XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 20 gennaio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PRIORITÀ STRATEGICHE REGIONALI E DI SICUREZZA DELLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA, ANCHE IN VISTA DELLA NUOVA STRATEGIA DI SICUREZZA DELL'UNIONE EUROPEA

Audizione di giornalisti ed esperti con particolare riferimento ai fatti avvenuti a Colonia il 31 dicembre 2015 nel quadro dei rapporti tra Unione europea, Medio Oriente e Africa.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Moual Karima , editorialista ed inviata del quotidiano marocchino ... 5 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 7 
Piller Tobias , corrispondente del quotidiano tedesco ... 7 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 11 
Cazzullo Aldo , giornalista del ... 11 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 14 
Panella Carlo , scrittore e giornalista ... 14 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 14 
Panella Carlo , scrittore e giornalista ... 14 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 17 
Panella Carlo , scrittore e giornalista ... 17 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 17 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 17 
Farina Gianni (PD)  ... 19 
Cassano Franco (PD)  ... 20 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 21 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 22 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 22 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 22 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 22 
Quintarelli Giuseppe Stefano (SCpI)  ... 23 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 24 
Piller Tobias , corrispondente del quotidiano tedesco ... 24 
Quintarelli Giuseppe Stefano (SCpI)  ... 24 
Piller Tobias , corrispondente del quotidiano tedesco ... 24 
Panella Carlo , scrittore e giornalista ... 25 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 25 
Panella Carlo , scrittore e giornalista ... 25 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 25 
Panella Carlo , scrittore e giornalista ... 25 
Piller Tobias , corrispondente del quotidiano tedesco ... 26 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di giornalisti ed esperti con particolare riferimento ai fatti avvenuti a Colonia il 31 dicembre 2015 nel quadro dei rapporti tra Unione europea, Medio Oriente e Africa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, di giornalisti ed esperti con particolare riferimento ai fatti avvenuti a Colonia il 31 dicembre 2015, nel quadro dei rapporti tra Unione europea, Medio Oriente e Africa.
  Ringrazio le quattro personalità che hanno accettato di venire a darci il loro contributo e che sono Karima Moual, editorialista e inviata del quotidiano marocchino Al-Akhbar e direttrice del sito del Consiglio dalla Comunità marocchina all'estero, che è in collegamento con noi da Torino; Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera e scrittore; Tobias Piller, corrispondente del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung; Carlo Panella, scrittore e giornalista.
  Come è noto, siccome l'impatto mediatico domina, gli sconvolgenti fatti avvenuti a Colonia, che fino a qualche giorno fa sembravano il tema dominante, sono già stati superati da altri fatti altrettanto sconvolgenti. La nostra riunione si svolge quindi non come l'elemento mediatico del giorno, ma secondo me è comunque necessaria una riflessione, perché quello che è avvenuto mette in discussione tutti gli schemi che stanno sul tappeto.
  Voglio fare una premessa molto breve, che parte da un dato oggettivo. A monte di tutto c’è una situazione che sconvolge anch'essa tutti gli schemi e in parte anche provvedimenti legislativi, presi a suo tempo, che sembravano dirompenti in un senso o nell'altro. Penso alla legge Bossi-Fini e penso alla legge sulla clandestinità, ed altro. C’è stato un salto di qualità, testimoniato da tutti i dati in nostro possesso.
  In Medio Oriente e in Africa è in corso quella che Papa Francesco ha chiamato una «Terza Guerra mondiale a pezzettini», che sta sconvolgendo tutto, nel senso che abbiamo una immigrazione di massa che discende da questo dato. Precedentemente avevamo un altro tipo di situazione, molto più gestibile e controllabile. Oggi abbiamo l'esplosione di una crisi profondissima, che ci investe in modo molto, molto più rilevante di quanto non sia avvenuto nel passato.
  Voglio anche aggiungere, rispetto ad alcune polemiche che si sono svolte e che probabilmente si svolgeranno anche nel corso di questa riunione, che, per certi aspetti, l'Italia per anni è rimasta appesa a questo tema. Come testimonia anche la Convenzione di Dublino, che proprio oggi viene messa in discussione, la vicenda è stata considerata, da una parte dell'Europa, Pag. 4come una faccenda che riguardava l'Italia, la Spagna e la Grecia, e non come un fatto che coinvolgeva tutta l'Europa. Dopo che, per fatti oggettivi e soggettivi, si è aperto un altro passaggio dalla Turchia alla Grecia e dalla Grecia ha investito il centro dell'Europa, questa tematica ha coinvolto tutti quanti ed è diventata cruciale per tutti.
  La nostra discussione di oggi non è però concentrata sugli aspetti dell'immigrazione, sui quali potremmo tenere un'altra audizione. È concentrata su un altro dato, ossia sul dato della contraddizione che emerge nel rapporto tra immigrazione di massa, accoglienza e comportamenti, al netto del terrorismo, di coloro che vengono accolti rispetto alla società che li accoglie. Questo è il nodo. Era un problema già serpeggiante, che i fatti di Colonia hanno fatto esplodere.
  Vi è anche un altro dato. Due analisi, probabilmente entrambe vere, che appaiono in molti contributi giornalistici. Da un lato, come pubblicato qualche giorno fa su La Stampa, ci viene raccontato come vengano considerati gli immigrati e addirittura che si saluta positivamente il fatto che un immigrato sia morto. Dall'altro lato, le analisi di molti altri giornali mettono in evidenza l'impatto dei comportamenti negativi di immigrati rispetto alla società che li circonda. La tragedia è che entrambe queste analisi sono vere ed entrambe queste analisi richiedono un esame differenziato.
  Aggiungo un altro dato, per quello che riguarda la mia esperienza personale di visitatore di paesi del Medio Oriente, paesi arabi ed altri. Anche in tali Paesi si rilevano comportamenti totalmente diversi. In Tunisia, ad esempio, a parte il quadro democratico, la libertà femminile nell'abbigliamento e nel comportamento, almeno nelle grandi città, è molto marcata. In Arabia Saudita, al contrario, mia moglie doveva girare per strada con il capo coperto perché questo è richiesto nella vita di tutti i giorni, è consueto. Ci sono elementi di contraddizione a livello comportamentale. Altri Paesi, tra cui il Marocco e l'Egitto, presentano situazioni intermedie.
  Il punto che mette in discussione tutti gli schemi di tipo antropologico è quanto accaduto a Colonia. Se Piller mi consente una battuta, su questo terreno la polizia regionale – è una vecchia discussione che si è svolta anche in Italia – è meno efficace delle polizie centralizzate. Questa volta ci siamo sentiti più efficienti noi italiani dal punto di vista della tutela dell'ordine pubblico. In Italia, francamente, una cosa del genere avrebbe avuto una repressione immediata. In Germania, invece, il fenomeno non è stato compreso da parte di una polizia regionale guidata, come mi hanno spiegato, da un ex comandante dei vigili urbani.
  Al di là di questo, c’è stato un fatto. Una comunità di più di mille uomini, in genere quasi tutti giovani immigrati, si è scagliata sulle donne che passavano, sottoponendole a violenze sessuali di vario tipo. Questo pone un problema. Ci sono state altre vicende in precedenza. Piazza Tahrir è il caso più clamoroso. Mentre era in corso la «primavera araba» e piazza Tahrir era piena di gente che manifestava per la libertà e la democrazia, le donne egiziane che si affacciavano e le corrispondenti straniere – la vicenda più drammatica, se non ricordo male, riguardò una giornalista statunitense – furono sottoposte a varie forme di violenza. Questo va sotto il nome di taharrush el-ginsy gamea, ossia un fenomeno di costume che attiene ai Paesi arabi e che consiste nel praticare molestie sessuali di gruppo nei confronti delle donne. Tutti sappiamo che in Italia il percorso femminile ha avuto un andamento molto travagliato e contraddittorio, ma ha raggiunto dei risultati e questo tipo di situazioni non si è mai proposto in questi termini. Lì c’è una dimensione di gruppo che avviene in tali realtà e che poi è stata trasferita in Germania, creando un impatto drammatico.
  Voglio riportarvi una citazione al di sopra di ogni sospetto, pubblicata su il manifesto. È una frase di Giuliana Sgrena. Tutti quanti conoscete la storia di Giuliana Pag. 5Sgrena, una giornalista che è stata sempre in Medio Oriente e ha vissuto un drammatico rapimento. Sgrena scrive: «Mi ricordo che quando seguivo le manifestazioni di islamisti in Pakistan, Afghanistan (...) mi avvicinavo per fare qualche intervista e immediatamente venivo circondata da una folla di maschi che mi premeva addosso, mi palpava e io dovevo resistere fino alla fine dell'intervista. Non si trattava di vere molestie. È il tipico atteggiamento dei maschi che vivono in Paesi dominati dalla sessuofobia. Non vedevo l'ora di tornare in albergo per buttarmi sotto la doccia e togliermi di dosso quel viscidume, quell'odore di sessualità repressa».
  Questo è accentuato da un altro dato con il quale dobbiamo fare i conti e cioè la percentuale sempre più squilibrata di immigrati. Negli anni passati c’è stata un'immigrazione equilibrata tra presenze maschili e femminili. In Italia è invece fortissimo oggi lo squilibrio a favore dei giovani maschi immigrati rispetto alle presenze femminili. Lo squilibrio è doppio. È squilibrata la composizione ed è squilibrato l'impatto con la società che li circonda, una società che rispetto al passato è mille miglia lontana per quanto riguarda abbigliamento femminile, modo di porsi e così via.
  Concludendo, ci troviamo di fronte a un gravissimo problema. Non dobbiamo trarre da questo conseguenze di tipo razzista, ma nemmeno buoniste, facendo finta che questa problematica non esista e accantonarla, per poi vedercela esplodere addosso, con tutto ciò che questo comporta in termini di atteggiamento culturale verso questi fenomeni. Come sapete, in Norvegia c’è la tendenza a sottoporre gli immigrati a una sorta di scuola comportamentale, per far loro capire che il mondo in cui vengono a vivere è totalmente diverso da quello al quale sono abituati e si devono adeguare a tale mondo che gli accoglie perché non può essere sfregiato da comportamenti che fanno a pugni con il costume e il modo di vivere a cui si è abituati.
  Si potrebbe parlare per ore, ma mi fermo qui. Sono solo alcune delle questioni che abbiamo davanti. Per non sostituire un tema all'altro, il primo punto è ciò che è avvenuto a Colonia e le sue conseguenze antropologiche. Sullo sfondo c’è tutta la tematica dell'immigrazione, ma questo nel bene e nel male – più nel male che nel bene – ha aperto una riflessione del tutto al di fuori dagli schemi.
  Do ora la parola ai nostri ospiti.

