XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 25 gennaio 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE RIFORMA DELL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO IN ATTUAZIONE DELLA DELEGA DI CUI ALL'ARTICOLO 1, COMMI 82, 83, 85, LETTERE A), B), C), D), E), F), H), I), L), M), O), R), S), T) E U), DELLA LEGGE 23 GIUGNO 2017, N. 103 (ATTO DEL GOVERNO N. 501)

Audizione di Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM), di rappresentanti del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza, di Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI), di Mauro Palma, Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, di Glauco Giostra, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia e di Franco Della Casa, in qualità di componente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Cafiero De Raho Federico , procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Maritati Alcide , presidente della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Panasiti Mariolina , coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Fiorillo Antonietta , coordinatrice del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Tuccillo Gemma , capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Tuccillo Gemma , capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Petrelli Francesco , segretario dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 14 
Polidoro Riccardo , responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione Camere penali italiane (UCPI) ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Polidoro Riccardo , responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione Camere penali italiane (UCPI) ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Polidoro Riccardo , responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Polidoro Riccardo , responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Polidoro Riccardo , responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 15 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Polidoro Riccardo , responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI) ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Mattiello Davide (PD)  ... 16 
Turco Tancredi (Misto-AL-TIpI)  ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Molteni Nicola (LNA)  ... 17 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Rossomando Anna (PD)  ... 19 
Maestri Andrea (SI-SEL-POS-LU)  ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Cafiero De Raho Federico , procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Cafiero De Raho Federico , procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Cafiero De Raho Federico , procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Cafiero De Raho Federico , procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Cafiero De Raho Federico , procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Maritati Alcide , presidente della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 21 
Panasiti Mariolina , coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
Panasiti Mariolina , coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
Fiorillo Antonietta , coordinatrice del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 23 
Bortolato Marcello , segretario del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza ... 23 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Gianfilippi Fabio , componente del Direttivo del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Polidoro Riccardo , responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI ... 25 
Tuccillo Gemma , capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ... 25 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Tuccillo Gemma , capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Tuccillo Gemma , capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Palma Mauro , Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 28 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 28 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 28 
Ferranti Donatella , Presidente ... 32 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 32 
Ferranti Donatella , Presidente ... 33 
Della Casa Franco , in qualità di componente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 33 
Ferranti Donatella , Presidente ... 36 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 36 
Verini Walter (PD)  ... 37 
Turco Tancredi (Misto-AL-TIpI)  ... 38 
Ferranti Donatella , Presidente ... 39 
Rossomando Anna (PD)  ... 39 
Ferranti Donatella , Presidente ... 39 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 39 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 39 
Ferranti Donatella , Presidente ... 39 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 39 
Ferranti Donatella , Presidente ... 40 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 40 
Ferranti Donatella , Presidente ... 40 
Giostra Glauco , in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 40 
Ferranti Donatella , Presidente ... 41 
Della Casa Franco , in qualità di componente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia ... 41 
Ferranti Donatella , Presidente ... 42

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista-Liberi e Uguali: MDP-LU;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile-Liberi e Uguali: SI-SEL-POS-LU;
Noi con l'Italia - Scelta Civica per l'Italia-MAIE: NcI-SCpI-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori - Energie PER l'Italia: Misto-CI-EPI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 12.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM), di rappresentanti del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza, di Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI), di Mauro Palma, Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, di Glauco Giostra, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia e di Franco Della Casa, in qualità di componente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante riforma dell'ordinamento penitenziario in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83, 85, lettere a), b), c), d), e), f), h), i), l), m), o), r), s), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Atto del Governo n. 501), di Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati (ANM), di rappresentanti del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza, di Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI), di Mauro Palma, Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, di Glauco Giostra, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia e di Franco Della Casa, in qualità di componente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia.

  Lascio quindi la parola al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Grazie, buongiorno. Per quanto riguarda la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, le modifiche sull'ordinamento penitenziario che meritano alcune riflessioni sono quelle introdotte con l'articolo 7 e indirettamente con l'articolo 15 dello schema di decreto legislativo e riguardano specificatamente l'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.
  L'articolo 7 dello schema del decreto legislativo non modifica la prima parte del comma 1 dell'articolo 4-bis, per cui resta il divieto di benefici per quanto riguarda i condannati per delitti di terrorismo commessi con azioni violente e i delitti di Pag. 4mafia, sostanzialmente quelli di cui agli articoli 416-bis e 416-ter, delitti aggravati dall'articolo 7.
  Il divieto è rimasto anche per alcune ipotesi monosoggettive, è stato esteso poi ai reati associativi finalizzati alla commissione di alcuni reati, ma ciò che si tende a sottolineare è che il divieto permane soltanto per i capi organizzatori, promotori e finanziatori, e questo riguarda non solo le associazioni finalizzate a vari reati, di cui la legge parla, ma anche con riguardo all'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e al contrabbando.
  È noto a tutti che l'associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti è un'associazione in cui gestori del traffico sono ’ndranghetisti, sono mafiosi di Cosa Nostra, sono camorristi, sono i soggetti di maggiore spessore criminale, e ridurre il divieto ai soli capi, agli organizzatori, a nostro avviso indebolirebbe fortemente il contrasto e l'ostacolo alla propagazione del potere di questi mafiosi.
  In Calabria abbiamo, peraltro, spesso utilizzato, proprio per i limiti edittali e per la possibilità investigativa di intervenire con indagini abbastanza contenute nel tempo, il canale del contrasto alla ’ndrangheta attraverso lo strumento dell'individuazione dei soggetti inseriti in associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti, ma non perché non fossero mafiosi, perché quella è una strada molto più rapida e molto più semplice dal punto di vista investigativo.
  Costruire un'accusa di associazione mafiosa è molto più complesso, seguire il traffico di sostanze stupefacenti con i Paesi produttori, con i Paesi importatori è, invece, molto più semplice, anche perché abbiamo degli organismi di polizia specializzati di altissimo livello.
  Ci terremmo, innanzitutto, a sottolineare questo primo aspetto, e peraltro si è sempre detto che vietare benefici e consentirli per alcune categorie di condannati, in qualche modo, incentiva le collaborazioni nel traffico di sostanze stupefacenti, e la collaborazione nel traffico di stupefacenti soprattutto per quanto riguarda il traffico internazionale è, sostanzialmente, collaborazione di mafioso.
  Un altro punto che teniamo a sottolineare è quello che riguarda il comma 3-bis dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. Con l'articolo 7, comma 1, lettera a) dello schema di decreto legislativo, viene soppresso il comma 3-bis, del citato articolo 4-bis che prevedeva che il procuratore nazionale antimafia e il procuratore distrettuale potessero d'iniziativa o su segnalazione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica comunicare l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, comunicazione che, secondo l'attuale normativa, è ostativa alla concessione di permessi premio e misure alternative a detenuti per qualunque tipo di delitto doloso.
  Devo anche qui precisare che nella relazione illustrativa si evidenzia che attribuire al procuratore nazionale questo potere significherebbe dargli la capacità di veto su qualunque beneficio, il che sarebbe non consentito nel sistema.
  Qui si vuole, invece, sottolineare che quella segnalazione del procuratore nazionale trova fondamento in elementi di fatto, che evidenziano la sussistenza dei rapporti con la criminalità organizzata, quindi un dato positivo, non negativo, un dato positivo che non è un dato di dubbio, né apodittico, ma è un dato di certezza, perché una segnalazione di questo tipo, che è stata peraltro utilizzata in pochissimi casi, riguarda esclusivamente la sussistenza di un quadro tale dimostrativo dell'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata. Non si riesce quindi a comprendere il motivo di questa abrogazione.
  Si deve anche dire che nei commi 2 e 3 è stata prevista, con riguardo alla concessione dei benefici di cui al comma 1, come necessaria l'acquisizione del parere del procuratore del distretto di cui è stata pronunciata la condanna. Ancora una volta viene pretermesso totalmente il procuratore nazionale, il quale ha conoscenze che il procuratore distrettuale della condanna non ha, perché il procuratore nazionale attraverso l'alimentazione della banca dati Pag. 5riesce ad acquisire un quadro che è quello proprio di tutti i procuratori distrettuali.
  Chiedere soltanto l'intervento di un procuratore distrettuale e non quello del procuratore nazionale, a nostro modo di vedere, è non solo un indebolimento nel sistema ma è anche una esclusione dell'unico organismo che ha una competenza nazionale – almeno sotto il profilo cognitivo – al quale è rimesso quindi un compito di coordinamento nazionale con l'alimentazione di una banca dati, che ci viene invidiata in tutto il mondo per gli elementi di cui dispone.
  Questa esclusione per la verità è veramente incomprensibile, anche perché il procuratore nazionale è il soggetto che non solo fa coordinamento, ma anche impulso alle attività investigative, quindi ancora una volta il suo intervento è utile alla procedura e utile soprattutto a una valutazione che sia concreta e adeguata.
  L'articolo 15 dello schema di decreto legislativo modifica gli articoli 47-ter e 47-quinquies dell'ordinamento penitenziario, ponendo eccezioni al divieto di concessione della detenzione domiciliare e detenzione domiciliare speciale ai detenuti per mafia e terrorismo.
  L'articolo 47-ter, Detenzione domiciliare, pone questa eccezione, quindi consente la detenzione domiciliare anche se si tratta di soggetto condannato per delitti di mafia e terrorismo, quando condannata è una donna incinta o madre di minore di anni dieci con lei convivente, padre con potestà genitoriale di minori di anni dieci con lui conviventi con madre deceduta o impossibilitata a dare assistenza ai minori.
  Credo che nel valutare questa disposizione non si sia tenuto conto dell'effettività della operatività delle organizzazioni di ’ndrangheta, di camorra, di mafia, perché è noto a tutti, innanzitutto, che le donne oggi stanno prendendo anche il posto degli uomini – è spesso attraverso le donne di ’ndrangheta o le donne di camorra che le cosche e i clan vengono portati avanti – e che sono quindi i soggetti a volte più pericolosi e a volte anche più violenti.
  Al di là di questo, quando si afferma «minori di anni dieci» non si tiene conto di quello che sta avvenendo: non voglio usare l'espressione che era stata usata da Morabito, «tira dritto», quando parla del suo esercito, che parte dai 7 anni e finisce ai 70, ma, al di là di questo, è sul territorio, è sotto gli occhi di tutti voi quello che sta avvenendo a Napoli, dove ci sono bande di ragazzini di 8, 9, 10, 11, 12 anni, tanto che si sta discutendo addirittura dell'abbassamento dell'età per la imputabilità, proprio perché ci troviamo in momenti sicuramente diversi anche dal punto di vista culturale; nei tempi di internet non è più a 14 anni che si acquisisce la capacità, ma certamente prima.
  Al di là di questo, c'è anche da considerare come la donna, sostanzialmente, sia la persona che custodisce le regole nell'ambito non solo del clan ma nell'ambito delle cosche di ’ndrangheta, è lei che con il marito porta avanti questi gruppi familiari. Questo è un fatto particolarmente significativo, perché i percorsi che si stanno facendo anche sul territorio calabrese come sul territorio campano sono quelli che sono proiettati verso una sospensione della responsabilità genitoriale, proprio per consentire ai minori di andare avanti.
  Rimettere in detenzione domiciliare un soggetto condannato per terrorismo o per camorra, ’ndrangheta, mafia, per restituirlo alla famiglia, a quei figli, per consentirgli di proseguire nelle regole non mi sembra esattamente corrispondente alle esigenze, mi sembra che facciamo il percorso inverso a quello che si sta tentando di fare nei territori in cui si subisce la violenza, l'intimidazione, l'occupazione del territorio da parte delle mafie, ed è allora che probabilmente anche qui bisognerebbe cominciare a pensare qual è la realtà, perché certamente il fine è il migliore (non c'è dubbio), si vuole ricompattare la famiglia, consentire al minore di restare con la propria madre, restituire la mamma alla casa, ma quella non è una mamma normale – scusatemi –, quella è una mamma camorrista, mafiosa, ’ndranghetista, è un soggetto pericoloso che vi perpetua una stirpe di ’ndrangheta, di camorra o di mafia.
  Allora i percorsi da fare sono ben altri, i percorsi sono quelli educativi, sono quelli Pag. 6formativi, ma non attraverso le madri che sono, invece, pienamente inserite in questi organismi.
  L'articolo 47-quinquies, ugualmente viene modificato con l'aggiunta del comma 1-ter, che esclude l'applicazione del divieto di cui all'articolo 4-bis, comma 1, con riguardo alle madri o padri di minori di anni dieci o figli affetti da disabilità grave, che abbiano scontato almeno una parte della pena.
  Riteniamo che un'apertura di questo tipo sarebbe un ulteriore vulnus ad un sistema che purtroppo deve essere un sistema di rigidità, di severità, ma è quello che dobbiamo garantire ai territori. Soprattutto dobbiamo rompere il collegamento di soggetti mafiosi o appartenenti al terrorismo con il territorio, perché restituirli al territorio secondo noi non è una scelta positiva, né adeguata al contrasto alle mafie o al terrorismo.
  Peraltro notavamo che il comma 85, lettera b), della legge delega dovrebbe escludere questo ampliamento per i condannati per delitti di mafia e terrorismo. Il citato comma 85 dell'articolo 1 della legge delega recita: «i decreti legislativi recanti modifiche all'ordinamento penitenziario per i profili di seguito indicati sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi». Nella lettera b) si dice «revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative sia con riferimento ai presupposti soggettivi, sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo che per i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per delitti di mafia e terrorismo anche internazionale», quindi si avrebbe anche un eccesso di delega nel modificare quella disposizione nel senso di cui ora ho detto.
  L'ultima notazione è quella che riguarda l'articolo 656 del codice di procedura penale per quanto concerne la soglia di accesso alla sospensione dell'ordine di esecuzione, che si ritiene opportuno mantenere nei limiti dei tre anni.
  Deposito una nota di quello che ho rappresentato oggi oralmente.

  PRESIDENTE. La ringraziamo e mettiamo la nota agli atti. Se lei si può trattenere per eventuali domande e si vuole accomodare, proseguiamo le nostre audizioni con l'Associazione nazionale magistrati, che è rappresentata da Alcide Maritati, presidente della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati e da Mariolina Panasiti, coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati.

  ALCIDE MARITATI, presidente della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Grazie, buongiorno a tutti. L'intervento dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) ovviamente non è un intervento tecnico con riferimento al contenuto della norma, anche perché nell'ANM, come nel Paese, le sensibilità sono differenti, nella magistratura le sensibilità sono differenti, quindi l'approccio al merito della materia è estremamente variegato.
  Ci sono, infatti, posizioni più caute, come quelle del Procuratore De Raho, che sottolineano un «eccesso» di cessione di quei limiti che nella legislazione attuale innalzano i livelli di sicurezza secondo una certa visione, ci sono invece sensibilità diverse, in particolare quelle maggiormente rappresentate dalla magistratura di sorveglianza, che sono più vicine al concetto del recupero del condannato e, quindi, allo sviluppo di una maggiore attenzione verso questo tema, che è centrale per la riforma.
  L'ANM non esprime, quindi, alcun giudizio sulla riforma, gli unici aspetti sui quali invece si è discusso e si è sicuramente tutti d'accordo sono quelli di evidenziare che il respiro così impegnativo che la riforma si propone, in particolare sotto il profilo dell'incrementare il ricorso a misure alternative e quindi alla «depenalizzazione», al ricorso a misure alternative alla detenzione, rende inevitabile un forte investimento di risorse, che, invece, nella riforma sembrano escluse a monte, perché c'è la clausola di invarianza finanziaria.
  Questo preoccupa molto, perché senza adeguate risorse, senza un investimento Pag. 7forte su tutte le strutture che saranno impegnate, in particolare con riferimento agli Uffici esecuzione penale esterna (UEPE), alla Polizia penitenziaria e agli organici del Tribunale di sorveglianza e anche a quelli amministrativi del Tribunale di sorveglianza, questa riforma rischia di naufragare di non poter vedere risultati positivi.
  Il timore che la magistratura associata evidenzia è che questo eventuale fallimento possa scaricarsi, dal punto di vista della percezione sociale, su una colpa della magistratura, che invece ovviamente non ha, se non viene messa nelle condizioni di operare secondo i canoni della legalità.

  PRESIDENTE. Adesso diamo la parola a Mariolina Panasiti, coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati.

  MARIOLINA PANASITI, coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Grazie, presidente. L'Associazione nazionale magistrati si è riunita sabato scorso nell'ambito della sua attività, in particolare del Comitato direttivo centrale (CDC), e tra i punti all'ordine del giorno vi era proprio quello della riforma dell'ordinamento penitenziario.
  La mancanza di decreti attuativi ha però fatto sì che il dibattito venisse rinviato ad una più completa valutazione al momento in cui i decreti attuativi fossero arrivati, e adesso ci sono. Sicuramente noi riporteremo il senso di questo dibattito al prossimo CDC, in maniera tale da elaborare un prodotto comune, una visione comune alle varie sensibilità all'interno della magistratura, in particolare tenendo conto anche della magistratura giudicante e requirente.
  Fin da questa sede, però, mi sembra di poter dire (e in questo senso io esprimerò il mio convincimento in sede di CDC) che la riforma sicuramente premia lo sforzo di elaborazione e di approfondimento che negli ultimi anni, almeno negli ultimi dieci anni, la magistratura di sorveglianza ha fatto. Secondo il mio parere, la riforma ha fatto un salto notevole di qualità nella delimitazione non tanto del ruolo del magistrato di sorveglianza, quanto nel processo di rieducazione del condannato.
  In quest'ottica credo di poter concludere che sicuramente la riforma va vista con particolare favore nella misura in cui elimina tutti quegli automatismi. Chi ha fatto il magistrato di sorveglianza sa che molto spesso, al di là di quello che è il pedigree o comunque il percorso criminale della persona, gli interventi rieducativi all'interno dei penitenziari fanno veramente miracoli. Io ho fatto il magistrato di sorveglianza per diversi anni e ho visto che effettivamente gli interventi rieducativi sono molto utili.
  Privare detenuti o condannati della possibilità di accedere a forme alternative di pena solo perché hanno un reato ostativo (quelli che una volta erano nell'elencazione indicati come reati ostativi e che adesso in gran parte sono venuti meno con la riforma) sicuramente sarebbe un sacrificio di tutto quello che è stato il percorso all'interno del penitenziario.
  In linea di massima, quindi, la riforma viene molto apprezzata in tutti i suoi istituti, io non posso dire, dopo averli letti, che, fatte salve le giuste osservazioni chiaramente del procuratore nazionale antimafia, ci sia un aspetto o un qualche istituto che possa essere oggetto di critiche notevoli. L'unica cosa che rilevo (vi accennava il collega) è la clausola d'invarianza finanziaria. Gli uffici UEPE sono molto oberati, non soltanto sono oberati con riferimento alla magistratura di sorveglianza, ma anche per quanto riguarda adesso le limitate competenze che hanno in fase dibattimentale con l'ammissione alla prova.
  Ho notato nella riforma (questo è sicuramente apprezzabile) da un lato, la esistenza di un contraddittorio differito per pene fino a 18 anni, che sicuramente deflaziona i tribunali e gli uffici di sorveglianza, ma anche la previsione espressa della mancanza di relazione sociale da parte degli uffici UEPE per pene entro i sei mesi.
  Vi devo dire che questa era un'elaborazione che avevamo già fatto come ufficio di sorveglianza di Milano, in cui la chiedevamo Pag. 8 oltre l'anno, questa mattina ho voluto sentire una collega perché da un anno faccio il presidente di Sezione penale, quindi non più sorveglianza, e mi ha detto che hanno fatto un protocollo con l'UEPE di Milano per arrivare a un anno e mezzo. Questo significa che gli affidamenti sul territorio, le detenzioni domiciliari sul territorio fino all'anno e mezzo sono sostanzialmente fatte un po’ sulla fiducia, un po’ sulle comunicazioni dei Carabinieri. Perché tutto questo? Perché gli uffici UEPE sono sicuramente molto gravati.
  Non dotare gli uffici UEPE ma anche i tribunali di sorveglianza, che necessariamente devono essere implementati come personale di magistratura e personale di cancelleria, privare di questi implementi necessari finirebbe con il trasformare questa riforma nell'ennesima «svuota carceri» oppure, come altri dicono con terminologia ancora più negativa, in un sostanziale condono.
  È evidente che noi, nel rappresentare all'interno dell'ANM, per le sensibilità di tutti, un prodotto che vuole essere veramente innovativo e quindi in linea con la Costituzione e con i princìpi di rieducazione della pena, dobbiamo anche porre l'accento su questi presìdi – che devono accompagnare la misura alternativa sia nella fase precedente l'ammissione, sia successivamente, nel percorso durante la misura alternativa –, che sono presìdi educativi senza i quali tutto si risolve in un salto nel vuoto e in una sostanziale svuota carceri, con le persone che poi, se non adeguatamente supportate e strutturate, ritornerebbero di nuovo presso i penitenziari.
  L'edilizia penitenziaria mi sembra essenziale, perché qualunque percorso di recupero del condannato eventualmente detenuto che inizi all'interno del penitenziario beneficia enormemente di strutture penitenziaria adeguate. A Milano c'è l'esperienza del carcere di Bollate, che sotto il profilo educativo e rieducativo del condannato (infatti è quello che ha meno recidive) è certamente un fiore all'occhiello. Un'edilizia penitenziaria di quel genere non può che facilitare questo percorso.

