XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III e XIV)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 26 aprile 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL FUTURO DEL PROGETTO EUROPEO

Audizione del Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra, Dottor Leonardo Simonelli Santi.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 ,
Simonelli Santi Leonardo , Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra ... 3 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 ,
Garavini Laura (PD)  ... 8 ,
Simonelli Santi Leonardo , Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra ... 9 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 ,
Simonelli Santi Leonardo , Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra ... 9 ,
Bossa Luisa (MDP)  ... 9 ,
Simonelli Santi Leonardo , Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra ... 10 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 ,
Simonelli Santi Leonardo , Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra ... 10 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 ,
Simonelli Santi Leonardo , Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra ... 10 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 

Audizione del Vice Direttore Generale della Banca d'Italia, Dottor Luigi Federico Signorini:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 10 ,
Signorini Luigi Federico , Vice Direttore Generale della Banca d'Italia ... 10 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 17 ,
Cimbro Eleonora (MDP)  ... 18 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 18 ,
Tancredi Paolo (AP-CpE-NCD)  ... 18 ,
Signorini Luigi Federico , Vice Direttore Generale della Banca d'Italia ... 19 ,
Tancredi Paolo (AP-CpE-NCD)  ... 19 ,
Signorini Luigi Federico , Vice Direttore Generale della Banca d'Italia ... 19 ,
Tancredi Paolo (AP-CpE-NCD)  ... 19 ,
Causi Marco (PD)  ... 19 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20 ,
Signorini Luigi Federico , Vice Direttore Generale della Banca d'Italia ... 20 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 22 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra, Leonardo Simonelli Santi «Attività della Camera di Commercio italiana a Londra» ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA III COMMISSIONE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra, Dottor Leonardo Simonelli Santi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul futuro del progetto europeo, l'audizione del Presidente della Camera di commercio italiana a Londra, dottor Leonardo Simonelli Santi.
  Prima di dare la parola al Presidente Simonelli Santi, oltre a salutare la presenza dell'onorevole Buttiglione, che non frequenta spesso i nostri lavori, segnalo ai colleghi che la Camera di commercio italiana a Londra, fondata nel 1904 allo scopo di incrementare e rafforzare le relazioni commerciali fra i due Paesi e che conta più di 350 associati, è un ente privato no profit che svolge la sua attività a stretto contatto con il Consolato d'Italia a Londra e il Department for International Trade, con sede a Milano, nonché con l'Ambasciata britannica a Roma.
  Do la parola al Dottor Leonardo Simonelli Santi per lo svolgimento della sua relazione.

