XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 29 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 189  PISICCHIO, C. 276  BRESSA, C. 588  MIGLIORE, C. 979  GOZI, C. 1499  MARAZZITI E C. 2168 , APPROVATA DAL SENATO, RECANTI INTRODUZIONE DEL DELITTO DI TORTURA NELL'ORDINAMENTO ITALIANO

Audizione di Alessandro Pansa, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Pansa Alessandro , Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Pansa Alessandro , Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Amoddio Sofia (PD)  ... 6 
Pansa Alessandro , Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 6 
Vazio Franco (PD)  ... 6 
Pansa Alessandro , Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 7 
Vazio Franco (PD)  ... 7 
Pansa Alessandro , Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 7 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 7 
Vazio Franco (PD)  ... 7 
Pansa Alessandro , Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 7 
Pagano Alessandro (NCD)  ... 7 
Pansa Alessandro , Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Alessandro Pansa, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 189 Pisicchio, C. 276 Bressa, C. 588 Migliore, C. 979 Gozi, C. 1499 Marazziti e C. 2168, approvata dal Senato, recanti introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano, l'audizione di Alessandro Pansa, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
  Le abbiamo inviato, prefetto, il testo e i materiali, quindi ci potrà fare le osservazioni che ritiene opportune, grazie.

  ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Grazie, presidente, saluto i membri della Commissione. Se mi consentite di fare una breve premessa di stile, la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, per me che a gennaio compio quaranta anni di attivo servizio in polizia ma soprattutto per la Polizia di Stato, è uno degli obiettivi principali e fondamentali del proprio lavoro, quindi l'introduzione del reato di tortura è accolta con grande favore e interesse, perché è uno strumento in più per perseguire tutte le forme di violazione della tutela dei diritti dell'uomo.
  Le uniche preoccupazioni che derivano dalla formulazione della norma sono soltanto nella fase applicativa, non certo in termini di principio, anche perché durante i lavori del Senato sono state sviluppate varie problematiche e individuate varie difficoltà, che sono state poste anche all'attenzione del Senato, che nel testo definitivo ha formulato delle risposte.
  I temi principali sui quali si evidenziano queste criticità sono quattro: la presenza nel Codice penale di specifici reati contro la persona, che prevedono adeguate sanzioni penali nei confronti degli autori di gravi atti di violenza e di minaccia, commessi anche nei confronti di soggetti sottoposti alla loro autorità, che si sovrappongono a quelli richiamati anche nella convenzione; la difficoltà di tipizzazione della condotta costituente tortura, determinante l'opacizzazione della linea di confine tra le condotte di particolare gravità dalle conseguenze anche infamanti e quei comportamenti che, seppur gravi, non possono essere sussunti nella tortura.
  In terzo luogo vi è il rischio che la coesistenza dei due predetti fattori con l'oggettiva difficoltà, nella fase di contestazione del reato, della netta distinzione tra il reato di tortura ed altri reati meno gravi (violenza o minaccia) possa attrarre nella nuova fattispecie penale tutte le condotte dei soggetti preposti all'applicazione della legge, in particolare del personale Pag. 4delle forze di polizia che per l'esercizio delle proprie funzioni è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica, come previsto tra l'altro dalla clausola di giustificazione di cui all'articolo del Codice penale.
  Vi è infine il facilmente prevedibile, conseguente effetto di incertezza applicativa, determinata dalla mancata demarcazione tra il reato di tortura ed altri reati meno gravi o addirittura da condotte costrittive ma legittime, che potrebbe determinare denunce strumentali nei confronti di soggetti preposti all'applicazione della legge, con il rischio di un arretramento anche dell'attività di prevenzione e repressione dei reati, insomma con uno scoraggiamento dell'iniziativa operativa da parte delle forze dell'ordine.
  Questo quadro alquanto complesso correlato all'introduzione del nuovo reato di tortura ha trovato una sintesi nel testo approvato in prima lettura dal Senato, di cui all'introduzione del Codice penale nell'articolo 613-bis.
