XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 12 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sarro Carlo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 784  BOSSA, C. 1874  MARZANO, C. 1343  CAMPANA, C. 1983  CESARO ANTIMO, C. 1901  SARRO E C. 1989  ROSSOMANDO, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ACCESSO DEL FIGLIO ADOTTATO NON RICONOSCIUTO ALLA NASCITA ALLE INFORMAZIONI SULLE PROPRIE ORIGINI E SULLA PROPRIA IDENTITÀ

Audizione di rappresentanti dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali, di rappresentanti dell'associazione ITALIADOPTION, di rappresentanti dell'associazione Astro nascente – Adozione e origini biologiche, della dottoressa Anna Genni Miliotti e di rappresentanti dell'associazione Famiglie per l'accoglienza.
Sarro Carlo , Presidente ... 3 
Di Fiore Luisa , Presidente dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali ... 3 
Rossi Monica , Rappresentante dell'Associazione Figli adottivi e genitori naturali ... 5 
Sarro Carlo , Presidente ... 7 
Campitelli John Pierre , Presidente dell'associazione ITALIADOPTION ... 7 
Sarro Carlo , Presidente ... 11 
Genni Miliotti Anna , Rappresentante dell'associazione ITALIADOPTION ... 11 
Sarro Carlo , Presidente ... 13 
Coen Antonucci Loris , Presidente dell'associazione Astro Nascente – Adozione e origini biologiche ... 13 
Sarro Carlo , Presidente ... 15 
Ivaldi Maria Cristina , Rappresentante dell'associazione Famiglie per l'accoglienza ... 15 
Businarolo Francesca (M5S) , [fuori microfono] ... 16 
Ivaldi Maria Cristina , Rappresentante dell'associazione Famiglie per l'accoglienza ... 16 
Sarro Carlo , Presidente ... 17 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 17 
Sarro Carlo , Presidente ... 17 
Ivaldi Maria Cristina , Rappresentante dell'associazione Famiglie per l'accoglienza ... 17 
Rossomando Anna (PD)  ... 18 
Genni Miliotti Anna , Rappresentante dell'Associazione ITALIADOPTION [fuori microfono] ... 18 
Rossomando Anna (PD)  ... 18 
Sarro Carlo , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO SARRO

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali, di rappresentanti dell'associazione ITALIADOPTION, di rappresentanti dell'associazione Astro nascente – Adozione e origini biologiche, della dottoressa Anna Genni Miliotti e di rappresentanti dell'associazione Famiglie per l'accoglienza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 784 Bossa, C. 1874 Marzano, C. 1343 Campana, C. 1983 Cesaro Antimo, C. 1901 Sarro e C. 1989 Rossomando, recanti disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità, di Luisa Di Fiore, presidente dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali, accompagnata da Monica Rossi; di John Pierre Campitelli, presidente dell'associazione ITALIADOPTION; di Loris Coen Antonucci, presidente dell'associazione Astro nascente – Adozione e origini biologiche; della dottoressa Anna Genni Miliotti e della dottoressa Maria Cristina Ivaldi, in rappresentanza dell'associazione Famiglie per l'accoglienza.
  Come da prassi, invito tutti gli ospiti che saranno auditi questo pomeriggio ad attenersi al tempo che viene assegnato, per garantire l'andamento dei nostri lavori, anche in considerazione del fatto che alcuni dei gruppi e delle associazioni hanno già trasmesso un contributo scritto, che ovviamente è a disposizione di tutti i componenti della Commissione e che sarà oggetto di consultazione e di approfondimento da parte dei componenti stessi. Il tempo a vostra disposizione è di 10 minuti.
  Do la parola a Luisa Di Fiore, presidente dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali, accompagnata dalla signora Monica Rossi.

  LUISA DI FIORE, Presidente dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali. Buongiorno. Mi presento in qualità di fondatore e presidente dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali, ma soprattutto come figlia adottiva.
  Vi ringrazio per averci invitato e per aver dato la possibilità di esprimere, a noi, diretti interessati, cosa vuol dire la conoscenza delle proprio origini, diritto per cui ci battiamo dall'anno 2000.
  Figli adottivi e genitori naturali oggi vanta circa 1.400 iscritti, la maggior parte di nazionalità italiana e di età media di 40-50 anni, e madri di nascita.
  Nel 2000 la mia scoperta dell'esistenza di internet mi ha fatto pensare che là dentro ci fosse anche la mia storia e cominciai a navigare cercando, ma nessuno spazio dedicato alla parola «adozione» riconduceva a figli adottivi adulti. Non esistevamo e figuriamoci se i genitori Pag. 4di nascita o biologici potevano esistere in un mondo virtuale, ma reale, alla portata di tutti.
  FAEGN (questo è il diminutivo della nostra associazione) nasce proprio dall'esigenza di dare uno spazio, fino a quel momento inesistente sul web, destinato ai figli adottivi adulti e ai genitori di nascita, chiaramente aperto anche ai genitori adottivi, e dedicato alla cosiddetta «triade adottiva».
  Il gruppo nasce con l'adesione di persone adottate, con l'esigenza di un confronto sulle esperienze e sui sentimenti comuni, soprattutto sulle esigenze di ricerca, sulle modalità utilizzate per farla e sulle esperienze di ritrovamento che c'erano state.
  I primi ad iscriversi, con cui oggi sono qui, e grazie ai quali questa associazione ha continuato a esistere, sono John, che ha portato esperienza, consapevolezza e tenacia, e Monica Rossi, che ha fatto un percorso umano e professionale indispensabile alla nostra causa.
  Questo confronto continuo con persone sempre nuove ci ha permesso di iniziare un percorso di presa di coscienza sulla propria condizione di figlio adottivo e soprattutto sui fattori comuni che la determinano, ovvero l'esperienza dell'abbandono, che ha delle peculiarità oggettivamente imprescindibili e innegabili e soggettivamente delle conseguenze psicologiche che variano in base a tanti altri fattori che fanno parte della vita di ogni singolo.
  È maturata fortemente la consapevolezza, quindi, che la conoscenza delle proprie origini è oggettivamente fondamentale per ogni individuo. È una consapevolezza supportata da testi di psicologia prenatale, evolutiva e adulta.
  Vorrei inoltre dichiarare che trovo corretto porsi delle riflessioni sulla sensazione che potrebbe provare una donna che ha partorito in anonimato, di fronte alla possibilità di essere contattata per poter rimuovere o confermare il suo diritto, ma abbiamo mai pensato che quella donna sa di poter essere ritrovata in ogni momento della sua vita, senza neanche poterlo decidere ? Abbiamo pensato che viviamo in un'era tecnologicamente evoluta dove le ricerche fai da te sono facilitate e che, partorire un figlio, comunque, non è qualcosa che potrà mai sparire nel nulla per lei, anche se la nostra società è portatrice della cultura della negazione dell'adozione e del bisogno di normalizzare il bambino o adulto adottivo ?
  Un figlio adottivo non nasce quando viene adottato e neanche quando viene partorito, ma circa nove mesi prima, periodo in cui sperimenta la sua vita prenatale, che non deve essere ignorata per la salvaguardia della sua salute fisica e psichica.
  Riporto molto velocemente la mia esperienza personale. Io sono nata a Roma all'ospedale San Giovanni, lasciata lì alla nascita e portata al brefotrofio di villa Pamphili, dove sono rimasta fino all'età di un anno.
  Dal diario alimentare redatto durante la mia permanenza in istituto, ho saputo che i primi mesi di vita li ho vissuti disperandomi e destando serie preoccupazioni ai medici, in quanto il mio pianto interminabile provocava cianosi al volto e difficoltà a nutrirmi. La diagnosi descritta era: «anoressia e depressione». Vi immaginate tale diagnosi fatta a un neonato negli anni 1960 ? Eppure, leggendo quelle cose, vi giuro che le sentivo come sofferenze intatte dentro di me, ma ero incapace di descriverle, perché non erano presenti nella mia coscienza.
  La mia esperienza è stata positiva. Ho scoperto di essere stata adottata all'età di 18 anni per puro caso e questo non mi ha scatenato la voglia di sapere, né il sentimento di odio verso nessuno, né verso i genitori naturali né verso quelli adottivi che mi avevano nascosto questa realtà. Ho iniziato ad avere un mondo parallelo fatto di immaginario e soprattutto ho iniziato quel percorso di consapevolezza di cui ho parlato prima.
  Ho iniziato a decodificare molti miei comportamenti, come la dipendenza affettiva verso le persone e l'esigenza di essere accettata, che riscontravo, tra l'altro, in altri figli adottivi. Quanto ho detto l'ho ritrovato nei racconti di molti altri.Pag. 5
  È una vita soddisfacente la mia: amata dalla famiglia adottiva, madre di quattro figli, lavoro, amici, amore. C’è stato tutto questo fino ad oggi nella mia vita. Eppure devo dire che un film lo devi vedere dall'inizio per comprenderlo, accettarlo e collocarlo.
  Nel 2013 ricevo informazioni sulla mia madre naturale, a seguito di un appello fatto nel 2009 in una trasmissione televisiva. Ho saputo che mia madre Elena era morta proprio nell'anno in cui avevo iniziato a cercarla, all'età di 60 anni. Ho trovato un fratello e una sorella di 18 mesi più grandi di me e tutti e tre insieme stiamo cercando il nostro primo fratello, anche lui abbandonato alla nascita.
  Insieme ai miei fratelli e ad altri componenti della famiglia che ho conosciuto, ho iniziato a ricostruire la storia di mia madre, dentro la quale c’è anche la mia: una storia di sofferenza e di abbandono anche la sua e di dipendenza affettiva.
  Ho ricevuto grande accoglienza da parte di tutta la famiglia e soprattutto affetto dai due fratelli. Non ho sconvolto la vita di nessuno, anzi credo di aver portato un pezzo di mia madre, che ha permesso a molti di capire meglio la sofferenza che portava negli occhi.
  La prima sensazione che ho provato, di cui avevo sentito parlare, è stata quella di nascere, di sentirmi leggera (non felice, ma leggera), di esserci. È un concetto difficile da capire, ma anche da spiegare. Solo un figlio adottivo può riconoscersi in quanto dico. Iniziare un percorso di conoscenza e tutto quello che comporta è ben diverso dal gestire l'ignoto.
  In conclusione, come FAEGN siamo totalmente a favore del diritto alla conoscenza delle origini biologiche. La nostra associazione ritiene che non debba essere messo in discussione il diritto al parto anonimo.
  Vorremmo inoltre sottolineare che una ricerca non regolamentata possa essere reale causa di traumi o sconvolgimenti nella vita delle persone coinvolte e anche di sfruttamento da parte di chi lucra su debolezze altrui.
  Ci auguriamo che la ricerca divenga un diritto riconosciuto anche ai figli non riconosciuti alla nascita e mai adottati e a quei figli della procreazione assistita, che da adulti sicuramente si porranno gli stessi interrogativi e porteranno dentro di loro gli stessi sentimenti.
  In una democrazia, il riconoscimento di un diritto non corrisponde all'imposizione a esercitarlo. Non si impone a nessuno di cercare né di essere cercato. Diversamente, il non riconoscimento del diritto del figlio a cercare i propri genitori biologici è un'imposizione a non conoscere. Grazie.