  LEONARDO SIMONELLI SANTI, Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra. Ringrazio il presidente e tutti i partecipanti. Debbo dire che per noi è un onore essere qui ed esprimiamo anche un grande senso di gratitudine per poter partecipare a questa riunione congiunta delle Commissioni competenti su un tema di grande importanza non solo per l'Europa ma per il mondo intero.
  Il 26 ottobre dell'anno scorso abbiamo festeggiato 130 anni di attività che, fra l'altro, sono ben documentati perché abbiamo trovato non solo l'atto di iscrizione ma addirittura gli articoli di giornale che raccontavano la prima riunione del Consiglio.
  Credo che in questo lungo periodo la Camera di commercio italiana a Londra abbia fatto un buon lavoro. Naturalmente ci sono stati periodi distinti. In un primo periodo lo scopo era promuovere i rapporti tra l'Italia – si trattava fra l'altro del Regno d'Italia – e l'Impero britannico, dopodiché siamo passati a rapporti più stretti fra l'Inghilterra e la Repubblica italiana.
  Infatti, mentre per quarant'anni tra la Repubblica italiana e l'Inghilterra ci sono state vicinanza e appartenenza alla famiglia europea, dall'8 giugno, con la vittoria di Brexit, c'è la dichiarazione inglese di voler procedere per una strada che ci auguriamo sia parallela e non troppo divergente rispetto a quella precedente. Non sta a me dirlo, ma certamente l'Inghilterra si rende conto che il periodo comunitario è stato intenso e utile sia per l'Inghilterra stessa che per la Comunità.
  Peraltro, io ricordo molto bene, perché ero già abbastanza attivo – quel periodo ero a Bruxelles, quindi l'ho visto bene –, l'ingresso nella Comunità della Gran Bretagna e anche il suo entusiasmo iniziale. Con la loro tipica mania del fare, hanno accettato la sfida con grande solerzia e buona volontà. Pag. 4
  Adesso la situazione si prospetta diversa. Io credo che sia compito della Camera anche cercare di favorire, nei limiti del possibile, questo cambiamento. Per questo con l'Ambasciatore siamo stati due volte a colazione al Parlamento inglese. Io ho svolto una riunione con tutte le Camere italiane nei Paesi europei e con le Camere europee presenti in Inghilterra, a cui hanno partecipato naturalmente parlamentari inglesi, per cercare di trovare soluzioni in cui prevalga la collaborazione.
  Infatti, molti dei problemi possono essere risolti se si comprendono le posizioni reciproche e poi si trovano una mediazione e degli interessi comuni, che secondo me sono anche abbastanza facili.
  Cito una notizia di questa mattina. La May ha fatto indubbiamente una mossa molto astuta. Lei dice che l'ha pensata passeggiando sulle montagne, ma io credo che l'abbia studiata bene a tavolino. Un sondaggio svela che è il Premier britannico con il consenso maggiore, maggiore della Thatcher e maggiore di Blair. Quello che è sorprendente è che, secondo il sondaggio, ha un consenso del 95 per cento nel Partito conservatore, nel quale, come voi sapete, vi erano posizioni divergenti; quindi è riuscita abbastanza a compattare il suo partito.
  Secondo me, è un vantaggio per tutti che ci sia un leader che sia popolare e soprattutto che possa avere un atteggiamento di «deliver». Infatti, con questo spostamento della scadenza, che naturalmente sarebbe, invece, arrivata tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019, lei può garantire, attraverso un nuovo Parlamento, di portare avanti i risultati del negoziato con lo stesso Parlamento. Secondo me, è fondamentale per la credibilità che può avere.
  Ci troviamo, quindi, in una situazione che viene ormai definita da tutti di disruption. Bisogna stare attenti: non è distruzione ma è un cambiamento con una discontinuità del modello precedente di sviluppo. Il modello precedente consisteva nel mirare sempre più a un'integrazione dell'Europa. Su questo l'Inghilterra ha dissentito ma bisogna ricordarsi i tre «no» della Thatcher a Delors. Non ha dissentito dalla sera alla mattina; c'è stato un risentimento crescente verso la perdita di autonomia, soprattutto su alcuni settori.
  Qui viene detto poco, ma in Inghilterra una delle ragioni che vengono citate più spesso è la supremazia della Corte europea rispetto alle leggi inglesi, che in effetti rende il Parlamento inglese meno autonomo. La seconda ragione, che pure viene citata poco ma è molto sentita, è una burocrazia crescente e, a detta degli inglesi, che a volte prende decisioni non molto aderenti alla realtà, che vengono giudicate non intelligenti.
  Ancorché sia stata una lezione vicina, non è stata una vittoria fortissima, perché alcuni partiti – peraltro importanti e di grande tradizione come il Partito liberale che, come voi sapete, per molto tempo nella storia inglese è stato il partito principale, quello che ha portato avanti tutto lo sviluppo economico – erano e sono tuttora favorevoli all'Europa.
  Ormai, però, la posizione comune, anche quella del Partito liberale e di quello laburista, è di trovare una Brexit che sia il meno dolorosa possibile, ma sempre di Brexit si tratta.
  Come sarà questa Brexit? Fare previsioni è impossibile. Io mi limito a dire che noi abbiamo considerato i soliti settori rispetto ai quali si svolge la collaborazione attuale e soprattutto non ci siamo voluti limitare a Londra. Infatti, Londra è molto importante, chiaramente è un'economia a sé però non rappresenta tutta l'economia inglese; anzi, adesso il desiderio centrale è di riportare maggiore equilibrio fra l'economia di Londra e quella periferica.
  Io ho letto con grande attenzione le audizioni degli illustri personaggi che le Commissioni hanno già audito ma ho visto che sono tutti appartenenti a istituzioni prettamente italiane e, quindi, giustamente hanno una visione che parte da qui.
  Noi abbiamo una visione che è ugualmente italiana però è di una businness community che ormai ha una parte di lateral thinking, per ricordare il buon De Bono, e che, quindi, tiene conto dell'esperienza maturata in vari settori. Peraltro, debbo dire, a onore degli italiani, che essi in genere fanno molto bene. Da molto tempo, anche ultimamente, ci sono personaggi Pag. 5 italiani che fanno molto bene. Cito, a mo’ di esempio, membri del Consiglio della Camera, tipo Forte, Coen, Paul Girolami, Pessina, Teodorani Fabbri e molti altri.
  Per esempio, Stefano Pessina in pochissimo tempo da una modesta impresa nazionale è arrivato a essere il numero uno nel mondo nella distribuzione dei prodotti farmaceutici. Lo dico perché sono stato recentemente a Chicago nella sede della Walgreens, che è l'ultima acquisizione dopo la Boots e dopo una serie di grossi successi, e posso dirvi che in effetti Pessina è una persona di un dinamismo e di una capacità di fare notevolissimi. Anche con lui abbiamo parlato di Brexit.
  Vediamo ora i settori di nostro interesse. Il primo naturalmente è il commercio, come spetta a una camera di commercio. Noi abbiamo riportato nell'allegato I i dati forniti da UK Trade Data, che sono naturalmente in sterline, però la conversione è abbastanza facile (oggi il cambio è di 1,2).
  La cosa sorprendente (tuttavia meno di quanto possa sembrare) è che ormai questo surplus di 10 miliardi di euro (in sterline sono quasi 9 miliardi) è abbastanza costante, nonostante ci siano le influenze naturali dei flussi di cambio. Perché è costante? In realtà, è un mercato di subfornitura fra le aziende.
  In Inghilterra c'è CNH, che è la più grande azienda nel settore del movimento terra (trattori e altro). Naturalmente c'è molto interscambio con l'Italia attraverso il gruppo FIAT. Lo stesso si può dire di Finmeccanica che, avendo acquisito aziende inglesi, costituisce un gruppo che è molto importante nel settore della difesa e della sicurezza.
  Anche il settore agroalimentare ormai è un settore relativamente di nicchia in cui la criticità del prezzo è trascurabile, perché innanzitutto, come sempre succede, ci sono margini notevoli di intermediazione che assorbono più o meno variazioni dei prezzi e variazioni di cambio ma soprattutto c'è una clientela affezionata ai prodotti italiani, come il prosciutto di Parma, il San Daniele, il pecorino, il parmigiano eccetera. Inoltre, la ristorazione italiana rappresenta un fondamentale veicolo non solo di immagine, ma anche di sostanza, in quanto fa sì che i nostri prodotti siano sempre più apprezzati.
  Questo è un settore su cui credo che Brexit avrà poca influenza, nonostante quello che ha detto Boris Johnson, che è un simpaticone, ovvero che gli inglesi smetteranno di bere prosecco. Io ne dubito molto, in quanto il consumo di prosecco sta vedendo una crescita notevole perché tutto sommato piace più dello champagne e costa anche meno. C'è gente che lo preferisce perché ha un sapore meno impegnativo e più amabile e si sposa bene con la gastronomia italiana.
  La seconda tabella che trovate nell'allegato non è altro che un questionario che ci ha mandato la rivista Economy e che noi abbiamo un po’ corretto. Infatti, secondo me, il compito delle camere di commercio, a volte, è dire la loro opinione, cioè non eseguire sempre pedissequamente. Peraltro, nel questionario c'era una domanda in cui dovevamo giudicare in maniera secca se il comportamento del Governo era inadeguato, poco adeguato o adeguato. Abbiamo detto: «Noi non rispondiamo».
  Comunque, è interessante perché abbiamo ordinato i settori per le loro priorità. Come potete vedere dalle cifre, per esempio, l'alimentare e vini ha un peso limitato, mentre il settore abbigliamento-moda-persona ha un peso molto forte nell'interscambio. Si può distinguere il settore della moda, dove siamo indubbiamente il numero uno indiscusso, da quello della cura della persona, dove siamo piazzati molto bene. Naturalmente poi ci sono gli autoveicoli e l'automazione meccanica, settori di forza tipici dell'Italia.
  Per quanto riguarda la posizione relativa nell'interscambio, vediamo che, per esempio, nell'alimentare e vini siamo al secondo posto, mentre al primo posto ci sono Francia e Olanda (ci sono sempre un po’ di variazioni), anche per la questione vicinale. Spesso nel commercio, come sapete, le statistiche sono da prendere con un po’ di cautela.
  C'è stato un momento in cui l'interscambio con la Svizzera era altissimo, ma poi si è scoperto che era scambio di oro, quindi, secondo Pag. 6 me, erano più questioni valutarie che altro.
  La posizione globale dell'Italia si attesta al quinto posto, insieme alla Francia. Questo dà l'idea di come Brexit nasca in Inghilterra, Paese che ha già più del 50 per cento dell'interscambio al di fuori dell'Europa, mentre noi ne abbiamo molto di più all'interno dell'Europa. Infatti, oltre al primo posto della Germania, che la fa sempre un po’ da padrona, al secondo posto ci sono Stati Uniti e Cina. Adesso è crescente anche il Canada, e poi ci saranno i Paesi minori.
  Da ultimo, illustrerò quello che le aziende cercano di fare sull'Inghilterra. La prima cosa naturalmente è promuovere le vendite ma c'è sempre maggiore attenzione anche agli insediamenti, cioè ci si rende conto che l'Inghilterra è un Paese, come si dirà in seguito, dove è bene avere un'attività continuativa.
  Per brevità di tempo passerei subito a un altro settore che è quello degli investimenti, in cui fra l'altro la Camera cerca di fare un lavoro puntuale. Ogni due anni effettuiamo un survey sul territorio, elaborato completamente sulla base di questionari.
  Fare questo lavoro richiede due anni. Abbiamo dei risultati molto buoni nella percezione perché sono pubblicizzati da Il Sole 24 Ore. Per noi è anche una fonte di reddito perché poi vendiamo questi studi che sono molto richiesti.
  I dati nell'allegato III sono quelli del 2015 però ho riportato anche dei dati relativi al 2017 perché siamo già in uno stato abbastanza avanzato di analisi. Per esempio, possiamo dirvi subito che il numero di imprese è aumentato: quelle registrate presso di noi adesso sono 743.
  Come svolgiamo questa indagine? Poniamo una serie di domande che vanno dal fatturato al numero dei dipendenti, all'andamento, in maniera che chi vuole interloquire sappia con chi ha a che fare.
  Nel 2013-2014 c'erano circa 25 miliardi di sterline, che in quel momento, però, pesavano come circa 40 miliardi di euro di fatturato consolidato.
  È bene conoscere anche il numero di dipendenti perché quando parliamo con gli inglesi ci facciamo forza di questi dati. In fondo la multinazionale italiana presente in Inghilterra ha un peso specifico notevolissimo.
  Peraltro, due aziende sono tra le prime dieci esportatrici dalla Gran Bretagna: Finmeccanica e il gruppo FIAT. Non esportano l'automobile, ma tanti altri prodotti del gruppo FIAT.
  Tralascio la tabella che riporta la divisione per settori, per provenienza e per ubicazione. Si vede che la preponderanza degli investimenti è a Londra, ma non solo, perché molti degli investimenti, essendo manifatturieri, riguardano, invece, il territorio.
  Da queste naturalmente sono escluse tutte le iniziative intraprese da italiani in Gran Bretagna, perché quelle sono tipicamente aziende inglesi, legate o non legate all'Italia. Molte sono esclusivamente per il mercato domestico e su queste Brexit avrà influenza zero, mentre per le altre vi sarà un effetto abbastanza limitato.
  Nei due settori che abbiamo analizzato, secondo noi, l'effetto è minore, tant'è vero che abbiamo visto che dopo l'8 giugno non ci sono stati cali di nuove iniziative. Naturalmente ci sono state alcune condizioni internazionali. La Borsa di Francoforte ha deciso di non unirsi più con quella di Londra, il che mi pare ovvio. La Borsa italiana è già unita con quella di Londra, quindi bisognerà farne un fattore di forza. Ho notato che il presidente della CONSOB ha illustrato alcune ipotesi e, secondo me, ce ne sono anche altre. Si tratta di un tavolo molto importante. Sono entrato adesso a far parte, presso la Regione Lombardia, di una commissione che analizza come meglio negoziare un possibile ruolo di Milano e dell'Italia, che non sostituisca quello di Londra, anche perché questo è impossibile, e che si coordini con quello, per avere un peso maggiore.
  Veniamo ai servizi, che sono il «pane» della Gran Bretagna. Voi sapete della decisione strategica, sbagliata o non sbagliata: a un certo punto, essendo bassa la competitività nel settore manifatturiero, la Gran Bretagna, soprattutto con la Thatcher, con la deregulation e così via, ha puntato moltissimo Pag. 7 sul settore dei servizi per finanza e non solo, avendo dei risultati molto apprezzabili.
  In tal senso, se lo si analizza, l'interscambio per il settore dei servizi della Gran Bretagna nei confronti dell'Italia è molto a favore. Tuttavia, bisogna anche vedere di quali servizi si tratta. Ne parlerò dopo per la finanza, perché, per esempio, un servizio sul debito pubblico italiano, ma anche su quello privato, è colossale, ma non si può mettere sulla bilancia perché è abbastanza multinazionale.
  Nel settore dei servizi, che poi è fatto da uomini, conta molto, secondo me, la presenza. In merito vi ho fornito dei dati semplicissimi sui nuovi iscritti alla previdenza pensionistica, quindi al National Insurance, iscrizione necessaria per poter lavorare. Da questi dati statistici, che sono facilissimi da leggere e aggiornatissimi, si vede quanti sono gli italiani, in quanto i dati sono distribuiti per Paesi, quindi si evince quanti sono gli italiani che trovano un nuovo posto di lavoro in Inghilterra. L'anno scorso, sono stati 63.000, almeno quelli ufficiali. Inoltre, come vedete dal grafico, c'è una crescita notevole.
  Tra l'altro, se ci si vuole raffrontare con gli altri Paesi, possiamo dire che siamo secondi rispetto a Romania e Polonia, dopo le quali c'è l'Italia, che viene prima di Spagna, Bulgaria e India. Abbiamo inserito anche il dato sugli Stati Uniti. Gli statunitensi che vengono a cercare lavoro in Inghilterra sono molto meno degli italiani.
  Ora, cosa succederà con la Brexit è difficile dirlo. Però, parlando con gli amici inglesi, credo che non succederà molto, anche perché degli italiani, come di altri professionisti, hanno bisogno.
  Voi sapete quanto è importante per tutti i Paesi il lato demografico, cioè sostenere la crescita e anche l'equilibrio dell'età, quindi un'immigrazione italiana, che è professionalmente buona, perché i nostri ragazzi sono preparati, e che arriva con una voglia di lavorare incredibile, adattandosi a questa sfida ed essendo disposta ad accettare anche sacrifici notevoli, penso che sia a vantaggio dell'Inghilterra. Tant'è vero che una delle preoccupazioni maggiori è il rovescio: in Inghilterra, sono preoccupati per Brexit soprattutto su due settori, quello della ricerca e dell'università. Credo che, in quei settori, ci siano grandi spazi da negoziare perché non vogliono rinunciare a Erasmus, ricerca e innovazione.
  Sempre velocemente, passiamo alla famosa finanza. Intanto, può sembrare strano che una camera di commercio si occupi di finanza, ma, in realtà, per ragioni ovvie, essendo a Londra, la finanza è stata una base molto importante dell'attività della Camera.
  Inizialmente, uno dei nostri maggiori successi era la conferenza annuale bancaria, organizzata dalla Camera di commercio. Noi, approfittando del Fondo monetario internazionale, che si svolgeva a Washington, prendevamo la grossa migrazione di allora delle banche italiane che si fermava a Londra, dove c'è tutto un altro mondo, perché si prendevano i Concorde, ma è tutto finito. Poi, ci siamo adattati e la nostra conferenza industriale finalmente è diventata annuale. Con ciò, voglio dirvi che i temi della finanza sono sempre stati importanti.
  Tra l'altro, nella mia permanenza breve – per modo di dire, perché sono trent'anni che mi occupo della Camera e, come dico, sono rappresentante pro tempore di lungo tempo – le banche hanno avuto un momento di auge. A un certo punto, c'erano 36 banche italiane a Londra e in questo settore eravamo la seconda comunità. Adesso, siamo passati a quattro banche, però più grandi e più importanti.
  Contemporaneamente, è cresciuto moltissimo – a tale proposito consegno alla Presidenza un allegato interessante – il settore dei gestori di fondi italiani, che pesano notevolmente. Ora, volendo fare la somma, in quel settore si arriva a svariate decine di miliardi, senza includere il gruppo di Hard Rock, dove c'è un italiano molto bravo, che non credo possa prendere le decisioni. In alcuni fondi, le decisioni sono tipicamente italiane e sono italiani i managing director.
  Inoltre, a Londra risiedono grandi manager, che sicuramente controllano il discorso per le multinazionali d'Europa, e Pag. 8che, se sono italiani, guardano all'Italia con interesse. Ho un figlio, che è presidente della General Electric e ha comprato la BHI, ha 13.000 persone che lavorano in Italia, quindi è molto interessato a sapere come vanno le cose italiane.
  Da ultimo, c'è un aspetto che per la Camera è molto importante e su cui siamo riusciti ad avere degli ottimi risultati: il turismo. A nostro avviso, per l'Italia, il turismo non è un settore a sé e andrebbe visto soprattutto come importante sussidio ad altri settori, un po’ come fa l'Inghilterra, che adopera il turismo anche per business e altre attività.
  Su questo settore, noi abbiamo fatto un ottimo accordo con l'ENIT per una sede comune: adesso, abbiamo messo a disposizione dell'ENIT le nostre sedi di Edimburgo, Glasgow, Manchester, Liverpool e, da maggio, anche quella di Dublino.
  Fra l'altro, l'anno scorso, abbiamo organizzato insieme il World Travel Market, che è andato molto bene. Quest'anno, addirittura abbiamo trovato uno sponsor internazionale.
  Pensiamo, quindi, che queste iniziative congiunte siano la strada giusta. Collaboriamo, infatti, molto anche con l'ICE, con iniziative comuni. Il direttore dell'ICE è nel Consiglio di amministrazione; con lui c'è un ottimo rapporto, perché è essenziale fare sempre più sistema. Abbiamo un ottimo Ambasciatore, molto attivo, che crede moltissimo in questa iniziativa e mi dice: «Vieni con me, perché io rappresento la parte diplomatica e tu rappresenti la business community», quindi andiamo d'accordissimo.
  Avrei concluso perché so che avete in programma altre audizioni, però, come vi dicevo, sono più che desideroso di rispondere a tutte le domande, che penso ci dovrebbero essere, perché, a mio avviso, la Brexit per l'Inghilterra è la cosa più importante e rappresenta, anche adesso, l'unico tema elettorale, a parte qualche discorso sull'assistenza medica e sugli aspetti sociali, che poi sono anch'essi legati alla Brexit.
  Sono convinto che per l'Italia questo momento sia molto importante, anche perché i rapporti Italia-Inghilterra sono antichi, ma molto importanti. Possiamo trovare, come nel passato, una sponda verso l'Inghilterra che ci aiuti e che, insieme, possa farci affermare meglio nel resto del mondo.
  Cito, per esempio, tutto il discorso su ricerca e innovazione, ma anche quello relativo alla penetrazione commerciale, nonché quello sulla rete degli italiani all'estero. In questo caso, si può citare tutto ciò che si vuole e lo stesso si può dire dei britannici in Italia. Secondo me, la collaborazione fra l'Inghilterra e l'Italia – con l'Unione europea, quando è possibile – è una parte essenziale. Grazie.