  Questo pare aver già superato alcune incertezze ed effetti distorsivi, soprattutto nella parte in cui viene configurata la nuova fattispecie come reato comune, atteso che le condotte particolarmente crudeli e degradanti possono essere commesse da chiunque ed è quindi indispensabile che anche la relativa applicazione della sanzione non rimanga circoscritta a una particolare categoria di soggetti, in particolare a quella delle forze dell'ordine.
  Anche per tale motivo si ritiene giustificata la previsione del dolo generico, atteso che quello specifico comporterebbe una restrizione dell'applicazione del nuovo reato e quindi una indiretta riproposizione del reato come proprio, in particolare proprio del pubblico ufficiale.
  La previsione dell'accenno alla reiterazione delle condotte mediante l'uso del plurale (violenze, minacce o trattamenti inumani o degradanti) quale elemento per la configurazione del nuovo reato appare evidenziare il condivisibile sforzo nell'elaborazione del testo di individuare una distinzione tra fattispecie rientranti nel reato di tortura e quelle riconducibili ad altri reati.
  Ci sono però delle possibili, ulteriori criticità: un'oggettiva difficoltà a individuare un adeguato confine tra fattispecie diverse e rinvenibili nel testo approvato dal Senato nel riferimento alle violenze e alle minacce gravi, che cagionano acute sofferenze fisiche e psichiche a una persona in una determinata situazione.
  La conseguenza è che il difetto di tipizzazione presente nello stesso testo potrebbe determinare un'ampia contestazione del nuovo reato, soprattutto con riferimento ai compiti istituzionali espressi dalle forze di polizia e ai riflessi di carattere soggettivo della vittima, che possono comportare una diversa percezione e gradazione della sofferenza, dalla quale poi discenderebbe una differente rilevanza penale della stessa, posta come presupposto per la contestazione del reato e quindi rilevante anche per la presentazione della relativa denuncia penale, con i possibili effetti interdittivi sull'applicazione della legge stessa.
  È vero che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha cercato di dare un significato a nozioni quali «acute sofferenze» o «trattamenti inumani e degradanti», ma occorre tenere presente che oggetto di quei giudizi è la responsabilità civile degli Stati e non la responsabilità penale dei singoli individui.
  In quest'ottica deve leggersi anche l'inversione dell'onere della prova che tali sentenze contengono, giungendo ad affermare una sorta di presunzione di responsabilità da parte dello Stato convenuto in giudizio. Tale presunzione, se può essere accettata nei giudizi della CEDU contro gli Stati, non può trovare spazio nei giudizi penali che devono avere come riferimento il comportamento e l'onere delle prove a carico del pubblico ufficiale denunciato, altrimenti sarebbe uno stortura.
  In relazione anche a quanto emerso durante il dibattito del Senato, è auspicabile che la Camera possa fare un ulteriore sforzo per conciliare le esigenze di introdurre in tempi brevi il reato di tortura con Pag. 5quelle volte a evitare gravi difficoltà applicative, che potrebbero concretizzarsi in generalizzate denunce strumentali e pretestuose, che, come ho già detto prima, inibirebbero la spinta all'azione investigativa, all'azione dell'autorità stessa.
  Allo scopo di eliminare o di circoscrivere al massimo gli effetti di queste ipotizzate commistioni, si propone alla Commissione un duplice intervento: distinguere nettamente la nuova fattispecie da altri reati meno gravi contro la persona attraverso un espresso richiamo, che consenta di evitare sin dal momento della denuncia l'indifferenziato ricorso all'uno o all'altro reato, e tipizzare meglio le condotte che determinano il reato di tortura, anche attraverso l'espresso richiamo a quelle legittime, conseguenti all'espletamento di determinate funzioni, tenuto conto della difficoltà a delimitare nettamente le acute sofferenze e i trattamenti inumani e degradanti.
  Potrebbero pertanto essere introdotte due specifiche clausole, che consentirebbero di pervenire – seppur indirettamente – a quella necessaria distinzione del reato di tortura dagli altri reati già presenti nell'ordinamento e a quell'indispensabile, conseguente tipizzazione delle condotte al fine di mantenere il sistema a tutela del legittimo esercizio delle attività, che a volte comporta anche il ricorso ad azioni di forza, e l'interazione con un soggetto privato della libertà personale ovvero soggetto a indagini di polizia giudiziaria.
  La prima clausola potrebbe richiamare, al fine di escludere il conflitto apparente di norme coesistenti, gli altri reati diversi, previsti dallo stesso articolo 12 del codice penale, relativo ai delitti contro la persona quali gli atti persecutori, la violenza privata, la minaccia, l'abuso di autorità contro arrestato o detenuto, l'omicidio colposo, l'omicidio preterintenzionale, le lesioni personali e le percosse.