  KARIMA MOUAL, editorialista ed inviata del quotidiano marocchino Al-Akhbar e direttrice del sito del Consiglio della Comunità marocchina all'estero. Buongiorno. Vi ringrazio per l'invito a partecipare a questa discussione per cercare di capire e analizzare ciò che è accaduto a Colonia, benché a distanza di venti giorni le informazioni che abbiamo sull'accaduto non siano ancora precise e dettagliate, come continuano a ripetere gli stessi mezzi di informazione tedeschi. Mi pare corretto, in questa occasione, precisare questo dato.
  Quel che è certo è che a Colonia, nella notte di Capodanno, è avvenuto qualcosa di inedito, anche se i numeri fossero stati minori rispetto a quelli divulgati. Da questo atto barbaro emerge la presenza di migranti, alcuni rifugiati e molti di origine nordafricana. Il che mette ancora una volta i riflettori puntati sull'Islam, sulla questione dell'immigrazione e dell'accoglienza verso i rifugiati, come il presidente Cicchitto ha esposto nella sua presentazione. Sono tre grandi temi, che in Europa, soprattutto in questi ultimi anni, non godono certamente di grande simpatia, ma anzi mettono alla prova le nostre paure, i nostri sentimenti, la nostra cultura, i nostri valori e la nostra politica. Per questo motivo quello che è successo la notte di Capodanno a Colonia diventa un simbolo e una fotografia nitida di tutte queste sfide che ci aspettano. È stato certamente un fatto surreale, agghiacciante e di inaudita violenza, anche psicologica, ma è allo stesso tempo triste e deprimente perché accade in un momento storico delicato, difficile e ostile sul tema immigrazione e Islam in Europa. Dunque il fatto che in questo atto così vile siano coinvolte anche persone di origine straniera, per di più Pag. 6alcuni rifugiati, lo rende doppiamente drammatico. Alla sofferenza delle vittime – le donne, ancora una volta oggetto di barbara violenza – si aggiungerà senza alcun dubbio un'altra paura, quella dello straniero in generale. Questa brutta storia, infatti, è facile da strumentalizzare, e lo vediamo già con alcune dichiarazioni politiche che chiedono la chiusura definitiva delle frontiere ai musulmani e ai rifugiati, un'iniziativa, a mio avviso, miope politicamente, oltre che pericolosa e destabilizzante per milioni di cittadini musulmani che vivono in Europa e per le persone perbene che fuggono dalla guerra, hanno bisogno urgente di accoglienza e non hanno niente a che vedere con gli atti criminali di cui si è macchiato un centinaio di delinquenti. Ecco perché è importante leggere e analizzare con lucidità ciò che è avvenuto a Colonia, chiarendo molto bene, anche in base alle poche informazioni che abbiamo, che innanzitutto ciò che è avvenuto ha a che vedere con la misoginia e una cultura arcaica, patriarcale e maschilista che considera una donna sola per strada una preda, una proprietà e una minaccia alla virilità dell'uomo, una sub-cultura a cui nemmeno noi, come Occidente, siamo del tutto immuni. Purtroppo è ancora radicata, anche se si traveste in altre forme, una cultura, una sub-cultura che conosciamo molto bene anche noi in Italia, come raccontano i dati sulla violenza e le eccellenti iniziative per contrastarla.
  Cosa significa questo ? Che forse voglio sminuire quello che è successo, come se fosse un fatto di normale cronaca ? Assolutamente no, voglio cercare, il più possibile, di raccontare e analizzare la straordinarietà di quello che è successo, senza dimenticare il quadro nel quale è accaduto, che non va assolutamente trascurato, e cioè che la misoginia è innanzitutto un problema globale da affrontare, e non solo quando, con violenza, ce la ricordano persone che ci stanno meno simpatiche. Fatta questa premessa, è altrettanto fondamentale affrontare oggettivamente i fattori Islam, immigrazione e rifugiati che, per forza di cose, in questa brutta storia si trovano a essere chiamati in causa. Partiamo quindi subito dal fattore Islam. Personalmente credo che non sia intellettualmente onesto dire che è tutta colpa dell'Islam come religione e dei musulmani come comunità, così come non è intellettualmente onesto nascondere che in effetti qualche problema con le donne nelle società musulmane c’è, eccome.
  È inutile e non ci porta da nessuna parte andare avanti a discutere se sia l'Islam come religione a sottomettere le donne, perché a questo punto si potrebbe scatenare un campionato tra le tre religioni monoteiste. Quello che è invece fondamentale e attuale da discutere è il processo di emancipazione delle donne nelle società islamiche, un processo che ha portato alcune donne a raggiungere più diritti e che invece in altre società è ancora indietro, e ciò indipendentemente dal fatto che uno Stato sia più o meno islamico. Il Marocco, per esempio, ha un re emiro dei credenti, con un'impronta decisamente religiosa, che sta facendo un lavoro straordinario di riforma dell'Islam con al centro la donna e lo statuto della famiglia. La mudawwana di questo Paese è la più avanzata dell'area. Come diceva il presidente, in Arabia Saudita invece le donne non possono guidare la macchina. Eppure si rifanno tutti e due all'Islam. È una vera schizofrenia che ci evidenzia la complessità di una realtà che non può essere semplificata e dove la donna è centrale. Il suo ruolo e la sua libertà all'interno di queste società non sono conquiste già realizzate. In Marocco solo l'anno scorso ci sono state imponenti manifestazioni contro le molestie sessuali. Associazioni, uomini e donne sono scesi per le strade di Rabat per chiedere al Governo di mettere mano al codice penale e inasprire le pene contro chi si macchia di tali reati. Sempre quest'estate, due ragazze sono state importunate e insultate nella medina perché portavano la minigonna e il caso è diventato nazionale, con tanto di avvocati che hanno portato in tribunale i molestatori, vincendo la causa. Sempre in Marocco, il Paese che, come ripeto, ha il più avanzato codice della Pag. 7famiglia, una ragazzina di nome Amina è passata alla storia perché qualche anno fa si è suicidata dopo che i genitori le avevano imposto di sposare il suo stupratore per salvare il suo onore, come appunto prevedeva il codice penale. Dopo il suo suicidio e dopo che la sua storia ha fatto il giro del Marocco oltre che del mondo, quell'articolo misogino del codice penale è stato abrogato. In Tunisia ricordiamo che la battaglia si è fatta con il precedente governo islamista di Ennahda, che nella nuova Costituzione voleva mettere in discussione, nero su bianco, l'uguaglianza tra uomo e donna.
  Questi esempi sono la cornice che ci dovrebbe spiegare molte cose anche in chiave di migrazione e di provenienza da Paesi musulmani. Strumentalizzare la violenza sul corpo e la libertà delle donne solo con la parola Islam è fuorviante e non ci permette di capire bene il problema che abbiamo di fronte, che è un problema complesso e che va analizzato punto per punto. In quello che è successo a Colonia c’è un vuoto della sicurezza, dove si è fatta spazio la criminalità organizzata, che si è intrecciata a questa sub-cultura misogina e patriarcale ma non facendosi forte di una certa interpretazione religiosa, visto che questi criminali erano ubriachi, e questa non mi pare la caratteristica di un pio musulmano.
  Dunque, non basta dire che è tutta colpa degli immigrati e dei musulmani, come non basta dire il contrario. Ci troviamo evidentemente di fronte a un momento storico straordinario, dove vecchie ricette sull'integrazione non bastano più. Ci vogliono, da una parte, nuove visioni e approcci rigidi sulle regole sociali, dunque per niente trattabili, e, dall'altra, politiche sociali e culturali che permettano a queste persone di integrarsi pienamente. Sento spesso dire che gli immigrati e i musulmani «devono», «devono», «devono», ma non disponiamo di alcun progetto reale di coinvolgimento e conoscenza affinché queste comunità possano realmente integrarsi. Non disponiamo di un progetto di educazione civica. Abbiamo fatto l'esempio della Norvegia, ma altri Paesi non mi pare abbiano grandi progetti per queste persone affinché capiscano dove sono venuti a vivere, quali sono le regole, i valori e i diritti che nel Paese sono condivisi. Non esistono strumenti reali di integrazione perché la verità è che questo fenomeno lo si guarda ancora in chiave emergenziale, quando invece è stabile e ha bisogno di accompagnamento. L'immigrazione non può essere raccontata solo come un problema, come non può essere raccontata solo come una ricchezza. L'immigrazione è una sfida importante, che ha bisogno di un progetto altrettanto importante. È la nostra sfida del futuro e non può continuare a essere trattata sempre in chiave emergenziale, come abbiamo fatto in questi anni. Le comunità musulmane rappresentano, senz'altro, ancora di più questa sfida. Lo spazio europeo democratico e di valori come quello dei diritti umani devono diventare la grande opportunità per queste comunità affinché possano non solo integrarsi, ma diventare anche la chiave di volta per i propri Paesi d'origine. Per farlo, però, dobbiamo esserne convinti noi e lavorare affinché questi valori possano conquistarli. Oggi purtroppo in questo abbiamo fallito e lo vediamo con la radicalizzazione di alcuni musulmani e con i foreign fighter, che gonfiano le fila del Califfato. Abbiamo fallito nel momento in cui abbiamo trattato l'immigrazione come un fenomeno etnico ed estraneo, favorendo la ghettizzazione, e non la piena cittadinanza di diritti, ma anche doveri. Se non realizziamo e analizziamo questo errore, che anche per i fatti di Colonia torna sul tavolo, ci condanniamo davvero al suicidio. Quindi non rimane che augurare forza e coraggio.

  PRESIDENTE. Ringrazio Karima Moual. La parola a Tobias Piller.