  PRESIDENTE. Grazie. Solo perché se ne è fatto cenno in queste ultime audizioni (lo dico perché evidentemente quello che avviene in Parlamento molte volte non è noto), la legge di bilancio approvata prima della fine dell'anno ha tra l'altro previsto l'assunzione di oltre 300 persone nell'UEPE. Le risorse non si trovano nel decreto legislativo delegato, ma nella legge che prevede gli strumenti finanziari.
  A questo fine per tutti i colleghi, ma a questo punto lo manderemo anche agli auditi, ho chiesto al Servizio studi della Camera (i colleghi hanno già a disposizione le copie) di riepilogare tutti gli interventi per l'amministrazione penitenziaria e l'esecuzione penale che sono previsti nella legge di bilancio 2018, in maniera tale che intanto abbiamo la nostra fonte, il Servizio Studi, che ricostruisce, poi ovviamente, se gli auditi avranno altro da aggiungere, ben venga.
  Lo dico da relatrice e non da presidente, ma la solita litania (scusate il termine) che non ci sono i fondi, costo zero, quando c'è stato l'impegno di un Parlamento per far sì che queste cose entrassero nella legge di bilancio insieme a tutto il resto, francamente mi lascia molto perplessa, quindi adesso noi mettiamo tutti questi strumenti a disposizione, in maniera tale che si sappiano. Lo dico con la web-tv aperta, in modo tale che anche qualche cittadino possa venire a saperlo.

  VITTORIO FERRARESI. Ci saranno anche degli interventi, presidente, perché se lei dà dei dati sulle risorse qualcuno dovrà anche rispondere.

  PRESIDENTE. Io, da relatrice, ho dato un'informazione che, sapevo solo io, mentre i colleghi non la conoscevano, mi pare, quindi, che sia un atto di riguardo nei confronti di tutti metterla a disposizione. Non ho commentato i dati, ho detto che dire che non ci sono risorse non corrisponde al vero. Poi lei potrà dire che non sono sufficienti, qualcun altro dirà che sono assolutamente carenti, io ho detto che c'è stata un'attenzione specifica della legge di bilancio, tanto è vero che risulta un dossierPag. 9non di un organismo politico, ma del Servizio Studi della Camera che è stato predisposto, su nostra richiesta (non mia personale). Poi ovviamente ci sarà il dibattito, dopo le audizioni ci sarà la discussione e quindi ci sarà modo di dire ognuno quello che pensa, siamo qui per questo e c'è tutta la giornata.
  Do la parola ad Antonietta Fiorillo, coordinatrice del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza. Siccome qui è una specificità, come è stato fatto peraltro anche in passate legislature quando si è parlato di problemi attinenti all'esecuzione, abbiamo interpellato anche questo organismo nazionale.

  ANTONIETTA FIORILLO, coordinatrice del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza. Grazie, presidente, ringrazio lei e la Commissione perché è la prima volta che il Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza (CONAMS) come coordinamento viene convocato. Due parole per dire che noi ci chiamiamo coordinamento perché ci sono tantissimi magistrati di sorveglianza e questo coordinamento è nato proprio per confrontarsi sul territorio nazionale sulle norme e sulle prassi.
  Premetto che noi depositeremo nei prossimi giorni le nostre note tecniche specifiche, oggi il discorso che io devo portare qui è quello che ho raccolto nell'assemblea del CONAMS che abbiamo fatto sabato scorso in prosieguo di un protocollo che abbiamo firmato con la Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze (FEDERSERD), cioè con quasi tutti i SERD del territorio nazionale, per omogeneizzare le prassi in tema di valutazione degli stati di tossicodipendenza e alcoldipendenza, ed erano presenti tantissimi colleghi. Quello che io oggi dirò sulla riforma (ma sono note più generali) è il portato di questa discussione che è stata molto fattiva.
  Il Coordinamento dà un giudizio complessivamente positivo di questa normativa, che noi vediamo come primo tentativo organico, dopo molti anni, di modificare le precedenti riforme del 1975 e del 1986, che avevano predisposto una normativa che è stata pesantemente incisa negli anni passati, a partire dal 1990 (io sono entrata molti anni fa in magistratura) dalle norme sull'onda della legislazione di emergenza, che un po’ alla volta ne avevano in maniera anche parcellizzata stravolto l'impianto originario.
  Vediamo con favore questa riforma, che cerca di ricostituire l'impianto iniziale, e di fatto diciamo che tutta una serie di cose che sono scritte in questa normativa non fa che riportare all'origine il sistema, e questa è sicuramente una cosa preziosa. Teniamo conto che fra le riforme che avevano inciso tantissimo ci sono state la legge Cirielli e la legge Bossi-Fini, che hanno dato luogo (non lo devo dire a voi) al sovraffollamento, che ha comportato l'intervento ripetutamente della corte Europea dei diritti dell'Uomo nei confronti dell'Italia.
  Perdonatemi se faccio un inciso: non è la magistratura di sorveglianza che vuole queste norme, la magistratura di sorveglianza è costituita da giudici che applicano una legge che è prevista dalla Costituzione, articolo 27, terzo comma, e dal legislatore ordinario. Non facciamo altro che applicare le leggi che il legislatore ci indica, vedere questa sorta di predisposizione verso la magistratura di sorveglianza anche dei singoli colleghi... io faccio il giudice di sorveglianza da molti anni e nella mia carriera ho fatto anche il giudice minorile, quindi ho fatto il giudice delle due specializzate, ma non perché sia accesa dal sacro fuoco di fare volontariato, cioè noi lavoriamo in maniera assolutamente coerente con la cognizione, quindi recuperare la discrezionalità che secondo noi è tipica di qualunque mestiere di giudice... scusatemi, ma non è discrezionalità che il giudice della cognizione decida quando applica la pena in concreto fra il minimo e il massimo edittale?
  Il problema quale può essere per tutte le funzioni della magistratura? Che la discrezionalità sia esercitata in maniera adeguata, coerente, con molta prudenza, ma anche con coraggio. Questo è quello che noi dobbiamo fare, cioè dobbiamo esercitare la nostra discrezionalità, e questa legge non ci Pag. 10dà nulla di più, ci riporta all'impianto originario.
  Da questo punto di vista noi non abbiamo timore, perché già adesso cerchiamo di lavorare in questo modo, quindi siamo pronti, se sarà deliberata, a lavorare su questa normativa. D'altra parte, il nostro giudizio positivo è derivato anche dal fatto che in questa normativa è normata (scusatemi la ripetizione) tutta una serie di prassi virtuose, come direbbe il Consiglio superiore della magistratura, che molti tribunali di sorveglianza in questi anni hanno già posto in essere, nella prospettiva di un'interpretazione costituzionalmente orientata.
  Faccio esempi banali, ma che rendono l'idea: per esempio la possibilità che i detenuti domiciliari possano essere ammessi al lavoro oppure la possibilità di accedere alle misure attraverso progetti che siano non solo di lavoro, ma di attività di pubblica utilità, di volontariato, di attività riparativa (già lo prevediamo nelle nostre prescrizioni).
  Il problema è che tutto questo venga fatto come noi proviamo a farlo, e qui mi permetto di riagganciarmi al suo discorso, procuratore. Noi lavoriamo sui flussi informativi, che non solo voi, ma tutte le autorità giudiziarie e non ci danno, ebbene io devo registrare, dopo moltissimi anni di magistratura di sorveglianza, che spesso questi flussi informativi sono estremamente scarni, limitati ai certificati penali o poco più.
  Lei ha detto molto bene e io condivido che l'intervento della Procura nazionale antimafia è importante, perché ha il collegamento su tutto il territorio, quindi anche le singole autorità o le procure distrettuali potrebbero non essere al corrente, quindi a noi andrebbe benissimo, perché noi questo già lo chiediamo, sui delitti di mafia e di terrorismo (parlo per la mia esperienza, ma lo fanno molti colleghi negli altri tribunali) noi comunque ci rivolgiamo alla Procura nazionale antimafia per avere le informazioni.
  Il problema – ripeto – non è un esercizio di discrezionalità vuota, noi non lavoriamo sulla fiducia, noi proviamo a lavorare e vogliamo lavorare su flussi informativi veri, che significa che mi si scriva che Tizio, Caio e Sempronio detenuto con regime di 41-bis a Parma è attualmente collegato, come è stato fatto (un caso noto a tutti), ed è questo che ci consentirà di applicare con coerenza, ma in maniera adeguata, secondo quello che non chiediamo noi, ma ci chiede il legislatore costituzionale.
  È importantissimo secondo noi che sia stata introdotta nell'ordinamento laa liberazione condizionale come vera misura alternativa, perché in questi anni, dopo la riforma Gozzini del 1986, l'abbiamo trattata come misura alternativa in realtà, però c'era tutta una serie di situazioni che non consentiva... per esempio il ravvedimento, che è qualcosa di interiore, il problema è capire se il soggetto abbia fatto un percorso attraverso non solo osservazioni interne, ma tutte le altre informazioni, per cui può ritornare (io non ho mai parlato di rieducazione per i detenuti, secondo me il termine giusto è risocializzazione, cioè consentire loro gradualmente di tornare in società, perché non recidivino).
  Faccio un'altra osservazione per chi come me fa sorveglianza da tanti anni. Si pensa sempre che il carcere sia la sicurezza assoluta, non è così. La sicurezza si fa in carcere, individuando le persone che possono accedere e quelle che devono rimanere, perché bisogna essere anche molto chiari e molto coerenti, noi dobbiamo avere questa capacità (ogni tanto dico che dovrei avere la palla di vetro per approfondire), però la sicurezza si fa sull'esterno, essenzialmente anche sull'esterno.
  Se volessimo essere sicuri rispetto a chi delinque, dal minimo al massimo dovremmo dare l'ergastolo a tutti, murarli, e allora il cittadino sarebbe sicuro, può essere una scelta anche questa, ma non è quella della nostra Costituzione, quindi da questo punto di vista ci sono tante positività.
  A fronte di queste molte luci c'è anche qualche ombra (tecnicamente le evidenzieremo nei prossimi giorni). Ad esempio, sul discorso della semplificazione, non per la scelta della semplificazione che è imposta dalla delega e ha anche un senso, ma le Pag. 11modalità secondo noi sono un po’ farraginose per alcuni aspetti, quindi forse potrebbero non arrivare all'obiettivo per cui sono state previste.
  Per quanto riguarda il discorso delle preclusioni, queste erano state inserite successivamente. Il problema è ridare la possibilità al magistrato di sorveglianza di decidere il merito, con tutte queste complessità che ho cercato brevemente di evidenziare. Non faccio il solito discorso sulle risorse, perché di quelle di cui ha parlato la presidente eravamo al corrente, però (me lo chiedono e io lo faccio perché ci credo profondamente) vengo da una situazione abbastanza complessa come quella del Tribunale di sorveglianza di Bologna, ma non è solo quella la realtà, quindi chiediamo che ci sia la copertura immediata degli organici, perché nel mio tribunale, ma anche in altri sono al 40 per cento di scopertura. Non si può ragionare di nulla...
  Si tratta, soprattutto, degli organici degli amministrativi, quindi chiediamo immediatamente la copertura degli organici degli amministrativi, siamo consapevoli e ringraziamo il Ministero per gli aumenti di organico che ha fatto per i magistrati di sorveglianza negli ultimi due anni, però è facile prevedere che, se questa normativa andrà a regime, con l'ampliamento dei tetti, la caduta delle preclusioni e degli automatismi, le procedure aumenteranno a livello esponenziale.
  Se l'obiettivo è quello di essere celeri e di rispondere e di decarcerizzare coloro che sono nelle condizioni di essere decarcerizzati, bisognerà che il Ministero riguardi non solo l'organico complessivo degli amministrativi sul territorio, perché in alcune situazioni sono organici molto vecchi che non sono stati più rivisti, ma anche dei magistrati. Questo bisogna dirselo, tenendo conto ovviamente che ogni realtà è diversa in questo senso, che ci sono flussi che per qualità e quantità sono diversi, quindi che il Ministero controlli anche la produttività. I magistrati di sorveglianza non si sottraggono a queste cose.

  PRESIDENTE. Grazie. Adesso do la parola alla dottoressa Gemma Tuccillo, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Come lei ci spiegherà, ormai l'UEPE, che viene molto valorizzato da questa riforma, non è più sotto il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), ma è sotto il dipartimento diretto dalla dottoressa, quindi può parlarci anche di risorse, perché siamo qui proprio per acquisire elementi di valutazione.