  PRESIDENTE. Mille grazie. Abbiamo sentito un'esposizione interessante da parte di una persona che, fin da troppi anni, è collocata nel cuore del rapporto fra Italia e Inghilterra. Chi vuol fare delle domande?

  LAURA GARAVINI. Grazie, Presidente Simonelli, per l'ottima e dettagliata relazione che ci ha portato. Ho un quesito: rispetto alla svalutazione della sterlina, quali sono state le prime difficoltà con le quali si sono dovute confrontare le aziende italiane?
  Lei, essendoci a contatto, tocca con mano le apprensioni e le preoccupazioni, quindi Le chiedo se ci sono già aziende che pensano anche a una delocalizzazione e quali sono adesso i problemi con i quali ritengono di doversi confrontare.
  È chiaro che, come Lei ci ha illustrato bene, ci sono due grandi gruppi, quindi, se ho capito, da un lato, ci sono quelli multinazionali e, dall'altro, anche piccole e medie imprese o, comunque, aziende che vivono anche dell'indotto import-export e quant'altro. Immagino che soprattutto questa fascia tema con maggiore misura quelli che possono essere gli effetti della Brexit e anche gli effetti legati a svalutazioni o meno della sterlina. Ci può dire, per le diverse tipologie di aziende, quelle che, secondo Lei o alla luce anche del rapporto stretto che Lei cura con le aziende stesse, si ritengono adesso più a rischio e quali temono maggiormente anche per il futuro del loro indotto produttivo commerciale, quindi se Pag. 9ci sono appunto reazioni già visibili e palpabili e quali sono le preoccupazioni o quali sono i possibili interventi che chiedono, attraverso la rete delle camere, anche alle istituzioni italiane? Grazie.

  LEONARDO SIMONELLI SANTI, Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra. Intanto bisogna dire che la sterlina ha fluttuato abbastanza rispetto alle altre valute, perché c'è una dinamica ancora libera e individuale e questa viene usata spesso come strumento. Una volta, anche l'Italia utilizzava lo strumento della flessibilità dei cambi...

  PRESIDENTE. Altroché!

  LEONARDO SIMONELLI SANTI, Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra. Ora, l'Italia non lo fa più, però l'Inghilterra lo fa.
  Alcune politiche sono anche volute. Voi sapete bene quali sono i legami economici fra svalutazione, inflazione e così via. Con questa leva, hanno riaggiustato, per esempio, i valori dell'inflazione, che ora è, naturalmente, al 2,5 o al 3 per cento. Anche un'inflazione molto bassa a volte può nuocere all'economia, perché non permette di ammortizzare certi costi. Di nuovo: è sempre bello vedere il rovescio della medaglia.
  Nelle fluttuazioni, c'è stata sempre una buona resilience per tre ragioni. Prima di tutto, ciò dipende dalla valuta con cui si tratta: i contratti di esportazione fra l'Italia e l'Inghilterra sono su tre valute: sull'euro, sulla sterlina e sul dollaro. Per qualche strana ragione, molte aziende internazionali, anche italiane, fanno un discorso consolidato, quindi preferiscono una valuta effettivamente internazionale e, alla fine, questi rapporti si neutralizzano. I piccoli, invece, soffrono sempre di più, perché generalmente hanno poco potere decisionale e la decisione gli viene imposta.
  Le grosse compagnie di supermercati, siccome non vogliono assumere nessun rischio di cambio per quanto vendono in Gran Bretagna, comprano in sterline, quindi, se la sterlina va giù o va su, a loro interessa relativamente. Per gli altri, che hanno più potere e che vogliono vendere in euro, perché hanno costi in euro e vogliono un incasso in euro, come dicevo, c'è un discorso di compensazione.
  Facciamo un esempio banale, che chiarisce forse che cosa succede. Prendiamo a esempio un buon vino, un Brunello, che viene venduto dalla cantina intorno a 8 euro. Al di là del cambio, il ristorante lo mette a 70 o 80 sterline, quindi i margini sono elevatissimi. Il fattore della percentuale dell'euro in meno non ha nessuna influenza commerciale, perché i mercati di alta qualità sono abbastanza di nicchia e pochissimo sensibili al prezzo. La gente compra prosciutto San Daniele o di Parma non perché costa poco, ma lo compra perché piace ed è buono, quindi lo vuole. Poi, c'è questo beneficio della cucina italiana, che ha avuto un grandissimo successo, quindi impone certi prodotti.
  Riguardo l'altro discorso citato, per cui molta gente – e, in questo caso, si parla di giovani – viene a studiare e a fare pratica in Inghilterra, la situazione è più delicata, perché, se la sterlina aumenta, chiaramente c'è un danno perché loro ricevono euro. Tuttavia, in questo momento, c'è un beneficio, perché la sterlina ha perso, quindi – tanto per dire una fonte di sostentamento – i genitori, con meno euro, riescono a far fare ai propri figli lo stage, l'esperienza, il PhD eccetera. Questo è molto importante. Rimane, come controfase, una grossa incertezza: i giovani di ora hanno meno sicurezza del futuro rispetto a prima. Insisto che, secondo, me non ci saranno grandi conseguenze, però certezza non c'è, quindi la preoccupazione dei giovani è di poter continuare e di poter finire il PhD o che non succeda che, a un certo punto, non vengano riconosciuti più certi titoli.
  Credo che i negoziatori a questo dovrebbero prestare immensa attenzione perché, in fondo, il giovane ha già una vita abbastanza complessa, per cui un'incertezza normativa, secondo me, è l'ultima cosa che deve avere. Grazie.

