XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 28 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 631-B  RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI, VISITA A PERSONE AFFETTE DA HANDICAP IN SITUAZIONE DI GRAVITÀ E ILLECITI DISCIPLINARI

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, di rappresentanti dell'Unione delle camere penali italiane, di Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, e di Enrico Marzaduri, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa.
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Pignatone Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Marzaduri Enrico , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Marzaduri Enrico , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Turco Tancredi (M5S)  ... 20 
Sarro Carlo (FI-PdL)  ... 20 
Rossomando Anna (PD)  ... 20 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 23 
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (fuori microfono) ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (fuori microfono) ... 24 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 26 
Pignatone Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 26 
Spigarelli Valerio , Presidente dell'Unione delle camere penali italiane ... 26 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 27 
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 27 
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 
Ferri Cosimo , Sottosegretario di Stato alla giustizia ... 27 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 
Ferri Cosimo , Sottosegretario di Stato alla giustizia ... 28 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, di rappresentanti dell'Unione delle camere penali italiane, di Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, e di Enrico Marzaduri, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposta di legge C. 631-B, approvata dalla Camera e modificata dal Senato, recante disposizioni in materia di misure cautelari personali, visita a persone affette da handicap in situazione di gravità e illeciti disciplinari, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle camere penali italiane, di Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, e di Enrico Marzaduri, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa.
  Ringrazio i colleghi. Il relatore Sarro mi pare che avesse un impegno, una riunione, per cui non so se riuscirà a venire durante l'indagine conoscitiva. Comunque, sono presenti la relatrice Rossomando e il Governo.
  Sono presenti la ANM, nella persona del Presidente Rodolfo Maria Sabelli, l'Unione delle camere penali italiane, nella persona del Presidente Valerio Spigarelli, il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, e il professor Enrico Marzaduri, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa.
  L'indagine conoscitiva terminerà il prossimo 4 giugno.
  Darei la parola per primo, se non ci sono problemi, al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone.
  Siamo in terza lettura di un provvedimento sulla riforma della custodia cautelare, atteso e voluto, d'iniziativa parlamentare. C’è stata la richiesta di un approfondimento ulteriore da parte dei Gruppi, che è stata avallata e condivisa anche dai relatori, per cercare – il Parlamento farà la propria sintesi – di verificare eventuali profili ulteriormente problematici che possano essere adeguatamente corretti.
  Do la parola al procuratore Pignatone.

  GIUSEPPE PIGNATONE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Grazie, naturalmente, dell'invito. Conosco anche i problemi regolamentari della «doppia conforme», ma mi consentirete, spero, una brevissima riflessione di carattere minimamente generale.
  È chiaro anche a me il contesto emergenza carceri, con la sentenza della Corte europea, in cui si inserisce questo tema. Ciononostante, non credo che si possano Pag. 3subordinare completamente e travisare le regole del processo penale, nonché trascurare le esigenze di tutela della collettività, nel delicato equilibrio che devono avere con quelle garanzie al cittadino, rispetto alla necessità di svuotare le carceri. Per svuotare le carceri ci sono molti altri provvedimenti che sono stati approvati o che sono in corso di esame da parte del Parlamento. Sono normative mirate e specifiche.
  Quali sono i punti di preoccupazione su questo disegno di legge che io esprimo a titolo – sia chiaro – assolutamente personale, per quello che può valere, sulla base di un'esperienza ormai anche troppo lunga ? Sono preoccupazioni, ripeto, sulla base dell'esigenza di tutela della sicurezza pubblica e della collettività.
  Proprio con riferimento alla mia esperienza, che definisco anche troppo lunga, troppe volte in passato abbiamo visto in questa materia della custodia cautelare e, parallelamente, della sicurezza pubblica e delle garanzie del cittadino che, quando, da un lato, si tocca un eccesso, con un effetto che io ho definito come quello del pendolo che torna troppo violentemente indietro, dall'altro spesso ci siamo trovati tutti – lo Stato nelle sue varie articolazioni, il legislatore, la magistratura, gli operatori – a fare precipitosamente marcia indietro e poi magari ad andare oltre il punto di giusto equilibrio.
  Basta un fatto eclatante, a cui magari non si riesce a corrispondere da parte degli organi delegati allo Stato, perché così vuole la legge del momento, e poi magari succede quello che ho detto. Questa è la preoccupazione che mi ha mosso in un intervento in un convegno scientifico, che poi è stato ripreso e che forse è alla base anche del vostro cortese invito a parlare dell'aggancio previsto con l'articolo 656 del Codice di procedura penale.
  Prima di affrontare quel tema, però, permettetemi di esprimere un'altra preoccupazione, che riguarda l'inserimento del requisito dell'attualità sull'articolo 274, lettere b) e c). Per cercare di evitare la lettura dei testi di legge – credo che siamo tutti addetti ai lavori – mi riferisco al cosiddetto pericolo di fuga e al cosiddetto pericolo di reiterazione del reato. Vado per sintesi. Già oggi la legge prevede il concreto pericolo ed è stato aggiunto, nel corso dei lavori, l'attuale pericolo.
  La preoccupazione che voglio esprimere è questa: se dobbiamo dare alla parola «attuale», calata nel testo di legge, il significato che ha nel vocabolario italiano, uno di quelli più diffusi è: «che esiste nel presente», noi rischiamo di non poter mai più ricorrere alle misure cautelari – per misure cautelari, dato che stiamo parlando dell'articolo 274, intendo non soltanto la custodia cautelare in carcere, ma anche tutte quelle minori, fino all'obbligo di firma o al divieto di espatrio – al di fuori dei casi di flagranza o dell'immediata minima distanza temporale dei fatti.
  Procedo per esempi e non per ragionamenti, il che mi sembra più semplice. Non parlo neanche dei reati della pubblica amministrazione, per i quali tutti sappiamo che ci vogliono indagini lunghe, sofisticate e complesse, per cui l'accertamento arriva a distanza di tempo. Lasciamo perdere i reati della pubblica amministrazione, che sono sempre oggetto e fonte di polemica.
  Parliamo, invece, dei reati di strada, di maggiore allarme sociale, come si dice. Pensiamo alle violenze di genere, a rapine e furti particolarmente odiosi in abitazione, a scippi violenti, a estorsioni che non siano di tipo mafioso, a bancarotta, truffa e reati economici. Salvo il caso dell'arresto in flagranza, che per alcuni di questi reati palesemente non ci può essere, si tratta di reati che normalmente richiedono indagini più o meno complesse per identificare l'autore. Passa, quindi, inevitabilmente un certo periodo di tempo per trovare il responsabile. Poi ci vuole il tempo fatale, minimo, che in realtà minimo non è, della richiesta e del provvedimento del GIP. Chi potrà mai dire che ci sia l'attualità del pericolo in relazione anche a reati assai gravi ?
  Anche in relazione alla violenza di genere possiamo fare riferimento a tantissimi episodi. Se, per esempio, è cessata Pag. 4la relazione interpersonale in cui quella violenza si era inserita, le stesse recidive che dovessero registrarsi a carico dell'autore identificato sono irrilevanti. Se abbiamo una recidiva nel certificato penale, infatti, evidentemente si tratta di fatti vecchi.
  Mentre la gravità del fatto o la recidiva sostengono oggi un giudizio di concretezza del pericolo, non potrebbero, io penso – naturalmente, la dottrina prima e la Cassazione dopo ci daranno le linee da seguire e noi le seguiremo diligentemente – che l'inserimento del requisito dell'attualità costituisca un serissimo problema per le esigenze di tutela della collettività da cui il mio ragionamento è partito.
  Ripeto – e chiudo – che naturalmente tutto questo si esalta per i reati dei colletti bianchi, della pubblica amministrazione e via elencando. È chiaro non ci sarà mai in queste condizioni l'attualità del pericolo e sottolineo ancora che questo requisito non varrebbe soltanto per il carcere, ma anche per tutte le altre misure.
  L'altra criticità è quella a cui avevo fatto riferimento un minuto prima, quella dell'aggancio fra la previsione delle misure cautelari, in questo caso sia custodia cautelare in carcere, sia arresti domiciliari, con riferimento alla possibilità che sarebbe vietata l'adozione di queste misure laddove si pensasse che il giudice deve prevedere che all'esito del futuro giudizio l'imputato che dovesse diventare condannato possa beneficiare della sospensione dell'esecuzione. Non parlo del provvedimento del beneficio penitenziario, che è un'altra cosa, ma della mera sospensione di cui all'articolo 656, comma 5.
  L'ANM – lo so per gli ovvi rapporti, anche di ufficio, col dottor Sabelli – ha fatto una relazione molto dettagliata, che illustrerà, con tutta una serie di problemi tecnici. Peraltro, io non sono neanche un esperto di esecuzione, e lo dico senza problemi. Quindi, mi limito a due osservazioni di fondo.
  La prima domanda che mi pongo è la seguente: che c'entra la misura della pena finale con le esigenze cautelari ? Se c’è un pericolo concreto di inquinamento probatorio, se c’è un pericolo concreto – non so se poi dovrà essere anche attuale – di fuga, se c’è un pericolo concreto di reiterazione del reato, tutte misure che servono per la tutela della collettività, qual è il rilievo per cui noi non dovremmo poter adottare né misure cautelari in carcere, né custodia agli arresti domiciliari, perché il giudice prevede (non si sa bene come, quando e perché) che la sentenza definitiva, che avverrà fra anni e su cui interverranno chissà quanti altri elementi, possa rientrare nei limiti del 656, comma 5, dell'attuale Codice di procedura penale ?
  Questa mi sembra una domanda a cui non è facile rispondere, senza considerare che oggi l'articolo 656, comma 5, è parametrato, come ipotesi base, a tre anni, nel senso che vi sono progetti di legge preannunziati o presentati – confesso di non saperlo – di un aumento a quattro. Ci sono anche delle possibilità, che il dottor Sabelli credo esplicherà meglio, che già oggi i parametri siano ancora più alti.
  Per l'esperienza concreta che tutti noi abbiamo nei tribunali, una pena definitiva di tre anni copre una serie di reati gravi o gravissimi – lasciamo perdere le aggettivazioni – come possono essere alcune rapine che non siano, come ho detto una volta, col kalashnikov in banca, furti aggravati, ancora violenze di genere, bancarotte, corruzioni, finanziamento illecito ai partiti, per cui pure c’è una previsione espressa addirittura di possibilità di custodia cautelare in carcere.
  In merito a questo quesito di fondo – ossia che cosa c'entra una cosa con l'altra – io mi chiedo e vi chiedo che senso abbia vietare l'adozione degli arresti domiciliari con riferimento a un parametro, quello dei benefici penitenziari, che tra l'altro prevede la detenzione domiciliare. Abbiamo addirittura l'assurdo di non poter adottare, nella fase delle indagini preliminari, una misura, quella degli arresti domiciliari, che potrebbe essere adottata, mutando soltanto la definizione in detenzione domiciliare, dopo la sentenza definitiva.
  Passo a un altro elemento ancora di grande preoccupazione. Che senso ha questo divieto collegato alla mera possibilità Pag. 5di sospensione, che prescinde totalmente da qualunque valutazione del futuro giudice di sorveglianza ? Questo, per esempio, non tiene conto della recidiva, perché la sospensione viene intanto concessa per tutti questi reati sotto quella soglia aritmetica. Poi il giudice di sorveglianza magari non darà la valutazione, in quanto si tratta di recidiva o di reati non meritevoli, con ulteriori prognosi, che certo non possiamo prevedere oggi per quello che sarà fra tre, quattro od otto anni.
  Ancora una volta, questa ripetizione può essere data all'infinito e, quindi, all'infinito sarà vietata l'adozione di misure cautelari. Lascio al dottor Sabelli di approfondire il tema in termini più tecnici e passo a un altro argomento.
  Il testo prevede, nella fase del tribunale del riesame, che, in caso di annullamento, non sia possibile, contrariamente alla previsione attuale, che la misura venga emessa nuovamente – parlo di annullamento per ragioni formali, cioè di trasmissione degli atti in ritardo o di deposito in ritardo delle motivazioni – salvo casi eccezionalissimi, che debbono essere specificatamente motivati.
  Anche su questo punto confesso di non capire quale sia il nesso fra una disfunzione che può essere della cancelleria, nel caso della mancata trasmissione degli atti, del singolo giudice, del caso del ritardo della motivazione, o comunque dell'apparato giustizia, se non vogliamo fare queste distinzioni, e le esigenze di tutela della collettività. Oggi la legge prevede che si debba procedere a un nuovo interrogatorio e dare, quindi, la possibilità di esplicitare le difese. Poi il giudice valuterà nuovamente un'ipotesi di misura cautelare.
  Anche qui, perché sacrificare la tutela della collettività su un dato meramente formale, che può dipendere da tante cose, dalla macchina della giustizia, che è nelle condizioni che tutti sappiamo, a comportamenti di non particolare collaborazione di qualcuna delle parti e via elencando ? Perché ? Che c'entra questo con il sacrificio delle ragioni di tutela della collettività ?
  Accenno soltanto a una norma introdotta dal Senato, la quale, penso per errore, prevede la presunzione assoluta di ricorso alla misura cautelare in carcere per l'articolo 74 sugli stupefacenti – la Corte costituzionale l'ha già bocciato una volta; non vedo perché ce lo dobbiamo fare bocciare una seconda volta – e sul 416-ter, che è di nuova elaborazione, ma che, a occhio e croce, non mi pare avrebbe un miglior destino di fronte alla Corte costituzionale.
  Vado a concludere per quanto mi riguarda. Io penso che ci siano serie ragioni di preoccupazione per la tutela della collettività. C’è una seria ragione anche di sicurezza avvertita, che va al di là delle statistiche, su cui, per esempio, oggi incide non poco tutta l'attuale situazione normativa della legge sugli stupefacenti, dopo le ulteriori modifiche, con la stranezza che, in relazione all'articolo 73, comma 5, è consentito l'arresto in flagranza, ma non è consentita la misura cautelare.
  Questo può accadere. È chiaro che fra breve non accadrà più, perché nessuno arresterà in flagranza qualcuno che non può essere oggetto di misura cautelare, ma anche questo sulla sicurezza avvertita avrà il suo peso. Questa, però, è una digressione che non c'entra.
  A me sembra che le due questioni di cui ho parlato, ossia l'attualità del pericolo e l'articolo 656, meritino, nonostante il problema, che conosco, della doppia conforme, un'ulteriore riflessione.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, procuratore. È presente ora, e lo ringrazio, perché ha superato alcuni suoi impegni, anche l'altro relatore, l'onorevole Sarro.
  Adesso, proprio per un'alternanza, perché siamo in fase di corsa finale, vorrei dare la parola alla dottrina, ossia al professor Marzaduri.