  MONICA ROSSI, Rappresentante dell'Associazione Figli adottivi e genitori naturali. Mi chiamo Monica Rossi e sono una figlia adottiva non riconosciuta, cofondatrice dell'associazione FAEGN.
  Di professione faccio l'assistente sociale e mi occupo di problemi sociali ogni giorno. Vorrei brevemente sintetizzare due questioni. La prima questione riguarda il tema del divieto di accesso all'origine e lo sbilanciamento a favore del diritto all'anonimato della madre, considerato oggi praticamente eterno.
  Chi opta per questa posizione dipinge la donna che partorisce in anonimato come una donna che, mossa da tragiche circostanze, ha effettuato per l'eternità una scelta e verrebbe sconvolta e devastata da una richiesta di fornire il consenso ai suoi dati. Sembra quasi delineare la figura di una donna che eroicamente lascia il figlio e stoicamente chiude per sempre con il passato, chiedendo al figlio lo stesso atto di stoicismo: lasciarsi alle spalle tutti gli interrogativi sull'identità della madre di nascita, in nome di una serenità che, a suo dire, sarebbe impossibile da raggiungere senza questo oblio.
  Io credo che questa posizione vada analizzata secondo una prospettiva diversa: quella della cultura della colpa e della vergogna, retaggio di un passato oscurantista e resistente al cambiamento, timoroso di innovazioni culturali. Negli anni 1960, 1970 e 1980 le donne che lasciavano un figlio erano considerate come colpevoli, macchiate dall'onta di Pag. 6avere generato un figlio al di fuori del matrimonio e alla donna era chiesto di lasciare questo figlio in un luogo protetto, ma anche di lasciarsi alle spalle per sempre questa macchia.
  Chiedere alle donne oggi di avere un eterno anonimato e di mantenere il segreto significa lanciare un implicito messaggio ideologico di colpevolezza. Perché avere un segreto e mantenerlo con tanta foga, se non perché si pensa che sia qualcosa di sbagliato ?
  Quello che mi chiedo è come si può pensare che vivano queste donne, che, anche se hanno ricostruito una famiglia, dovranno vivere fondandola sul segreto. Com’è possibile vivere fissi in una cesura che diventa un solco incolmabile e ridurre tutto a chiedere il diniego di un atto passato ?
  Chiunque conosca un po’ di teorie psicologiche sa che i meccanismi di difesa sono utili solo se utilizzati in modo flessibile e sa quanto sia necessario elaborare i traumi, affrontandoli e superandoli. Invece, quando una persona vive cristallizzando il proprio passato e scindendolo da sé, ella diventa ostaggio di un dolore cronico, anche se soffocato.
  Sicuramente cambiare fa paura e forse provocherebbe un iniziale turbamento, ma sarebbe, anche per queste donne, un'occasione di poter decidere, stavolta anni dopo, con nuove condizioni di vita, se l'anonimato debba persistere o meno. Sarebbe una via d'uscita da tanti interrogativi sopiti, da un senso di colpa ingiustificato.
  I tantissimi figli adottivi non riconosciuti stanno dicendo una sola cosa: riconosciamo alla donna il suo atto di amore alla nascita, ma chiediamole, dopo tanti anni, da adulti, di poterla incontrare, decidendo insieme stavolta, se è possibile stabilire un rapporto o se limitarci alla conoscenza, ma uscendo finalmente dai segreti.
  Quello che si chiede è di passare da una cultura della colpa e della vergogna a un'etica della responsabilità: responsabilità per la donna che ha lasciato un figlio di aver preso nel passato una decisione, di assumerla, senza disconoscerla e di riconoscere che c’è un figlio che un giorno potrebbe chiedere di lei e che ne ha il diritto; e per il figlio responsabilità di accettare la verità che gli si presenterà davanti, con delicatezza e comprensione, senza rinnegarla a sua volta.
  Vorrei chiudere con una brevissima riflessione. Se una donna abbandona un figlio in un cassonetto, non è certo una disposizione in merito alla possibilità di accesso alle origini a indurla a questo. Una donna che compie un gesto disperato, è in condizioni psichiche disperate, e non in condizioni di lucidità mentale tali da valutare le norme giuridiche. Al contrario, per una donna che intende lasciare un figlio in condizioni protette, sapere che per un sufficiente numero di anni il figlio potrà avere una famiglia e lei continuare con la sua vita, ma se entrambi lo vorranno un giorno potranno scegliere di incontrarsi potrebbe dare un sollievo e uno spiraglio di luce.
  Per il mio lavoro, posso dire che forse sono proprio le situazioni dei figli riconosciuti a essere più complesse socialmente, ma a loro favore è già attivo il diritto di accesso ai dati sulle proprie origini.
  Al contrario, per i figli non riconosciuti, le cui madri potrebbero avere in tanti anni cambiato idea e le cui vite sono in genere state serene, supportate dalle famiglie adottive, la legge non è ancora stata approvata e ha favorito un'ulteriore discriminazione. Anzi, si continua a negare un diritto perfino quando la donna è deceduta.
  Sono reduce da una mia istanza al tribunale per i minorenni, a seguito della quale non ho avuto i dati di mia madre, perché è prematuramente mancata, e, quindi, nell'impossibilità, a loro dire, di fornire il consenso. In questo modo l'anonimato è inteso con inamovibile e diventa una condanna, contraria sia alla sentenza della Corte costituzionale sia ai principi umani ed etici di rispetto e tutela dell'individuo, perché verranno negati al figlio adottivo sia la propria origine sia il diritto alla salute, e sarà una condanna anche per Pag. 7tutte le donne che vorrebbero sapere come stanno i loro figli, dopo tanti anni e tanti interrogativi.
  In conclusione, se non passerà la legge che riconosce il diritto alla conoscenza e all'origine, non verranno riconosciuti neanche i casi particolari, si correrà il rischio di un nuovo intervento della Corte costituzionale, si continuerà a non essere in linea con le normative europee e vi saranno nuovi anni di contenzioso, con tanta sofferenza per tutti i soggetti coinvolti. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola a John Pierre Campitelli, presidente dell'associazione ITALIADOPTION, per lo svolgimento della sua relazione.