  LUISA BOSSA. Grazie, presidente. Se si vuole aprire un business a Londra, ci si rivolge alla Camera di commercio – meno male che c'è – che indirizza sui passi da compiere. Lei ha già in parte risposto, ma Pag. 10vorrei avere più certezze. La Brexit ha influito su queste aperture e, se sì, avete dei dati?

  LEONARDO SIMONELLI SANTI, Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra. È un po’ presto per avere dati. Quello che possiamo dire riguarda le sensazioni. Due dati ci sono e uno riguarda il flusso di soggetti che vogliono aprire piccole società e questo non è diminuito. Nei primi tre mesi di quest'anno, noi abbiamo avuto un flusso superiore rispetto ai tre mesi dell'anno precedente, quindi non è diminuito.
  Anche in questo caso, bisogna fare una distinzione perché Brexit non può avere nessun effetto su una società inglese, ma lo può avere su una filiale. Questo è importante, per esempio, per le banche che, in qualche modo, si dovranno organizzare, perché è alla filiale che vengono tolte certe prerogative e magari si prevede l'obbligo di fare da sussidiaria.
  Tra l'altro, si tratta di piccole società che hanno soprattutto tre funzioni, tra cui quella commerciale e quella di servizio. Abbiamo un desk per la fase di startup di società, che, fra l'altro, è stato anche premiato, però non possiamo far tutto, quindi ci sono altri che si occupano delle società di servizi. Poi, ci sono aspetti anche più importanti, che noi non possiamo seguire, come gli aspetti fiscali, e che deleghiamo sempre agli esperti.
  La preoccupazione, però, è solo di carattere emotivo al momento. Non riscontriamo preoccupazioni che si riflettano sui dati.

  PRESIDENTE. Svolgete anche una funzione psicologica!

  LEONARDO SIMONELLI SANTI, Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra. È vero, guardi. Il fatto di sentirci tutti europei era una grande cosa. Ci garantiva rispetto a una mancanza di distinzione: tu sei inglese, io sono italiano, però siamo tutti europei. Dobbiamo vedere come cambia questo discorso.
  Io credo che non cambierà. Gli inglesi tengono tanto a dire che non vogliono uscire dall'Europa e che si sentono europei. Come lo tradurranno nei fatti bisogna vederlo.

  PRESIDENTE. I nostri lavori dovranno concludersi alle 16, perché ci sono votazioni in Aula.
  Non essendoci altre domande, La ringraziamo vivamente per la Sua esposizione, da cui emerge una grande esperienza. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato 1). Le auguriamo altri trent'anni dello stesso lavoro.

