XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 17 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 784  BOSSA, C. 1874  MARZANO, C. 1343  CAMPANA, C. 1983  CESARO ANTIMO, C. 1901  SARRO, C. 1989  ROSSOMANDO, C. 2321  BRAMBILLA E C. 2351  SANTERINI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ACCESSO DEL FIGLIO ADOTTATO NON RICONOSCIUTO ALLA NASCITA ALLE INFORMAZIONI SULLE PROPRIE ORIGINI E SULLA PROPRIA IDENTITÀ

Audizione di Cesare Massimo Bianca, professore di diritto civile, di Paolo Morozzo della Rocca, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino e di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Bianca Cesare Massimo , Professore di diritto civile ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Morace Pinelli Arnaldo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Morace Pinelli Arnaldo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 6 
Bianca Cesare Massimo , Professore di diritto civile ... 6 
Morace Pinelli Arnaldo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 6 
Bianca Cesare Massimo , Professore di diritto civile ... 6 
Morace Pinelli Arnaldo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 6 
Morozzo della Rocca Paolo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Berretta Giuseppe (PD)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Bossa Luisa (PD)  ... 12 
Morozzo della Rocca Paolo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Rossomando Anna (PD)  ... 13 
Marzano Michela (PD)  ... 14 
Bianca Cesare Massimo , Professore di diritto civile ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Bianca Cesare Massimo , Professore di diritto civile ... 15 
Morace Pinelli Arnaldo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 15 
Morozzo della Rocca Paolo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Cesare Massimo Bianca, professore di diritto civile, di Paolo Morozzo della Rocca, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino e di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 784 Bossa, C. 1874 Marzano, C. 1343 Campana, C. 1983 Cesaro Antimo, C. 1901 Sarro, C. 1989 Rossomando, C. 2321 Brambilla e C. 2351 Santerini, recanti disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità, di Cesare Massimo Bianca, professore di diritto civile, di Paolo Morozzo della Rocca, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino e di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata.
  Ringrazio per la loro disponibilità il professor Bianca, accompagnato dalla professoressa Mirzia Bianca e dalla dottoressa Paola Papadia, il professore Morace Pinelli e il professor Morozzo della Rocca. La materia è molto delicata e dopo le audizioni di varie associazioni – è presente anche il relatore Giuseppe Berretta – abbiamo pensato di chiedere un contributo scientifico a professori esperti della materia.
  Penso che gli auditi possano utilizzare circa dieci minuti ciascuno, quindi passeremo eventualmente alle domande. Ovviamente un'interlocuzione ulteriore potrà esserci dopo che avremo prodotto un testo unificato. Per il momento le proposte sono varie e, come vedete, sono anche distribuite tra varie forze politiche.
  Do la parola agli auditi.

