XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 21 settembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 3671-BIS GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA DELLE DISCIPLINE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA

Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese, di Francesco Mucciarelli, ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, di Roberto Fontana, segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC), di Filippo Lamanna, presidente del tribunale di Novara, e di Alida Paluchowski, presidente della seconda sezione civile del tribunale di Milano.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Teodori Claudio , Presidente dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese ... 3 
Mazzoleni Alberto , Direttore dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Lamanna Filippo , Presidente del tribunale di Novara ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Lamanna Filippo , Presidente del tribunale di Novara ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Paluchowski Alida , Presidente della seconda sezione civile del tribunale di Milano ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Fontana Roberto , Segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Fontana Roberto , Segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC) ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Mucciarelli Francesco , Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Mucciarelli Francesco , Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Mucciarelli Francesco , Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Mucciarelli Francesco , Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Ermini David (PD)  ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese, di Francesco Mucciarelli, ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, di Roberto Fontana, segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC), di Filippo Lamanna, presidente del tribunale di Novara, e di Alida Paluchowski, presidente della seconda sezione civile del tribunale di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 3671-bis Governo, recante la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di rappresentanti dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese, di Francesco Mucciarelli, ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, di Roberto Fontana, segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC), di Filippo Lamanna, presidente del tribunale di Novara, e di Alida Paluchowski, presidente della seconda sezione civile del tribunale di Milano.
  Quella di oggi è la nostra penultima giornata di audizioni. Ci sono entrambi i relatori, l'onorevole Bazoli e l'onorevole Ermini.
  Abbiamo tempo fino alle 15,30-15,40, perché oggi avevamo previsto delle votazioni, ma non siamo pronti per questo, quindi possiamo dare più tempo alle audizioni. Per quanto riguarda i tempi, noi di solito diamo un quarto d'ora per gli interventi.
  Do la parola a Claudio Teodori, presidente dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese, per lo svolgimento della sua relazione.

  CLAUDIO TEODORI, Presidente dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese. Grazie, presidente. Faccio una considerazione preliminare e poi entro nel vivo dei singoli articoli e di alcuni punti, perché effettivamente la riforma è molto ampia.
  Esprimo una valutazione sicuramente positiva della riforma, perché dà una risposta a una serie di interventi parziali che ci sono stati in passato e credo che raggiungerà anche un obiettivo molto importante, in funzione di come verrà declinata, sul tentativo di salvaguardare le imprese e soprattutto la concorrenza. Infatti, oggi alcune situazioni legate a certe tipologie di concordati effettivamente sono un elemento di disturbo della dinamica concorrenziale.
  Entrando nel vivo di questa legge-delega, vorrei concentrarmi su due punti, per poi introdurne un terzo. Il primo riguarda il concetto di crisi d'impresa, l'articolo 2, che è un punto molto importante, perché si affianca come concetto a quello di insolvenza, definizione già esistente. Pag. 4
  La prima considerazione riguarda l'articolo 2, comma 1, lettera a), in cui vengono introdotte delle espressioni equivalenti di «fallimento», come «insolvenza» e «liquidazione giudiziale».
  Dal punto di vista economico-aziendale – io parlo come economista aziendale – questi sono due concetti molto diversi tra di loro, perché l'insolvenza richiama una situazione specifica dell'azienda, mentre la liquidazione giudiziale richiama necessariamente una procedura. Non sono sinonimi, quindi è importante, secondo me, prendere posizione su uno di questi due e, forse, evidenziare il discorso della procedura più che l'insolvenza, che è uno status specifico dell'impresa che logicamente va dopo la crisi.
  L'altro punto importante è che si chiede di dare una definizione di crisi d'impresa. È chiaro che questa definizione è molto complessa, però, se tale definizione venisse data, come chiaramente viene richiesto dalla legge-delega, dovrebbe essere coordinata con quella di insolvenza.
  La definizione di insolvenza attualmente esistente, che tutti conoscete e che non ripeto, ad esempio, prevede all'interno la capacità di soddisfare regolarmente le obbligazioni. Il concetto di «regolarmente» nel momento in cui si introduce anche un concetto di crisi d'impresa, deve essere un po’ rivisto, perché è chiaro che l'insolvenza e regolarmente non sono due concetti che si sposano molto bene. Invece, il regolarmente può essere in qualche modo legato al concetto di crisi, perché effettivamente ci sono delle possibilità di recupero.
  Pertanto, al di là del coordinamento delle definizioni, io credo che sia opportuno integrare la richiesta della definizione con alcuni concetti chiave economico-aziendali. Si dovrebbe introdurre il concetto di reversibilità, che è fondamentale, altrimenti è inutile andare avanti su questi temi. Si dovrebbe, altresì, evidenziare l'esistenza di un progressivo deterioramento della situazione economica e la presenza di una tensione finanziaria.
  Questi sono elementi importanti che si accompagnano al concetto di crisi e chiaramente non a quello di insolvenza, perché ormai siamo nella fase economicamente chiamata «dissesto», ovvero in una fase terminale.
  Passo a un altro punto e poi non rubo altro tempo. Ci sarebbero altri elementi, però vi abbiamo già inviato un documento.
  L'altro punto riguarda l'articolo 3, sui gruppi di imprese. Da un punto di vista generale, va benissimo, perché effettivamente nel momento in cui si rileva una situazione di crisi e una situazione di insolvenza, se l'azienda appartiene a un gruppo, guardare l'aggregato più ampio a cui l'impresa appartiene è sicuramente positivo.
  Da un punto di vista economico, la lettera a) del comma 1 dell'articolo 3 della legge delega prevede di dare una definizione di gruppo. Personalmente non sono concorde su questo, perché esistono già dei concetti di gruppo a cui fare riferimento ed esiste il decreto legislativo n. 127 del 1991, legato al bilancio consolidato, cioè al bilancio di gruppo. Allora, perché introdurre altri concetti di gruppo e inventarsi qualcosa di nuovo? Personalmente ritengo che ciò genererebbe ulteriore confusione.
  Un'altra cosa importante è che sempre il comma 1, alla lettera a), richiama l'articolo 2359 del Codice civile (imprese controllate e collegate). Sono d'accordo sul richiamo, ma non deve essere totale. Se si vuole lasciare il riferimento all'articolo 2359, io lo limiterei al primo e secondo comma, perché è vero che il terzo comma identifica situazioni di controllo, ma si tratta di situazioni molto specifiche dei vincoli contrattuali che neppure nel bilancio consolidato vengono considerate.
  Se si richiama l'articolo 2359, io farei anche riferimento al decreto legislativo n. 127 del 1991 per la parte di definizione dell'area di consolidamento, perché lì ci sono altri concetti di controllo non previsti dal Codice civile.
  Passo all'articolo 4 del disegno di legge e affronto un punto che poi approfondirà il professor Mazzoleni, che riguarda i segnali di allerta e le procedure tese al superamento della crisi di impresa. Mi soffermerei sul concetto di segnale di allerta. Pag. 5
  L'Osservatorio ha effettuato diverse ricerche sulle crisi di impresa, sulle caratteristiche delle imprese in crisi, su come le imprese si sono avvicinate alle procedure concorsuali e in particolare al concordato. L'elemento chiave, veramente determinante, che è emerso in tutte le situazioni è la tardività nel presentare una domanda di accesso a queste procedure.
  I segnali di allerta sono dei segnali fondamentali. Credo che tutta l'impalcatura della futura legge possa stare in piedi se i segnali di allerta sono significativi; altrimenti, il rischio è di cambiare sicuramente un'impostazione, ma mantenendo i vecchi problemi.
  Prima di cedere la parola al professor Mazzoleni, vorrei fare una considerazione su questo punto. Mi sembra che nel disegno di legge-delega il riferimento ai segnali di allerta ci sia forse più nel titolo dell'articolo 4 che all'interno dell'articolo stesso.
  È vero che sono richiamati i creditori privilegiati (l'Agenzia delle entrate, gli enti assistenziali), però in quel caso mi sembra molto limitativo, perché, secondo me, servono segnali che partano da altri presupposti che adesso vedremo.
  Per quanto concerne i creditori privilegiati, se si vogliono mantenere – credo che valga la pena mantenerli – ritengo che sia importante definire almeno tempi e modalità, perché, se si lascia totalmente libera la comunicazione di queste informazioni, il rischio è che siano di nuovo tardive, anche se arriveranno.

