XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 6 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 3671-BIS GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA DELLE DISCIPLINE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA

Audizione di rappresentanti di Confindustria, dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), dell'Istituto curatori, dell'Associazione fra le Società italiane per azioni (Assonime) e dell'Alleanza delle Cooperative italiane.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Matonti Antonio , Direttore Affari Legislativi di Confindustria ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Matonti Antonio , Direttore Affari Legislativi di Confindustria ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Campana Giuliano , Vice Presidente area economico-fiscale-tributario dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Campana Giuliano , Vice Presidente Area Economico-fiscale-tributario dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
De Bortoli Nerio , Presidente dell'Istituto curatori ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Sella Maurizio , Presidente dell'Associazione fra le società italiane per azioni (ASSONIME) ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Iengo Mauro , Responsabile Ufficio Legislativo Legacoop e rappresentante di Alleanza delle cooperative italiane ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Sofia Annarita , rappresentante di Confindustria ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Sofia Annarita , rappresentante di Confindustria ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Campana Giuliano , Vice Presidente Area Economico-fiscale-tributario dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 20 
De Bortoli Nerio , Presidente dell'Istituto curatori ... 20 
Sella Maurizio , Presidente dell'Associazione fra le società italiane per azioni (ASSONIME) ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confindustria, dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), dell'Istituto curatori, dell'Associazione fra le Società italiane per azioni (Assonime) e dell'Alleanza delle Cooperative italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 3671-bis Governo, recante la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di Antonio Matonti, Direttore Affari Legislativi di Confindustria, accompagnato da Annarita Sofia e da Chiara Papaduli; Giuliano Campana, Vice Presidente Area Economico-fiscale-tributario dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), accompagnato dal Direttore fiscalità edilizia Marco Zandonà e dal funzionario Direttore affari economici e centro studi Francesco Manni, dal dirigente responsabile Ufficio rapporti con il Parlamento Stefania Di Vecchio; Nerio De Bortoli, Presidente dell'Istituto curatori; Maurizio Sella, presidente dell'Associazione fra le Società italiane per azioni (Assonime), accompagnato dalla vice direttore generale Margherita Bianchini; e Mauro Iengo, Responsabile dell'Ufficio Legislativo Legacoop e rappresentante di Alleanza delle cooperative italiane, accompagnato da Giancarlo Ferrari, direttore di Legacoop, da Ermanno Belli, capo dipartimento politico-sindacale Confcooperative e da Tony Della Vecchia, capo servizio legislativo e legale di Confcooperative.
  Do la parola ad Antonio Matonti, Direttore affari legislativi di Confindustria.