  TOBIAS PILLER, corrispondente del quotidiano tedesco Frankfurter Allgeimeine Zeitung. Signor presidente, onorevoli deputati, grazie molte per l'invito. Gli eventi di Colonia sono stati discussi anche sui media in Italia e per questo sorvolo sui dettagli.Pag. 8
  È chiaro che alla polizia mancava la sensibilità per capire in tempo questo nuovo tipo di problema. Sembrava che non avessero programmato e all'inizio forse non sapevano neanche dove guardare. Un altro elemento è che il pubblico in generale all'inizio era troppo cauto per esprimersi con eventuali accuse contro migranti e richiedenti asilo, così si cercava in tutti i modi di evitare di dare l'impressione di essere contrari all'immigrazione o tendenti a pregiudizi. Certamente questo ha a che fare con la storia tedesca, e in Germania c’è una sensibilità in più sul tema. Adesso ci si chiede perché la televisione pubblica abbia avuto bisogno di vari giorni per riportare tutti questi eventi.
  Ci sono vari elementi che vorrei sottoporvi. Tanti politici, dopo gli eventi di Capodanno, hanno evocato punizioni dure contro chi ha commesso le molestie, compresi politici «verdi» e molto di sinistra, che di solito non invocano tanto la forza pubblica. Forse cercavano anche di compensare qualcosa nell'immagine pubblica. Nonostante tutti questi annunci, nessuno è stato fermato direttamente durante gli eventi perché, come scrive Der Spiegel, c'erano circa 80 poliziotti in tutta la zona e non potevano fare nulla. Alla fine può darsi che nessuno verrà condannato, perché è molto difficile identificare le persone e trovare le prove.
  Questi eventi mettono a dura prova l'ottimismo di chi credeva facile, o almeno fattibile, e veloce l'integrazione dei nuovi arrivati. Dall'altro lato, ci sono le preoccupazioni delle comunità islamiche, quelle che veramente lavorano sull'integrazione. A Colonia c’è una moschea e coloro che la frequentano lamentano che prima erano visti vicino al terrorismo e adesso anche vicino ai molestatori. C’è preoccupazione nelle comunità islamiche che sono già da tempo a Colonia.
  Si prevedono tante situazioni nelle quali mancherà l'esperienza e la sensibilità per trattare questioni nuove. C’è il banale esempio del divieto di frequentare piscine pubbliche per i richiedenti asilo, perché in una cittadina ci sono vari alloggi e campi per rifugiati accanto alla piscina pubblica. Da un lato, il sindaco si vedeva di fronte ad accuse che diventavano voyeurismo e, dall'altro lato, quando ha deciso di non fare più entrare gli uomini richiedenti asilo alloggiati vicino si è levato un grido contro l'incomprensione. Ci dobbiamo certamente aspettare situazioni in cui sarà difficile reagire nel modo giusto a problemi assolutamente nuovi.
  C’è anche il pericolo di una ascesa dell'estrema destra. C’è un nuovo partito, che ha cominciato come partito super liberale e anti-euro, di nome Alternative für Deutschland. Il fondatore è andato via e il partito è adesso in mano alla destra estrema e potrebbe prendere oltre il 10 per cento dei voti alle prossime elezioni regionali. Qualche volta, fuori dalla Germania non si vede tutto. Non si vedono le implicazioni politiche. La Germania è un Paese federale e il Nord Reno-Westfalia, che è la regione più grande della Germania, con 17 milioni di abitanti, dovrebbe essere in grado di gestire una forza politica regionale. La polizia è competenza dei Länder e questo Land è gestito da un governo socialdemocratico, il cui primo ministro è Hannelore Kraft, che si era già presentata come figura anti Merkel. Nel Land la CDU è quindi all'opposizione. Ci sono battibecchi politici che non bisognerebbe esagerare. Aver detto che il ministro federale dell'interno è stato incapace di gestire il problema adesso le si ritorce contro.
  È una storia triste perché coinvolge anche la nuova sindaca di Colonia, che in ottobre, negli ultimi giorni della campagna elettorale per il comune, ha subìto un grave attentato. È stata eletta in ottobre, ma ha potuto entrare in carica solo a metà dicembre. Due settimane dopo il suo arrivo ha subìto questa situazione. Anche se lei non è responsabile per la polizia, aveva già denunciato che la piazza era problematica per colpa della criminalità, ma ha creato un malinteso con le donne di Colonia quando ha detto che dovevano essere prudenti. Colonia è una città festaiola. C’è un carnevale per strada dove tutti si mettono in braccio a tutti. Il 4 febbraio è in programma il «carnevale delle donne», Pag. 9in occasione del quale è meglio che gli uomini si mettano una cravatta vecchia, perché potrebbero vedersela tagliare dalle donne che festeggiano.
  In generale, una conseguenza politica a Berlino potrebbe essere un certo compattamento della coalizione, che per molto tempo ha litigato su tutto intorno alle conseguenze dell'immigrazione. La CSU della Baviera, l'ala destra della grande coalizione tra socialdemocratici e democristiani, chiede un numero limite per l'accoglienza. La Cancelliera invece è ottimista e i socialdemocratici cercano di essere buonisti, dicendo che bisogna fare arrivare presto i familiari di chi ha chiesto asilo. Alcuni sostengono che si tratterebbe di altri 2 milioni di immigrati.
  Adesso certamente sono i socialdemocratici a cedere sulle proprie posizioni. Il Ministro della giustizia Heiko Maas è la figura più di sinistra. Non ammette, ad esempio, che si collochino cimici nel salotto o nella camera da letto di un mafioso, ma solo nel suo studio, e voleva che l'immagazzinamento dei dati telefonici non durasse per più di due settimane. Maas pensava che non servisse un programma per rimandare velocemente indietro i migranti che hanno scarse possibilità di avere diritto all'asilo. In questa situazione è più facile che si trovi una linea comune. È in programma la creazione di un passaporto per i migranti con dati biometrici e si intende rimpatriare velocemente chi proviene dai Balcani o dal Maghreb e ha minori possibilità di avere accoglienza come asilante.
  Se il presidente permette, posso approfondire il punto generale circa il fatto che gli eventi di Colonia hanno messo in discussione tutta la politica di asilo e di accoglienza. Il numero di rifugiati e migranti arrivati supera il milione. Ultimamente si dice che siano 1,1 milioni. Facendo un paragone con l'Italia, è come se fossero arrivate 750 mila persone. Ci sono grandi problemi a reperire alloggi e così la settimana scorsa un presidente di provincia – democristiano della CSU – ha messo 31 siriani su un pullman e li ha portati a Berlino davanti alla Cancelleria, dicendo che se ne doveva occupare la Merkel.
  Ci sono centinaia di migliaia di arrivi dai Paesi balcanici, ma per queste persone le probabilità di avere asilo politico sono poche. Finora, però, i litigi all'interno del Governo hanno bloccato le procedure accelerate di espulsione e i migranti rimangono, con il malumore della popolazione locale. Ci sono, d'altro canto, decine di migliaia di volontari in ogni regione che collaborano all'accoglienza, altrimenti non funzionerebbe da nessuna parte. Loro stessi dicono di fermare gli ingressi perché non è possibile accogliere un altro milione di persone nel 2016.
  I costi dell'accoglienza non hanno creato tantissime polemiche, ma sono comunque alti. Il Governo federale ha messo a bilancio nella legge finanziaria per il 2016 una spesa di 6,1 miliardi di euro e si sa già che non basteranno. Diverse regioni hanno corretto le loro leggi finanziarie per mettere altri soldi. L'Assia, per esempio, che è uno Stato di medie dimensioni, ha stanziato 1,3 miliardi di euro. La Baviera ha lanciato da sola un programma di 3,25 miliardi per accoglienza, integrazione e costruzione di case. Gli istituti di ricerca economica stimano i costi totali per la Germania tra 17 e 55 miliardi di euro l'anno, tra lo 0,6 e il 2 per cento del PIL.
  La Cancelliera Merkel e altri membri del Governo cercano anche di occuparsi di vari meccanismi che influenzino il flusso dei migranti, lavorando ad esempio su Unione europea, Turchia, confini, ma è chiaro da sola la Germania non può risolvere nulla. Cambia anche il modo in cui la Germania vede il problema della migrazione europea, perché si trova lasciata sola. Già prima che Angela Merkel dicesse che i siriani fermi in Ungheria, e che si temeva facessero a pugni con la polizia, potevano venire in Germania anche se non erano registrati – era il 4 settembre –, in Germania si contavano 300 mila richieste di asilo. È stata distribuita la tabella dei dati Eurostat in cui questo si vede molto bene.
  Con oltre un milione di rifugiati in Germania, i tedeschi si domandano perché Pag. 10dovrebbero prendere altri 40 mila rifugiati dall'Italia e quanti rifugiati l'Italia voglia accettare, visto che di notte vanno tutti al Brennero. Dublino vale al confine del Friuli, ma non al Brennero. Gli accordi di Dublino sull'asilo in Europa sembrano aver perso totalmente di validità, anche se il principio di base vale ancora. Il principio è che chi cerca asilo per salvarsi la vita dalle persecuzioni – la Germania aveva voluto il diritto di asilo perché nella sua storia tanti hanno dovuto fuggire – non può scegliere dove vuole salvarsi, ma deve essere contento di potersi salvare. Per questo la richiesta di asilo va posta al paese dove si arriva all'inizio.
  Va ricordato che questo principio era stato sostenuto anche dall'Italia all'inizio degli anni Novanta. L'Italia è uno dei fautori della Convenzione di Dublino. Visto che la Germania aveva l'occasione dell'unificazione, doveva anche sobbarcarsi da sola le conseguenze del crollo del muro di Berlino e della cortina di ferro. L'allora ministro dell'interno, Wolfgang Schäuble, ha ricordato di fonte ai giornalisti italiani che negli anni Novanta si contava mezzo milione di arrivi l'anno. La statistica sulle richieste di asilo dell'Eurostat indica che nel 1992 in Germania sono arrivate 440 mila domande e in Italia 2.600.
  Per un giornalista è difficile anche spiegare la situazione italiana perché non si sta esattamente quanti rifugiati e migranti si trovino al momento in Italia. Le richieste rivolte al Ministero dell'interno non ottengono risposte. I dati comunicati non sembrano chiari e consistenti. Non si sa se si parla di posti in strutture o se si parla di persone che ci vivono. Il Ministro dell'interno è stato invitato varie volte, tramite la portavoce, a parlare del tema alla stampa estera, ma finora senza successo.
  Schengen potrebbe essere una vittima di tutto questo. Wolfgang Schäuble, adesso ministro delle finanze, in passato ministro dell'interno, pochi giorni fa ha incontrato un gruppo di giornalisti italiani a Berlino e ha detto che il Governo tedesco starebbe facendo di tutto per evitare il crollo degli accordi di Schengen, perché un'eventuale fine di Schengen creerebbe un segnale che andrebbe ben oltre questi trattati. Al momento ci sono controlli ai confini tra Austria e Germania sulle autostrade che vanno da Vienna a Norimberga e da Innsbruck a Monaco, ma sono più simbolici che altro, benché ci siano lunghe code. Tutte le strutture per i controlli sono state smantellate e nelle strade di campagna non si trova alcun controllo. Tutti i politici dicono che, se i confini esterni dell'Unione europea rimarranno aperti, inevitabilmente saranno alzati di nuovo i muri tra i Paesi all'interno.
  Per concludere sulla visione della Germania, non sembra garantito – e non è garantito – il successo economico della nuova ondata di immigrazione. Tanti media scrivevano che i tedeschi accolgono i migranti solo per far crescere la loro economia. La Germania potrebbe certamente beneficiarne ma, se voleva l'immigrazione solo per ragioni economiche, avrebbe dovuto organizzarsi in modo diverso. Forse tra due decenni questi nuovi immigrati saranno in grado di dare un contributo allo sviluppo dell'economia, ma forse avremo delle banlieue e dei ghetti perennemente bisognosi di attenzione e di spesa sociale.
  Ci sono però due premesse positive questa volta. Tanti tra coloro che sono arrivati infatti si sentono ben accolti, vogliono imparare il tedesco e creare le premesse per integrarsi. Tanti tedeschi sono ben disposti ad accoglierli e lavorano come volontari, anche se bisogna dire che ogni tanto una struttura di accoglienza brucia.
  La Germania dell'ovest ha vissuto tante ondate di arrivi. Quindici milioni di tedeschi sono stati espulsi dall'Europa dell'est o da ex territori tedeschi verso l'est della Germania alla fine della Seconda Guerra mondiale e dovevano essere integrati. Sono arrivati milioni di lavoratori negli anni del boom. Sono arrivati milioni di europei dell'est di origine tedesca con il diritto di cittadinanza, ma anche richiedenti asilo dopo il crollo del muro. Questo non ha portato solo lavoro a basso costo. Ha Pag. 11portato anche persone che volevano rifarsi una vita, che sgomitavano e creavano concorrenza. La vita di chi è già nel Paese diventa più scomoda, ma, nello sviluppo dell'economia, questo può produrre effetti positivi. Certamente, una premessa per l'integrazione e lo sviluppo è un sistema meritocratico. Nel DNA della politica della Cancelliera Merkel e dell'amministrazione c’è comunque un certo ottimismo sulla capacità di gestire eventi straordinari, anche dopo l'esperienza dell'unificazione tedesca.
  Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio Tobias Piller, che ci ha dato un quadro sia delle problematiche che interessano la Germania sia del contenzioso che esiste fra l'Italia e la Germania.