  LEONARDO SIMONELLI SANTI, Presidente della Camera di Commercio italiana a Londra. Questo no, ho già il successore.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del Vice Direttore Generale della Banca d'Italia, Dottor Luigi Federico Signorini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul futuro del progetto europeo, l'audizione del Vice Direttore Generale della Banca d'Italia, Dottor Luigi Federico Signorini.
  Ringrazio il Vice Direttore Generale della Banca d'Italia, che è accompagnato dai suoi collaboratori e al quale do subito la parola in modo da avere, poi, il tempo per eventuali domande.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Vice Direttore Generale della Banca d'Italia. Ringrazio le Commissioni per averci voluto sentire. Quello che desidero fare è riepilogare molto brevemente alcuni elementi istituzionali, che comunque queste Commissioni conoscono certamente molto bene. Poi farei qualche riflessione sugli elementi di natura economica e finanziaria e sulle prospettive. Naturalmente, essendo noi all'inizio del processo di negoziazione per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, Pag. 11 non potrò che fare considerazioni di carattere molto preliminare.
  Come i membri delle Commissioni sicuramente sanno meglio di me, con gli accordi raggiunti a Lisbona nel 2007 si inserì nel Trattato sull'Unione, che è il fondamento costituzionale dell'Unione europea, un articolo che prevedeva esplicitamente la possibilità che uno Stato membro desiderasse distaccarsi e disciplinava la relativa procedura. Si tratta dell'articolo 50, ormai ben noto dopo che è stato invocato per la prima volta con la lettera del Primo Ministro May al Presidente del Consiglio europeo il 29 marzo scorso.
  L'articolo 50 prevede quattro fasi. La prima è quella già compiuta, che consiste nella notifica da parte dello Stato che desidera uscire al Consiglio europeo dell'intenzione di recedere dall'Unione. Successive tappe saranno la definizione del mandato alla Commissione per negoziare l'accordo di recesso in base a orientamenti stabiliti all'unanimità dal Consiglio; lo svolgimento dei negoziati per l'accordo di recesso da parte della Commissione; l'approvazione dell'accordo delle due parti.
  Il Regno Unito non parteciperà, naturalmente, alla decisione del Consiglio in questa materia. Per il resto, conserverà fino alla fine i diritti e gli obblighi che gli derivano dall'appartenenza all'Unione.
  Data la vicinanza geografica, data la lunga storia comune e data la profonda integrazione economica del Regno Unito con il resto d'Europa, si discute molto da entrambe le parti tanto sulle modalità dell'uscita quanto sui rapporti che si stabiliranno dopo di essa, contrastando hard o soft Brexit, espressioni e concetti non sempre chiaramente definiti.
  Vi sono, in linea di principio, come Loro sanno, due negoziati distinti seppure collegati. L'uno riguarda l'accordo per l'uscita in quanto tale ed è quello a cui fa riferimento la procedura dell'articolo 50. Esso dovrebbe regolare questioni importanti, come la posizione di coloro (persone o aziende) che, in virtù delle libertà di movimento che l'Unione oggi garantisce, vivono, operano, lavorano dal lato opposto, rispetto al proprio Paese d'origine, di quella che, nel 2019, tornerà a essere una frontiera internazionale a tutti gli effetti: britannici in Europa, europei nel senso di cittadini dell'Unione europea nel Regno Unito.
  Quest'accordo potrà stabilire norme transitorie, riconoscimenti temporanei o definitivi e condizionati o incondizionati del diritto di restare dove si è, di continuare a svolgere la propria attuale attività.
  Un'altra rilevante questione, che presumibilmente sarà oggetto dei negoziati sull'accordo di recesso, riguarda le obbligazioni finanziarie verso l'Unione assunte dal Regno Unito come Stato membro. Questa è una questione su cui tornerò tra breve.
  L'altro negoziato riguarda i rapporti che si stabiliranno tra le due parti dopo l'uscita, inclusi eventuali accordi commerciali. Benché legati concettualmente, e certo anche politicamente, i due negoziati potrebbero in teoria avere esiti diversi. È possibile, per esempio, che essi raggiungano un accordo sull'uscita, ma non sui rapporti da stabilire dopo l'uscita. In ogni caso, la stipula formale della nuova intesa non potrà avvenire che in un momento successivo all'uscita stessa.
  Naturalmente, non è inconcepibile neppure che i negoziati falliscano interamente, il che, a meno di rinvii previsti dal Trattato, sempreché decisi all'unanimità, comporterebbe la più hard delle hard Brexit concepibili. Entrambe le parti hanno manifestato l'intenzione di evitare una conclusione traumatica e di giungere a un accordo, come auspicato anche dal capo negoziatore della Commissione europea, Michel Barnier, in un recente discorso. È augurabile che ci si attenga a quest'intenzione per non causare difficoltà personali ed economiche serie e, consentitemi di aggiungere, penso evitabili.
  Quanto ai rapporti commerciali tra Regno Unito e Unione europea che si stabiliranno dopo l'uscita, le possibilità, almeno in teoria, sono quattro. La prima possibilità è l'adesione allo Spazio economico europeo, in inglese European Economic Area (EEA), di cui fanno parte, come senz'altro avrete presente, oltre agli Stati membri dell'Unione europea, tre altri Paesi, cioè Islanda, Liechtenstein e Norvegia. Pag. 12
  L'appartenenza allo Spazio economico europeo assicura agli Stati non appartenenti all'Unione europea la piena partecipazione al mercato unico e, d'altra parte, comporta l'adesione alle quattro libertà: la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali, con gli stessi diritti e obblighi degli Stati membri dell'Unione, ivi compreso un contributo finanziario.
  Tuttavia, gli Stati appartenenti allo Spazio economico europeo ma non all'Unione non concorrono, o almeno non concorrono pienamente, a definire le regole per la partecipazione al mercato unico, che però devono applicare. Hanno una posizione di osservatori in alcuni organi tecnici, ma non partecipano, naturalmente, ai vertici istituzionali dell'Unione (Commissione, Parlamento, Consiglio).
  La seconda possibilità è la partecipazione a un'unione doganale con l'Unione europea. È questo il caso della Turchia. L'unione doganale prevede, almeno nel caso della Turchia, anzi sicuramente per definizione, la libera circolazione dei beni, comporta l'obbligo di recepire la normativa europea in merito e la rinuncia a decidere i propri dazi doganali e alla possibilità di stringere accordi commerciali indipendenti.
  La terza possibilità è quella di un accordo di libero scambio, su cui tornerò tra un attimo.
  La quarta possibilità è che non si raggiunga alcun accordo. In quel caso, i rapporti commerciali sarebbero regolati dalle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio (WTO, per usare le iniziali inglesi). In questo caso, secondo le regole del WTO, si applicherebbe la cosiddetta clausola della nazione più favorita, o most favoured nation, che impone un divieto di discriminazione: ogni Stato appartenente all'Organizzazione si impegna ad accordare a ogni altro Stato lo stesso trattamento concesso a tutti i Paesi con i quali non esistono accordi specifici, accordi bilaterali.
  Queste sono le quattro possibilità teoriche. In pratica, però, né la partecipazione allo Spazio economico europeo né l'unione doganale in questo momento sembrano opzioni realistiche.
  La prima imporrebbe la libera circolazione delle persone e l'obbligo di recepimento dell’acquis communautaire, cose entrambe a cui il Regno Unito ha abbastanza chiaramente dichiarato di voler porre termine.
  La seconda, cioè l'unione doganale, oltre a stabilire comunque vincoli normativi non indifferenti, limiterebbe fortemente la possibilità del Regno Unito di decidere in modo indipendente sui propri rapporti commerciali con altri Paesi.
  La notifica di recesso del Governo del Regno Unito fa riferimento a una deep and special partnership con l'Unione, ma pare escludere di fatto la permanenza nel mercato unico.
  Lo scenario più probabile, se non vi saranno ripensamenti, è quindi che il Regno Unito diventi per l'Unione un vero e proprio Paese terzo. In quest'ipotesi, la questione è se sia possibile stabilire l'alternativa tra la terza e la quarta ipotesi, cioè se sia possibile stabilire almeno un accordo di libero scambio, come io credo l'interesse comune richiederebbe. Nella lettera di notifica del Regno Unito se ne auspica uno «coraggioso e ambizioso».
  A questo stadio iniziale, tempi e contenuti di un eventuale accordo non si possono prevedere. Il negoziato non è neppure iniziato. L'orientamento del Governo britannico – è inutile dirlo – dipenderà anche dal risultato delle elezioni politiche recentemente annunciate.
  Si può comunque immaginare che oggetto principale del negoziato siano il commercio di beni e, soprattutto, di servizi finanziari, una questione a cui il Regno Unito tiene molto.
  Faccio notare che accordi di libero scambio tra l'Unione e altri Paesi esistono, in realtà, con molti altri Paesi, quasi un centinaio di Paesi tra avanzati e non, tra cui per esempio la Svizzera, che non ho nominato prima perché non fa parte dello Spazio economico europeo, ma ha uno status del tutto particolare, essendo l'unico Paese rimasto ad appartenere all'EFTA, l’European Free Trade Association Agreement (Associazione Pag. 13 europea di libero scambio). Tutti gli altri Paesi dell'EFTA hanno poi aderito allo Spazio economico europeo. La Svizzera non lo ha fatto, e quindi è in una posizione leggermente più periferica rispetto a quelli che ho menzionato.
  In ogni caso, Svizzera, Canada, Corea del Sud sono tra i Paesi più rilevanti con cui esistono accordi di libero scambio. Credo che di particolare interesse sia l'accordo appena concluso con il Canada, che, oltre a rimuovere i dazi doganali, agevola l'accesso agli appalti pubblici e agli investimenti dalle due parti e facilita il commercio dei servizi.
  Se o finché non vi sarà un'intesa, i rapporti commerciali tra Unione europea e Regno Unito dopo l'uscita saranno regolati secondo la quarta ipotesi, salvo specifici accordi transitori, cioè dalle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio, con l'applicazione della clausola della nazione più favorita.
  Nel fare qualche considerazione, ripeto, sicuramente preliminare, sulle questioni di natura economica, vengo al Regno Unito prima di tutto.
  Nel breve periodo, quelle ricadute negative per la congiuntura britannica che molti osservatori si aspettavano subito dopo il referendum non si sono materializzate. Nel secondo semestre 2016 la crescita del prodotto interno lordo si è anzi rafforzata, salendo dall'1,6 al 2,4 per cento in ragione d'anno e l'occupazione ha continuato a crescere. Molto è dipeso, da questo punto di vista – credo vada sottolineato –, dalle misure fortemente espansive messe in atto dalla Banca d'Inghilterra in agosto e dall'orientamento più accomodante della politica di bilancio.
  Per il 2017, gli analisti hanno progressivamente rivisto al rialzo le previsioni di crescita, ma continuano ad attendersi un rallentamento nel corso dell'anno. Secondo le valutazioni di consenso più recenti, nella media dell'anno il prodotto britannico si espanderebbe dell'1,7 per cento, un valore lievemente inferiore a quello del 2016.
  Gli effetti più rilevanti dell'esito del referendum si sono manifestati sul tasso di cambio della sterlina, che dal 23 giugno si è deprezzata di circa il 10 per cento. L'inflazione è salita di quasi 2 punti percentuali, al 2,3 per cento, in marzo. Le forti tensioni sui mercati finanziari osservate in prossimità del referendum sono presto rientrate. L'indicatore dell'incertezza sulle politiche economiche è cresciuto tra la fine di giugno e l'inizio di luglio, ma si è poi riportato sui livelli precedenti al referendum.
  Nei prossimi anni, quindi guardando un po’ più lontano, non è da escludere che eventuali tensioni nei negoziati con l'Unione europea causino nuovi episodi di volatilità finanziaria, specie se in combinazione con un ritorno alle preoccupazioni dei mercati circa la coesione dell'Unione.
  Guardando ancora più avanti, cioè al lungo periodo, ovviamente l'incertezza diventa maggiore. L'apertura al commercio, all'immigrazione, agli investimenti dall'estero favoriscono, come regola, lo sviluppo. Una loro riduzione, specie se dovesse avvenire in un clima di accresciuto protezionismo a livello globale, potrebbe comportare costi significativi per l'economia britannica in termini di capacità innovativa, di competitività, di crescita della produttività. Vi sarebbero, in questo caso, anche inevitabilmente, perlomeno verosimilmente, ricadute anche sull'economia dell'Unione europea, benché certamente più limitate ed eterogenee tra Paesi, in funzione dell'intensità dei legami che ciascun Paese intrattiene con il Regno Unito, specialmente i legami commerciali.
  Il mercato britannico è, nel suo complesso, di dimensioni piuttosto contenute per l'Unione europea, poco più del 7 per cento delle esportazioni totali dell'Unione a 27; al contrario, l'Unione a 27 rappresenta la principale area di destinazione delle merci del Regno Unito, il 44 per cento, non lontano dalla metà.
  La Brexit dovrebbe avere anche un impatto sul bilancio dell'Unione europea. Il Regno Unito contribuisce positivamente al bilancio dell'Unione: tra il 2010 e il 2015, pur tenendo conto del rimborso negoziato molti anni fa – qualcuno lo ricorderà – da Margaret Thatcher e dell'aggiustamento ulteriore di cui il Regno Unito beneficia per la sua adesione solo parziale alle politiche Pag. 14in materia di giustizia e affari interni, il Paese ha versato in media oltre 13 miliardi di euro l'anno, incassandone, sempre in media, meno di 7.
  Inoltre, l'Unione cesserà di ricevere i dazi doganali raccolti nel Regno Unito. In compenso, percepirà i dazi applicati alle esportazioni britanniche verso l'Unione europea, naturalmente sempreché non ci sia un accordo di libero scambio, che le annullerebbe. La stima dell'effetto complessivo è ancora molto incerta.
  Sono in discussione anche le obbligazioni finanziarie che il Regno Unito ha nei confronti dell'Unione e che dovranno essere liquidate all'atto dell'uscita, quello che in Inghilterra passa oggi sotto il nome di Brexit bill.
  La determinazione di questa somma – è inutile dirlo – è complessa e controversa. Occorrerà definire, tra l'altro, due parametri fondamentali. Il primo è il modo in cui si calcola la quota del Regno Unito sul totale dell'Unione, a seconda, per esempio, che si consideri la quota in termini di prodotto nazionale lordo, nel qual caso sarebbe circa il 15 per cento; la quota in termini di contributo al bilancio, sarebbe il 12 per cento. Non sono, naturalmente, gli unici parametri che potrebbero, in astratto, essere presi in considerazione.
  L'altro è l'elenco delle poste attive e passive da considerare. Credo che sia facile prevedere che questa è una delle questioni più delicate da affrontare nei negoziati per il recesso.
  Veniamo, però, un momento all'Italia. Un eventuale andamento economico sfavorevole del Regno Unito non avrebbe comunque effetti immediati molto rilevanti per l'Italia. Il rallentamento che la Banca d'Inghilterra continua a prevedere per il periodo tra il 2018 e il 2020 avrebbe sul nostro Paese ripercussioni dirette trascurabili. Perfino nel caso che si verificasse nel Regno Unito una recessione così forte da determinare, nell'arco dei tre anni, una riduzione delle importazioni del 10 per cento e ammettendo che questa fosse ripartita equamente tra gli esportatori nel Regno Unito, l'impatto sul PIL dell'Italia, secondo nostre valutazioni, non supererebbe un quarto di punto percentuale. Sono valutazioni che abbiamo pubblicato qualche mese fa nel nostro Bollettino economico.
  Gli scambi commerciali e finanziari dell'Italia con il Regno Unito, in effetti, sono meno intensi della media, in particolare di quelli degli altri grandi Paesi dell'area dell'euro. Nella presentazione depositata c'è qualche dato in proposito.
  Anche le relazioni finanziarie italiane con il Regno Unito risultano un po’ meno strette rispetto a quelle degli altri principali Paesi europei, sia per gli investimenti di portafoglio sia per gli investimenti diretti.