  ENRICO MARZADURI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa. La ringrazio per questa occasione, ma meno che mai parlerei di dottrina. Ovviamente in questi settori i Pag. 6distinguo tra un approccio accademico e un approccio pratico sono estremamente pericolosi. Vorrei sfruttare proprio la metodologia che ha seguito il procuratore della Repubblica per inserire alcune sue riflessioni e farei un primo momento di riflessione generale sulla proposta di legge.
  Ci si muove all'interno di un tentativo di razionalizzazione dell'istituto, con passaggi che attengono alla valorizzazione del principio di proporzionalità, anche se, rispetto al testo precedente, ci sono stati dei passi indietro indubbi.

  PRESIDENTE. La Camera è sempre un po’ più avanti del Senato.

  ENRICO MARZADURI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa. Ci si muove nella logica della valorizzazione della prospettiva cautelare, anche se, secondo me, il grosso problema della nostra custodia – definiamola cautelare – è costituito non tanto dalla motivazione sulle esigenze cautelari, quanto dalla sua durata. A mio avviso, l'assimilazione alla pena nasce da un dato fattuale: l'esistenza di custodie cautelari che si avvicinano e che talora addirittura superano le pene che vengono inflitte all'esito del giudizio.
  Io sono meno che mai uno che parla di provincialismo dei giuristi italiani, anzi, secondo me noi siamo tra i migliori cultori di questo settore. Tuttavia, viviamo in un panorama in cui, non soltanto dal punto di vista normativo, ma anche dal punto di vista giurisprudenziale, dobbiamo stare molto attenti a ciò che viene da Strasburgo. Se diamo uno sguardo alla realtà giurisprudenziale della Corte europea, ci accorgiamo che le prospettive sono radicalmente diverse, nel bene e nel male.
  Nel male perché, per esempio, l'ordine pubblico è uno tra i quattro elementi che vengono considerati, sia pure con estrema attenzione, dalla giurisprudenza di Strasburgo per giustificare la custodia cautelare. Del resto, come sapete meglio di me, il Codice di procedura penale francese continua a contemplare un'ipotesi di valorizzazione dell'ordine pubblico, in sostanza del nazista allarme sociale, per giustificare la custodia in carcere.
  Dall'altra parte, la giurisprudenza di Strasburgo è estremamente attenta alla tempistica, perché, nella misura in cui, da un lato, ammette l'introduzione di una custodia cautelare motivata soltanto sulla gravità indiziaria – anzi, a essere onesti, non parla neanche di gravità indiziaria, ma di una sufficiente base, di una piattaforma ragionevole per introdurre in carcere l'indagato o l'imputato – dall'altro, superato il primo momento, diventa molto rigorosa per l'individuazione di un bilanciamento tra le logiche cautelari e la protrazione dello stato detentivo.
  Questo proprio perché ciò che viene a essere valorizzato nella prospettiva della presunzione di innocenza – anche su questo un rapido passaggio lo vorrei fare – non è il collegamento con le esigenze cautelari, ma quello con i tempi. L'innocente ha diritto ad aver risolto il suo caso in tempi ragionevoli, tali da non comprimere quell'immagine di innocente che deve rimanere a livello di opinione pubblica.
  Sapete bene come la presunzione dell'articolo 6, comma 2 venga valorizzata proprio nei rapporti, per esempio, con la stampa. Sapete che le dichiarazioni della magistratura sono state occasioni di diverse sentenze di condanna di ordinamenti stranieri proprio perché introducevano valorizzazioni in negativo dei dati processuali rispetto alla presunzione di innocenza.
  Con altrettanta onestà, però, devo dire che questa presunzione di innocenza nella giurisprudenza europea può non operare fino alla sentenza definitiva di condanna. Opera fino a che non sia legalmente accertata la colpevolezza. Sapete bene che diversi ordinamenti prevedono questo momento come collegato all'emissione della sentenza di primo grado. Questo è il cappello introduttivo.
  A mio avviso, una vera riforma della custodia cautelare che voglia valorizzare la presunzione di innocenza non può poggiare soltanto su un'attenzione alle esigenze cautelari. Esse sono indubbiamente Pag. 7un momento di garanzia per noi, ma sono un momento di garanzia estremamente fragile, talora addirittura evanescente, se andiamo a vedere – di qui l'attenzione alla prassi – come le motivazioni degli arresti giurisprudenziali si calino sulle tematiche cautelari.
  Dopo giuste 25 pagine sui gravi indizi, ci sono solo tre righe sulle esigenze cautelari. Tutta la garanzia, tutta la differenziazione rispetto all'anticipazione della pena è rappresentata da quelle tre righe ? Non possiamo prenderci in giro. La realtà sono i mesi e gli anni di custodia cautelare che poi quella persona subirà, in attesa di una sentenza che potrebbe non essere una sentenza di condanna.
  Andiamo a vedere i contenuti. Sono contenuti che, come è stato segnalato, si muovono in una logica di critica di una giurisprudenza che distingue tra concretezza e attualità. Nella mia ingenuità, ricordo che, quando mi laureai, ormai qualche anno fa, dissi: «Perché questo distinguo tra concretezza e attualità ? Come può essere concreto un pericolo che non è attuale ?».
  Ebbene, la giurisprudenza, invece, è riuscita a coltivare, purtroppo, questo distinguo. Tra le tante sentenze, ve ne cito alcune in cui si segnala come la concretezza possa essere apprezzata anche rispetto a situazioni – il riferimento è prevalentemente alla lettera c) – di possibile reiterazione del reato che devono essere collegate in termini di prossimità al fatto di reato.
  Io questo non l'ho capito. Per me «concretezza» vuol dire che, nel momento in cui io prendo il provvedimento, devo poter apprezzare questa pericolosità. Poi sta a me individuare gli elementi che la rendono concreta oggi. È chiaro che la concretezza non può essere illo tempore, ma deve sussistere nel momento in cui assumo il provvedimento, altrimenti esso sarebbe falsamente motivato.
  Comunque, purtroppo, siamo stati abituati – questo forse è un po’ un retaggio della nostra cultura – a ipervalorizzare alcuni termini e, quindi, l'ingresso di questa ulteriore aggettivazione servirà, anche alla luce di questa giurisprudenza, a evitare che si possa ipotizzare ciò che non doveva essere ipotizzato, cioè una concretezza che non è misurata rispetto al momento dell'emissione del provvedimento, il che è un controsenso. Supereremo così un vizio logico conseguente a una non corretta interpretazione della concretezza.
  Del resto, il legislatore ci ha abituato a un profluvio di aggettivazione all'interno del 274 e del 275. Nonostante questi sforzi – ricordiamo, in particolare, la legge n. 332 del 1995 – gli effetti non si sono visti. Le parole spesso restano soltanto parole. Tuttavia, in questo caso, proprio perché si aggancia a una giurisprudenza che ha voluto valorizzare le parole, un significato questa riforma può averlo, anche se non nei termini, che io ritengo drammatici, descritti dal procuratore della Repubblica.
  A mio avviso, non è l'interruzione del comportamento criminoso in atto che può giustificare. Non è una situazione che può legittimare l'arresto in flagranza. È una valutazione in concreto della pericolosità e questo indubbiamente il legislatore lo imponeva già prima. Ovviamente questo riguarda sia l'attualità del pericolo di fuga, sia la reiterazione del reato.
  Quanto all'articolo 3 e alle novità introdotte, in particolare il divieto conseguente al comma 2-bis esteso anche agli arresti domiciliari, il legislatore si esprimeva, se non erro, in termini di custodia cautelare tout-court, senza distinguere tra custodia in carcere e custodia domiciliare. La giurisprudenza, in diverse pronunce, ha detto poi che gli arresti domiciliari non sono custodia cautelare. Non sono custodia cautelare a questi fini, ma sappiamo bene come il 284, invece, assimili gli arresti domiciliari alla custodia cautelare. Si tratta, secondo me, di capire la ratio di un'assimilazione, quando può essere coltivata questa assimilazione e quando questa non si giustifica.
  Rispetto alla sospensione dell'esecuzione, che impedisce ogni intervento sulla libertà personale, il principio di proporzionalità, che già conduceva a questa conclusione, Pag. 8vincolava l'interprete in questi termini come una giurisprudenza minoritaria ha fatto.
  Indubbiamente, se noi vogliamo valorizzare il principio di proporzionalità di cui al 274, non potremo mai ammettere che, a fronte di una consapevolezza – è chiaro, in una logica prognostica da parte del pubblico ministero e poi del giudice per le indagini preliminari – che quell'imputato non subirà interventi limitativi della sua libertà personale, io non potrò essere legittimato a introdurli nel corso del processo. Questo è un principio direi elementare, che non merita assolutamente ulteriori spiegazioni.
  Più delicato, indubbiamente – attendo l'intervento del presidente dell'ANM – è il riferimento all'articolo 656, comma 5. È più delicato perché, proprio nella logica della proporzionalità, la prima obiezione che viene istintiva e che potrebbe fare un non addetto ai lavori, proprio nella prospettiva della proporzionalità, è che uno degli esiti del giudizio di sorveglianza potrebbe essere l'applicazione della detenzione domiciliare. Non riusciremo a percepire questo dislivello e, quindi, anche questo disvalore dal punto di vista del principio di proporzionalità tra il provvedimento in corso di processo e l'esito sul piano sanzionatorio addirittura dopo il provvedimento del tribunale di sorveglianza.
  Quanto alla soluzione alla quale forse si riferisce il legislatore, nella misura in cui ha escluso anche la possibilità di un arresto domiciliare, nonostante una serie di problemi che sorgono – per esempio, il comma 10 all'articolo 656, che allude al condannato che si trova agli arresti domiciliari dopo il passaggio in giudicato della sentenza e che continua a permanere in tali condizioni – chiaramente ci sarebbe l'esigenza di un coordinamento. Tuttavia, il problema probabilmente il legislatore l'ha visto sotto un altro profilo, cioè non ha considerato l'esito del giudizio di sorveglianza, ma la portata del provvedimento sospensivo che dà luogo a uno status libertatis.
  Questa situazione indubbiamente valorizza un rapporto di sproporzione tra l'introduzione di una misura cautelare restrittiva della libertà personale, sia pure nelle forme degli arresti domiciliari, e il provvedimento finale, allo stato degli atti, col quale, ex articolo 656, comma 5, il pubblico ministero sospende l'esecuzione.
  Sotto questo profilo un aspetto di riflessione va fatto. Si tratta di capire che qui opera una logica di favor libertatis, ossia la valorizzazione di un provvedimento di sospensione che potrebbe essere prodromico all'introduzione di una misura limitativa della libertà personale. Nella misura in cui il riferimento è dato dal provvedimento di cui al 656, la soluzione normativa trova una sua giustificazione.
  È chiaro che se, invece, vediamo questo provvedimento di esecuzione come strettamente correlato e anticipatorio della sorte del condannato all'esito del procedimento di sorveglianza, il discorso potrebbe cambiare anche sul piano della tenuta logica e giuridica della soluzione stessa.