  ANTONIO MATONTI, Direttore Affari Legislativi di Confindustria. Grazie, presidente, ringrazio lei e gli onorevoli deputati per l'invito a questa audizione, che ci consente di svolgere alcune considerazioni sul disegno di legge delega della riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza. Un passaggio – lo dico subito – importante del processo riformatore avviato nel nostro Paese, considerato che la competitività del sistema economico, nel panorama internazionale, passa anche attraverso la modernizzazione del diritto della crisi di impresa e dell'insolvenza.
  In premessa, vorrei evidenziare che, come riportato nell'analisi d'impatto che accompagna il disegno di legge, Confindustria ha già avuto modo di manifestare apprezzamento per il testo di riforma presentato lo scorso dicembre dalla commissione di esperti presieduta dal consigliere Rordorf.
  In audizione dinanzi alla Commissione, infatti, ma anche in altri consessi abbiamo evidenziato che sono state poste le basi per un quadro di regole sulla crisi di impresa e sull'insolvenza più organico e coerente con i tempi e le ragioni dell'economia. Più organico in quanto gli interventi asistematici ed emergenziali che si sono susseguiti in materia nell'ultimo decennio hanno prodotto una regolamentazione di difficile interpretazione e applicazione; più coerente Pag. 4con l'economia in quanto questa regolamentazione produce un rilevante impatto sul tessuto produttivo e la recente prassi applicativa impone di considerare, insieme al valore, che rimane centrale, della continuità aziendale, anche altre istanze altrettanto importanti.
  Faccio riferimento alla tutela del credito e alla salvaguardia degli assetti concorrenziali del mercato. Il disegno di legge in discussione oggi fa propri gli obiettivi e l'impostazione seguiti dalla Commissione, e pertanto continuiamo, in linea generale, ad esprimere una sostanziale condivisione sul testo.
  Tuttavia, il Consiglio dei ministri dello scorso febbraio che ha varato il disegno di legge ha apportato diverse modifiche alla bozza originaria, per cui di seguito commenterò esclusivamente le revisioni che hanno toccato temi di particolare interesse per Confindustria, rinviando invece al testo depositato per le osservazioni su ulteriori aspetti.
  I temi che intendo affrontare sono tre: la procedura di allerta, il concordato preventivo e l'amministrazione straordinaria. Parto dalla prima. L'introduzione della procedura di allerta e composizione assistita della crisi quale strumento per agevolarne l'emersione anticipata e favorire così il recupero della continuità aziendale è una scelta che – è noto quale sia la posizione per Confindustria – può rivelarsi efficace, ma a condizione che non finisca con il sottrarre del tutto alle imprese la possibilità di gestire la pre-insolvenza.
  Per questo motivo (e vado subito al punto) lo sbocco giudiziario della procedura aggiunto dal Consiglio dei ministri per rispondere alla preoccupazione di quanti lamentavano la mancanza di una chiusura del cerchio rappresenta, a nostro giudizio, una rilevante criticità. Questa scelta, infatti, rischia di rendere una mera petizione di principio la previsione che attribuisce alla procedura di allerta natura non giudiziale e confidenziale, in quanto l'impresa ha dinanzi a sé il pericolo di un intervento esterno e di una pubblicizzazione dello stato di crisi, con esiti che potrebbero rivelarsi paradossali rispetto agli obiettivi per cui questo istituto verrebbe introdotto nel nostro ordinamento.
  Infatti, il principale presupposto dell'allerta è rappresentato dall'esistenza di fondati indizi della crisi, una locuzione – come noto – dai confini incerti, che espone un'impresa in situazione di difficoltà temporanea ma non ancora di vera e propria crisi al rischio di trovarsi coinvolta in un meccanismo di stampo giudiziale.
  Peraltro, se questa situazione – cioè la situazione di difficoltà anche temporanea – viene resa nota, quell'impresa avrà, come è evidente, maggiori difficoltà nel reperire credito e nei rapporti con il mercato in cui opera, con un dirompente effetto amplificatore della crisi stessa.
  Siamo allora, con un meccanismo così congegnato, lontani dal delineare un istituto che, secondo la stessa relazione di accompagnamento al disegno di legge, dovrebbe essere inteso come uno strumento non tanto di ammonizione, bensì di sostegno, diretto anzitutto ad analizzare celermente le cause del malessere economico-finanziario dell'impresa e, in seconda battuta, ad agevolare i negoziati tra debitore e creditori per risolvere tale malessere.
  Affinché allerta e composizione assistita funzionino, è necessario che l'imprenditore e l'impresa non si sentano inquisiti, ma supportati nella gestione della crisi. Solo così potranno essere indotti davvero a uscire allo scoperto e a farlo per tempo, che è il vero obiettivo di questo strumento. In caso contrario, la nuova procedura verrà vissuta non come un'opportunità, ma come un ulteriore ostacolo al fare impresa, con i prevedibili effetti che saranno quelli del tentativo di aggirare l'allerta, ricorrendo magari ad apposite figure professionali o a qualche altro espediente.
  Sulla base di queste considerazioni, riteniamo che lo sbocco giudiziale della procedura debba essere eliminato, tornando alla formulazione proposta dalla Commissione Rordorf. In via subordinata, si renderebbero necessari alcuni contemperamenti e provo a evidenziare quali.
  Anzitutto, bisogna considerare che, come si legge nella stessa relazione, il successo dell'allerta dipende dalla propensione degli Pag. 5imprenditori ad avvalersene. Pertanto, occorre davvero configurare un sistema di incentivi per chi vi ricorre e di disincentivi per chi non lo fa. Se è così, l'intervento del Tribunale dovrebbe senz'altro venir meno quando l'imprenditore si rivolga spontaneamente all'organismo di composizione della crisi.
  Sempre nell'ambito di queste ipotesi correttive subordinate ci sono, poi, alcuni profili procedurali che andrebbero considerati. In primo luogo, stando allo schema delineato nel testo uscito dal Consiglio dei ministri, l'organismo di composizione della crisi deve stabilire se l'imprenditore abbia adottato misure idonee a porvi rimedio e, in caso negativo, attivare il tribunale. Dunque, l'organismo viene investito di una responsabilità particolarmente significativa e ciò rende evidentemente determinante il tema della sua composizione.
  È importante, allora, selezionare figure con professionalità specifiche, in linea con la specializzazione che peraltro il disegno di legge positivamente richiede a giudici e professionisti chiamati a gestire le procedure concorsuali. In questo contesto, andrebbe valutata l'opportunità di coinvolgere i rappresentanti di categoria che, grazie alla conoscenza delle imprese del territorio, potrebbero instaurare con le stesse un canale di interlocuzione privilegiata.
  In secondo luogo, ricevuta la comunicazione, il tribunale convoca l'imprenditore e, secondo il disegno delineato nel testo oggi in discussione, può affidare a un professionista il compito di verificare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa. Tuttavia, l'audizione dell'imprenditore e la verifica del suo stato di salute vengono già effettuate dinanzi all'organismo di composizione della crisi. Siamo perciò di fronte a un'evidente, a nostro giudizio, duplicazione di ruoli, tempi e soprattutto costi, che in quanto tale dovrebbe essere evitata.
  Per questo motivo, a nostro giudizio, da un lato la verifica della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dovrebbe essere condotta dall'organismo di composizione della crisi una volta ricevuta la segnalazione o l'istanza del debitore; in secondo luogo, la comunicazione al tribunale dovrebbe aversi solo se questa verifica porti ad accertare un effettivo stato di crisi e non di mera difficoltà, perché è lo stato di insolvenza o di crisi avanzata che genera quella conflittualità tra interessi del debitore e dei creditori tale da giustificare l'intervento giudiziario. In terza battuta, davanti al tribunale lo stato di crisi dovrebbe essere nuovamente accertato, ma solo se a farne richiesta sia il debitore stesso, che a tal fine dovrebbe poter nominare un professionista di propria fiducia, altrimenti si rischia un effetto evidentemente di duplicazione dei costi.
  Sempre nell'ambito di queste ipotesi subordinate rispetto alla principale, che è l'eliminazione dello sbocco giudiziale, un altro aspetto che a nostro giudizio merita particolare attenzione attiene al comportamento dei creditori. Infatti, se è vero che il tribunale interviene quando l'imprenditore non ponga in essere misure riparatrici idonee, è pur vero che questo potrebbe accadere in conseguenza di un atteggiamento ostruzionistico da parte dei creditori, che potrebbero rifiutarsi di addivenire a una soluzione concordata a dispetto della disponibilità manifestata dal debitore, il quale «subirebbe» l'intervento giudiziale anche in assenza delle condizioni che lo legittimano, cioè la sua inerzia.
  È un'ipotesi plausibile, se solo si considera la prassi applicativa degli accordi di ristrutturazione. Ne consegue, allora, la necessità di prevedere misure sanzionatorie, come ad esempio la paralisi delle garanzie accordate ai crediti per quei creditori che ostacolino, senza giustificati motivi, la buona riuscita dei negoziati.
  Infine, ma non in ordine di importanza nell'ambito di queste ipotesi subordinate, la previsione dello sbocco giudiziale deve far riflettere sulla legittimazione alla segnalazione attribuita ai creditori qualificati a fronte del perdurare di inadempimenti di importi rilevanti. Si tratta di una soluzione rispetto alla quale Confindustria ha sempre manifestato le proprie perplessità, in quanto rischia, tra le altre cose, di rendere prioritario il pagamento di questi creditori, che Pag. 6sono creditori pubblici, a danno di dipendenti e fornitori.
  Ma, soprattutto, il combinato disposto della segnalazione attribuita ai creditori qualificati e dello sbocco giudiziale rischia davvero di snaturare del tutto l'allerta, che da strumento volto ad attirare l'attenzione di imprenditori e organi sociali su fatti rivelatori di un preoccupante stato di salute, consentendo quindi di adottare per tempo le misure idonee, si trasformerebbe in un perimetro stretto in cui l'impresa e l'imprenditore si vedrebbero in qualche modo stretti, a loro volta, tra creditori qualificati da un lato e tribunale dall'altro, e privati di fatto della possibilità di gestire la pre-insolvenza.
  Dunque, se si intende conservare lo sbocco giudiziale della procedura, la legittimazione dei creditori qualificati andrebbe eliminata in favore di una soluzione che, invece, punti sui presìdi endosocietari. A questo proposito l'obiezione è nota: si dice – e forse anche correttamente – che l'introduzione di una procedura di allerta conferma che in passato, fino a oggi, i presìdi societari non hanno funzionato o hanno funzionato male.
  Su questo, però, vorrei richiamare alcuni dati. Anzitutto l'analisi di impatto della regolamentazione, da cui risulta che ad oggi sono iscritte presso il Registro delle imprese circa un milione e mezzo di società a responsabilità limitata, di cui un numero significativo senza organo di controllo interno. Dall'altro, l'ultimo Rapporto Cerved sui fallimenti e anche il Rapporto PMI Centro-Nord 2016, a cura sempre di Cerved e Confindustria, da cui risulta che le realtà aziendali che hanno resistito meglio all'urto della crisi sono quelle più strutturate anche in termini di governance.
  Alla luce di questi dati, l'eliminazione della legittimazione dei creditori qualificati potrebbe accompagnarsi a un ripensamento del regime dei controlli interni, con l'obiettivo di rendere l'intero impianto normativo coerente e capace di prevenire l'emersione tardiva della crisi.
  In subordine, anche questa legittimazione dovrebbe essere meglio circoscritta. Innanzitutto bisognerebbe chiarire bene cosa si intende per perdurare di inadempimenti di importo rilevante. Il disegno di legge non individua delle soglie, rimette il compito al legislatore delegato, ma si tratta di soglie che vanno fissate con prudenza, dal punto di vista sia quantitativo che temporale.
  A proposito degli aspetti temporali, è necessario regolare se e in che misura assumono rilevanza quegli inadempimenti riferibili a periodi di imposta anteriori all'entrata in vigore delle nuove norme, perché alcuni contribuenti potrebbero risultare in una condizione di perdurante inadempimento per fatti pregressi, e pertanto automaticamente esposti alla segnalazione.
  Ma, soprattutto, dati gli effetti rilevanti connessi a questa segnalazione, è importante prevedere meccanismi di verifica preventiva volti ad assicurare che vengano presi in considerazione solo inadempimenti fondati e senza margini di opinabilità.
  Secondo punto, e mi avvio a concludere, è il concordato preventivo. Rispetto a questo tema, e contrariamente a quanto rilevato invece in tema di allerta, il disegno di legge in discussione fa registrare, a nostro giudizio, un ulteriore passo avanti rispetto al testo prodotto dalla Commissione. Questo perché si viene a prefigurare la sostanziale abrogazione del concordato liquidatorio mediante l'eliminazione di quella previsione un po’ dubbia – previsione contenuta nel disegno di legge licenziato dalla Commissione – che rendeva ammissibili proposte concordatarie esclusivamente liquidatorie a fronte di apporto di risorse esterne in grado di aumentare in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Un meccanismo che, a nostro giudizio, non era convincente perché in un contesto di riordino e razionalizzazione delle procedure concorsuali è più coerente prospettare un modello dal carattere liquidatorio fondato sullo stato di insolvenza e un altro diretto alla prosecuzione dell'attività d'impresa e alla continuità fondato sullo stato di crisi o di insolvenza reversibile.
  In questa dicotomia, la possibilità di una liquidazione concordata è senz'altro contemplabile, ma solo, a nostro giudizio, nell'ambito della procedura di liquidazione Pag. 7giudiziale, cioè quello che accade oggi con l'attuale concordato fallimentare.
  Resta ferma, invece, nel disegno di legge la legittimazione del terzo ad attivare il concordato preventivo nei confronti del debitore insolvente. Su questo riproponiamo le osservazioni che abbiamo già svolto in audizione dinanzi alla Commissione. Già il decreto-legge n. 83 del 2015 ha aperto le nostre procedure concordatarie alla contendibilità, attraverso due istituti inediti, cioè proposte e offerte concorrenti. Il problema è che questi istituti si collocano nel solco di una decisione già maturata dal debitore, cioè ricorrere al concordato. Consentire, invece, al terzo di aprire direttamente la procedura priva il debitore della potestà non solo gestionale, ma ancor prima decisionale, della propria impresa.
  Inoltre, sia le proposte che le offerte concorrenti soggiacciono a rigorose condizioni. Tra l'altro, queste condizioni sono state ideate ed elaborate proprio nell'ambito di questa Commissione. Dunque, se il legislatore si è preoccupato di circondare questi istituti di alcune cautele, tanto più dovrebbe farlo rispetto alla legittimazione concorrente.
  In conclusione, a nostro giudizio, quella della legittimazione concorrente è una soluzione che andrebbe cassata o, in subordine, corredata da rigorosi presìdi.
  Ad esempio, il terzo dovrebbe avere la possibilità di presentare la domanda di concordato solo se la proposta e il piano da lui formulati siano in grado di assicurare la soddisfazione dei creditori in misura apprezzabile.
  Infine, qualche battuta sull'amministrazione straordinaria.

  PRESIDENTE. Questa è fuori dal nostro...

  ANTONIO MATONTI, Direttore Affari Legislativi di Confindustria. Sì, però volevo evidenziare soltanto questo. È stato realizzato questo stralcio del tema dell'articolo 15 del disegno di legge ed è una scelta, a nostro giudizio, non condivisibile, perché per portare davvero a compimento un disegno di riforma organico anche l'amministrazione straordinaria dovrebbe, a nostro giudizio, essere ricondotta all'interno di un sistema concorsuale ispirato a princìpi e caratteristiche comuni.
  Se già le misure proposte dalla Commissione Rordorf, in conseguenza del faticoso dibattito che le avevano precedute, a giudizio di alcuni non risultavano particolarmente incisive, a maggior ragione sono meno incisive le proposte contenute nella proposta di legge A.C. 865.
  Dunque, il nostro auspicio è che il processo di riforma dell'amministrazione straordinaria venga portato avanti e migliorato, sensibilmente migliorato, seguendo alcuni obiettivi chiari, cioè rafforzare il carattere straordinario di questo strumento, circoscriverne...