  Se le trattative per un accordo di libero scambio tra l'Unione europea e il Regno Unito non si concludessero positivamente, il commercio tra le due parti sarebbe sottoposto a dazi doganali.
  Cercherò di dare un'idea di cosa significhi questo impatto economico eventuale – lo sottolineo – legato al fatto che non si raggiunga un accordo commerciale, un accordo di libero scambio, che nelle intenzioni di entrambe le parti si dovrebbe cercare di raggiungere.
  Questa valutazione naturalmente dipende dalle tariffe che saranno stabilite e che non si possono sapere. Tuttavia, un'ipotesi naturale da cui partire è quella di immaginare che il Regno Unito applichi le tariffe che attualmente sono in vigore per l'Unione, almeno fino a quando non si doterà di uno schema tariffario proprio.
  In altre parole, secondo questa ipotesi, che noi prendiamo – lo ripeto – come un'ipotesi solamente esemplificativa, che serve per fare un calcolo che dia un'idea dell'ordine di grandezza dell'effetto, il Regno Unito e l'Unione europea applicherebbero fra loro le stesse tariffe commerciali che attualmente l'Unione applica all'esterno.
  Secondo questa ipotesi e considerando il solo effetto di impatto, cioè escludendo ogni effetto di riallocazione dei flussi commerciali, i dazi sulle merci esportate dall'Unione a 27 verso il Regno Unito ammonterebbero a circa 16 miliardi e quelli sulle merci britanniche esportate verso l'Unione a oltre 6. Naturalmente sono numeri diversi, Pag. 15 ma che si rapportano anche a una dimensione molto diversa delle rispettive economie.
  L'incidenza media dei dazi sul valore sarebbe comunque più elevata (5,2 per cento) per le esportazioni dall'Unione al Regno Unito che per i flussi opposti, dove sarebbe al 3,9, per effetto della diversa composizione settoriale dei flussi. Le tariffe, infatti, sono molto diverse tra settore e settore e tra bene e bene.
  Dato, inoltre, che la struttura delle esportazioni differisce tra i Paesi dell'Unione a 27, l'incidenza media delle tariffe applicate alle esportazioni verso il Regno Unito sarebbe diversa tra i Paesi. Per la Germania, per esempio, la tariffa sarebbe analoga a quella media dell'Unione, per Francia e Italia sarebbe un po’ più bassa, mentre alcuni Paesi, come ad esempio Irlanda, Spagna e Polonia, avrebbero un impatto superiore, di oltre il 6 per cento.
  Nel testo depositato ci sono alcuni dettagli, in particolare sulle esportazioni italiane verso il Regno Unito.
  Bisogna aggiungere che, anche se ci fosse un accordo di libero scambio e, quindi, non si applicassero dazi, il Regno Unito dovrebbe comunque sostenere i costi amministrativi legati alle regole d'origine, cioè alla certificazione che i beni esportati verso l'Unione europea e una buona parte degli input necessari per produrli non provengano da Paesi a cui l'Unione applica dazi. La rilevanza quantitativa di questa cosa in sé non sarebbe elevatissima; quello che rileva sono soprattutto i costi amministrativi legati alla costruzione di un sistema per produrre questo tipo di certificazione.
  L'eventuale introduzione di differenze nella regolamentazione di questo o quel prodotto o di questo o quel servizio o di altre misure non tariffarie chiaramente, anche se le tariffe fossero annullate, al di là di qualsiasi tariffa, potrebbe accrescere ulteriormente i costi degli scambi commerciali.
  Quanto alla finanza, tra le maggiori incognite della Brexit figurano le future relazioni con l'Unione europea in materia di finanza, a cominciare dagli aspetti regolamentari.
  Il Regno Unito, come Stato membro dell'Unione, partecipa naturalmente al mercato unico dei servizi finanziari, all'interno del quale vale il cosiddetto «passaporto unico», spesso chiamato con il nome inglese «single passport».
  Questo regime consente a un intermediario, per esempio a una banca, autorizzato in uno Stato membro di operare, o con succursali o in libera prestazione di servizi, quindi senza neppure insediarsi in un altro Paese, in qualunque altro Stato membro sulla base di una procedura di notifica e senza bisogno di autorizzazione. L'autorità «ospitante» riceve semplicemente un'informazione ma non c'è nessuna necessità di autorizzazione.
  I controlli prudenziali spettano all'autorità dello Stato membro di origine, mentre lo Stato ospitante resta competente per alcuni aspetti specifici, anche importanti, per esempio l'antiriciclaggio e la tutela dei clienti. Questi due sono gli aspetti più importanti che, comunque, spettano alle autorità dello Stato ospitante.
  La Brexit, quando e se avverrà, comporterà la revoca del passaporto unico. Gli intermediari britannici saranno trattati come intermediari di Paesi terzi, dovranno ottenere una nuova licenza nei diversi Stati membri in cui intendono operare e sottoporsi alla vigilanza da parte delle autorità del Paese ospitante.
  La perdita del single passport è vista con preoccupazione dagli intermediari insediati nel Regno Unito e – credo – dagli stessi responsabili della politica economica e della regolamentazione finanziaria, che temono tra le altre cose un ridimensionamento del ruolo della City of London come centro finanziario a livello europeo e globale.
  La City, infatti, come tutti sanno, è attualmente la base legale e operativa di molti intermediari extraeuropei, specie americani e asiatici, per le attività in Europa. Essa combina, infatti, l'accesso diretto tramite il single passport al mercato finanziario europeo con un'ampia disponibilità di capacità professionali e di servizi specializzati e una concentrazione professionale localizzata. Pag. 16
  Al momento dell'uscita dall'Unione il regime di vigilanza del Regno Unito sarà equivalente a quello dell'Unione per definizione. Infatti, tenuto conto degli impegni che sono stati presi nella lettera di notifica del recesso dal Primo Ministro May, cioè di continuare ad adeguare fino al momento dell'uscita la regolamentazione britannica a quella dell'Unione, come del resto il Paese si trova nell'obbligazione legale di fare, la regolamentazione europea sarà inizialmente incorporata in blocco nella regolamentazione interna del Regno Unito.
  In seguito, eventuali modifiche dovranno essere esaminate per verificare il mantenimento delle condizioni di equivalenza, che, benché non eguaglino la posizione del single passport, comunque comportano una serie di semplificazioni e di agevolazioni per gli intermediari che sono insediati nel Regno Unito e che desidereranno operare nell'Unione europea.
  Io penso che il Regno Unito sicuramente cercherà di raggiungere accordi con l'Unione a 27 che consentano, dopo l'uscita, di conservare almeno alcuni dei vantaggi di cui oggi godono le banche insediate sulla piazza di Londra in termini di accesso al mercato europeo. Che accordi si potranno raggiungere e che effetto questo avrà sui vantaggi competitivi di Londra onestamente non è possibile oggi anticipare.
  La Brexit comporterà, inoltre, di necessità la ricollocazione dell'Autorità bancaria europea, la European Banking Authority (EBA), che oggi ha sede a Londra: un processo che si intreccia con l'attuale discussione sull'architettura del sistema di vigilanza europeo, in cui ci sono varie ipotesi anche di ristrutturazione e di semplificazione.
  Per quanto riguarda il sistema bancario, guardando al sistema bancario italiano, la rilevanza degli intermediari che hanno sede nel Regno Unito e che sono presenti in Italia è limitata. La quota di mercato delle 16 banche che operano nel nostro Paese con filiali è dello 0,6 per cento dei prestiti alla clientela.
  La maggior parte di queste, cioè 11 banche su 16, appartengono a gruppi di Paesi terzi (terzi rispetto sia all'Unione a 27 sia al Regno Unito) che hanno stabilito a Londra la loro principale sede europea. Essi hanno un ruolo significativo solo in qualche segmento molto specifico e specialmente nel settore delle grandi imprese.
  È possibile che alcune banche internazionali spostino parte delle proprie attività da Londra a un altro Paese dell'Unione, costituendo nuove filiazioni ovvero usando filiazioni già esistenti. Le ripercussioni sull'attività italiana, per quello che è possibile oggi prevedere, sarebbero presumibilmente modeste.
  Quanto alle banche italiane presenti nel Regno Unito la loro presenza è, a oggi, abbastanza marginale. A Londra operano 6 filiali dei principali gruppi bancari italiani, che svolgono prevalentemente attività di trading e investment banking e sfruttano quella piazza, anche se tutte queste attività si sono ridimensionate dopo la crisi, per l'accesso al mercato internazionale della raccolta all'ingrosso. Nel caso che, dopo la Brexit, si dovesse riallocare la gestione di queste attività, non credo che i costi per le banche italiane sarebbero particolarmente ingenti.
  Una questione diversa e – credo – di un certo interesse riguarda le infrastrutture di mercato. Come voi sapete, il gruppo Borsa italiana dal 2007 è controllato dal London Stock Exchange. Allo stesso gruppo fanno capo due importanti società di gestione dei mercati finanziari: la controparte centrale italiana e il depositario centrale. Sono tutti operatori che svolgono un ruolo importante nell'infrastruttura del mercato e del sistema dei pagamenti.
  Dal marzo di quest'anno, anche la società di gestione del mercato dei depositi interbancari è controllata da un gruppo inglese.
  Come ricorderete, l'anno scorso London Stock Exchange e Deutsche Börse avevano progettato di fondersi, ma la cosa alla fine non ha passato il vaglio di antitrust nella Commissione europea, che ha ritenuto che questa fusione avrebbe comportato una concentrazione eccessiva di attività in alcuni settori, specie quello delle controparti centrali. Pag. 17
  Che accade nell'eventualità della Brexit? Anche se il controllo societario appartiene a un'entità estera, le società di gestione delle piattaforma di trading e di post-trading mantengono la piena responsabilità dei processi operativi. Le società sono sottoposte alla vigilanza nazionale di Banca d'Italia e di CONSOB per i profili di rispettiva competenza.
  A differenza del caso bancario – questa è una differenza effettivamente rilevante tra i due casi –, la vigilanza sui mercati e sulle relative infrastrutture non si esercita a livello consolidato, ma a livello della singola società.
  Sul piano europeo la Brexit pone anche una questione di un certo rilievo per la supervisione sulle controparti centrali, perché il clearing delle operazioni in strumenti finanziari derivati denominati in euro viene eseguito in larga parte presso infrastrutture insediate del Regno Unito. Occorrerà assicurare che la vigilanza sulle controparti centrali inglesi non si indebolisca rispetto alla normativa europea per i principali profili che ci interessano di stabilità, vigilanza prudenziale, valuta di denominazione e contratti compensati, controllo dei mercati.
  Mi avvio alla conclusione, presidente. Con la lettera del Primo Ministro May si è attivato per la prima volta il processo con cui uno Stato membro lascia l'Unione. Inizia ora un negoziato che sarà sicuramente difficile, ma che, secondo le norme europee, non potrà essere lungo. Il Trattato pone, infatti, limiti temporali stringenti. Tenuto conto soprattutto della complessità tecnica e – io credo – anche della delicatezza politica di molti aspetti, ci vorranno lungimiranza e buona volontà da entrambe le parti.
  Con sorpresa di molti analisti non c'è stato un immediato effetto negativo del referendum sulla Brexit sul clima di fiducia, sugli investimenti e sulla congiuntura: le reazioni dei mercati finanziari, da principio forti, sono rientrate; la svalutazione della sterlina è stata significativa, ma ordinata.
  Non c'è motivo di aspettarsi grandi ripercussioni dirette e immediate sull'economia e sul sistema bancario italiano. Non è, invece, da escludersi che le difficoltà del negoziato, specie se dovessero interagire con un addensarsi dell'incertezza politico-istituzionale in ambito europeo e globale, possano a un certo punto contribuire a creare nuove turbolenze di mercato. In un caso del genere, difficilmente l'Italia ne sarebbe immune.
  Credo che per noi il solo modo di prepararci a un'eventualità del genere sia quello di rafforzare la stabilità interna, por mano a tutti gli elementi di fragilità percepiti dai mercati e proseguire nel cammino delle riforme.
  Quello che accadrà ancora a più lungo termine è più difficile da prevedere. La storia insegna che l'apertura dell'economia è, a lungo andare, un potente fattore di sviluppo. All'economista – devo dirlo – riesce difficile credere che si possa favorire la prosperità di un Paese ponendo ostacoli nel lungo termine alla circolazione dei beni, dei capitali e delle persone.
  Molto naturalmente dipenderà dagli accordi commerciali e finanziari che si troveranno per il futuro e – si intende – anche dagli sviluppi del contesto mondiale. In ogni caso, è un rischio che corre più il Regno Unito che il resto d'Europa o del mondo.
  Consentitemi di chiudere dicendo che, personalmente, sentirò la mancanza dei colleghi britannici nelle istituzioni europee a cui partecipo, non solo per la loro competenza e preparazione, sempre da ammirare, ma anche per l'atteggiamento pragmatico, antiburocratico e aperto al mercato che, come regola, li contraddistingue. Spero solo che quarant'anni di lavoro in comune abbiano consentito tanto a noi quanto a loro di imparare dalle qualità migliori degli altri.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto. Credo che questa esposizione del Vice Direttore Generale della Banca d'Italia in un certo senso concluda le audizioni che noi abbiamo svolto e dia loro una cornice di carattere globale significativa.
  Se mi è consentita un'osservazione di carattere personale, direi che il nocciolo politico dell'esposizione che Lei ci ha illustrato Pag. 18 sta proprio nel fatto che le difficoltà del negoziato, specie se dovessero interagire con un addensarsi dell'incertezza politico-istituzionale in ambito europeo e globale, possono a un certo punto contribuire a creare nuove turbolenze di mercato e che il solo modo di prepararci a un'eventualità del genere sia quello di rafforzare la stabilità interna, por mano a tutti gli elementi di fragilità percepiti dai mercati e proseguire nel cammino delle riforme. Questa dovrebbe essere materia di riflessione per la Commissione e specialmente per le autorità politiche e di governo, di maggioranza e opposizione.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ELEONORA CIMBRO. Innanzitutto, presidente, vorrei ringraziare per questa importante audizione. Io parlo da non economista e ascolto sempre con grande interesse chi parla di un mondo che per me è molto lontano, anche dalla mia formazione, avendo una formazione umanistica. È davvero molto interessante riuscire a leggere i fenomeni da un altro punto di vista.
  Io ho colto, invece, una Sua osservazione che credo sia estremamente interessante e che mi ha interrogato più volte nell'arco di questa legislatura, quando ha detto che la storia insegna che l'apertura dell'economia è, a lungo andare, un potente fattore di sviluppo. Abbiamo più volte ragionato sul SITA (Supporting Indian Trade and Investment for Africa), sul TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) e sull'idea che ci siano, da una parte, una globalizzazione che è eredità di un neoliberismo sfrenato, che ci ha portato, peraltro, alla crisi e che permette a qualsiasi condizione di aprirsi in un mercato globale e, dall'altra, purtroppo, altre tendenze. Io dico «purtroppo» perché per me in medio stat virtus. Mi riferisco alle tendenze che abbiamo visto con Trump, con la Brexit e anche con tante altre forze politiche europee, non solo in Italia, che, invece, vorrebbero innalzare muri anche da un punto di vista economico, non solo, per esempio, rispetto ai fenomeni immigratori.
  Vorrei capire, proprio perché all'economista riesce difficile credere che si possa favorire la prosperità di un Paese ponendo ostacoli alla circolazione di beni, capitali e persone, quale potrebbe essere la formula per uscire da questa situazione di stallo. Io mi riferisco alla formula politica. Da non economista ho detto che forse in medio stat virtus, però quale può essere la traduzione concreta di questa via di mezzo che, rispetto a questi due estremi, possa dare anche a noi politici una chiave di lettura risolutiva?