  Venendo all'articolo 5, devo essere onesto: quando ho commentato la prima sentenza, la n. 265 del 2010, caddi subito in un equivoco. Si sbaglia sempre ad anticipare quello che può essere il giudizio della Corte costituzionale. Io dissi che, secondo me, pochi spazi avrebbe potuto avere questa logica di fronte a tutta un'altra serie di reati. Nel giro di pochi mesi, invece, fui letteralmente distrutto dalla giurisprudenza costituzionale, che si è consolidata, irrobustita ed è arrivata a una serie di risultati interpretativi, che, come è stato anticipato dal procuratore della Repubblica, ci consentono di anticipare con una certa sicurezza un eventuale giudizio riguardante sia il 416-ter del Codice penale, sia l'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica del 1990. In un caso è sicuramente un lapsus, perché c’è già l'intervento della Corte costituzionale, nell'altro è una scarsa attenzione ai contenuti di questa giurisprudenza costituzionale.
  Io, però, vorrei dire qualche cosa di più. Si continua a pensare che, sulla base di questa nuova disposizione, che poi viene Pag. 9a riprodurre la sostanziale disposizione odierna, ci sia una presunzione relativa sulla sussistenza delle esigenze cautelari e una presunzione, che rimane assoluta per il 416-bis, per il 270 e per il 270-bis, per i delitti di associazione di stampo mafioso e di associazione sovversiva o terroristica anche internazionale.
  A mio avviso, anche se la Corte costituzionale l'ha detto soltanto in una o due occasioni e ha osservato come la presunzione relativa alla sussistenza delle esigenze cautelari non facesse parte del dedotto e che, quindi, la sua pronuncia si muovesse soltanto sull'arbitrarietà della presunzione assoluta, la presunzione relativa per i reati rispetto ai quali ci sono state queste pronunce di incostituzionalità è venuta meno. Questo sul piano logico.
  Perché ? Perché, se io devo poter apprezzare uno spazio cautelare che giustifichi un ventaglio di soluzioni che vanno dal divieto di espatrio fino all'arresto domiciliare, queste esigenze cautelari devono poter essere già interne al giudizio del magistrato. Altrimenti, su quali basi egli potrà operare una scelta all'interno delle varie misure cautelari ? È evidente che, da un punto di vista di presupposti logico-giuridici, le esigenze cautelari entrano a far parte del momento di valutazione da parte del magistrato proponente e del giudice che poi emette il provvedimento e decide sulla richiesta.
  Questo è estremamente importante, perché è chiaro che è una crescita di garanzia. Sappiamo bene come la giurisprudenza avesse interpretato questa presunzione relativa. Il giudice può anche non motivare assolutamente sulle esigenze cautelari. Perché ? Perché si parte dalla presunzione relativa.
  Ditemi, dunque: se rimane questa giurisprudenza, se rimane questo tipo di indicazione per il magistrato, come può questo povero magistrato poi rispettare il dettato della Corte costituzionale che gli chiede di valutare se ci possano essere soluzioni alternative alla custodia in carcere ? Esse devono essere già oggetto di una sua valutazione e, quindi, la presunzione relativa in maniera abbastanza clandestina, a mio avviso, è uscita dal 275, comma 3.
  Esistono sempre tre situazioni, ma fortemente diversificate. La terza, quella che rimane per il 416-bis, per il 270 e per il 270-bis, spesso viene «stampellata» anche attraverso i riferimenti alla giurisprudenza europea, in particolare alla famosa sentenza Pantano.
  La sentenza Pantano una mano ce la dà, però ci dice anche che le presunzioni – la versione ufficiale in francese dice così – debbono essere superabili. Le presunzioni per la Corte europea devono essere sempre superabili, perché ogni presunzione assoluta nasconde dentro di sé l'ingiustizia. Una presunzione assoluta sconta l'errore e l'errore, a fronte di un bene inviolabile, non è ammissibile da parte del nostro ordinamento. L'errore sarà ammissibile rispetto a beni che non sono qualificati come inviolabili.
  Se io fossi un pubblico ministero o un giudice, penso che non mi sarebbe assolutamente difficile, rispetto a casi nei quali ho accertato, sul piano della gravità indiziaria, l'appartenenza all'associazione mafiosa, il radicamento sul territorio, l'effettività di una serie di collegamenti continui nel tempo, come vuole la Corte costituzionale, ricavare da questi dati una serie di profili che sostengano l'esigenza cautelare.
  È così facile. Perché dobbiamo abbandonare una civiltà giuridica che ci contraddistingue e ci deve contraddistinguere sul piano europeo e ricorrere a un'inutile – perché, come vedete, si ricavano immediatamente queste esigenze cautelari in queste fattispecie concrete – e pericolosa presunzione assoluta ?
  Mi rendo conto che, da un punto di vista proprio di impatto politico, questo possa creare una certa difficoltà, anche se, anche recentemente, qualche osservazione, anche da parte di persone che hanno sempre visto con molta attenzione il fenomeno mafioso, sulle prospettive del doppio binario, che io giustifico entro determinati aspetti, ma per altri, soprattutto sul piano della prova e della libertà personale, Pag. 10vedo con molta preoccupazione, ci ha aiutato a riflettere anche su queste tematiche.
  Vado avanti molto rapidamente per non sottrarre tempo a chi meglio e più di me può aiutare i lavori della Commissione.
  Ci sono una serie di previsioni che, come ho accennato prima, indubbiamente determinano un passo indietro. Nel testo precedente, sia per il 276, sia per il 284, ossia violazione degli obblighi imposti con gli arresti domiciliari e preclusione della concessione degli arresti domiciliari al condannato per evasione nei cinque anni precedenti al fatto per cui si procede, era stata eliminata la logica di presunzione assoluta, sulla quale si fonda l'attuale normativa. Questo non fa altro che riprendere quello che avevo già detto sull'inaccettabilità di una presunzione assoluta.
  Il legislatore si muove su un piano diverso. Peraltro, questo devo riconoscerlo, una giurisprudenza coraggiosa, nonostante la vigenza delle disposizioni del 276, comma 1-ter e del 284, comma 5-bis, talora ha forzato la lettera della normativa e ha fatto riferimento a dei parametri che sostanzialmente sono quelli che vengono riportati negli articoli 6 e 7, i quali riformulano il 276 e il 284. Si tratta della lievità della trasgressione e della presenza di esigenze cautelari che non possono essere soddisfatte con gli arresti domiciliari.
  È chiaro che rispetto alla precedente versione c’è un passo indietro, però qui ci si muove nella logica della valutazione in concreto. Tutte le volte che si valorizza l'apporto del magistrato sul piano motivazionale, io non posso che essere d'accordo.
  Interessante, però, forse più davvero sul piano dottrinale è il 289, comma 2. Se viene disposto sulla base di una richiesta che non prevedeva una sequenza con l'anticipazione dell'interrogatorio, l'interrogatorio verrà disposto ai sensi del 294, comma 1-bis, mentre un discorso piuttosto delicato è quello che riguarda una serie di modifiche che hanno interessato l'istituto del riesame.
  Non per fare un passo indietro, ma nella valutazione complessiva delle impugnazioni in materia cautelare personale forse un'attenzione potrebbe essere dedicata al piano della differenziazione delle garanzie. Chi mi conosce può pensare che io abbia cambiato completamente bandiera. No, io non voglio escludere le garanzie, ma voglio cercare di giocarle in maniera differenziata.
  Mi ha sempre colpito il fatto che, a fronte di una misura interdittiva anche estremamente pesante, non avevo strumenti come quelli del 309. Quanto al divieto di espatrio – purtroppo, io non riesco mai a muovermi dall'Italia. Sono vent'anni che non esco dall'Italia – se mi danno il divieto di espatrio, grandi problemi non me ne pongo, però ho il diritto al riesame, con tutta una serie di garanzie.
  Probabilmente bisogna distinguere, nella mia prospettiva, tra misure che incidono effettivamente sulla libertà personale e misure che incidono su altre libertà. Il 272 è molto preciso: non allude alla libertà personale, ma alle libertà della persona.
  Questo attiene, però, a quello sforzo direi strutturale che prima o poi ci sarà imposto e che riguarda, come dicevo prima, i tempi della custodia cautelare. È una rivisitazione che non poteva essere certo fatta in questa sede. Qui si tratta, invece, di una razionalizzazione del sistema, all'interno della quale si pone una serie di previsioni.
  La prima è quella della valorizzazione della complessità del caso e del materiale probatorio. Chi ha un minimo di esperienza, e io questo minimo di esperienza penso di averlo, si è reso conto che moltissime volte il giudizio del riesame è strozzato sul piano della tempistica. Tant’è vero che spesso non si va davanti al tribunale del riesame proprio perché si è consapevoli dell'impossibilità di ottenere una verifica concreta del materiale acquisito in sede investigativa e su cui si fondano prima la richiesta e poi la misura cautelare.
  È vero che si tratta sempre di riferimenti che devono tener conto di un'esigenza di celerità dell'impugnazione cautelare, ma un significato potrebbero averlo, Pag. 11sia pure, ritengo, non in moltissime situazioni. Situazioni veramente complesse sono situazioni che, purtroppo, nella mia logica difficilmente possono trovare, nonostante gli sforzi del tribunale del riesame, una piena comprensione e un'adeguata risposta ex articolo 309.
  Veniamo alla valorizzazione del termine per il deposito in cancelleria. È vero, probabilmente la lettura corretta era quella che imponeva contestualità tra emissione dell'ordinanza e deposito. Poi la giurisprudenza ha scisso questi due momenti e il legislatore aveva due strade. La prima era una logica «ortopedica», quella di riportare le cose a come dovevano stare, nel qual caso precisava che il termine per la pronuncia doveva riguardare anche il deposito.
  Al tempo stesso, però, proprio sulla base di quello che vi ho detto prima, la complessità del caso può anche giocare, a volte, in termini oggettivi sull'impossibilità. Si arriva allora a questa soluzione, con un termine relativamente breve, che però viene valorizzato sul piano della decadenza della misura.
  Quanto alla decadenza della misura è stato osservato, e una ragione indubbiamente c’è dal punto di vista dell'approccio logico, sul piano dei limiti della possibilità di rinnovazione.
  È vero, non posso neanche tradirmi, perché questo in tempi non sospetti l'ho detto. È chiaro che la misura che non è stata convalidata in sede di esame nel rispetto di questa tempistica è una misura rispetto alla quale non c’è una valutazione sull'inesistenza di gravi indizi o sull'inesistenza o sull'inadeguatezza delle esigenze cautelari. È una misura che, in astratto, potrebbe essere rinnovata senza limite alcuno.
  Perché questa soluzione ? È una soluzione che, come un'altra cui abbiamo fatto rapidissimo cenno, fa una scelta sul piano valoriale. Dovendo valutare delle opzioni, valorizza la tutela della libertà personale in una logica del tipo: «Hai avuto una misura rispetto alla quale hai fatto una tempestiva impugnazione e non hai avuto una risposta tempestiva. Può essere un disguido nella segreteria o della cancelleria. Non è spesso un rimprovero che può essere mosso all'organo che ha deliberato, però oggettivamente si è realizzata questa situazione, che si traduce in una restrizione delle eccezionali esigenze cautelari che possono essere apprezzate, come del resto avviene già per il comma 4 del 275, relativo a situazioni particolari della persona». Bisogna poi vedere come questa eccezionalità possa essere tradotta sul piano della concreta applicazione della norma.
  Vado rapidissimamente a chiudere, anzi, ho chiuso. Questo vale ovviamente anche in caso di rinvio – stessa tematica – per il mancato deposito. Mi limiterei proprio a questa osservazione.