  CESARE MASSIMO BIANCA, Professore di diritto civile. Innanzitutto desidero ringraziare la presidente per questo invito, ma soprattutto ringraziarla per la sensibilità che ha mostrato e continua a mostrare verso i temi del diritto di famiglia. Non va dimenticato che la presidente a suo tempo ebbe a battersi come una leonessa per salvare la riforma della filiazione. Questo è un dato che è passato alla storia e che non va dimenticato. Detto questo, dato che ho solo dieci minuti, ho formulato una serie di osservazioni telegrafiche, che illustrerò in maniera molto sintetica.
  La prima osservazione riguarda l'esigenza che venga tenuta presente in queste proposte la necessità di non dimenticare che occorre far riferimento anche alla persona non adottata. Un conto è il problema che concerne la persona adottata che vuole conoscere i propri genitori che l'hanno abbandonata, altro conto è il problema Pag. 4del figlio che vuole conoscere l'identità della madre che ebbe a dichiarare a suo tempo di non voler essere nominata. Qui l'interesse è non solamente della persona adottata, ma di chiunque si trovi nella sfortunata situazione di essere stato abbandonato senza poi essere adottato. Quindi, c’è la necessità che si tenga conto che quando si tratta del problema della tutela dell'anonimato della madre deve tenersi conto del fatto che la persona interessata è il figlio e non solamente la persona adottata.
  La seconda osservazione riguarda l'interpello. L'interpello è una strada obbligata dopo le indicazioni che ci sono venute dall'Europa e dalla nostra stessa Corte costituzionale, quindi non ci possono essere dubbi circa il fatto che è proprio l'interpello la chiave di soluzione di questo difficilissimo problema del contrasto tra due diritti che si fronteggiano, quello della madre a mantenere l'anonimato e quello del figlio che intende conoscerne l'identità.
  Questo è un punto che vorrei sottolineare particolarmente. Si parla – questo è anche ovvio, perché l'indicazione in tal senso ci proviene dalla stessa Corte costituzionale – dell'interpello giudiziale, ossia interpello che dovrebbe essere condotto dal giudice. Qualche proposta addirittura parla del Presidente del tribunale, che dovrebbe interpellare questa povera donna e chiederle se vuole o no mantenere l'anonimato. Ovviamente una via di questo genere è fortemente invasiva della riservatezza della persona, è fonte di uno stress anche psicologico che, nei limiti del possibile, bisognerebbe evitare.
  Credo che si debba assolutamente tener presente la possibilità che l'interpello venga condotto non da un organo giudiziario, con tutto quello che questo comporta – notifiche, il fatto che la donna deve recarsi in tribunale e via dicendo – o da altri organismi o enti pubblici, ma in maniera molto semplice dal personale medico e precisamente dal responsabile al quale è affidata la custodia dei dati di identificazione della donna. Questo mi sembra un punto molto importante.
  L'interpello consiste, appunto, nell'interpellare la donna per sapere se vuole o no mantenere l'anonimato. Chiederle qualche cosa di più, ad esempio se voglia incontrare il figlio o addirittura se voglia aderire a una proposta di primo incontro e via dicendo credo che sia assolutamente al di là di quello che è strettamente necessario.
  Un altro punto molto importante è che bisogna assolutamente evitare i riferimenti, che purtroppo in qualche proposta ci sono, al preteso diritto di anonimato del padre. Il padre dovrebbe essere informato, dovrebbe dare il proprio consenso, addirittura all'accesso alla conoscenza dell'identità della madre: tutto questo è assolutamente al di fuori della realtà, come al di fuori della realtà è prevedere che questo padre dichiari di non voler essere nominato. Innanzitutto, nessun interesse possiamo riconoscere a questo padre – e attualmente nessun interesse appunto gli viene riconosciuto – ma poi è assolutamente impensabile che faccia una dichiarazione di questo genere. A chi dovrebbe dichiarare di non voler essere nominato ? Qui parliamo di un compagno che si unisce a una donna, quindi si potrebbe pensare che la dichiarazione la debba fare la donna; nel momento in cui si congiunge, il compagno dovrebbe dire «guarda che non voglio essere nominato» ? Mi sono permesso una battuta. Insomma, non ci sono nemmeno le condizioni per ammettere una cosa del genere, che sul piano sostanziale è assolutamente da escludere.
  Quanto ai riferimenti che vengono fatti, è chiaro che se la madre è deceduta questo limite dell'anonimato debba cedere, però che questo limite debba cedere nell'interesse di entrambi i genitori non sta in piedi. Qui non si tratta dell'anonimato dei genitori, ma dell'anonimato della madre, anche irreperibile o incapace. Credo che si debba condividere, anche se qualche perplessità ci potrebbe essere per quanto riguarda la madre incapace.
  Credo che meriti attenzione la proposta secondo la quale raggiunti i quarant'anni il figlio dovrebbe accedere finalmente all'identità della madre. È una proposta che, Pag. 5ripeto, merita attenzione. Probabilmente occorrerebbe, però, portare più in alto la soglia dei quarant'anni. In Francia un comitato di studiosi addirittura parla di diciotto anni, il che non credo sia pensabile da noi, però che il figlio di una certa età possa vedersi riconosciuto il diritto all'accesso credo che sia un'idea da prendere in considerazione.
  L'accesso ai dati clinici dovrebbe essere consentito con la massima libertà, perché i dati clinici sono dati che per definizione non valgono a identificare la persona. Non c’è nessuna ragione per impedire di acquisire questi dati al figlio, o meglio al medico che lo faccia nell'interesse del figlio, anche quando si tratta di dati che non sono esclusivamente clinici e potrebbero involgere anche l'identità della madre. Il responsabile medico dovrebbe essere in grado, questa volta nell'interesse, che certamente deve ritenersi superiore, del figlio, di acquisire questi dati.
  Procedendo molto rapidamente, è il caso di modificare anche altre disposizioni contenute nell'articolo 28. In effetti, c’è una ragionevole richiesta da parte della dottrina di eliminare il riferimento ai venticinque anni. Tale riferimento non sta in piedi da nessuna parte. Non c’è ragione per cui la persona che ha già raggiunto la maggiore età non possa accedere alla conoscenza dei dati dei genitori biologici. Il fatto che dopo i diciotto anni potrebbe rimanere turbata e che il tribunale debba intervenire, fare indagini, credo che questo punto, come richiesto da più parti, sia da eliminare.
  La possibilità della madre di rinunziare all'anonimato, come anche la trasmissione del diritto d'informazione sui genitori biologici ai discendenti sono senz'altro condivisibili.
  Voglio sottolineare, soprattutto alla presenza della nostra presidente, che in qualche proposta si parla di genitori «naturali», di figli «naturali». Ma come ? Abbiamo fatto una riforma per dire che queste qualifiche vanno cancellate !
  Infine, credo che non possa essere trascurato oggi un problema che comunque si ripresenterà. Sarebbe veramente strano se non se ne tenesse conto in un intervento teso proprio a disciplinare il diritto all'anonimato. Parlo dell'inseminazione eterologa, che oggi ha una sua regola ben precisa che io credo vada mantenuta: la regola secondo la quale nessun rapporto di parentela può nascere tra il donatore e il nato, e nessun diritto, nessun obbligo può essere vantato relativamente a questo rapporto. Questa è una regola che, secondo un orientamento diffuso, deve essere mantenuta.
  Il punto problematico è se il figlio possa accedere ai dati di conoscenza del donatore. Al riguardo le opinioni sono divergenti. In qualche modo, l'istinto porterebbe a dire che è meglio lasciare che le cose rimangano assolutamente nell'ombra, che il donatore non venga assolutamente mai conosciuto dal figlio. D'altra parte, però, mi chiedo, su un piano strettamente giuridico, come si possa vietare al figlio di conoscere il donatore. Sulla base di quale argomento, quando da più parti, a cominciare dall'articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, si dice che ogni essere umano ha diritto a conoscere le proprie origini ?
  Le opinioni su questo punto sono divergenti. Tra l'altro, c’è anche l'opinione divergente del mio carissimo amico professor Morace Pinelli che ha scritto un bel documento, che mi trova larghissimamente d'accordo, poiché i punti o coincidono o comunque sono compatibili. Penso dunque che si possa tenere ben conto di quello che ha scritto e di quello che dirà il professor Morace Pinelli.

  PRESIDENTE. Grazie, professore, per aver rispettato i tempi e comunque per averci arricchito di molti temi.

  ARNALDO MORACE PINELLI, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Vorrei ringraziare per l'invito l'onorevole presidente e tutti gli onorevoli presenti. Ringrazio per le belle parole affettuose il professor Bianca, ma da grande maestro del diritto ha toccato i punti essenziali, quindi io, sperando di utilizzare lo stesso Pag. 6sistema telegrafico, cercherò di riprendere qualche tema.

  PRESIDENTE. Abbiamo anche la sua relazione.

  ARNALDO MORACE PINELLI, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. La scelta della tutela dell'anonimato della madre a me sembra un punto estremamente qualificato di questi progetti di legge.
  L'anonimato sostanzialmente tutela la vita del nascituro, che ha un valore certamente preminente rispetto alla tutela del diritto pure fondamentale a conoscere le proprie origini. Credo che questo diritto vada tutelato con assolutezza. Ci sono due punti che io estraggo dai progetti di legge. Qualcuno ha detto che a quarant'anni, comunque sia, il figlio ha diritto di sapere; altri hanno detto che quando è in gioco la tutela della salute il figlio, comunque sia, ha diritto di sapere. Personalmente sarei molto cauto. Qui abbiamo una situazione psicologica complicata: abbiamo una madre che non sceglie l'aborto e vuole partorire, pur restando in anonimato...

  CESARE MASSIMO BIANCA, Professore di diritto civile O gettare via il figlio, perché anche questo capita.