  GEMMA TUCCILLO, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Buongiorno a tutti. Come anticipava la presidente, ritengo che forse l'aspetto iniziale più interessante di quanto ho in animo di dirvi sia proprio legato alla specificità di questo nuovo Dipartimento, perché nato nel 2015 a seguito del Regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia, che vede affiancata alla giustizia minorile la giustizia di comunità. Il Dipartimento si chiama, infatti, per la giustizia minorile e di comunità, con la Direzione generale per l'esecuzione penale esterna e messa alla prova che si affianca ad una Direzione generale beni e servizi trasversale e poi specificamente dedicata all'attuazione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria minorile.
  Non tutti sanno (francamente di questo continuo a rammaricarmi in tutte le sedi nelle quali mi trovo a confrontarmi sui temi dell'esecuzione penale esterna) dell'esistenza di questa Direzione generale ormai autonoma dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
  Di questo mi rammarico perché mi rendo conto che non si è letta, nella scelta di portare accanto alla giustizia minorile l'esecuzione penale esterna per gli adulti, proprio la necessità di dare all'esecuzione penale esterna non più l'aspetto di una costola dell'esecuzione intramuraria o più complessivamente dell'esecuzione della pena, che è invece il passo nuovo, cioè conferire all'esecuzione penale esterna e quindi alle misure alternative e alle sanzioni di comunità una dignità di pena quale la Costituzione stessa, che parla di pene e non di pena, quindi non intende come pena la sola esecuzione intramuraria, una dignità di pena che deve avere esattamente lo stesso valore sanzionatorio, ma ancor più intensamente e profondamente un valore di rieducazione, Pag. 12 di inclusione, di reinserimento sociale.
  È questo il passo che stiamo sempre più tentando e in parte riuscendo a imprimere a questa contiguità di mondi, perché in realtà all'origine di questa scelta di affiancare la Direzione generale per l'esecuzione penale esterna e di messa alla prova alla giustizia minorile c'era proprio la necessità e l'intento di affiancare, per una osmosi naturalmente relativa ai segmenti possibili, l'esperienza trattamentale molto proficua sviluppata all'interno della giustizia minorile, e soprattutto, all'indomani della messa alla prova per gli adulti, la possibilità di mutuare modelli sicuramente rispondenti, perché l'istituto della messa alla prova per i minori è uno degli istituti che meglio ha risposto alle esigenze dei giovani entrati nel circuito della devianza penale, la possibilità di mutuare una serie non solo di buone prassi, ma di modelli trattamentali concreti anche per l'esercizio della messa alla prova per gli adulti.
  Sarebbe stupido e tra l'altro ambizioso poter affermare che questo processo di osmosi si è concluso, ma posso dire che se ne repertano certamente già dei grossi risultati, perché in tutti i segmenti nei quali anche a livello organizzativo abbiamo cominciato a lavorare con indicazioni comuni i risultati sono stati molto positivi. Ve ne cito uno per tutti, perché tra l'altro è un argomento di particolare interesse: come sapete, nelle strutture penali minorili noi accogliamo giovani fino al compimento del venticinquesimo anno di età purché il reato sia stato naturalmente connesso nella minore età. Non sfugge a nessuno che questi giovani che dai 18 ai 25 anni noi definiamo giovani adulti, perché tecnicamente non potremmo definirli minori, sono gli stessi giovani adulti che, avendo commesso il reato al compimento del diciottesimo anno di età, sono invece direttamente detenuti nelle strutture per adulti e che (è del tutto evidente) necessitano ovviamente della stessa attenzione, delle stesse opzioni trattamentali, perché sono portatori degli stessi problemi e delle stesse personalità in età evolutiva.
  È su questi giovani che, soprattutto nella prima fase, perché ci sembrava quella più semplice per l'affiancamento dei due mondi, abbiamo sperimentato una serie di azioni comuni per poter garantire anche ai giovani adulti nelle strutture degli adulti le stesse opzioni e le stesse possibilità trattamentali riservate ai giovani adulti che invece troviamo nelle strutture minorili.
  Come su questo terreno dei giovani adulti, così anche per i progetti di messa alla prova stiamo lavorando molto, con grandissima partecipazione dei tribunali ordinari, per offrire il maggiore e soprattutto più vario ventaglio di opzioni trattamentali per la messa alla prova degli adulti. Da ultimo abbiamo firmato una serie di convenzioni quadro, che poi si sono già in molte sedi tradotte in protocolli operativi con i presidenti dei tribunali, con associazioni che effettivamente hanno dato una risposta.
  Questo ad attestare la partecipazione costante, il grosso aiuto anche in termini di risorse, pur chiarendo che questo non deve mai essere considerato un istituto di supplenza della risorsa a monte del personale specializzato, la collaborazione che il territorio e quindi la comunità (probabilmente anche per questo si è voluto chiamare questo Dipartimento «di comunità») hanno dato, le convenzioni con Legambiente, con l'Ente protezione animali, un accordo quadro con la Conferenza nazionale del volontariato, i cui contenuti sono stati in qualche misura raccolti dai decreti di attuazione, perché prevedono la semplificazione per l'ingresso nelle strutture e negli Uffici di esecuzione penale esterna.
  A questo proposito, poiché anche queste risorse meritano la menzione necessaria, oltre ad un grosso apporto del volontariato, sono già in servizio 48 volontari del servizio civile, 4 per ogni ufficio interdistrettuale dell'esecuzione penale esterna e 4 in Centrale, che hanno risposto prontamente, ed è un tipo di risorsa umana che ci auguriamo di implementare sempre più (ci sono dei bandi addirittura a livello nazionale per poterla implementare).
  A questo proposito, quando parlo a volte per acronimi come UIEPE (Ufficio Interdistrettuale Pag. 13 di esecuzione penale esterna) ed UDEPE (Ufficio distrettruale di esecuzione penale esterna), può essere forse utile rappresentare innanzitutto la struttura territoriale, perché anche questa è nuova, e spesso mi sono trovata anche con colleghi che a fronte di un acronimo non si rendevano conto di cosa si parlasse. Noi abbiamo in questo momento sul territorio 11 uffici interdistrettuali, che sono omologabili ai provveditorati regionali per quanto riguarda l'amministrazione penale o ai centri per la giustizia minorile per quanto riguarda la giustizia minorile, poi abbiamo 18 uffici di esecuzione penale esterna distrettuali, 43 uffici locali e 18 sedi distaccate, di cui attualmente 10 operative. Abbiamo, quindi, una copertura assolutamente ampia di riferimenti territoriali per quanto riguarda l'esecuzione penale esterna, e questo è molto importante soprattutto nell'ottica dell'idea che cammina e che deve camminare anche per il dialogo con il territorio proprio attraverso i nostri operatori territoriali.
  Questi (è inutile negarlo) sono stanchi, ma sono stanchi da tempo, sono sotto organico, ma sono sotto organico da tempo, e devo dar loro merito del fatto che una nuova linfa, un nuovo modo anche di organizzazione del lavoro ha prodotto dei grossi stimoli, ferma restando naturalmente la necessità di implementare e sostenere, soprattutto con un discorso di multiprofessionalità, anche la più piccola delle sedi locali relative all'esecuzione penale esterna.
  Questo perché e in che modo? Perché è imprescindibile che passi il reale messaggio di esecuzione penale esterna uguale a maggiore sicurezza del territorio, ed un dato che io posso portarvi è che il mio Dipartimento ha in animo di creare addirittura, con riferimento alle misure di esecuzione penale esterna, un osservatorio sulla recidiva, certamente il tasso di recidiva di coloro che non hanno mai svolto un segmento intermedio di esecuzione penale, se più complessivamente vogliamo definirla così, è assolutamente inconfrontabile con il tasso di recidiva di coloro che hanno svolto in tutto o in parte le condanne in esecuzione penale esterna.
  Partiamo dal 63 per cento dei soggetti che direttamente sono tornati in stato di libertà dalla situazione intramuraria al 19 per cento della recidiva di coloro che hanno svolto in tutto o in parte l'esecuzione penale all'esterno delle strutture, per passare ad un 2 per cento, se non addirittura all'1 per cento, per coloro che sono stati inseriti in circuiti produttivi che abbiano avuto una consistenza.
  Lo spiego per iscritto, perché depositerò qualche scheda di maggiore accesso anche sinottico alle cose che ho preferito dirvi a braccio.
  Un'altra delle grosse sfide, dove ci aspettiamo naturalmente un aiuto anche in termini di risorse, è quella della coprogettualità, perché io ho un'idea, per non dire un sogno, perché sembra un po’ troppo enfatico, che il reale recupero e la reale sicurezza sociale può essere realizzata se il discorso non si chiude, quale che sia l'esecuzione penale, intra o extra muraria, con l'ultimo giorno di pena, la presa in carico di una persona che ha commesso un reato spesso grave, ma che ha risposto in qualche modo al trattamento non può essere una presa in carico che finisce con l'esecuzione penale, ma deve continuare anche dopo, quindi con l'ausilio di tutte le strutture territoriali che possano attuarne una presa in carico, naturalmente con caratteristiche diverse, naturalmente moderatamente affiancante, ma che comunque possa dare la possibilità di un sostegno che intervenga prima di una possibile recidiva.
  D'altro canto (aggiungo un altro dato d'interesse che troverete nella relazione) le revoche delle misure alternative sono tante. Abbiamo in questo momento 47.690 misure in esecuzione, parlo del 31 dicembre, diciamo circa 48.000 e abbiamo dei tassi di revoca, però...

  PRESIDENTE. Dell'esterna?

  GEMMA TUCCILLO, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Parlo sempre dell'esterna, mi mantengo nei limiti del possibile nel mio ambito di competenza. Pag. 14 Abbiamo numerose revoche, circa 2000, e certamente non sono poche, però di queste revoche pochissime sono quelle perché è stato commesso un altro reato (questo per ricollegarmi al discorso della recidiva).
  Sempre con riferimento alla sicurezza, abbiamo dal 1° dicembre un decreto che istituisce presso gli uffici di esecuzione penale esterna nuclei di Polizia penitenziaria. Ne prevediamo, naturalmente distribuiti sul territorio nazionale, 333 su una pianta organica che ci è stata assegnata di 1390 unità, e la Polizia penitenziaria, con un ampliamento delle funzioni così come previste anche dai decreti attuativi, rappresenterà anche ulteriormente un motivo di sicurezza per il territorio.
  Per quanto riguarda le risorse sarò brevissima, tanto troverete tutto nelle tabelle e anche nel documento che vi ha anticipato la presidente. La cosa particolarmente significativa è il concorso per 296 assistenti sociali, e posso dare come notizia che ci abbiamo lavorato con particolare alacrità e molto probabilmente il 9 febbraio sarà pubblicato il bando del concorso sulla Gazzetta Ufficiale. Abbiamo avuto degli implementi di risorse specifiche per l'esecuzione penale esterna e in trend di aumento per il prossimo quadriennio, e in particolare la possibilità di molte più risorse per gli esperti ex articolo 80, che sono dei professionisti del servizio sociale, educatori sociali, che sono un grossissimo sostegno specializzato e professionale all'interno delle strutture.
  Mi fermo qui per motivi di tempo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Ovviamente riguarda tutti: chi vuole darci adesso un documento ce lo consegna, chi lo vuole mandare entro la settimana potrà inviare alla Segreteria una mail all'indirizzo da cui ha ricevuto la convocazione.
  Ho chiesto poco fa al procuratore nazionale antimafia fino a che ora può fermarsi e mi ha detto fino alle 14.00, quindi finiamo queste audizioni per consentire qualche domanda e dopo arriveranno anche i professori.
  Darei, quindi, la parola al segretario dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI), Francesco Petrelli.

  FRANCESCO PETRELLI, segretario dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). La ringrazio, presidente. Credo che sia opportuno, anche perché l'audizione è molto affollata, che io lasci la parola all'avvocato Riccardo Polidoro, che ha partecipato ai lavori della Commissione, quindi sembra opportuno che sia lui a relazionare.

  RICCARDO POLIDORO, responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione Camere penali italiane (UCPI). Voglio innanzitutto chiarire che questo schema di decreto legislativo rappresenta certamente un ritorno alla Costituzione. Come tutti sanno, è frutto del lavoro degli Stati generali, delle Commissioni parlamentari, frutto di tre anni di lavoro, e anche e, soprattutto, di una legge delega che è stata approvata dal Parlamento.
  Questo schema di decreto rispetta, ad avviso dell'Unione Camere penali, precisamente i criteri della delega. Certo mancano due pilastri importanti, quello della affettività e quello del lavoro, che sono pilastri importantissimi se ci vogliamo realmente riavvicinare alla Costituzione.
  Ho letto il resoconto sommario della seduta della Commissione Giustizia del 17 gennaio scorso e voglio credere alle rassicurazioni del Sottosegretario Ferri, che ha detto che stiamo solamente in un momento di stand by, occorrono risorse, e noi aspetteremo e vigileremo, perché questo schema di decreto legislativo senza il lavoro e l'affettività è sicuramente uno schema di decreto monco. Questa, comunque è una riforma che l'Unione Camere penali è pronta a difendere, perché è una riforma necessaria, utile, e finalmente recupera quello che era lo spirito del 75, che è stato poi man mano abbandonato, cioè ritorna alla Costituzione.
  Devo dire però che siamo preoccupati, perché nel leggere il resoconto sommario della seduta scorsa ho purtroppo dovuto leggere che un componente della Commissione ha definito questo schema di decreto «criminale».

Pag. 15

  PRESIDENTE. Una forza politica...

  RICCARDO POLIDORO, responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione Camere penali italiane (UCPI). Sì, una forza politica. Noi abbiamo lavorato tre anni per fornire materiale per la riforma, non per fornire materiale per una campagna elettorale. Questo sia chiaro, perché tutto il materiale che noi abbiamo elaborato rispecchia la Costituzione, e rispecchia soprattutto una legge delega licenziata dal Parlamento.
  Io non vorrei che il sacrificio di avvocati...

  PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, avvocato. È la prima volta che viene qui in Commissione, vero, come rappresentante Camere penali?

  RICCARDO POLIDORO, responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Credo di essere in una sede politica, e quindi di avere...

  PRESIDENTE. No. Le vorrei chiedere questo, proprio per l'andamento.
  Ovviamente, vorrei minimamente spiegare, anche se non ci sarebbe bisogno, ma lo dico solo perché ho visto già un po’ di agitazione e da presidente lo devo fare.
  L'altra volta, siamo stati in fase di discussione. Ciascuna forza politica rappresenta la sua posizione, ma poi tutte le forze politiche hanno chiesto quest'indagine conoscitiva. Qui siamo proprio nella fase tecnica in cui offriamo degli elementi di valutazione, perché poi proseguiremo con l'esame. Lo volevo dire proprio per evitare...

  RICCARDO POLIDORO, responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Presidente, guardi, senza nessuna polemica...

  PRESIDENTE. No, non volevo nemmeno interromperla. L'ho detto proprio per evitare...

  RICCARDO POLIDORO, responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Proprio perché questa è un'indagine conoscitiva, allora è bene che si conosca la posizione dell'Unione Camere penali su questo.
  Quando si sente dire che questo sarebbe un decreto criminale, è una posizione che assolutamente non accettiamo. Come ho detto all'inizio del mio intervento, è uno schema di decreto che farà altre cose, rappresenta una legge delega che il Parlamento è stato obbligato a emanare dopo la Torreggiani, che credo tutti conoscano.
  Siamo in una situazione in cui questo decreto va difeso, perché noi lo riteniamo un piccolo...

  VITTORIO FERRARESI. Ci spieghi il perché.

  PRESIDENTE. La prego di non interrompere un audito ulteriormente.
  Lo stava facendo. Ha voluto fare una premessa. Ognuno qui ha fatto le sue premesse. L'Unione Camere penali, peraltro, è stata chiesta da più gruppi, e sono stati dei nostri interlocutori ripetuti.

  VITTORIO FERRARESI. È sempre stato fatto, però, un intervento diverso.

  PRESIDENTE. No. Ho soltanto voluto chiarire. Dal resoconto risulta bene la posizione che è stata assunta, anche l'intervento successivo. Adesso, però, vorrei che l'avvocato potesse esprimere il suo pensiero. Diamogli la parola. La Commissione riceve come ospiti esponenti di organismi della società. È il momento in cui il Parlamento si apre alla società, quindi facciamolo esprimere, poi dopo facciamo tutte le valutazioni. Anche in sede di domande le può fare.

  RICCARDO POLIDORO, responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Riprendo la parola su quest'indagine conoscitiva. Se si vuole conoscere, forse sarebbe il caso di non interrompere, perché così si conosce meglio.
  La riforma va difesa, perché? Perché rispetta i criteri di una delega del Parlamento, la difesa, perché è vicina alla Costituzione. Pag. 16 Va difesa perché aumenta l'accesso alle misure alternative, e questo l'ha già detto benissimo la dottoressa Tuccillo.
  Ci sono delle statistiche che dicono chiaramente che chi sconta la pena in misura alternativa delinque molto meno successivamente, ha una recidiva molto più bassa di chi sconta la pena in carcere; si semplifica il procedimento di sorveglianza; si responsabilizza il condannato, il detenuto; si applicano dei princìpi di giustizia riparativa; si incentivano progetti di pubblica utilità. Ritengo che questi siano dei piccoli avvicinamenti alla Costituzione.
  Noi ci auguriamo che il completamento dei lavori, con lavoro ed effettività possa veramente far tornare l'ordinamento penitenziario alla Costituzione. Su questo la posizione dell'Unione Camere penali credo sia molto chiara.
  Voglio poi rispondere al procuratore antimafia, dottor Cafiero, che conosco, perché sono napoletano, e anzi colgo l'occasione per fargli gli auguri per quest'incarico.
  Per quanto riguarda quello che lei ha detto, che la procura nazionale antimafia non sarebbe d'accordo sulla diminuzione o l'eliminazione della capacità di veto che trova elementi di fatto del procuratore antimafia, le voglio dire che credo che la riforma abbia dato una prevalenza a valorizzare la giurisdizione, e nella giurisdizione anche la procura antimafia, per quanto importante sia, è una parte del processo. Io credo che non sia possibile che una procura, per quanto antimafia, possa mettere un veto su qualcosa su cui il giudice deve decidere. Credo che la procura antimafia possa dare pareri, informazioni, molte informazioni, quante più informazioni possibile, ma l'ultima parola spetta al giudice. Questa è la nostra struttura costituzionale.
  Poi lei ha fatto un accenno a Napoli. Molto rapidamente, le voglio dire questo. Anch'io sono napoletano, e sul discorso delle baby gang io credo che si stia sbagliando tutto. A Napoli le baby gang sono pronte a giocare a guardie e ladri, e così la partita si perde.
  Facciamo avvicinare questi ragazzi a dei maestri di strada, portiamo il welfare reale sul territorio, perché la partita a guardie e ladri si perde, si perde sicuramente.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Saluto il professor Glauco Giostra e il professor Franco Della Casa che ci hanno raggiunto e li ringrazio per la disponibilità.
  Il procuratore nazionale antimafia deve andare e credo anche altri. Io vorrei, se possibile, far rivolgere adesso le domande agli auditi che ci sono stati finora, poi riprenderei con l'altra parte dell'audizione. Chi vuole rimanere, ovviamente può rimanere, ma vorrei consentire ai colleghi, terminata questa prima parte, in cui abbiamo sentito avvocatura e magistratura sostanzialmente a tutto campo, di poter effettuare se necessario delle domande.
  Do quindi la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE MATTIELLO. Prendo la parola per rivolgere una domanda in particolare al procuratore De Raho, e quindi il mio intervento si concentrerà sulle questioni che il procuratore De Raho ha voluto sottolineare, ovviamente a partire dalla sua competenza.
  Vorrei introdurre la domanda che faccio al procuratore De Raho con una breve premessa, che però mi sembra necessaria anche alla luce di alcune riflessioni che sono state fatte.
  Vorrei ribadire, con profondo rispetto per il lavoro del procuratore De Raho, che per noi la mafia non è considerabile un'emergenza, se per emergenza si intende qualcosa di straordinario che capita in un certo territorio e in un certo momento, per cui si adottano provvedimenti d'urgenza. Per noi, la mafia non è un'emergenza, anzi il contrario. Purtroppo, nella storia del nostro Paese sono state talvolta necessarie delle tragedie per accorgersi della presenza strutturale della mafia e approvare determinate norme, che giudichiamo ancora oggi fondamentali.
  Una di queste è quella relativa alla centralità della collaborazione come spartiacque nel trattamento penitenziario di coloro che sono condannati per mafia. Se si collabora, Pag. 17 si dimostra un ravvedimento, e quindi si dimostra di voler rompere con il sodalizio mafioso; se non si collabora, quella della permanenza del rapporto con l'organizzazione mafiosa è una presunzione del tutto legittima.
  Fatta questa premessa che sentivo importante, lei, procuratore De Raho, ha sottolineato sei perplessità. Vorrei che lei, queste sei perplessità, le potesse considerare alla luce di ciò che abbiamo voluto ribadire intanto nella legge delega.
  C'è uno schema di decreto delegato che cerca di valorizzare la pretesa costituzionale della funzione rieducativa della pena e l'importanza della giurisdizione, e che quindi sia il giudice nella sua autonomia a valutare, caso per caso, che cosa sia bene o non sia bene fare. Noi abbiamo voluto anche insistere su queste altre due coordinate.
  Le sei preoccupazioni che lei ha sollevato, alla luce di queste due coordinate della legge delega e dello schema di decreto, come ci suggerirebbe di trattarle, in particolare la quarta perplessità, quella relativa all'articolo 47?

  TANCREDI TURCO. Io ho due domande molto brevi e specifiche. Le rivolgo a tutti gli auditi, poi spero di avere più risposte possibili.
  La prima domanda è questa.
  Questo schema di decreto legislativo agevola in qualche modo la scarcerazione, tranne, come mi sembra di aver capito, quella dei condannati per reati mafiosi: è compreso anche chi è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa? Mi riferisco in particolar modo al caso di Marcello Dell'Utri.
  La seconda domanda è questa. Le modifiche contenute nello schema di decreto legislativo in materia di pene accessorie possono avere impatto sulla disciplina relativa all'incandidabilità dei parlamentari? Mi riferisco, in questo caso, specificamente alla vicenda di Silvio Berlusconi.

  PRESIDENTE. Andiamo avanti. Grazie anche per la sinteticità, ma l'onorevole Turco è sempre stato molto incisivo.

  NICOLA MOLTENI. Sarò velocissimo, al netto delle mie considerazioni di grandissima preoccupazione su questa riforma, ricordando che siamo a Camere sciolte, che tra pochi giorni inizierà la campagna elettorale e che tra un mese potremmo avere un Governo diverso.
  Chiedo al procuratore nazionale antimafia, visto che stiamo affrontando una riforma complessa e importante, che avrà un'incidenza significativa sul sistema del carcere del nostro Paese: alla luce delle sue osservazioni e delle sue perplessità, evidenziate in maniera estremamente chiara, non ritiene opportuno, ovviamente nella sua discrezionalità e nell'ambito di questa Commissione, suggerire al Governo e alla Commissione un momento di riflessione ulteriore su questa riforma?
  Si sta accelerando, credo che la delega scada il 2 marzo: alla luce delle osservazioni fatte – lo chiedo a tutti, e mi rivolgo in modo particolare al procuratore nazionale antimafia – non è il caso di soprassedere per un'analisi ulteriore e più approfondita degli elementi contenuti in questo schema di decreto legislativo, che cedono molto sul punto della sicurezza nel nostro Paese? Io sono molto preoccupato.