  PRESIDENTE. Dottore, mi scusi, ma la devo interrompere. Se l'avete scritto, questo risulta agli atti. Il suo tempo è finito. Lei sta leggendo il documento da venti minuti, non posso farla proseguire, perché ho un tempo limitato.
  Inoltre, la ringraziamo per averla inserita nelle vostre osservazioni, ma questa parte è stata stralciata e assegnata dalla Presidenza della Camera alla Commissione attività produttive, nonostante le opinioni diverse della Commissione giustizia.
  Sicuramente ne terremo conto ai fini del parere che verrà espresso dalla Commissione giustizia, però adesso mi permetto di interromperla, in quanto il suo tempo è concluso. Casomai, in sede di domande, si aggiungerà qualcosa.
  Do la parola a Giuliano Campana, vicepresidente dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), per lo svolgimento della sua relazione.

  GIULIANO CAMPANA, Vice Presidente area economico-fiscale-tributario dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). Buongiorno a tutti. Ringrazio la Commissione giustizia per l'opportunità che ci ha concesso di intervenire in questa sede, al fine di poter avviare una riflessione su una riforma, quella delle procedure di insolvenza, che è attesa da lungo tempo dalle nostre imprese operanti. Pag. 8
  Anche se noi facciamo parte di Confindustria, chiaramente a volte abbiamo un'ottica particolare, considerato che il nostro è un settore decisamente peculiare.
  Permettetemi, innanzitutto, di fornire qualche dato relativo al nostro settore, ove la crisi si è abbattuta con una tale violenza da compromettere la stessa sopravvivenza economica delle imprese, che continuano a subire ancora la contrazione dei volumi di vendita, a cui si aggiunge la restrizione del credito, che per noi è indispensabile per l'avvio di nuove iniziative.
  Tali circostanze stanno mettendo seriamente in pericolo anche la stessa continuità aziendale, che costituisce, a nostro avviso, il presupposto fondamentale per l'esercizio dell'attività di impresa.
  Infatti, se l'economia italiana nel 2015 è tornata a crescere, per quanto riguarda, invece, il settore delle costruzioni continua la lunga crisi che parte dal 2008 e continua a manifestare cali di livelli produttivi. I piccoli segnali positivi non sono altro che vendite fra privati, surroghe e quant'altro.
  Tra il 2008 e il 2013, infatti, le costruzioni hanno sperimentato una notevole contrazione. Abbiamo perso, per fuoriuscita dal nostro settore, 80.000 imprese, che corrispondono in termini percentuali a un calo del 12,7 per cento. Compreso l'indotto, a oggi abbiamo perso un milione di posti di lavoro.
  Con riferimento al numero di addetti, le riduzioni si concentrano principalmente nelle imprese con più di un addetto, che dopo questi anni sono circa 66.500 in meno (-23,2 per cento).
  Purtroppo, la crisi si fa ancora sentire. Questa forte contrazione del numero delle imprese di costruzione ci preoccupa enormemente, poiché testimonia che il settore sta perdendo le realtà imprenditoriali più strutturate. Stiamo, infatti, assistendo a un progetto di destrutturazione del settore delle costruzioni, che coinvolge un'intera generazione di imprese.
  Non vi nascondo che abbiamo forte timore che di colpo venga dispersa la capacità tecnico-produttiva delle aziende medie, che, come tutti voi sapete, sono quelle più innovative e anche le più snelle per poter percepire le nuove reazioni del mercato.
  Tuttavia, io sono convinto che queste stesse imprese di media dimensione possano dare ancora un contributo determinante allo sviluppo e alla modernizzazione dal Paese.
  Restando su questo tema, vorrei segnalarvi brevemente che l'ANCE, insieme a una società di rating, ha compiuto un'analisi su 50.000 bilanci delle nostre aziende di costruzione. Purtroppo, devo dire che oltre il 30 per cento di questi bilanci dal 2011 al 2013 sono in perdita.
  Inoltre, la crisi economica iniziata nel 2008 ha determinato una crescente difficoltà per le imprese di ottenere finanziamenti a lungo termine e ha costretto a un maggior ricorso all'indebitamento a breve termine, che, come tutti noi sappiamo, ha un costo notevolmente più oneroso.
  Per quanto riguarda le imprese di costruzioni, l'effetto negativo è stato duplice, in quanto, oltre al fenomeno della mancanza di credito, c'era anche la mancanza di credito al consumo. Ciò si è tradotto in una notevole difficoltà da parte dei privati a ottenere mutui casa. Oggi, fortunatamente, questa tendenza si sta invertendo e i mutui vengono concessi.
  Tuttavia, purtroppo, nell'opinione pubblica c'è ancora il timore, che speriamo possa al più presto attenuarsi.
  In ogni caso, le analisi del mercato indicano che, una volta attenuata la crisi, si assisterà probabilmente a una riorganizzazione del tessuto imprenditoriale edile, che si manifesterà con la riduzione del numero delle imprese e il consolidarsi del fenomeno aggregativo.
  Tale contesto economico sta mettendo seriamente in pericolo anche la stessa continuità aziendale, che costituisce il presupposto fondamentale per l'esercizio dell'attività d'impresa.
  Come tutti voi sapete, infatti, la continuità aziendale consente all'impresa di proseguire l'attività nel suo normale corso, facendo fronte ai propri pagamenti in modo ordinario attraverso le proprie risorse.
  Noi crediamo fermamente nel mantenimento in efficienza dell'azienda come un Pag. 9valore, che come tale va salvaguardato, specie nei periodi in cui la gestione ordinaria diventa difficoltosa, a causa soprattutto delle riduzioni delle commesse.
  Ecco perché, anche in fase di crisi del mercato, ove l'impresa non riesca più ad adempiere alle proprie obbligazioni, ad esempio verso i fornitori, verso i propri dipendenti o verso le amministrazioni finanziarie, appare assolutamente indispensabile mantenere e promuovere in ogni caso l'esercizio dell'attività, anziché, viceversa, attivare le procedure giudiziali, che, oltretutto, possono mettere in pericolo il patrimonio aziendale e minare l'esistenza dell'impresa stessa.
  Questo è il panorama in cui si inserisce la riforma del diritto fallimentare, che rappresenta un'esigenza da lungo tempo sentita dalla generalità delle imprese del settore delle costruzioni, tenuto conto che gli strumenti a oggi in vigore per la gestione dell'insolvenza appaiono, a nostro avviso, fortemente inadeguati rispetto all'attuale quadro economico, caratterizzato da una crisi senza precedenti, in atto ormai da quasi un decennio.
  Nel condividere le linee essenziali e il lavoro fin qui svolto dal Governo nell'elaborazione di un testo che racchiude i princìpi generali della riforma, noi riteniamo indispensabile, come ANCE, che tale sforzo non venga vanificato da un eccessivo allungamento dei tempi di esame da parte del Parlamento.
  In tal senso, occorre accelerare il più possibile l'approvazione della legge-delega, visto che tale passaggio è essenziale al fine di pervenire all'attuazione concreta della riforma, che, come noto, verrà completata solamente con i relativi decreti attuativi.
  D'altronde, questo è l'unico percorso legislativo possibile, se pensiamo all'urgenza di salvaguardare, mediante gli annunciati nuovi strumenti di gestione dell'insolvenza, un tessuto imprenditoriale virtuoso – lasciatemelo dire – in possesso di tutte le capacità tecniche e organizzative per far ripartire il Paese. Penso che l'abbiamo dimostrato anche a Expo. Io sono orgoglioso di aver fatto parte di questa avventura. Ciò è ancor più vero alla luce dei timidi segnali di ripresa registrati negli ultimi mesi.
  Venendo ora ai contenuti del disegno di delega, abbiamo condiviso in linea generale il riferimento alla situazione di insolvenza in sostituzione del fallimento, che, purtroppo, è da sempre accompagnato da una connotazione di discredito ai danni dell'imprenditore.
  Al di là di aggiornamenti meramente terminologici, auspichiamo, però, che l'annunciata riforma prenda in considerazione anche le cause dell'insolvenza.
  Riteniamo, infatti, indispensabile che fra i princìpi generali della riforma venga specificata a livello normativo la differenza fra l'insolvenza dovuta alla crisi, ossia a condizioni oggettive e sfavorevoli del mercato, e quella prodottasi, invece, in seguito alla cattiva gestione dell'attività da parte degli amministratori.
  A nostro avviso, ciò consentirebbe di definire con maggior chiarezza le ipotesi di responsabilità degli amministratori, che saranno perseguiti solo in caso di effettivi e comprovati comportamenti illeciti.
  Seguendo questa linea, dovrebbe essere escluso qualsiasi addebito nei loro confronti nel caso che il dissesto dell'impresa sia causato da fattori esterni, quindi da fattori economici, e non dipenda, viceversa, da leggerezza dell'imprenditore. Si tratta, in sostanza, di tutelare il cosiddetto fallimento onesto secondo quanto sottolineato più volte anche dalla Commissione europea.
  Inoltre, vorrei richiamare l'attenzione della Commissione sul fatto che eventuali profili di responsabilità per gli amministratori possono sorgere in conseguenza dell'attuale crisi dei valori immobiliari, spesso aggravata da un sistema di perizie tecnico-estimative che tendono a sottovalutare sistematicamente il valore degli immobili, oggi secondo una logica devastante, da asta fallimentare.
  Ecco perché siamo convinti che si debbano individuare strumenti che possano eliminare la responsabilità degli amministratori che nella prolungata fase della crisi hanno cercato di garantire la sopravvivenza dell'impresa, mettendo anche a disposizione Pag. 10 tutti i propri capitali, come nel nostro settore capita spesso.
  Vorrei ora soffermarmi un momento sulle nuove procedure di allerta introdotte nella delega, che dovrebbero consentire all'impresa in crisi di affrontare lo stato di insolvenza in via preventiva rispetto all'intervento del tribunale.
  Certamente condividiamo l'utilità di questi nuovi strumenti di controllo rispetto a situazioni che possono compromettere in via generale la continuità aziendale e gli adempimenti verso i creditori. Consentitemi, però, di richiamare la vostra attenzione sull'opportunità di valutare gli effetti delle procedure d'allerta rispetto a una eventuale ritardo nell'adempimento dei debiti fiscali.
  Mi riferisco alla possibilità di introdurre un sistema che consenta, durante la fase di allerta, quanto meno di congelare il debito erariale, bloccando la formazione di ulteriori interessi e sanzioni, tanto più che lo Stato è il nostro socio di maggioranza. Se solo pensiamo che paghiamo più del 60 per cento di tasse, avrebbe anche la convenienza oltretutto.
  Occorre poi garantire, sia nella fase di accesso sia di svolgimento delle citate procedure, adeguate forme di privacy nei confronti dell'impresa. Vi è poi un altro tema, che per l'ANCE appare prioritario, che dovrebbe trovare spazio in sede di attuazione della delega: mi riferisco all'annunciata revisione della disciplina dei privilegi.
  La pretesa dello Stato va ridimensionata e devono essere riveduti ed eliminati i privilegi relativi ai crediti erariali. A nostro parere, la riforma dei privilegi dovrebbe tutelare sempre il principio della continuità aziendale piuttosto che quello relativo alla salvaguardia dell'interesse dell'erario e al soddisfacimento dei debiti fiscali. Per questo, riteniamo che in caso di accesso alle procedure concorsuali la natura privilegiata per i crediti vantati dallo Stato – parlo di imposte dirette e indirette, tra cui l'IVA, e di contributi locali – debba essere eliminata.
  Vorrei, poi, esprimere il nostro apprezzamento in merito alla volontà del Governo di intervenire sulle sorti del credito IVA nell'ambito delle procedure concordatarie, specialmente per quanto riguarda la possibilità di ridurre in fase di acconto l'ammontare dell'imposta dovuta, fino a oggi non prevista a livello normativo.
  Occorre valutare l'opportunità che la riforma non trascuri alcune questioni, che, come riscontrato dall'ANCE, emergono con frequenza nell'ambito delle procedure concorsuali. Mi riferisco, in particolare, ad alcune gravi criticità nell'applicazione dell'istituto del concordato in continuità aziendale, introdotto da qualche anno nel nostro ordinamento.