  JOHN PIERRE CAMPITELLI, Presidente dell'associazione ITALIADOPTION. Buongiorno, onorevoli componenti della Commissione giustizia. Grazie per l'ascolto che vorrete dare alle mie parole.
  Quando ho deciso di venire qua a Roma oggi, l'ho fatto con un pensiero in mente. Ho infatti l'onere e l'onore di riportare la mia esperienza, quale individuo e come presidente dell'associazione ITALIADOPTION, che raccoglie tutti i figli adottivi nati in Italia e adottati all'estero, in particolare, nel mio caso, negli Stati Uniti d'America.
  Nel mio intervento non toccherò tutti i punti che sono già stati richiamati, proprio per mancanza di tempo. Naturalmente mi considero parte integrante dell'associazione Figli adottivi e genitori naturali, su cui la dottoressa Luisa ha già espresso i suoi punti.
  Mi devo presentare: mi chiamo John Pierre Campitelli. Come potete capire dal mio nome e dal mio accento (dovete scusarmi) sono mezzo italiano e half american. Sono stato cresciuto in California, però adesso sono diventato cittadino italiano a tutti gli effetti, con tutti i doveri e i diritti associati.
  Sono un ingegnere informatico di professione, che lavora in IBM da oltre vent'anni. Come tale, mi occupo di strumenti di comunicazione e di collaborazione nel mondo social, in particolare su internet, e certamente non mi considero un esperto come voi in materie legate alla giurisdizione.
  Comunque, sono ugualmente contento di essere qua oggi con voi, per condividere la mia esperienza personale. Sono nato a Torino nel 1963, da quella famosa dicitura «donna che non consente di essere nominata». Naturalmente sono stato poi consegnato all'istituto. Ho passato due anni e mezzo in corso Giovanni Lanza e sono poi partito per gli Stati Uniti, dove sono stato adottato dai miei genitori americani, Russel e Barbara Campitelli, anche se il cognome sembra quasi romano (sono entrambi di discendenza italiana).
  Oggi sarebbero presenti qui al mio fianco, se non fosse che mio padre è deceduto nel 2006, ma sono sicuro che ci osserva da lassù. Mia madre Barbara, che abita in California, benché abbia girato tutto il mondo durante la sua vita, è impossibilitata oggi ad affrontare un viaggio intercontinentale, a causa della sua età avanzata.
  Comunque, nel 1991, dopo quattro anni di dure ricerche, sono finalmente riuscito a ritrovare l'altra madre, la mia madre di nascita, la donna che mi ha donato la vita, avvalendosi naturalmente del parto anonimo, che avrebbe anche lei desiderato essere presente qui al mio fianco in quest'Aula, se non fosse per la sua comprensibile timidezza e senso di pudore nell'esporre dei fatti della sua vita privata in una sede così istituzionale.
  È una situazione comune per l'altro vero protagonista di queste proposte legislative che oggi sono all'esame: proprio loro, le donne che, molte loro malgrado, hanno lasciato i loro figli nelle mani delle istituzioni e che fino a oggi non sono state rappresentate, se non per interposta persona. Dovremmo far parlare loro, le donne come mia madre Francesca, che hanno tanto sofferto sulla loro pelle lo strazio di doversi separare irreparabilmente dai loro figli che avevano portato in grembo per nove mesi, consapevoli che la mentalità Pag. 8bigotta dell'epoca non avrebbe permesso loro di crescerli serenamente come avrebbero voluto.
  Naturalmente cercherò di ovviare a questa mancanza raccontandovi per sommi capi alcuni dei passaggi della mia esperienza personale, che sono stati determinanti nella decisione di costituire un'associazione di mutuo aiuto per i figli adottivi e per i genitori naturali, che esprimono il loro desiderio di ritrovarsi dopo tanti anni.
  È così che nel 1989 – ormai sembra secoli fa – ho fondato negli Stati Uniti l'associazione ITALIADOPTION, che si prefigge l'arduo compito di ritrovare gli oltre 3.700 «orfani» nati negli istituti e nei brefotrofi italiani, adottati all'estero nel periodo che va dal 1950 al 1970, come documentato dagli annali dell'Immigration and naturalization service americana.
  Chi ha una buona memoria storica si ricorderà che proprio nel tardo 1959 e all'inizio degli anni 1960 si ebbero delle ripercussioni internazionali intorno agli episodi di speculazione dovuti all'espatrio di centinaia di orfani italiani, che partivano per gli Stati Uniti per essere adottati da genitori americani. Questi episodi vennero discussi proprio in questo Parlamento, in un'interrogazione parlamentare che era stata promossa a suo tempo dal senatore socialista Sansone.
  In quegli stessi anni il caso dell'avvocato italo-americano Peter Charles Giambalvo è rimasto negli annali di storia, alla ribalta di tutte le maggiori testate giornalistiche di quel periodo. Fu arrestato per il traffico di bambini italiani, scoperto da un agente di polizia che faceva il suo lavoro, durante uno spiacevole episodio che è successo proprio qui all'aeroporto di Ciampino.
  Inoltre, ben documentato, ma forse non tanto noto, è anche il ruolo della Pontificia opera di assistenza, sotto la presidenza di don Ferdinando Baldelli, e della Catholic Relief Services, sotto la direzione di monsignor Andrew P. Landi, che hanno lavorato assiduamente per trovare dei bambini da far adottare alle coppie americane desiderose di completare il loro progetto di famiglia.
  Io, infatti, sono arrivato negli Stati Uniti proprio grazie all'intervento della Catholic Relief Services, che aveva uffici proprio qui, alle porte del Vaticano, in via della Conciliazione, e aveva assistenti sociali da loro stipendiati per visitare periodicamente i maggiori istituti e orfanotrofi italiani, per procacciare bambini e orfani, da mandare a coppie rigorosamente cattoliche negli Stati Uniti.
  Chiunque abbia visto il recentissimo film intitolato «Filomena» è al corrente che questo non era solo un fenomeno prettamente italiano, ma è successo in Irlanda e in altri Paesi d'Europa.
  Poi, con il passare del tempo, da Paese esportatore (che brutto termine), siamo diventati importatori e i flussi si sono drasticamente invertiti. Basta ricordare l'ultimo arrivo di bambini dal Congo, che mi ha molto commosso, riflettendo che tra una decina d'anni anche essi si interrogheranno sulle loro origini e sulle vicende che li hanno portati qui in Italia oggi.
  Anch'io mi ricordo che appena mi è stato rilasciato il mio primo passaporto italiano dalla questura di Roma, che conservo gelosamente, perché contiene la prima foto che io ho da bambino all'età di 10 mesi, sono partito da Fiumicino alla volta di New York, a bordo del mio primo volo TWA.
  Il 23 aprile 1965 sono entrato per la prima volta negli Stati Uniti con un passaporto che recava il cognome fittizio di Piero Davi. Sì, avete capito bene. Ho capito solo molti anni dopo la ragione per cui mi fu emesso un passaporto italiano con un nome falso. Ero figlio illegittimo, nato da un amore proibito e non riconosciuto alla nascita.
  Agli inizi degli anni 1950, nasceva la discussione, proprio in queste aule della Camera dei deputati, su varie questioni di grande importanza relativamente al problema degli illegittimi e sulle proposte avanzate da vari deputati per un rinnovamento delle situazioni giuridiche e sociali, che cancellasse l'ingiusto marchio Pag. 9che bollava per colpe non sue il figlio illegittimo, e creava intorno a lui per tutta la vita un'atmosfera di diffidenza, per non dire di vergogna.
  Finalmente, dopo più di 60 anni, siamo arrivati a equiparare tutti i figli e a togliere quegli aggettivi discriminatori. Rimane solo un passaggio da compiere: rimuovere l'ultimo ostacolo che differenzia il trattamento tra i figli adottivi adulti, quelli riconosciuti e quelli non riconosciuti. Sono qui davanti a voi proprio per questo oggi.
  L'ironia della sorte ha infatti voluto che io fossi adottato da una stupenda coppia di artisti americani, che avevano talmente tanto amore da donare che hanno adottato ben quattro figli dall'Italia: i miei fratelli gemelli, Paul e David, riconosciuti alla nascita, e mia sorella Sarah e il sottoscritto, non riconosciuti, tutti provenienti da famiglie originarie diverse e ognuno con il proprio vissuto e il proprio passato.
  I miei genitori si sono sempre chiesti qual era la ragione per cui Paul e David potessero, su loro richiesta, conoscere le proprio origini, mentre Sarah e io avremmo dovuto attendere cent'anni. Vi assicuro che non è facile per un genitore trovarsi in una situazione del genere e saperla gestire.
  Come da copione, appena completato il periodo di affidamento pre-adottivo, siamo stati naturalizzati cittadini americani e sono fiero di esserlo. Siamo entrati a pieno titolo a far parte della nostra nuova famiglia, della nostra nuova nazione e della nostra nuova cultura, traendo tutti i vantaggi che ne conseguono.