  VITTORIO FERRARESI. Sarò meno sintetico, ma sarò sempre sul tecnico, con premesse che riguardano il testo, non andrò sul politico.
  Io, ovviamente, ho fatto una critica a questo testo, ma l'ho fatta dal punto di vista politico. Non mi permetterei mai di dire che c'è una Commissione che fa un atto criminale. Semmai, appunto, c'è stata una delega, e quindi politicamente prendo le mie posizioni.
  C'è, però, anche da dire che gli stati generali, per quanto riguarda l'ordinamento penitenziario, dal mio punto di vista sono andati in una direzione unidirezionale, non ascoltando secondo me alcuni operatori della giustizia che potevano vederla in modo differente. C'è da dire questo.
  Io credo che il punto cardine di partenza sia giusto, cioè tenere le misure alternative per il recupero sociale dei detenuti. Anch'io sono d'accordo, profondamente d'accordo. C'è, però, una discordanza tra gli atti e la realtà. Pag. 18
  Non possiamo far finta di vivere in Norvegia o in Svezia. Dobbiamo parametrarci alle risorse e alla situazione delle carceri italiane. La situazione delle carceri italiane –lo dicono negli ultimi mesi i quotidiani e la rassegna stampa – è una tragedia dal punto di vista, primo, della sicurezza. Come si pretende di far uscire della polizia penitenziaria all'esterno per i controlli quando c'è un poliziotto penitenziario che, chiuso in un gabbiotto, controlla cento, duecento, trecento detenuti? È impossibile. Questi sono i dati.
  Io ho parlato anche con magistrati di sorveglianza e avvocati che dicono, molti – poi sarò sconfessato, ovviamente, dalla rappresentante della magistratura di sorveglianza – che non riescono ad andare nelle carceri, a trattare il singolo caso con strumenti di scientificità, che fanno più o meno da passacarte. Questo mi verrà confermato o meno. Io non sto parlando di tutte, ma sto parlando di una difficoltà di risorse e di uomini evidente.
  Alla sicurezza dei controlli e alla qualità delle misure alternative qualcuno ha pensato? Io ho una rassegna stampa di questi mesi pesantissima su violazioni e, addirittura, infiltrazione della criminalità organizzata in gestione di misure alternative: il lavoro lo garantisce la mafia e si esce dal carcere, come è successo in Sicilia, per non parlare delle persone, come è successo a Bologna qualche tempo fa, che gestiscono traffici di stupefacenti e pestaggi dal carcere, utilizzando telefoni cellulari, che oggi con questa delega si vorrebbero introdurre per i detenuti, ogni moderno strumento tecnologico. Che cosa vuol dire? Sono abbastanza preoccupato su questo.
  Le risorse non ci sono. La qualità delle misure alternative del lavoro non esiste. Mi fa piacere che il rappresentante dell'Unione Camere penali abbia incentrato il punto sul lavoro, che doveva essere la priorità. La priorità dovrebbe essere il lavoro, cioè il reinserimento, perché solo il 4,8 per cento dei detenuti svolge un lavoro oltre a quelli prettamente carcerari. Se non c'è il lavoro, se non c'è un investimento nelle risorse, nel controllo, nella sicurezza, questi allargamenti di maglie possono servire, ma dopo. Prima, si investe sulla risorsa, ma questa è una domanda, se ritenete cioè che prima si debba investire sulle risorse, sulla qualità delle misure e poi sull'allargamento delle misure. Diversamente, questa è una sfida persa in partenza.
  Secondo me, invece, ci sono dei punti fuori delega, ad esempio quello riguardante i volontari. Si dice che si semplificano le procedure prevedendo l'autorizzazione del direttore, facoltà oggi in capo al magistrato di sorveglianza. Questo nella delega non è inserito. C'è una maggiore valorizzazione del volontariato all'interno e all'esterno del carcere, collaborazione, ma dov'è scritto che il direttore può autorizzare le persone a entrare come volontariato, prerogativa tolta al magistrato?
  Allo stesso modo, non è scritto da nessuna parte che il procuratore nazionale antimafia non ha più l'obbligo di controllo per quanto riguarda il collegamento tra i detenuti e le organizzazioni criminali sul territorio.
  Ancora, non è scritta da nessuna parte la questione dell'alimentazione, ma è nella lettera v), sempre della delega, anche se non è stata scritta. Andrebbero attuati.
  La preoccupazione è fondamentalmente su questo, sulla sicurezza, sul controllo e sulla qualità delle misure, che doveva venire prima dell'allargamento delle misure stesse, sennò non sono efficaci.
  Andiamo alla recidiva, e qui mi riferisco alla dottoressa Tuccillo.
  Ho già parlato del lavoro. I dati sulla recidiva in Italia non esistono. L'ha confermato il Ministro Orlando. Il vostro studio sulla recidiva, come affermate voi stessi in alcune note, è falsoe vi spiego subito perché.
  Primo, voi prendete in considerazione i condannati con sentenza definitiva; e quelli che sono in fase di processo e non hanno una sentenza definitiva, li mettiamo o non li mettiamo dentro?

  PRESIDENTE. Non è un convegno.

  VITTORIO FERRARESI. Mi riferisco alla recidiva, cioè a chi esce e viene controllato. I dati vengono affrontati sulla base di persone Pag. 19 che sono uscite, hanno effettuato un percorso e poi non sono tornate dentro. Se, però, nel frattempo c'è un processo, e quindi non ci può essere una condanna definitiva, i dati non possono rientrare all'interno delle recidive.

  PRESIDENTE. Sta facendo delle domande, delle riflessioni che si traducono in domande, a cui risponderanno gli auditi. Ha finito?

  VITTORIO FERRARESI. No.

  PRESIDENTE. Vada, però, alle domande. La discussione, la facciamo dopo.
  Poi ci sono anche le domande ai professori Giostra e Della Casa.

  VITTORIO FERRARESI. Le farò anche a loro.

  PRESIDENTE. Appunto. Allora, se possibile, sintetizzi le riflessioni in domande, così possono rispondere, altrimenti diventa un monologo.

  VITTORIO FERRARESI. Presidente, quello della recidiva è un perno, secondo me, su cui si basa questo provvedimento.

  PRESIDENTE. Direi che i dati non sono veritieri, più che essere falsi.

  VITTORIO FERRARESI. Le stavo spiegando perché, poi finisco.
  L'aggiornamento del casellario giudiziale spesso non è tempestivo, quindi non può essere ricompreso nei dati; il campione utilizzato è quello dell'8,46 per cento di donne, mentre la popolazione carceraria è del 3,8; i reati molto spesso non vengono individuati sui furti, in aumento, forse l'unico reato in controtendenza rispetto ai reati generali, e non ne viene individuato il 95, ma solo il 5 per cento.
  Questo studio, come mi pare dica lo stesso Fiorentini, non può essere giudicato affidabile. Ci servono ulteriori dati, ulteriori statistiche, ma non è giudicato affidabile soprattutto per il fatto, appunto, che la qualità di queste misure non può essere garantita nel nostro Paese.
  Soprattutto, per quanto riguarda le risorse, ovviamente c'è da investire, ma abbiamo un 58 per cento di aumento di sequestri dei telefoni nel 2017; come le ho già detto, un'infiltrazione della criminalità organizzata che comanda dalle carceri, soprattutto sulle misure alternative; casi recenti, soprattutto nel napoletano, come ben sapete, di violenze rivolte all'interno degli istituti che si occupano del recupero dei soggetti minorili. Come tutti sappiamo, basta andare a vedere certe situazioni, dove appunto i ragazzi, soprattutto i minori, sono letteralmente fuori controllo.
  Le mie domande sono su questo: su che cosa basiamo quest'intervento? Ci rendiamo conto che le risorse non sono sufficienti a garantire una qualità e un controllo delle misure? La mia preoccupazione è sostanzialmente questa, oltre agli eccessi di delega e alle risorse.

  PRESIDENTE. Vi prego, visti i tempi, di fare delle domande. Onorevole Rossomando, mi appello a lei.

  ANNA ROSSOMANDO. Più che un telegramma, un tweet, a questo punto. Ma sono aumentati i caratteri anche del tweet.
  La domanda vorrebbe essere secca. Sul tema dati sulla recidivanza in misure alternative sarei interessata, oltre che a una risposta diretta nella documentazione che verrà presentata, a conoscere tutto quello che è stato fatto sia dalla commissione in ANM sia dalla commissione dei giudici di sorveglianza. Ci possono fornire questi dati?
  Naturalmente, poi valuteremo e faremo tutte le discussioni che vogliamo. Non è i dati che si possano dire veritieri o non veritieri. Si valuta come sono argomentati e poi ne trarremo le dovute considerazioni.
  Allo stesso modo, mi permetto di dire, ma è una mia opinione personale, che non possiamo chiedere agli auditi di fare valutazioni sui tempi di approvazione, Governo o non Governo. Mi limito solo a ricordare che questa legge, con tutto il contenuto della legge delega su cui abbiamo discusso e votato, è transitata ed è stata in Parlamento Pag. 20 credo quasi tre anni. Abbiamo fatto tutti gli approfondimenti. Poi le considerazioni sono legittime.
  Ancora, ma solo a chiusura, ricordo che abbiamo anche discusso molto e approvato un provvedimento sulle misure cautelari intese come custodia cautelare in carcere, di cui all'epoca sottolineammo proprio l'urgenza. Se non si è definitivi, si rischia paradossalmente di non avere neanche l'accesso ai trattamenti – questa era uno dei problemi – a differenza di quando si è in esecuzione della pena. Non può essere minimamente sovrapposto. Questo è un dato tecnico di procedura penale indiscutibile. Non si può aprire un dibattito su questo. Si può riguardarsi, nel caso, il codice.
  Ultima questione che mi interessa, oltre alla valorizzazione della giurisdizionalizzazione, e quindi degli automatismi in positivo, invece ridotti al minimo, in positivo e in negativo rispetto alla precedente legislatura, è quella della valutazione sul fatto che una serie di questioni è affidata direttamente al singolo magistrato di sorveglianza, che già oggi ha competenza per le urgenze, ma a mio parere sottoimpiegato, e che quindi proprio dal punto di vista della razionalizzazione delle risorse, quindi non solo della quantità, sta nell'impianto generale.
  C'è una serie di questioni: se ritenete, come possono essere affrontate? Mi fermo alla domanda, perché ci siamo capiti, per chi ha studiato il provvedimento.

  ANDREA MAESTRI. Mi sento di ringraziare moltissimo tutti gli auditi, perché hanno fornito degli spunti preziosi alla nostra discussione.
  Ci sono tre temi, in particolare, sui quali chiederei qualche valutazione di approfondimento ai nostri interlocutori.
  Mi riferisco al tema delle donne detenute; a quello dei minori detenuti, spesso con le madri – mi sembra di aver visto nella documentazione del Servizio studi della Camera che ci sono ancora nel nostro Paese 56 bambini detenuti insieme alle loro madri nelle carceri italiane – a quello dei detenuti migranti. Spesso, quando uniamo queste tre tipologie (detenuta con minore di origine straniera), troviamo situazioni estremamente complesse dal punto di vista dell'esecuzione penale. Chiederei, quindi, un approfondimento su questi tre ambiti specifici.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi di questa partecipazione molto attiva.
  Do la parola agli auditi per la replica.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Preliminarmente devo chiarire che, quando ho parlato dell'eliminazione dell'intervento del procuratore nazionale nell'ambito della concessione dei benefìci, laddove si riferiva di un intervento la cui manifestazione era addirittura ostativa alla concessione, è chiaro che non ho guardato ad esso come ad un elemento da mantenere. È certo che il magistrato rispetta la giurisdizione, che ce l'ha nel cuore, per cui sul fatto che sia la giurisdizione a decidere non c'è dubbio.
  Che, però, la giurisdizione si esprima con il contributo delle conoscenze, lo giudichiamo fondamentale.
  Non riusciamo a comprendere perché, quindi, il comma 2 dell'articolo 4-bis, dopo che era stato soppresso, come ho detto poc'anzi, il comma 3-bis, inserisca il parere del procuratore della Repubblica individuato ai sensi dell'articolo 51, commi 3-bis, 3-quater e 3-quinquies, del codice di procedura penale, in relazione al distretto ove è stata pronunciata la condanna. Questo è il comma 2 nella nuova formulazione.
  Viene, invece, obliterato totalmente l'intervento del procuratore nazionale, che pure si esprime con pareri nell'ambito della custodia, come nell'ambito della detenzione, dei condannati ai sensi dell'articolo 51, comma 3-bis e comma 3-quater. È solo questo l'inserimento che sottolineavo come indispensabile.
  Ancora, il comma 3 dello stesso articolo 4-bis, prevede l'intervento del procuratore della Repubblica, individuato ai sensi del comma 2. Anche qui è pretermesso il procuratore nazionale, pur sottolineando e confermando che quest'ultimo ha sicuramente maggiori conoscenze del procuratore distrettuale relativamente al luogo della condanna. Pag. 21
  Per quanto riguarda gli altri aspetti che avevo sottolineato, è evidente che mi riferisco esclusivamente ai condannati per reati di mafia e terrorismo, laddove gli articoli 47-ter e 47-quinquies modificano questa possibilità ammettendo le persone che si trovano nelle condizioni previste dagli articoli pur essendo condannate per quei reati. Diciamo semplicemente che probabilmente è in contrasto con l'articolo 85 della delega. Probabilmente, per quei reati il principio è che comunque restano in carcere. È una valutazione...

  PRESIDENTE. Che sono, per essere più chiari...

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. L'articolo 15 dello schema di decreto legislativo.

  PRESIDENTE. Sì, l'articolo 15, ma parla di detenzione domiciliare per questi soggetti, quindi anche 4-bis, comma 1, laddove ci siano prole o figli con disabilità. È questo.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Ancora, si è enunciato come principio che per i condannati per reati di mafia e terrorismo resta fermo l'articolo 4-bis, ma poi quando si parla dei condannati per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti o per associazione finalizzata al contrabbando, due associazioni proprie delle mafie, ci si limita ai capi, agli organizzatori, ai promotori, per cui i partecipi si trovano in una condizione diversa. Si apre, quindi, ai partecipi. E per noi è, almeno secondo la nostra valutazione, un vulnus al sistema sicurezza e al sistema interruzione dei collegamenti e rientro sul territorio.
  Questi sono gli unici elementi sui quali ho espresso una valutazione. Non credo di poter aggiungere nient'altro oltre a quello che ho detto.

  PRESIDENTE. C'era la domanda dell'onorevole Molteni, una domanda specifica al procuratore nazionale antimafia: ritiene, alla luce di queste considerazioni, che comunque sarebbe opportuno soprassedere alla riforma?

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Questa è politica, presidente.

  PRESIDENTE. L'ha fatta lui, la domanda.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Credo sia una questione alla quale dovrete rispondere voi. Io mi limito a mantenere i profili tecnici che ho rilevato.

  PRESIDENTE. Benissimo.
  La ringraziamo, come tutti, per il tempo che ci avete dedicato. Vi ringraziamo molto.
  Per l'ANM c'è qualcuno che vuole rispondere? Avrete ognuno preso nota degli aspetti più significativi.

  ALCIDE MARITATI, presidente della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Con riferimento ai dati sulla recidiva – qualcuno li ha citati – noi non abbiamo dati diversi da quelli cui hanno fatto riferimento le autorità amministrative competenti.
  Dicevo, in relazione alla recidiva, che noi non abbiamo studi interni, evidentemente, quindi facciamo riferimento ai dati ufficiali del Ministero. Non abbiamo fatto studi particolari.
  Relativamente alla questione minori, in particolare stranieri, dei detenuti stranieri, rileviamo, sempre sotto il profilo dell'adeguatezza delle risorse che vorranno essere intraprese per l'esecuzione di questo disegno riformatore, che uno dei punti nodali sarà proprio quello degli alloggi e delle dimore sociali, che dovranno, inevitabilmente, essere messi in gran numero a disposizione, altrimenti ci sarà una fascia sostanziosa della popolazione carceraria che non potrà beneficiare degli allargamenti che la riforma sta prevedendo per tutti. Questo sarebbe certamente equivalente a Pag. 22tradire anche lo spirito costituzionale dell'articolo 3 con riferimento ai detenuti.
  Lascio la parola alla collega.

  MARIOLINA PANASITI, coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Intervengo soltanto su un punto, che qualcuno ha toccato, mi pare l'onorevole Rossomando, sull'ampliamento dei poteri dei magistrati di sorveglianza.

  PRESIDENTE. Monocratico.

  MARIOLINA PANASITI, coordinatrice della Commissione esecuzione penale e carcere e componente del Comitato direttivo centrale dell'Associazione nazionale magistrati (ANM). Monocratico.
  In realtà, la riforma prevede già un ampliamento per quanto riguarda le misure sotto i 18 mesi.
  Per quanto riguarda l'esperienza dei tribunali di sorveglianza e degli uffici di sorveglianza, per disposizione dell'ordinamento penitenziario, non toccata dalla riforma, è preferibile – è in tal senso proprio la disposizione all'articolo 70 – che il magistrato singolo di sorveglianza che segue il trattamento del detenuto poi componga anche il collegio, possibilmente prevalentemente: devo dire che quest'ampliamento e questa possibilità di realizzare come organo monocratico, ma anche inaudita altera parte con un eventuale contraddittorio poi differito, si pongono nella scia di quello che è già l'approccio culturale che molti tribunali di sorveglianza auspicavano da tempo.
  Poi si può discutere se sia bene farlo per 18 mesi, per due anni e così via, ma guardate che questa è una cosa molto, molto utile. Almeno, nella mia esperienza di magistrato di sorveglianza era uno dei tanti protocolli che volevamo proprio sollecitare onde evitare le lungaggini dovute soprattutto alle notifiche, alla ricerca degli imputati che non si trovano, all'intervento dell'UEPE, alla composizione del collegio che ha problematiche di spazi e di aule tutte particolari.
  Sicuramente, invece, i 18 mesi sono nel senso della deflazione, ed è uno dei tanti elementi sui quali vorrei spendere proprio qualche parola estremamente positiva, come del resto ampiamente detto su altri punti della legge.

  PRESIDENTE. Grazie. Chiedo ai rappresentanti del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza se desiderino rispondere.