  ALBERTO MAZZOLENI, Direttore dell'Osservatorio sulla crisi e sui processi di risanamento delle imprese. Proseguo su questo tema delicato, che, a nostro giudizio, è quello centrale del lavoro: intervenire prima che la crisi si trasformi in insolvenza e in dissesto.
  Questo è il nodo essenziale, così come è essenziale tutta l'impalcatura relativa ai segnali di allerta, che nel disegno di legge delega sono previsti, almeno nominalmente. Il disegno di legge delega prevede ampio spazio sulla procedura che deve essere seguita nel caso in cui questi segnali di allerta vengano attivati, ma non viene data definizione del segnale di allerta e soprattutto non si dice quali sono gli strumenti in grado di produrli.
  Per schematizzare, a nostro giudizio, quando si parla di segnali di allerta, possiamo individuare segnali di allerta che certificano l'esistenza della crisi, quali, banalmente, un protesto o il mancato pagamento di contributi previdenziali. Questi segnali certificano una situazione di crisi che talvolta è già irreversibile.
  Quelli che noi auspichiamo possano essere presi in considerazione sono, invece, i segnali di allerta che prevedono l'arrivo della crisi, cioè segnali che due anni, tre anni o quattro anni prima del verificarsi della crisi sono in grado di accendere il campanello di allarme.
  Evidentemente, gli strumenti che sono in grado di dare questi segnali esistono, nel senso che la letteratura in passato li ha ampiamente studiati, e sono di vari tipi, più o meno articolati e più o meno semplici.
  A nostro giudizio, quelli che dovrebbero essere inseriti nella legge devono avere alcune caratteristiche: devono essere semplici, oggettivi nell'interpretazione, facili da utilizzare e non costosi, nel senso che l'azienda deve utilizzarli senza spese, perché altrimenti non li utilizza.
  A nostro giudizio, con queste caratteristiche possono essere individuati alcuni modelli di previsione dell'insolvenza (Altman, Taffler, Olson), strumenti che partono dalle informazioni di bilancio e sono in grado, quattro anni, tre anni o due anni prima del verificarsi della crisi, di accendere il campanello di allarme.
  Noi abbiamo ampiamente studiato questi strumenti, che non funzionavano benissimo, perché erano stati creati in altri contesti geografici in altre epoche. Il professor Teodori negli anni 1980 si era già occupato di questi temi. Sono un paio di anni che li stiamo studiando e siamo arrivati a sviluppare strumenti in grado di avere un'affidabilità e un'efficacia elevate nella previsione.
  Secondo noi, questi dovrebbero essere gli strumenti che tutti devono utilizzare. Se il campanello di allarme viene acceso, bisogna approfondire e, quindi, si fa scattare la procedura. Se il risultato dell'applicazione Pag. 6 di questi strumenti, invece, è tranquillo, non succede niente, ma l'azienda li deve utilizzare. Questo è il ragionamento.
  Nel documento che abbiamo inviato, ci siamo permessi di rimodulare anche la procedura, immaginandoci l'obbligatorietà dell'utilizzo di questi strumenti, che noi abbiamo chiamato «di primo livello».
  Quando si accende il campanello di allarme bisognerebbe essere stimolati ad approfondire i temi e a quel punto l'imprenditore dovrebbe incominciare a farsi assistere dagli organismi di composizione della crisi, che, a nostro giudizio, però, dovrebbero essere articolati con maggiori competenze. L'imprenditore, una volta che sa che è in una situazione di precarietà dal punto di vista economico, dovrebbe essere obbligato a muoversi, perché altrimenti ovviamente non lo fa. Non entro nel dettaglio, perché la relazione è abbastanza articolata.
  Infine, faccio un'osservazione telegrafica sull'articolo 5 del disegno di legge delega, che parla degli accordi di ristrutturazione e dei piani di risanamento.
  Il disegno di legge ha previsto la possibilità di estendere il meccanismo forzoso del cram down non solo ai creditori finanziari, ma anche a quelli non finanziari. Quando un'azienda ha delle difficoltà e raggiunge la maggioranza con i suoi creditori, la minoranza si deve adeguare. Questo prevedeva la legge per i creditori finanziari. Se non ho capito male, il disegno di legge delega lo estende anche ai creditori non finanziari, e questo ci sembra assolutamente positivo.
  La nostra osservazione è che lo strumento che più comunemente viene utilizzato dalle aziende di piccole dimensioni, perché è quello che costa di meno, è forse il piano attestato ex articolo 67, per il quale non è prevista l'applicabilità di questa norma. Quando un'azienda è in crisi e fa un piano con i suoi creditori utilizzando questo strumento giuridico, che è di volontaria giurisdizione, ma è quello che costa di meno e che permette, ovviamente, anche una maggiore velocità nell'utilizzo, la norma sembra non prevedere questo meccanismo.
  A nostro giudizio, ovviamente questo meccanismo dovrebbe essere esteso, perché altrimenti ci sarebbe un vuoto giuridico importante.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto, anche per essere stati nei tempi e per aver centrato i temi.
  Do la parola a Filippo Lamanna, presidente del tribunale di Novara, per lo svolgimento della sua relazione.

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del tribunale di Novara. Vi ringrazio per il reiterato invito. Vorrei solo sapere preliminarmente se è arrivata la relazione che ho mandato avantieri.

  PRESIDENTE. Sì, è già in distribuzione.