  Infatti, in seguito alla coraggiosa scelta dei miei genitori americani di far conoscere la loro cultura d'origine ai propri figli italiani, nel 1969, proprio nell'età della contestazione, ci siamo trasferiti con tutta la famiglia per 10 anni a Firenze, dove ho potuto frequentare le scuole primarie e approfondire la mia cultura di origine.
  Non vi dico l'imbarazzo dei miei genitori quando hanno cercato di iscrivermi nella scuola elementare a Firenze, nello scoprire che per il Governo italiano io ero ancora Piero Davi e non John Pierre Campitelli, per il solo motivo che la sentenza d'adozione straniera non era mai stata comunicata al comune di nascita qui in Italia.
  Finalmente nel 1972, con l'assistenza di un legale, siamo riusciti a far trascrivere la sentenza d'adozione estera in Italia, attribuendomi il mio nuovo nome e cognome.
  Durante l'adolescenza si è svegliata in me, come in altri che hanno portato qui la loro testimonianza, la necessità di fare le prime ricerche sulle mie origini. Accompagnato naturalmente dai miei genitori adottivi, che si sono sempre mostrati solidali con le mie ricerche, ho fatto i primi passi, per cercare di far luce sul primo capitolo della mia vita, prima di rientrare negli Stati Uniti e completare le scuole superiori e laurearmi in ingegneria.
  Purtroppo, però, le leggi non permettevano di ottenere informazioni sul mio passato e tuttora è rimasto così. Io potevo guardare solo al futuro.
  Proprio durante il mio successivo rientro in Italia, che è stato nel 1989 per un corso di approfondimento sociale, ho scoperto con mia somma sorpresa di essere stato inserito addirittura nel bollettino dei ricercati, per non essermi presentato al servizio di leva al compimento del mio diciottesimo compleanno. Con grande rammarico, ho scoperto che ero ancora da considerare cittadino italiano e potevo essere arruolato ed essere mandato a svolgere il servizio militare e magari mi si sarebbe potuto richiedere di intervenire in zone di conflitto, ma non ero considerato abbastanza maturo per conoscere le mie origini.
  Risalgono a questo periodo le mie prime richieste di accesso ai miei documenti attraverso l'ufficio di stato civile, l'ospedale di nascita, la parrocchia di battesimo e l'istituto, ma senza esito positivo. Per la legge vigente in Italia non sono titolato a ottenere informazioni sulle circostanze della mia nascita.
  Rientrato però l'anno successivo negli Stati Uniti, con una semplice richiesta al Governo americano, sfruttando il Freedom of information act, che è simile alla legge Pag. 10per la privacy in Italia e permette a qualsiasi cittadino americano di accedere a copie di tutta la documentazione sulla propria persona, sono riuscito in un mese a ottenere, non solo il mio atto integrale di nascita italiano, dal quale ho avuto la conferma di non essere stato riconosciuto alla nascita, ma anche tutte le relazioni e le indagini conoscitive svolte dagli assistenti sociali. Queste indagini contengono i verbali dei colloqui avuti con la mia madre di nascita e con i suoi parenti, con tanto di informazioni non identificative di carattere anamnestico sulla mia parentela, raccolte all'epoca della mia nascita.
  Magari lo si facesse oggi. Proprio da questa documentazione ho scoperto per la prima volta che la mia mamma Francesca aveva dichiarato di essere stata violentata da un suo collega di lavoro e che mi aveva concepito con un uomo sposato, che aveva già una moglie e quattro figli. Potete immaginare il mio sgomento nell'apprendere questa notizia e nello scoprire che, per nascondere la sua scomoda gravidanza, mia madre ha dovuto lasciare il suo piccolo paese in Puglia e recarsi da una sua sorella a Torino, dove ha passato gli ultimi mesi della sua gravidanza presso il Pozzo di Sicar, un istituto per donne gravide gestito dalle suore della redenzione.
  Dall'altro lato della moneta, sono stato fortemente scosso dalla notizia di avere altri quattro fratelli da parte di padre e mi sono mosso immediatamente per scoprire chi fossero e dove vivessero. Finalmente pensavo di poter ritrovare qualcuno che avesse i miei stessi tratti somatici, predisposizioni genetiche eccetera. Però, non essendoci la possibilità di ottenere informazioni, con le procedure previste dalla legge, mi sono affidato ai mass media, perché all'epoca non esisteva internet e neppure Facebook.
  È stato così che, a seguito di alcuni particolari articoli che sono stati pubblicati su vari quotidiani, nel 1991 sono finalmente riuscito a stabilire la mia identità reale e a ritrovare la mia madre di nascita, grazie a una zia che abitava a Torino e che si era messa in contatto con la redazione.
  È così che – mi ricordo ancora la data – il primo settembre 1991 ho fatto la mia prima telefonata intercontinentale con Francesca, io da Los Angeles e lei da Grottaglie, dove adesso abita, che è durata solo un'ora, ma mi sembrava fosse durata un'eternità, nella quale ho sentito nuovamente la sua voce dopo più di 28 anni di separazione.
  Quella notte ho ringraziato Dio per aver esaudito la mia preghiera. Ero veramente al settimo cielo per aver scoperto, dopo quattro lunghi anni di ricerca, che Francesca era ancora in vita, era in buona salute e mi voleva conoscere. Si era sposata con un altro uomo, aveva avuto altri cinque figli e si era formata la sua famiglia. Mi ha raccontato che mi aveva sempre pensato, che aveva chiamato il suo secondo figlio Pierangelo in mio onore e che aveva persino provato a cercarmi recandosi all'istituto dove io stavo, ma le suore naturalmente gli avevano detto che io ero partito, che lei doveva mettersi l'animo in pace e non mi avrebbe mai più rivisto.
  È inutile dire che sbagliarono. Infatti, dopo poche settimane dalla mia prima telefonata, sono venuto in Italia. Mi hanno accolto come il figliol prodigo e, nonostante il lungo viaggio intercontinentale, le diverse culture e le diverse lingue, i nostri due mondi si sono fusi, senza creare nessuno scompiglio nella vita di quella donna. Francesca, suo marito e tutta la sua famiglia mi hanno accolto come se fossi parte integrante della loro famiglia e abbiamo gettato le basi per una vera amicizia che perdura tutt'oggi.
  Durante questa prima visita ho avuto anche modo di scoprire chi fosse il mio padre biologico. Sì, proprio il padre. Nonostante abbia prima negato il fatto di essere mio padre, successivamente si è ricreduto e mi ha fatto conoscere i suoi tre figli, con cui sono tuttora in contatto.
  La mia caparbietà ha dato innumerevoli frutti. Anche al mio matrimonio erano presenti tutti: i miei genitori americani, la Pag. 11mia madre italiana, mio padre, i cugini e tutta la famiglia allargata. Adesso che sono diventato padre a mia volta di due splendide bambine, che si vantano con i loro compagni perché hanno tre nonne, ritrovo in loro tante somiglianze e ho il piacere di sapere da dove provengono. Ho fatto l'albero genealogico di tutte le mie famiglie e persino il test del DNA, per capire meglio il mio bagaglio genetico e avere ulteriori conferme.
  La stessa cosa non è stata invece possibile per i miei fratelli Paul e David e per mia sorella Sarah.
  Purtroppo in questi anni ho avuto il piacere di accompagnare centinaia di figli adottivi italiani e di donne che non avevano potuto completare il loro ruolo di madre a ritrovarsi, nonostante le vetuste normative italiane in materia. Infatti, nonostante sia stata approvata la nuova legge nel 2001, che ratifica la Convenzione dell'Aja, i figli adottivi non riconosciuti non hanno ancora la possibilità di scoprire la loro vera identità. Già nel lontano 1998 l'onorevole Anna Maria Serafini spiegava che questa era una legge da cambiare.
  Mi auguro fortemente che ci sia una sollecita risoluzione da parte vostra – perché solo voi lo potete fare – che permetta finalmente il contemperamento dei diritti di entrambe le parti e ridia a tutti la dignità, che gli spetta, di poter finalmente proclamare con convinzione che la verità ci renderà liberi.
  Solo così mi potrò considerare fiero di essere ancora cittadino italiano e si potrà ridare la speranza a tutti i bambini considerati orfani, non riconosciuti alla nascita, che adesso sono adulti e che oggi ci seguono, in particolar modo quelli della diaspora italiana, che hanno faticato per ragioni di cultura e di lingua a comprendere il nostro operato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Raccomando ai prossimi che interverranno di contenersi nei limiti temporali, altrimenti sarò costretto, mio malgrado, a interrompere.
  Do la parola alla dottoressa Anna Genni Miliotti.