  PRESIDENTE. Ha tre minuti. Glielo dico solo perché si possa regolare.

  GIULIANO CAMPANA, Vice Presidente Area Economico-fiscale-tributario dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). La ringrazio. Cercherò di sintetizzare.
  A riguardo, riteniamo indispensabile introdurre per il solo concordato in continuità aziendale una soglia minima del 40 per cento, e non del 20 per cento, come è attualmente.
  Inoltre, per quanto riguarda invece la partecipazione alle gare, non riteniamo giusto che imprese fallite possano ancora partecipare a degli appalti, così come prevede purtroppo il nuovo codice degli appalti.
  Un ulteriore tema da non trascurare, per noi importantissimo, è poi quello dei rapporti contrattuali tra gli istituti bancari e le imprese. Se si pensa che già dal mantenimento della crisi aziendale le banche tendono a manifestare comportamenti impropri, ad esempio ingiustificati adeguamenti nelle garanzie contrattuali, con l'unico effetto di peggiorare la già difficile situazione dell'impresa, mettendo a rischio anche la stessa continuità aziendale...
  Abbiamo specificato meglio la nostra posizione nelle note che abbiamo depositato. Vi ringrazio. Ho cercato di sintetizzare le nostre problematiche.

  PRESIDENTE. La ringrazio, anche di essere stato nei tempi. In ogni caso, c'è il documento e nel frattempo abbiamo già acquisito i documenti di Confindustria, di Pag. 11ANCE e dell'Alleanza delle cooperative italiane.
  Passiamo ora all'Istituto curatori. Do ora la parola al presidente De Bortoli.