  ALDO CAZZULLO, giornalista del Corriere della Sera e scrittore. Ringrazio per l'invito e saluto tutti voi, scusandomi per il ritardo e perché, terminato il mio intervento, dovrò andare a seguire il voto al Senato, di cui dovrò scrivere. Ho avvertito il presidente Cicchitto di queste mie difficoltà, ma tenevo a onorare l'invito e a portare un breve contributo, dal mio punto di vista, come cittadino prima che come giornalista.
  La mia impressione è che ci sia stata una grande sottovalutazione di quello che è accaduto a Colonia, in particolare da parte degli uomini. I primi a sottovalutare, in modo abbastanza incredibile, quanto accaduto sono stati i poliziotti di Colonia. Tobias Piller, che ha fatto una relazione molto concettosa e interessante, lo ha riconosciuto. È abbastanza incredibile non soltanto che la polizia non fosse attrezzata per prevenire, ma che il giorno dopo il comunicato della polizia di Colonia parlasse di Capodanno tranquillo.
  Sono passati sei giorni prima che avessimo contezza di ciò che è accaduto, prima che avessimo idea della cosa inaudita che era avvenuta, con circa 500 denunce solo a Colonia, e prima che capissimo che era successo, sia pure in scala minore, anche a Düsseldorf, a Stoccarda, ad Amburgo e in altre grandi città tedesche.
  Questo ritardo, secondo me, non è dovuto soltanto al comprensibile pudore delle vittime. Non tutte hanno osato raccontare quello che era accaduto. Poco per volta le denunce sono cresciute esponenzialmente perché poco per volta si trovava il coraggio di raccontare ciò che era successo. Questo ritardo, in un mondo in cui siamo abituati a sapere tutto in tempo reale o nel giro di pochi minuti, evidentemente è dovuto a un deficit culturale, anzitutto da parte nostra, dei media. Ancora, quando l'episodio era ormai chiaro nelle sue dimensioni, ho letto su molti giornali italiani articoli, affidati non a caso a giornalisti che di solito seguono la cronaca nera, che parlavano in termini quasi «estetizzanti» del branco, di cose già viste. Qui non è il branco, non sono cose già viste. Non è un fatto di cronaca nera. Colonia è un attacco alla nostra cultura, alla nostra libertà. Non sappiamo ancora esattamente quello che è successo. Abbiamo intuito che è stata una cosa organizzata via social network. Mille persone non si danno appuntamento per caso. Non sappiamo, però, ancora che cosa ci sia dietro, se ci sia un disegno. Non voglio crederlo e, onestamente, non lo credo. Mi sembra difficile pensare che sia stato un attacco organizzato da estremisti islamici o, d'altra parte, un attacco da parte di coloro che non vogliono gli immigrati, usati per ottenere un effetto contrario. Non voglio crederlo e non lo credo, ma non è stato sicuramente un fatto di cronaca nera, mentre molti giornali anche se non tutti, lo hanno però presentato come tale.
  Credo che quest'episodio sia destinato a lasciare nella memoria delle nostre figlie e dei nostri figli e nella nostra coscienza collettiva un'impronta non meno profonda dei fatti di Parigi del gennaio di un anno fa, dell'attacco a Charlie Hebdo. È stato un episodio meno cruento, ma non meno grave. Sotto certi aspetti, dal punto di vista emotivo, ripeto che è destinato a lasciare un'impronta persino superiore. Non tutti, infatti, disegnano o leggono vignette irriverenti, ma tutti abbiamo una figlia, una fidanzata, una persona cara che festeggia Pag. 12il Capodanno nelle vie di una grande città. Così come nessuno di noi, un anno fa, poteva immaginare che si arrivasse a punire con la morte vignettisti colpevoli, dal punto di vista di chi li ha uccisi, soltanto di avere contrariato un sentimento religioso, allo stesso modo nessuno di noi poteva pensare che ci fosse un attacco così organizzato e di massa contro la donna bianca, perché di quello si è trattato.
  Secondo me, questo apre veramente una pagina voltata la quale nulla è come prima. C’è stato un grande ritardo culturale a proposito dell'immigrazione. A parte coloro che continuano a strumentalizzare l'immigrazione per fini elettorali interni, una pratica che personalmente non mi convince, in generale però è prevalsa, almeno nell’élite, nell’establishment, un'idea irenica dell'immigrazione, un'idea adelfica, «l'immigrato è mio fratello» era uno degli slogan. Non ci siamo resi conto che in questi anni è scoppiata una guerra tra poveri. A pagare il prezzo dell'immigrazione infatti sono le classi popolari. È scoppiata una guerra per il posto all'asilo nido, per la coda al pronto soccorso, per il letto in ospedale, per il lavoro, per la casa popolare.
  Questo ritornello per cui: beh, però gli immigrati ci pagheranno le pensioni, beh, però senza gli immigrati come faremmo, perché facciamo pochi figli, è un argomento di un cinismo spaventoso. È vero che abbiamo un grave problema demografico, e per la prima volta l'Italia, dai tempi della Grande guerra, perde popolazione. Siamo tra i Paesi con meno figli al mondo. Tutta l'Europa, tranne la Francia e l'Irlanda, sono in questa situazione. La risposta, però, non può essere quella di aprire le porte e che arrivi chi voglia. La risposta devono essere delle politiche a sostegno della famiglia e consentire a chi lo desidera di poter liberamente scegliere se avere figli o meno. Questo non vuol dire chiudere le porte ai profughi di guerra, che hanno diritto a essere accolti, a essere salvati e magari anche a tornare nel loro Paese, se lo desiderano o a cercare di integrarsi nei Paesi di accoglienza. Vuol dire, secondo me, rivedere completamente l'approccio all'immigrazione. Credo che questo incrocia sia la difficoltà della Germania sia la crisi europea, lo ha già detto, molto meglio di me, Tobias Piller. Vorrei aggiungere un altro tassello. Per la prima volta il leader che in questi anni ha di fatto governato l'Europa è in grande difficoltà sul fronte interno. Abbiamo letto oggi dei quarantaquattro deputati della CDU, che rappresentano soltanto un'avanguardia probabilmente, che hanno firmato una lettera per invitare la Merkel a cambiare politica sui migranti.
  Mi pare che il sistema tedesco con cui la Germania ha governato l'Europa stia andando un po’ in frantumi. Due Paesi satellite, o comunque due Paesi molto vicini alla Germania, come la Polonia di Tusk, come la Spagna di Rajoy, hanno cambiato Governo. In Polonia c’è una destra nazionalista che ha vinto le elezioni proprio con una politica dichiaratamente anti-tedesca e anti-europea. In Spagna stanno facendo delle prove per un'alleanza di sinistra tra Podemos e PSOE, anche se non so se ci riusciranno. In Portogallo ci sono riusciti. In Spagna sarà più difficile perché Podemos chiede un referendum sull'indipendenza della Catalogna, che i socialisti, che prendono i voti nelle regioni povere, in Estremadura e in Andalusia, non intendono concedere. Podemos, però, è flessibile nelle sue richieste. Aveva chiesto, ad esempio, di poter costituire quattro gruppi parlamentari, uno di Podemos, uno degli eletti in Catalogna, uno degli eletti in Galizia e uno degli eletti a Valencia e ha rinunciato a questa proposta. Non so come andrà a finire. Di sicuro, dopo aver perso la Polonia ai suoi confini orientali, la Germania perderà anche ai confini occidentali dell'Unione un Paese molto leale, vicino, come era la Spagna di Rajoy.
  Queste difficoltà della Merkel non devono, a mio giudizio, indurre noi italiani a rallegrarci. Ciò anche perché – lo dico male – la Merkel non è attaccata da sinistra, ma da destra. Non mi riferisco a Pegida o ad Alternative für Deutschland. Penso all'ala dura del suo partito. Se oggi la Germania cambia politica, non lo fa nella direzione che auspichiamo, cioè Pag. 13verso la condivisione dei rischi finanziari, verso una maggiore solidarietà nell'accoglienza e nella ripartizione delle quote dei migranti o nei confronti dei Paesi del Sud Europa. Lo fa in una direzione opposta a quella che auspichiamo. In questo momento, quindi, non ci conviene sperare che la Merkel esca indebolita.
  Non c’è dubbio, però, che l'Italia sia stata lasciata sola in questi anni. È stato grazie al coraggio dei nostri uomini in uniforme, è stato grazie alla civiltà degli abitanti di Lampedusa se si è riusciti in qualche modo a far fronte a un'emergenza umanitaria senza precedenti, di cui credo che possiamo andare fieri. Salvare la vita di coloro che stanno per morire in mare è un dovere giuridico, prima ancora che morale. Non c’è dubbio che l'Italia abbia fatto grandi sforzi e continuerà a farne.
  Ho l'impressione, però, che dal punto di vista culturale, a cominciare da noi dei media, siamo in ritardo proprio con questa concezione irenica dell'immigrazione e anche con l'idea un po’ superficiale, un po’ presuntuosa, che le nostre conquiste siano definitive, siano acquisite per sempre. Non è così. Credo che proprio Carlo Panella abbia avuto una polemica con parte dell'opinione pubblica quando ha ricordato che anche negli anni Cinquanta in Sicilia avvenivano episodi del genere. La concezione della donna nel Mediterraneo, fino a qualche decennio fa, non era poi così diversa da quella che vediamo purtroppo, non dico prevalere, ma esistere nel mondo islamico. È vero. Non c’è dubbio che sia vero. Io sono cresciuto in un'altra provincia, nella provincia piemontese, ma negli anni Sessanta ancora c'era un po’ l'eco di quello che succedeva nelle campagne qualche anno prima. Ad esempio, tutto quello che riguardava il sesso aveva una componente molto classista. La ragazza di buona famiglia doveva arrivare – o fingere di arrivare – illibata al matrimonio, poi c'era la sartina o la ragazza a servizio di cui si poteva disporre. Parliamo del Piemonte degli anni Cinquanta, non di secoli passati, di secoli bui.
  Ricordo a me stesso che fino al 1975 il codice civile del nostro Paese riconosceva la potestà maritale, che, come stabilì la Cassazione in una storica sentenza, poteva essere esercitata anche con mezzi coercitivi: tradotto in italiano, significa che picchiare la moglie non era reato. C'era il delitto d'onore. I femminicidi, come li chiamiamo adesso, denunciando giustamente questa piaga, che rivela la mentalità per cui l'uomo è il proprietario del corpo della donna, e quindi ne teme la libertà sessuale, di scelta, all'epoca non si chiamavano così, ma non facevano neanche notizia. Non è che non ci fossero. C'era il delitto d'onore. Se tornavi a casa e trovavi la moglie con un altro, la ammazzavi e non finivi neanche in galera.
  Ancora, fino a cent'anni fa, fino al 1919, le nostre nonne o bisnonne non potevano comprare una casa o vendere un trattore senza la firma del marito o del padre. Pensate che forma di controllo sociale era. La capacità giuridica venne riconosciuta alle donne solo dopo la Grande guerra, perché le donne avevano mandato avanti il Paese, lavorato in fabbrica, preso il posto degli uomini. Quando si videro le prime donne pustine, cent'anni fa, il Corriere della Sera scrisse che l'innata curiosità femminile avrebbe portato alla violazione della segretezza della corrispondenza. Si pensò, cioè, che essendo considerate le donne più curiose degli uomini, avrebbero letto le lettere prima di consegnarle. Quando si videro le prime donne guidare i tram, i passeggeri milanesi rifiutarono di salire, per timore di incidenti. Non accadde nulla. Le donne dimostrarono di saper prendere il posto degli uomini e di saper fare meglio degli uomini. Non a caso, fu concessa loro la capacità giuridica, perché non si poteva più trattarle come cittadini «di serie B».
  E quand’è che la donna può finalmente votare ? Nel 1946, dopo che, con la Resistenza, le donne italiane avevano dato un grande contributo alla conquista della libertà e della democrazia. La prima donna Ministro, a parte un primo episodio nella Repubblica dell'Ossola nel 1944, è Tina Anselmi, e siamo alla seconda metà degli anni Settanta.Pag. 14
  I grandi, straordinari passi avanti compiuti dalla donna in Occidente, e in Italia in particolare, sono quindi molto recenti. Non possiamo, allora, abbassare la guardia. Non possiamo pensare né che questi risultati siano piovuti dall'alto, perché sono stati frutto di conquiste, di lotte, di sofferenze, né che siano acquisiti per sempre. Parliamo allora di porte aperte ai profughi, di rispetto per tutte le culture, per tutte le religioni. Non vogliamo imporre nulla a nessuno, ma se vogliamo dialogare, dobbiamo sapere chi siamo, quali sono i nostri valori. Io penso che il rispetto per la donna, per il suo corpo, per la sua libertà di scelta, sia uno tra i primi di questi valori. La notte di Colonia è stato un attacco a questo valore. A quest'attacco va data la risposta non soltanto in termini di ordine pubblico, ma politici e culturali, la più ferma possibile.

  PRESIDENTE. Do la parola, dulcis in fundo, a Carlo Panella.

  CARLO PANELLA, scrittore e giornalista. Negli anni Settanta, latitante per ragioni politiche, ho fatto per due anni lavoro politico tra gli immigrati a Colonia. Hauptbahnhof era, naturalmente, uno...

  PRESIDENTE. Ti basavi, anche lì, sull'inefficienza della polizia locale.