  ANNA GENNI MILIOTTI, Rappresentante dell'associazione ITALIADOPTION. Io sintetizzo quello che ho scritto. Dopo questa ondata emotiva, il mio contributo è piuttosto tecnico.
  Io sono sia un'esperta di adozione che una madre adottiva. Con collaborazioni universitarie e con l'Istituto degli innocenti, ultimamente ho approfondito molto il tema della ricerca delle origini, anche personalmente.
  Personalmente, posso dire che ho accompagnato entrambi i miei figli, Sergej e Dacia (si capisce che sono russi) nei loro Paesi di origine a trovare la loro storia. Cosa abbiamo trovato ? Non è tanto importante cosa si trova. L'importante è essere accompagnati. Nel viaggio e nella ricerca non si sa mai quello che si trova. La spinta è assolutamente fondamentale.
  Vorrei che neanche gli altri genitori adottivi (questo è gran parte del mio lavoro) avessero paura di affrontare certe domande, di dare risposte e di accompagnare in un viaggio.
  Quanto è forte il bisogno di ognuno di noi di sapere chi siamo e il percorso che abbiamo fatto ? Io, ad esempio, sono nata a Firenze e abito a Prato, a 22 chilometri di distanza. Non è molto. Invece John Pierre Campitelli ha attraversato l'oceano e i miei figli gli Urali, quindi è tutta una storia di continenti. Mia figlia ha addirittura origini mongole, come abbiamo scoperto.
  È necessario comprendere, ma anche aiutare. È chiaro che ci vuole una legge, perché senza la legge non si va da nessuna parte. Quello che io vedo è che ci sono due situazioni – entriamo in un campo più tecnico – che sono completamente diverse. Ci sono adottati di serie A, che sono quelli dell'adozione internazionale, e adottati di serie B, che sono quelli dell'adozione nazionale.
  Per essi le possibilità di ricerca sono diverse. Nelle adozioni internazionali ogni famiglia ha tra i documenti il certificato originale di nascita. Anche nel caso di mia figlia aveva un nome. Nel caso di mio figlio no, perché lui non era riconosciuto. Se i genitori hanno questa sensibilità, danno ai Pag. 12figli questa documentazione. Oggigiorno l'adozione internazionale ha fatto una rivoluzione culturale e sociale, per cui si parla di ricerca delle origini. Tanti a livello internazionale vanno e si può trovare qualcosa.
  L'adozione nazionale invece si basa ancora su un assunto vecchio, che è il terribile segreto della nascita. L'ho anche spiegato in un testo recente, su cui baso le mie lezioni all'università, sia a Caserta (Napoli II), che a Firenze, dove abbiamo istituito un corso di perfezionamento sull'adozione. Questa è una delle tematiche che io tratto, perché è fondamentale ed è rischiosissimo non trattarla.
  A Firenze abbiamo avuto quattro casi di suicidio. Nell'ultima intervista che mi ha fatto, la giornalista de La Repubblica ha messo parte della mia intervista precedente, tanto la casistica era simile: un ragazzo indiano, comunque con pelle diversa, 18 anni, che stava bene in famiglia ma a scuola non era accettato, fragilità, identità. Uno addirittura si è suicidato dopo un ritorno forzato nel suo Paese. Sono temi assolutamente delicati.
  Nell'adozione nazionale, come dicevo, c’è il terribile segreto. L'assunto della legge del 2001 – a quell'epoca anch'io frequentavo la Serafini e gli altri legislatori e venivo spesso a Roma – parte con una affermazione: il diritto dell'adottato di sapere della propria «condizione». Questo è fondamentale, perché ha creato un grande passo avanti: mettere l'adottato al centro di una legge.
  In seguito, secondo me, si sono un po’ persi, con i 25 anni, la richiesta di autorizzazione, il giudice, lo psicologo e tutti questi filtri. Nel caso di un'adozione nazionale, una persona a 25 anni, per conoscere questo «terribile segreto» (la legge non dice così, ma cerco di spiegare cosa c’è dietro la nostra legge), deve essere preparata e sostenuta.
  Io sono membro della British association for adoption and fostering (BAAF), che è la più grande associazione di ricercatori e di genitori adottivi che fa scuola e fa ricerca, dove io sono l'unica italiana, così come sono l'unica italiana nell'American Adoption Congres(AAC). È difficile spiegare all'estero questo nostro percorso. È difficile spiegare perché i 25 anni, perché non c’è un diritto ad avere la scheda sanitaria che non si trova. Il diritto alla salute è fondamentale.
  Le non identify information (le informazioni non identificative), di cui si parlava prima, sono un diritto. Quanti adottati chiedono notizie ? Perché ? Una ricerca australiana ha dimostrato che la percentuale maggiore sono le donne, perché le donne partoriscono e si chiedono: che figlio metto al mondo ? Con quali problemi ? Di che razza ? Dietro c’è un segreto.
  Cosa può esserci di terribile in questi fogli ? Molto meno di quanto ogni adottato ha nella sua testa. Mi ricordo che mio figlio diceva: «sono un fantasma, sono figlio di una prostituta». Può essere. Cosa ne sai ? Si immaginano stupri, violenze, abbandoni nel cassonetto, che sono ormai una mitologia, e non la casistica vera.
  Poi scoprono che sono orfani, che vengono da famiglie povere, che c’è la guerra. L'adozione, anche in Italia, non è storia di abbandoni. Noi siamo molto attenti a usare la terminologica corretta. È una storia di bambini lasciati negli ospedali, grazie anche alla legislazione che ha permesso l'anonimato.
  Dietro questo terribile segreto, che deve essere accompagnato e filtrato da un altro, l'adulto adottato (che, secondo me, è la categoria più protetta di qualsiasi altra in Italia; non esiste nessuno che fino a 25 anni è accompagnato, protetto eccetera), c’è la terribile persona, brutta e cattiva, che è la madre di nascita. Noi nella terminologia internazionale la chiamiamo «madre di nascita», e non «naturale» o «biologica». Tutte le mamme sono biologiche e naturali. C’è questa madre terribile e cattiva, da cui è bene tenerli lontani, che pensiamo non lasci mai con sofferenza né con nostalgia questi bambini.
  Io credo che cambiare questa legge sia importante, non solo – mi permetto di dirlo – per un riconoscimento giusto agli adottati rispondendo al cambiamento sociale che abbiamo avuto, ma anche per Pag. 13rispondere alle tante storie. Io ne conosco molte, più all'estero che in Italia, perché in Italia hanno ancora difficoltà a farsi vedere, anche se non c’è più il tabù. Chi lascia non dimentica e comunque soffre.
  Sapete qual è il giorno più terribile ? Il compleanno. Per un adottato non è un giorno da festeggiare, perché è il giorno in cui qualcuno forse pensa a lui. Anche dall'altra parte è un giorno terribile, perché si pensa: «cosa ne è stato ? Ho preso una buona decisione scegliendo l'adozione ? È con una buona famiglia ? È vivo ? Sta bene ?».
  Occorre una legge che permetta la reversibilità, in questo caso, dell'anonimato e la possibilità di un contatto mediato, non di un'autorizzazione, ma di una mediazione. Ci vuole l'accompagnamento, ci vogliono operatori, perché non è facile per chi è ritrovato. È facile per chi cerca. Chi è ritrovato deve essere aiutato.
  Credo che sia un diniego che assolutamente può essere cambiato. Credo che sia il momento giusto, anche per equipararsi agli altri Paesi europei. Cito solo questo caso, visto che vi ho detto che faccio parte di un'associazione inglese: in Inghilterra non so da quanti anni esistono l'Adoption register, il Birth register e l'Adoption contact register.
  Io adottato mando un fax o una lettera e vengo messo in contatto con il genitore di nascita sullo stesso registro. Viene il mediatore, che è un assistente sociale e non un giudice. La legge dovrà anche decidere chi fa la ricerca, perché è assolutamente importante. Avete molto da fare. Ci sono tanti modelli in Europa che ci possono aiutare e tanta esperienza nel settore.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola a Loris Coen Antonucci, per lo svolgimento della sua relazione.