  PRESIDENTE. Poiché i deputati che intendono intervenire sono solo tre, direi che Lei può rispondere a conclusione. Intervengono l'onorevole Tancredi e l'onorevole Causi, la cui conoscenza in materia economica è ben nota. Credo che stiano facendo varie parti in commedia per intervenire anche sul DEF in Aula.

  PAOLO TANCREDI. Io vorrei ringraziare il dottor Signorini per l'esposizione molto dettagliata.
  Io mi chiedo se sui dossier aperti e soprattutto sui dossier che riguardano l'istituzione Banca d'Italia, in particolare l'unione bancaria, a Suo avviso, la Brexit crei una possibile accelerazione o uno stallo. Secondo Lei, c'è bisogno di andare avanti? Mi riferisco naturalmente al sistema di tutela dei depositi, che è ancora sospeso rispetto agli altri due pilastri che, invece, abbiamo, con difficoltà, portato a compimento.
  Da questo punto di vista, qual è l'opinione della Banca d'Italia? Secondo Lei, è ancora un obiettivo da raggiungere al più presto quello del sistema di tutela dei depositi? Che cosa cambia con l'uscita della Gran Bretagna?
  Da un altro punto di vista, invece, per quanto riguarda una parte molto ben esposta nella Sua relazione, quella dei mercati finanziari e del passaporto unico, Lei intravede per l'Unione più rischi o più opportunità rispetto a un'uscita dal mercato finanziario degli operatori britannici?
  Per dirla in maniera molto pratica, secondo Lei l'Unione dovrebbe stressare questa Pag. 19 uscita o, invece, converrebbe che ci fosse una Brexit molto più soffice su questo particolare argomento, cioè quello dei mercati finanziari e dell'atteggiamento da tenere nel momento in cui la Gran Bretagna esce e, come giustamente dice nella relazione, bisognerà necessariamente andare ad accordi bilaterali? È chiaro che non si potrà buttare a mare tutto quello che è stato fatto né si potrà rimanere con l'attuale legislazione.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Vice Direttore Generale della Banca d'Italia. Che cosa intendeva dire con l'ultima domanda sull'essere più o meno soft rispetto a questo specifico aspetto?

  PAOLO TANCREDI. È chiaro che, a seguito dell'uscita, la Gran Bretagna potrebbe inglobare tutta la legislazione europea, perché questa è una delle possibilità, ma, dal punto di vista...

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Vice Direttore Generale della Banca d'Italia. In realtà, se mi permette l'interruzione, vorrei dire che, almeno secondo quello che è stato annunciato, come primo atto, la Gran Bretagna la ingloberà tutta insieme. Quella che loro chiamano, in una maniera un po’ fuorviante, la «rinazionalizzazione», in realtà, vuol dire inglobare la legislazione interna...

  PAOLO TANCREDI. Quindi, tutta la normativa europea diventa anche normativa britannica. Tuttavia, io Le chiedevo l'altro punto di vista, cioè quello dell'Unione. Da parte dell'Unione, secondo Lei, qual è l'atteggiamento da porre rispetto a questo specifico argomento, cioè quello dei mercati finanziari, nella trattativa bilaterale che ci sarà?
  Ci conviene arrivare a una rottura o ci conviene che si continuino i rapporti così come sono, alla luce dell'importanza finanziaria della piazza di Londra e degli operatori che in essa risiedono?

  MARCO CAUSI. Grazie. Mi associo anch'io ai ringraziamenti perché questa relazione certamente chiarisce anche bene tanti elementi e tante riflessioni che abbiamo fatto durante questo ciclo di audizioni. Ho da porre una domanda specifica e una più generale.
  Quella specifica è relativa al punto sulle infrastrutture di mercato. Chiedo al Dottor Signorini una cosa molto specifica. Ci sono molti operatori, i quali, in queste settimane, stanno sostenendo che pezzi di industria finanziaria, quindi pezzi di industria che usano le infrastrutture di mercato, di cui Lei ha parlato, potrebbero avere un interesse a rilocalizzarsi fuori da Londra.
  In questo caso, parliamo di pezzi di industria bancaria e finanziaria che lavorano sulle infrastrutture di mercato, in particolare del clearing, del monte titoli e della compravendita di titoli in euro. Lei ritiene che, su questo, ci sia in qualche modo un interesse dell'industria bancaria finanziaria nazionale a favorire alcuni elementi di rilocalizzazione di questo tipo, quindi, probabilmente, non delle società madri, ma di pezzi di industrie che poi lavorano sulle infrastrutture di mercato?
  Su quest'aspetto, gradiremmo avere un'opinione della Banca d'Italia; infatti, naturalmente, come sapete, sono anche usciti molti articoli sui giornali e c'è anche un impegno di alcuni operatori e di alcuni analisti affinché, in particolare per quanto riguarda la piazza di Milano, l'Italia faccia il massimo possibile per utilizzare un'opportunità, non nel settore bancario generico, ma in quello appunto delle infrastrutture di mercato.
  Alla mia domanda più generale, Dottor Signorini, non pretendo che mi risponda, perché si tratta di una riflessione che mi viene dal ragionamento da Lei esposto.
  Lei, in sostanza, dice che non si può che andare verso un accordo di libero scambio, cioè né Norvegia né Turchia, ma ci sarà un accordo di libero scambio, dato che gli inglesi hanno detto che non possono accettare le quattro libertà di movimento.
  Poi, però, fra gli accordi di libero scambio, cita il Canada. C'è un problema complicato rispetto a questa trattativa perché, a questo punto, l'Europa concederà agli inglesi Pag. 20 di evitare alcune libertà. In particolare, penso alla libertà di circolazione delle persone. Tuttavia, se offriamo un accordo di libero scambio molto favorevole, qual è l'equilibrio fra la rinuncia a qualcuna di quelle quattro libertà e un accordo di libero scambio, che paradossalmente potrebbe essere come quello del Canada che, invece, è molto favorevole e poco protezionistico?
  Concordo con la Sua opinione. Tra l'altro, adesso, forse è ancora presto farlo, ma suppongo esista integrazione fra industrie europee e industria britannica, così come esiste in tutta Europa. Mi riferisco a un'integrazione legata alla specializzazione delle fasi produttive e alle catene globali del valore, per cui alcuni pezzi della componentistica dell’automotive in Inghilterra verranno dalla Germania o dalla Francia. Quindi rompere questa integrazione è svantaggiato per entrambi.
  Tuttavia, non corriamo il rischio, andando verso un accordo di libero scambio poco protezionistico, di rinunciare a fargli pagare qualcosa per la questione della libertà di circolazione, a meno che non riusciamo, con le trattative, a garantire almeno gli europei, quindi le comunità nazionali italiane, spagnole o greche, che sono così numerose in Inghilterra?
  A me piacerebbe molto – e concludo – che in futuro, anche grazie alla Banca d'Italia, si potesse fare qualche analisi più incentrata sull'importanza del contributo lavorativo e sul valore aggiunto delle comunità di lavoratori europei che risiedono in Inghilterra. È chiaro che il nostro interesse principale è difendere le persone. D'altra parte, il costo di questa difesa non dovrebbe ricadere tutto sull'Europa, perché probabilmente il contributo di quella forza lavoro è molto importante per la stessa sopravvivenza dell'economia britannica, quindi avere qualche elemento di questo tipo forse ci aiuta anche nella trattativa.