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del tribunale di Novara. Non posso che rinviare per maggiori osservazioni alla relazione; qui, per questioni di tempo, tratterò solo pochissimi punti.
  Tratterò il primo prendendo spunto da un'osservazione fatta nella seduta del 20 aprile 2016 dalla presidente Ferranti. Preannunciando che sarebbe stata svolta un'indagine conoscitiva sulla riforma, la presidente ha affermato che sarebbe stata l'occasione anche per monitorare gli effetti della miniriforma realizzata con il decreto-legge n. 83 del 2015, il cui obiettivo, come con grande capacità di sintesi ebbe a segnalare, non era affatto quello di incrementare il ricorso ai concordati quanto piuttosto quello di scongiurare il rischio di un loro utilizzo distorto. Faccio i complimenti per la mirabile sintesi.
  Partirei proprio da questo aspetto, facendo un breve report sui risultati di questa iniziale miniriforma, che è parte intrinseca della riforma più complessiva di cui stiamo parlando adesso.
  Si può segnalare sicuramente un ottimo risultato di quelle misure che hanno introdotto le soglie di accessibilità per il concordato liquidatorio (per intenderci, quella del 20 per cento).
  Faccio riferimento a questo successo, perché è indiscutibile. Da un lato, infatti, i concordati si sono ridotti, come ovviamente non poteva non essere, visto che questa Pag. 7misura serviva proprio per eliminare i cosiddetti «concordati farlocchi», quelli allo «zero virgola» o giù di lì.
  Dall'altro lato, non sono affatto scomparsi. Infatti, le statistiche del tribunale di Milano – mi riferisco solo a quelle, perché poi potranno essere meglio indicate dai colleghi – hanno registrato nel primo anno di applicazione della miniriforma un ridimensionamento molto modesto. In realtà, nel primo anno ci sono stati 200 concordati nuovi e quasi tutti seri.
  È stata un'opera di pulizia molto utile e che mi permetto di segnalare perché, siccome la riforma ha previsto l'eliminazione del concordato liquidatorio, se nel corso dei lavori parlamentari fosse reintrodotto – cosa che io spero sia scongiurata – ritengo assolutamente raccomandabile conservare il criterio attuale delle soglie, perché è l'unico in grado di calmierare i concordati veri dai concordati finti.
  In quel caso, si dovrebbe, anzi, aggravare la precisazione di una regola che è stata introdotta, quella per cui nel momento in cui si propone il concordato, siccome non stiamo scherzando, si sta promettendo un risultato.
  Questo risultato non viene promesso solo nei limiti del minimo di legge del 20 per cento, ma anche nei limiti di quel maggior pagamento che il debitore eventualmente proponga di fare ai creditori. La soglia è minima, ma la promessa è quella che viene fatta. Pertanto, se il debitore promette di pagare il 30 per cento, l'eventuale inadempimento alla promessa si deve commisurare al 30 per cento e non al 20, che è il requisito di ammissibilità minimale per accedere a questo concordato.
  Ripeto, però, che se ne è prevista l'eliminazione a vantaggio dei concordati in continuità aziendale. Si tratterà, semmai, di stabilire, cosa che l'articolato non fa, se sia da applicare questa soglia anche a quei concordati in continuità che hanno, però, natura essenzialmente liquidatoria.
  L'articolo 186-bis della legge fallimentare prevede tre tipi di concordato in continuità, non solo quello puro, in cui l'imprenditore continuerà a esercitare lui stesso l'impresa, ma anche i concordati con cessione dell'azienda in esercizio o conferimento dell'azienda in esercizio, che sono concordati essenzialmente liquidatori, come quello per cessione dei beni.
  Personalmente, non ravviso una motivata ragione per non inserire una soglia, magari più modesta, anche per questi concordati, perché, comunque, hanno una natura essenzialmente liquidatoria. Quello che si cede è l'azienda. L'esercizio dell'attività verrà proseguito da terzi. Non è la stessa ratio di tutela che può riguardare l'imprenditore che voglia proseguire nella sua attività.
  Detto questo, c'è solo una segnalazione negativa da fare sulla riforma, come è successo con la miniriforma, che riguarda le proposte concorrenti che non hanno avuto successo. Io fui profeta all'epoca, dicendo che non era stata strutturata bene la disciplina e che, non consentendo la parità delle armi per i terzi, li mette in una condizione di subalternità rispetto al debitore.
  Il debitore durante il concordato può cedere l'azienda e può chiedere atti di straordinaria amministrazione, cose che non può fare il terzo nelle more. Inoltre, può praticamente svuotare quell'azienda, che è il principale obiettivo verso cui si muove l'interesse del terzo competitor. Quindi, se non si ridisegnano i poteri del terzo e non si calmiera anche il tipo di poteri che il debitore conserva nel corso di una procedura quando venga fatta una proposta concorrente, queste proposte concorrenti non ci saranno mai.
  Entrando nel merito delle altre novità, concordo con quello che è stato detto prima: forse quella più appariscente e più utile è la disciplina delle misure di allerta che hanno carattere preventivo. La metterei sullo stesso piano di quella previsione dell'articolo 2 che tende a calmierare i costi processuali delle procedure di concordato e a contenere le prededuzioni. È una normativa che fa il paio con quella che prevede una congrua riduzione dei privilegi.
  Cosa dire in proposito? Va sicuramente apprezzata la normativa sulle misure di allerta e di prevenzione. È stata scritta malissimo, però. Non è stata scritta in Pag. 8maniera univoca. Crea una sovrapposizione di fasi, una duplicazione di fasi, perché c'è una prima fase che si svolge davanti all'organismo di composizione della crisi, che tende poi a essere ripetuta davanti al presidente del tribunale, quando il primo organismo dovesse rassegnare una relazione negativa sull'esito del primo accertamento.
  Questo è il primo elemento. Rifare tutto una seconda volta vuol dire non solo ripetere i costi, ma anche avere uno spreco di attività e un allungamento dei tempi. Non si salva nulla, se i tempi sono lunghi. Quindi, bisognerebbe conservare una procedura più snella e in una sola fase procedimentale, sia essa di carattere amministrativo o, se si vuole, di carattere giurisdizionale, davanti al presidente.
  Quale presidente? Non, come molti pensano, il presidente della sezione di diritto industriale, ma il presidente sempre della sezione fallimentare, perché la stessa normativa vuole una specializzazione che, altrimenti, mancherebbe. Invece, qui si tratta di seguire con estrema attenzione fenomeni ad alto tasso di specialità. Spostare le competenze dalle sezioni fallimentari alle sezioni che si occupano di diritto industriale, marchi, brevetti e società vorrebbe dire far fallire questa parte della riforma.
  La seconda parte consiste nel fatto che bisogna capire che il procedimento di prevenzione e allerta nasce e muore con la riservatezza. Se non c'è la riservatezza, non esiste un sistema di prevenzione e allerta, perché non c'è un incentivo ad accedere, se poi il giorno dopo tutti sanno che sono in crisi.
  La norma prevede questa riservatezza, ma prevede anche eventi che la fanno venire meno. In particolare, mi riferisco all'ipotesi in cui l'imprenditore chieda, in corso di procedimento davanti all'organismo di composizione della crisi (OCC), misure protettive, perché ci si rivolge al presidente della sezione fallimentare per avere le misure protettive, che poi riguardano tutti, e all'ipotesi in cui lo stesso debitore di sua iniziativa chieda all'organismo la nomina di un esperto per poter sondare i creditori, onde verificare se sia possibile trovare una soluzione alla crisi. Qui c'è una forma di ostensione verso i creditori che fa venir meno la riservatezza.