  LORIS COEN ANTONUCCI, Presidente dell'associazione Astro Nascente – Adozione e origini biologiche. Buongiorno. Grazie a tutti per avermi accolto per esprimere quello che pensa l'associazione di cui sono presidente in merito all'accesso alle origini biologiche.
  Io mi chiamo Loris Coen Antonucci e sono nato il 26 settembre 1971 a Roma. Vi leggo brevemente una lettera personale. Ventisei settembre 1971: un'altra mamma si trova ad affrontare una delle scelte più difficili e responsabili della sua vita, ma alla fine, dopo tante sofferenze, la decisione giusta è quella di darmi alla luce.
  Non conosco questa donna, perché ha preferito rimanere anonima. Non so nemmeno da quale Paese provenga, nulla di nulla. So solo che ha preferito farmi vivere piuttosto che abortire, scegliendo di darmi in adozione, perché non era in grado di assolvere al suo ruolo di genitore.
  Avevo solo tre mesi quando ho incontrato la mia famiglia adottiva e con loro ho inevitabilmente costruito la mia identità, fantasticando sui miei genitori biologici e sulle loro caratteristiche, ma senza mai sentirmi abbandonato, bensì affidato al cuore di un mondo che mi avrebbe accolto a braccia aperte.
  La mia identità è quello che sono oggi, frutto del mio vissuto col mondo esterno, con la mia famiglia adottiva e con i miei amici, quindi con persone reali, e non con dei genitori biologici mai conosciuti. Tante domande e tante risposte, ma alla fine una sola identità: la mia.
  Fin da subito ho avuto la sensazione che nella mia vita ci fosse qualcosa di particolare, poi la conferma di essere stato adottato, e da qui la curiosità di conoscere le mie origini, la mia storia e l'identità di chi mi ha messo al mondo, lontano da qualsiasi idealizzazione che potesse confondermi e deludermi.
  Da qui è nata l'idea di fondare l'associazione Astro nascente – Adozione e origini biologiche. L'associazione Astro nascente ha sempre avuto come obiettivo principale il riconoscimento del diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche. Dal 2012 è anche membro del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani.
  Dal 2001, anno di costituzione, a oggi, abbiamo maturato molte conoscenze e molta sensibilità in merito e siamo convinti che qualsiasi legge o provvedimento Pag. 14che regoli i rapporti umani vada sotto un unico comune denominatore: il rispetto di tutte le parti coinvolte.
  Parlando di origini biologiche e di adozioni, il fattore umano entra in gioco per primo e sappiamo tutti quanto un minimo errore o leggerezza possa essere devastante. Se si parla di origine, proprio da queste dobbiamo partire, nel valutare gli elementi umani e psicologici che saranno toccati, tenendo presente che tutto comincia da una madre, che ha scelto di partorire in anonimato.
  Si tratta di una scelta difficile e dolorosa, ma spesso necessaria per migliaia di donne che hanno avuto l'esigenza di crearsi una nuova vita, lontano dalle sofferenze di una particolare situazione che non erano in grado di sostenere.
  Tali sofferenze hanno richiesto da parte della donna l'attuazione di meccanismi di difesa molto importanti per la ricostruzione del sé, tanto da impedire a molte di loro di tornare nuovamente sull'argomento.
  Se tale anonimato venisse a cadere, senza che sia l'interessata stessa a volerlo per prima e di sua spontanea volontà, si determinerebbe in lei una vera destabilizzazione del sé e della propria identità.
  Il diritto alla segretezza del parto va tutelato e lo Stato deve mantenere l'impegno assunto nei confronti delle donne che se ne sono avvalse.
  Per questo motivo Astro nascente considera pericolosa la sentenza della Corte costituzionale, pronta a fare irruzione nella privacy di migliaia di madri che hanno scelto di rimanere anonime, ma anche nella vita di molte famiglie che intorno a esse si sono create e che potrebbero essere all'oscuro di tutto.
  Il diritto all'anonimato è sempre stato un’àncora di salvezza per migliaia di donne, e se ora si andasse a distruggerlo, invadendo la loro privacy, si creerebbe un danno enorme, dovuto appunto a una leggerezza di valutazione.
  La verifica della perdurante volontà della madre naturale di non voler essere nominata, che la decisione della Corte impone al legislatore, comporterà una pesante intrusione nella vita privata di molte donne, che, ad anni di distanza dal parto, saranno chiamate a dover rendere conto di una scelta fatta in circostanze drammatiche, vedendo quindi messa a repentaglio la propria serenità personale e la propria situazione familiare.
  La consapevolezza per queste donne di essere esposte in un futuro imprevedibile a una simile intrusione nella loro sfera intima, con le inevitabili ripercussioni negative sui rapporti familiari da esse instaurati, aumenterà il rischio di aborti e di abbandoni selvaggi, quando non anche di infanticidi, nefaste evenienze che la normativa finora in vigore ha arginato.
  È forse giusto disturbare queste donne per domandare loro se sono intenzionate a recedere dal loro anonimato, prima ancora che siano loro stesse a decidere se essere disturbate ? Non è forse lo Stato che ha concesso loro di evadere da una vita che non potevano sostenere ? Allora, perché improvvisamente si sente in diritto di entrare nelle loro vite senza il loro consenso, risvegliando quello che hanno nascosto dietro di loro in tanti anni di dura accettazione ? Perché non lasciare a loro la decisione di venire allo scoperto quando si sentono di farlo, senza che ci sia un'intrusione dall'esterno ?
  Inoltre, cosa ne sarebbe delle neomamme che decidessero di partorire nell'anonimato da qui all'avvenire ? Farebbero forse la scelta di non abortire, sapendo che in futuro qualcuno potrà riportare alla luce una difficile parentesi della loro vita, solo per esaudire l'egoistica curiosità di conoscere chi l'ha messo al mondo, per di più dando la motivazione di completare la propria identità ?
  L'identità di una persona non dovrebbe essere già formata prima di quel momento ? La nostra identità si costruisce durante un processo di interazione con la realtà e con le relazioni più significative instaurate fino a quel momento, soprattutto nel corso della prima infanzia. È nel quotidiano di queste relazioni che si definisce la personalità di ciascuno di noi, indipendentemente dal patrimonio genetico di cui siamo portatori.Pag. 15
  Astro nascente è assolutamente d'accordo nel seguire una linea più morbida rispetto a quella dell'attuale legislazione, purché si rimanga fedeli alla tutela dei diritti delle altre parti coinvolte.
  È comprensibile il desiderio di voler conoscere l'identità della propria madre biologica, ma non riteniamo giuridicamente e moralmente giusto irrompere nella vita di quest'ultima per domandarle, a distanza di anni, se vuole revocare il suo stato, perché ciò potrebbe risvegliare in lei un evento traumatico che con gli anni ha cercato di accantonare e rendere privato.
  A nostro parere, solo alla madre biologica deve essere consentito di esprimere la propria disponibilità a incontrare il proprio nato, garantendo così la necessaria riservatezza.
  In questa direzione di rispetto reciproco si muovono la proposta di legge n. 1343 del 2013, che la nostra associazione ha sviluppato in collaborazione con l'onorevole Micaela Campana, e la proposta di legge dell'onorevole Rossomando. Entrambe prevedono un meccanismo molto simile di garanzia dell'anonimato della partoriente, lasciando a questa l'iniziativa, senza che ci sia alcuna ricerca contro o senza la sua consapevolezza e volontà.
  Qualora il figlio in un altro momento chieda di conoscere la madre biologica, la sua richiesta si incontrerebbe con la disponibilità già acquisita della madre, che ha scelto, in modo indipendente dalla richiesta promossa dall'adottato, di rendere note le sue generalità.
  Astro nascente sostiene i contenuti e le finalità di entrambe le proposte, in quanto le procedure previste non violano, ma rafforzano l'impegno assunto dallo Stato con la legge di non segnalare ad alcuno i nominativi delle donne che, proprio sulla base di questa garanzia di anonimato, non sono ricorse all'aborto e al parto clandestino, e responsabilmente non hanno riconosciuto i loro nati, perché non erano in grado di provvedere alle loro esigenze.
  Solo a loro, pertanto, sarebbe consentito in qualsiasi momento di revocare il diritto all'anonimato, segnalando la loro disponibilità a incontrare il loro nato, quando un figlio adottivo non riconosciuto alla nascita chiede di accedere all'identità della madre biologica.
  Seguendo la procedura prevista dall'articolo 28 della legge n. 184 del 1983, il tribunale per i minorenni potrà accogliere la sua istanza solo nel caso in cui la madre biologica abbia, in forma spontanea, precedentemente deciso di tornare sulla sua propria decisione.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Ivaldi per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIA CRISTINA IVALDI, Rappresentante dell'associazione Famiglie per l'accoglienza. Sarò brevissima.
  Preliminarmente, tengo a dire che stiamo parlando di una situazione in cui i sentimenti personali sono pesantemente coinvolti.
  Io, ad esempio, non sono una figlia adottiva e, quindi, non mi permetto neanche di immaginare che cosa voglia dire essere alla ricerca delle proprie origini.
  Prima di leggere brevemente gli appunti che abbiamo redatto come Famiglie per l'accoglienza, mi preme dire che sono essenzialmente una giurista. Lo scopo della legge purtroppo non può essere quello della risposta alla domanda dei singoli, ma un tentativo di dare una risposta che sia condivisibile.
  In questa materia ci sono degli interessi parimenti rilevanti dal punto di vista costituzionale, per cui si richiede un bilanciamento, che non può essere favorevole a una categoria e a detrimento dell'altra.
  Ad esempio, il principio di riservatezza è riconosciuto sia dalla giurisprudenza costituzionale (mi riferisco all'articolo 2 della Costituzione) sia dalla giurisprudenza convenzionale della Corte Europea (mi riferisco all'articolo 8). Queste sono le norme che costituiscono il fondamento anche del diritto al riconoscimento delle proprie origini. Noi abbiamo due diritti contrapposti con una fonte normativa identica. È oggettivamente difficile per il legislatore cercare di contemperare queste esigenze.Pag. 16
  Noi abbiamo fatto una breve analisi, partendo proprio dalla lettura delle diverse proposte di legge. La nostra chiave di lettura è la sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013 perché ci sembra che dica qualcosa di diverso rispetto a quello che è emerso in questa breve discussione.