  PRESIDENTE. Prima di darLe la parola, vorrei ritornare su ciò che è a monte rispetto alla prima domanda posta dall'onorevole Causi.
  C'eravamo arrivati anche noi, ma è confermato dalla relazione del Vice Direttore Generale della Banca d'Italia quando dice che il gruppo Borsa italiana è controllato dal 2007 dal London Stock Exchange Group e ad esso fanno capo due importanti società di gestione, MTS ed EuroTLX.
  Questo non pone, comunque, di per sé, un enorme problema per l'autonomia della nostra attività borsistica e, specie, di scambio dei titoli di Stato, perché mi sembra che la Borsa italiana in modo particolare era specializzata in questo.
  Do la parola al dottor Signorini per la replica.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, Vice Direttore Generale della Banca d'Italia. Cominciando dalla Sua ultima domanda, presidente, le valutazioni di carattere politico e strategico possono essere le più diverse, ma mi sono limitato, nell'intervento che ho svolto, a dare una valutazione di carattere strettamente tecnico sull'attività di supervisione. Inoltre, ho ritenuto opportuno precisare che, nel caso delle infrastrutture di mercato, cui Lei faceva riferimento, il principio del controllo da parte del Paese d'origine non vale nemmeno all'interno dell'attuale Unione a 28, cioè ogni infrastruttura è effettivamente vigilata dall'autorità di vigilanza del Paese di insediamento. In linea di principio, dal punto di vista prudenziale, l'attività di supervisione, da parte della Banca d'Italia per determinati aspetti e da parte della CONSOB per determinati altri aspetti, per esempio su Borsa italiana, si svolge indipendentemente dalla struttura proprietaria di Borsa italiana e indipendentemente dal fatto che Borsa italiana sia, per esempio, parte, com'è, di un gruppo o potesse essere stata ipoteticamente parte di un gruppo più vasto, se fosse andata a buon fine la concentrazione con Deutsche Börse, o di un altro gruppo che si potesse affacciare un domani.
  Questa cosa ha un contenuto più specifico, che è ricordato in questo intervento: la società italiana, che sia parte o meno di un gruppo, conserva piena responsabilità su tutti i processi operativi, soggetti alla vigilanza nazionale.
  Al di là di questo, ci sono considerazioni di carattere più politico e strategico, sulle quali non credo sia mio compito entrare. Pag. 21
  Sugli accordi di libero scambio, la posizione adombrata in questo intervento, in cui più volte si dice che è sperabile che si raggiungano accordi, è naturalmente basata sull'idea che gli accordi commerciali non siano un gioco a somma zero e che effettivamente siano nell'interesse di entrambe le parti, quindi, se questi sono fatti bene, credo effettivamente che siano nell'interesse di entrambe le parti.
  Quello che certamente non è possibile, o almeno credo, sulla base delle attuali regole e sulla base delle prese di posizione già assunte anche da alcuni esponenti della Commissione e da esponenti europei a vario livello – quello, cioè, che sarebbe estremamente difficile ipotizzare –, è mantenere, se mi consente l'espressione, il modello «botte piena e moglie ubriaca», che il Regno Unito forse vorrebbe: mantenere il passporting e il controllo per non accettare la libertà di movimento, in particolare, delle persone, ma anche di altro.
  Mi pare che, sulla base dell'attuale assetto istituzionale, questo sia da escludere. Credo che lo stesso Governo britannico abbia, in effetti, preso atto del fatto che l'ipotesi di Brexit – se vogliamo usare quest'espressione – molto soft, che, a un certo punto, gli ambienti contrari alla Brexit fin dall'inizio avevano provato a sostenere, non sia, di fatto, possibile e non sia un'opzione percorribile.
  Da questo punto di vista, credo che il problema non si ponga mentre un accordo di libero scambio, come quello con il Canada, sarebbe un buon accordo e, se fatto bene, tenendo conto naturalmente degli interessi di entrambe le parti in gioco, non sarebbe un gioco a somma zero, ma tornerebbe a vantaggio di entrambi.
  Questo si riferisce anche alla domanda molto generale dell'onorevole Cimbro, che è difficile liquidare in due battute. Forse si può dire che in medio stat virtus, però se dovessimo parlare in generale di globalizzazione e di tutti gli effetti ad essa legati, ovviamente non potrebbero bastare poche battute alla fine di un'audizione su un argomento specifico. Il modo in cui, dal punto di vista economico, si tende a vedere queste cose è che aprendo i mercati, si realizza nel lungo termine una maggiore efficienza allocativa, in senso statico, per cui le cose vengono prodotte dove ci sono maggiori vantaggi comparati e per tutti, e anche in senso dinamico, per cui la possibilità di avere innovazioni, progressi e sviluppi, che aumentano la produttività e la prosperità, perlomeno in senso materiale, è tanto più facile quanto minori sono le barriere alla circolazione dei prodotti, delle idee, dei capitali.
  Naturalmente, le vostre affermazioni sono di carattere generalissimo e riguardano il lungo periodo, per cui, se dovessimo andare nei dettagli o prescrivere specifiche ricette, si richiederebbe un ragionamento molto più lungo. Diciamo che, a lungo andare, rimane un quanto meno forte interrogativo sulla convenienza per lo stesso Regno Unito a chiudere le proprie frontiere ai capitali, o anche alle merci e alle persone. In qualche modo, c'è l'interrogativo su quanto questo possa giovare allo stesso Regno Unito per sua futura prosperità.
  Naturalmente, questo vale anche dall'altro lato della Manica, però, con una differenza quantitativa che è nei numeri stessi.
  Sulla questione delle infrastrutture e se vi siano rischi o opportunità, quindi sulle domande, che sono state fatte in termini un po’ diversi, ma che tornano sulla stessa questione, da parte dell'onorevole Causi e dell'onorevole Tancredi, francamente che cosa avverrà alla City of London dopo la Brexit non lo sa nessuno, compresi gli stessi operatori dei quali ci domandiamo quale potrebbe essere il destino, perché molto dipenderà dalle condizioni che si determineranno in questo negoziato.
  Credo che molti operatori sicuramente stanno prendendo almeno in considerazione la possibilità di rilocalizzare parte delle loro attività, quindi questo non è del tutto da escludere.
  L'efficiente fornitura di servizi finanziari (di nuovo) è un interesse di tutti. Tuttavia, andare negli specifici dettagli di negoziazioni e di trattative che devono ancora incominciare, quindi fare dei discorsi, che sarebbero estremamente ipotetici, da un lato, ed estremamente tecnici, dall'altro, a questo stadio è difficile. Pag. 22
  Ci saranno probabilmente ulteriori occasioni in cui sarò eventualmente lieto di rispondere a domande un po’ più specifiche, quando i negoziati saranno un po’ più avanzati e ci potremmo domandare cosa potrà essere nell'interesse dell'Unione o nel reciproco interesse, su questo o su quello specifico punto in discussione. Resta, però, che, data l'indisponibilità del Regno Unito ad accettare in modo integrale le famose quattro libertà dell'Unione europea, non sarà possibile per il Regno Unito partecipare a pieno titolo al mercato unico.
  Ho dimenticato una domanda dell'onorevole Tancredi, ma Lei sicuramente sa che cosa rispondo. Certamente, per noi è molto importante che si giunga al completamento dell'unione bancaria, anche con questo terzo pilastro dell'assicurazione dei depositi. Ora, se la Brexit cambi molto da questo punto di vista non saprei dirlo. Comunque, il Regno Unito era fuori dall'area dell'euro, fuori dall'Unione bancaria e non c'era alcuna concreta possibilità che vi entrasse nel breve periodo, quindi la mia impressione è che probabilmente su questo specifico aspetto non si sposti moltissimo.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.

Pag. 23

ALLEGATO

Attività della Camera di Commercio italiana a Londra


I

Pag. 24


II

Pag. 25


III

Pag. 26


IV

Pag. 27


V

Pag. 28


VI

Pag. 29


VII

Pag. 30


VIII

Pag. 31


IX