  ARNALDO MORACE PINELLI, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Ecco, ogni tanto vengono ritrovati nei cassonetti.
  Talvolta, come ci hanno detto nelle precedenti audizioni, partorendo la madre rischia la propria vita, perché secondo culture lontane dalla nostra la mamma che fa un figlio fuori dal matrimonio o fuori da costumi sociali rischia la propria vita. Credo che questa donna debba essere tranquilla di partorire in anonimato: ha già il problema di decidere «vita sì/vita no» e non credo che in quel momento si debba anche porre la domanda se, quando il figlio avrà quarant'anni, questo anonimato potrà cadere. L'anonimato per me deve essere assoluto.
  Il problema del diritto alla salute si tutela diversamente, come magistralmente ci ha esposto il professor Bianca. Noi dobbiamo distinguere l'informazione. Ci sono informazioni che riguardano la salute e informazioni che riguardano l'identificazione della donna. Le informazioni sulla salute saranno accessibili, magari dal responsabile della struttura medica, ma la tutela della salute del figlio non deve passare necessariamente per l'identificazione della madre. Semmai si potrà rafforzare l'acquisizione dei dati genetici e sanitari al momento del parto anonimo – oggi la mappatura genetica e il cariotipo si fanno con un prelievo di sangue – affinché siano conservati e si potrà prevedere che questa madre sia ricontattata in futuro da un responsabile medico, ma la sua identità per me va preservata in maniera assoluta.
  Mi sembra giusto che l'anonimato cada, invece, quando muore la madre perché viene meno l'interesse acché il figlio...

  CESARE MASSIMO BIANCA, Professore di diritto civile. E quando diviene incapace...

  ARNALDO MORACE PINELLI, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. L'incapace può esercitare... ? Sono diritti personalissimi. L'amministratore di sostegno o il curatore o il tutore... Sono aspetti veramente delicati.
  Condivido assolutamente quello che ha detto il professor Bianca. Interpello sì, ma – come ha detto un presidente di tribunale – con delicatezza e riservatezza. È brillante l'idea di pensare che sia la struttura sanitaria a effettuarlo e non il Tribunale per i minorenni. Io avevo pensato a psicologi o agli operatori dei servizi, ma mi sembra molto più proficua questa scelta, così come il diritto della madre di revocare.
  Credo che si debba sforzarsi di creare un organismo su base nazionale per la conservazione di questi dati. Pensare che nelle varie competenze dei Tribunali per i minorenni si vadano a ricercare questi dati credo che sia il modo per disperdere Pag. 7queste informazioni, anziché conservarle. Era stato proposto il Garante della privacy, la Commissione per le adozioni internazionali. È una scelta tecnica che andrà effettuata.
  Ha assolutamente ragione il professor Bianca quando dice che il diritto all'anonimato spetta solo alla madre e non al padre biologico e, più in generale, il diritto all'anonimato deve essere distinto dal diritto al mancato accertamento giudiziale della maternità. Se per caso – questo il professor Bianca ce l'ha insegnato nei suoi scritti – questo figlio dovesse sapere comunque chi è la madre, non gli si può precludere la dichiarazione giudiziale di maternità.
  Richiamo rapidamente qualche altro punto. L'articolo 28 prevede il dovere di informativa della condizione di adottato. In base alla norma attuale, è riservato ai genitori, al minore adottato, quindi va compiuta nei diciotto anni di età. Questo è un punto, a mio avviso, centrale di questa disposizione. Gli psicologi ci insegnano che questa informativa va data da piccolini, in modo che la storia dell'abbandono è una storia comune tra il minore e i genitori adottivi. Se lo scoprono in adolescenza, la reazione è violentissima: «mi hai ingannato, mi hai detto una bugia, non ti voglio vedere né sentire». Allora, io credo che i genitori adottivi debbano essere aiutati in questo compito. Penso che nel procedimento pre-adottivo si debba prevedere che qualcuno insegni loro come e quando informare e che al momento dell'informativa si possano rivolgere ai servizi o a una struttura competente. Credo molto in questo e ritengo che sarebbe un segno di civiltà veramente qualificante.
  Il professor Bianca ha ragione quando dice che la norma parla solo dell'adottato, ma bisogna pensare anche al figlio naturale non riconosciuto che però non sia stato adottato. Questo problemino è sorto anche nelle precedenti audizioni e si è detto come specificare: molti hanno proposto di utilizzare il termine «figlio». Ecco, io farei molta attenzione a utilizzare la parola «figlio» in questi termini così generici perché, se come ci ha detto il professor Bianca abbiamo alle spalle un problema grande che è quello se nella fecondazione eterologa il nato ha questo diritto, nel momento in cui si scrive genericamente «figlio» – sebbene è vero che siamo nella legge sulle adozioni – ho l'impressione che questo legittimerà automaticamente... Non voglio dire che consapevolmente non si possa effettuare questa scelta, però mi sembra che sia un punto veramente delicato.
  Quanto all'età dell'autorizzazione del Tribunale per i minorenni, condivido tutto quello che ha detto il professor Bianca. L'idea che a venticinque anni posso sapere, e per di più non si capisce bene nemmeno se quel passaggio al Tribunale per i minorenni che deve valutare il mio equilibrio psico-fisico valga anche per il venticinquenne o solo per il diciottenne, credo che rientri tra i retaggi di una visione paternalistica che ormai si deve considerare superata. A diciotto anni la persona, se questo diritto ce l'ha, deve poterlo esercitare senza autorizzazioni di nessuno, tanto più che c’è una raccomandazione del Consiglio d'Europa che ha invitato gli Stati «ad assicurare il diritto dei bambini adottati a sapere delle proprie origini al più tardi al raggiungimento della maggiore età ed eliminare dalla legislazione ogni clausola contraria».
  Noi stiamo parlando di un diritto fondamentale della persona. Il professor Bianca è stato uno dei precursori che ha spiegato come i diritti fondamentali spettano al minore; ma non spettano solo in via teorica, bisogna anche che il minore possa esercitarli, se è capace di discernimento, tant’è che molti ordinamenti questo diritto a conoscere le proprie origini lo prevedono anche al minore capace di discernimento. Quando pensiamo alla norma che prevede che nella minore età tale diritto lo esercitano i genitori in quanto esercenti la responsabilità genitoriale, io dico che questi diritti non ammettono rappresentanza. Semmai c’è il dovere di cura che viene esercitato dai genitori in quell'ambito e se il minore non è capace di discernimento agiscono in sua Pag. 8vece; ma se è capace di discernimento, che ci sia la rappresentanza dei genitori mi lascia un po’ perplesso.
  Diritto dei discendenti: assolutamente sì, iure proprio e non iure hereditario. Qui non sto ereditando una posizione giuridica, ma esercito il mio diritto a conoscere un pezzo della mia storia, eventualmente a riallacciare la relazione con il mio nonno biologico.
  Cito un ultimo problema. Un progetto di legge parla del diritto a conoscere gli eventuali fratelli e le eventuali sorelle. La norma non parla di fratelli e sorelle, però la riforma sulla filiazione – la chiamo «riforma Bianca», perdonatemi il lapsus – ha previsto il diritto fondamentale del minore di conservare le relazioni con i propri parenti. Mi chiedo se su questa base, l'articolo 315-bis che ha previsto lo statuto dei diritti dei minori, si possa anche allargare questo diritto a conoscere le proprie origini, perlomeno a sapere dell'esistenza. Quanto al conoscere, anche qui occorrono delicatezza e riservatezza. Bisognerebbe individuare delle procedure perché non si può entrare nella vita degli altri.
  Mi permetto un'ultima battuta sul problema, veramente grande, della fecondazione eterologa. Io non credo che adozione e fecondazione assistita possano essere equiparate. Non credo che si debba ragionare su un problema di bilanciamento tra l'anonimato del donatore e il diritto a conoscere le origini del figlio nato da fecondazione eterologa. Io credo che occorra vedere qual è il contenuto di questo diritto.
  Nell'adozione il figlio sta cercando un vissuto, un pezzo della propria storia, una madre nel cui ventre è stato per nove mesi, con cui ha allacciato la prima relazione esistenziale fondamentale della sua vita. Qui tutto questo non c’è. Qui c’è un donatore di un gamete, che di per sé non crea la vita, che sta aiutando una coppia sterile a procreare. È una cura medica, sintetizzando al massimo. Non c’è in nessun modo l'assunzione di genitorialità.
  La fecondazione assistita ci impone di mutare delle categorie culturali. In questo caso il rapporto di filiazione nasce in base alla responsabilità dei soggetti che a essa si sottopongono, tant’è che il padre non può disconoscere dopo che ha dato il consenso (eppure il principio di verità dovrebbe consentire in astratto il disconoscimento), la madre che partorisce non può fare la dichiarazione di anonimato, perché ha scelto quel parto, e una coppia non sposata non deve riconoscere il figlio che nasce, come si dovrebbe fare per un figlio nato dal matrimonio. Tutto si fonda su una responsabilità. Ci sono categorie nuove.
  A me sembra che non ci sia un passato da ritrovare o un vissuto da riscoprire. C’è la curiosità di sapere chi ha donato un gamete. Mi domando: questo è un interesse giuridicamente apprezzabile, un elemento fondamentale per la ricostruzione della propria personalità, come è certamente per l'adottato ? Io penserei obiettivamente che non è così e mi chiedo anche se questo interesse sia meritevole di tutela.
  Rodotà, che sicuramente è molto attento alla tutela dei diritti fondamentali della persona, ha indicato i pericoli di questa assolutizzazione del diritto alla ricerca delle proprie origini, laddove, alla fine, questa mistica del DNA porta a una sorta di riduzionismo biologico.
  Il fatto biologico, però, ha importanza ai fini biologici, per curare le malattie del nato, ma questo – lo ripeto – si risolve in maniera diversa: il donatore, secondo protocolli standard, dal momento in cui dona, rilascia tutte le informative sanitarie necessarie che potranno in un futuro essere utilizzate. Eventualmente – lo ripeto – se la scienza si sarà evoluta, potrà essere contattato da un responsabile medico, però io obiettivamente mi fermerei qui.
  Chiudo con un'ultima battuta: io condivido il sospetto che questa volontà di identificare il donatore sia un modo per affossare la fecondazione eterologa. Credo che sia oggettivamente un dato incontrovertibile – ci sono esperienze giuridiche che lo confermano, come quella svedese – che se il donatore non è anonimo sostanzialmente finiscono le donazioni, perché il donatore tutto vuole meno che un rapporto Pag. 9di filiazione. Ringrazio e concludo. Ho paura di aver superato i dieci minuti.