  NERIO DE BORTOLI, Presidente dell'Istituto curatori. Ringrazio il presidente e tutta la Commissione per aver voluto invitare l'Istituto dei curatori.
  Noi siamo dei professionisti, per cui abbiamo deciso di presentare delle attenzioni su aspetti molto tecnici, che agevolano l'esercizio di quest'attività sia da parte della magistratura, sia da parte degli imprenditori, sia da parte dei professionisti. Ci siamo fermati ad analizzare alcuni punti del disegno di legge cercando di individuare delle risposte sull'esempio dell'articolo 1 della legge fallimentare, quando si è deciso chi è piccolo imprenditore e chi non lo è grazie a tre numeri: capitali investiti, vendite e debiti. La magistratura dopo dodici mesi ha smesso di fare sentenze contrarie e ci siamo tutti ritrovati d'accordo sulla definizione di piccolo e grande.
  Vorremmo trasferire questo schema sul concetto di stato di crisi o stato di insolvenza. Io comprendo i tempi necessari per individuare questi debiti, ma abbiamo fissato in sei-nove mesi per lo stato di crisi l'omesso pagamento dell'imposta al 50 per cento, l'omesso pagamento degli stipendi e dei salari, l'omesso versamento delle ritenute. Si tratta di parametri fissi: una volta individuati, uno è o in uno stato di crisi o in uno stato di insolvenza. Forse è più semplice.
  Diversamente, presidente, in Commissione troveremo, una volta approvata questa nuova legge, nei tribunali 100.000 reclami. Questo discorso va collegato con i nuovi termini del patto marciano.
  Per lo stato di crisi abbiamo individuato un periodo di omesso versamento negli ultimi sei-nove mesi di queste voci, che ripeto: gli stipendi e i salari, i contributi previdenziali, le ritenute d'acconto, le imposte dirette, i fornitori, i mutui ipotecari. Per l'insolvenza, invece, questo termine deve essere più lungo. Non si tratta più, infatti, di temporanea difficoltà ad adempire, come è stata indicata a pagina 38 delle schede di lettura.
  Abbiamo indicato l'omesso versamento del 75 per cento degli stessi debiti dell'impresa, ma in un termine che potrebbe andare dai dodici ai diciotto mesi. È stato provato, infatti, sia dall'università di Bologna sia da quella di Milano che la crisi parte quattro anni prima, tre anni prima. L'esame dei bilanci di 526 società ha dimostrato che l'inizio della crisi parte quattro anni prima. Noi abbiamo individuato diciotto mesi al massimo. Non sembra un termine offensivo per le imprese, che potrebbero obiettare che si tratta di troppo poco tempo. Diciotto mesi sono un anno e mezzo.
  Perché? Perché dobbiamo registrare oggi la perdita di valori e di occupazione. Io posso capire Confindustria che mi dice che c'è una lesione all'esercizio del diritto dell'impresa, ma abbiamo perso occupazioni e valori aziendali spaventosi, che non recuperiamo più. Essendoci anche una carenza di nascita di una nuova categoria imprenditoriale dei più giovani, siamo costretti a utilizzare gli imprenditori «senior», quelli che oggi hanno cinquant'anni, ancora per dieci anni. Loro, infatti, hanno ancora questa volontà di restare sul mercato.
  Spero che il legislatore veda questa perdita di valore da parte del nostro Paese, e immediatamente di occupazione, confrontata con questo lungo tempo che chiedono le categorie imprenditoriali per non dire di essere in insolvenza. Credo che il risultato di questi dieci anni di quadri preventivi, 67, 182-bis, che dovrebbe essere ormai di conoscenza comune, e forse non è stato, ma sappiamo anche di una fase di crisi internazionale che non sapevamo forse nemmeno come prendere.
  Per quanto riguarda l'ANCE e la differenza tra insolvenza interna ed esterna, l'osservazione è raffinata, ma abbiamo pochissimi casi di insolvenze per cause esterne. Secondo me, l'imprenditore è più bravo di quello che pensiamo, e lui coglie quali sono le sue mancanze relativamente all'impresa.
  Quanto alle procedure di allerta, abbiamo visto che fino al 2002 vi era la presenza del sindaco per tutte le società. Ricordo che in Germania nel 2015 sono state dichiarate fallite 23.000 start-up. È un Pag. 12dato spaventoso. È vero che l'imprenditore al secondo giro ha imparato dall'esperienza del primo, ma non avere il sindaco in tutte le società di capitali secondo noi è una mancanza.
  Il sindaco ha azioni di responsabilità, deve stare attento, e poi è contemplato nella figura dell'articolo 4 sulle procedure di allerta, quando si parla appunto di organi di controllo. Forse bisognerebbe estenderlo alle società. Ci potrebbe essere un limite su tutte le società a responsabilità limitata o non esserci. Qui abbiamo individuato un volume d'affari fino a 500.000 euro, sotto i quali forse non serve, ma sopra un'azienda comincia ad avere una sua autonomia, una sua organizzazione, una sua proiezione.
  Quanto a ciò che stiamo individuando come valori, come importi tecnici, su cui poi non si scappa tanto, alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 4, quando il disegno di legge parla di importo rilevante, bisognerebbe prestare un po’ di attenzione. Noi abbiamo individuato quale importo rilevante, ad esempio, il 50 per cento di un certo numero di debiti, non di tutti. Bisognerebbe avere forse coraggio. Tutto è finalizzato all'emersione della crisi. Prima la facciamo emergere e più è l'imprenditore a guadagnarci, perché salva il suo patrimonio.
  Venendo alla terza osservazione, ferme rimanendo le nostre responsabilità, presidente, per quello che abbiamo fatto in questi anni su queste attestazioni, su questi piani, se però la Cassazione ci diceva che il giudice non poteva intervenire sul giudizio dell'economia della proposta, noi non potevamo fare di più. I piani vengono presentati, ci dicono che è stato omologato, che non possono fare più di tanto.
  Bisognerebbe, allora, che prendessimo una certa misura. Il quadro preventivo probabilmente non è, secondo noi, la procedura migliore, indipendentemente dal fatto che sia liquidatorio o in continuità. Ha, infatti, dei tempi, dei costi, brucia tutta la liquidità... Preventivo in continuità. Il sistema bancario oggi non è in grado di decidere. Nessuno può decidere su nessuna banca. Un funzionario che decide rischia di essere licenziato.
  Se aspettiamo la risposta dal sistema bancario alle crisi con i 182-bis... Prima parlava Confindustria: certamente, bisognerebbe dare un tempo agli studi credito che non rispondono al mio 182-bis. Se mi tiene in attesa uno o due anni, ripeto che il valore dell'azienda, l'organizzazione, sono persi.
  Credo, invece, che in questo ci sia però un'opportunità, che è stata citata nelle procedure di liquidazione, alla lettera d) del comma 10 dell'articolo 7 si parla di «disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte dei creditori o di terzi». Qui intravediamo quella che oggi è la procedura per eccellenza anche per le squadre di calcio, ossia l'esercizio provvisorio, procedura velocissima, che costa 16 euro.
  L'imprenditore, il professionista intelligente, ha poco tempo da perdere. Basta fare come fa nel concordato in continuità, ma lì sa che deve fare un progetto, per dodici mesi resta congelato prima di avere l'omologa, e poi deve partire. Con l'esercizio provvisorio ci sono 30 giorni per la dichiarazione di fallimento, se lui presenta un piano e ha i dati recenti, può riprendersi l'azienda sotto la guida del curatore, sotto il controllo del comitato dei creditori e il potere del giudice delegato, e in questo modo il valore dell'azienda viene mantenuto, non viene disperso come oggi in attesa di tutti i pareri dei creditori.
  Pertanto, servirebbe, secondo noi, che l'autorizzazione che il tribunale dà per la richiesta di dichiarazione di fallimento e l'immediato esercizio provvisorio premi questo tentativo che fa l'imprenditore. Perché oggi non lo fa? Perché ha un penale spaventoso, pericoloso. Devo dire che, però, il penale c'è anche nel patto preventivo, identico, ma chissà perché non viene applicato. Pertanto, tutti vanno nel preventivo per non avere il penale.
  Se, invece, noi riusciamo a prevedere delle facilitazioni, dei premi per chi si presenta ed è autorizzato ad avere l'esercizio provvisorio, sia di ordine soggettivo ma anche di ordine oggettivo, soprattutto Pag. 13anche penale, credo che questa sia per l'imprenditore e il professionista intelligenti una soluzione rapida, che mantiene i valori dell'azienda.
  Bisogna anche dire che il mantenimento in esercizio provvisorio di un'azienda è un'occasione per l'applicazione di quella legge che dà la prelazione alle cooperative per la costituzione tra i dipendenti della società in crisi. Nel Veneto abbiamo cinque esperienze molto buone, bellissime, fatte con le cooperative, ma di soluzioni per situazioni in cui l'imprenditore non ce la faceva più, è stato in esercizio provvisorio per cinque o sei mesi.
  Le categorie dei lavoratori hanno costituito queste realtà che portano alla salvaguardia del valore, non alla perdita del patrimonio. Una scelta veloce non porta alla dispersione del patrimonio, anzi lo salda. È la lunga procedura che ce lo porta.
  Che cosa determina il quadro preventivo in continuità? Che i creditori andrebbero pagati quando l'imprenditore vende i beni, ma non è possibile se gli servono per la propria organizzazione, per cui si rischia di avere quadri preventivi in continuità dove il creditore non sarà pagato. In alternativa, l'imprenditore ha margini spaventosi, ci paga le imposte e quello che resta serve per il potenziamento dell'azienda. Oggi abbiamo, quindi, quadri preventivi omologati su una speranza. Forse oggi vale solo la continuazione delle forniture del fornitore, non tanto per il recupero del vecchio credito.
  Andiamo adesso a vedere quali potrebbero essere i premi da dare all'imprenditore e all'azienda. Voi avete visto l'effetto della voluntary? Hanno pagato le imposte e solamente gli interessi. Oggi, l'Agenzia delle entrate, il Ministero dell'economia e delle finanze, avanzano 100 miliardi di euro da parte delle imprese in crisi: da dati che mi ha consegnato il Viceministro Zanetti, negli ultimi dieci anni è stato recuperato il 5 per cento, che vuol dire il 3 per cento, perché il 2 per cento sono sanzioni.
  Bisogna avere il coraggio, come si diceva, di un premio a chi presenta una proposta di dichiarazione di fallimento e per l'esercizio provvisorio. Concordo con l'ANCE relativamente al discorso sul privilegio per lo Stato, che in Inghilterra non c'è, in Germania non c'è, sulle imposte. Non c'è il privilegio, ma ripeto che parliamo di un privilegio per 95 miliardi che non si incassa. I dati del Ministero dell'economia e delle finanze confermeranno quello che sto dicendo.
  Bisogna prevedere, quindi, queste agevolazioni oggettive. Le sanzioni non si devono pagare più se un'impresa crea valore per la collettività. Quanto alle imposte, devono essere in chirografo.
  Per quanto riguarda invece la norma, il disegno di legge prevede una nuova formulazione della bancarotta semplice. Io credo che per colui che per merito ottiene l'autorizzazione allo svolgimento dell'esercizio provvisorio, la bancarotta semplice potrebbe anche essere eliminata. Guardiamo alla sostanza, se siamo in grado di recuperare mercato.
  Per quanto riguarda la bancarotta fraudolenta, un articolo un po’ pesante, ma non vuole essere un invito a pensare che siamo in un Paese in cui facciamo tutti gli scherzi, io credo che per ammanchi, per mala gestio per un importo fino a 200.000 euro, da rimettere nelle casse della società, si possa chiudere. Va restituito, però, quello che hai tolto alla tua azienda. Se non rivediamo la bancarotta fraudolenta per colui che viene dichiarato fallito, che si fa dichiarare fallito, che ottiene l'esercizio provvisorio, credo che questo successo non l'avrà.
  Vediamo, però, anche la previsione dell'articolo 104, in cui si dice che il debitore non può fare la domanda di concordato fallimentare se non è decorso un anno dalla dichiarazione di fallimento. I terzi possono farla lo stesso giorno. Credo che questo sia sbagliato. Non ha senso che io, che mi faccio dichiarare fallito, ottengo il merito di aver presentato domanda di esercizio provvisorio, che mi hanno dato, non posso... Al contrario, l'esercizio provvisorio è proprio finalizzato a concordati fallimentari che possono pervenire dall'esterno o dall'imprenditore.
  Su questi temi, secondo me si tratta di dare un nuovo percorso alla soluzione delle crisi. Dal quadro preventivo, infatti, il grande Pag. 14successo non è venuto. Il rischio è di andare a una procedura più veloce, che è per noi l'esercizio provvisorio ai sensi dell'articolo 104, previsto nel disegno di legge.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Passiamo, ora, all'Associazione fra le società italiane per azioni (ASSONIME), con il presidente Maurizio Sella, al quale do la parola.