  PRESIDENTE. Grazie della completa disamina.
  Do la parola al dottor Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell'Associazione nazionale magistrati.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Grazie, presidente. Come Associazione nazionale magistrati, noi siamo stati già ascoltati il 16 ottobre del 2013 sul testo che allora era all'esame della Commissione parlamentare. Successivamente sono state apportate alcune modifiche, alcune già in sede di esame da parte dell'Aula e forse anche da parte della Commissione I. In epoca successiva al 16 ottobre poi sono intervenuti emendamenti in sede di approvazione da parte del Senato.
  Io non ripeterò, naturalmente, quello che ho già detto il 16 ottobre 2013. Mi riporto sinteticamente a quelle considerazioni e mi soffermo soltanto sugli aspetti di novità introdotti sia alla Camera, sia, successivamente, al Senato.
  Svolgo una brevissima premessa di carattere generale. Io non vorrei assolutamente dare l'impressione di una magistratura favorevole all'applicazione delle misure cautelari. Il tema delle misure cautelari è fra quelli più tormentati del Codice di procedura penale, tra quelli più soggetti nel tempo a modifiche in un senso Pag. 12e nell'altro, spesso sulla spinta di questo o di quel caso di cronaca. La stessa magistratura viene alternativamente accusata – diciamo così – o di lassismo, o di eccesso e di abuso, a seconda proprio del caso di volta in volta considerato.
  La disciplina delle misure cautelari si deve fondare su un equilibrio ragionevole fra due beni costituzionalmente rilevanti, che sono la libertà personale e la tutela della sicurezza pubblica. Come l'esperienza, anche recente, insegna, se questo punto di equilibrio si sposta eccessivamente nell'una o nell'altra direzione, si rischia di produrre effetti che io definisco nella relazione scritta «effetti paradosso» eccessivi, con istanze poi di controriforma che possono addirittura andare oltre la legislazione vigente che ha determinato quei casi concreti.
  La modifica della disciplina in materia di misure cautelari si cala in un orizzonte complessivo di sovraffollamento carcerario. Tuttavia, noi crediamo che la soluzione del problema del sovraffollamento carcerario debba passare attraverso altri strumenti.
  È chiaro che la modifica della disciplina in materia di misure cautelari può avere come effetto conseguente anche un alleggerimento del sovraffollamento carcerario, ma non deve essere questo evidentemente l'obiettivo principale, perché il sovraffollamento si deve combattere con altri strumenti, ossia con la revisione del sistema sanzionatorio, con un diverso accesso alle misure alternative, con soluzioni premiali e compensative anche di carattere straordinario, con adeguamenti delle strutture penitenziarie, provvedimenti dei quali, peraltro, alcuni sono stati già approvati dal legislatore.
  Aggiungo qualche altra considerazione. Quando ci si sofferma su un presunto eccesso di ricorso alle misure cautelari citando i dati statistici, bisogna anche aver ben presente quello che ricordava il professor Marzaduri, cioè che, nel confronto con altri Paesi, la misura cautelare altrove cessa di essere tale dopo la sentenza di primo grado, mentre, come tutti sappiamo, la misura cautelare non diviene pena in Italia, se non nel momento in cui la sentenza diventa irrevocabile, dopo i due gradi di merito ed eventualmente anche dopo il grado di legittimità in Cassazione.
  Cerco ora di soffermarmi il più possibile su valutazioni di carattere tecnico-giuridico. Comincio con un parere favorevole a una modifica che è stata fatta dal Senato. In particolare, in base al testo originario del disegno di legge n. 631 era stata introdotta, nell'articolo 274, alle lettere b) o c), la seguente espressione: «Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede».
  Questa espressione conteneva una potenziale ambiguità. Non era, cioè, chiaro se, quando si parlava di gravità del reato, si facesse riferimento alla gravità del fatto reato in concreto o alla gravità del reato, cioè della fattispecie astratta considerata. Le conseguenze dell'una e dell'altra opzione potevano essere anche gravi, perché, qualora si fosse fatto riferimento al fatto concreto, si sarebbe molto ristretto l'ambito di applicabilità delle misure cautelari, per esempio nei confronti degli incensurati.
  Opportunamente, direi, il Senato ha integrato questa previsione, scegliendo la seconda possibile soluzione interpretativa, ragion per cui oggi è chiarito che la gravità è quella del titolo di reato per cui si procede. Non si può applicare la misura cautelare con riferimento esclusivo alla gravità astratta del reato considerato.
  Mi soffermo su un aspetto che è stato già ampiamente trattato dal procuratore dottor Pignatone e dal professor Marzaduri e su cui, come loro sanno, si è, peraltro, formata già la cosiddetta lettura doppia conforme. Trattandosi di un aspetto di particolare delicatezza, ritengo di doverlo sottoporre all'attenzione della Camera. In particolare, mi riferisco al divieto di applicazione di custodia cautelare in carcere e di arresti domiciliari nel momento in cui il magistrato si prefiguri come probabile la sospensione dell'esecuzione.Pag. 13
  Va detto che l'articolo 275, comma 2-bis del Codice di procedura penale fa già divieto di applicare la custodia cautelare in carcere laddove si preveda che la pena possa essere sospesa. È chiaro che parliamo di una situazione completamente diversa, cioè della sospensione condizionale della pena prevista dall'articolo 163 del Codice penale.
  Questo perché ? Perché evidentemente il legislatore del 1988 riteneva inopportuno applicare una misura restrittiva carceraria quando si prevedeva che la pena di fatto non sarebbe stata mai espiata, perché sospesa.
  Questo divieto, collegato alla sospensione condizionale, riguardava soltanto la custodia cautelare in carcere. Già qualche sentenza di legittimità aveva esteso questo divieto anche agli arresti domiciliari. Questa estensione viene recepita dal disegno di legge n. 631, ragion per cui la probabile concessione di sospensione condizionale, secondo il disegno che oggi consideriamo, vieta non solo l'applicazione di custodia in carcere, ma anche gli arresti domiciliari. Ripeto, è un passaggio che già in via interpretativa parte della giurisprudenza aveva fatto.
  Qui viene fatto, però, un passaggio ulteriore, cioè si introduce il divieto di custodia in carcere e di arresti domiciliari ove si preveda la sospensione dell'esecuzione con un richiamo all'articolo 656, comma 5 del Codice di procedura penale.
  Ripeto, è un istituto completamente diverso, per cui noi parliamo di una pena in concreto che sarà espiata, a differenza di quella condizionalmente sospesa. È una pena che sarà espiata, ma che sarà potenzialmente espiata in forma diversa dal carcere, ossia attraverso una misura alternativa alla detenzione, come l'affidamento in prova, la detenzione domiciliare o altro. È chiaro che si tratta di un intervento di natura diversa rispetto all'istituto già previsto al comma 2-bis del 275 e che va in una direzione fortemente deflattiva rispetto al ricorso alle misure cautelari.
  Su questo principio di carattere generale, cioè limitare il ricorso alle misure cautelari, soprattutto quelle custodiali più gravi, noi, come Associazione nazionale magistrati, abbiamo sempre espresso parere favorevole, ritenendo però che questo risultato debba essere raggiunto attraverso un intervento sulle sanzioni e il favore per le misure interdittive che, per esempio, opportunamente vengono portate fino al termine massimo di un anno rispetto alla previsione attuale.
  Tuttavia, su questo tipo di estensione noi esprimiamo un parere contrario. In linea generale va detto che le misure cautelari differiscono profondamente dalla pena sotto il profilo strutturale e sotto il profilo funzionale. La pena non è la prosecuzione di una misura cautelare e la misura cautelare non è e non deve essere un'anticipazione di pena.
  Le misure cautelari hanno delle finalità ben precise, che sono quelle descritte nell'articolo 274, cioè tutelare la prova, impedire la fuga e tutelare la sicurezza pubblica. La pena ha una funzione diversa, ovviamente. Ha una funzione dissuasiva o preventiva e ha una funzione rieducativa. Parliamo di istituti e di strumenti radicalmente differenti. Questo sul piano generale.
  Adesso, attingendo anche alla mia esperienza ultradecennale di pubblico ministero dell'esecuzione penale, sottopongo loro alcune considerazioni di carattere strettamente tecnico che attengono ad alcuni problemi e anche ad alcuni effetti che potrebbero conseguire a questo collegamento fra divieto di custodia e di arresti domiciliari e probabile sospensione dell'esecuzione.
  Innanzitutto va detto che la sospensione dell'esecuzione, disciplinata, come dicevo, dal comma 5 dell'articolo 656, non è prevista soltanto per le pene in concreto, ossia concretamente inflitte, fino a tre anni, ma anche per pene ulteriori, fino a quattro anni nei casi previsti dall'articolo 47-ter dell'ordinamento penitenziario, cioè detenzione domiciliare in casi speciali, e fino a sei anni per i tossicodipendenti e gli alcoldipendenti che intendano sottoporsi o che si siano già sottoposti a un programma di disintossicazione.Pag. 14
  Si parla di pena irrogata in concreto, dicevo, e la sospensione dell'esecuzione può essere, anzi va disposta per un numero di volte illimitato, purché si riferisca a diverse sentenze di condanna. Pertanto, anche i recidivi reiterati oggi possono, anzi devono beneficiare della sospensione dell'esecuzione, perché il legislatore, devo dire opportunamente, ha eliminato la lettera c) del 656, che, invece, vietava la sospensione dell'esecuzione per i recidivi reiterati. Questo era uno degli effetti della cosiddetta «ex Cirielli».
  Attenzione, però: il divieto di applicazione di custodia cautelare carceraria e di arresti domiciliari è legato – credo che a questo forse si riferisse già anche il professor Marzaduri – alla sospensione dell'esecuzione, non alla possibilità in concreto di accedere alle misure alternative.