  PAOLO MOROZZO DELLA ROCCA, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino. Signora presidente, membri della Commissione, è un piacere e un onore essere qui. Vorrei fare una premessa. Spesso, leggendo i disegni di legge, ragioniamo come se si trattasse «semplicemente» – lo dico in modo paradossale – di riconoscere il diritto del figlio biologico a conoscere la propria madre. Non è esattamente così: i disegni di legge su cui state lavorando sono una reazione a una sentenza della Corte costituzionale che si è occupata di uno dei tre possibili casi. Naturalmente questo non vuol dire che non ci si debba occupare legislativamente di tutti e tre i casi, ma quello di cui si è occupata la Corte è l'incostituzionalità di un segreto irrevocabile della donna che ha chiesto di rimanere anonima.
  Vi sono altre situazioni meritevoli di disciplina ma diverse, ancorché accostabili, che sono: la situazione dell'adottato abbandonato dalla madre che l'ha riconosciuto; e la situazione della madre che non ha riconosciuto, ma che non ha nemmeno richiesto di rimanere anonima, il cui figlio è stato poi dichiarato adottabile e non necessariamente è stato adottato, come ricordavano il professor Bianca e il professor Morace Pinelli.
  Queste tre situazioni non sono uguali nel contesto normativo generale. Per esempio, solo la madre che ha dichiarato di voler rimanere anonima è protetta dal segreto centennale di quell'articolo 93 del Codice della privacy. Fino alla sentenza della Corte costituzionale, solo la madre che aveva chiesto l'anonimato poteva esigere di non essere contattata e di essere nascosta in aeternitate.
  Aver presente che le situazioni sono tre, non due e non una, è importante. In molti disegni di legge, ad esempio, si parla della madre che non ha riconosciuto alla nascita. Io mi chiedo se dietro a questa espressione ci sia consapevolezza del fatto che ci può essere una madre che non ha riconosciuto alla nascita, ma non ha mai chiesto di rimanere anonima. Se ci deve essere una nuova normativa, questa deve collegarsi al contesto che la precede e, quindi, credo che questo abbia una sua rilevanza.
  Fatta questa premessa, credo che i progetti di legge manifestino in realtà orientamenti culturali molto diversi su questo unico problema. Tendenzialmente ci sono tre orientamenti.
  C’è una proposta di legge, l'A.C. 2351, che ha fedelmente ripreso il principio del diritto enunciato dalla Consulta, aggiungendo molto semplicemente nell'ultima parte dell'articolo 28 l'essenziale del dispositivo della sentenza. Certamente bisognerà farsi carico in via regolamentare del mastodontico problema della riservatezza, tema giustamente a lungo affrontato dal professor Morace Pinelli e dal professor Bianca.
  Altri invece, all'opposto, hanno «approfittato» della sentenza della Corte per tentare di affermare una ben più complessiva prevalenza del diritto del figlio biologico di conoscere la madre rispetto a quanto non avvenga nella legislazione vigente, aggiungendo, fra l'altro, anche il tema del padre. Non ritorno sulle cose dette dai colleghi, ma teniamo presente che il padre non chiede di rimanere anonimo. Infatti, se non c’è il riconoscimento della madre, il padre ha un'impossibilità, prima di fatto che giuridica, a essere presente. Si tratta allora di affrontare il problema dell'ulteriore rintracciabilità, se proprio ne vogliamo parlare. Comunque, questo è un tema che è all'orizzonte, ma non dentro il recinto dell'articolato su cui voi state lavorando.
  Si tratta, quindi, di riconoscere il diritto del figlio, anche a prescindere dalla volontà della madre, ma di quale madre stiamo parlando ? Stiamo parlando della madre che ha chiesto l'anonimato e anche delle altre situazioni cui accennavo prima.
  Altri, all'opposto, pur mostrando di recepire la sentenza della Corte, ne hanno scelto un'interpretazione affievolita. Tuttavia, un'attenzione affievolita non vuol dire irrispettosa. Infatti, la Pag. 10Corte costituzionale nella motivazione del suo dispositivo deve tener presente del caso concreto che gli è stato posto, che era un caso in cui c'era una sollecitazione da parte di un figlio che è stato dichiarato non ricevibile dal giudice civile e che si è poi rimesso alla Corte.
  Dare un'interpretazione non letterale non significa per forza dare un'interpretazione che non adempie all'invito della Corte. Mi riferisco a quei disegni di legge che prevedono che la madre rimasta anonima al momento del parto non venga sollecitata a un ripensamento su domanda del figlio che si è rivolto al giudice in cerca di identità biologica, ma sia resa libera di esprimere tale ripensamento se e quando ne abbia intenzione, preservandola così da sollecitazioni esterne.
  Questa è la ricostruzione dei tre orientamenti tra i quali vi trovate a dovere scegliere. Certamente andrebbe considerata anche la disciplina dell'anonimato materno nei riguardi dei nati non adottati. Hanno ragione i colleghi che mi hanno preceduto. Gli ultimi due casi di parto anonimo di cui io sono a conoscenza riguardano, in realtà, figli disabili che hanno spaventato la madre e anche il padre, che era consapevole del tutto. In uno dei due casi, noto alla giurisprudenza, il padre era anche il marito. Infatti, anche la donna coniugata può scegliere di partorire nell'anonimato, ai sensi dell'articolo 30 dell'ordinamento dello stato civile.
  Certamente sono situazioni diverse che richiedono una disciplina diversa, ma diverse non vuol dire troppo lontane, opposte o non confrontabili, quindi forse una disciplina andrebbe pensata.
  Personalmente non condivido gli orientamenti di alcuni disegni di legge tesi a rendere il diritto alla conoscenza un diritto incondizionato del figlio. Personalmente non mi convince uno dei tre orientamenti che ho ricordato. Non mi convince che questo possa avvenire anche contro la volontà della donna, sia pure al compimento di quarant'anni o al compimento di qualsiasi altra età.
  Allo stesso modo, non condivido l'idea di ricondurre all'età di diciotto anni la capacità del figlio di promuovere il procedimento. Si può discutere se la soglia attuale dei venticinque anni sia giusta o sbagliata, ma, a mio parere, protegge la famiglia adottiva da tensioni che potrebbero esserle pericolose, scaricando sulla legge, invece che sulle loro spalle, la comprensibile sofferenza dell'adottato. Quest'ultimo, a diciotto anni, non ha, a mio parere, una maturità tanto diversa da quella dei diciottenni del 2001, anno in cui ci è stata consegnata la norma nel suo testo attuale. Infatti, è maggiorenne, ma nello stesso tempo, a mio modo di vedere, è un figlio adottivo ancora in giovane e difficile età.