  In queste due ipotesi la prima fase procedimentale di allerta riservata è venuta meno. Non c'è più, quindi, in quel momento, un procedimento di prevenzione e allerta. Si è trasformato in qualcos'altro. Si è trasformato nel tentativo di trovare una soluzione della crisi concordata con i creditori.
  Se è così, bisognerebbe prevedere la conversione immediata di questa fase procedimentale in quel modello unico, previsto sempre dalla riforma, di accertamento della crisi e di soluzione della crisi, modello unico da cui transitano tutte le forme di soluzione (concordato, accordi, ex fallimento, oggi liquidazione giudiziale). Si prevede un modello unitario con presupposti oggettivi e soggetti che vanno a coincidere con quelli che si verificano in questo momento del procedimento di allerta. Sia l'uno, sia l'altro procedimento sono allertati o da terzi qualificati, o dallo stesso debitore – e qui è lo stesso debitore che ha chiesto l'ostensione della sua situazione di crisi – e dal punto di vista oggettivo abbiamo la stessa situazione, che è appunto la crisi.
  Segnalo che forse andrebbe meglio chiarito un passo della relazione che tende a chiarire che questo procedimento unitario, una volta partito, deve per forza sfociare in un esito, che sarà o l'esito della liquidazione, ex fallimento, o una procedura alternativa in presenza della semplice situazione di crisi, che funge da frullatore in tutti questi casi. Non c'è più una distinzione che rilevi dal punto di vista dell'esito processuale a seconda che si tratti di crisi, ossia di qualcosa di meno dell'insolvenza, o di insolvenza, perché nella relazione si parla di esito che comunque deve essere un esito finale, una volta partito questo procedimento.
  Segnalo l'importanza, comunque, di fare queste precisazioni, perché va conservata la disciplina della misura d'allerta. Ho allegato alla relazione che ho consegnato un provvedimento che prendemmo a Milano, quando presiedevo il tribunale fallimentare, che è qualche cosa di pazzesco. Bisogna Pag. 9 leggere, bisogna vedere questi casi per rendersi conto dell'importanza delle cose di cui stiamo parlando.
  Questa è una sentenza di fallimento che riguarda una Srl sconosciuta da sempre a tutti, nata con un capitale inesistente, con un amministratore fuggito all'estero. Si tratta di una procedura fallimentare iniziata da Equitalia, con un credito di Equitalia e basta, pari a 2.093.493.000 di euro circa. Stiamo parlando di 2 miliardi di un credito maturato dal fisco verso una società sconosciuta, a zero, con Equitalia che si è decisa a chiedere il fallimento dopo anni che si stava accumulando questo debito, che è buona parte di una manovra finanziaria italiana, con una società da cui non si poteva prendere nemmeno un euro.
  Mettere dei paletti e invitare questi istituti a essere più solerti nel segnalare le situazioni di inadempimento grave, che sono un segnale d'allerta e d'allarme forte, è una norma che bisogna assolutamente introdurre, ma con quella sapienza nell'articolare le norme che renda possibile poi il successo di queste misure e non un insuccesso. È chiaro che solo una procedura semplice ed efficiente potrà garantire questo risultato.
  Dicevo che l'altro punto cardinale che potrebbe essere un elemento di importanza fondamentale della riforma riguarda il contenimento dei costi processuali attraverso anche la riduzione delle prededuzioni e dei privilegi. Qui siamo, però, su tre campi diversi.
  Il primo aspetto è ridurre i costi legali, secondo me, riducendo le occasioni in cui si ha bisogno di nominare dei professionisti. Se nel concordato si continua a chiedere un advisor, dei periti immobiliari e mobiliari, un attestatore, un legale che presenti la domanda, revisori contabili, poi si arriva al concordato, dove c'è bisogno del commissario giudiziale, di altri periti e di altri avvocati, e poi si arriva alla fase esecutiva, dove c'è bisogno di un liquidatore e via elencando, è chiaro che, come si legge nella documentazione allegata al disegno di legge, si avranno sempre costi che raggiungono il 30 per cento dell'attivo solo per pagare i professionisti, contro un costo nei fallimenti pari al 5 per cento. Questo si legge a pagina 41 della relazione tecnica.
  Ciò vuol dire che, all'inizio, il concordato è sempre meno conveniente di un fallimento, perché assorbe il 25 per cento di risorse destinate ai creditori, che sono quelli che hanno concorso a sostenere il rischio di impresa, mentre i professionisti che vengono nominati dopo questo rischio non l'hanno subìto, ma sono i più tutelati, perché vengono pagati anche in prededuzione, oltre che con tutela privilegiata.
  Tutto questo oggi non è più riproponibile: o si elimina il concordato in quanto per definizione non conveniente rispetto a un fallimento, o, se si vuole salvare il salvabile, quando ci sia un'azienda in esercizio, se si vogliono ancora tutelare i creditori, bisogna assolutamente ridurre i costi legali. Senza questa riduzione, il concordato è destinato non solo all'estinzione ma a continuare a essere una procedura poco seria.
  Da questo punto di vista occorre, comunque, fare delle precisazioni. Per esempio, una precisazione che va fatta è che, quando con il disegno ministeriale si supera, in un certo senso, un orientamento della Cassazione in tema di fattibilità, perché oggi la si sposta più dal lato del tribunale del commissario giudiziale, escludendo il monopolio dell'attestatore, si dice una parte di quello che sarebbe necessario.
  Si dovrebbe anche dire che bisogna esplicitare con norma apposita che il concordato è inammissibile prima ed è risolubile dopo, quando non viene pagato neanche un euro ai creditori chirografari, che sono in tutta la vicenda concordataria la «Cenerentola». Non vengono pagati mai. Eppure si è cercato di farli votare con il silenzio-assenso per dire: «Dovete per forza essere d'accordo, anche se non prenderete una lira».
  Con il sistema di privilegi da Ancien Régime (oggi abbiamo centinaia di privilegi) ai chirografari non si arriva mai. È una forma di discriminazione di carattere medievale. Oggi non possiamo più permetterci queste cose. Andrebbe, quindi, meglio precisato in sede di legge delega come, quali e Pag. 10in che modo ridurre questi privilegi e queste prededuzioni. Non lo si dice.
  In sede di normativa delegata non è la stessa cosa se metto un privilegio al primo grado o al diciottesimo, se elimino i privilegi delle banche o quelli del fisco o se lascio i crediti dei dipendenti. Sono tutte cose da stabilire prima, perché incidono notevolmente non solo sull'assetto generale, ma anche su quello concordatario.
  L'ultima questione su cui volevo dire qualche cosa riguarda le misure previste per semplificare le procedure. Ci sono vari riferimenti normativi. Uno di questi vorrebbe una maggior responsabilizzazione degli organi gestori. Penso che tutto vada bene, però mancano proposte più incisive. Faccio solo un esempio, perché non abbiamo il tempo.
  A livello liquidativo, oggi non si vendono più gli immobili. È vero che qui è previsto un sistema, quello del common, che dovrebbe un po’ cambiare l'ordine dei fattori, ma non si è prevista una questione che per me è semplicissima e che potrebbe avere un effetto importantissimo: portare nel fallimento la possibilità di assegnazione dell'immobile al creditore ipotecario, il che è previsto per il Codice di procedura civile, ma che nel fallimento avrebbe un'efficacia enorme.
  Perché? Perché quasi sempre i creditori ipotecari sono le banche. Se le banche possono tradurre i non performing loans, cioè i crediti deteriorati, in attivo patrimoniale con l'assegnazione, non solo ricaricano i propri bilanci con attività reali, ma possono poi sottrarsi a tutti quei controlli limitativi che riguardano l'attività bancaria e i controlli europei.
  Ho scritto tante altre cose, ma mi fermo qui. Grazie.