  ANTONIETTA FIORILLO, coordinatrice del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza.
  Vorrei dare una risposta all'onorevole Ferraresi. Ho già detto che abbiamo pochi magistrati di sorveglianza rispetto a quelli che ci servono, ancor meno operatori amministrativi, ma in tutto questo nessuno di noi può dimenticare che il contatto con il detenuto è previsto dall'articolo 69. I colloqui in carcere vanno fatti. Questo ci aiuta anche a conoscerli. È un po’ la figura che si vuole interpretare.
  Io ho sempre pensato, da molti anni, che non è la toga a fare il magistrato, ma il magistrato a riempire di contenuto il suo servizio, secondo il suo approccio. Ci sono stati, e lo dico con chiarezza, degli approcci e degli avvicinamenti in questi anni dopo la riforma dell'ordinamento penitenziario, che ha posto la decennalità, per cui nei nostri uffici – lo dico pubblicamente, perché l'ho sempre detto, anche nelle sedi istituzionali – è arrivata una serie di colleghi che pensavano che fosse il riposo, che non ci fosse da fare nulla e che fosse semplice lavorare con i detenuti. Non è affatto semplice.
  Si lavora con i detenuti – riprendo il discorso di prima – per produrre sicurezza. Noi produciamo. È questo quello che bisogna che si faccia capire al cittadino, che noi non demoliamo il sistema di sicurezza, lavorando bene con il problema delle risorse che lei dice. A volte, si lavora male anche dove ci sono le risorse, perché l'Italia è a macchia di leopardo. Noi aiutiamo a produrre sicurezza, e non il contrario.
  Aggiungo una cosa che ho dimenticato prima nella sintesi. Il discorso della detenzione Pag. 23 domiciliare per i soggetti, le donne, ora anche gli uomini, anche condannate per mafia è un portato diretto delle eccezioni di costituzionalità, che il tribunale di sorveglianza di Firenze, cioè la sottoscritta, ha fatto nel 2014, che è stato accolto dalla Corte costituzionale.
  Quello che ha fatto il procuratore nazionale è un discorso di cui i magistrati di sorveglianza avveduti sono assolutamente al corrente. Io credo personalmente di aver conosciuto in questi anni tutta la criminalità italiana, e posso disegnare le loro ramificazioni. Non è che va fuori per forza. Torniamo al merito.
  Il soggetto, la donna su cui avevamo sollevato l'eccezione di costituzionalità, non è uscita. Lì si è affermato che l'interesse del minore, in questo caso anche del figlio disabile, ma c'erano state interpretazioni evolutive in questo senso, anche maggiorenne, è prioritario rispetto alla preclusione, ma non deve uscire per forza.
  I discorsi del procuratore nazionale sulle donne di mafia sono molto sentiti all'interno della magistratura di sorveglianza. Non viviamo in un Empireo. Viviamo assolutamente il nostro tempo e le difficoltà che questo comporta, anche in regioni in cui teoricamente non ci dovrebbe essere la criminalità organizzata e c'è da molti anni, anzi da decenni.

  PRESIDENTE. Qualcuno di voi che non ha parlato vuole aggiungere qualcosa?

  MARCELLO BORTOLATO, segretario del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza. Semplicemente, sotto il profilo tecnico vorrei aggiungere una considerazione a quello che ha appena detto la coordinatrice nazionale sul discorso delle donne di mafia, che è un argomento che è emerso oggi in maniera pressante, soprattutto dopo quello che ha detto il procuratore nazionale antimafia.
  Al di là del discorso sulla consapevolezza che la magistratura di sorveglianza ha, ovviamente, dei profili di pericolosità, e che entrano nella valutazione discrezionale che deve fare anche una volta che sono abbattute le preclusioni, vorrei riferirmi semplicemente all'intervento che è stato fatto con lo schema di decreto legislativo.
  Lo schema di decreto legislativo non ha minimamente toccato le condannate di mafia, semplicemente perché bisogna anche fare i conti con il quadro attuale. A normativa vigente, la donna, di mafia o non di mafia, pericolosa o non pericolosa, collaborante o non collaborante, se è incinta o ha un bambino fino a un anno, comunque viene scarcerata, e viene scarcerata ai sensi di una norma del codice Rocco del 1930, l'articolo 146. Questo è un dato di fatto, su cui certamente la legge delega non poteva arretrare.
  Similmente, la madre detenuta di mafia, collaborante o non collaborante, che abbia un bambino con sé fino a tre anni, può essere scarcerata in differimento facoltativo, con l'articolo 147, anche questo sulla base di una norma risalente al 1930.
  Le donne che abbiano con sé un bambino fino a sei anni, se sono pericolose, rimangono in carcere e possono essere destinate, gli istituti a custodia attenuata (ICAM), anche le donne di mafia.
  Qual è stato l'intervento del legislatore delegato? Ha semplicemente tolto un'aporia, un'incoerenza, un'irragionevolezza legislativa, che è conseguente al recepimento di ben due sentenze della Corte costituzionale, che hanno dichiarato illegittima la norma dell'articolo 47-ter nella parte in cui obliterava l'interesse concreto del minore, che deve essere assicurato.
  Faccio un piccolo esempio. Capisco che la materia è molto tecnica, ma la donna di mafia, se collabora, può avere l'affidamento in prova al servizio sociale, i permessi premio, la liberazione condizionale, benefìci ben più ampi della detenzione domiciliare. Il mantenere ancora quella preclusione limitata all'articolo 4-bis per la detenzione domiciliare non aveva più alcun senso.
  Se la donna di mafia non collabora, non può avere l'affidamento in prova, ma, ed è stato questo l'intervento della Corte costituzionale, posto che l'interesse del minore deve essere prevalente sulla valutazione della pericolosità sociale, le può essere concessa la detenzione domiciliare se il figlio Pag. 24ha fino a un'età di 10 anni. Ovviamente, però, «può» significa semplicemente che il tribunale di sorveglianza dovrà valutare e fare una comparazione tra gli interessi del minore, comunque prevalenti, e i profili di pericolosità.
  Vorrei fare un ultimissimo accenno. Io non vorrei che quanto ha riferito il procuratore nazionale antimafia ingenerasse delle preoccupazioni del tutto infondate. È evidente che tutto ciò che è mafia, compresi il concorso esterno e il mero associato dell'articolo 74 (associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti), allorché vi sia la contestazione dell'aggravante dell'articolo 7 del decreto legge n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, cioè se l'associazione criminale volta al traffico di stupefacenti è finalizzata a favorire la mafia, la camorra e la ’ndrangheta, rientra nella preclusione assoluta del primo comma dell'articolo 4-bis. Solo se viene accertata la collaborazione, quindi, potrà uscire. Il fatto che l'articolo 74 sia limitato ai capi e ai promotori non incide minimamente. Lo schema di decreto legislativo su questo non ha minimamente deciso.
  Dico un'ultimissima cosa sulle pene accessorie. Relativamente all'intervento sulle pene accessorie, era già chiaro nella giurisprudenza o secondo alcune prassi dei tribunali di sorveglianza che con la declaratoria dell'estinzione dell'affidamento in prova al servizio sociale, in caso di esito positivo, venissero meno tutti gli effetti penali della condanna, comprese le pene accessorie. Semplicemente, qui è stato chiarito.
  Anche questo, però, è un giudizio riservato a un tribunale, che collegialmente decide se l'affidamento in prova è andato bene o non è andato bene. Si è intervenuti nello schema di decreto legislativo semplicemente sul momento di applicazione delle pene accessorie, cioè se debbano essere applicate contestualmente alla misura alternativa o si debba aspettare l'esito della misura alternativa e, eventualmente, attendere la declaratoria di estinzione pena, quindi con estinzione anche delle pene accessorie, o dar luogo alle sanzioni accessorie.
  Quanto al riferimento che faceva l'onorevole Turco, ovviamente non conosco il caso specifico, soprattutto processuale, nei termini tecnici, bisognerebbe chiedere agli avvocati, ma nel caso specifico il soggetto condannato ha espiato la pena in affidamento in prova al servizio sociale e ha avuto una declaratoria di estinzione pena.
  La questione dell'incandidabilità e collegata a un'altra norma, e cioè alla legge Severino, e quindi non è tecnicamente una pena accessoria. Credo che da questo punto di vista lo schema di decreto legislativo non possa concretamente incidere. Comunque, non riguarda questo caso.

  PRESIDENTE. Ci sta pensando la Corte di Strasburgo.

  FABIO GIANFILIPPI, componente del Direttivo del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza. Faccio solo un brevissimo intervento. Sempre sotto il profilo tecnico, si parlava del tempo che il magistrato di sorveglianza ha da dedicare alle nuove competenze che gli sono state attribuite con questa legge. Vale la pena forse anche dire che si tratta, in senso generale, dell'intervento normativo più ampio fatto negli ultimi decenni in cui competenze solo amministrative vengono tolte al magistrato di sorveglianza per lasciare spazio a quelle di maggiore rilevanza dal punto di vista giurisdizionale.
  Questo ha comportato anche la scelta che alcune di queste vengano assegnate alle direzioni, e tra queste, ad esempio, quella di cui si parlava, dell'autorizzazione per l'ingresso dei volontari. In realtà, in questa chiave viene, però, preservata una direzione data dal magistrato di sorveglianza. Si parla di direttive del magistrato di sorveglianza. Resterà, in ogni caso, uno sguardo complessivo su chi entra in carcere, ma da un lato si deflazionano le competenze amministrative del magistrato e dall'altro si favorisce un accesso più rapido, perché ovviamente c'è un passaggio in meno. Le direzioni, d'altronde, sono quelle che conoscono direttamente chi accede.
  Certamente, è un punto importante che rimanga, invece, il cuore della magistratura Pag. 25di sorveglianza, che abbia ancora un polso sull'interno degli istituti penitenziari. Questa è una cosa che il Coordinamento ha molto a cuore. Le direttive sono importanti.
  Vorrei anche dire che le preclusioni che vengono abbattute non sono solamente quelle che favoriscono l'accesso a misure esterne, ma anche quelle rispetto a normative che nel corso del tempo il sovraffollamento aveva richiesto, e che invece rendevano più facile uscire dal carcere. L'articolo 1 della legge n. 199 del 2010 viene abrogato. C'è un disfavore per tutte le preclusioni, sia quelle favorevoli sia quelle sfavorevoli, per consentire che si concentrino tutti gli automatismi, in modo che la magistratura di sorveglianza si possa concentrare sui contenuti, e quindi possa elaborare valutazioni nel merito e con i rigetti, così come con gli accoglimenti, possa rendere più agevole, possa facilitare un percorso di crescita all'interno degli istituti penitenziari.
  I rigetti sono altrettanto importanti degli accoglimenti, perché consentono agli operatori penitenziari di lavorare sul merito delle posizioni, che invece delle mere pronunce di inammissibilità potrebbero lasciare in un limbo che poi ha bisogno di più tempo per essere portato davanti all'esame del giudice.

  PRESIDENTE. Grazie. Le Camere penali vogliono aggiungere qualcosa?

  RICCARDO POLIDORO, responsabile Osservatorio Carcere dell'Unione delle Camere penali italiane (UCPI). Aggiungo solo un chiarimento a quello che è stato detto dal procuratore antimafia.
  Non si vogliono estromettere le informazioni del procuratore antimafia. Il riferimento al procuratore è quello più vicino al giudice che deve decidere. Poi nulla toglie che questo procuratore si possa sentire e possa prendere le informazioni, tra l'altro, dai sostituti antimafia nazionali che sono all'interno della sua procura. Non c'è nessuna volontà di estromissione, ma di semplificazione, così come dice la delega.

  GEMMA TUCCILLO, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Vorrei rapidamente fare una precisazione. Con riferimento alla recidiva, probabilmente sono stata poco chiara, anche per motivi di celerità. È una verità assoluta che i dati sulla recidiva sono quantomeno insoddisfacenti, tant'è vero che ho accennato – poi non ho specificato meglio, e lo faccio adesso – che abbiamo in via di costituzione, ma con un lavoro grosso già fatto, un osservatorio della recidiva presso il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità che preveda, un po’ come suggeriva l'onorevole, proprio attorno al tavolo i componenti chiamati in causa, quindi il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il casellario giudiziario, e anche degli studiosi del fenomeno.
  Lo scopo è quello di dare fondamento a quest'esternazione di squilibrio a vantaggio, naturalmente, delle misure alternative di tasso di recidiva, che è frutto comunque di una serie di studi, per quanto isolati e per quanto messi in maniera soltanto generale a sistema. Lo scopo principale è quello non solo di poter individuare i singoli tassi di recidiva per misura alternativa al fine di capire anche qual è quella rispetto alla quale c'è un minore tasso di recidiva, e quindi duplicarne, o quantomeno assimilarle i progetti trattamentali nelle altre.
  Tra l'altro, direi che questo sforzo è stato fatto anche dai decreti attuativi, soprattutto con riferimento alla detenzione domiciliare, che è stata sempre considerata un po’ una misura alternativa di posteggio.
  Chiarisco che, quando genericamente parlo di esecuzione penale esterna, i numeri ai quali mi riferisco comprendono naturalmente i tanti messi alla prova, quindi non direttamente riferibili a una misura alternativa alla detenzione stricto sensu.
  Poi vorrei anche precisare, per quanto può risultare utile, che indipendentemente dall'assoluta condivisibilità che nessuna risorsa è mai sufficiente fino in fondo perché tutto possa andare pienamente a regime e possa risultare, soprattutto, immediatamente pienamente a regime, mi sento però francamente di dire che, con riferimento alla polizia penitenziaria, può essere in parte fuorviante pensare che quello previsto Pag. 26 per l'esecuzione penale esterna è un contingente sottratto alle strutture carcerarie. Sono due contingenti assolutamente autonomi.
  Nell'arco del contingente che la giustizia minorile e di comunità ha avuto come dotazione organica, che nulla toglie alla dotazione organica del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, abbiamo previsto un certo numero di agenti, e comunque di nuclei all'interno dell'UEPE.
  Inoltre, tengo a precisare, ma questo non lo avevo detto perché ci sarà nel documento in distribuzione, che è stato previsto anche un implemento del corpo di polizia penitenziaria proprio e anche in riferimento alla riforma.

  VITTORIO FERRARESI. Posso chiedere dove si prendono? Il corpo di polizia penitenziaria è quello, poi che sia destinato al carcere...

  PRESIDENTE. È un'altra cosa. È sbagliato il presupposto. Il corpo di polizia penitenziaria è una cosa, l'appartenenza all'UEPE è un'altra, proprio un'altra cosa.

  GEMMA TUCCILLO, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. No, questo voglio precisarlo.
  Polizia penitenziaria è tutto quanto. Nell'ambito della polizia penitenziaria, naturalmente, c'è una dotazione, ma questo è stato fatto a monte, proprio con lo spostamento dell'esecuzione penale esterna al Dipartimento di giustizia minorile e di comunità, così come c'è stata sempre una dotazione per la giustizia minorile, e quindi per tutti i servizi intramurari, e non, della giustizia minorile, e una dotazione di polizia penitenziaria tale a tutti gli effetti, naturalmente destinata all'esecuzione penale esterna.

  PRESIDENTE. Non so se ho capito bene: in questo contesto, oltre al personale degli assistenti sociali, che sono altra cosa, che andranno all'UEPE, varato dalla legge di bilancio, c'è pure una previsione di ampliamento proprio del personale di polizia penitenziaria. Ho capito bene?

  GEMMA TUCCILLO, capo dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. C'è l'introduzione, con compiti molto più ampi di quanto non siano quelli oggi svolti all'interno degli uffici di esecuzione penale esterna. È proprio un punto di delega preciso quello di implementare i compiti della polizia penitenziaria nell'esecuzione penale esterna.

  PRESIDENTE. Questa parte, l'abbiamo chiusa. I documenti sono stati consegnati dal procuratore Cafiero De Rhao e dalla dottoressa Tuccillo. Per gli altri, arriveranno.
  Procediamo ora alla seconda parte della nostra audizione. Do pertanto la parola al presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma. Poi daremo la parola ai professori.

  MAURO PALMA, Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Non è la prima volta che mi trovo nella Commissione giustizia. Ricordo anche di essere stato audito in occasione dell'approvazione della legge Gozzini, quindi in qualche modo vengo piuttosto da lontano su questo tipo di audizioni.
  Voi sapete che il Garante, per norma di legge, previsto in quanto organismo nazionale che risponde alla Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene inumani e degradanti, deve esprimere il preventivo parere sulla legislazione in corso, per cui in un certo senso è stato già audito. Questo mi permette di essere particolarmente breve, perché già abbiamo espresso sullo schema didecreto mentre era in fieri, in costruzione, una serie di pareri e opinioni, molti dei quali sono stati accolti, per cui mi limiterò a esaminare due aspetti: i parametri in base ai quali avevamo espresso quei pareri; alcuni elementi che potrebbero essere ancora considerati.
  Quali sono i parametri? Li ho sentiti qui anche già espressi dagli interlocutori precedenti.
  Innanzitutto, l'idea è che le misure alternative – qui non parliamo di pene ma di Pag. 27misure alternative – non debbano essere viste come mere attenuazioni dell'afflizione, ma debbano costituire un percorso, una progressività perché il soggetto torni alla società in una situazione tale da garantire alla società stessa rispetto al rischio di recidiva e garantire al soggetto un graduale e positivo reinserimento.
  Il secondo parametro è quello dell'esclusione degli automatismi che via via legislazioni eccezionali hanno introdotto nel nostro ordinamento, gran parte automatismi preclusivi, in parte anche automatismi concessivi.
  Io accennavo prima al procuratore De Raho, mentre parlavamo anche prima dell'inizio di questa audizione, di alcune situazioni che mi lasciano molto perplesso. Io sono molto perplesso, ma dal punto di vista della società esterna – tendo a sottolineare – incontrando per esempio un detenuto ai sensi dell'articolo 41-bis che uscirà tra un mese, e uscirà stando al 41-bis, senza che si siano acquisiti elementi che possano aver dato indicazione di come questo soggetto si reinserirà.
  Le misure alternative vanno viste anche dall'altro verso. Vanno viste come meccanismo attraverso cui un sistema capisce la pericolosità del soggetto nel suo reinserimento, e quindi trasmette agli organi di controllo della società esterna la necessità di sorvegliare, vedere, seguire un determinato soggetto.
  Un soggetto tenuto fino a oggi con impossibilità di comunicazione con chicchessia e domani mattina invece all'esterno, è un soggetto che non mi rassicura. Il problema degli automatismi preclusivi da questo punto di vista lo voglio affrontare. Gli automatismi preclusivi non mi garantiscono conoscenza.
  Arrivo al terzo parametro che affronto, anche un sistema detentivo che non mi fa conoscere come la persona interagisce con gli altri. Ecco perché il terzo parametro, quello su com'è la detenzione. Ci sono tanti meccanismi, tante cose, su con chi comunica e via dicendo. Guardate che sono meccanismi, sì, di aiuto al soggetto, ma sono meccanismi anche di aiuto al sistema per capire come quel soggetto si misura, per esempio quali rapporti di forza stabilisce all'interno di un carcere.
  Se io lo tengo chiuso in cella tutto il giorno, non so che cosa covi, non so che cosa stia per decidere. Se io lo inserisco in gruppi di lavoro, capisco anche quali rapporti di prevalenza sugli altri introduce o non introduce. Questo è stato l'altro parametro che abbiamo seguìto nel vedere quel pezzo che riguarda la questione della detenzione.
  L'ultimo parametro, è quello per cui le misure alternative devono avere una configurazione anche di misura realmente afflittiva e di misura realmente percepita come tale dalla comunità esterna. Non possono configurarsi come rinuncia al dovere dell'esercizio della propria funzione sanzionatoria da parte dello Stato. Devono avere anche questa caratteristica.
  Il Garante deve essere un elemento di baricentro tra tre sicurezze diverse da tener presenti: la sicurezza dei diritti dei detenuti; la sicurezza dei diritti della comunità esterna; la sicurezza dei diritti di chi in questo sistema opera, di chi ci lavora. Questo è il suo baricentro.
  Alla luce di questi parametri, noi abbiamo dato un parere sostanzialmente positivo dei provvedimenti introdotti. Abbiamo proposto al Ministro, poi trasmessi al professor Giostra, che coordinava, una serie a nostro giudizio di cambiamenti, in gran parte accolti. In questo quadro mi permetto sinteticamente di segnalare altri due o tre punti che vorrei evidenziare.
  Nei provvedimenti in materia sanitaria, su cui abbiamo espresso un parere molto positivo, ci sono due aspetti che noi riteniamo che sarebbe importante tener presenti.
  Il primo è il divieto di un trasferimento passivo, quindi un trasferimento subìto, di un detenuto che abbia già in corso un qualche percorso sanitario. C'è nella filosofia del provvedimento, ma secondo noi andrebbe maggiormente esercitato.
  Il secondo punto è un maggior richiamo alla riservatezza dei dati. Io trovo molto singolare che a volte mi vengano trasmessi da parte di direttori di carcere dati personali e sensibili dei vari detenuti, come fosse Pag. 28materiale accessibile a chi ha responsabilità amministrativa tale che lo trasmetta. Capisco che sono argomenti più di dettaglio, ma ci sembra abbastanza importante.
  Sempre dal punto di vista sanitario, va forse chiarita maggiormente la questione della territorialità, della presa in carico. Qui parlo, in particolare, per la salute mentale.
  Molto spesso, si creano conflitti. A nostro parere, la presa in carico dovrebbe essere quella dell'autorità sanitaria dell'ultima dimora conosciuta, dell'ultima situazione. Ci troviamo con la questione Rems ogni tanto a situazioni molto stravaganti.
  Altra cosa che vorrei far osservare riguarda l'isolamento. Mi sembra si intervenga sull'articolo 33, comma 1, dove si definiscono le tre possibilità dell'isolamento possibile, laddove si inserisce quello disciplinare come misura di separazione dalle attività comuni: definirlo isolamento è una stranezza dell'ordinamento italiano.
  Come molti di voi sanno, io ho coordinato organismi europei per molti anni, e la separation è diversa dall’isolation negli ordinamenti. La persona può essere separata dalle attività comuni anche tenendola nella sua cella separata dalle attività comuni. Lasciamo stare che da noi magari le celle sono affollate, ma tenerla ancora classificata all'interno di un isolamento ai sensi di quella quinta sanzione disciplinare del nostro ordinamento, che è appunto la separazione delle attività comuni, è una questione che mi lascia abbastanza perplesso.
  Come vedete, sono cose anche di contorno. Non nego una riserva a monte su un aspetto, ma accetto la logica della Commissione. Ci siamo misurati sulla Commissione. Noi avremmo preferito mantenere, così come l'avete configurata, la liberazione condizionale, ma l'avremmo preferita nel codice, in quanto per un problema di integrità del codice avremmo preferito che contenesse al suo interno anche la forma estintiva del proprio debito con la giustizia.
  Ciononostante, e lo dico soltanto per testimonianza – loro lo sanno – com'è configurata la questione, la troviamo in maniera soddisfacente.
  Mi fermerei qua.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Abbiamo anche il parere che avete già espresso. È stato messo a disposizione. La ringrazio comunque sempre di questa sua presenza.
  Do la parola al professor Glauco Giostra, presidente della commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. In apertura ho detto che nel 2011 lei ha coordinato anche l'organismo...