  MAURIZIO SELLA, Presidente dell'Associazione fra le società italiane per azioni (ASSONIME). Mi unisco ai ringraziamenti alla Commissione giustizia per l'invito, e per brevità affronto il tema, che per ora non è stato toccato dai colleghi, dell'efficienza e della celerità delle procedure concorsuali.
  A nostro avviso, le procedure concorsuali italiane hanno bisogno di una grande accelerazione dell'efficienza. Questo è un obiettivo strategico, se mi permette, presidente, per la competitività del Paese. Il Paese è veramente danneggiato da questa lentezza delle nostre procedure.
  Sono fattori che incidono sulla crescita e sulla nascita delle imprese, sulla capacità di attrarre gli investimenti esteri, sul costo del credito, sull'erogazione. Quando l'impresa poi non va bene, questa lentezza aumenti i costi di ristrutturazione, riduce il valore aziendale, come è già stato ben detto dai curatori, perché si consumano i valori, e rende molto più complessa la gestione del credito.
  Vorrei far notare che la durata delle procedure concorsuali rappresenta un unicum in Italia. L'OCSE, nel 2013, ha dato la durata delle procedure tra uno e due anno per il Giappone, la Svizzera, l'Estonia, l'Ungheria, la Repubblica Ceca, la Svezia, la Corea, la Finlandia, la Slovacchia, il Portogallo e la Nuova Zelanda; tra due e tre anni per la Spagna, la Scozia e la Francia. La Slovenia è a 3,7. In questo prospetto dell'OCSE, noi siamo a 7,9 anni. È chiaro che siamo veramente diversi da tutti gli altri.
  Questa lunga durata fa sì, nonostante le leggi n. 83 del 2015 e la n. 59 del 2016, che le banche accumulino montagne di non performing loans, che sarebbero per l'appunto i crediti in aceto, le sofferenze, quelle che derivano dalle procedure. È su tutti i giornali la quantità di non performing loans delle banche italiane, ma ce li hanno perché sono esse incapaci, perché hanno dato credito a gente a cui non dovevano, o il tasso delle sofferenze è sostanzialmente uguale negli altri Paesi citati e nel nostro semplicemente le nostre procedure durano più del doppio di quelle degli altri?
  Il governatore a gennaio ha detto: «Se le nostre sofferenze durassero il tempo degli altri, i non performing loans sarebbero la metà». Se fossero la metà, saremmo uguali agli altri Paesi, e non avremmo queste critiche, questo discredito, minor rating per il Paese, minor rating per le banche, quindi per me è di un'importanza straordinaria per il Paese porre mano alle procedure e far sì che vengano velocizzate in tutti i modi possibili.
  Quali sono le cause dei ritardi e delle procedure? Abbiamo certamente un'eccessiva burocratizzazione nella fase di accertamento del passivo, una molteplicità di riti speciali applicabili, una durata del contenzioso connesso alla procedura fallimentare, un efficiente funzionamento del comitato dei creditori.
  Abbiamo, però, anche alcuni fattori, che forse non riguardano prettamente solo la Commissione giustizia: non abbiamo carenze organizzative degli uffici giudiziari? Secondo noi, sì, e si ripercuotono negativamente sulla durata. Non abbiamo bisogno di rinforzare l'organico amministrativo? Non abbiamo bisogno di completare il processo di informatizzazione? Non dobbiamo devolvere più sovente alle sezioni specializzate le procedure?
  È un insieme corale di attività che dovrebbe dare l'ambizione al Paese di raggiungere i livelli degli altri. Se non lo facciamo, continueremo a essere criticati e indeboliti. Era il primo commento.
  Il secondo commento riguarda i rischi di un'integrale riscrittura delle regole concorsuali. Quest'integrale riscrittura che potrebbe essere messa in atto opererebbe sui numerosi interventi riformatori appena fatti nel passato, che riguardano anche la dimensione Pag. 15 dell'impresa, aspetti stralciati, la legge penale, che andrebbe rivista ma che non si è mai riusciti a rivedere in Italia, mentre negli altri Paesi è stata rivista. Insomma, abbiamo più di una perplessità.
  Peraltro, signora presidente, abbiamo a livello europeo l'arrivo nel 2017, tra un anno, di una nuova direttiva, che vorrebbe uniformare a livello dell'Unione europea l'armonizzazione delle regole. Ma possiamo noi riscrivere quest'anno quando dovremo adattarci l'anno prossimo a quello che l'Europa ci chiederà?
  L'iniziativa legislativa è abbastanza avanzata, per la direttiva del 2017 c'è un gruppo di lavoro, a cui partecipano anche diversi italiani, che sta occupandosi del problema. Non sarebbe il caso a breve di occuparsi solo di rendere più veloce, più celere tutto quello che è lento, e rimandare all'anno prossimo la ripresa in mano della struttura? A noi pare opportuno riorganizzare in questo modo, e semmai pensare a un testo unico delle norme dedicate all'insolvenza, che operi in coordinamento tra le discipline vigenti nei limiti, per eliminare incoerenze e duplicazioni e completare la disciplina per i profili mancanti.
  Comunque, mi permetta di sottolineare alcuni punti a nostro avviso deboli. Il disegno di legge delega si propone di ricondurre a un unico modello processuale l'accertamento dello stato di crisi e di insolvenza del debitore, consentendo una successiva specificazione delle diverse procedure, in ragione dei soggetti debitori e delle caratteristiche della crisi o dell'insolvenza.
  Noi condividiamo quest'obiettivo della semplificazione, ma nei fatti ci sembra che non venga attuato, perché conserva tutti gli strumenti di gestione della crisi esistenti, che sono decisamente troppi.
  Abbiamo quindi i piani, gli accordi, gli accordi a maggioranza, il concordato, la liquidazione coatta amministrativa, le procedure di sovraindebitamento liquidatorie basate su accordi, a cui si aggiungono l'allerta, di cui ha già parlato il collega di Confindustria, e la mediazione. Ce ne sono altri due che non ho menzionato, ciò peraltro accresce il mio dubbio sul fatto che sia meglio semplificare e dedicarsi alla semplificazione.
  Ulteriori misure proposte nella delega che possono incidere positivamente sull'efficienza sono quelle volte a uniformare e semplificare il raccordo con il processo civile telematico e la disciplina dei diversi riti speciali previsti dalle disposizioni in maniera concorsuale, ridurre la durata delle procedure concorsuali (è una monomania la mia) anche attraverso misure di responsabilizzazione degli organi di gestione, assicurare la specializzazione dei giudici e attribuire la competenza sulle procedure concorsuali alle Sezioni specializzate.
  Sono, altresì, da condividere l'eliminazione dell'istituto del fallimento e del relativo stigma, l'unificazione dei procedimenti per l'accertamento della crisi e dell'insolvenza, l'introduzione di una disciplina dei gruppi, cosa importantissima perché ci si trova sempre più spesso davanti a crisi dei gruppi, il coordinamento con il diritto societario e infine le semplificazioni previste per la procedura giudiziale.
  Cosa invece, signora presidente, non riteniamo auspicabile? Le modifiche proposte dalla legge delega, in particolare quelle che prevedono l'obbligo della gestione solo giudiziale della liquidazione, con la sostanziale eliminazione del concordato liquidatorio, nonché (qui potremmo non avere l'accordo di tutti) il contenimento dell'ipotesi di prededuzione.
  A tale riguardo vorrei segnalare che la prededuzione è stata voluta, perché quando inizia la crisi dell'impresa le banche non vogliono erogare credito, temendo perdite ulteriori, perché saranno colpite anche dalla Banca centrale europea, che dirà che non dovevano erogarlo. Se vogliono dare credito, devono essere prededotte, perché ormai è noto lo stato di insolvenza e il credito erogato a chi non va bene non va dato.
  Siamo perfettamente d'accordo con Confindustria sulle procedure di allerta e mediazione, totalmente concordi con voi, invece siamo di parere non uguale al loro sull'abrogazione del concordato liquidatorio. Le modifiche della procedura del concordato, che costituisce l'architrave delle procedure concorsuali vigenti, è la maggiore Pag. 16 novità fra gli strumenti per la gestione delle crisi d'impresa, ma non è condivisibile.
  La delega delinea un disegno che riduce l'area di gestione delle soluzioni concordatarie per debitore e creditore, con l'abrogazione del concordato liquidatorio. Questa scelta potrebbe essere condivisa solo se venisse compiutamente realizzato l'obiettivo dichiarato dalla delega di ricondurre a un unico modello processuale l'accertamento dello stato di crisi e di insolvenza del debitore, consentendo la successiva specificazione delle diverse procedure in ragione dei soggetti e delle caratteristiche della crisi.
  Questo obiettivo principale non appare realizzato dalla delega, e basare le misure per la soluzione della crisi sull'alternativa liquidazione giudiziale o concordato in continuità rischia di diminuire le aspettative di soddisfazione dei creditori, che da sempre nel fallimento ottengono percentuali di soddisfazione irrisorie in tempi più lunghi.
  Occorre inoltre considerare che, mentre nel fallimento i creditori non hanno alcuna concreta possibilità di incidere sulla sorte dello stesso, nel concordato preventivo ancorché liquidatorio il ruolo di questi ultimi è stato fortemente rafforzato. Con le modifiche introdotte dal decreto n. 83 del 2015 i creditori possono, infatti, formulare proposte alternative a quella presentata dal debitore, impedendo a quest'ultimo di ottenere vantaggi indebiti nel risanamento dell'impresa e incentivandolo a presentare la migliore offerta possibile anche rispetto all'alternativa fallimentare.
  Sulla legittimazione del terzo non dico, perché siamo d'accordo con Confindustria. Faccio un commento sul ruolo del giudice del concordato e chiudo entro il quarto d'ora assegnatomi. Il ruolo del giudice nel concordato: nel disegno di legge il tribunale riacquista il potere di valutazione della fattibilità del Piano di concordato e di verifiche in ordine alla realizzabilità economica dello stesso, questa modifica segna una forte discontinuità rispetto alle scelte della riforma 2005-2007, confermate dai successivi interventi normativi.
  Tale principio, inoltre, contrasta con la raccomandazione della Commissione europea del marzo 2014. Ricordo che la raccomandazione della Commissione europea costituisce la fonte di ispirazione della prossima direttiva, quella a cui ho fatto cenno e che a mio avviso influirà sul nostro modo di legiferare.
  Essa recita che la procedura di ristrutturazione non dovrebbe essere lunga, né costosa, e dovrebbe essere flessibile, in modo che ne possano seguire più fasi senza l'intervento del giudice. Il ricorso al giudice dovrebbe limitarsi ai casi in cui è necessario e proporzionato per tutelare i creditori e i terzi eventuali. La normativa europea non prevede, quindi, su questo punto indicazioni unanimi.
  Noi riteniamo opportuno (desidero ribadirlo per essere ancor più chiaro) un intervento il più radicale possibile sulla durata e sull'efficienza oltre a quelli già fatti. Lo stesso Governatore recentemente affermava che c'era tutto lo spazio per ulteriormente agire, e sono aspetti di massima urgenza per il Paese, per il sistema del credito, per il sistema produttivo, per un miglioramento delle regole e, quindi, dei risultati ottenuti.
  Sulle modifiche di dettaglio della legge fallimentare riteniamo che il disegno di legge delega non adotti soluzioni pienamente condivisibili e che ci si dovrà preparare a nuove modifiche dopo l'emanazione nel 2017 della direttiva europea. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Adesso chiudiamo con l'Alleanza delle cooperative italiane. Lascio la parola a Mauro Iengo, responsabile Ufficio Legislativo Legacoop e rappresentante di Alleanza delle cooperative italiane