  Ciò consentirebbe di dare all'autorità giudiziaria un utile elemento oggettivo di valutazione in merito al rapporto tra la condotta della nuova fattispecie penale e quelle in parte simile relativa agli altri reati.
  La seconda clausola dovrebbe escludere espressamente le sofferenze determinate da atti legittimi, riproducendo quanto già previsto dall'articolo 1, comma 1, ultimo periodo, della stessa Convenzione delle Nazioni Unite firmata a New York il 10 dicembre 1984, e ratificata dall'Italia nel 1988, nonché dall'articolo 2, primo comma, lettera a), del Regolamento della Comunità europea n. 1236/2005 del Consiglio, relativo al commercio di determinate merci che potrebbe essere utilizzato per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti inumani o degradanti.
  Questo sarebbe un richiamo a un testo sovranazionale di indiscusso valore. Tale inciso, infatti, oltre a rispondere al principio di non contraddizione che costituisce un cardine del nostro ordinamento, tenuto conto che il legislatore non può imporre a un soggetto di agire e poi condannarlo perché ha agito, serve anche a sgombrare il campo dal sospetto che la norma in discussione sia il frutto di una visione pregiudizievole e ostile nei confronti delle forze dell'ordine.
  Ciò consentirebbe di rendere la previsione conforme al testo dei trattati internazionali e contestualmente di tutelare gli operatori, con specifico riferimento a quelli impiegati in servizi che prevedano l'eventuale uso della forza o di altri mezzi di coazione.
  Questo per quanto riguarda il reato tipico di tortura. In relazione agli eventuali interventi migliorativi del testo, in coerenza anche con la configurazione della nuova fattispecie, vorrei fare una piccola riflessione sul reato di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura, eliminando qui la connotazione di reato proprio.
  Ciò appare necessario per punire anche soggetti diversi dal pubblico ufficiale, che si rendano responsabili di tale forma di istigazione alla commissione di un reato di particolare gravità in relazione alla tutela dei diritti umani, in una società dove le insidie sono sempre maggiori, anche in relazione al ricorso a nuovi strumenti tecnologici e telematici per evitare di reintrodurre implicitamente gli effetti conseguenti Pag. 6alla configurazione del reato di tortura come proprio, che potrebbero concretizzarsi nella fase applicativa in un effetto distorsivo, con la possibile alimentazione di denunce strumentali nei confronti di pubblici ufficiali.
  In relazione alle altre disposizioni contenute nel testo approvato dal Senato, si richiama la formulazione dell’ articolo 3 nella parte in cui introduce il comma 1-bis all'articolo 19 del Testo Unico in materia di immigrazione, al fine di prevedere espressamente il divieto di respingimento e di espulsione nei confronti dello straniero che rischia di essere sottoposto a tortura nel Paese di destinazione, anche in relazione all'esistenza in tale Stato di gravi violazioni sistematiche dei diritti umani.
  Premesso che già oggi esiste il divieto di respingimento e di espulsione dello straniero che rischia di essere sottoposto a tortura con specifico riferimento ai rifugiati, appare opportuno valutare se la generica formulazione da ultimo richiamata possa determinare difficoltà applicative in relazione alla possibile estensione di tale divieto, con conseguenti riflessi sul contrasto dell'immigrazione clandestina economica, individuando di conseguenza una maggiore tipizzazione della previsione, facendo ad esempio riferimento all'esistenza di circostanze serie e comprovate, che depongano per un rischio reale che lo straniero possa subire trattamenti di tortura, ricorrendo in proposito ai princìpi stabiliti dalla giurisprudenza della Commissione europea dei diritti dell'uomo.
  In conclusione, auspico che il nuovo reato di tortura possa essere introdotto al più presto nell'ordinamento, al fine di disporre di un adeguato strumento di contrasto e di repressione di gravi azioni inumane da chiunque commesse. Si auspica comunque che l'approvazione di questo nuovo strumento, oltre che tutelare le vittime, sia nello stesso tempo una salvaguardia delle funzioni che vengono svolte dalle forze dell'ordine, alcune volte con grande difficoltà. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio anche per i tempi in cui ha contenuto il suo intervento di approfondimento. Anche i colleghi chiedevano se lei lasci la relazione agli atti oppure intenda inviarcelo in seguito.

  ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Ve la invierò in giornata.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SOFIA AMODDIO. Buongiorno e grazie del suo intervento. Poiché dalle relazioni di altri auditi è emerso questo tema, volevo chiederle se scinderebbe il reato di tortura in due fattispecie diverse, un reato comune e un reato proprio.

  ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. La configurazione del reato proprio porta anche alla configurazione di una caratterizzazione tipica del comportamento, che sembra previsione apposita per le forze dell’ ordine.
  Non vedo perché la semplice aggravante non possa essere sufficiente, come in moltissime altre formulazioni del nostro ordinamento, dove la qualifica del soggetto comporta l'aggravante. Altrimenti a quel punto conviene passare direttamente al dolo specifico.

  FRANCO VAZIO. La domanda posta dall'onorevole Amoddio traguardava altre audizioni che hanno posto l'accento sul fatto che, benché tali condotte fossero ispirate dal medesimo fine, la tortura, quindi infliggere questo tipo di trattamento al soggetto, esse rispondessero a esigenze diverse, nel senso che il reato proprio, cioè commesso da un privato, ha una determinata caratteristica, commesso da un pubblico ufficiale potrebbe avere un'altra finalità «più processuale».
  Veniva quindi avanzato il suggerimento di non tipizzare il reato solo per il pubblico Pag. 7ufficiale, ma di costruire due reati autonomi: il reato di tortura commesso dal pubblico ufficiale, che dovrebbe essere in ipotesi più contraddistinto sotto il profilo del fine, cioé fare tortura per estorcere una confessione, e il reato di tortura commesso dal privato, che non avrebbe questo fine ma avrebbe solamente la gravità dell'azione di lesione e di minacce.
  Secondo costoro tale particolare sdoppiamento dei titoli di reato avrebbe il vantaggio di sottrarre al reato proprio una serie di perplessità sollevate in altre audizioni e note alle cronache.

  ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Capisco che da un punto di vista tecnico c’è proprio un problema di sistematica giuridica, che dal punto di vista scientifico renderebbe la cosa più armonica, però a mio avviso creerebbe ulteriori difficoltà in sede applicativa.
  L'idea che il reato non sia un reato proprio di per sé rende necessario che anche in sede di accusa io tipizzi il comportamento e la finalizzazione. Se invece c’è una norma a parte, basta far riferimento a quella norma per avviare procedimenti penali che nei confronti delle forze dell'ordine hanno un'immediata ricaduta, come un'immediata sospensione dal servizio. La mia preoccupazione non è nella formulazione, ma è nell'applicazione e nella strumentalizzazione dell'applicazione.

  FRANCO VAZIO. Ma risponderebbero a due descrizioni di reato diverse.

  ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Con conseguenze diverse. Da un punto di vista di sistematica giuridica lo capisco anch'io.

  STEFANO DAMBRUOSO. A parte la condivisione da parte loro dell'importanza di introdurre una norma che disciplini il reato di tortura, ritengo che possiamo recepire la sollecitazione a rivisitare la tipizzazione. Effettivamente il mero reato proprio, parallelo a quello comune consentirebbe l'apertura immediata di un fascicolo, con tutte le conseguenze istituzionali che francamente non riesco a leggere come tutela corporativa da parte del capo della polizia, ma come un'esigenza di gestione di un settore, quello della sicurezza, che non possiamo sottovalutare.
  La denuncia per reato proprio comporterebbe una conseguenza automatica nei confronti dei singoli soggetti, viceversa gli elementi costitutivi della denuncia dovrebbero essere valutati dal Pubblico Ministero prima di iscrivere un soggetto per il reato comune.

  FRANCO VAZIO. Capisco l'obiezione ma si tratta di fattispecie alternative, non concorrenti: un pubblico ufficiale non potrebbe commettere il reato proprio.

  ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Mi permetto di dire che non c’è una difesa corporativa, ma la mia preoccupazione è evitare di spaventare e di rendere meno efficace l'azione delle forze dell'ordine di fronte a un rischio che è soprattutto quello della denuncia, non quello del processo perché abbiamo totale fiducia nella giustizia. La denuncia mette, infatti, in una condizione temporanea che, anche se breve, rende difficoltoso lo slancio necessario a portare avanti al meglio il lavoro.
  La sanzione può essere anche più rigorosa, e un eventuale aumento ci fa piacere, però il problema è nella fase applicativa, che non vogliamo sia disincentivante, demotivante. Soltanto questa è la mia preoccupazione, poi siamo pronti a obbedire al legislatore, come sempre.

  ALESSANDRO PAGANO. Complimenti per la sua relazione che in buona parte ho avuto modo di ascoltare. Vorrei sapere se in base alla sua esperienza esistano casi analoghi in Paesi civili, occidentali, dove norme di questo genere trovino piena applicazione.

Pag. 8

  ALESSANDRO PANSA, Capo della Polizia, Direttore del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. La norma c’è in moltissimi in moltissimi Paesi occidentali, europei, ma il meccanismo non è la norma in sé: è la norma che si cala in un sistema ordinamentale molto più articolato e complesso del nostro e quindi a volte anche più rigoroso.
  Anche oggi le fattispecie che sanzionano i singoli comportamenti sono molto rigorose, perché per il solo avviso di garanzia spesso scatta la sospensione dal servizio.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il Prefetto Pansa, a cui assicuriamo la massima attenzione e il massimo equilibrio, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.