  CARLO PANELLA, scrittore e giornalista. No, sull'inefficienza della polizia italiana, che provò a prendermi, ma non ci riuscì.
  Facevo lavoro politico nel sociale, come si faceva allora. C'erano quelli che andavano a Parigi a fare le stupidaggini e chi lavorava tra gli immigrati per cercare di capire, di aiutare e organizzare.
  Ho molto presente, anche a livello personale, il dramma della vita del déraciné, dello sradicato, e naturalmente anche di quella che si può definire con un termine un po’ spregiativo, ma in realtà pieno di pietas, la miseria sessuale dell'emigrato maschio. Posso raccontarvi molti episodi drammatici, e proprio lì si andava a comprare il Corriere della Sera o Tuttosport, arrivavano solo lì. Questo legame fondamentale si aveva, quindi, soltanto in quel posto.
  Quello che ho immediatamente capito vedendo le prime immagini di Colonia è che si era verificato un fenomeno epocale. C’è un prima e un dopo Colonia. Non è stato governato per ragioni già esposte qui, adesso, di incapacità di capire il fenomeno, ma non è stato governato, perché la massa critica era comunque ingovernabile. Era massa critica ed era ingovernabile in un Paese che conosco benissimo, avendo studiato la capacità dei tedeschi di cercare di dominare e controllare il fenomeno dell'immigrazione. Ogni anno il Bundesanstalt für Arbeit mi diceva quanti erano i fornai, i panettieri italiani ad Amburgo, a Brema o a Norimberga, tanta era l'attenzione per il fenomeno dell'integrazione e della presenza dell'immigrazione in Germania.
  Il fallimento avveniva proprio nel Paese d'Europa che più aveva fatto, da un punto di vista proprio dell'integrazione sociale e culturale, anche per le ragioni che ha detto Tobias Piller: 15 milioni di tedeschi nel 1947 con la Germania distrutta, assorbiti nello Stato tedesco, hanno lasciato una profonda impronta nella vita delle famiglie tedesche. Lì è fallito qualcosa. Non è stato come in Italia. In Italia, abbiamo preso, dal 1992 a oggi, 5 milioni di residenti e non abbiamo fatto nulla per controllare e gestire questo fenomeno. In Germania, si è tentato di fare qualcosa, molto più di quanto non sia stato fatto in Francia o in Belgio, tra l'altro senza tante deviazioni ideologiche sul multiculturalismo, con molto pragmatismo.
  Questo è il segnale, la massa critica è diventata ingovernabile. Anche se ci fossero stati dei poliziotti italiani, sarebbe stato un massacro, per la forza e la violenza che si esprimevano in quel momento. È il punto di non ritorno che riguarda tutti noi. Peraltro, e qui sono in totale disaccordo con l'ottima Karima – abbiamo finalmente trovato un argomento di disaccordo – in quella situazione l'elemento di branco, di consuetudine, di violenza sulla donna, che conosciamo molto Pag. 15bene anche nella nostra storia di maschi italiani, si somma indubbiamente a un referente non consuetudinario, non di un'altra fase di tempo di maturazione nelle società nordafricane e islamiche, ma un dato di fatto religioso: la superiorità del maschio sulla femmina stabilita dal versetto 34 della IV Sura del Corano, per cui le donne hanno gli stessi doveri e diritti degli uomini, secondo la consuetudine, ma l'uomo è superiore. Ciò ha generato una tale pregnante situazione di differenziale di diritti che nel Marocco – secondo me, l'esempio vivente del riformismo che, con lentezza e saggezza, la classe dirigente sta introducendo anche nel corpo religioso dell'Islam, oltre che nella società – non ha ancora permesso di portare all'abolizione del divieto per la donna islamica di sposare l'ebreo o il cristiano, e addirittura, ha obbligato il re a eliminare dalla Costituzione del 2012, su un altro terreno, l'enunciazione della libertà di coscienza. Tutto questo io lo capisco perché è un processo assolutamente graduale e i marocchini fanno forse bene a fare questo.
  Tuttavia, quest'elemento di una difficoltà di integrazione non nel nostro stile di vita, ma addirittura nella nostra concezione dei diritti umani e dell'elemento fondamentale di una società, che è la famiglia, nei confronti della componente islamica, al di là degli episodi di violenza di Colonia, è un elemento costitutivo che segna in maniera preoccupante e problematica l'inserimento delle famiglie e delle comunità musulmane in Italia. Vi ricordo che abbiamo 1.300.000 musulmani, tra arabi e dei Balcani.
  Il tutto è aggravato da una situazione per cui oggi siamo in fase rosea rispetto a quella che avremo tra un anno o due. Non è pensabile che qualcuno ipotizzi che si risolva la crisi del Medio Oriente. Non per la prima volta vi dico che da qui a un anno la crisi sociale, che può darsi che diventerà anche politica – credo di sì – dell'Algeria sarà drammatica. Il prezzo del petrolio a 28 dollari al barile farà sì che l'Algeria fallisca, con dei drammatici contraccolpi sociali. Gli attentati degli ultimi giorni a Bamako e Ouagadougou ci hanno fatto capire che non è pensabile che, allo stato attuale, si riesca a dominare per un lungo periodo la crisi, che non soltanto coinvolgerà il Maghreb – non parliamo della Libia –, ma anche l'Africa subsahariana, quindi con un afflusso legittimo di richiedenti asilo che aumenterà enormemente.
  A fronte di questo quadro, termino con l'analisi, già sviscerata abbondantemente, e provo a proporre un'apertura – questa è proprio la sede adatta – a una discussione sulle soluzioni. È notizia di ieri che l’ultraliberal, simpaticissimo e fotogenico nuovo leader del Canada, Trudeau ha imposto un limite preciso: possono entrare in Canada 40 mila richiedenti asilo, ma devono avere la condizione di essere sposati, o accompagnati dalla compagna, o gay, perché questi ultimi sono sottoposti a particolari torture in alcuni Paesi, in particolare nella Siria.
  La situazione è tale per cui già oggi le statistiche, di chi le fa – mi pare ne sia uscita una l'altro giorno su La Stampa – ci dicono che abbiamo una presenza di maschi rispetto alle femmine totalmente sproporzionata. Sapete che la natura ha fatto in modo che noi, che siamo inutili, siamo meno delle femmine, che sono più utili in generale nell'equilibrio del pianeta. Questo fenomeno migratorio, con le sue caratteristiche, ha portato a un rivolgimento, per cui mi pare che siamo al 61 per cento di maschi rispetto alle femmine all'interno del comparto migratorio generale in tutta Europa, forse con punte addirittura del 70 per cento.
  Credo che su questo terreno si debba aprire una profonda riflessione all'interno del Parlamento, delle forze politiche, ma anche all'interno del Paese. Credo ci sia una strada da seguire, naturalmente oltre a quella di non fare stupidaggini, come la manifestazione di Colonia, che trovo vergognosa. Trovo che quella del 4 febbraio a Colonia sarà una manifestazione in cui ancora una volta ribadiremo che siamo tanto belli, bravi e così via, che le nostre donne sono fantastiche. Avremo tutti la cravatta tagliata. Questa diventa una manifestazione europea. Ha fatto bene Piller Pag. 16a spiegare ai maschietti di non andare con la cravatta, perché c’è questo taglio della cravatta, che è un evidente segno di superiorità rispetto al simbolo fallico. State molto attenti, perché sono molto dure le donne di Colonia, che è un po’ la Bologna della Germania. Questa manifestazione è la classica risposta che fa capire che in Europa non capiamo nulla. Ci occupiamo di noi stessi, di affermare i nostri diritti. Anziché partecipare a una manifestazione a Colonia, vorrei che le femministe, le femmine, le donne d'Europa andassero a parlare con le amiche di Karima Moual in Marocco, senza manifestarvi, per cercare di capire come questa stessa riforma dell'Islam, che secondo me soltanto le donne possono fare, può essere in qualche modo aiutata e supportata. Vi porto un esempio. Poiché, come sapete, sono pazzo, sto tentando di aprire in Italia una scuola per imam sulla scorta di quello che ha fatto il re del Marocco, che molto saggiamente, avendo capito quello che stava succedendo, il 15 maggio scorso – la stampa ne ha parlato – ha aperto a Rabat un'accademia in cui 800 studenti, tra cui 175 donne, vanno a studiare per diventare imam, che è soltanto colui che dice la preghiera del venerdì, o predicatori e predicatrici, cioè coloro che insegnano il Corano. Come nell'ebraismo e nel cristianesimo, il rito non può essere officiato nell'Islam da una donna, ma può essere spiegato, ed è molto più importante, predicando il Corano.
  Sto cercando di fare questo in una dimensione, che è appunto quella di rafforzare al massimo la componente femminile anche nell'Islam italiano. Vorrei che rimanesse traccia nella nostra discussione di oggi del mio auspicio che si prendesse finalmente atto che è il momento di capire cos’è l'immigrazione in Italia. Non lo capiamo, non lo sappiamo. Abbiamo un esempio molto positivo che ci viene dall'Inghilterra e dal Canada, che hanno istituito presso la Presidenza del governo – il premier in Inghilterra e il capo del governo in Canada – un osservatorio contro la radicalizzazione, che nulla ha a che fare con l'anticamera della pubblica sicurezza, che si distingue totalmente. Le denunce non sono di tipo penale. Quando due giornalisti del Corriere della Sera vanno, dopo il 13 novembre, in una scuola e vengono zittiti da alcuni studenti palesemente organizzati, che dicono che lì non si discute, mi pongo il problema drammatico del perché nessuno, il Parlamento, il Governo, abbia dei terminali nella società italiana per cui un preside, un professore che vede questa situazione nella sua classe non la segnala, esattamente come fa un direttore di un carcere un operatore che vede degli elementi di radicalizzazione, esattamente come fanno dei consiglieri comunali di un quartiere di Roma, l'Esquilino – l'ho citato a caso – o un altro, che abbiano la possibilità di centralizzare le informazioni di allarme politico (che, ripeto, non mi interessa minimamente, nego che ci sia questa necessità). Abbiamo un sistema di sicurezza eccellente in Italia, ma non siamo eccellenti nell'avere nel territorio la comprensione dei fenomeni che si stanno sviluppando. Credo che una discussione anche in Parlamento – provo a farla pure, naturalmente, col Governo – sulla dotazione di uno strumento come questo sia oggi indispensabile all'interno di una ridefinizione completa della nostra visione del rapporto con l'immigrazione, a partire da un dato di fatto, ormai acquisito e già citato anche da Aldo Cazzullo: se c’è una cosa che Colonia ha sigillato è la fine del multiculturalismo come possibilità, di per se stessa e per l'ibridazione delle esperienze e delle tradizioni, di costruire una società più giusta e più equa.
  David Cameron in questi giorni sta iniziando a proporre, a decidere, a imporre una serie di provvedimenti. Ieri, se non sbaglio, ha stanziato 30 milioni di sterline, qualcosa come 45-50 milioni di euro – non so come sia oggi il cambio – per imporre alle donne islamiche che non hanno rapporti di lavoro, e quindi non imparano l'inglese, l'apprendimento della lingua inglese, e quindi il favorire una loro integrazione nella società. Prenderà a mano a mano altri provvedimenti. Manuel Valls, che è, a differenza di Cameron, un Pag. 17socialista, dalla sua poltrona di difensore dell'ordine pubblico e di chi ha subìto sia Charlie Hebdo sia il 13 novembre, sta elaborando una piattaforma in cui si cerca di superare l'inutile embrassons-nous, il vogliamoci bene, l'automatismo del multiculturalismo.
  Secondo me, questa deve essere un'anticamera, un laboratorio. Anche il Parlamento inglese si è dotato di un osservatorio. In Inghilterra c’è un osservatorio del governo e ce n’è uno sulla radicalizzazione a disposizione del Parlamento, per elaborare delle risposte politiche. Ne seguo una: noi, che abbiamo avuto una grande scuola di urbanistica e adesso non l'abbiamo più, perché abbiamo distrutto il Paese eliminandola con i nostri ecomostri, abbiamo dei gruppi di urbanisti che si occupano del tema, secondo me fondamentale per proporre un'integrazione degli immigrati, ossia quello dell'abnorme concentrazione urbanistica degli emigrati nei centri storici e nelle città italiane.
  Alcune esperienze meritano, a mio avviso, di essere subito riprese a livello legislativo. Nella capitale del Veneto leghista, a Treviso, da anni Confindustria, Caritas e sindacati hanno organizzato delle case di prima accoglienza per i lavoratori, che accolgono in miniappartamenti le coppie di nuovi assunti, ovviamente sia italiani sia stranieri, per permettere loro un ambientamento e la ricerca dell'immissione nel tessuto sociale con dei tempi. In Germania c'erano da tempo e fino a quando c'ero io, le wohnung; non c'erano più le baracche nel 1972, ma dei grandi appartamenti e gli immigrati abitavano non in famiglia, ma in camerate.
  Delle indicazioni come queste sono, secondo me, fondamentali – concludo – non soltanto per avere strumenti che ci permettano di capire il reale e non arrivare a Colonia in questo modo; di capire se la soluzione Trudeau sia praticabile o meno. A Costituzione vigente, è un po’ difficile, va elaborata. Non mi esprimo. Va elaborata e discussa dalle forze politiche. Servono strumenti che ci permettano di capire se sia possibile oggi che il Governo italiano, le regioni e le conferenze varie incentivino una politica di urbanizzazione delle nostre città non più automatica, disastrosa e caotica come quella di adesso, ma che abbia una direzione di assorbimento dell'immigrazione.
  Tutto questo è elemento fondamentale all'interno di un processo decisionale, e qui concludo, perché non ne posso più di fare questo lavoro come un mulo, non avendo nessun risultato. Pensate che da otto anni propongo alla RAI di fare un'emittente in lingua araba che trasmetta le radiocronache delle partite, che può essere sentita dal Marocco all'Afghanistan, e non ci riesco, pur avendo Monica Maggioni espresso un entusiasmo totale per questa proposta.
  Sull'argomento c’è una lentezza decisionale, un'incapacità anche da parte delle forze politiche di capire i temi. Si dibatte, ad esempio, per tre anni, per quattro, per cinque dello ius soli e dello ius sanguinis, discussione – lasciatemi togliere tutti i sassolini dalle scarpe – che oggi, a fronte di Colonia, dimostra...