  A questo punto, io mi pongo alcuni problemi, che vi rassegno. Innanzitutto qual è l'effettiva portata del rinvio al comma 5 dell'articolo 656 ? Si dice che abitualmente si fa divieto di applicare in custodia cautelare in carcere e domiciliare fino ai tre anni, ma, poiché il comma 5 dell'articolo 656 prevede anche una misura superiore (quattro anni per i casi del 47-ter e addirittura sei anni in concreto per i casi degli articoli 90 e 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990), io mi chiedo: qualora, di fronte a una richiesta di applicazione di misura cautelare, l'indagato per il quale la misura viene richiesta documentasse l'esistenza di queste condizioni previste dal 47-ter dell'ordinamento penitenziario e dall'articolo 94, relativo al tossicodipendente che vuole sottoporsi a un programma di disintossicazione, anche in questi casi dovrebbe valere il divieto di applicazione di misura cautelare ? Qual è la portata ricettizia di questo rinvio al 656, comma 5 ? Ed eventualmente, quali sono i rapporti fra questo richiamo e la disciplina dell'articolo 89 del Testo unico in materia di sostanze stupefacenti, dedicato ai provvedimenti restrittivi nei confronti dei tossicodipendenti e degli alcoldipendenti ?
  C’è un altro problema di carattere tecnico che sottopongo loro. L'articolo 656, comma 5, in materia di sospensione dell'esecuzione, pacificamente in giurisprudenza non si applica quando il limite di pena non è superato anche per effetto di cumulo di più pene inflitte con diverse sentenze di condanna. Nel momento in cui, invece, si considera l'eventuale applicazione di una misura cautelare in un procedimento pendente a carico di un soggetto che ha a suo carico anche altri procedimenti pendenti, io credo che sarebbe molto difficile poter tener conto della pendenza di più procedimenti, nonostante il fatto che in fase esecutiva si dovrebbe tener conto della pena cumulata.
  Un altro aspetto di perplessità che sottopongo loro riguarda il possibile corto circuito che si potrebbe realizzare nel richiamo incrociato che di fatto si realizza fra l'articolo 275, comma 2-bis e l'articolo 656, comma 9, lettera b) e comma 10. Cosa dicono il comma 9 lettera b) e il comma 10 ? Dicono che non si procede a sospensione dell'esecuzione nel momento in cui il soggetto si trova in custodia cautelare in carcere o in arresti domiciliari.
  Io mi chiedo: se è stata applicata, per esempio in corso di indagini preliminari, una custodia cautelare in carcere sul presupposto che la pena che sarà inflitta superi il limite dei tre anni, ma poi con la sentenza di condanna di primo o di secondo grado di fatto la pena inflitta rientra nel limite dei tre anni, per esempio perché si è scelto un rito abbreviato o perché comunque la valutazione del giudice del dibattimento è diversa dalla prognosi che era stata fatta in sede di applicazione della misura cautelare, a questo punto che cosa accadrà ? Si dovrà fare riferimento implicito al divieto di sospensione dell'esecuzione previsto dal comma 9, lettera b), o si dovrà dire che, preso atto di quell'errore di prognosi, si dovrà comunque scarcerare la persona, perché la pena rientra nei limiti previsti dal comma 5 ?
  Aggiungo qualche considerazione anche di natura casistica. Come loro sanno, vi è tutta una serie di reati che, indipendentemente dall'entità della pena inflitta, sono esclusi dalla sospensione dell'esecuzione. Pag. 15Parliamo di reati di maggiore gravità, dei reati previsti dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario e di altri reati che sono espressamente previsti nello stesso articolo 656, comma 9: scippo, furto in appartamento, maltrattamenti e stalking aggravati dalle lesioni.
  Io mi sono chiesto concretamente a quali reati si applicherà questo divieto, nella prospettiva di una sospensione dell'esecuzione. Probabilmente si applicherà a tutti i reati in materia di pubblica amministrazione, di corruzione e ai reati finanziari, perché l'esperienza insegna che in questi casi di rado si applica una pena superiore alla soglia dei tre anni, con la conseguenza, di fatto, di creare una sorta di diritto penale d'autore, con riferimento a questa tipologia di reati.
  Anche alcuni reati di natura comune, allarmanti, nonostante le pene inflitte siano generalmente piuttosto contenute, ricadrebbero in questo divieto. Penso, per esempio, ai reati di lesioni personali aggravate e ai casi di maltrattamenti in famiglia e di stalking che non siano aggravati dalle lesioni e che, quindi, non ricadano nel divieto di sospensione dell'esecuzione previsto dall'articolo 656, comma 9, lettera a).
  Faccio una considerazione: io ho trovato piuttosto singolare l'inserimento nel novellato articolo 274, lettera c), tra i reati che consentono l'applicazione della custodia cautelare in carcere nonostante siano puniti con una pena massima edittale inferiore a cinque anni, il finanziamento illecito ai partiti politici. Come loro sanno, questo è un reato punito fino a quattro anni di reclusione. È un inserimento che io credo abbia un valore puramente simbolico, perché è molto difficile immaginare che per questo tipo di reato sia poi, a fronte di una pena edittale massima di quattro anni, inflitta una pena superiore ai tre anni di reclusione.
  Vado oltre su altri aspetti di questo disegno di legge. Procedo in modo molto veloce, perché mi trovo d'accordo con alcune considerazioni che sono state già fatte.
  L'inserimento dell'articolo 74 nel comma 3 dell'articolo 275, che prevede la presunzione assoluta di adeguatezza di custodia in carcere, evidentemente deve ritenersi una dimenticanza di quanto aveva stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 231 del 2011.
  Anche l'inserimento del 416-ter, cioè del voto di scambio, in questa presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere solleva non poche perplessità. Si tratta evidentemente di una fattispecie sì grave, ma strutturalmente ben diversa dal 416-bis, perché priva di quel carattere di organicità della partecipazione del soggetto all'organizzazione criminale. Questi reati più opportunamente potrebbero essere inseriti nel periodo successivo, che introduce una presunzione solo relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, conformemente a quanto aveva già detto la Corte costituzionale.
  Esprimo parere favorevole sugli articoli 6 e 7, che introducono il divieto di concedere arresti domiciliari in caso di violazione degli arresti o di precedente condanna nel quinquennio. Questa è una presunzione assoluta che è stata temperata, riconoscendo opportunamente al giudice, come già osservava il professor Marzaduri, la possibilità di tener conto del carattere lieve del fatto.
  Esprimo parere favorevole alle correzioni alla disciplina in materia di misure interdittive.
  Spendo qualche parola, cinque minuti soltanto o anche meno, per quanto riguarda gli interventi in materia di riesame. In merito va detto che opportunamente è stata introdotta la possibilità di un differimento d'ufficio dell'udienza, e non solo su richiesta dell'interessato. La necessità di scindere, in base a come pacificamente era l'interpretazione giurisprudenziale, il momento del deposito della decisione dal momento del deposito dell'ordinanza deriva dall'impossibilità di depositare un'ordinanza per casi spesso molto complessi nel brevissimo termine imposto dalla necessità Pag. 16di non protrarre uno stato cautelare nel caso in cui il riesame, invece, ritenga di annullare la misura.
  È stato previsto un termine di trenta giorni per il deposito dell'ordinanza, prorogabile fino a quarantacinque. Tutto sommato, si tratta di un mese e mezzo, ma rendiamoci conto che ci troviamo di fronte a ordinanze cautelari talvolta di eccezionale complessità. Penso a processi molto difficili, molto complessi, formati di faldoni e faldoni in materia, per esempio, di criminalità organizzata. Tenuto conto di questa eccezionale complessità e anche del sovraccarico di lavoro, il termine di quarantacinque giorni mi pare tutt'altro che eccessivo.
  Il problema, in realtà, sorge – anche questo è stato già osservato da chi ha parlato prima di me – con riferimento al divieto di rinnovazione della misura cautelare in caso di inefficacia sopravvenuta per ragioni formali, cioè di tardiva trasmissione degli atti, tardiva decisione, tardivo deposito dell'ordinanza.
  Sono situazioni che si verificano. Non sono frequentissime, ma si verificano. Devo dire, attingendo alla esperienza personale, ormai quasi trentennale, che sono situazioni che si verificano per ragioni che di rado – non lo dico per una difesa della categoria, ma perché è veramente così – dipendono dalla responsabilità del magistrato. Abbiamo avuto ritardo dovuto alla trasmissione materiale da parte dell'organo ausiliario che deve trasmettere gli atti, o a un malfunzionamento tecnico della fotocopiatrice. Spesso il ritardo dipende dalle difficoltà di notifica degli avvisi di udienza, collegati magari alla modifica del mandato difensivo e, quindi, a problemi nell'individuazione tempestiva del difensore attuale del soggetto che ha presentato istanza di riesame.
  Il problema non è la sanzione dell'inefficacia sopravvenuta della misura cautelare, perché questa sanzione, in realtà, è già prevista oggi. Il problema nasce allorché viene introdotto un divieto di rinnovazione dell'ordinanza che si sia caducata, che sia divenuta inefficace, per ragioni puramente formali, ripeto, il più delle volte non collegabili alla responsabilità del magistrato ed esterne a profili cautelari.
  In sostanza, per fare un esempio banale, se la fotocopiatrice non funziona, salta alcune pagine rilevanti e la misura per questo motivo viene annullata, la misura non può essere rinnovata, salvo il caso di eccezionali esigenze cautelari. Francamente, mi sembra una conseguenza scarsamente ragionevole.
  Va detto che, in collegamento con questa sopravvenuta inefficacia della misura, il disegno di legge introduce una nuova fattispecie disciplinare nei confronti del magistrato. Anche in questo caso io non voglio fare una difesa della categoria. Dico, però, che, quando questa sopravvenuta inefficacia dipende realmente da una negligenza, per non dire dal dolo del magistrato, il caso rientra già nelle fattispecie disciplinari, in particolare in quelle previste dall'articolo 2, comma 1, lettera a) e lettera q) del decreto legislativo n. 109 del 2006.
  Sinceramente, non vedo la necessità di questa ulteriore integrazione con una casistica così specifica, che avrebbe solo un effetto, cioè quello di moltiplicare un automatismo negli accertamenti ispettivi – ripeto – in casi che la maggior parte delle volte dipendono da disfunzioni non addebitabili al magistrato, salvo voler immaginare una sorta di responsabilità oggettiva del magistrato.
  Ripeto, i casi che, invece, ricadono nella responsabilità per negligenza del magistrato sono già previsti dal decreto legislativo n. 106 del 2009 e, quindi, esiste già oggi lo strumento per far valere la responsabilità disciplinare.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. C’è anche uno scritto che è stato depositato e che verrà acquisito agli atti.
  Do la parola all'avvocato Valerio Spigarelli, presidente dell'Unione delle camere penali italiane.

  VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane. Grazie, signor presidente. Dico subito che Pag. 17l'unica cosa su cui sono d'accordo con gli interventi che mi hanno preceduto, eccezion fatta per quello del collega Marzaduri, sul quale pure per alcune questioni tornerò, è l'evidente errore di grammatica costituzionale di aver reinserito l'articolo 74, già bocciato dalla Corte costituzionale, e il nuovo 416-ter, che, per come è conformato, ovviamente non può sovrapporsi a quelle ipotesi associative che sono state salvate dalla Corte costituzionale in punto di presunzione.
  Detto questo, francamente io vorrei fare un discorso che parte da un'affermazione che sembrerà strana, fatta da un giurista: non c’è niente di più politico di un tecnico. Quello che ho ascoltato mi sembra esattamente in linea con questa considerazione.
  Qui bisogna scegliere se voltare pagina di fronte a una realtà giudiziaria che, autorevolmente e fortunatamente, non dagli avvocati, ma dalle più alte cattedre della magistratura, ha puntato il dito sullo stravolgimento dal punto di vista costituzionale dell'utilizzo della privazione della libertà ante causam e della privazione della libertà ante condanna definitiva.
  Noi dobbiamo verificare, e voi avete iniziato con quella proposta, che pure era stata un po’ impoverita in prima lettura e decisamente saccheggiata, come vedremo, dal passaggio al Senato, se voltare pagina rispetto a questo aspetto, che non è in discussione. Se il primo presidente della Corte di cassazione dichiara che nel nostro Paese la custodia cautelare viene utilizzata come anticipazione di pena, c’è un problema di livello costituzionale. Il legislatore deve stabilire se affrontare il problema di livello costituzionale o se semplicemente rimuoverlo con quella che è stata definita – vi faceva cenno prima Enrico Marzaduri – l’«aritmetica degli aggettivi». Si inzeppa la legge di aggettivi, ma anche di avverbi, per poi lasciare la griglia del sistema sostanzialmente inalterata.
  Questo è il punto in discussione, ed è un punto in discussione che, come vedremo, riguarda anche – per una volta sono io che invoco la doppia conforme – quello che è stato letto in maniera conforme da Camera e Senato e su cui, invece, si vuole ritornare. Questo è il punto di partenza.
  Io ho ascoltato chi mi ha preceduto e su alcuni punti ho ascoltato una rivendicazione dell'utilizzo della custodia cautelare, e non soltanto della custodia cautelare, ma anche di tutto il processo penale, come uno strumento di difesa sociale. Bisogna intanto mettersi d'accordo su questo dal punto di vista della grammatica minima. Il processo non è uno strumento di difesa sociale, perché la difesa sociale si fa su altri terreni, che non sono quelli processuali.
  La custodia cautelare non è uno strumento di rassicurazione della sicurezza collettiva, come pure ho sentito prima dire. La sicurezza collettiva e, peggio che mai, la percezione della sicurezza collettiva in punto di destino di un singolo imputato che viene privato della libertà prima della condanna definitiva non hanno quartiere nel nostro ordinamento. Questo è il punto.
  Le esigenze cautelari vanno, ovviamente, valutate in termini di attualità e concretezza, perché altrimenti le ritroviamo come elementi invocabili ai fini della tutela di beni diffusi, come la sicurezza collettiva. Invece, quella è la privazione della libertà di una singola persona in una singola vicenda processuale, che ovviamente deve scontare un'attualità.
  Sapete qual è la traduzione di quello che vi è stato rappresentato ? Forse viene bene al legislatore tradurre le argomentazioni che sembrano troppo alate. Quando si discute di quello che pure si ritrova nella legge in punto di rafforzamento della necessità di attualità delle esigenze cautelari, si discute di ragionamenti che ritroviamo – mi è appena capitato – in procedimenti penali, in cui si dice: «È vero che Tizio non ha più la carica per cui ha commesso il reato, e non è che non ce l'ha adesso, ma non ce l'ha da cinque o sei anni. È vero che non esistono più le condizioni perché faccia quello che fa, però è sempre possibile che riassuma quella carica nel futuro».Pag. 18
  Questo non è un esempio limite, signori, ma riguarda il modo in cui viene utilizzato in questo momento quel presidio. O lo rafforzate, o lo rendete concreto, o ne limitate la capacità di ampliamento, altrimenti si distorce e diventa, quello strumento cautelare, qualche cosa di diverso.
  Si dice che è censurabilissima l'estensione di un concetto che deriva da un principio. Il principio è quello di extrema ratio: in prigione prima della condanna definitiva ci si va unicamente quando esistono delle esigenze assolute, che certamente vanno parametrate anche al pregiudizio finale del processo.
  È per questo che, ormai anni fa, abbiamo detto che, di fronte all'evidenza – si era in tempi di Tangentopoli; bisogna che il legislatore abbia memoria degli istituti, altrimenti non si comprendono più – finivano in prigione persone che era pacifico che avrebbero avuto la sospensione condizionale della pena. Perché finivano in prigione ? Per l'altra distorsione della custodia cautelare, che viene utilizzata non solo come forma di anticipazione della pena a cerotto di un sistema che invece non garantisce l'applicazione finale della pena, ma anche come leva processuale.
  Allora lo si faceva per forzare – e poi il legislatore intervenne – le confessioni degli indagati, perché di questo stiamo parlando, oggi per godere di alcuni istituti processuali, come l'immediato cautelare. In che maniera vengono utilizzati questi istituti ?
  Torniamo poi sul discorso dei tempi e anche sul discorso dei tempi del tribunale del riesame, di fronte a tempi elefantiaci delle indagini preliminari. Molto spesso viene utilizzata la custodia cautelare per avere l'immediato cautelare, perché l'immediato cautelare è un'accelerazione formidabile del processo. Questo è il punto in discussione.
  Sembra addirittura illogico fare riferimento parametrando questo aspetto a quella norma che dice che, se tu, in previsione, in un dato momento, naturalmente, potrai godere della sospensione condizionale della pena, è paradossale che finisca a scontarne anticipatamente qualche cosa in maniera assolutamente gratuita. Il discorso è assolutamente identico, in termini di presunzione, rispetto al 656.
  Tutto quello che vi è stato detto, anche quello che tecnicamente, ma nella sua versione politica, vi è stato detto, parte dalla negazione del presupposto, che è esattamente lo stesso, e che voi avete potuto apprezzare. Se noi costruiamo, e lo stiamo costruendo o non lo stiamo costruendo, un sistema in cui non soltanto la custodia cautelare, ma anche il carcere non sono la pena d'elezione – su questo io avevo sentito i rappresentanti dell'ANM, in altre audizioni, dire le medesime cose – allora di certo non posso gridare allo scandalo se, di fronte a un carcere che poi non ci sarà, si dà la possibilità, non l'automatismo, al giudice, nel momento in cui applica la custodia cautelare, di verificare anche se il sistema che può funzionare alla fine sottrarrà quella privazione della libertà, ancorché la pena sia stata formalmente irrogata. Dov’è lo scandalo e soprattutto dov’è l'illogicità ?
  Signori, quello che dal nostro punto di vista è accaduto è stato un impoverimento di una proposta che era stata formulata in sede parlamentare, non caduta nel nulla, ma caduta da quelle grida dei massimi rappresentanti della magistratura, nonché dal lavoro faticoso e assai condiviso delle diverse componenti del mondo giuridico, ossia l'accademia, la magistratura e l'avvocatura penale.
  Io faccio riferimento al fatto che larga parte delle proposte che sono state anche modificate – vedremo da qui a un momento come – in sede di seconda lettura dal Senato provenivano dalla proposta della Commissione Canzio. Voi avevate sentito il Presidente Canzio e il professor Spangher, non a caso uniti qui di fronte a voi, spiegarvi la ragione di quell'intervento, che era un intervento complessivo, che non poteva essere amputato pezzo per pezzo, per poi avere una risultante assolutamente insoddisfacente.
  In quella proposta, o nella proposta arricchita in sede parlamentare nei lavori di questa Commissione, poi impoverita Pag. 19dalla lettura d'Aula e successivamente, torno a dire, isterilita dalla lettura al Senato, era stata riversata parte del lavoro che in seno al Consiglio superiore della magistratura aveva fatto la Commissione diretta dal professor Giostra. Non rimane quasi nulla di tutto questo.
  Vediamo allora alcune delle cose che non rimangono e che sono state contestate. Già ho detto dell'attualità. Ci si dice pure che altre soluzioni sono stravaganti.
  Tanto per essere chiari, la reintroduzione dell'automatismo del divieto di concessione degli arresti domiciliari nell'ipotesi di violazione è una reintroduzione che viene «stampellata» con una locuzione che ci dà i guai nostri quando la utilizziamo in altri istituti.
  Signori, l'evasione di lieve entità è, francamente, una cosa oscura da ritenere. Con questo noi vorremmo fare una legge, perché quello è il problema che era stato indicato da limiti e parametri più stretti di applicazione, per riportare all’extrema ratio l'utilizzo della custodia cautelare ?
  Noi avevamo ritenuto, e questo era il frutto di un lavoro della Commissione Canzio – lo dico perché l'avvocatura penale partecipa ai processi legislativi e ci mette del suo, il che significa che si fa carico del bene collettivo, non in visione corporativa – che, di fronte al tribunale del riesame, fosse scandaloso che un'indagine preliminare durasse tre anni e che fosse formata da 150 fascicoli per complessivo mezzo milione di pagine processuali. Poi, però, giustamente, in ossequio a quel principio di rapidità, su cui torno, del controllo della cautela, accettavamo che il difensore si trovasse semplicemente nella possibilità di non leggere neanche minima parte di questo e che, quindi, ad occhi bendati andasse di fronte al tribunale del riesame.
  Per questo motivo era stata introdotta la norma che dava la possibilità alla difesa di avere un allungamento di quel termine, proprio per difendersi. Adesso questo allungamento d'ufficio svuota di contenuto la tempestività di una procedura di riesame che deve essere per definizione tempestiva. Se si dimenticano quegli anni prima, se si dimentica l'enorme forza dello Stato che in quegli anni si riversa, come si fa a rendere logica la circostanza che oltre a quegli anni precedenti, e non più in funzione difensiva, si vuole allungare il tempo di verifica della privazione della libertà di uno che è presunto innocente ?
  Nella procedura del riesame si era preso in considerazione, e francamente noi avevamo qualche dubbio, quello che non avevamo verificato, ossia che addirittura potesse essere dilatato questo termine. È paradossale dare la possibilità di un termine di estensione del provvedimento che viene introdotto, a questo punto, in maniera cogente e che è pari a quello che viene considerato ordinariamente per la redazione delle sentenze. Quel termine di quarantacinque giorni è assolutamente troppo ampio rispetto alla ratio delle modifiche legislative che si proponevano sul punto della tempestività, ma anche della concreta efficacia della difesa di fronte al tribunale del riesame.
  Si dice che al pubblico ministero che ha chiesto l'applicazione delle misure viene nuovamente riconosciuta la legittimazione al ricorso per Cassazione anche nell'ipotesi di doppia conforme negativa. Quella era un'evoluzione positiva del sistema, che invece è stata assolutamente ridotta.
  Ho ascoltato prima le disquisizioni che sono state fatte a proposito del divieto di reiterare la misura divenuta inefficace. È bene che il legislatore sappia che cosa avviene nella prassi giudiziaria. Di fronte a quel divieto, l'imputato per il quale è stata dichiarata inefficace la misura perché lo Stato non ha saputo neppure rispettare i termini minimi della sua verifica giurisdizionale, in sede d'appello viene fermato nella matricola del carcere, gli viene irrogato un provvedimento di fermo e neppure mette un piede fuori dal carcere.
  Questa è la prassi giudiziaria ed è bene che il legislatore in quest'aula conosca la prassi giudiziaria. È bene che sappia, cioè, che, dopo aver deciso nel Codice di procedura penale che i tempi del riesame sono tempi cadenzati e obbligatori, perché sono i tempi di chi, privato della libertà, Pag. 20pur senza essere stato condannato, dopo indagini che durano anni, ha diritto a un accertamento rapido, tali tempi vengono completamente vanificati.
  Questo è il punto. Di questo stiamo discutendo. Non stiamo discutendo di altro. Per questo avevamo concordemente, magistrati, accademici e avvocati, trovato un punto di congiunzione che, invece, impediva una bruttura, dal punto di vista costituzionale, di questo genere.
  Finisco qui perché mi sono accalorato, presidente, e mi rendo conto che forse non è il caso. È, però, il caso di stabilire un punto, che poi è la premessa che vi è stata fatta: il pendolo oscilla. Questo pendolo non ha oscillato. Questo pendolo, quando ha iniziato a oscillare verso un rafforzamento delle garanzie, è stato bloccato, e non a metà, purtroppo, ma all'inizio dell'oscillazione. Quello che usciva dai lavori parlamentari è stato prosciugato dal Senato e oggi si vuole prosciugarlo ancora. Questa non è la riforma della custodia cautelare che era stata il punto di congiunzione di una determinata opzione legislativa che partiva dal riconoscimento di un'emergenza, non di altro.
  Io depositerò, come sempre faccio, e lo faccio dopo averlo fatto anche nella precedente occasione, un documento che riassume queste considerazioni. Noi già depositammo a suo tempo una tavola sinottica con possibili miglioramenti della normativa.
  So che siamo in seconda lettura, però la seconda lettura di questo provvedimento significherà, se lo licenzierete come viene dal Senato, se non tornerete su quegli arretramenti del Senato, sostanzialmente vanificare la riforma della custodia cautelare e, quindi, vanificare il primo passo verso una riforma del sistema che vede il carcere utilizzato come deve essere utilizzato in uno Stato moderno, ossia senza prendere in considerazione solo la sicurezza o, peggio che mai, la percezione della sicurezza.