  PRESIDENTE. Sicuramente le leggeremo. Grazie, presidente.
  Do la parola al presidente della seconda sezione civile del tribunale di Milano, Alida Paluchowski.

  ALIDA PALUCHOWSKI, Presidente della seconda sezione civile del tribunale di Milano. I tempi estremamente ridotti di quest'audizione mi consentono di rinviare all'elaborato scritto che invieremo, cercando di riassumere varie posizioni. La ricerca che abbiamo fatto è stata quella di individuare i punti nodali di questa legge sui quali, secondo me, si gioca il suo successo futuro e il fatto che sia ricordata dai posteri con positivo apprezzamento. Principalmente, quindi, il momento clou, lo sapete tutti, è quello dell'emersione tempestiva della crisi, perché questa è una legge che si pone in assoluta continuità rispetto ai princìpi per cui al fallimento, che adesso si chiamerà liquidazione giudiziale, viene preferita la composizione concordata.
  Se vogliamo una composizione concordata efficace, bisogna che questa sia cominciata per tempo e, perché sia cominciata per tempo, occorre, come giustamente diceva il professore prima, non solo che ci siano delle misure d'allerta, ma anche che di fatto l'imprenditore possa essere in qualche modo anche coartato ad avvalersene e, successivamente, a prendere iniziative che possano non rimanere nell'inerzia.
  Sotto questo profilo, riteniamo che l'apprezzabilissima normativa attuale sia, però, estremamente farraginosa sotto il profilo della complessione generale della procedura, molto lunga nel tempo, perché, facendo l'insieme dei tempi necessari per tutte le varie fasi, non dura meno di un anno – io penso che in un anno, purtroppo, l'emersione della crisi sarà tardiva e che probabilmente sarà già andato via il patrimonio sociale; quindi, è sostanzialmente non fattibile con questi tempi – molto costosa, perché comporta l'utilizzo di diversi professionisti e che, alla fine, partorisca un topolino, perché tutto quello che partorisce è una segnalazione al Registro delle imprese che uno deve essere fortunato nel riuscire a trovare.
  Mi sembra uno sforzo dal punto di vista intellettivo, quello di ammettere la possibilità di inserire le procedure, che è certamente apprezzabile, ma che va ridotto a una sola fase. Non deve essere bifasico, con una fase davanti agli OCC e una fase davanti al tribunale delle imprese, ma deve avvenire in un'unica fase davanti agli OCC. Pag. 11
  Occorre, però, che gli OCC siano individuati. Nella legge si parla dell'OCC ma guardate che di OCC ogni città ne ha più di uno. Milano ne ha già quattro o cinque, per intenderci, perché tutti gli ordini fanno un OCC. La Camera di commercio fa un OCC. Lo fanno i commercianti e varie categorie.
  Bisogna, quindi, individuare un OCC competente per ogni distretto nel quale si vuole che siano tenute sott'occhio le imprese in questa fase e bisogna che la sezione specializzata di questo OCC sia dotata di professionisti che, secondo me, devono avere le stesse caratteristiche degli attestatori, perché devono essere soggetti fortemente preparati ad affrontare la conoscenza delle cause della crisi e l'individuazione di una risoluzione.
  Sotto questo profilo ciò consentirebbe anche un risparmio, perché, ritenendo che l'elaborato prodotto in questa fase possa essere poi utilizzato in sede di procedura minore, lo si potrà utilizzare perché il soggetto che l'ha realizzato ha le stesse caratteristiche che dovrebbe avere l'attestatore. Inoltre, essendo nominato su richiesta dell'imprenditore, ma dall'OCC, avrebbe l'ulteriore atout, anche nei confronti del tribunale, della maggiore credibilità per non essere contiguo all'imprenditore, perché verrebbe nominato sostanzialmente da un soggetto terzo.
  Secondo me, questo sarebbe un sistema di risparmio di tempo, di risparmio di soldi e di maggiore utilizzo e possibilità di questa procedura. È chiaro che, però, alla fine della procedura, di fronte a un'attestazione negativa, ossia a un'attestazione che dice che c'è una crisi irreversibile, oppure di fronte all'inerzia dell'imprenditore, occorre fare una scelta.
  Mi sembra, benché capisca tutti i problemi relativi alla riservatezza e alla non giurisdizionalità che devono avere queste procedure, che, di fronte all'insolvenza accertata da un soggetto tecnicamente indiscutibile e all'inerzia dell'imprenditore, debba essere verosimile che l'OCC segnali direttamente alla procura della Repubblica.
  Perché? Perché la procura della Repubblica, in base alla nuova formulazione prevista nel principio n. 2 della riforma, ha la possibilità di promuovere le dichiarazioni di fallimento non necessariamente sulla base di segnalazioni giunte da procedimenti civili, ma senza limitazioni. Si è ampliata la sua capacità di iniziativa. È ovvio che poi il pubblico ministero valuterà. Se ritiene che ci siano i requisiti lo farà, ma avrà un supporto tecnico indiscutibile per sostenere la sua iniziativa.
  Per quanto riguarda il secondo punto, velocissimamente cavalcando, è quello del concordato. Il concordato, apprezzabilmente, è stato ridotto alla sola ipotesi di continuità. Questa è stata una scelta politica. Io non la discuto. Dico solo che se, per caso, come si orecchia da alcuni, si volesse reintrodurre nuovamente quello liquidatorio, non si potrà certo fare a meno di considerare la legge n. 132 del 2015.
  La legge n. 132 del 2015, come diceva il dottor Lamanna – lo dico per esperienza diretta, perché è il tribunale in cui ora lavoro io – ha determinato una maggiore serietà delle proposte, e su questo non c'è dubbio, e sta cambiando la mentalità degli imprenditori. La mentalità dei professionisti si cambia soltanto con norme serie. Quando la norma impone il 20 per cento a creditori chirografari, miracolosamente adesso si trova sempre la finanza esterna che supporta queste proposte. Anche se l'azienda non ha più niente, la finanza esterna è la moglie, la zia, il nonno, il cugino, il socio o chi volete voi, però si trova.
  Pertanto, dico che, se si trova adesso, si sarebbe potuto trovare anche prima probabilmente, solo che ovviamente, non obbligando a uno sforzo minimo, i chirografari venivano sempre sacrificati sull'altare del risanamento aziendale o della presunta risoluzione della crisi, secondo me in assenza di un interesse globale collettivo che giustificasse perché l'unico interesse che venisse, in realtà, soddisfatto era quello dell'imprenditore, in quanto poi l'impresa non ritornava nel ciclo produttivo e quindi non c'era alcun tipo di utilità.
  Per quanto riguarda, invece, il concordato in continuità che si vuole introdurre adesso, sono favorevolissima. Quello che Pag. 12vorrei che si capisse, però, è qual è lo scopo di questo concordato. Il concordato in continuità deve favorire la continuazione dell'impresa. Tuttavia – e questa è una scelta politica della quale deve essere consapevole anche il Governo – bisogna evitare di rifare gli stessi errori che si sono fatti con l'amministrazione straordinaria, ovvero bisogna chiarire qual è lo scopo del concordato in continuità. Il concordato in continuità ha come scopo principale il mantenimento dei posti di lavoro e dell'azienda o ha la finalità di soddisfare i creditori? Se, come è ora, ha la finalità principale di soddisfare i creditori, si potrà fare la continuità soltanto se questa sarà migliore della soluzione liquidatoria.
  Quindi, il concetto del migliore interesse per i creditori quando si sceglie il concordato in continuità, secondo me, va ribadito. Comunque, va detto qual è lo scopo, tenendo presente che io, purtroppo, che a Milano sono il presidente della sezione dove viene fatta la verifica crediti dell'Ilva, sono davanti a dei fenomeni di spaventose prededuzioni, dove la preproduzione viene graduata e solamente i gradi più alti della prededuzione vedranno qualcosa.
  Faremo un'enorme verifica crediti di 30.000 domande, in cui i chirografari verranno verificati ma non prenderanno mai niente e i privilegiati verranno verificati ma non prenderanno mai niente. La prededuzione chirografaria non prenderà nulla e buona parte di quella privilegiata non prenderà nulla.
  Quelli sono gli esempi, negativi purtroppo, che sono fatti, però, nell'interesse pubblico di un intero settore, che è quello della siderurgia piuttosto che un altro. Questo ha un senso, ma nelle piccole e medie imprese, secondo me, non è il caso di adottare lo stesso tipo di scelte.
  Chiarirei anche qual è il concordato in continuità. Poiché adesso si dice che deve essere essenzialmente in continuità, si pone il problema che in qualche maniera ha affrontato il dottor Lamanna: se vendo l'azienda funzionante, è sempre un concordato liquidatorio. Ritengo che non si supererà la soluzione che c'è già attualmente nella legge e che, quindi, anche quello in continuità, in cui si vende l'azienda in continuità, sarà considerato in continuità.
  Tuttavia, secondo me, è in continuità un concordato il quale, nelle condizioni e nelle ipotesi previste dalla legge, trae dalla continuità almeno il 50 per cento delle risorse che distribuisce ai creditori, laddove «trae» vuol dire o dall'azienda funzionante che vende, o dall'esercizio dell'azienda che vende, o dalla NewCo che gestisce l'azienda e poi la mette sul mercato come i certificati di partecipazione.
  L'importante è che dalla continuità derivi almeno il 50 per cento di quello che viene ripartito, altrimenti è liquidatorio camuffato. Abbiamo detto che questi non li vogliamo fare e non vedo perché farli.
  Sono assolutamente d'accordo sul controllo di fattibilità economica e che la realizzabilità sia sostanzialmente il controllo economico di fattibilità che il tribunale fa tuttora, con l'ausilio dei tecnici. Quindi, sono d'accordo in ordine al concetto di realizzabilità.
  Le classi si dice che sono obbligatorie. Secondo me, questo potrebbe, entro determinati limiti, rendere più difficile la vita del concordato. Secondo me, dovrebbero essere obbligatorie nell'ipotesi in cui il tribunale individua la necessità di creare la classe. Renderle obbligatorie sempre vuol dire porre l'imprenditore stesso nella condizione di doversi inventare delle classi e molto probabilmente renderebbe molto più complicata la vita delle aziende.
  Finendo sul concordato, direi che quello che bisogna ricordarsi di dire, e i princìpi di legge delega potrebbero essere un'occasione per cominciare a porre un principio fermo, è che nei rapporti pendenti, visto che saranno tutti concordati in continuità e che ci saranno per tutti i rapporti con le banche e per tutti i rapporti di anticipazione sostenuti poi dalla successiva cessione dei crediti o dal mandato all'incasso dei crediti, bisogna scegliere se questi rapporti si sospendono o non si sospendono.
  Se la scelta che il legislatore fa è quella di sospendere, deve avere presente che le banche non finanzieranno più neanche le aziende prima che vadano in concordato, perché sapranno già – purtroppo, gli imprenditori Pag. 13 spesso lo fanno – che gli imprenditori chiedono il fido e chiedono l'ampliamento del castelletto della presentazione del portafoglio per smobilizzarlo. Due giorni dopo, appena ottenuta l'anticipazione, chiedono il concordato con riserva e tre giorni dopo chiedono la sospensione, con atteggiamenti molto spesso simil-fraudatori, per non dire fraudatori completi. Quindi, bisogna prendere posizione.
  L'ultima cosa riguarda il sovraindebitamento. Perché mi sta così a cuore? Perché, come tribunale di Milano, abbiamo 200 procedure di sovraindebitamento pendenti dall'inizio dell'anno. Pertanto, il legislatore si deve rendere conto che, se liberalizzerà, come intende fare, secondo i princìpi di legge delega, il sovraindebitamento a tutti, con una prima tornata in cui il primo sovraindebitamento sostanzialmente viene concesso sempre, salvo ipotesi di frode, si troverà a inondare i tribunali di centinaia e centinaia di procedure.
  Ce ne sono 200 ferme perché attualmente la legge è incomprensibile. È scritta in maniera talmente complicata che gli organismi di composizione della crisi non la capiscono e, francamente, devo dire che molto spesso non la capisco nemmeno io. Inoltre, tenete presente che, esaminando le attuali condizioni di sovraindebitamento – ne parlavamo oggi con il Presidente Lamanna – è più difficile sdebitarsi col sovraindebitamento che sdebitarsi quando si è falliti.
  Non può essere così. Mentre l'esdebitazione fallimentare sostanzialmente prevista dall'articolo 142 esclude solo due ipotesi – cioè gli obblighi di mantenimento alimentare (quelli nei confronti della moglie e dei figli separati per intenderci) e i debiti per risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale, che francamente non capisco perché debbano essere qui (in ogni caso queste sono le uniche due ipotesi) – il poveretto che, invece, è un civile ed è un consumatore o una piccola impresa che non può fallire si trova ad avere molte più difficoltà. Non riesce a liberarsi di quelli fiscali, non riesce a liberarsi di questi e ha una serie di condizioni molto più pesanti.
  Il legislatore deve, secondo me, prendere un'occasione. Ha una procedura unitaria? Allora introduca il sovraindebitamento all'interno di questa procedura unitaria e, quando c'è sovraindebitamento, ponga le stesse condizioni per cui gli altri soggetti si esdebitano per esdebitare anche questi. Non ha alcun senso che io, che sono il consumatore o sono una piccola impresa che non può fallire, debba avere difficoltà molto maggiore a esdebitarmi di un altro.
  In proposito comunque manderemo le nostre osservazioni scritte, cercando di chiarire il nostro pensiero e di fornire una soluzione in questo senso.

  PRESIDENTE. Grazie molte per la chiarezza degli approfondimenti e anche per questa promessa.
  Do la parola al dottor Roberto Fontana.

  ROBERTO FONTANA, Segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). Buongiorno. Attualmente sono sostituto procuratore a Piacenza, ma per molti anni sono stato alla sezione fallimentare a Milano.

  PRESIDENTE. Lei però viene qui oggi anche come segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali.