  PRESIDENTE. Qualcuno tienilo...

  CARLO PANELLA, scrittore e giornalista. Ho le scarpe grandi, ho il 46 di piede.
  Dicevo che a fronte di quella discussione, i fatti di Colonia dimostrano non le errate scelte, ma l'assoluta e totale parzialità del dibattito italiano.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Più che una domanda, ho alcune riflessioni da porre.
  Anzitutto, secondo me il sistema educativo nazionale, cioè la scuola e l'università, ha affrontato il tema dell'integrazione da tempo, anzi credo che abbiamo vissuto bene per tutti questi anni, nonostante varie ondate di immigrazione, perché la scuola, in particolare la scuola elementare e media, ha retto bene, anche senza interventi generali e strategici, l'ondata dei figli di seconda generazione o gli immigrati Pag. 18di prima generazione arrivati a 10-11 anni inserendo perfettamente questi ragazzi nei nostri cicli scolastici. Tanto è vero che uno dei capisaldi della nostra riforma del diritto di cittadinanza si basa sull'aver frequentato un ciclo scolastico in Italia. Evidentemente, quindi, questo è giudicato un elemento fondamentale del programma di integrazione.
  Anche nei campus, nei grandi centri di ricerca, come quello che ho gestito io, ma anche l'Istituto italiano di tecnologia, il tema dei dottorandi e delle dottorande dai Paesi arabi, quindi di religione musulmana, che chiedevano luoghi adeguati di culto, mense particolari, sistemi di integrazione che tenessero conto delle loro abitudini e della loro cultura, è già stato più o meno affrontato in maniera molto artigianale dal basso, ma il cui impatto è stato, secondo me, retto bene e può essere un modello che a questo punto, dati i fatti che si sono verificati, deve essere generalizzato e sistematizzato.
  Credo che di fronte ai fatti di Colonia noi – e in particolare mi riferisco all'area progressista, cui appartengo – non abbiamo saputo dare una risposta adeguata. Al contrario, la ragione per cui oggi sono venuta qui volentieri, per cui cerco di stimolare il dibattito, è che sono rimasta abbastanza delusa dalla nostra incapacità di avere una chiave di lettura di quello che è avvenuto. In un certo senso, i movimenti, anche femministi, chi si è battuto per le pari opportunità, per le quote rosa, per tante leggi portate avanti nel nostro Paese, non hanno reagito in maniera evidente, non hanno saputo dare una risposta adeguata, sono rimasti in silenzio. Questo mi ha colpito molto. Ho letto qualche giorno fa un'intervista di Lorella Zanardo, l'attivista del progetto Il corpo delle donne, che denunciava esattamente allo stesso modo che le femministe italiane sono state zitte. Perché sono state zitte ? Perché non abbiamo saputo dare una risposta ? Secondo me, questo è molto grave, e la risposta non può essere che questo è un attacco alla nostra cultura. È una risposta semplificata, una risposta «di pancia», che non dà una chiave di lettura, ma dice solo che dobbiamo reagire. Non è che dobbiamo reagire. Dobbiamo capire le ragioni per cui questo è avvenuto, le ragioni per cui la polizia non ha saputo affrontarlo, che secondo me nascondono anche una parte del problema, tipicamente tedesco, dato il contesto ben illustrato. Qualche motivo ci sarà per cui la polizia non è intervenuta. Mi sarei aspettata un intervento immediato. Se fosse avvenuto in Italia, saremmo qui a chiederci che cos’è successo. Immagino che anche in Germania ci sia un tentativo di spiegare perché non ci sia stata una reazione immediata. Non so se l'impreparazione della polizia regionale possa essere una giustificazione o ci sia dietro qualcos'altro, ma secondo me è un dato significativo.
  Dovremmo alzare il livello dell'elaborazione, ossia non dare delle risposte superficiali, ma cercare di affrontare la questione a più livelli. A un livello politico dovremmo cercare di dare una risposta in termini non dico di proposta di legge, ma comunque di programma nazionale in relazione a quello che è avvenuto e anche in preparazione all'accoglienza che ci spetta. Dovremmo dare una risposta di civiltà, in linea con la nostra cultura e la nostra civiltà. Paradossalmente, dire che è un attacco alla nostra cultura è una risposta impolitica e priva di contenuto culturale. È qualcosa di più questo, è un modo e anche un problema sociologico di fronte al quale dovremmo avere reazioni più mature, proprio perché dobbiamo avere reazioni che ci preparino con un piano di lungo termine, non una risposta immediata, ossia queste persone immigrate, che sono sul nostro territorio, che sono già arrivate e che ora rimangono in grande numero, cambieranno la struttura sociale del nostro Paese. Di fronte a questo cambiamento come reagiamo ? La questione non è che difendiamo la nostra cultura. Molte di queste persone hanno le loro culture, che si fonderanno con la nostra. Nascerà qualcosa di nuovo. Se vogliamo valorizzare il nostro stile di vita, quello in cui crediamo, i valori fondanti della nostra Costituzione e delle nostre leggi, dobbiamo difenderli con una risposta adeguata, non Pag. 19di rottura, ma in qualche modo di inclusione e convivenza. Certamente, la risposta poliziesca dà loro ragione di quello che è accaduto. Va sullo scontro di civiltà, che è proprio quello che, secondo me, dovremmo evitare.
  Ho due esempi da citare. Mi è capitato di prendere un treno locale, perché venivo a Roma da Pisa in un orario strano. Tra Pisa e Firenze – era circa mezzogiorno di una settimana fa – sono salita sul treno con mia figlia, che mi ha detto: «qui siamo in un altro mondo». Non c'era un italiano a bordo del treno. Erano praticamente quasi tutti di diverse etnie, ma certamente sembrava di essere in un altro mondo. Mi sono resa conto che, effettivamente, è proprio la composizione della nostra società che sta cambiando. Non è un'invasione, l'invasione è già parte di noi. Nel momento in cui si incontrano queste persone in luoghi come le scuole, i treni, le stazioni che frequentano, questo è già avvenuto. Non possiamo dire che dobbiamo prepararci a quello che avverrà, perché è già parte di noi. È già quello che sta avvenendo. Lo stesso è avvenuto con la domanda di uno studente. Alla fine di una lezione che ho tenuto a Roma qualche tempo fa, uno studente di religione musulmana mi ha chiesto come mi ponessi io, che parlavo di integrazione, di scienza, di fronte al fatto che alcune religioni impediscono alle donne di fare le ricercatrici. Voleva sapere quale fosse la mia posizione. La mia risposta è stata che non accettavo nel mio gruppo di ricerca qualcuno che la pensasse così. Sono tollerante e inclusiva, ma le nostre ricerche sono inquadrate nella cornice di riferimento dell'Unione europea, è il Trattato dell'Unione europea stesso a tenerci insieme, e questo ci impone di avere e di riconoscere uguali diritti a uomini e donne. Si può rispettare un culto, una religione, ma non si può affermare che una ragazza non può essere ricercatrice. Ho risposto così, ma non è stato facile rispondere di fronte a 200 studenti, di cui una buona parte di fede musulmana. L'episodio dei due giornalisti è quotidianità, purtroppo o per fortuna, quindi dobbiamo elevare le nostre risposte.
  Quello che ha detto la giornalista che ha parlato inizialmente, di nazionalità marocchina, se non erro, secondo me è corretto. Abbiamo bisogno di un progetto per questi immigrati, un progetto completo, che riguardi tutto, la loro integrazione nella società, la loro vita. Deve esserci un progetto di quello che vogliamo sia la società del futuro.

  GIANNI FARINA. In pochi minuti sarà difficile affrontare un tema così complesso e difficile, giustamente proposto all'attenzione dopo i fatti di Colonia. C’è un problema, innanzitutto, che mi sembra chiaro. Siamo di fronte a un nuovo fenomeno. In passato avvenne l'emigrazione per motivi di lavoro. Milioni di uomini e di donne, soprattutto di uomini, per la verità, si spostarono da paesi allora poveri – parlo dell'Italia, ma riguarda Paesi come la Spagna, o come la Jugoslavia – ed emigrarono verso la Germania, la Francia, la Svizzera. Ci fu un impatto forte, anche di carattere culturale, in questi Paesi. Credo che la Germania sia un esempio eclatante in questo senso. Ha saputo integrare milioni di uomini e di donne di altri Paesi. Penso, per esempio, alla nostra emigrazione di allora, e successivamente all'immigrazione turca. In Germania vivono circa 2 milioni di cittadini turchi. Dire che sono perfettamente integrati mi sembra esagerato, ma sono ottimamente integrati nella società tedesca, in cui sono dei protagonisti, anche sul piano economico. È molto complesso, quindi, dire oggi che cosa è successo di fronte ai fatti di Colonia. In Svizzera, la Bahnhof, per gli italiani era divenuta la «banoffa», cioè il luogo di ritrovo dell'emarginazione, economica e sociale.
  Non è sorprendente, quindi, cos’è avvenuto a Colonia. È chiaro che a Colonia c’è l'evidenza del nuovo fenomeno, che non è l'emigrazione per motivi di lavoro, ma è l'emigrazione politica, del rifugiato, che è andato via dalla sua terra disperato, alla ricerca di una nuova opportunità, di Pag. 20sopravvivenza. E lì si è trovato solo. Allora, come reagiamo ? Per quanto mi riguarda, purtroppo oggi in Europa siamo di fronte a due fallimenti di integrazione. C’è l'integrazione che usiamo sempre definire repubblicana, che è stata quella francese, del cittadino. Arriva nel nostro Paese un uomo o una donna, che dobbiamo integrare, è un cittadino. Il processo dell'integrazione ha fallito. L'altro modello è quello anglosassone, la comunità. Anche questo in parte ha fallito. Dobbiamo cercare nuove vie e nuove strade, e credo che siamo in gravissimo ritardo. Il processo integrativo infatti implica una grande preparazione dei fenomeni culturali a cui sei di fronte, confrontandoti con queste nuove masse di immigrati. Implica quindi preparazione nella scuola, nei centri di formazione, nello studio di queste nuove realtà culturali.
  Sono molto preoccupato. Naturalmente, quando dico che sono molto preoccupato questo significa che quel fenomeno non può essere affrontato sul piano nazionale, ma deve esserlo sul piano europeo, sotto il profilo politico. Le frontiere sono le frontiere europee, non sono le frontiere nazionali. In queste ultime settimane, che alcuni Paesi europei stiano introducendo il controllo delle loro frontiere è un fatto di assoluta gravità. Se c’è una speranza che abbiamo coltivato in questi ultimi anni, questa speranza è Schengen, l'annullamento delle frontiere, che è stata – ed è – la grande idea europea. Se introduciamo di nuovo – di nuovo ! – come sta avvenendo, controlli alle frontiere, veramente ci inoltriamo in un percorso di ritorno al passato, che è drammaticamente negativo, che non sappiamo dove ci porterà.
  Questo è il mio modo di vedere. Quanto è avvenuto a Colonia è un nuovo scontro culturale terribile, complesso. È una sottovalutazione. Arrivano milioni di uomini e non si sa come affrontare la situazione. È la solitudine, si è lì soli, incontrollati e non si sa che cosa succederà. Penso che sia compito dell'Unione europea, il compito della politica. Dovremmo dare una risposta appunto politica al fenomeno e al controllo e dovremmo dare una risposta culturale. Inoltre, credo – si è citato Trudeau – che sarà l'Europa a verificare se è possibile un controllo dell'immigrazione, attuando però una politica nei confronti di questi Paesi al di là del Mediterraneo, in contesto drammatico sul piano della guerra e della pace, con il terrorismo e appunto la guerra. C'erano dei Paesi musulmani che, prima che succedesse il cataclisma, erano laici. Sul piano civile, delle libertà civili avevano una politica altamente avanzata – lo stesso Iraq di Saddam Hussein – erano paesi dittatoriali, ma sul piano dei diritti delle donne erano avanzati rispetto a quanto sta succedendo in questo momento.
  Non aggiungo altro. Ho ascoltato con molta attenzione gli interventi dei relatori, di eccezionale valore, innanzitutto la rappresentante marocchina Karima, che ha fatto delle osservazioni di altissimo livello. Vedremo.