  PRESIDENTE. La ringrazio e ringrazio tutti.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  TANCREDI TURCO. Io sono rimasto particolarmente colpito e ho seguito con attenzione il dibattito che riguarda il diritto di applicazione della custodia cautelare in carcere e degli arresti domiciliari nel caso in cui il giudice ritenga che, all'esito del giudizio, l'esecuzione della pena possa essere sospesa ai sensi dell'articolo 656, comma 5.
  Visto, come già ricordato, che al Senato questo articolo è già stato approvato, chiedo all'Associazione nazionale magistrati o a chi altri voglia rispondere quali suggerimenti effettivi ci possano offrire per migliorare eventualmente questo testo.

  CARLO SARRO. Presidente, intervengo non per una domanda, ma per una doverosa precisazione. Ho ascoltato l'intervento del presidente dell'Associazione nazionale magistrati e desideravo, anche come correlatore del provvedimento, precisare che questo provvedimento di iniziativa parlamentare non ha nulla a che vedere con il tema del sovraffollamento delle carceri, Né nell'intento dei proponenti, né in quello dei relatori, né durante lo svolgimento dei lavori parlamentari c’è stata mai una lettura della misura in questi termini, bensì la volontà di dar vita a una riforma di sistema che puntasse a introdurre altre garanzie e a risolvere altri problemi, quelli di un uso non sempre lineare dell'istituto della custodia cautelare.
  Grazie.

  ANNA ROSSOMANDO. Presidente, io aspettavo a intervenire, anch'io in qualità di relatore, perché a noi spetta un compito di ascolto di tutti i contributi, sia degli auditi, sia dei commissari. Al di là del materiale cartaceo che è stato lasciato, io ho preso, quindi, nota di molti spunti che ritengo interessanti. Li valuteremo soprattutto con riferimento ai vari interventi sulla parte su cui c’è una doppia conforme. In particolar modo dal Presidente Pag. 21Sabelli sono stati offerti spunti molto tecnici, su cui credo che occorra riflettere.
  In modo forse un po’ illuminista, io penso che queste audizioni siano per noi importanti sicuramente non solo per avere un contributo tecnico. Io le considero anche un momento importante di coinvolgimento nel processo di formazione delle leggi di interlocuzione. Vorrei dire una cosa molto sinteticamente, non per avere la presunzione di far cambiare gli orientamenti, ma per provare a condividere. Pertanto, torno su un punto che a me interessa.
  Dicevamo prima con il collega Sarro, e l'abbiamo sempre detto anche nella discussione generale e nella presentazione del provvedimento, che questo non è un provvedimento fatto per incidere sul sovraffollamento. Può avere anche, ovviamente, quell'effetto, ma ha l'ambizione più alta di restituire a questo istituto la sua funzione originaria, in un'ottica di sistema.
  Per esempio, in riferimento ai vari collegamenti alla questione dei tempi del processo, noi adesso siamo in una fase di produzione legislativa che ha un'ambizione alta, quella di intervenire strutturalmente, diversamente da come si è fatto negli anni passati, sul complesso della normativa.
  Vengo al punto che mi interessa condividere. Io credo che, in particolar modo sulla lettera c) del 274, cioè sul pericolo di reiterazione e sulla questione di tutela della collettività, alla quale naturalmente siamo molto sensibili, come legislatori, l'attualità sia con riferimento al pericolo di reiterazione, non, come qualcuno giustamente ci ha sottoposto, all'esito del processo o alla questione di tutte le indagini pregresse.
  La reiterazione è già un concetto delicato, perché in sede sempre più dottrinaria è stato anche fatto presente che collide o ha delle invasioni di campo con la presunzione di non colpevolezza. Poiché sulla tutela della sicurezza della collettività io mi sento responsabile, come legislatore, accetto ovviamente il concetto di reiterazione, ma osservo che, a questo punto, è un problema proprio di logica.
  Rispetto a che cosa, cioè, consideriamo la tutela della collettività e dell'attualità ? L'attualità e la tutela della collettività sotto il profilo della custodia cautelare, non della sanzione, in questo caso sono considerate rispetto al pericolo di reiterazione. Pertanto, la tutela della collettività e l'attualità di questa tutela sono rispetto alla reiterazione, non ad altri concetti.
  Da questo punto di vista, io penso che sia importante e non da sottovalutare, proprio in quest'ottica di condivisione e di formazione delle leggi – qualcuno, infatti, lo ha sottolineato e ricordato – facendoci anche carico di una serie di osservazioni su una formulazione che poteva dare luogo a qualche fraintendimento, il fatto che l'Aula della Camera e successivamente il Senato abbiano tolto ogni dubbio sulla valorizzazione dell'analisi sulla concretezza del pericolo, desunta da tutte le circostanze.
  Da questo punto di vista, si è fatto riferimento al titolo del reato – c’è stata una modifica già prima nell'Aula della Camera – e si è tenuto conto di una serie di osservazioni, sapendo che noi sin dall'inizio avevamo in testa la valorizzazione di un giudizio di concretezza proprio su tutte le circostanze e le modalità di commissione del fatto, così come si presentano in quella fase. Poiché questo ha a che vedere con l'impostazione, mi premeva farlo presente, perché credo che su questo punto siamo arrivati a un percorso molto avanzato.
  Mi sembra, invece, interessante, fatta salva la questione della doppia conforme, intervenire su quel tipo di osservazioni di coordinamento sul 256 che hanno a che vedere, per esempio, col comma 10 o sull'altro, condividendo io l'impostazione che fa riferimento – almeno noi l'abbiamo sempre pensato – alla sospensione dell'esecuzione della pena e non all'esito del giudizio del tribunale di sorveglianza.
  In questo modo completiamo la nostra presa a nota di tutte le questioni, fatta salva quella della doppia conforme. Mi sembra che le osservazioni fatte siano anche molto relative all'interpretazione di questa norma, così come noi l'abbiamo già Pag. 22scritta. Noi l'abbiamo pensata così. Può esserci eventualmente un problema di interpretazione, ma è tutto, lo ripeto, solo per completezza del materiale, perché c’è ancora molto da lavorare.