  ROBERTO FONTANA, Segretario del Centro studi procedure esecutive e concorsuali (CeSPEC). Sì, siamo una piccola associazione di magistrati che si occupano della materia, comunque in queste riflessioni trasfondo entrambe le esperienze. Molto è stato già detto, ovviamente bisogna essere sintetici e anch'io mi riservo di inviare in seguito un contributo scritto.
  Credo che il primo contributo sia quello di far capire (in parte è già stato fatto) quali sono i nodi fondamentali di un discorso che si presenta molto complesso e con molte articolazioni, ma credo che in sede legislativa, innanzitutto, si debbano cogliere i nodi fondamentali.
  In questa prospettiva ritengo utile fornire qualche dato. Alcuni dati sono stati già accennati negli interventi precedenti, però credo che in questa sede si debbano avere Pag. 14chiare le dimensioni del fenomeno della cui disciplina parliamo, per cogliere gli impatti sistemici delle scelte che si vanno a compiere.
  Il primo dato è riferito al Tribunale di Milano, ma voi per semplicità moltiplicatelo per dieci e avrete il dato nazionale (scelgo solo tre dati, che però danno le dimensioni del fenomeno): qual è il passivo dei fallimenti a Milano, cioè quali sono i crediti insinuati e qual è la composizione. Nei fallimenti attualmente aperti davanti al Tribunale di Milano i crediti insinuati sono 25 miliardi e 45 milioni di euro, di cui 9 miliardi e 850 milioni, il 38 per cento, sono debiti erariali e previdenziali, i fornitori sono 4 miliardi e 142 milioni, il 17 per cento, i crediti bancari sono 6 miliardi e 761 milioni.
  Questo è il passivo di tutti i fallimenti aperti. Prendo i fallimenti di un anno a campione, il 2013: il totale dei crediti insinuati nei fallimenti ammonta a 4 miliardi e 695 milioni, anche qui l'erario è circa il 40 per cento, poi fornitori e banche. Noi stiamo moltiplicando questi dati sul livello nazionale e stiamo parlando di 250 miliardi di euro, la quota della previdenza e del fisco è tra il 30 e il 40 per cento, poi ci sono i fornitori e le banche.
  I dati sono tre ma sono ovviamente correlati uno all'altro. Uscendo dalla metacategoria dei creditori e andando sulle categorie in concreto stiamo facendo in questo periodo insieme all'Osservatorio sulle crisi d'impresa dell'Università Bocconi uno studio su tutti i concordati preventivi non solo di Milano o della Lombardia, ma a tappeto su tutti i tribunali nazionali.
  Questa ricerca sarà pronta a breve e la metteremo a disposizione nelle sedi istituzionali. Si va a cercare in profondità sia la composizione del passivo, sia la collocazione storica del momento della emersione del dissesto, per capire anche la tipologia del dissesto.
  Dai primi dati estrapolati sui concordati o isolati concordati del 2010 (sono passati più di cinque anni) sui fornitori, che sono la categoria su cui accentro l'attenzione perché giuridicamente i creditori sono chirografari, ma è evidente che entro certi limiti il sistema bancario mette in conto l'insolvenza del proprio debitore come una componente quasi fisiologica del costo d'impresa e c'è un meccanismo di compensazione, mentre questa ovviamente non è la logica del piccolo fornitore. Comunque, nel 2010 ai creditori fornitori chirografari era stato promesso il 9,7 per cento, a cinque anni è stati pagato il 3,14 per cento.
  Vi invito a cogliere questo dato non come astratta lesione del diritto soggettivo, ma nella dimensione della funzionalità dell'impresa, perché un'impresa per generare quel credito che viene soddisfatto al 3,14 per cento, ha sostenuto mediamente costi pari quantomeno all'80 per cento, questo è il problema.
  Non si tratta quindi di un problema strettamente giuridico di vulnus all'ordinamento, perché il diritto soggettivo è leso, perché, se le imprese sostengono costi pari almeno all'80 per cento del credito insinuato e a cinque anni hanno recuperato il 3,14 per cento, questo è il nodo fondamentale di cui ci si deve far carico in questa sede: Non è un astratto favor per una procedura anziché per l'altra: bisogna dare una risposta a questo problema.
  Per dare una risposta a questo problema bisogna capire perché siano soddisfatti al 3,14 per cento, e anche qui voglio utilizzare un dato. Questa è una ricerca fatta dall'Università di Bologna, dal professor Paletta, un articolo comparso in un lavoro di ricerca sui concordati preventivi qualche anno fa, una ricerca promossa dall'OCI, alla quale come Tribunale di Milano avevamo contribuito perché buona parte del campione era del Tribunale di Milano.
  Sono stati analizzati i bilanci di 800 società in concordato e questi bilanci sono stati utilizzati con l'indice Z-Score di Altman, che serve per capire sulla base dell'andamento dei bilanci quando una società si trova in una situazione di alta probabilità di fallimento.
  In base a questo studio, delle 800 società in concordato (la formula prevede alta probabilità di fallimento quando l'indice è inferiore a 1,8) i bilanci dei cinque anni precedenti rivelano che il 74 per cento Pag. 15cinque anni prima di andare in concordato erano ad alta probabilità di fallimento, l'87 per cento nei tre anni precedenti. Capite, quindi, perché si arriva poi a soddisfare i creditori al 3,14 per cento a cinque anni dall'apertura del concordato.
  Il nodo è questo, cioè non è pensabile che una situazione di alta probabilità di fallimento sfoci in una procedura concorsuale tre o addirittura cinque anni dopo. A questo il legislatore deve dare una risposta, perché non può essere il sistema giudiziario, è un problema di regole e di disciplina.
  Questo disegno di legge delega si fa carico del tema delle misure d'allerta, che era già nell'agenda del 2003, Commissione Trevisanato, ma fu infaustamente accantonato, perché oggi non ci troveremmo in questa situazione se nel 2003 fosse stato varato un sistema della disciplina delle misure di allerta, che fu bloccato per pregiudizi molto astratti e a mio avviso ideologici, che non si facevano carico dei reali meccanismi di funzionamento.
  Qui non è un problema di opzione tra statalismo o liberismo, qui è un problema di regolazione di meccanismi di funzionamento del mercato e di protezione, di salvaguardia dei valori aziendali insiti nelle aziende in crisi, ma anche di salvaguardia di tutte le reti di imprese che entrano in contatto con le imprese che vanno in crisi, perché è necessario tutelare il valore degli asset aziendali nelle imprese in crisi, ma è altrettanto importante evitare che situazioni di crisi travolgano le altre imprese, assicurando il soddisfacimento nella misura del 3-4 per cento a cinque anni dall'apertura della procedura concorsuale.
  Come è stato già detto, quindi, è importante che le misure d'allerta siano un meccanismo funzionale, cioè non si introducano pro forma come fossero una bandiera, ma si trovi un meccanismo che funzioni. Occorre che attraverso le misure d'allerta emergano tempestivamente i segni sintomatici della crisi o dell'insolvenza.
  Sono state già radiografate: da una parte ci sono i soggetti istituzionali, quindi previdenza, Agenzia delle entrate, nel disegno di legge si dice «purché siano rilevanti», però non è un problema di rilevanza, purché siano significativi, perché è evidente che un inadempimento modesto e circoscritto non è significativo, ma sarebbe sbagliato fare una legge dove si dice «si segnalano inadempimenti sopra i 2 milioni di euro» perché dipende dalle dimensioni dell'impresa, perché 2 milioni di debito fiscale in un'impresa con un fatturato di 1 miliardo di euro è una cosa, in un'impresa con un fatturato di 5 o 10 milioni di euro ha un valore completamente diverso.
  Il meccanismo deve essere contrassegnato dalla tempestività e l'espressione «rilevante» usata nel disegno di legge è equivoca, perché sembra rinviare a meccanismi rozzamente quantitativi e non ancorati a un parametro di effettiva significatività.