  A mio parere, questi orientamenti hanno un presupposto implicito, che vorrei sottolineare: la scarsa stima – naturalmente non lo dico in senso dispregiativo – per l'istituto in sé del parto in anonimato.
  Vorrei ricordare che il parto in anonimato oggi in Europa è previsto solo in Italia, in Francia e in Lussemburgo. In effetti, in Europa, è prevalente l'inderogabilità del principio dell'automaticità della filiazione giuridica materna per il fatto in sé del parto, il vecchio brocardo mater semper certa est.
  Tuttavia, in questa prevalente scelta degli ordinamenti europei, manca, a mio parere, la sensibilità per le situazioni di marginalità sociale nelle quali può maturare la decisione di un aborto oltre i termini di legge o di un abbandono clandestino. Oppure, può darsi che in questi Paesi sia semplicemente più efficiente il sistema di controllo delle nascite prima del parto.
  A mio avviso, se vogliamo mantenere in efficienza l'istituto in sé del parto in anonimato, pur accogliendo per la parte necessaria le sollecitazioni della Consulta e della Corte di Strasburgo, sarebbe opportuno assicurare alla madre il diritto di acconsentire a essere conosciuta dal figlio biologico, senza però sollecitarla a questo passo nel momento in cui è il figlio a richiedere di conoscerla. Pertanto, condivido uno dei tre orientamenti che avete espresso.Pag. 11
  La chiamata su sollecitazione, infatti, implicherebbe anche la chiamata in un procedimento, e di qui sorge il problema della notifica a un indirizzo, che nessuna modalità rispettosa della privacy potrebbe rendere davvero innocua, anche se l'ipotesi ASL che è stata ora ricordata è interessante.
  Tuttavia, occorre fare attenzione, perché la chiamata a una valutazione di una persona che non vuole essere chiamata a questa valutazione può agire sull'istituto che gli è a monte, quello del parto anonimo, privandolo di efficacia.
  La maggior parte delle proposte prevedono la chiamata nel procedimento apertosi a istanza del figlio, e questo è sicuramente l'orientamento meno lontano da quelli prevalenti in Europa. Questo mi intimidisce nelle mie convinzioni, ma tuttavia non mi convince. Lo ammetto.
  Se proprio dobbiamo arrivare alla chiamata su interpello del figlio, bisognerà allora guardarsi dal trasformare l'interpello della donna in una sollecitazione a rendersi conoscibile, perché le due cose non sono la stessa cosa.
  Leggendo una precedente audizione, ho appreso, ad esempio, che il tribunale per i minorenni dovrebbe attivarsi per ottenere il consenso da parte della madre biologica alla conoscibilità. Una delle persone che avete audito dice questo. Non so se si tratta di un'idea consapevole o di un lapsus, ma a mio parere il tribunale non dovrebbe operare per convincere, ma limitarsi, nella fase preliminare del procedimento, a raccogliere un'insindacabile dichiarazione di volontà. Altrimenti, la posizione della donna si avvicinerà a quella di una convenuta, con effetti pericolosi sull'efficienza dell'articolo 30 dell'Ordinamento dello stato civile. Se non potessimo fidarci della capacità dei giudici di autolimitare il loro approccio alla donna, allora sarebbe meglio affidare questo approccio a qualcun altro.
  La domanda è: c’è davvero bisogno di un procedimento di volontaria giurisdizione ? Oppure si tratta solo di raccogliere e fare incontrare la volontà di soggetti adulti coinvolti in una logica di liberalismo giuridico estremo ?
  Io credo che la materia riguardi persone che possono avere bisogno di essere aiutate ed è anche una materia che chiede molta prudenza a loro protezione. Rammento, ad esempio, quanto osservato da un altro audito, il dottor Trovato: «nella mia esperienza ho avuto persone che chiedevano l'accesso alle origini, che abbiamo respinto su questo profilo, per motivi di rivalsa nei confronti del genitore abbandonante, per fargli causa, per infamarlo e insultarlo sotto casa per l'abbandono ricevuto.» Questa è l'esperienza di un giudice minorile. Io non ho testimonianza di altre esperienze, ma, se questo è, ne dovrei tener conto.
  Questo giustifica un controllo giurisdizionale sulla fattibilità, sulla capacità, sulla fragilità e sulla solidità delle personalità che sono coinvolte in questo problema. Mi chiedo allora se, una volta assunta la decisione della conoscibilità, non debba, con maggiore circospezione, essere predisposta anche una disciplina dell'incontro, che mi sembra assente. È come se il problema fosse arrivare al diritto e non al suo accompagnamento.
  Mi chiedo anche se non sia opportuno immaginare, in via alternativa al reciproco disvelamento, la possibilità per i due soggetti di incontrarsi senza reciprocamente identificarsi, rimandando a un secondo momento la scelta del disvelamento completo, magari in totale autonomia, con modalità protette o secondo le situazioni.
  Vorrei fare un'ultima osservazione sul comma 3 dell'articolo 28, come riscritto da una delle proposte di legge, l'A.C. 1983 (stessa data della legge sull'adozione). Letto al contrario, esso rischia di indurre i pubblici funzionari a fornire direttamente le informazioni richieste al soggetto ultraventicinquenne. Infatti, il comma dice che le informazioni non possono essere fornite al soggetto che ha meno di venticinque anni, ma l'ufficiale di stato civile potrebbe leggerlo al contrario. L'ufficiale di stato civile non è un magistrato, anche se è una persona molto competente. Si Pag. 12potrebbero creare equivoci. Potrebbe accadere che si dia accesso alle informazioni a qualcuno che non potrebbe averle. Infatti, mi sembra che quello stesso articolato di legge ponga, anche a quell'età, il requisito del consenso della donna.
  Inoltre, al comma 7 dell'articolo 28, come riscritto dalla citata proposta di legge, si immagina che il figlio possa non avere accesso all'identità della madre, avendo invece accesso all'identità di eventuali fratelli. Se ne può parlare. Aver considerato la possibilità di conoscere i fratelli non è di per sé criticabile. Tuttavia, la disposizione, se dovesse rimanere approvata così come è ora, rischia di ignorare gli eventuali interessi di tali fratelli a non essere conosciuti e di non dare soluzione al problema della conoscibilità indiretta della madre attraverso la conoscenza dei fratelli.