  FRANCESCA BUSINAROLO, [fuori microfono]. Ci può dire l'anno della sentenza ?

  MARIA CRISTINA IVALDI, Rappresentante dell'associazione Famiglie per l'accoglienza. La sentenza è recentissima, cioè dell'autunno dello scorso anno.
  La Corte costituzionale ha censurato l'irreversibilità della scelta di anonimato della madre che al parto dichiari di non voler essere nominata e ha indicato come necessaria una nuova normativa che dia spazio alla sua eventuale resipiscenza.
  Le varie proposte di legge presentate intendono dare applicazione a quanto deciso dal giudice delle leggi, che non si può evitare, ma occorre con prudenza cercare di ottenere il massimo risultato con i minori danni possibili.
  Come associazione, riteniamo che la tutela la più efficace possibile dell'anonimato della madre sia un valore molto importante, soprattutto per il momento in cui viene prestata, cioè al momento del parto. È un dato di civiltà, secondo noi, rispettare la donna, così come ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale, perché questo rappresenta un importante elemento pro life. Il diritto alla riservatezza e, quindi, all'anonimato, in realtà, copre anche la tutela della vita del nascituro.
  La garanzia dell'anonimato è un principio che non viene posto in dubbio dalla Corte costituzionale. Si può fare riferimento anche a una precedente sentenza della Corte, che era stata di totale rigetto della questione di costituzionalità: la sentenza n. 425 del 2005. La Corte, nella decisione che ho prima richiamato, diceva che «il fondamento costituzionale del diritto della madre all'anonimato riposa nell'esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni, tali da generare l'emergenza di pericoli per la salute psicofisica e la stessa incolumità di entrambi, o da creare al tempo stesso le premesse perché la nascita possa avvenire nelle migliori condizioni possibili». Questo è nel Considerato in diritto al paragrafo 3.
  Molte delle proposte di legge (Marzano, Santerini, Cesaro, Bossa) in sostanza indeboliscono, fino quasi ad annullare, questa tutela della riservatezza della madre e, quindi, in qualche modo vanno anche contro ciò che ha disegnato la Corte costituzionale nella sentenza n. 278.
  Infatti, in questa sentenza, il vulnus che conduce alla dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 28, comma 7, non è il segreto, bensì la sua irreversibilità. Questo deve essere reversibile. Il problema adesso è vedere in che forme si può esercitare la reversibilità di questo diritto all'anonimato prestato nel momento della nascita del neonato.
  Alcune delle proposte di legge, di fatto, portano a un automatismo. Ad esempio, una delle proposte prevede che dopo i quarant'anni il soggetto possa avere accesso a queste notizie direttamente, senza sentire gli interessati. A noi sembra che, vista la longevità attuale, il termine dei quarant'anni non sia troppo congruo rispetto a un automatismo. Peraltro, qui si è evocata più volte l'esistenza di eventuali altri fratelli. Gli interessi da tutelare sono, quindi, quelli della madre biologica o madre naturale, quelli dei figli dati in adozione, ma anche quelli di eventuali famiglie che si sono formate queste donne (è di donne che stiamo parlando).
  Questo, del resto, mi sembra anche l'atteggiamento che ha tenuto la Corte europea di Strasburgo in due sentenze, in quella che viene citata nei progetti (Godelli contro Italia), ma ancor più in quella Odièvre contro Francia, dove il problema è proprio la reversibilità.
  Noi pensiamo – e su questo siamo abbastanza in sintonia con le proposte di legge Campana e Rossomando – che ci debba essere una dichiarazione spontanea Pag. 17della madre, depositata dal Garante per la privacy o in altri modi, che poi si può eventualmente incontrare con la richiesta di informazione da parte del figlio.
  Saremmo invece contrari all'ipotesi in cui, al raggiungimento dei 25 anni del minore adottato, il soggetto possa essere contattabile attraverso tribunali eccetera, perché questo potrebbe sconvolgere o comunque alterare gli equilibri. Venticinque anni sono veramente un periodo breve di tempo, tenuto conto che la madre naturale in molti casi è una minorenne.
  Concludo sull'accesso a tutte quelle informazioni che non sono identificative. Mi sembra che su questo nessuna proposta di legge, se non una, sia puntuale. È richiesto, a nostro giudizio, un maggior dettaglio. Avere una scheda sanitaria, con tutti i dati non identificativi, che comunque sono importanti per un adottato (la nazionalità, le eventuali presenze di malattie genetiche in famiglia) dovrebbe essere garantito.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti per i loro interventi. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Buonasera. Vi ringrazio per essere intervenuti e soprattutto per aver portato una ventata di esperienze personali, anche perché in Commissione giustizia si parla prettamente in termini tecnici e giuridici. È stato interessante sentire le esperienze personali delle persone coinvolte dalla viva voce vostra.
  Io ho una domanda. Abbiamo capito che è molto difficile l'incrocio tra la domanda di conoscere le proprie origini e eventualmente l'incontro con la madre adottiva. Nei casi che si sono verificati, nei quali appunto c’è stato questo incontro, quanti hanno risposto «sì» e quanti hanno risposto «no» ?
  Sarebbe utile avere una percentuale, per capire se effettivamente siamo sulla strada giusta. Quante donne hanno detto «sì, sono contenta e voglio incontrarti», e quante hanno risposto «no» ? Secondo me, è importante questo dato.
  C’è stato un piccolo spunto da parte della dottoressa sulla normativa inglese. C’è qualche altra normativa che avete da suggerirci ? Mi viene in mente la Spagna, che ha un ordinamento simile al nostro. In Inghilterra è un common law, quindi è un po’ diverso. Vorrei sapere se avete dei suggerimenti per il nostro studio.
  Vi vorrei inoltre rassicurare sul fatto che non ci sono molti colleghi della Commissione. La vostra presenza qui è importante ed è registrata. Magari il presidente ve l'ha già detto, ma mi preme farvelo sapere. Anche i testi che ci avete lasciato ci serviranno per il nostro studio, per poi poter emendare le varie proposte di legge. Grazie.