  FRANCO CASSANO. Intervengo brevemente. Anche se non si vota, alle 16 comincia il lavoro d'Aula per tutti.
  Voglio sottolineare un solo elemento che a me sembra importante, che è tornato in vari momenti nella discussione. La differenza dei fatti di Colonia può essere un punto di leva decisivo. Credo infatti che la questione femminile sia un elemento sul quale si gioca non solo l'identità delle conquiste che abbiamo in Occidente, ma anche una leva per cambiare una dimensione essenziale, perlomeno di una certa area, quella più chiusa dell'Islam. La donna rappresenta essenzialmente il punto nel quale non cambiano soltanto i diritti di un soggetto ma, secondo me, cambia proprio l'architrave di un'organizzazione culturale, nella quale non solo si ritiene che essa non abbia diritto di parlare e di agire autonomamente, ma, a seguito di questo, si viene a creare un clima sessuofobico, una sorta di interdizione nei riguardi dei momenti del piacere e della socialità. Io penso anche al 13 novembre. Quella è stata un'aggressione alla dimensione della piacevolezza, un aspetto della nostra società. La donna rappresenta appunto, Pag. 21secondo me, un elemento decisivo. Io credo che sia come nella lotta giapponese: è stata colpita la donna, ma dobbiamo capire che questo è il punto essenziale per ricominciare, e per ribaltare.
  Sarò veramente breve. Io sono molto d'accordo con tutto quello che ho sentito dire a proposito di iniziative che non sono state prese, che possono essere prese, che sono importanti e che devono essere prese certamente a livello dell'Unione europea ma, a mio avviso, in primo luogo da noi. Noi possiamo fare di più. Ci sono molte cose che funzionano.
  Mi ha colpito l'episodio narrato dalla collega Carrozza: se si scende di un piano, si trova questo mondo che è già arrivato. Se vai in treno, anziché in auto, lo trovi. Ci sono luoghi nei quali tu trovi questo mondo. Ci sono quartieri nei quali lo trovi e quartieri nei quali non lo trovi. A me non piace un antirazzismo che nasca solo dalla protezione. Bisogna fare qualcosa di più, e di più rilevante. Io credo che su questo punto ci sia da fare, anche cogliendo alcuni fermenti che ci sono stati nel mondo femminile di area musulmana. Io ho citato più di una volta l'esempio di un filone di cui è stata massima esponente una sociologa marocchina che ci ha lasciato pochissimo tempo fa, Fatima Mernissi, il cosiddetto «femminismo islamico», che a pronunziarlo sembra un ossimoro, perché sembra che l'aggettivo sia in contraddizione con il sostantivo. Invece, è stato un luogo di elaborazione importante per costruire una modalità concreta di intersezione tra la battaglia di liberazione ed emancipazione delle donne e una traduzione all'interno della cultura islamica di quello che significa, quindi la capacità di riuscire a colpire anche quei luoghi della tradizione religiosa nei quali l'interpolazione da parte degli interpreti maschili ha fatto sì che si sia arrivati a situazioni come quelle che conosciamo.
  Giustamente il Presidente del Consiglio ha detto: «un euro per la sicurezza e un euro per la cultura». Tuttavia, questo è ancora indeterminato e generico. Che facciamo di tutti questi euro per la cultura ? Cosa significa questo ? Quali iniziative intraprendere a livello centrale, attraverso la scuola ? Panella faceva degli esempi. Secondo me, è possibile riprendere alcuni di questi e farli diventare un evento costante che stia al centro della nostra immaginazione ogni giorno, per non essere presi in contropiede, ma per usare, rimanendo nella metafora calcistica, una ripartenza. Credo che quello sia un terreno strategico e decisivo di particolare debolezza per quanto riguarda il fondamentalismo islamico e di grande possibilità d'incontro e di difesa dei nostri valori più importanti e delle conquiste di questa ultima metà di secolo. Infatti, non dimentichiamo che la condizione femminile ha fatto un grande salto in tempi relativamente recenti. Non so se ricordate il film di Pietro Germi Sedotta e abbandonata, dove c’è la famosa scena di un oratore ad comizio del PCI durante il quale parla di questa condizione e poi chiede ai compagni che cosa pensano di una donna che... la risposta che viene data è: «bottana è !».
  Cerchiamo di capire che è una battaglia che riguarda anche il punto in cui noi siamo rispetto a noi stessi. Dunque, questa battaglia è molto rilevante, per gli altri e per noi.

  MARIA EDERA SPADONI. Innanzitutto ringrazio gli ospiti che oggi sono intervenuti. Soltanto qualche riflessione.
  Faccio una premessa. Io ho apprezzato le parole della Merkel quando, circa due o tre giorni dopo Capodanno, ha dichiarato: «le persone che hanno commesso questi reati non hanno diritto ad avere un permesso di soggiorno». Personalmente mi trovo assolutamente d'accordo. Peraltro, se non sbaglio, anche nel nostro ordinamento c’è la possibilità di annullare un permesso di soggiorno nel momento in cui un richiedente si ritrovi ad aver commesso determinati reati.
  Faccio qualche riflessione. In primo luogo, credo che dovremmo attenerci ai fatti. Ringrazio veramente gli ospiti per essere intervenuti, però ho sentito delle parole più da opinionisti che da giornalisti Pag. 22che tiravano fuori dei fatti. I fatti che io ho letto è che dal 2 gennaio a oggi ci sono state 650 denunce...

  PRESIDENTE. Gli opinionisti hanno un livello superiore.

  MARIA EDERA SPADONI. Benissimo, però a volte avere delle informazioni corrette rispetto alle fonti non sarebbe male. Chiaramente anche gli opinionisti sono indispensabili.
  Dicevo che ci sono state 650 denunce, per la maggior parte per furti e rapine, e una restante parte per molestie sessuali. Sempre da fonti di giornale, ho letto che ci sono state tra le 500 e le 1.000 persone che, da testimonianze, risultavano aggressive e ubriache.
  Ora, la domanda che io mi faccio è la seguente: è possibile che tra le 500 e le 1.000 persone non si siano organizzate ? Deve esserci per forza un'organizzazione, non può essere altrimenti. Non posso credere che 1.000 persone abbiano deciso la notte di Capodanno di compiere dei reati senza essersi in qualche modo messe d'accordo. Personalmente, mi sembra assurdo. Un conto è se io mi ritrovo nel corso dell'anno un tot di reati che vengono commessi – furti, rapine o molestie sessuali, come è successo il 31 dicembre – e un altro è se io mi ritrovo fino a 1.000 persone che hanno commesso questi reati.
  Allora, la domanda che, secondo me, ci dobbiamo porre è in che modo queste persone si sono organizzate e se per caso c’è stata una falla nell’intelligence tedesca. Questa è la domanda che io mi faccio. Se eventualmente c’è stata un'organizzazione dietro, occorre chiedersi chi c’è dietro. Anche questa è una domanda che deve essere fatta. Noi non possiamo pensare soltanto che ci siano stati 1.000 uomini ubriachi e aggressivi che hanno compiuto dei reati; dobbiamo anche pensare se dietro questi atti ci sia stata un'organizzazione. Io spero vivamente che il Governo tedesco cerchi in qualche modo di verificare questo, anche perché purtroppo la polizia tedesca, in questa situazione, non ha fatto una bella figura.
  Passo a un altro fatto. L'8 gennaio gli inquirenti hanno annunciato di aver identificato 31 persone. Di questi fermati, 18 sono richiedenti asilo. Io sono rimasta a questa informazione. Chiedo eventualmente delle delucidazioni ai giornalisti presenti. Essendo un'indagine conoscitiva, oltre che esprimere opinioni e riflessioni, credo che sia corretto fare delle domande. La domanda è se effettivamente vengono confermate le identificazioni di queste 31 persone, delle quali 18 sono richiedenti asilo. Ora, se questa notizia viene confermata, al momento noi stiamo discutendo di centinaia di persone aggressive e ubriache, di cui 31 sono state identificate. Io credo che rappresenti un ingigantimento della problematica arrivare a parlare della questione migranti e della questione richiedenti asilo da un'azione che è avvenuta e della quale abbiamo, a livello numerico e a livello di fatti, pochi elementi. Secondo me, dovremmo infatti chiederci per quale motivo si è deciso di destabilizzare la notte di Capodanno con dei reati talmente terribili. Questa è la domanda che pongo anche agli ospiti qui presenti.

  PRESIDENTE. Non è previsto...