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. La Commissione mista, del Consiglio superiore della Magistratura.

  PRESIDENTE. Questi lavori avevano avuto uno sguardo da lontano.

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. Facevo danni già allora.

  PRESIDENTE. Ho spiegato ai colleghi – voi non c'eravate, all'inizio – che avrebbero potuto esserci tanti altri professori, ma ho chiesto a due dei massimi componenti anche per la competenza e il prestigio a livello nazionale, il professor Della Casa e il professor Giostra, di dare se possibile ai deputati presenti, e comunque lasciare alla Commissione, le linee guida fondamentali che sono state tenute presenti nel percorso del lavoro della commissione, da cui poi è approdato lo schema di decreto legislativo in corso di esame.

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. Grazie per quest'occasione. Avevo aspettativa che fosse molto utile per avere suggerimenti critici e osservazioni. Quello che ho ascoltato mi ha confermato in quest'idea, quindi sono molto contento di avere quest'opportunità di confronto.
  Non ho titolo per fare raccomandazioni, ma ho un auspicio: questo non è tema da Pag. 29campagna elettorale. Questo non è tema da mettere nelle discussioni che fisiologicamente sono enfatizzate, massimaliste, di una campagna elettorale. Parliamo di 80 euro, flat tax, 3 per cento, ma la questione carcere teniamola fuori.
  Il modo in cui è organizzato il carcere in una determinata collettività è innanzitutto un referto di civiltà, anche nei confronti degli altri Paesi. Dal mio punto di vista, è poi una precondizione di buona convivenza civile. La qualità della convivenza civile dipende dalla nostra organizzazione dell'esecuzione della pena.
  Una cosa, infatti, vorrei subito cercare, ovviamente illusoriamente, di smentire: non esiste alcuna correlazione tra più carcere e più sicurezza sociale. Esiste, ancorché contestabile nella misura, semmai una relazione inversa: meno carcere, ovviamente con le opportune cautele, e più sicurezza sociale.
  Ho sentito le statistiche normalmente portate: chi sconta fino all'ultimo giorno di pena in carcere registra un indice di recidiva in ordine al 68 per cento; chi conosce una gradualità nel reinserimento sociale scende addirittura al 19; se ha una collocazione lavorativa all'1 per cento. Sono statistiche – ci è stato ricordato – che vanno prese con una certa prudenza, con una certa cautela. Come diceva Andrew Lang, noi usiamo le statistiche come gli ubriachi usano i lampioni, a scopo di sostegno e non di illuminazione, quindi ognuno si porta le statistiche più funzionali al suo obiettivo.
  Io credo, però, che non si possa, al di là dei decimali, seriamente contestare quello che nella letteratura internazionale è un dato acquisito, che cioè la reclusione per tutta la durata della pena in carcere è un fattore criminogeno.
  Non pensavo di dover riportare dati, ma faccio solo due esempi, a parte il fatto che uno forse l'abbiamo anche in casa.
  In Brasile, che ha tra le peggiori carceri del mondo, c'è un fenomeno che si chiama APAC, di alcune carceri aperte, e loro riferiscono che in questi carceri, dove l'umanizzazione della pena, il rispetto, la responsabilizzazione concessa hanno dato i loro frutti, l'indice di recidiva è del 5 per cento.
  Nella vicinissima Lugano, a La Stampa di Lugano, c'è un carcere che favorisce molto gli incontri con i familiari. Ora, il direttore di questo carcere, che tra l'altro si esprime con una metafora molto bella («Molte carceri sono un imbuto, mentre il nostro somiglia più a una clessidra: con la condanna la libertà si restringe, ma dopo bisogna che i detenuti si riaprano le loro vite»), dice che la recidiva nel loro caso si è abbassata sensibilmente, anzi è questo il 5 per cento. Nell'altro caso, quello dell'APAC brasiliano, si passa dall'80-90 per cento, perché le carceri brasiliane sono terrificanti, al 12 per cento per quelli che sono stati in questi APAC, che sono associazione, protezione, assistenza dei detenuti condannati.
  Tra l'altro, avevamo avuto una proposta di legge del PD, a firma dell'onorevole Zan, a proposito dell'affettività, che purtroppo non è stata coltivata – non è stato possibile, credo, per ragioni economiche – da questo schema di decreto legislativo. Era stata sottoscritta anche dai parlamentari del Movimento 5 Stelle, poi non ha avuto buon esito, e quindi è rimasta purtroppo finora nel cassetto.
  Dicevo che la delega che ci accingiamo a esercitare ricava significativamente nella sua intitolazione «modifica all'ordinamento penitenziario per restituire effettività al principio rieducativo della pena».
  Ho sentito dai vostri interventi, al di là delle diverse e tutte rispettabilissime opinioni, una partecipazione vera, autentica a questa tematica, e non di circostanza. Io credo che un politico impegnato non possano non chiedersi come mai a settant'anni dalla nostra Costituzione abbiamo bisogno di rivedere le norme dell'ordinamento penitenziario per realizzare un principio costituzionale. A quarant'anni dall'ordinamento penitenziario invidiato in tutto il mondo occidentale, quello del 1975, noi siamo costretti a subire l'umiliante condanna della Corte europea per trattamenti inumani e degradanti.
  Non ci si può non porre la domanda. Non ci si può non chiedere che cosa è Pag. 30successo. Le norme ci sono, il principio costituzionale pure, eppure siamo addivenuti a queste conseguenze.
  Prima di tutto, bisogna chiedersi perché e come evitare che si ripeta. Poi bisogna anche chiedersi: realizzare la funzione rieducativa è solo in ossequio a un principio costituzionale o è anche una convenienza sociale? Questo dobbiamo cercare di passare all'opinione pubblica. Questo è un investimento politico sociale importantissimo, per lo meno io credo che si possa dire così, che sia tale.
  Il problema del sovraffollamento si sta riaffacciando, e non mi si dica «costruiamo più carceri», perché è la più disinvolta e la più – scusate – semplicistica delle soluzioni. Tra l'altro, c'è una raccomandazione del Consiglio d'Europa che dice: non si costruiscano nuove carceri, perché l'aumento dell'offerta aumenta la domanda. Lo dimostrano gli Stati Uniti. Se noi avessimo la popolazione penitenziaria degli Stati Uniti, in percentuale avremmo non 58.000, ma 500.000 detenuti, e non mi sembra che abbiano risolto più di noi il problema della criminalità, con la pena di morte tra l'altro applicabile, che la dice lunga sull'effetto dissuasivo di questi strumenti.
  Perché siamo arrivati a questo punto? Si può anche non condividere l'analisi, ovviamente, ma bisogna farla, e qualcuno deve dare un'alternativa.
  Da un certo momento in poi, è cresciuta, si è radicata l'idea che il carcere fosse la soluzione dei vari problemi di sicurezza sociale che andavano affiorando, il luogo in cui rinchiudere tutte le nostre paure. Più è ermetico e più ci rassicura.
  Il Big Bang, ma è una semplificazione, nel 1991 (tragica stagione, come ricorderete) ha introdotto, e noi ne portiamo ancora le cicatrici, a livello di processo penale l'articolo 275, un obbligo di carcere per alcuni tipi di reati, obbligo di carcere cautelare, per cui è sempre necessario il carcere, e l'articolo 4-bis.
  L'articolo 275 – la faccio breve, perché pensavo di potermi trattenere, ma l'ora è tarda – è stato letteralmente smantellato dalla Corte costituzionale. Ha subìto sette o otto interventi, tutti nel senso di dire che ogni automatismo è irrazionale e arbitrario, salvo mafia e terrorismo per particolari connotazioni criminologiche su cui non ho bisogno di soffermarmi.
  L'articolo 4-bis era nato come mafia e terrorismo per sollecitare la collaborazione, come tutti voi sapete meglio di me, ed è diventata una calamita: a questo nucleo si sono, a seconda delle folate più o meno fondate di allarmismo sociale, agganciati i reati à la page, quelli del momento, quelli che creavano più preoccupazione sociale e che poteva far dire alla politica: ci pensiamo noi, sottoponiamo a questo regime durissimo, e quindi risolviamo. È il metodo meno efficace per risolvere questo tipo di problema.
  Bisogna evitare, almeno noi, che abbiamo anche qualche responsabilità, che si pensi che lì c'è il nocciolo duro di tutti i problemi, dei crimini più gravi. Nell'articolo 4-bis c'è anche l'associazione per delinquere per traffico di tabacchi lavorati esteri e non c'è la strage, per dire quanto cervellotico, quante emotivo è questo modo di procedere, che non possiamo non abbandonare.
  Per contro, se si tocca l'articolo 4-bis oggi, anche dovesse togliere i tabacchi lavorati esteri, è un colluso della mafia, si fa un favore alla mafia, perché per quanto si parla di articolo 4-bis, il riflesso condizionato è mafia.
  Mi ha preceduto da par suo Mauro Palma molto più sinteticamente, ma è un punto fondamentale, questo: perché siamo contrari agli automatismi, alle presunzioni assolute di necessità di carcere?
  Innanzitutto, queste preclusioni assolute esprimono una diffidenza del Parlamento, e quindi del popolo italiano, nei confronti dei giudici, dei suoi giudici. Vuol dire: voi non sareste in grado di tutelarsi nel caso concreto, ve lo diciamo noi una volta per tutte.
  In secondo luogo, quanto prevediamo un automatismo, accettiamo, se addirittura non vogliamo, ma non voglio neppure pensarlo, che rimanga in carcere o vada in carcere chi non ci deve andare. Non si può ragionare per tipologie. È chiaro che nel sequestro di persona a scopo di estorsione Pag. 31è difficile che ci siano persone meritevoli, ma ci saranno, e quelle resteranno in carcere, o sarebbero restate, per questa preclusione. Bisogna, invece, cercare di individualizzare il trattamento del processo, perché l'automatismo confligge con l'articolo 27 della Costituzione.
  L'articolo 27 non prevede una rieducazione per tipologie di reato. Nel carcere dell'APAC brasiliano è scritto fuori: «Qui entra l'uomo e resta fuori il reato», una frase a effetto, che però la dice lunga su come intendono approcciare il problema in quel fortunato esperimento brasiliano.
  Qual era la situazione davanti a cui ci siamo trovati? La delega ci diceva: abolite tutti, bonificate da tutti gli automatismi e le preclusioni, salvo – è stato introdotto durante i lavori parlamentari, ma questo non cambia – per eccezionali, gravi reati, e comunque per mafia e terrorismo.
  Allora ci siamo interrogati serenamente sull'interpretazione. Qualcuno riteneva che quel «comunque» significasse: queste non potete non affermarle, ma potrebbe anche bastare; qualcun altro ha detto che questo criterio direttivo ci chiama a uno sforzo di individuazione di queste eccezionalità.
  Ovviamente, noi non abbiamo titolo per esprimere valutazioni di politica criminale. Questo spetta al Parlamento, alla politica. Noi non abbiamo nessun elemento. Quello che abbiamo potuto fare, e ve n'è traccia nello schema di decreto legislativo, che poi si è discostato in parte, è stato dire che, se qualche reato gravissimo vogliamo indicare, ne dobbiamo indicare di struttura a criminalità organizzata, perché altrimenti il valore della collaborazione non si spiegherebbe più. Il fatto che l'ostatività cada con la collaborazione rispetto a un reato monosoggettivo, per quanto gravissimo, ci sembrava un non senso.
  Come è stato già detto da Fabio Gianfilippi, tanto siamo contrari agli automatismi e li crediamo in rotta di collisione con l'articolo 27 che abbiamo abolito quello che probabilmente era un automatismo, cioè quello di cui alla legge n. 199 del 2010, che prevedeva sotto una certa soglia di pena, all'inizio in via transitoria e poi a regime, la possibilità di scontare presso il proprio domicilio.
  Su questo punto vorrei dire che cosa può comportare questo significativo abbassamento di pena: la vita all'interno del carcere e il progressivo spostamento del baricentro dal carcere all'esterno, come mi pare Mauro Palma sottolineasse opportunamente, non come sconto di pena o liberazione, ma come sanzione di comunità. Su questo cercherò di essere breve. Devo saltare diversi passaggi – lo capisco – quindi mi scuserete se sarò poco chiaro, ma semmai ci torneremo a livello di domande.
  Lo dico sempre provocatoriamente per dare l'idea: perché si possa pensare che il carcere obbedisca o riesca a fornire una tutela alla sicurezza sociale, dovremmo pensare che tutti i reati debbano essere puniti con l'ergastolo, possibilmente ostativo. Infatti, nel momento in cui una persona torna in società, se ha scontato fino all'ultimo giorno di pena nel carcere, dal punto di vista dell'inclinazione criminale sarà enormemente più pericolosa.
  Mi si chiede come si fa a dire al padre di una vittima: «Per l'assassino prevederemo un processo di rieducazione». Pensate che noi che abbiamo scritto questo non abbiamo gli stessi moti di rabbia, di ribellione, di volontà di vendetta? Ovviamente qualche volta verrebbe da scuoiare vivo qualcuno. Quello che bisognerebbe aggiungere però – perché bisogna diventare Stato – è: invece che diciamo a colui che ha subìto un reato gravissimo perché quel soggetto che è uscito ha recidivato, mentre se avesse avuto un trattamento rieducativo serio, un progetto che potesse reinserirlo adeguatamente nella società esterna, non avrebbe commesso il reato? Quelli pure sono addebitabili a una certa ideologia, perché è indubbio che c'è una maggiore...
  C'è una frase di un criminologo che dice: «È impensabile usare la prigione come una camicia di forza. Appena si libera sarà portato immediatamente a violare le regole che l'hanno ridotto così».
  Che cosa è utile a livello di vita carceraria? La sorveglianza dinamica. Vado per pillole ovviamente. Peraltro, presidente, vorrei segnalare che, se non sbaglio – ne Pag. 32commetto non pochi – nella scheda che vi è stata magistralmente predisposta, che è chiarissima e ben fatta, che dice che il lavoro e le affettività non sono state esercitate, si dice anche che la sorveglianza dinamica, che era uno dei criteri direttivi della delega, non è stata esercitata. Invece (sempre che non mi confonda io) questo non corrisponde al vero. Infatti, nel comma dell'articolo 1 dedicato al trattamento non abbiamo ripetuto la locuzione «sorveglianza dinamica», perché non ha nessuna definizione normativa, però si dice: «La sorveglianza delle persone detenute avviene [...] con modalità tali da consentire ai detenuti e agli internati di trascorrere la maggior parte della giornata fuori dalle aree destinate al pernottamento, anche al fine di favorire i rapporti interpersonali e l'osservazione del comportamento e della personalità».

  PRESIDENTE. Che articolo è?