  In secondo luogo, non si può lasciare l'emersione solo alla segnalazione degli enti previdenziali e del fisco, ma è centrale il ruolo degli organismi di controllo. Giustamente nel disegno di legge si parla del ruolo dei sindaci, il vero nodo da affrontare (qui faccio una proposta in positivo perché in questo disegno di legge delega si è previsto di intervenire sul Codice civile) è che bisogna ripensare a una scelta fatta nel 2003, quando è stato compiuto un arretramento rispetto al meccanismo di tutela dei terzi, perché gli organismi sindacali sono organismi interni all'impresa, che hanno la funzione innanzitutto di tutelare i terzi che entrano in contatto con l'impresa e che fanno credito all'impresa.
  La riforma del 2002 del diritto societario prevedeva che nelle imprese di non grandi dimensioni si passasse dal Collegio sindacale al sindaco unico, nel 2003 è stata fatta la scelta di sopprimere anche il sindaco unico e oggi il 90 per cento delle società è privo di un organismo sindacale interno. Se vogliamo far funzionare le misure d'allerta, bisogna ripristinare il sindaco unico, il parametro a mio avviso potrebbe essere quello dei 2 milioni di euro, parametro che viene valorizzato ai fini fiscali sulle modalità del versamento dell'IVA.
  Quello potrebbe essere un parametro: sopra i 2 milioni di euro bisogna, introdurre il sindaco unico, come d'altro canto era dal 2002 al 2003. Senza una norma di Pag. 16questo tipo, le misure d'allerta lasciate solo alla segnalazione degli enti previdenziali e del fisco, a mio avviso, non funzionano, quindi centralità dell'organo di controllo interno, ma deve essere esteso a tutte le imprese che non siano piccolissime.
  Si è fatta la scelta dell'organismo di composizione della crisi ma, come ha detto la collega Paluchowski ed è stato già evidenziato in precedenti audizioni, oggi sono possibili tanti organismi di composizione della crisi sul territorio, ma gli enti previdenziali, i sindaci devono avere un soggetto di riferimento a cui inviare le comunicazioni.
  Si deve dire quindi che, per quanto riguarda le misure di allerta, uno è l'organismo di composizione della crisi, lo si deve individuare, si deve disciplinare la sua struttura, se ne deve garantire i requisiti di indipendenza, ma anche la specialità tecnica, perché oggi l'organismo di composizione della crisi deve attestare che il piano proposto dall'imprenditore sia idoneo.
  L'attestazione è anche un'assunzione di responsabilità estremamente delicata, quindi è necessario che si disciplinino esattamente le caratteristiche tecniche che devono avere i soggetti che formano questo organismo di composizione della crisi (poi magari quello di sovraindebitamento può avere anche una diversa disciplina).
  Sono d'accordo, poi, che si debba dare l'opportunità all'imprenditore – sollecitato tempestivamente – di arrivare ad una soluzione della crisi, ma questa vicenda non si può snodare anni. Quindi, una volta investito l'organismo di composizione della crisi, è inutile ricominciare tutto daccapo davanti al tribunale: gli si dà un'opportunità, ci sono delle figure tecniche qualificate di riferimento, ma, se l'imprenditore non collabora o la condizione è talmente deteriorata che non è possibile trovare una soluzione, bisogna mettere in moto un meccanismo che porti all'apertura di una procedura concorsuale.
  L'apertura di una procedura concorsuale non ha una connotazione sanzionatoria, ha una connotazione fisiologica, innanzitutto a tutela di tutte le altre imprese che entrano in rapporto con l'impresa insolvente. Sicuramente non va fatto un passo indietro, perché nella prima formulazione del lavoro della Commissione non si prevedeva una norma di chiusura rispetto all'attività dell'organismo di composizione della crisi.
  Se l'imprenditore non collabora oppure non elabora un piano idoneo, non si deve chiudere il libro lì, com'era nella prima formulazione, e giustamente il Governo nel presentare il disegno di legge ha previsto una soluzione di chiusura, che è però eccessivamente pesante: la ripetizione ex novo di tutto il procedimento.
  La soluzione di chiusura però ci deve essere, perché è una precondizione della credibilità degli organismi di composizione della crisi, perché, se l'effetto di una mancata collaborazione dell'organismo di composizione della crisi fosse semplicemente che, come nella formulazione originaria, non accade assolutamente nulla, questo delegittimerebbe a priori la funzione degli organismi di composizione della crisi e incentiverebbe comportamenti non collaborativi.
  Chi va davanti all'organismo di composizione della crisi deve sapere di andare davanti a un soggetto qualificato, che ha un arco temporale entro cui si muove e lo può aiutare, ma, se lui non sfrutta questa opportunità, l'organismo di composizione della crisi deve mettere in moto un meccanismo che approda alle sedi istituzionali.
  Rapidamente finisco con pochi accenni flash, perché questo era il tema che mi stava più a cuore. Per quanto riguarda le classi obbligatorie nell'ambito della procedura di liquidazione, più che fare un'opzione astratta tra classi obbligatorie sempre o classi facoltative, individuerei alcuni casi paradigmatici in cui è obbligatorio fare le classi.
  Il caso più importante è quello delle garanzie collaterali, cioè le fideiussioni, le ipoteche date dal terzo, che sotto il profilo economico cambiano la posizione dei creditori, perché è evidente che tutti i creditori saranno chirografari ma, se un creditore chirografario può contare su fideiussione bancaria o ipoteca di un terzo, nel momento in cui dà la sua valutazione in sede Pag. 17di concordataria sarà profondamente condizionato dal fatto che può contare su una posizione accessoria.
  Si deve prevedere in questo caso un meccanismo in cui uno è obbligato, chi propone il concordato deve fare una discovery e dire quali sono le garanzie collaterali che assistono il credito, così come lo deve dire il creditore, e deve esserci anche un meccanismo di tipo sanzionatorio per i casi di false dichiarazioni al riguardo.
  Sono perfettamente d'accordo, l'abolizione del concordato liquidatorio garantisce ordine sul piano del sistema, ma, se si dovesse tornare al concordato liquidatorio, non si può ritornare indietro rispetto alle scelte del 2015.
  Faccio un ultimo accenno. Sono previste le misure premiali. Si è detto: se l'imprenditore accede tempestivamente, ci possono essere delle misure premiali di tipo fiscale eventualmente anche per fattispecie penali meno gravi.
  I presupposti di queste misure premiali vanno identificati in modo puntuale con riferimento a parametri di tipo aziendalistico, non possono essere lasciati a formule giuridiche che rimettano ai tribunali, perché qui c'è il rischio di una differenziazione enorme tra tribunale e tribunale. È in gioco la certezza del diritto penale.
  Se si introducono misure di esenzione dalla responsabilità penale o anche fiscale, i presupposti devono essere puntualmente identificati. Ad esempio, tempestivo è l'imprenditore che, entro sei mesi da quando ha smesso di pagare i dipendenti o da quando ha smesso di pagare altro, accede alla procedura.
  Deve essere una norma che identifica oggettivamente qual è il presupposto in termini aziendalisti e dà un lasso temporale certo. Non è possibile usare formule di tipo puramente giuridico che rimettano i tribunali, perché noi avremmo un contesto di gravi incertezze e la norma verrebbe declinata in modo molto diverso a seconda delle realtà giudiziarie dove viene applicata.
  Aggiungo un'ultima annotazione di dettaglio. Visto che è fondamentale il tema della risposta penalistica per le condotte più gravi e visto che ciò che fanno le procure della Repubblica dipende in gran parte da ciò che il curatore fa, perché la relazione ex articolo 33 del curatore è un tassello fondamentale della risposta penalistica, l'attuale norma che prevede che il curatore rediga tale relazione in 60 giorni è inadeguata.
  Bisogna prevedere che il curatore faccia una prima relazione nei 60 giorni dalla dichiarazione del fallimento e ne faccia una entro 90 giorni dalla chiusura dello stato passivo, perché solo in quel modo è possibile redigere una relazione ex articolo 33 che dia alla procura della Repubblica gli strumenti per individuare le situazioni degne di rilevanza penale.