  MAURO IENGO, Responsabile Ufficio Legislativo Legacoop e rappresentante di Alleanza delle cooperative italiane. Grazie, presidente. L'Alleanza delle cooperative italiane condivide l'obiettivo promosso dal disegno di legge di riformare organicamente le discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, risolvendo in questo modo le Pag. 17incertezze giuridiche derivate da una stratificazione di interventi legislativi che si sono succeduti in questi ultimi anni.
  Le novità sulle quali esprimere una valutazione positiva sono numerose, dall'intento di superare la cosiddetta «aura di discredito sociale», che storicamente accompagna il termine fallimento, alla scelta di specializzare l'istituto del concordato preventivo alla sola ipotesi del cosiddetto «concordato in continuità».
  Altrettanto importante, a nostro parere, è la distinzione tra le nozioni di insolvenza e di crisi. Si tratta di una norma importante, che precede logicamente le altrettanto condivisibili disposizioni volte da una parte a prefigurare il sistema di allerta e di composizione assistita della crisi, dall'altra a impegnare l'imprenditore e gli organi sociali ad istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, così come ad attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi.
  Queste considerazioni, oltre ad esprimere i convincimenti dell'Alleanza delle cooperative italiane, aiutano ad introdurre il tema che maggiormente ci preoccupa, cioè il riordino della disciplina della liquidazione coatta amministrativa.
  Nel ragionare delle disposizioni dedicate dalla riforma alla liquidazione coatta viene spontaneo sottolineare la disparità di trattamento che viene riservata alle cooperative rispetto alle imprese bancarie, assicurative e finanziarie. Si legge, infatti, nella relazione al disegno di legge che per il settore bancario e assicurativo dell'intermediazione finanziaria la liquidazione coatta risponde ad esigenze particolari, che richiedono necessariamente la competenza di autorità speciali. Al contrario, queste ragioni non si riscontrano nelle società cooperative.
  Noi crediamo che si tratti di una valutazione perlomeno superficiale nei confronti delle cooperative, valutazione che non tiene conto né dell'articolo 45 della Costituzione, né della legislazione speciale dedicata alla cooperazione. Come è noto, l'articolo 45 indica i caratteri peculiari delle cooperative, cioè l'assenza di fini di speculazione privata, ma soprattutto la funzione sociale, intesa come capacità di rispondere a bisogni sociali primari, e prevede che lo Stato debba promuoverne la crescita e assicurare il rispetto del carattere e delle finalità con gli opportuni controlli (vorrei sottolineare «con gli opportuni controlli»).
  È questa, a nostro parere, la chiave di lettura più corretta per valutare la norma delega, che intende eliminare la possibilità di applicare la liquidazione coatta amministrativa alle cooperative, salvi i casi in cui si riscontrino gravi irregolarità nella condotta delle cooperative stesse.
  A nostro parere, si tratta di una scelta parziale, che non tiene conto che il sistema di vigilanza delle cooperative, introdotto sin dal 1947, ha il compito di verificare il rispetto dei valori cooperativi e adottare sanzioni, tra le quali ha un ruolo centrale la liquidazione coatta amministrativa sia in caso di comportamenti irregolari delle cooperative, sia in caso di loro insolvenza, e non è un caso che a suo tempo legislature abbia esteso la liquidazione coatta alle cooperative.
  Il fatto che le cooperative siano chiamate all'esercizio di una funzione sociale, quella di dare lavoro, di dare una casa, la possibilità di accedere a beni di consumo a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato dà il senso delle ragioni speciali per le quali mantenere la liquidazione coatta per le cooperative, ragioni che non ci sembrano essere inferiori a quelle delle banche e delle assicurazioni.
  In altre parole, se è vero che le cooperative devono avere una funzione sociale, è altrettanto vero che esse devono avere una procedura concorsuale speciale, finalizzata a tutelare gli interessi più ampi e generali e non solo quello dei creditori.
  Dico questo perché altrimenti non si comprende perché nei decenni passati la liquidazione coatta sia stata applicata anche alle cooperative agricole, uniche tra le imprese agricole non commerciali ad essere soggette ad una procedura concorsuale, oppure alle cooperative prive dei requisiti dimensionali di fallibilità, e non si comprende perché poi nel 2006 il legislatore Pag. 18 abbia assoggettato le imprese sociali alla liquidazione coatta amministrativa.
  Va da sé che le argomentazioni che ho appena esposto portano a sostenere l'abrogazione delle norme delega contenute nell'articolo 14. Peraltro, presidente, vale la pena richiamare anche un'incongruenza nell'impianto generale di tale norma, perché da una parte si attribuisce all'Autorità di vigilanza delle cooperative, che è il Ministero dello sviluppo economico, un compito di estrema importanza, cioè quello di attivare il sistema di allerta e di avviare le procedure di composizione assistita della crisi delle cooperative, dall'altra però si nega alla stessa Autorità di completare le eventuali ciclo con l'adozione appunto delle procedure di liquidazione coatta.
  Noi siamo favorevoli all'estensione al Ministero dello sviluppo economico delle funzioni relative al sistema di allerta e di composizione assistita della crisi, sia nel caso in cui il Parlamento e il Governo intenderanno «restituire» la liquidazione coatta alle cooperative, sia nel caso in cui confermino la scelta dell'attuale disegno di legge.
  In quest'ultimo caso, proponiamo però un ulteriore elemento, volto a valorizzare e completare il ruolo del Ministero dello sviluppo economico come Autorità di vigilanza delle cooperative, affidando allo stesso il compito di indicare la soluzione più opportuna alla crisi dell'impresa cooperativa sia nell'interesse dei creditori, sia nell'interesse pubblico generale.
  Tali soluzioni contempleranno la composizione della crisi anche attraverso accordi di ristrutturazione del debito, piani attestati di risanamento, procedure di concordato preventivo ovvero l'avvio della procedura di liquidazione giudiziale.
  Per rendere praticabile questo meccanismo riteniamo necessario valorizzare l'istituto della gestione commissariale, anche prevedendo una modifica del codice civile. Lo schema potrebbe essere il seguente: l'attività di vigilanza delle cooperative potrebbe accertare una condizione di difficoltà della cooperativa, tale da promuovere il servizio di analisi ed eventualmente di mediazione, cioè di composizione assistita. Qualora l'attività di vigilanza, invece, accerti una condizione più grave, il Ministero dello sviluppo economico può disporre l'applicazione dell'istituto della gestione commissariale, con il compito di proporre soluzioni previste dalla riforma più complessiva delle procedure fallimentari. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie molte, abbiamo acquisito anche lo scritto. Lascio quindi la parola al relatore, Alfredo Bazoli.