  PRESIDENTE. Grazie per questi preziosissimi contributi, che ci inducono a dedicare qualche seduta di approfondimento e di discussione.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIUSEPPE BERRETTA. Presidente, più che delle domande, ascoltando i professori che oggi ci hanno dato il loro validissimo contributo e anche gli altri soggetti che via via abbiamo audito, credo che emerga l'opportunità, se lei lo ritiene, di un'audizione dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali.
  Credo che probabilmente sia il tema della conservazione dei dati, dell'esigenza di un allargamento degli elementi che vengono raccolti e delle modalità con le quali questi dati vengono conservati sia il tema della gestione dell'interpello (qui ho visto ipotizzate diverse soluzioni) necessitino di un confronto con l'Autorità preposta, che sicuramente ha un ruolo fondamentale in tale ambito.

  PRESIDENTE. Penso che si possa fare un'ulteriore seduta in questo senso.

  LUISA BOSSA. Professore, quando lei parla di «accompagnamento», oltre al conoscimento di diritto, a che cosa pensa esattamente ? Ci può aiutare in questo ?

  PAOLO MOROZZO DELLA ROCCA, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino. Non ho l'esperienza e la saggezza di un operatore, però immagino che il problema del segreto delle proprie origini per il figlio e il problema di aver lasciato un figlio biologico ad altri, che non si sa chi siano, per la madre, possa creare in queste due persone un desiderio fragile.
  Chiaramente a volte è una sofferenza non conoscere, altre volte si preferisce non conoscere. A volte si vorrebbe conoscere, ma si ha paura di conoscere; altre volte la conoscenza che si crede di volere è superiore alla conoscenza che si desidera avere. Non essendo un operatore, credo che sto dicendo in modo banale cose molto serie.
  Io credo che a volte il paternalismo giuridico sia giusto, cioè che a volte sia giusto che la giurisdizione o i servizi, a seconda di chi sia più indicato in quel frangente, debbano assumersi il sostegno di una libertà fragile. Dire semplicemente «siete idonei a conoscervi, conoscetevi» potrebbe non essere una risposta completa a un problema. La soluzione potrebbe essere migliore dando degli step che rendano in qualche modo graduale la soddisfazione di questo bisogno di conoscenza. Si potrebbe, per esempio, sapere qualcosa senza sapere tutto, o incontrarsi senza sapere come si chiama l'altro e dove abita, con la possibilità di fare un passaggio superiore dopo.
  Non so se questa sia follia, ma ho pensato che questo potrebbe essere utile in una situazione in cui parliamo di persone che non necessariamente sono risolte solo per il fatto di avere più di diciott'anni secondo alcune proposte, o più di venticinque nel quadro normativo attuale.

  PRESIDENTE. Mi introduco in questa domanda. Credo che sia stato sollevato un po’ da tutti il problema dell'interpello, che Pag. 13è il momento che lascia delle perplessità, anche per quanto riguarda la previsione o meno di un organo giurisdizionale di riferimento.
  Abbiamo saputo che in Francia è stato istituito un organismo ad hoc a formazione mista che facilita questo incontro, composto da giudice, operatori sociali e addirittura rappresentanze territoriali. Si tratta di un organo di riferimento che accompagna e che facilita.
  Ovviamente le cose non sono mutuabili del tutto, ma vorrei sapere se avete pensato a organismi di questo genere che esistono in altri Paesi.
  A proposito della raccolta dei dati riguardanti l'anonimato delle madri, mi sembra che siamo tutti d'accordo (anche in esecuzione della sentenza) sul fatto che quest'ultima sarà libera di revocare questa richiesta di anonimato. Vedo un po’ di difficile realizzazione il fatto che questa madre vada presso l'ospedale dove era andata a registrarsi come anonima e revochi l'anonimato. In questo modo noi graviamo le strutture sanitarie di un'incombenza ulteriore, con profili di riservatezza e di privacy abbastanza delicati.
  Mentre mi è chiara la particolare attenzione, richiesta dal professor Bianca, a non far gestire da subito al tribunale questa parte della procedura, francamente ho qualche perplessità che la possa gestire la struttura sanitaria. In Francia c’è un organismo di mediazione. Pensate che possa avere un ruolo in questo senso qualche nostro organismo già esistente ?
  Chiedo ai professori di rispondere alla fine, insieme alle altre domande. Devono ancora intervenire le colleghe Rossomando e Marzano, che sono entrambe firmatarie di due delle proposte.