  PRESIDENTE. Grazie per la densità degli argomenti.
  Adesso audiamo il professor Mucciarelli. La ringraziamo per la relazione che ha mandato. Il professore tratterà un aspetto che non c'è in delega, ma è stato richiesto dai relatori e anche da alcuni auditi: l'ipotesi di pensare in questo contesto anche a una rivisitazione dei reati fallimentari.
  Do la parola al professor Francesco Mucciarelli, ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO MUCCIARELLI, Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano. Grazie infinite per l'invito. So che ho pochissimo tempo.

  PRESIDENTE. Avrà lo stesso tempo degli altri.

  FRANCESCO MUCCIARELLI, Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano. Non si preoccupi, perché nelle cinque slide che ho mandato ho annotato quelle poche cose che avevo da dire.
  È chiaro che lo scenario ottimale sarebbe quello della riforma della parte penale della legge fallimentare, ma ho la sensazione che non ci siano le condizioni e Pag. 18che cercare di farlo adesso significherebbe bloccare tutto.
  Pertanto, mi sono permesso soltanto di segnalare una cosa, alla quale, però, vorrei che prestaste tutti molta attenzione. Scusate se mi permetto questo termine, ma sono abbastanza vecchio da poterla girare così.
  La proposta del testo è: sostituiamo al termine «fallimento» come compare nelle norme incriminatrici, il termine «insolvenza», «naturalmente mantenendo la continuità normativa». Guardate che tecnicamente questo non è possibile.
  Mi spiego, anche se qui ci sono giuristi molto più bravi di me. Nell'economia delle fattispecie di incriminazione della bancarotta, «fallimento» ha un significato tecnico-giuridico preciso, cioè è la sentenza dichiarativa di fallimento. Il termine «insolvenza» di per sé è il substrato fattuale, è la situazione economica che viene registrata con la sentenza di fallimento.
  Loro potrebbero dirmi: «Lei è venuto da Milano per raccontarci questa banalità?». Sì, perché dietro questa banalità sta la diversa struttura delle norme incriminatrici.
  Il 90 per cento delle norme sulla bancarotta, per come sono state interpretate dalla giurisprudenza, ma anche per come le intende la dottrina che afferma che la giurisprudenza sbaglia, perché la sentenza di fallimento è una condizione obiettiva di punibilità e non quella cosa strana che si cerca di dire, ossia un elemento del reato, ma solo ai fini della caratterizzazione del disvalore.
  Se nella norma penale, ad esempio nell'articolo 216 della legge fallimentare, ci fosse scritto, invece che «l'imprenditore dichiarato fallito», «l'imprenditore insolvente», ciò significherebbe che d'ora in avanti le procure della Repubblica dovrebbero costruire i processi cercando di dimostrare che le condotte distrattive hanno generato lo stato di insolvenza (nesso di causalità) e soprattutto che, nel momento in cui venivano poste in essere tali condotte distrattive – l'esempio più banale è la bancarotta – l'imprenditore si era rappresentato e aveva voluto l'insolvenza. Anche a titolo di dolo eventuale, è una probatio sostanzialmente diabolica.
  Uno può affermare: «Io sono il legislatore e faccio quello che voglio. Per il futuro sarà così». Questo significa, però, che tutti i processi passati di bancarotta vanno ripensati daccapo. Quelli che non siano stati chiusi con sentenza irrevocabile vanno comunque rifatti e in alcuni casi anche quelli chiusi con sentenza irrevocabile.
  Dunque, occorre attenzione. Io capisco che la cosa più facile che viene in mente a un non penalista – perdonate – è dire: «Se abbiamo chiamato il fallimento nella parte civilistica “insolvenza”, cambiamo le parole». Non è così. Qualcuno potrebbe dire: «È giusto. Tutto sommato, cambiamo anche la struttura delle norme penali».
  Io azzarderei un'osservazione. La scelta di toccare la normativa penale fallimentare è una scelta delicata. Bisogna saperci fare a maneggiare quelle norme. Scusate la battutaccia.
  Infatti, è molto importante tener presente – è un discorso che faceva Fontana prima a tutt'altro titolo – che il presidio penale delle norme sulla bancarotta è fatto per la funzione vera delle norme fallimentari, cioè la tutela del patrimonio dell'impresa, non solo in funzione dell'impresa, ma nella sua funzione di garanzia rispetto ai creditori, cioè alle altre imprese.
  La struttura dei delitti di bancarotta, congegnati in quel modo, per cui scattano delle sanzioni penali più forti rispetto all'appropriazione indebita, che sarebbe la bancarotta per distrazione, solo se c'è stato il fallimento (condizione obiettiva di punibilità), giustamente, è fatta in modo da staccare la volizione del fallimento dall'elemento del reato.
  Ovviamente semplifico, perché l'imprenditore individuale non esiste più, è una figura metaforica. Tu imprenditore, quando usi i soldi «tuoi», cioè della tua impresa, devi sapere che non sono solo soldi «tuoi», ma sono dei mezzi economici che sono all'interno di una rete.
  Guardate che questa, se volete dargli un retrostante ideologico, è una scelta molto segnata verso un'economia di mercato di stampo capitalista. Io non sono molto Pag. 19esperto in comparazione, ma qualcosa sono andato a razzolare negli anni negli ordinamenti penali diversi da quello italiano. In nessun Paese del socialismo reale è mai esistito il diritto penale fallimentare. Non esiste un Paese, a mia vaga conoscenza, decentemente organizzato come il nostro in quanto a impianto economico-politico, che non abbia una tutela penale del fallimento, proprio perché c'è quella fondamentale funzione dell'impresa – senza tirar fuori Rathenau – che travalica il profitto del singolo imprenditore, che è nei rapporti.
  Occorre fare attenzione, perché pensare di risolvere solo con una parolina questo sarebbe esiziale per la struttura dei reati di bancarotta.
  Io non vorrei evocare spettri dei quali ci siamo liberati, ma per una cosa molto più banale ci sono volute le sezioni unite della Corte di cassazione per dire come funzionava il falso in bilancio, perché avevano cambiato una parola.
  In quel caso io ero sicuro dall'inizio che doveva andare a finire come è finita. In questo caso vi faccio il pronostico che, se si cambia il termine «fallimento» con il termine «insolvenza» e basta, voi avrete riscritto il diritto penale fallimentare – chiedo scusa – senza averci pensato prima.
  Mi viene in mente una battuta: «Ho fatto la riforma del diritto penale fallimentare a mia insaputa».

  PRESIDENTE. Deve parlare al microfono, professore.

  FRANCESCO MUCCIARELLI, Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano. Era meglio se non la dicevo al microfono. Io eviterei la riforma del diritto penale fallimentare a mia insaputa.
  Questo, secondo me, è l'unico punto. Io avrei anche delle osservazioni minimali su quelle fattispecie, però veramente, anche se avessi molto più tempo a disposizione, mi permetterei di insistere su questo. Sostituire il termine «fallimento» con «insolvenza» non è possibile, perché modifica radicalmente la struttura delle norme incriminatrici.

  PRESIDENTE. Grazie. Introduco un tema e poi chiudiamo l'audizione. Da un lato, prendiamo atto anche di questa riflessione ulteriore che ci è stata fatta. Ciò serve anche per completare. Dall'altro, cerchiamo di non mettere «tanta carne al fuoco» – mi rivolgo anche ai relatori – perché già ce n'è molta e in prospettiva dovremmo cercare di chiudere alcune fasi.
  Professore, credo che in un certo ambiente – credo che sia la prima volta che qui se ne parla – più che pensare a sostituire con la parola «insolvenza» la parola «fallimento» in sede penale, ci si è chiesti – l'ho sentito anche in altri ambiti – se non sia il caso di rivedere alcune fattispecie, per esempio quella della bancarotta semplice.
  Capisco che è un lavoro sistematico.

  FRANCESCO MUCCIARELLI, Ordinario di diritto penale presso l'Università commerciale Luigi Bocconi di Milano. Presidente, se mi posso permettere, io non credo che il problema della riforma del diritto penale fallimentare sia affrontabile con degli interventi spot. Tutto si può fare nella vita – per carità – però si può fare bene o si può fare male.
  Bisogna ripensare da capo la struttura dei reati di bancarotta, se non altro perché – considerate solo questo – le ipotesi base sono modellate sulla figura dell'imprenditore individuale, che non esiste più da molti anni. Tutti ci arrabattiamo a far funzionare delle fattispecie che sono nate per quello. Solo come norma residuale vengono le ipotesi della bancarotta societaria.
  La bancarotta semplice è chiaramente una norma da riscrivere, perché è pensata per fatti dell'imprenditore individuale, come spese eccessive per la famiglia, che sono completamente al di fuori.
  Tuttavia, presidente, è difficile pensare di fare la riforma della bancarotta semplice. Per esempio, c'è il problema di quello che volgarmente i penalisti chiamano «ritardato fallimento». Il ritardato fallimento non esiste come fattispecie penale; è l'aggravamento dello stato di dissesto per aver ritardato la dichiarazione di fallimento. C'è quella norma da coordinare con quella sull'attivazione delle procedure. Come si può fare questo? Pag. 20
  Se vuole, presidente, un'altra norma che avrebbe bisogno di una sana revisione è quella sulla bancarotta preferenziale, che è pensata in uno scenario completamente diverso da quello attuale.
  Tuttavia, lei capisce che intervenendo su queste due norme (quella sulla bancarotta semplice e quella sulla bancarotta preferenziale) all'interno di un costrutto penale delle fattispecie di bancarotta completamente diverso si rischia di fare un trapianto, di inserire in un corpo pensato dalla legge del 1942 fattispecie di incriminazione del terzo millennio. La crisi di rigetto – mi scusi la battutaccia – è pressoché sicura e con effetti devastanti, per cui è difficile pensare questo. Io credo proprio che sia pericoloso.

  PRESIDENTE. Ringraziamo tutti. Avremmo ancora cinque minuti, perché ho spostato la riunione in sede referente, tanto oggi non dobbiamo votare. Chiedo ai relatori e ai colleghi se vogliono intervenire.

  DAVID ERMINI. Mi sembra che ci siano elementi sufficienti.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo. Se volete mandare delle proposte di modifica puntuali, saranno sicuramente gradite dai relatori e dai colleghi e verranno messe a disposizione per una riflessione ulteriore. Infatti, nel corso della prossima seduta faremo l'ultima audizione e poi passeremo al merito, ovvero alla fase emendativa.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.