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. L'articolo 1, quello dedicato al trattamento, sempre che non ricordi male.
  Nello schema di decreto legislativo non lo so, nell'ordinamento penitenziario è l'articolo 1.
  Questo si collega a quanto diceva Mauro Palma. La caratteristica di questo sistema di sanzioni e di premi – questo bisognerebbe far capire, ma non ci riuscirò io – è che tutto ciò che si fa in favore del condannato si riverbera positivamente sulla collettività intramuraria ed extramuraria.
  Per esempio, questa sorveglianza dinamica consente a lui di vivere i rapporti interpersonali, di lavoro, di professione, di gioco, d'interesse culturale, ma consente a chi lo osserva di notare rapporti di prevaricazione rispetto agli altri detenuti, isolamento, ghettizzazione, e di fare un'osservazione molto più attendibile di quella che consente un foro nella porta della cella.
  Purtroppo, come vi è stato già detto, per l'affettività e per il lavoro, all'inizio per motivi soltanto economici non è stato possibile e adesso non so se è possibile recuperare.
  Invece, sono d'accordo con l'onorevole Ferraresi, se non erro: il lavoro è una parte molto qualificante del trattamento rieducativo, tanto che le percentuali – da prendere con prudenza da artificiere – parlano dell'1 per cento di recidiva proprio per chi ha un lavoro all'esterno del carcere, in quella fase che io chiamo sempre «di convalescenza sociale», che è molto importante e molto delicata.
  Mi affretto a concludere. Vorrei soffermare la vostra attenzione su un altro punto: l'altra prospettiva di utile recupero del condannato è quella che passa attraverso lo spostamento di questo baricentro e cioè il progressivo reinserimento sociale del soggetto attraverso le misure alternative.
  È vero: l'accesso alle misure alternative è stato favorito e anche in modo consistente. Qualcuno contesterà anche il limite dei quattro anni di pena e io non ho nulla da dire. Sono opinioni rispettabilissime e per alcuni aspetti avevo anch'io qualche perplessità, però è stato aumentato. È stato favorito a livello procedimentale il fatto di poter accedere da libero alle misure alternative senza entrare nelle porte girevoli.
  È stata anche introdotta – non l'ho sentito ancora e mi sembra importante – la norma secondo cui, a parità di meriti, chi non gode di una dimora deve poter usufruire di una sorta di dimora sociale per un trattamento paritetico con gli altri che si trovano nelle stesse condizioni, per usufruire di una misura alternativa.
  Tutto questo, però, ha un contraltare: più misure alternative, che tra l'altro comporta anche minori pericoli in carcere, minore spese eccetera, ma più impegno per il condannato, che deve lavorare per le vittime e per la società.
  Se voi avete la pazienza di scorrere le prescrizioni dell'affidamento in prova attuali e quelle dell'auspicata riforma, vedrete che queste sono molto più penetranti, vincolanti e impegnative e la stessa cosa vale per la semilibertà, per la detenzione domiciliare, che adesso è una scatola vuota e si arricchisce di contenuti rieducativi e di Pag. 33socializzazione, e per la liberazione condizionata.
  Di alcuni dati abbiamo documentazioni statistiche attendibili. La revoca di una misura alternativa soffre una percentuale dello 0,25-0,50 a seconda della misura di revoca per commissione di reati.
  I permessi premio – ho qui la statistica – che noi abbiamo allargato, perché non è soltanto per lutti, ma anche per eventi eccezionali e di particolare rilevanza positiva nell'importanza dei rapporti affettivi e familiari, conoscono un mancato rientro che è nell'ordine dell'1 per mille. È chiaro che poi quell'1 per mille andrà sulla stampa e si dirà «forse era meglio...», ma quello è un prezzo che paghiamo con lungimiranza, perché sappiamo che gli altri 999 delinqueranno molto meno dopo una serie di permessi positivamente fruiti.
  A proposito di statistiche, la legge tanto grezzamente definita «svuota-carceri», dato che non era una svuota-carceri senza criteri, ha fatto registrare una diminuzione della criminalità. Ce lo dice il ministro Alfano.
  In sintesi, aggiungo un'ultima pillola: rispettare la dignità del detenuto, responsabilizzarlo e in sostanza dargli e chiedergli di più.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Do la parola al professor Franco Della Casa, componente della Commissione per la riforma della legge penitenziaria ed esperto in tale materia.

  FRANCO DELLA CASA, in qualità di componente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. Ringrazio per l'invito, che mi fa piacere sul piano personale ed è anche un'espressione di quella che dovrebbe essere una corretta collaborazione tra organismi istituzionali.
  Sono contento di essere qui, però in questo momento confesso che mi trovo in una posizione abbastanza complicata, perché parlo quasi per ultimo. Ci sono stati interventi che io non ho sentito e che immagino siano stati molto interessanti, ma ho sentito, ahimè, l'intervento del professor Giostra. Parlare dopo che lui ha fatto un affresco di tutto il lavoro della Commissione diventa alquanto problematico, a meno di non ripetersi.
  Proprio per tentare di sfuggire questo rischio, io provo ad approcciare il tema secondo un'impostazione diversa, facendo una premessa: se noi volessimo dividere la legge-delega in maniera molto grossolana in due tronconi, potremmo dire che ci sono degli elementi che riguardano l'esecuzione penale intramuraria e poi, sia con il punto sugli automatismi sia con quelli sulle misure alternative, abbiamo altri elementi che guardano con favore all'esecuzione penale esterna, cioè a quelle che noi, con un linguaggio ancora un po’ vetero, continuiamo a chiamare «misure alternative alla detenzione».
  Voglio cominciare proprio da questa seconda anima della legge-delega, sottolineando un lutto che io non sono ancora riuscito a superare. Mi riferisco alla sentenza «Torreggiani» del gennaio del 2013, che, condannando per la seconda volta l'Italia, non per la violazione di una norma qualsiasi della Convenzione europea, ma per la violazione dell'articolo 3, che è un articolo particolarmente ignominioso per chi viene condannato in base a esso, ha indotto il nostro Paese sia a diminuire il numero della popolazione detenuta sia a dotarsi di meccanismi di reclamo giurisdizionale interno per non oberare la Corte europea.
  Questo calo in effetti c'è stato, però è proprio vero che non bisogna mai cantare vittoria in questo campo. Infatti, io sono andato a vedere le statistiche di fine anno del 2015 paragonandole con i dati di cui disponiamo da ultimo e posso dire che in questi due ultimi anni, dal 2015 alla fine del 2017, la popolazione detenuta è aumentata di 5.000 unità, con una media di 2.500 ogni anno, il che, se si sviluppasse in futuro, ci porterebbe inevitabilmente di nuovo di fronte alla giustizia europea.
  Sarà anche per queste ragioni che nel marzo del 2017 il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha emanato una nuova raccomandazione sulle misure e le sanzioni di comunità. Pag. 34
  Che senso ha questa nuova raccomandazione? È una nuova raccomandazione perché va a sovrapporsi a una raccomandazione del 2000, che esisteva già. Io interpreto questa nuova raccomandazione, questa nuova attenzione del Comitato del Consiglio d'Europa, come un'indicazione verso un rilancio da parte dei Paesi membri delle sanzioni di comunità.
  A proposito di queste ultime il Consiglio d'Europa afferma: «Tenuto presente che questa categoria di sanzioni costituisce un mezzo importante per combattere il crimine, per ridurre il danno da esso prodotto e per fare giustizia, senza dimenticare che essa evita gli effetti negativi della permanenza dell'individuo in carcere».
  Queste poche righe, che sono contenute nel preambolo della raccomandazione n. 3 del 2017, fotografano, in maniera a mio avviso molto buona, e sintetizzano le caratteristiche delle sanzioni di comunità, che non significano assenza di pena, non sono provvedimenti indulgenziali. Come si è già detto, fanno giustizia, perché molte volte comportano un impegno del condannato verso la vittima incomparabilmente maggiore di quello che l'autore del reato attua rimanendo passivamente in carcere ed evitano gli effetti negativi della detenzione.
  Io mi associo, come ha già fatto il professor Giostra, alle parole di Mauro Palma e rilancio, nel senso che, non solo non dovrebbe uscire dall'oggi al domani il soggetto sottoposto a regime di cui all'articolo 41-bis, cosa che ovviamente fa rabbrividire, ma qualche brivido lo comporta pure il fatto che esca dal carcere un soggetto che vi è rimasto fino all'ultimo giorno e che viene paracadutato con pochi rampini e pochi agganci all'esterno.
  È una lancia spesa anche dagli organismi europei a favore delle misure alternative. L'Italia a che livello si pone nell'utilizzo di queste misure? L'Italia è la Cenerentola a livello europeo, ricorre molto poco alle misure alternative alla detenzione. Per rendersene conto basta fare un raffronto con un Paese a noi vicino, la Francia, che ha una popolazione totale più o meno equivalente all'Italia e una popolazione detenuta di 66.270 unità contro le nostre 57.000, quindi anche nella popolazione detenuta siamo abbastanza vicini. In Francia le misure in regime aperto (en milieu ouvert) sono 170.000, mentre da noi sono meno di 50.000, ovvero meno di un terzo.
  Dunque, lungi dall'idea che in Italia ci sia un eccessivo ricorso alle sanzioni di comunità, dobbiamo prendere atto che, invece, queste misure sono sottoutilizzate. Questo emerge semplicemente facendo dei raffronti con i Paesi occidentali.
  Per quanto riguarda il tasso di recidiva, il professor Giostra ha già citato alcuni dati, però con riferimento a realtà che sono un po’ particolari. Io, invece, posso portarvi un dato sulla recidiva preso dalle statistiche del Regno Unito. È un dato molto recente che riguarda l'anno scorso. Da questo dato emerge che per chi esce dal carcere, da regime intramurario, l'indice di recidiva è pari al 44,7 per cento, mentre per chi usufruisce di una sanzione di comunità l'indice di recidiva è pari al 3,9 per cento.
  Dunque, in attesa di veder funzionare a pieno regime quell'osservatorio di cui ci parlava la dottoressa Tuccillo, che ci permetterà di fare un bilancio centrato sul nostro Paese, questi dati ci forniscono un primo indice di orientamento.
  Aggiungiamo una cosa, visto che stiamo parlando di popolazione detenuta e di misure alternative alla detenzione: le misure alternative alla detenzione di cui parliamo, quelle dell'ordinamento penitenziario, per definizione sfuggono a quell'effetto di allargamento della rete che viene denunciato da certi studiosi con riferimento a certi Paesi. Che cosa succede? Si introducono delle misure non carcerarie che vanno a raggiungere, non coloro che sarebbero andati a finire in carcere, ma coloro che in carcere non ci sarebbero andati e, quindi, queste misure costituiscono uno strumento di allargamento del controllo.
  Dal momento che le nostre misure alternative, quelle di cui stiamo parlando, riguardano esclusivamente persone che sono già in carcere o persone che sono state già raggiunte dall'ordine di esecuzione, questo Pag. 35effetto aleatorio di finta riduzione delle misure alternative non può per definizione operare.
  Fermo restando che ci possono essere parti della delega sulle quali non tutti noi componenti della commissione sono stati pienamente adesivi, sulla parte della delega che induce a una maggiore utilizzazione delle misure alternative direi che non ci possono essere altro che consensi.
  Visto che è stata menzionata l'importanza delle risorse economiche, diamo un dato che non va taciuto: il costo di una misura alternativa è grosso modo di un decimo, se non di più, rispetto al costo di mantenimento di una persona in carcere. Di conseguenza, le risorse che si recuperano aumentando l'esecuzione penale esterna possono essere impiegate per migliorare la vita all'interno degli istituti, rispetto ai quali la legge delega ha espresso delle direttive particolarmente pregnanti, cercando di avvicinare il più possibile...
  Sto parlando della criminalità ordinaria e non della criminalità organizzata, perché per quest'ultima ci sono l'articolo 41-bis, che non è stato minimamente toccato, e l'articolo 4-bis, che è stato solo leggermente disboscato nel comma 1.
  Le risorse che possono essere introiettate ampliando il bacino di utenza delle misure alternative possono essere utilizzate per migliorare la vita interna degli istituti.
  Ho sentito gli interventi di qualche parlamentare. Non sono in grado di riferirli nominativamente, però guardandoli nel loro complesso mi è sembrato che sia stato messo l'accento, giustamente, perché è un aspetto importante, su una questione: non dimentichiamoci della sicurezza.
  È un fattore decisamente importante. Non ci può essere una buona riforma penitenziaria che non vada di pari passo con la sicurezza interna e con la sicurezza della collettività. Su questo non c'è ombra di dubbio, perché altrimenti è una riforma che diventa un boomerang e che è destinata nel giro di poco tempo a essere travolta dalla realtà delle cose. Così non è stato per la legge del 1975, così non è stato per la legge Gozzini del 1986 e così – io credo – non sarà se riuscirà ad andare in porto questo decreto delegato, perché ci si è sempre sforzati e non si è proceduto con leggerezza.
  Cito due esempi. Si è introdotto un nuovo tipo di permesso di necessità, quello che di solito viene concesso per eventi luttuosi, ossia per la morte di un parente. Si è ritenuto di ampliare il permesso di necessità anche per gli eventi di particolare rilevanza. Per esempio, se io sono detenuto e ho i miei genitori che celebrano le nozze d'oro, mi si danno tre ore di tempo per andare a partecipare a questa cerimonia. In questo articolo c'è la clausola espressa secondo cui questo tipo di permesso che è stato introdotto non riguarda i condannati e gli imputati sottoposti al regime di 41-bis.
  Nell'articolo 47-ter relativo alla detenzione domiciliare la commissione ha esteso il riferimento all'articolo 284 del Codice di procedura penale, che riguarda gli arresti domiciliari nella sua totalità e, quindi, si è preoccupata di far sì che nel disporre la detenzione domiciliare il tribunale di sorveglianza tenga d'occhio anche le esigenze della persona offesa dal reato.
  Le esigenze della persona offesa dal reato sono state tenute particolarmente presenti anche nell'affidamento in prova al servizio sociale, laddove ci sono delle prescrizioni che specificamente riguardano un'attività riparatoria nei confronti della persona offesa o un'utilità di carattere sociale se la persona offesa non esiste o non vuole partecipare a questo processo di riappacificazione.
  Concludendo, io ritengo, da un lato, che vada senz'altro il più possibile incoraggiata questa spinta verso un'esecuzione extra-muraria. Qualcuno potrebbe obiettare: «Ma allora nel carcere non c'è rieducazione?» No, nel carcere, grazie anche all'impegno di tutti gli operatori che lavorano al suo interno, compresi gli operatori della polizia penitenziaria, che in base alla legge del 1990 fanno parte dell’équipe di osservazione e trattamento, senz'altro si persegue l'obiettivo della rieducazione. Tuttavia, il carcere sconta sempre una sorta di peccato originale, cioè la contraddizione di rieducare per una vita all'esterno tenendo delle persone chiuse all'interno di una struttura Pag. 36che ha le caratteristiche di un'istituzione totale.
  C'è un bel paragone di un penitenziarista americano che afferma: «Cercare di rieducare le persone tenendole in carcere è come insegnare a volare a degli allievi dando loro le istruzioni di volo all'interno di un sottomarino». Il paradosso del carcere è un po’ questo.
  Con tutto ciò, torno a ripetere che la rieducazione non è assente dal carcere, però a me sembra che questa legge-delega, con tutte le sue imperfezioni, con tutte le sue piccole contraddizioni, consenta di fare, se il decreto legislativo verrà attuato, un notevole passo in avanti.
  D'altra parte, ricordo anche – non so se è stato mai menzionato – che nella legge delega, all'articolo 1, comma 87, c'è la possibilità per il Governo di intervenire nel giro di un anno dall'emanazione del decreto legislativo per emanare disposizioni integrative o correttive nel rispetto dei principi e criteri direttivi stabiliti dai commi 84 e 85.
  Dunque, anche da questo punto di vista il legislatore delegante è stato accorto.
  Io, anche data l'ora, mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto. Questa illustrazione, per quanto possibile sintetica rispetto a un lavoro così imponente, ci offre ulteriori spunti di valutazione.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VITTORIO FERRARESI. Dottor Giostra, io rispetto molto il suo lavoro, ho letto i suoi scritti e condivido tutto quello che ha detto sulle misure alternative. Mi permetta, però, di suggerirle di non venire qui in Commissione a dirci cosa deve essere la campagna elettorale e cosa non deve essere, anche perché non è stata nostra intenzione emanare un decreto legislativo a quindici giorni dalle elezioni.
  Come sa, la campagna elettorale si fa all'interno delle carceri, la fanno portando addirittura bollettini per il finanziamento di associazioni politiche, quindi io credo che il carcere sia motivo di intervento e anche di discussione per la politica. Siamo in un periodo in cui, a 30 giorni dalle elezioni, è uscito questo schema di decreto legislativo, evidentemente non per merito nostro, ma per merito di qualcun altro.
  Parto dai dati e poi arrivo alla domanda sui tre punti della delega, su cui peraltro nessuno mi ha risposto precedentemente. Io condivido le vostre posizioni, soprattutto per quanto riguarda un dato accademico, ma il dato della realtà è totalmente diverso. Non prendo in considerazione l'America, perché evidentemente è un esempio fallimentare, ma non prendo neanche in considerazione il Brasile, dove fanno le rivolte e fanno a pezzi i detenuti, come non prendo in considerazione Norvegia e Svizzera, sistemi in cui l'educazione civica è ad altri livelli, come lo sono le risorse, che l'Italia non può avere o almeno in questo momento non ha.
  La realtà è che l'Italia è un Paese che in questo momento su questo settore non ha investito o almeno non ha investito per arrivare alla sufficienza, per garantire una misura qualitativamente buona.
  Se il presupposto è «facciamo le misure per svuotare le carceri o per pagare meno» va benissimo, ma se il presupposto è «facciamo le misure per recuperare il detenuto» allora non ci siamo; è una scommessa che perdete e perdiamo tutti in partenza.
  Le statistiche sono importanti in riferimento a metodi e dati. Io ho elencato alcune criticità delle statistiche della dottoressa Tuccillo, perché le ho studiate. Se mi può fornire ulteriori dati o studi, sono assolutamente disponibile a leggerli e approfondirli.
  Non mettiamo, però, in concorrenza l'istituto delle misure alternative a livello europeo con il principio delle misure alternative in Italia, perché non può essere paragonato per qualità delle misure e qualità del recupero, come non può essere paragonato un sistema rispetto all'altro vista la criminalità organizzata nel nostro Paese.
  A chi non collabora con la giustizia e manda informazioni dal carcere ai suoi affiliati fuori fino a che non muore che Pag. 37recupero volete far avere? Sono loro i primi che non entrano in un sistema di recupero, perché hanno intenzione di radicare il loro potere sia all'interno sia all'esterno delle carceri.
  Palma e altri parlano di lavoro di pubblica utilità. Qui ci sono anche degli avvocati. Funziona il lavoro di pubblica utilità in Italia? Sono stati gli stessi avvocati nell’ audizione dell'Unione delle camere penali o i comuni a venir da me e a dirmi che non funziona e che non è conveniente né per il detenuto né per i comuni, perché non c'è un'organizzazione. È fallito questo sistema, quindi bisogna intervenire.
  Io sono d'accordo a intervenire sui lavori di pubblica utilità, ma non mi dite che le misure in questo momento sono afflittive, perché non c'è nulla di più falso rispetto – lo ripeto – non al dato accademico freddo, non alle esperienze europee, ma alla situazione italiana.
  Si è detto che vengono osservati i comportamenti. Io mi chiedo dove. Il dottor Palma, peraltro, visita le carceri, come le ho visitate io; è per questo che posso dirlo. In un regime di celle aperte dove semplicemente c'è un agente di polizia penitenziaria nel gabbiotto e cento detenuti fuori che parlano, quale osservazione c'è? Io ho visitato le carceri, ho parlato con i detenuti, ho parlato con gli agenti, ho parlato anche con gli operatori socio-pedagogici. Non c'è osservazione, non c'è recupero, non c'è ascolto, se non con indagini mirate dove ci sono registrazioni che dicono: «Questi si stanno organizzando per fuggire, questi si stanno organizzando per inneggiare all'Isis». Tuttavia, sono cose diverse, non c'è un controllo.
  Prima di arrivare alle domande faccio un'osservazione sullo svuota-carceri. Lo svuota-carceri è stato fatto nei medesimi anni in cui uscivano i dati sulla sicurezza, quindi mi dispiace, dottor Giostra, ma non mi può dire che c'è più sicurezza, anche perché, come ho detto prima, molti crimini non vengono presi. L'accesso alla giustizia ha dei costi che sono aumentati, quindi questo è un dato che non esiste, anzi i detenuti sono rientrati e stanno ritornando al livello della sentenza «Torreggiani».
  Perché avviene questo? Perché non c'è un recupero effettivo, perché non c'è un futuro, non c'è il lavoro che dà una prospettiva di reintegro nella società evidente, non c'è sicurezza, c'è una percezione di impunità anche dentro le carceri. Se non si lavora su questo, prima che sul dato accademico secondo cui le misure alternative funzionano, queste misure alternative non funzioneranno mai.
  Arrivo alle domande sulla delega e vi chiedo: dove sta scritto nella delega che si toglie l'autorizzazione al magistrato di sorveglianza e la si dà al direttore del carcere? Dove sta scritto nella delega che il parere del procuratore nazionale antimafia è da eliminare? Dove sta scritto nella delega che per l'ergastolo si prevede una misura in cui si possono dare i benefici se per cinque anni sono stati attuati permessi premio in modo efficace e positivo? Soprattutto il riferimento ai cinque anni non c'è scritto nella delega. Forse ho sbagliato io; si può anche interpretare ampiamente, ma, visto che su altri punti è stata già interpretata in maniera ampia, vorrei capire dove stanno scritte queste cose.
  Per quanto concerne il collegamento generale, l'ho già ribadito più volte, però...