  ANNA ROSSOMANDO. Ovviamente rinviamo le considerazioni alla nostra discussione, perché giustamente dobbiamo dare il tenore della domanda.
  Innanzitutto, vi ringrazio veramente anche per la delicatezza con cui si affrontano questi argomenti, che sono nuovi e complicati.
  Inizio da una considerazione. Si parte dal dato minimale della sentenza. Come è stato più volte sottolineato oggi, c’è un vuoto normativo dato dal fatto che c’è un'irrevocabilità assoluta. Non è prevista in nessun modo la possibilità di revocare il titolo.
  Lasciamo da parte la questione sanitaria, che giustamente è un'altra questione.
  Le considerazioni di natura giuridica guardano ai beni protetti con riferimento alla ratio, ma devono partire dalla considerazione delle situazioni concrete che si palesano nel divenire. Mi sono rafforzata in questa idea durante le audizioni delle associazioni che portavano anche esperienze di vita vissuta.
  Un conto è quando parliamo di persone ormai avanti negli anni, che sono state messe in stato di adottabilità cinquant'anni fa, quando c'era una certa situazione; un altro conto è l'evoluzione di questo istituto e di quello che sta attorno al cosiddetto «patto segreto».
  Come voi avete sottolineato, non si tratta di madri che decidono di «disfarsi» del figlio, ma si tratta di madri che fanno una scelta molto responsabile. Aggiungo una cosa. Noi guardiamo all'Europa, ma dobbiamo sapere che oggi in Italia il parto segreto, in alcune regioni più di altre (lo dico perché su questo c’è anche una proposta di legge, di cui sono firmataria, per un ulteriore arricchimento), è un parto particolarmente assistito dal punto di vista sociale. Non è un posto dove medicalmente viene lasciata una persona che nasce. C’è una situazione diversa e c’è una ratio. La legge ha una sua astrattezza, giustamente, ma deve partire dal voler disciplinare un'esigenza concreta. Per esempio, l'istituto dell'adozione si è modificato. Concretamente, per esempio, rileva il fatto che un soggetto sia stato informato o meno di essere stato adottato.
  Il problema delicatissimo – non lo dico ai giuristi, ma lo dico a noi – è che bisogna stare attenti, come voi avete sottolineato con molto garbo, ad approcci di natura cultural-ideologica che ci sono.
  Alla fine, mettendo da parte la questione sanitaria, la sentenza parte dal fatto Pag. 14che non va bene che oggi non ci sia nessun modo di revocare. Questo è il punto di partenza. Quello che ci mettiamo noi nelle varie proposte di legge, ovviamente, è un approccio che parte da considerazioni delicate, a cui bisogna stare molto attenti. A quel punto, tutto sta nell'idea dell'identità. Far diventare giuridicamente disciplinata una questione che è molto connotata culturalmente, pur partendo da esperienze di vita vissuta, diventa complicato. Io dico che bisogna fare attenzione.
  Il parto segreto protetto dall'anonimato non è semplicemente un fatto medico. Queste strutture hanno anche una connotazione di assistenza sociale, con tutto quello che questo comporta. Non si tratta di scaricare il figlio in maniera medicalmente assistita, anziché scaricarlo nel cassonetto. È qualcosa di più e di diverso oggi in Italia. In questo momento c’è un patto tra chi fa il parto segreto coperto dall'anonimato (la donna) e lo Stato. Possiamo considerare che anche questa è una questione che giuridicamente va tenuta in conto ?
  Perché faccio questa domanda ? La questione dell'interpello è delicata. Non è tanto una questione di riservatezza, data dal fatto che una persona non vuole essere disturbata, ma c’è un patto che viene stipulato in quel momento. Alla base di questo patto c’è il fatto che si vuole tutelare una vita che nasce, ma anche una decisione che viene presa. So che tra i colleghi presenti qualcuno è più sensibile di altri al problema dell'autodeterminazione.

  MICHELA MARZANO. Sarò brevissima, anche perché il problema è stato in parte sollevato dalla collega che mi ha preceduto e dalla presidente.
  Faccio una considerazione brevissima e generale. Io sono d'accordo con la presidente sul fatto che forse bisognerebbe riflettere meglio sulla questione di una struttura che agisca come mediazione, però io sarei anche attenta (per questo il modello francese è interessante) a non trasformare la mediazioni in una forma paternalistica.
  Io sono saltata quando ho sentito l'espressione «paternalismo giuridico», riferita soprattutto al fatto che il desiderio sarebbe fragile, esattamente come le persone non sarebbero risolte. Da questo punto di vista, mi permetto di dire che il desiderio umano è sempre fragile, automaticamente e necessariamente opaco e che nessuno di noi è risolto.
  Io credo che, nel momento in cui si parla di maggiore età, cioè dai diciotto anni in poi, sia estremamente complicato e difficile decidere fino a che punto sia fragile o non fragile, opaca o non opaca, risolta o non risolta la situazione di una persona.
  Da questo punto di vista, penso che sia interessante tener presente la soluzione francese, dove l'istituzione organizza l'incontro, ma poi questo viene gestito dalle persone che sono direttamente coinvolte.
  Mi ricollego a quello che è stato detto dalla collega: è vero che c’è un patto. Questo parto segreto è strutturato in Italia esattamente come è strutturato in Francia. Qui non si tratta di rimettere in discussione il patto, ma si tratta semplicemente di tener presente la natura evolutiva del consenso-non consenso, per verificare se ci sia stato un cambiamento.
  Nel momento in cui non c’è stato un cambiamento volontario da parte della donna, non si tratta di forzare e di andare aldilà del consenso – mi riferisco ad alcune proposte – ma si tratta di prendere in considerazione il fatto che questa volontà possa trasformarsi, calcolando che chi viene adottato o comunque è stato per nove mesi nel ventre di una donna forse si pone il problema di sapere da dove viene e perché è stato abbandonato.
  Il legislatore non può non essere sensibile a quest'altro pezzo che riguarda comunque la Costituzione. È complicato. Volevo essere breve, ma non lo sono stata, mi dispiace.