  MARIA EDERA SPADONI. Allora, che indagine conoscitiva è, presidente ? Siamo qui a parlare di opinioni ? Se vorranno rispondere, risponderanno. Se non risponderanno, ne prenderò atto. Essendo un'indagine conoscitiva, mi piacerebbe anche fare delle domande.
  Passo alla terza riflessione che mi viene da fare in questo momento. Prima ci si chiedeva se l'integrazione è necessaria. La risposta è «sì», per un semplice motivo. Chiaramente, rimango sempre nell'ottica di persone che vengono e che decidono di vivere onestamente nel nostro Paese. Le persone che decidono di non vivere onestamente nel nostro Paese possono anche chiedere ad altri. L'integrazione è necessaria e dovremmo fare uno sforzo per riuscire ad attuare delle politiche di integrazione vera, per il semplice fatto che anche con un reato come il reato di Pag. 23clandestinità il fenomeno migratorio non si ferma. Perché non si ferma ? Io mi metto nei panni di questi migranti. Io, che arrivo da un paese come la Siria o come l'Iraq o da paesi martoriati, anche se c’è un reato di clandestinità in Italia, su quel barcone ci vado lo stesso. Io ci vado lo stesso. Perché se io decido di prendere un barcone e di rischiare la vita, una multa o comunque un reato in quel momento non mi fermerà. Può essere un incentivo a non venire ? Magari può esserlo, però – lo ripeto – secondo me, noi dobbiamo metterci nell'ottica, che per fortuna nessuno di noi ha mai affrontato, del non avere nulla e dello scappare da delle situazioni di conflitto, magari con il bambino tra le braccia. Questa è la situazione, che, lo ripeto, per fortuna nessuno di noi ha mai vissuto.
  Cosa possiamo fare ? Io e il Gruppo che rappresento, il Movimento 5 Stelle, crediamo che una politica da seguire sia una politica più difficile rispetto a quella dei grandi titoloni o dei grandi slogan che possono avere vari Gruppi.
  La prima, per esempio, è modificare i trattati o determinati accordi economici con quei Paesi che violano i diritti umani. Se noi, come Paese Italia, diamo l'immagine di quelli che vanno in Arabia Saudita e fanno la rissa per accaparrarsi i Rolex – lo dico ai giornalisti che non sono italiani e che magari non hanno letto la notizia, il Governo è andato in Arabia Saudita e c’è stata una rissa per ricevere i regali dei sauditi – e abbiamo non solo un'azione diplomatica, ma anche dei rapporti economici importanti con determinati Paesi, riusciamo a modificare la questione dell'emancipazione femminile ? Secondo me, non ci riusciamo. Se decidiamo che i diritti umani sono la priorità, io dico allo Stato che intende allacciare dei rapporti con lo Stato italiano: «benissimo, per me non ci sono problemi, allacciamo pure questi rapporti e manteniamoli, però tu in cambio devi in qualche modo modificare e seguire un principio». Si tratta di un principio che dovrebbe essere europeo, ma non soltanto a parole. Il principio «noi siamo per i diritti umani, noi siamo per la Convenzione di Istanbul, noi siamo contro la violenza sulle donne» non deve essere un principio soltanto a parole, come molto spesso è successo, ma deve esserlo anche nei fatti. Probabilmente, anche a livello diplomatico, potremmo cercare di incentivare i Paesi a seguire un'emancipazione, che in questo caso può essere femminile. Io credo che questo potrebbe essere qualcosa di interessante.
  Direi che mi sono dilungata troppo. Concludo con un'ultima osservazione sulla questione delle persone richiedenti asilo. C’è una tabella molto interessante, dove io ho visto in Italia dei picchi nel 1991, nel 1998, nel 1999, nel 2000 e nel 2001, e poi una situazione tranquilla fino al 2006-2007, quando sono ritornati. Dobbiamo chiederci se questi picchi fanno parte di una politica interventistica che l'Italia, attraverso la NATO e i propri partner occidentali, sta portando avanti. Questa politica interventistica ha fatto sì che avessimo il primo conflitto del Golfo nel 1991, quello in Somalia nel 1992 e quello in Bosnia nel 1995. In Afghanistan prima c'era l’Enduring Freedom e adesso abbiamo avuto l’International Security Assistance Force (ISAF).
  Quali sono stati i miglioramenti in tutte queste missioni di pace (perché adesso si chiamano missioni di pace) ? Cosa c’è stato ? Cosa è rimasto in Afghanistan, cos’è rimasto in Libia nel 2011, cosa è rimasto in Iraq e cosa rimarrà in Siria, con queste missioni di pace che noi stiamo portando avanti ? Probabilmente, visto cosa hanno portato queste missioni di pace, le soluzioni dovrebbero essere altre.

  GIUSEPPE STEFANO QUINTARELLI. Ringrazio i nostri ospiti. Io ho l'impressione che quello che è accaduto a Colonia sia stato un flash mob, che ha portato alla costituzione di una massa critica di una densità di precondizioni per comportamenti criminali. Penso che ci abbia portato all'evidenza molti problemi che riguardano l'integrazione culturale e sociale, tutte cose che dovremmo capire. Penso che sia anche un tipping point (un punto di svolta), perché è la prima volta che un Pag. 24flash mob di questo genere viene fatto in Europa.
  Io credo che ci siano due cose che dobbiamo tenere in considerazione. In primo luogo, c’è un modello economico con una rilevanza dei combustibili fossili che sta cambiando radicalmente; questo destabilizza tante economie e ha degli impatti nelle cause che scatenano dei comportamenti.
  C’è poi soprattutto un fattore demografico che non possiamo dimenticare: innanzitutto, la popolazione europea tende a decrescere, e quello che vedrà un bambino che nasce oggi nel corso della sua vita è che la popolazione dell'Africa quadruplicherà, passando da un miliardo a 4 miliardi di persone, secondo i dati dell'UNICEF. Ripeto che questo flash mob è stato un tipping point, però secondo me sarebbe sbagliato guardarlo in termini di punto; bisogna guardarlo in termini di dinamica e in termini di processo. Il processo che sta accadendo è condizionato dai due fattori che citavo: cambiamento dei fondamentali dell'economia di quei Paesi e andamento demografico dell'Europa e dell'Africa, con quest'ultima che passa da un miliardo a 4 miliardi di persone entro il 2.100, quindi nel corso della vita di un bambino che nasce oggi.
  Questo era il punto che volevo fare. A mio avviso, non bisogna pensare a questa cosa in termini di evento isolato, ma in termini di un fenomeno con una crescita esponenziale di tutte le metriche. Questo ci chiama ad attuare degli interventi diversi. Quello che stiamo vedendo oggi, a mio avviso, non è di guida, non ci dà una guidance sui problemi che arriveranno in futuro da questi andamenti esponenziali e che, quindi, dovremo affrontare in modo nuovo.
  Penso che alcuni concetti fondamentali, tipo il concetto stesso di identità delle persone, saranno rimessi in discussione. Mi interessa quello che diceva poc'anzi Piller sul passaporto biometrico. Intende un passaporto solo con biometria o anche con il nome delle persone ? Uno dei problemi che adesso abbiamo nell'integrazione delle persone che arrivano è che queste nascondono la propria identità, perché nel momento in cui dichiarano la propria identità rientrano in casistiche nelle quali non vogliono rientrare. Ci sono persone che non vogliono collaborare. Il nostro modo di trattarle ha a che vedere con l'identità di queste persone. Come fare a riconoscerle, ad attribuire correttamente l'identità e a gestirle ? I meccanismi tradizionali, secondo me, andando avanti saranno sempre più inefficaci.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  TOBIAS PILLER, corrispondente del quotidiano tedesco Frankfurter Allgeimeine Zeitung. La cosa interessante è che ci sono delle regole per la privacy che hanno impedito tanti passi in avanti rispetto ai dati biometrici sulle carte d'identità tedesche e tante telecamere di sorveglianza sulle piazze, anche a Colonia, che adesso arriveranno. Si comincia con le carte d'identità con dati biometrici dei rifugiati.

  GIUSEPPE STEFANO QUINTARELLI. Con il nome della persona dichiarata o senza ?

  TOBIAS PILLER, corrispondente del quotidiano tedesco Frankfurter Allgeimeine Zeitung. Con il nome. Si potrà distinguere se qualcuno darà un altro nome in un'altra occasione o se qualcuno è stato registrato più volte.
  Gestire un'ondata di persone appena arrivate, che sono più di un milione, è una grande sfida. Bisogna accelerare i processi. Ci sono dei tendoni dove tutte le amministrazioni del Paese sono rappresentate con un desk. Se si va giù per quel corridoio, ogni desk è un'amministrazione, dove c’è un ufficiale pubblico che deve decidere, se possibile velocemente e da solo, e non aspettare che qualcun altro decida. Ci sono anche dei lavori di amministrazioni pubbliche in turni e così via. Stravolge tutto. Sui fatti di Colonia, se il presidente permette, posso solo dire che al momento sembra che siano stati organizzati in modo virale, come si dice oggi, perché tutti gli Pag. 25arrivati hanno dei cellulari e sono integrati con delle reti tipo WhatsApp e così via.
  Certamente la domanda è: perché non si sapeva prima ? Sembra che la polizia non si sia preoccupata di eventuali problemi da questo punto di vista, che non erano previsti; non si sapeva neanche dove guardare sulla piazza, almeno all'inizio. Quando, in una situazione di semioscurità su una grande piazza ci sono dei cerchi di persone che sembrano festeggiare, il poliziotto non va in ogni cerchio a domandare: «Voi siete un gruppo di amici che festeggia insieme o avete in mezzo a voi una donna che maltrattate ?» Da lontano può anche sembrare la stessa situazione. Certamente la sensibilità è cambiata drammaticamente appena dopo, ma era troppo tardi per chi aveva subìto delle violenze in quella notte.

  CARLO PANELLA, scrittore e giornalista. Confermo. Forse lei era andata via quando parlavo io. Io ho fatto due Capodanni negli anni Settanta a Colonia. Non c'erano i telefonini e ci si chiamava con il telefono normale, ma era normale che a Capodanno ci si vedesse lì. Peraltro, noi parliamo di Colonia, ma sono cinque, sei o dieci le città tedesche in cui questo è successo.

  MARIA EDERA SPADONI. Vuol dire che sono organizzati ?

  CARLO PANELLA, scrittore e giornalista. No, lei non ha idea di cosa siano gli assembramenti pubblici ? Io sono stato un guerrigliero urbano. Io sono un esperto, ahimè, anche di guerriglia urbana e di tifoseria. Sono un esperto di guerriglia urbana e di latitanza.
  Se lei mette insieme 200-300 tifosi, uomini maschi, ma anche folle, c’è una dinamica di funzionamento della folla che è radicalmente diversa dalla dinamica del funzionamento individuale o della somma degli individui. Ed è una dinamica che nessuno deve organizzare.
  Le riporto un esempio. Nel 1968, quando noi facemmo i cordoni «Oh-Oh Ho Chi Minh», io ebbi una lunga discussione con il capo dalla squadra politica e con i suoi uomini, che mi chiedevano: «Dove vi siete allenati ?» Infatti, dentro a una concezione del genere, una manifestazione di 5 mila persone a cordoni che dicono «Oh-Oh Ho Chi Minh» non poteva che essere organizzata. Invece, ci sono delle dinamiche di funzionamento delle masse di manifestanti, delle presenze in piazza o delle feste che sono assolutamente spontanee.
  Peraltro, c’è una parola tedesca che lo spiega molto bene, che si chiama Angst e si traduce con «paura». Va aggiunta una cosa: nel treno che la signora ha preso nessuno pagava il biglietto, perché i bigliettai – io li intervisto spesso quando vado nei treni regionali – hanno paura a chiederlo. Sicuramente i poliziotti di Colonia, che peraltro mi ricercavano perché ero latitante (posso fare un master in latitanza), vedevano che c'era questo assembramento e se ne tenevano ben lontani. Noi allora cantavamo «Vecchio scarpone, quanto tempo è passato», «Sciuri sciuri» e via dicendo. Questo era il casino che si faceva il primo dell'anno in quel posto lì, che peraltro, essendo l'abside della cattedrale, è anche piuttosto dubbio.
  Non a caso – è indicativo – la tesi dell'organizzazione è stata avanzata dal responsabile regionale della polizia, perché lui non ci era arrivato per via d'intuizione politica, nonostante la sua sia una carica politica in Germania e non una carica amministrativa, e ha trovato la scusa di dire che l'aggressione era organizzata. Ci sono stati titoli su tutti i giornali.

  PRESIDENTE. Semmai era un'aggravante.

  CARLO PANELLA, scrittore e giornalista. Ne discuteremo in altre occasioni. Questo è un tema molto interessante e molto importante. Io ritengo che proprio questa dinamica spontanea, con le sue radici varie, dal maschilismo alla tradizione islamica e alla concezione della donna nell'Islam, sia il segno di non ritorno, cioè di una situazione che complessivamente ci è ormai scappata dalle mani e che non riusciamo più, non soltanto a conoscere, ma neanche a governare.Pag. 26
  Da qui nasce la necessità – su questo sono ovviamente d'accordo – di elaborare politiche d'integrazione, anche per questo.

  TOBIAS PILLER, corrispondente del quotidiano tedesco Frankfurter Allgeimeine Zeitung. Se si considera che ci sono stati oltre un milione di arrivi in Germania, in un cerchio abbastanza ristretto intorno a Colonia si trovano oltre 100 mila persone che potevano raggiungere questo posto molto facilmente. Infatti, si tratta della grande piazza dove si affaccia il duomo, con la stazione centrale, ed è facilissimo arrivarci.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.25.