meno. In Siria la nostra responsabilità diretta nell'assenza dello Stato è, per me, chiara. Uno Stato, in realtà, ci sarebbe ancora. Dovremmo smettere di invogliare la ribellione di gruppi che qualcuno chiama moderati e che io chiamo invece terroristici e investire prima nella stabilizzazione e poi, come Europa e non come Stati Uniti, nel rilancio del Paese in chiave democratica, cosa su cui siamo tutti d'accordo. Assad non è amico di nessuno. Qualcuno baciava le mani a Gheddafi, ma Assad è un altro personaggio. Prima io stabilizzerei la Siria con l'attuale presidente e poi cercherei una trasformazione verso una realtà più stabile, anche dal punto di vista democratico.

  MARTA GRANDE. Avrei giusto una curiosità riguardo alla politica di difesa europea. In questo contesto viene anche analizzata – e se sì, come – la comune produzione della difesa europea o è solamente un'analisi generale?

  FRANCO CASSANO. Vorrei un'opinione sul Trattato interatlantico (TTIP).

  PRESIDENTE. Mi permetto di fare una chiosa. Ho condiviso la relazione e, come sempre, trovo Nathalie Tocci chiara e Pag. 10brava. Alcune cose che ho sentito mi hanno però solleticato.
  Sono molto d'accordo sul fatto che l'Europa si doti degli strumenti per giocare un ruolo strategico globale. Sono però anche a favore del fatto che si smetta di non affrontare il problema per quello che è. Se l'Europa vuole giocare un ruolo, deve spendere. Lo dico positivamente. Tutti noi sappiamo che l'Europa è separata dall'indipendenza strategico-militare da un gap in alcuni settori fondamentali che necessitano di investimenti da parte degli Stati membri. Senza quegli investimenti non si può fare. Non si può sostenere, nei giorni pari, che si vuole un'Europa indipendente e, in quelli dispari, che non bisogna spendere per la difesa. Sono cose completamente inconciliabili.
  Do ora la parola alla nostra ospite, per la replica.