  CESARE MASSIMO BIANCA, Professore di diritto civile. In Francia la metà delle donne ha dato risposta positiva all'interpello.

Pag. 15

  PRESIDENTE. La materia è delicatissima, quindi tutto ci aiuta a riflettere per cercare di trovare un testo che possa essere condiviso.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  CESARE MASSIMO BIANCA, Professore di diritto civile. L'unica cosa che posso dire è che occorre un momento di riflessione e c’è anche la necessità di un contributo da parte di tutti.
  Circa il problema della creazione di una struttura unitaria come quella esistente in Francia, come potrebbe essere il Garante della privacy, io ho veramente molti dubbi sul fatto che si possa riuscire a fare una cosa del genere, innanzitutto sul piano operativo. Peraltro, credo che non ci sia neppure questa necessità. Attualmente i dati sono custoditi in maniera sicura da parte di una struttura facilmente accessibile, che io credo sia anche la più idonea a gestire questi dati nell'eventualità in cui si renda necessario conoscerli.
  Attualmente, gli organismi che conosciamo non sono in grado di farlo. Se pensassimo ad altri organismi, dovremmo anche pensare – ahimè – agli strumenti di finanziamento che questo comporterebbe.

  ARNALDO MORACE PINELLI, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Io credo che effettivamente l'importanza di quel patto sia sacrosanta. Infatti, ho tenuto a ribadire che la garanzia dell'anonimato della donna, a mio avviso, deve essere assoluta. È un problema di attualità del consenso e di attualità del diniego.
  Credo che, a distanza di tanti anni, non potrebbe nuocere un interpello fatto con la delicatezza e la riservatezza di cui parlava il presidente del tribunale di Catanzaro o di Cosenza, con un procedimento da individuare (mi pare che questo sia il problema più grosso relativamente a questo interpello), considerati i valori in gioco. Ormai il parto è stato fatto e probabilmente tutti quei problemi che c'erano al momento della nascita dopo vent'anni non ci sono più, o comunque si sono attenuati.
  Il dato che ha indicato il professor Bianca è significativo. Il fatto che in Francia la metà degli interpelli abbia esito positivo vuol dire che si sta perseguendo obiettivamente un valore.

  PAOLO MOROZZO DELLA ROCCA, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Urbino. È chiaro che da parte mia è stato un atto di autolesionismo parlare di paternalismo giuridico. Mi riferivo al fatto che tra noi civilisti c’è un dibattito tra liberalismo puro e paternalismo giuridico puro. Poi, come sempre facciamo noi, ci troviamo nella via di mezzo. Diciamolo meglio: le persone sono capaci di fare da se stesse quello che credono, oppure, in certe situazioni, la libertà della persona può essere accompagnata e sostenuta ? Definire questa seconda cosa paternalismo giuridico è stato un atto di autolesionismo, di cui devo scusarmi con me stesso e con lei, però penso che ci siamo capiti.
  È vero, non ci sono alcune persone fragili che si trovano a gestire il parto anonimo e tutti gli altri che invece sono forti. Su questo non c’è dubbio. Io credo, però, che nella vita ciascuno di noi viva situazioni che mostrano una fragilità ontologica che è quella di tutti noi. Su questo credo di aver bene interpretato il suo pensiero.
  È in queste situazioni che ci possiamo porre il problema di un accompagnamento e di un sostegno. Quanto questo accompagnamento e questo sostegno deve o non deve essere invadente sulla libertà della persona ? Questo è il problema che io ponevo quando dicevo che spero che i giudici minorili non coartino la volontà della donna.
  Di fronte all'espressione di un giudice, che voi avete ascoltato, che dice che il tribunale per i minori deve provare a convincere la donna, io mi chiedo di cosa deve provare a convincerla. Deve sentirla, è diverso.
  Inoltre, una volta che c’è questo consenso, allora c’è il problema dell'accompagnamento. Non si tratta di cambiarne forzosamente la volontà, ma di accompagnarla. Pag. 16Le persone non sono sempre sicure della loro volontà, soprattutto in un momento in cui vengono colte in una particolare fragilità, che ovviamente è di tutti noi. Non sto parlando di altri.
  Quanto al tema dell'organismo competente, credo che ci sia un problema di territorialità. I tribunali per i minorenni sono uno per regione, o qualcosa di più. Non andrei a rendere ancora meno disseminata l'autorità a cui chiedere giustizia. Forse quello è l'organismo, con tutte le preoccupazioni che questo suscita, attendendo magari che venga sostituito dal legislatore col tribunale della famiglia. Questo lo vedremo.
  Io parlavo dell'ASL come un aspetto interessante. A me sembra che rispettare il patto al 100 per cento, aggiungendovi una clausola di favore per la libertà, significhi dire alla donna: «in qualsiasi momento ci ripensi, faccelo sapere». Questo è il minimo. Su questo minimo non ci sono obiezioni.
  Tutto quello che va oltre indubbiamente incide sul patto originario. Infatti, la donna che ha chiesto di rimanere anonima potrebbe vivere con sofferenza e con pericolo l'essere interpellata. Per esempio, se suo marito vede che è stata chiamata al tribunale dei minorenni, forse le chiede perché ci deve andare. Questo è chiaro.
  Ovviamente, nel momento in cui noi superiamo la soglia del «se vuoi ci ripensi, e lo fai quando vuoi tu», il problema di rendere il meno possibile invasiva e offensiva la scelta diversa ce l'avete tutto. È un problema tecnicamente delicatissimo.
  Io ho una mia idea, ma è un'ipotesi da professorino. Nell'ipotesi ideale, seconde me, c’è una fase in cui il giudice chiama il figlio e la donna non c’è. La donna potrebbe interloquire con un soggetto diverso dal tribunale per i minori, o nel senso che quando vuole è lei che comunica, senza interpello, o nel senso che la ragione dell'interpello viene il più possibile mascherata. Altrimenti la donna non è difesa nella sua privacy. In una terza fase, quando ci sarà il consenso della donna, ci sarà l'accompagnamento.
  Vorrei aggiungere che il Consiglio d'Europa parla di diritto a conoscere le origini, ma il contenuto minimo di quel diritto è il diritto di sapere di essere adottati, non il diritto di sapere nome, cognome e indirizzo della madre biologica. La nostra norma, all'articolo 28, comma 1, garantisce questo. Forse si può garantire meglio.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti, a nome di tutti i componenti, per gli spunti di riflessione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.