  WALTER VERINI. Io mi riservo nella seduta in sede referente, che presumibilmente l'Ufficio di presidenza fisserà per la prossima settimana, naturalmente assieme al mio Gruppo, di esprimere in un intervento più articolato una posizione più compiuta.
  Vorrei invece apprezzare, in tempi assolutamente telegrafici, il richiamo che è stato fatto anche da ultimo dal professor Della Casa e prima dal professor Giostra sull'esigenza e sull'auspicio espresso che questo tema non entri nel frullatore elettorale.
  Dico questo perché la delega che il Governo ha esercitato, a mio modo di vedere, è una sorta di servizio che viene fatto al Paese, non soltanto perché credo che un Paese civile e democratico come l'Italia debba il più possibile vedere applicati gli articoli della Costituzione, a partire in questo caso dall'articolo 27, ma anche perché, secondo me, oltre che rispettare quell'articolo Pag. 38 e, quindi, rispettare il principio della pena come rieducazione e come reinserimento, ciò significa contestualmente investire nella sicurezza di tutti i cittadini.
  Dico questo in virtù di un'elementare ragione che è stata ribadita da quasi tutti gli interventi: nel momento in cui un detenuto ha scontato la pena, e c'è il tema della certezza della pena, qualsiasi essa sia (detentiva in carcere, domiciliare o alternativa), , non solo deve avere una seconda chance, ma deve anche ripresentarsi alla società, che dovrebbe essere in grado teoricamente di accoglierlo, in maniera tale da essere recuperato e reinserito e, quindi, da non tornare a delinquere. Le due cose stanno insieme.
  Siamo in una sede istituzionale, quindi non si fanno i discorsi di propaganda. Io mi rendo conto che spesso parlare di queste cose, nel momento in cui c'è un mainstream, un pensiero dominante, secondo cui bisogna buttare la chiave, non è facile. Parlare di queste cose in questo momento può non essere popolare. Peraltro, è stata una scelta obbligata da parte del Governo, perché la legislatura stava finendo ed erano anni che si attendeva. Io apprezzerei questa cosa e, secondo me, è giusto il richiamo di chi dice: «Visto che si sta parlando di temi che sono di interesse generale, cerchiamo di tenerli al riparo dalle speculazioni elettorali. È un richiamo che io apprezzo e che approvo».
  Detto questo, mi accingo a formulare una semplice domanda di merito. Voglio aggiungere un concetto: io non penso che l'approvazione della delega, i pareri delle Commissioni giustizia del Senato e della Camera, che certamente potranno arricchire la delega anche sulla base dei contributi venuti questa mattina, e l'applicazione del decreto legislativo risolveranno i problemi. Userei anch'io il termine «sfida». È una sfida certamente civile, è una sfida culturale, ma è anche una sfida ai governi che verranno, al futuro Parlamento, a dotare, a dare le gambe, perché questa sfida possa essere, non solo raccolta, ma anche applicata.
  La presidente Ferranti molto opportunamente ricordava lo sforzo che la Commissione bilancio, su iniziativa della presidente stessa, ha compiuto in sede di Legge di stabilità, con l'approvazione di un emendamento che garantisce all'esecuzione penale esterna la possibilità di dotazioni significative e qualificate di personale.
  Io penso che il tema delle risorse, il tema del personale – gli agenti di polizia penitenziaria chiamati a nuove sfide con la vigilanza dinamica, per esempio – con le sezioni aperte, che responsabilizzano il personale, la necessità di figure di mediazione culturale, la necessità di figure che garantiscano sempre di più la socialità e l'assistenza psicologica all'interno degli istituti di pena, le strutture umanamente più gestibili e vivibili non siano cose che noi avremo domani mattina.
  Lo schema di decreto legislativo pone a tutti noi l'esigenza di dire: «Lo vogliamo applicare nell'interesse della società, ma contestualmente dobbiamo fare dei passi in avanti strutturali, nel senso indicato, secondo me, dagli Stati generali».
  Vengo alla domanda. È stato fatto riferimento dai magistrati di sorveglianza e da altri interventi a esperienze virtuose di recupero, di pena durante la quale c'è una gestione coerente con il dettame dell'articolo 27 della Costituzione.
  Ci sarà in quelle realtà una ragione strutturale, ma ci può essere anche un problema di formazione delle direzioni degli istituti di pena. Mi fa piacere che ci sia qui il Sottosegretario Migliore, che è, non solo istituzionalmente ma anche come persona, molto sensibile a questi temi. Tutti i direttori delle carceri italiane lavorano allo stesso modo, nella stessa direzione, con la stessa sensibilità?
  È un tema che io pongo all'attenzione, perché anche la questione della formazione permanente e moderna di chi ha il compito gravosissimo di dirigere un carcere va certamente posta all'attenzione e vorrei sentire su questo anche il vostro parere.

  TANCREDI TURCO. Mi rimane ancora un dubbio e ci terrei a chiarirlo. Con questo schema di decreto legislativo è escluso dalle agevolazioni per la scarcerazione chi è condannato per reati di mafia e terrorismo. Chi è condannato per concorso esterno Pag. 39in associazione mafiosa ha diritto ad avere le agevolazioni o è compreso nei cosiddetti «reati di mafia»?

  PRESIDENTE. È una domanda precisa a cui avrà una risposta nel momento opportuno. È bene fissare i princìpi.

  ANNA ROSSOMANDO. Rinvio le considerazioni alla sede referente. Comunque, l'onorevole Verini ha già detto molto e mi consente di arrivare immediatamente a due domande secche.
  Premetto che oggi neanche per l'istituto che vediamo con maggior carattere di automatismo c'è un immediato automatismo. Mi riferisco alla liberazione anticipata, nel senso che anche per avere la liberazione anticipata, se hai commesso uno dei fatti che ha elencato il collega Ferraresi, cioè sei stato in comunicazione e per affermare che sono stati commessi vuol dire che lo sai, che l'hai appreso, hai notizia di questo, quindi non esiste tertium non datur...
  Dunque, anche oggi, a ordinamento vigente, anche per la liberazione anticipata ci vuole una valutazione, altrimenti non ti viene concessa.
  La domanda è la seguente: nel sistema che emerge dallo schema di decreto legislativo che spazio ha la valutazione? Per qualsiasi beneficio o variazione di trattamento in corso – perché siamo nell'esecuzione della pena, quindi si prevede una pena che possa variare a seguito di una serie di verifiche e d'indagini – c'è una valutazione oppure ci sono degli automatismi?
  Arrivo al punto secondo, per chiarire dal punto di vista logico. Infatti, ovviamente si possono avere opinioni diverse, ma quello che non è consentito è fare strame della logica e di un ordine concettuale, perché altrimenti non ci capiamo quando dobbiamo discutere in sede referente.
  Quando parliamo di celle aperte, è vero o non è vero che non è sovrapponibile al discorso trattamentale e dell'osservazione? Già oggi ci sono delle esperienze di celle aperte. Poi discuteremo se l'osservazione si può fare o non si può fare nelle sedi opportune, perché abbiamo abbastanza personale o non abbiamo abbastanza personale, ma è vero o non è vero che sono due concetti completamente diversi?
  Infatti, la questione delle celle aperte ha a che vedere con un «alleggerimento» della convivenza. Siccome tutti abbiamo visitato le carceri, oltre ad avere esperienze professionali, sappiamo benissimo di cosa parliamo quando parliamo di celle aperte, cosa che già esiste in alcuni tipi di detenzioni, serve per alleggerire e non ha niente a che vedere con l'osservazione. Poi discutiamo sulle risorse, razionalizzazione e altro, siamo tutti molto interessati.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. Rispondo alle obiezioni che faceva l'onorevole e di cui lo ringrazio. Premetto che un domani mi piacerebbe anche capire che cosa, invece, nella sua ottica bisognerebbe fare. Visto che non ci sono i presupposti per fare nulla, forse bisogna conservare l'esistente. Ne parliamo un'altra volta.
  Lei dice che non sono comparabili i risultati degli altri Paesi perché l'Italia non è la Svizzera. A pochi chilometri da Lugano c'è Milano e a Milano c'è Bollate, dove è stato fatto uno studio da Giovanni Mastrobuoni e Daniele Terlizzese, che peraltro è uno statistico della Banca d'Italia, che non credo possa essere condizionato da pregiudizi di carattere ideologico, che mi è sembrato molto scrupoloso. Ovviamente è sempre da prendere con le dovute cautele quest'indagine, che ha dimostrato quanto incide la sola permanenza in un carcere open, anche all'interno.

  VITTORIO FERRARESI. Certo, ma quante Bollate ci sono in Italia?

  PRESIDENTE. Fate rispondere.

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento Pag. 40 penitenziario presso il Ministero della giustizia. Mi pare che lei sia d'accordo con noi, solo che dice: «Però non posso». Noi vorremmo semplicemente moltiplicare Bollate.

  PRESIDENTE. Poi ci saranno le elezioni e qualcuno prenderà la responsabilità. Professore, la prego, perché non possiamo consentire botta e risposta.

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. Siccome contestava anche la statistica, le dico che io credo che questa statistica – poi la esamineremo insieme, se vorrà – sia particolarmente scrupolosa. Infatti, gli studiosi si sono anche detti: «È facile che lì la recidiva sia più bassa, perché è clientela selezionata». Di conseguenza, hanno analizzato quanti passavano da altri carceri per mero sfollamento. Sappiamo che quasi sempre – non ci sentono i vertici dell'amministrazione – i singoli istituti, se possono, si liberano dei peggiori detenuti nel momento dei trasferimenti per eccessivo affollamento.
  Tra questi che sono transitati nel carcere di Bollate, per il solo fatto di aver trascorso almeno un anno in quel carcere, spesso non fruendo neppure delle misure alternative, emerge un abbassamento della recidiva del 15 per cento.
  Io credo che siano dati importanti. Non si può non tentare, non si può non sperimentare, anche con le difficoltà che lei intravede, secondo me esagerandole. Certamente ci saranno molte difficoltà di carattere strutturale, organizzativo, di preparazione professionale. Qui è il gatto che si morde la coda, perché, se non iniziamo mai, se non chiediamo alla polizia penitenziaria di fare qualcosa di diverso dal girare una chiave, certamente non sarà mai professionalmente attrezzata per fare altro, invece è un importantissimo osservatore di prossimità.
  Quanto alle violazioni della delega, mi permetto di non essere d'accordo con lei, perché mi sembra che la sua analisi, peraltro molto attenta, sia orientata soltanto a cercare nella delega la soluzione puntiforme data dal delegato. Non è così, perché altrimenti sarebbe già quello il testo. La delega prevede una griglia d'intervento e l'importante è collocarsi all'interno.
  Lei dice: «Dove sta scritto che l'ergastolano può usufruire della semilibertà, invece che dopo venti anni, anche dopo dieci anni più cinque di permessi premio?». Lo dice la direttiva quando parla di «ampliare il ricorso alle misure alternative e facilitarle in tutti i modi». Questo facilita, perché dieci anni più cinque di positiva fruizione di permessi premio dà un accesso alla semilibertà che favorisce questo tipo di misura.
  Quanto alla liberazione condizionale, qui il vantaggio è minimo, ma lei avrebbe potuto fare la stessa contestazione formale, coerentemente. Come lei sa meglio di me, dopo 26 anni l'ergastolano può fruirne. Noi abbiamo aggiunto «o dopo venti e cinque di semilibertà positivamente sperimentata». Non vedo cosa ci sia in contrasto con lo spirito della delega e con la volontà di favorire il ricorso alle misure alternative.
  Si è convinto? Non mi dica che sono riuscito a convincerla.

  PRESIDENTE. Anche per un rispetto della trascrizione, questo dibattito non è consentito. Andiamo avanti.

  GLAUCO GIOSTRA, in qualità di presidente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. Anche per quanto riguarda il procuratore nazionale antimafia, non ci deve stare scritto. Anche in questo caso noi crediamo di aver fatto in modo che, senza nessun abbassamento a livello di precauzioni...Infatti, il giudice deve sentire il procuratore distrettuale, che, come affermava Polidoro, verosimilmente poi si collegherà con il procuratore nazionale antimafia, ma è quello che ha una conoscenza più diretta e più prossima.
  Senza nulla togliere da quel punto di vista, abbiamo semplicemente rimosso una sorta di preclusione giudiziaria difficilmente accettabile – mi pare che nell'ultimo intervento anche il consigliere De Raho ne Pag. 41convenisse – con un magistrato, per quanto di grandissima esperienza e di vertice, che afferma: «Qui vi dico che ci sono collegamenti. Anche se non è un reato di mafia non importa, ci sono collegamenti, quindi non potete dare...» Incide sulla pena, quando noi ancora riteniamo che sia opportuno che sia il magistrato, certamente chiedendo tutti questi pareri, certamente motivando soprattutto quando i pareri sono negativi...Infatti, se il comitato per la sicurezza o il procuratore distrettuale antimafia dice «guarda che ci sono i collegamenti» e lui concede lo stesso, dovrà motivare in modo rafforzato, però spetta a lui la responsabilità e l'esercizio di questa discrezionalità delicatissima.
  So di non averla convinta, ma ci ho provato.

  PRESIDENTE. Salutiamo il sottosegretario, che ha un altro impegno. Lo ringrazio anche per la partecipazione a tutta la fase delle audizioni.
  Do la parola, per la risposta che riterrà di dare ai vari quesiti, al professor Della Casa.

  FRANCO DELLA CASA, in qualità di componente della Commissione per la riforma dell'ordinamento penitenziario presso il Ministero della giustizia. Forse la mia più che una risposta è una condivisione totale delle parole che ha detto l'onorevole Verini: lasciar fuori la riforma dal frullatore elettorale e cercare di fare in modo...
  Certamente nessuna legge, se non ha le gambe del finanziamento e dell'apparato, riesce a camminare. Può essere il decreto legislativo più bello del mondo, ma poi è destinato a naufragare.
  Sicuramente lo sforzo per chi crede in questa riforma non deve essere compiuto solo in questo momento. Semmai verrà alla luce, credo che debba essere seguita con altrettanta attenzione e con altrettanto interesse, in modo da incalzare il più possibile il potere politico, per far sì che si mantenga in linea con le «promesse» che fa nel momento in cui emana delle norme che sono così importanti per una molteplicità di persone.
  Non mi riferisco solo ai 53.000-57.000 che sono detenuti in carcere. Mi riferisco altresì a tutti i loro parenti, il che va a riguardare una folla già più ampia. Mi riferisco anche alla società nel suo complesso, perché noi, come diceva il professor Giostra e come dico per me stesso, crediamo vivamente che questa riforma possa rendere più sicuro il Paese e, quindi, possa essere una riforma che serve alla società nel suo complesso.
  Mi ricollego anche alle paure che esprimeva l'onorevole che ha parlato prima di lei. Certamente, se queste misure alternative, se per assurdo ipotizzassimo... Noi abbiamo rafforzato la griglia delle prescrizioni, non è vero che in base al decreto legislativo emanando l'affidamento in prova è una scatola vuota, come qualcuno ha detto; è una scatola riempita di contenuti.
  Qualcuno si chiede: «La polizia, che ha già tanti compiti, potrà farcela?». Questa è una domanda veramente difficile. Io non credo di avere la risposta ma credo che neanche chi ha un'opinione opposta alla mia sia in grado di dire che è una cosa destinata al fallimento. Come si diceva, si tratta di dare l'avvio a un circolo virtuoso.
  Passo all'altra domanda. Per quanto riguarda il concorso esterno in associazione mafiosa, certamente la preclusione rimane. A chi è condannato per concorso esterno in associazione mafiosa non si apre certamente la strada delle misure alternative, quindi da questo punto di vista nulla è cambiato.
  L'ultimo gruppo di domande sono particolarmente interessanti. L'ultima che è stata posta è una domanda molto stimolante.
  In merito alla valutazione, si chiedeva se ci sono degli automatismi nella concessione di queste misure. Non ci sono e non ci dovrebbero essere degli automatismi. Gli automatismi che c'erano sono stati eliminati e il tribunale di sorveglianza, che è l'organo principe – può provvedere talvolta anche il magistrato, ma il giudice «naturale» delle misure alternative è il tribunale di sorveglianza – non solo si basa su un'istruttoria articolata che va a sondare parecchie fonti... Pag. 42
  Io ho avuto un'esperienza decennale come componente laico di un tribunale di sorveglianza e mi sono reso conto che l'istruttoria per la concessione di una misura è sempre fatta in maniera molto seria. Ad esempio, le informazioni di polizia vengono molto spesso chieste contemporaneamente alla Polizia di Stato e ai Carabinieri per vedere se c'è coincidenza o difformità. Se dopo le informazioni residuano delle incertezze, si fa un supplemento d'indagine: viene acquisito il certificato penale, vengono acquisiti i carichi pendenti, viene acquisita la relazione degli UEPE.
  Pertanto, il tribunale di sorveglianza ha una massa di dati... Certamente nessun giudice è infallibile. L'infallibilità non è degli esseri umani. Ci potranno essere degli errori di valutazione, però, come si diceva, la bassissima percentuale delle revoche di misure alternative e le pochissime prime pagine di giornali che escono sparando la notizia di un reato commesso da un detenuto che fruiva di un beneficio penitenziario – perché di queste non se ne lasciano scappare una – sono evenienze fortunatamente rare.

  PRESIDENTE. Abbiamo chiuso l'indagine conoscitiva. Io vi ringrazio moltissimo a nome di tutti i colleghi. Grazie anche a coloro che hanno ritenuto di trattenersi per tutto questo tempo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.