  ALFREDO BAZOLI. Intanto, intervengo per ringraziare gli auditi. Mi pare che ci sia una generale condivisione e un apprezzamento per le linee generali del disegno di legge, e questo ovviamente ci fa piacere. In particolare registriamo un certo apprezzamento per l'introduzione delle misure di allerta, che peraltro obbediscono anche a una richiesta che ci è stata fatta da tempo dalle istituzioni europee attraverso una raccomandazione che invitava gli Stati membri ad adottare misure che consentissero l'emersione della crisi prima dello stato di insolvenza conclamato delle imprese.
  Vorrei fare un paio di domande, una ai rappresentati di Confindustria. Nella relazione è stato detto che sarebbe preferibile che per l'attivazione delle misure di allerta venisse eliminata la segnalazione da parte dei creditori qualificati e sarebbe, invece, meglio pensare di estendere controlli interni alle imprese anche alle forme societarie che oggi sostanzialmente non li prevedono o comunque li prevedono in maniera molto attenuata.
  A me interessava capire su questo terreno quali sono esattamente, se ci sono, le proposte alternative che avete immaginato e avete semplicemente accennato nella vostra relazione su questo punto. Mi interessava capire da ANCE quale sia la posizione sul tema del concordato liquidatorio, perché abbiamo avuto opinioni molto divergenti.
  C'è, infatti, chi ritiene che sia comunque utile che il concordato rimanga, purché ovviamente con i limiti che abbiamo introdotto l'anno scorso con il decreto-legge con cui siamo già intervenuti, quindi il limite del 20 per cento di soddisfazione dei crediti, Pag. 19 e purché eventualmente ci sia un apporto di ulteriore liquidità da parte dell'imprenditore fallito, che consenta di avere una prospettiva di soddisfazione dei crediti migliore rispetto alla semplice liquidazione giudiziale, e abbiamo invece l'opinione oggi espressa da Confindustria che invece ritiene che vada bene così come è previsto da questo disegno legge, cioè l'eliminazione tout court del concordato liquidatorio. Mi interessava capire quindi la posizione di ANCE su questo.
  Sull'ultima questione sollevata dall'avvocato Iengo per l'Alleanza delle cooperative, mi pare che la proposta fatta sia in linea di massima praticabile, perché cerca di conciliare le esigenze, gli obiettivi, le finalità che noi ci siamo dati con questo disegno di legge con la obiettiva peculiarità e la tutela che hanno le cooperative nell'ordinamento.
  Credo, quindi, che su quella ipotesi di mediazione fra peculiarità obiettive della riforma si possa lavorare.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, lascio la parola ai rappresentanti di Confindustria per la replica. Vi potete anche riservare di mandarci un documento più ampio sul punto.

  ANNARITA SOFIA, rappresentante di Confindustria. Buongiorno, innanzitutto mi scuso a nome dell'avvocato Matonti che ha dovuto lasciare prima del previsto l'audizione.
  Con riferimento al tema dei controlli interni, in tutta onestà non ho una risposta univoca da darle, nel senso che è noto che la semplificazione dei controlli interni, che è avvenuta anche in un recente passato, è stata accolta con favore dal nostro sistema associativo, però è anche vero che invochiamo soluzioni equilibrate. Nella misura in cui invochiamo l'equilibrio da parte degli altri, siamo i primi a dover mostrare un atteggiamento di disponibilità in questo senso.
  I dati a cui abbiamo fatto riferimento nel testo che vi abbiamo messo a disposizione ci confermano che effettivamente il tema della buona governance sta divenendo sempre più centrale. Abbiamo aperto, quindi, un ragionamento all'interno del nostro sistema associativo, per cercare di veicolare la riflessione (infatti è aperta l'affermazione contenuta nel testo che vi abbiamo messo a disposizione) e capire in che termini questi controlli interni possano essere rafforzati.
  Se, infatti, come diceva il mio direttore, non vogliamo essere stretti da una parte da creditori pubblici e dall'altra dal tribunale, evidentemente dobbiamo rafforzarci internamente, se vogliamo che questi presìdi endosocietari rispondano effettivamente alla propria vocazione.

  PRESIDENTE. Su questo vorrei fare una domanda, perché anche da approfondimenti che ci sono stati non solo qui, ma in tutto il percorso di questa proposta di disegno di legge governativa (quindi anche i lavori di Commissione), vorrei capire la motivazione per cui la segnalazione dell'allerta non passa attraverso dei creditori pubblici, e che hanno la dimensione nazionale e reale di un ammontare reale (il rappresentante dei curatori diceva di quantificarlo) e spesso abnorme di debito nei confronti dello Stato, che è già di per sé un segnalatore di allerta. Perché essere refrattari rispetto a una segnalazione che però è un dato concreto? La prima cosa che fa un imprenditore nel momento in cui si trova in cattive acque è non pagare lo Stato. È emerso da un'indagine conoscitiva svolta alla luce anche di questa riforma che uno degli elementi qualificanti dell'allerta è l'ammontare del debito.
  C'è da riflettere, capisco che non ogni ammontare di debito pubblico o comunque di imposte non pagate o di versamento d'imposta non effettuata possa essere segnale di allerta, però non capisco perché no.
  Capisco questa situazione ancora fluida all'interno della discussione di Confindustria perché si è costretti a dire che allora ripristiniamo obbligatoriamente l'organismo terzo di vigilanza, come è emerso anche da altre audizioni, perché qualcuno dovrà pur dare questa allerta, altrimenti rimaniamo come siamo, però questo non avvantaggia le imprese, perché tirare alla Pag. 20lunga il collo non ha portato al recupero dell'impresa, ci sono situazioni in cui l'impresa a un certo punto deve prendere atto prima possibile che la situazione non è buona.
  Questa è la filosofia della riforma, quindi è necessario avere una possibilità di intervento nel momento in cui c'è ancora da intervenire e da recuperare, quando tutto è perduto non c'è più niente da recuperare!

  ANNARITA SOFIA, rappresentante di Confindustria. Su questo siamo evidentemente d'accordo. Proprio per dare seguito al suo ragionamento, in subordine riteniamo che la legittimazione della segnalazione da parte dei creditori qualificati vada comunque circoscritta fissando in maniera prudente delle soglie sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista temporale, cercando di capire se e in che misura rilevano gli adempimenti pregressi, e poi ci pare importante anche far sì che rilevino quegli adempimenti che siano effettivamente fondati e rispetto ai quali non ci siano margini di opinabilità.
  Detto questo, rimane da parte del nostro sistema il timore che, proprio perché c'è questa segnalazione che non costa nulla e che a maggior ragione oggi è incentivata dal fatto che altrimenti si perde il privilegio accordato ai crediti di cui i creditori qualificati sono titolari, ci sia il rischio di una corsa a pagare questi crediti in danno dei crediti vantati dai creditori commerciali e dai dipendenti.

  PRESIDENTE. È un tema delicato. Lascio quindi la parola ai rappresentanti di ANCE ai quali è stata posta una domanda.

  GIULIANO CAMPANA, Vice Presidente Area Economico-fiscale-tributario dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). Grazie, presidente. Ringrazio l'onorevole Bazoli della domanda e devo anche dire che è in corso fra di noi un dibattito, non siamo tutti dello stesso parere, c'è chi dice che sia meglio il 20 e chi il 40, comunque siamo d'accordo sul mantenimento liquidatorio, però l'importante è che preservi la libera concorrenza, perché, se chi è malmesso può avere la possibilità di fare concorrenza secondo noi sleale, non lo riteniamo giusto verso l'impresa che sta facendo i salti mortali.
  Vi faremo avere in seguito le nostre conclusioni, perché questo dibattito è ancora in corso e non è una cosa semplice. Grazie.

  NERIO DE BORTOLI, Presidente dell'Istituto curatori. Automaticamente con l'autorizzazione all'esercizio provvisorio le azioni di responsabilità cadono, e questi i premi che vanno dati all'imprenditore perché, se espongo tutto, l'azione di responsabilità nei miei confronti non ci deve più essere, perché il premio datomi dal tribunale che mi ha autorizzato all'esercizio provvisorio secondo noi deve sanare tutto questo.
  Per i finanziamenti da concedere nell'esercizio provvisorio bisogna richiamare la norma dell'autorizzazione del giudice che oggi autorizza i finanziamenti nel concordato preventivo, perché nell'esercizio provvisorio non c'è la norma che autorizza il finanziamento, fermo rimanendo che tutti i debiti sono in prededuzione. Una volta dichiarato il fallimento, infatti, tutto quello che il fallimento prende dal mercato è in prededuzione, per cui c'è una garanzia per i creditori nuovi che è superiore a qualsiasi altra procedura, anche quella del concordato in continuità. Grazie, presidente.

  MAURIZIO SELLA, Presidente dell'Associazione fra le società italiane per azioni (ASSONIME). Vorrei aggiungere solo un'integrazione sulla vexata quaestio dell'allerta, su cui avevo detto che siamo d'accordo con Confindustria. Forse a Milano no, ma in provincia, nei piccoli centri di sicuro, se si viene a sapere che un imprenditore è stato chiamato dal tribunale, è come una condanna a morte, perché da quel momento non c'è più fornitore, non c'è più banca che possa ancora erogare credito.
  La nostra preoccupazione è quindi che, anziché favorire il buon esito, si possa sostanzialmente non favorirlo e anzi favorire la liquidazione. Se mi permette, fosse uno strumento oggettivo, ma può essere anche uno strumento soggettivo. Un soggetto Pag. 21 viene chiamato in un posto e un altro, per lo stesso motivo, non viene chiamato dall'altra parte. Questa soggettività potenziale mi dà qualche preoccupazione.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo molto. Se qualcuno deve mandare ulteriori documenti, lo faccia pure all'indirizzo della Commissione.
  Circa i tempi, la Commissione sta completando l'indagine conoscitiva, che si concluderà nel mese di settembre. Pertanto, speriamo entro l'autunno di poter varare il testo.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.