  PRESIDENTE. Su queste richieste che sono – mi pare di capire – di approfondimento istruttorio e di conoscenza, naturalmente saranno utili anche dei contributi scritti, che potrete farci avere, sia per quanto riguarda i dati (non tanto dati statistici, ma quelli che potete ricavare dalla vostra esperienza) sia per quanto riguarda le ipotesi di diritto comparato che venivano evocate e che nel corso dell'attività delle vostre associazioni e dei vostri sodalizi avete potuto incrociare. Credo che potrebbe essere un contributo utile nella direzione che ciascuno, per la posizione che sostiene, ritiene sia coerente.
  L'invito è che questi contributi possano pervenire alla Commissione il più rapidamente possibile.

  MARIA CRISTINA IVALDI, Rappresentante dell'associazione Famiglie per l'accoglienza.
  Prima della sentenza della Corte costituzionale e di questi progetti di legge che cercheranno di colmare un vuoto legislativo, non c'era la possibilità giuridica di essere interpellata dal punto di vista istituzionale per verificare la disponibilità al consenso. Ciò a cui abbiamo assistito sono tentativi e iniziative personali che sono andati a buon fine.
  Un'altra cosa che mi preme dire è che attualmente questa normativa andrà a incidere sui minori che nascono in Italia, Pag. 18le cui madri fanno una dichiarazione di segreto, che sono in media 400 l'anno.
  Probabilmente la legge avrà anche (bisogna vedere se è possibile) una retroattività.

  ANNA ROSSOMANDO. Innanzitutto voglio esprimere apprezzamento per la ricchezza dei contributi che son venuti dall'odierna audizione.
  Prima di arrivare a una domanda finale (sarò molto veloce, per consentire a tutti di attendere alle proprie preoccupazioni), vorrei dire che mi sembra che possiamo cominciare a sottolineare delle linee direttrici che emergono, seppure da posizioni non strettamente coincidenti.
  Da un lato c’è un diritto all'informazione su questioni che abbiamo riassunto nella scheda sanitaria, che è un diritto che sta in questo problema, ma che sicuramente è quello che può essere condiviso trasversalmente da tutte le ipotesi, perché non va a intersecare altri temi che sono invece più delicati. Io penso che questo faccia parte dell'evoluzione della nostra società. Sono problemi in un certo qual modo nuovi, perché la società è molto evoluta.
  È stato citato – lo usiamo come esempio, anche se è un po’ sui generis – il caso del film «Filomena», che tutti abbiamo visto ed è un bellissimo film. Non a caso, quella è una realtà per fortuna superata. Stiamo parlando di una madre che è stata costretta a separarsi dal figlio, non da difficili circostanze che c'erano, ma addirittura con la forza e con l'inganno. È una realtà che, per fortuna, perlomeno in alcuni Paesi e sicuramente nel nostro, è quasi totalmente superata.
  In quel caso, comunque, il problema è superato da una posizione soggettiva del genitore. Il problema non sta ovviamente nella madre che, già dall'inizio, vorrebbe ricercare, anche angosciosamente, questo figlio, come ad esempio avviene nella storia che viene narrata e come in parte è stato esposto in una testimonianza oggi. Questo è un pezzo della questione.
  C’è poi un'evoluzione di come vengono vissute le adozioni affrontate. Sicuramente la mia è una cognizione parziale rispetto a quella di chi ci sta dentro da tanti anni, come esperienza personale o lavorativa, però mi sembra d'aver capito dagli approfondimenti che mi sono stati rappresentati che in passato, per esempio, la stessa famiglia adottante non diceva al figlio che era adottato. Se lo vieni a scoprire dopo, questo ha un impatto molto forte. Invece adesso c’è un approccio che è cambiato radicalmente rispetto alle persone adottate. Io immagino che sia una cosa complicata, ma ormai la scelta è quella di dirlo.

  ANNA GENNI MILIOTTI, Rappresentante dell'Associazione ITALIADOPTION [fuori microfono]. È un dovere dei genitori adottivi !

  ANNA ROSSOMANDO. Appunto, c’è stato un cambiamento. Sicuramente sarebbe interessante sapere – io non so se ci sono dei dati su questo – che incidenza numerica c’è, tra i figli adottati, di coloro che vogliono assolutamente e legittimamente conoscere il genitore biologico. Sarebbe curioso indagare anche sul fatto che si cerca la madre.
  Noi intersechiamo un portato culturale che, in quanto tale, non può essere svalutato, ma è un portato molto profondo. Ovviamente non attendo una risposta, ma potrebbe arricchirci. Sarebbe interessante sapere, per esempio, quanti ricercano tra quelli che l'hanno saputo subito e tra quelli che l'hanno scoperto dopo.
  In tutto questo campo, c’è anche la questione dell'identità. Noi ci troviamo nel difficile compito di normare una questione che ha a che vedere con l'identità, che è un concetto molto individuale, soggettivo, filosofico e in cui entrano tante cose. Noi dobbiamo normarlo.
  Ho il massimo rispetto e considerazione per chi è protagonista di queste storie, però, in quanto storie di singoli, vanno contestualizzate. Per esempio, la storia che ci è stata esposta oggi parte da una situazione particolare in cui sicuramente non c'era una volontarietà, mentre invece ci possono essere altre situazioni.Pag. 19
  Credo che sia giusto quello che è stato detto: la questione dell'anonimato nasce proprio per tutelare anche la vita nascente e per essere un'alternativa ad altri tipi di decisione. Anzi, noi, come Parlamento, ci stiamo molto impegnando a rendere sempre più assistita questa decisione.
  Siccome le leggi devono parlare a tutti e dare delle risposte ai singoli, risolvendo con dei princìpi, penso che stare sul solco della sentenza sia sicuramente un punto di partenza, dando per acquisita e risolta la questione sanitaria, che è un diritto fondamentale che attiene al diritto alla salute.
  Io non vorrei mai che si contrapponesse un diritto della madre a un diritto del figlio. Seconde me, non è una chiave di lettura che ci aiuta, perché al centro c’è un istituto che vuole tutelare sicuramente anche una vita nascente, quindi un'alternativa. Occorre sapere anche che ci muoviamo in un contesto. Il problema, in realtà, non sussiste se la madre ha già deciso che vuole anche lei avere quest'incontro. Rimane una parte residuale di chi invece non vuole e a quel punto c’è la necessità di bilanciamento.
  Dico questo, perché quando dobbiamo approcciare temi che necessariamente devono avere una disciplina giuridica, la nostra forma mentale è quella di provare a semplificare e a sgombrare il campo.
  Sarebbe utile avere questi dati, perché se partiamo solo dalle testimonianze (che sono sicuramente importanti) rischiamo di non avere un quadro completo.

  PRESIDENTE. Anche questo contributo sarà utile per i lavori della Commissione.
  Ringrazio tutti voi per gli interventi. Naturalmente il compito della Commissione sarà quello di cercare il bilanciamento tra il cosiddetto «diritto all'oblio della madre» e il diritto all'identità del figlio. Non è un compito semplice. Vi ringraziamo per il contributo che anche voi avete dato.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.