  NATHALIE TOCCI, Special Adviser dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione europea sulla nuova strategia globale dell'Unione europea sulla politica estera e di sicurezza. Comincio dalla Russia. Stiamo aspettando oppure ci stiamo già muovendo? La mia impressione è che ci stiamo già muovendo. Non siamo in attesa.
  Io ero convinta, quando ho iniziato questo lavoro, che il tema Russia sarebbe stato il più difficile da affrontare. Non è stato così. Se questo esercizio si fosse svolto uno o due anni fa, forse la Russia sarebbe stato il tema di maggiore divisione. L'impressione che ho è che ci siamo talmente detti che l'unità interna europea è importante che, se all'inizio lo dicevamo senza pensarlo fino in fondo, adesso abbiamo iniziato a crederci. In inglese si dice: talk the talk, walk the walk.
  La posizione sulla Russia è abbastanza chiara e consensuale in questo momento. Non si tratta di ritornare a dove eravamo qualche anno fa, perché c'è stata una violazione del diritto internazionale e dei principi dell'ordine e della sicurezza europea. Questo è un dato.
  Aggiungo anche che il modello del passato era quello dei cerchi concentrici. Ritorno alla riflessione che facevo prima sul fatto di sostituire la politica estera con una politica di allargamento light. L'idea era quella di un nocciolo duro, rappresentato dall'Unione europea, che espande i suoi valori, le sue norme e le sue regole prima al cerchio dei Paesi dell'ampliamento e, via via, fino alla Russia. È un modello che non esiste più. La Russia non è interessata e noi non siamo interessati. Stiamo parlando di due entità diverse e autonome, spesso con divergenze di valori e di interessi. Abbiamo divergenze con tanti altri Paesi, perché non dovremmo averle con la Russia? Non si ritorna al passato. Detto questo, Unione europea e Russia sono, e rimarranno, interdipendenti. È un fatto che si accetta, da Vilnius a Nicosia. Dobbiamo quindi imparare a interagire con la Russia, partendo da una riflessione sui nostri interessi.
  Su cosa ci interessa collaborare quando si parla di Russia? Già parliamo con la Russia di terrorismo, di Iran, di Siria e via dicendo, ma ci possono essere altre tematiche europee che non hanno niente a che fare con le sanzioni e sulle quali il dialogo si è completamente interrotto dal 2013. È sorprendente. Dai trasporti allo spazio, all'Artico, alle questioni climatiche, la lista è lunghissima e nulla a che fare con le sanzioni. Perché non riprendere quel dialogo? Sta alla Russia decidere se le interessa parlare con noi. È una loro decisione legittima e sovrana. Intanto noi dovremmo fare i nostri compiti a casa per capire che cosa interessi all'Unione europea.
  Vengo al tema del rapporto NATO-UE, delle capacità e degli strumenti. Se all'interno dell'Unione europea ci fossero soltanto l'Italia, la Francia e altri Stati, il discorso dell'onorevole Di Stefano filerebbe liscio come l'olio. Quella è la nostra direzione di marcia. Il punto è, come giustamente sottolineava l'onorevole Manciulli, che bisogna arrivarci. Bisogna dare all'Europa credibilità. Intanto occorre sviluppare queste capacità per assicurare che l'Europa, e poi eventualmente l'Unione europea, abbia una propria autonomia strategica. Ad oggi, non ci siamo ed è evidente che i Paesi che, a torto o a ragione, si sentono minacciati non vogliono la NATO. Pag. 11
  Per questo ho parlato di un approccio che cerca di essere il meno ideologico possibile. Non è che l'Europa è più bella. Dobbiamo assicurarci una nostra indipendenza nel tempo. Ad oggi, diciamo che queste capacità possono essere utilizzate in vari formati. Ricordiamoci che il primo non è né Unione europea né NATO, ma ONU. Sono capacità che, in teoria, devono essere utilizzabili in vari contesti. Che, nel tempo, l'ago della bilancia si sposti da un tipo di organizzazione all'altra è chiaramente il nostro auspicio; però bisogna arrivarci.
  Per quanto riguarda il 23 giugno e la Brexit, il problema è questo. Il documento è dell'Alto rappresentante. Se gli Stati membri lo amano così tanto da volerlo adottare, ne siamo ben felici, ma non è una nostra richiesta. Il nodo dei leaks è il modo in cui vengono raccontati. Io so che se ci dovesse essere un leak di questo documento, il titolo del giornale sarebbe: «Arrivano le forze armate europee». Saremmo finiti. Eppure non è questo il contenuto. Non parliamo di questo. Il problema dei leaks non è il contenuto, ma il modo in cui vengono raccontati da giornalisti abbastanza irresponsabili. Questa è la nostra paura.
  Ricollego il discorso sulla Siria all'osservazione sulla responsabilità. Mi rifaccio al ragionamento dei vari livelli. In Siria abbiamo un contesto di conflitto ma, anche all'interno di questo contesto, esistono spazi di relativa pace rappresentati da «cessate il fuoco» locali. È immaginabile che, su richiesta delle parti in conflitto, una forza esterna assicuri il cessate il fuoco qualora venga raggiunto dalle parti locali. Se esistesse questa richiesta, dovremmo essere capaci di farlo? La nostra risposta è sì, ma oggi non ne abbiamo la capacità. Dobbiamo assicurarci di acquisire, nel tempo, le capacità per mantenere la pace esterna e, di conseguenza, la nostra sicurezza.
  Torno rapidamente sulla difesa. Noi parliamo del tipo di capacità che ci servono e del fatto che queste capacità richiedono una cooperazione e collaborazione tra gli Stati membri che oggi non c'è. Suggeriamo quindi degli incentivi da mettere in atto per indurre questa collaborazione. Non la possiamo forzare, perché la politica di difesa è una politica sovrana degli Stati membri. Possiamo, però, creare, a livello europeo, incentivi alla collaborazione e li elenchiamo.
  Del TTIP parliamo, ma non gli diamo un'attenzione esclusiva. Diciamo che l'economia e le relazioni bilaterali tra Unione europea e Stati Uniti – c'è anche il tema della NATO – sono i due pilastri dei rapporti transatlantici, che collochiamo però all'interno di un discorso atlantico più ampio, che include anche l'America Latina. Non è però l'unico accordo di cui parliamo. Parliamo anche di Mercosur e di un eventuale accordo con il Giappone e con l'ASEAN.
  Non vogliamo mettere tutte le uova in un paniere, perché sappiamo che in questo momento il dibattito sul TTIP è particolarmente problematico.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.55.