  VITTORIO FERRARESI. Grazie, presidente. Io starò molto sul concreto, anche se sarò un po’ sommario. Non intendo fare lunghi discorsi.
  Mi pare che si sia pronunciata solo l'Associazione nazionale magistrati sulla modifica apportata dal Senato riguardante la gravità del titolo di reato. Vorrei sapere anche dagli altri se non ritengano che svuoti un po’ il significato della norma.
  Per quanto riguarda il finanziamento illecito ai partiti, desidero chiedervi quale ragione ci sia sul piano delle esigenze cautelari (a mio avviso, nessuna) per inserire questo reato. Eventualmente, se lo riteniamo così grave, perché non alzare, allora, la pena forse a cinque anni ?
  Per quanto riguarda, invece, il traffico di stupefacenti, il 416-ter e la presunzione, mi pare di aver capito che tutti gli auditi siano d'accordo sull'esclusione, mentre sull'articolo 12, comma 5, le posizioni sono un po’ più diverse, anche se sulla rinnovazione la maggioranza dei magistrati e dei professori ha detto che non è a favore.
  Per quanto riguarda, invece, il resto, ci sono delle opinioni piuttosto contrapposte.
  Come ultima domanda, sul 656, comma 5, e sugli altri punti critici vorrei chiedere all'Associazione nazionale magistrati, al professor Marzaduri e al procuratore Pignatone se eventualmente con queste criticità loro approverebbero la norma ugualmente, oppure se sarebbe meglio tornare sui nostri passi, fare veramente un passo indietro e ragionarci con più calma prima di approvare una norma del genere.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Faccio un breve chiarimento sull'accenno al sovraffollamento. Io so bene che questo disegno di legge non è stato presentato per risolvere il problema del sovraffollamento. Infatti, ho svolto quella premessa riferendomi non, ovviamente, alla sede parlamentare, ma a un dibattito pubblico diffuso e ricorrente che induce a qualche suggestione, che a mio parere è errata. Sono d'accordo con l'onorevole Rossomando, ovviamente: se poi dalla riforma, che deve avere altri obiettivi principali, consegue anche un effetto su questo tema, sarà un effetto apprezzato.

  PRESIDENTE. Forse la riforma arriverà alla fine adesso, ma è stata presentata nella scorsa legislatura. Peraltro, mi pare che nelle varie inaugurazioni dell'anno giudiziario del primo presidente della Corte di cassazione il problema sia stato riproposto sia da Lupo, sia da Santacroce. Non è un problema che ha posto il Parlamento da solo, ma è un problema, quello della custodia cautelare in carcere, che pone anche la magistratura. Nasce da lì. Questo volevamo precisare. Non stiamo facendo questo per svuotare le carceri in quanto tali, ma per cercare di riportarle nella giusta linea.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Questo è ben noto all'Associazione. Del resto, l'Associazione più volte si è pubblicamente espressa, anche in sede parlamentare, in termini favorevoli a una riduzione dell'ambito. Quello che, però, voglio dire è che questi sono interventi complessi.
  Per esempio, noi sappiamo che una forte incidenza delle misure cautelari è in materia di sostanze stupefacenti. La riforma dell'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, in particolare la riduzione della pena edittale massima, comporta alcuni effetti proprio in materia cautelare. Pertanto, già quella riforma, impedendo, almeno in prima battuta, l'applicazione della custodia cautelare in carcere, determina una riduzione di ricorso alle cautele personali proprio con riferimento a una materia e a un settore in cui c’è una forte incidenza di misure cautelari.Pag. 23
  Più di una domanda torna sulla questione del 656. Naturalmente, io non mi pronuncio sulla questione della doppia conforme, in quanto non mi compete. Credo di essere stato piuttosto analitico su quelli che possono essere gli effetti, ma anche le incertezze interpretative, in qualche caso gravi.
  Quali miglioramenti apportare ? Aggiungo una cosa che non ho detto nell'esposizione, ma che ho scritto. Mi pare particolarmente incoerente il divieto non solo di custodia in carcere, ma addirittura di arresti domiciliari. Credo che ne abbia fatto già cenno uno degli altri auditi. Si vietano gli arresti domiciliari in sede cautelare quando uno dei possibili e dei probabili esiti della sospensione dell'esecuzione è proprio la detenzione domiciliare. Mi pare che in questo caso l'incoerenza sia addirittura evidente.
  C’è poi il problema di un rinvio recettizio alla disciplina del 656, comma 5. Si fa riferimento a tutti i casi di sospensione dell'esecuzione, non solo ai tre anni, ma sembrerebbe anche ai quattro e perfino ai sei anni. Parliamo di pena in concreto.

  PRESIDENTE. Su questo vi è stata la necessità di approfondire, perché si danno per scontate un po’ di cose. Lo dico, altrimenti i colleghi reagiscono. Noi non abbiamo voluto questo, non era nemmeno nella concezione.
  Come ha detto bene l'avvocato Spigarelli, questo emendamento, questa norma viene, insieme ad altre, perché non abbiamo preso solo quella, come recepimento di una serie di indicazioni che sono venute dalla Commissione Canzio. Questo lo dico perché rimanga anche nei lavori parlamentari, essendo in indagine conoscitiva.
  Quella fu una norma che, francamente, il Parlamento ha recepito come un punto di equilibrio, sempre con una valutazione che va fatta dal giudice nel momento in cui emette il provvedimento. Capisco che ci sia una maggiore responsabilizzazione anche da parte della magistratura, ma è il giudice che in quel momento, non ex ante o ex post, deve valutare se ci siano le situazioni per stabilire che una persona avrà una sospensione della pena ai sensi del 656.
  Forse bisogna valutare la questione alla luce – è veramente una mia opinione personale; uno dei punti cruciali è questo e vedo che un po’ tutti ci siamo soffermati su di esso – di tutti i mutamenti che ci sono (lo dico anche al Governo, qui presente) del 656.
  Questo 656 è un contenitore largo, che ha vari mutamenti normativi. Noi su quel principio – lo dico a livello personale, anche se il tema è stato discusso nell'ambito del gruppo – si sono soppesati i valori in gioco e a quel punto si è detto chi non deve entrare in carcere, perché comunque ha quella sospensione dello stesso giudizio (mi inserisco nella domanda) di prognosi.
  Io ho letto con attenzione anche le dichiarazioni che all'epoca fece il Procuratore Pignatone. La magistratura si «lamenta» e dice: «Dobbiamo usare una sorta di palla di vetro e valutare un giudizio di prognosi futuro». È lo stesso giudizio di prognosi che deve fare oggi – questa è la mia domanda – prevedendo un non arresto in custodia cautelare in carcere o, secondo una certa giurisprudenza, anche domiciliare per chi deve beneficiare della sospensione della pena. Deve sempre fare una valutazione di prognosi di pena, perché deve valutare se rientri nei due anni.
  Noi abbiamo, quindi, pensato, e lo dico perché qui è stato valutato, ma credo che l'abbia pensato anche la Commissione Canzio, dove c'erano varie persone a pensare, che lo stesso giudizio di prognosi si faccia in base a un'evoluzione che c’è stata del 656. Così si dice che il soggetto non deve entrare in carcere, ma può beneficiare della sospensione dell'esecuzione, salvo poi verificare se ci debba entrare dopo, come diceva giustamente il procuratore.
  Pertanto, da parte del Parlamento c’è l'affidamento di un giudizio di prognosi che la magistratura è già chiamata a fare in più casi e in più situazioni. Certo è che noi pensavamo alla sospensione dell'esecuzione per tre anni, non pensavamo ai Pag. 24quattro o ai sei. Io credo questo. Certamente, in quel caso il richiamo è al 656.

  VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (fuori microfono). La logica è uguale.

  PRESIDENTE. Indubbiamente, ma i quattro anni – lo sintetizzo – sono affidamenti in prova per chi sta in precarie condizioni di salute e i sei anni sono per chi è tossicodipendente e può beneficiare.

  VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane (fuori microfono). È ancora più facile poter verificare quella presunzione in questi casi...

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Possiamo andare con ordine ?

  PRESIDENTE. Andiamo con ordine.
  Se voi tutti leggete la relazione introduttiva a questo provvedimento, vedrete che abbiamo evidenziato tutte le altre problematiche che ci siamo posti dal punto di vista delle interpretazioni. In realtà, il 656, comma 5, elimina già una serie di reati, con il richiamo a tutti i casi dei commi 7 e del 9 dello stesso 656. Già siamo fuori. Tutta una serie di altri reati gravissimi sono fuori. Lo abbiamo meditato tanto.
  La cosa che personalmente (mi rivolgo, in particolare, all'avvocatura) da tecnico mi lascia perplessa è che – questo ce l'hanno segnalato anche il Servizio studi della Camera e quello del Senato; mi dispiace soltanto che tutta questa questione potesse essere corretta al Senato; noi ci siamo fatti carico di questo ulteriore approfondimento, ma questa questione era già evidente – il comma 10 del 656 dà per certo che chi si trova ai domiciliari abbia diritto di avere la sospensione dell'esecuzione stando ai domiciliari. Se noi facciamo una norma in cui escludiamo addirittura i domiciliari, c’è effettivamente un problema di incoerenza. Questo è il punto.
  Noi ne abbiamo parlato e ne abbiamo discusso. Il Governo sa che io mi sono molto non dico arrovellata su questo punto, ma comunque che ci siamo posti il problema. Non è tanto il principio. Francamente, è un principio che, quando l'abbiamo recepito, non l'abbiamo recepito a cuor leggero. C’è stata una discussione e c’è stato il recepimento di una serie di indicazioni della Commissione Canzio che hanno convinto il Parlamento e i vari Gruppi. Ha votato contro soltanto il Gruppo della Lega, mi pare di ricordare. Qui la gente non fa le cose così tanto per farle.
  Il discorso è effettivamente che i vari richiami interni al 656, che è una norma complessa e molto manipolata nei vari passaggi dal legislatore, creano proprio un problema. Se il 656, noi diciamo, non si può nemmeno applicare ai domiciliari, allora quando si applica il 656, comma 10 ? Questo è un po’ il punto su cui, francamente, ci sono perplessità.
  Certamente adesso noi ci troviamo con una doppia conforme. La doppia conforme è un conto. Poi, se si vuole aggiustare da un'altra parte o in un atto conseguente un provvedimento, siamo in Parlamento. Se la norma è sbagliata, perché è incoerente e non si può applicare, va modificata.
  Mi scusi se le ho tolto la parola, ma in questo modo abbiamo chiarito uno dei punti più dolenti. Oggi – lo dico anche a chi ha chiesto le audizioni – come dicevano l'onorevole Rossomando e il relatore Sarro, avremmo potuto evitare un'ulteriore audizione, essendo questa la terza lettura, ma l'abbiamo fatta proprio perché c’è la necessità di fare un provvedimento strutturale e di non farlo sull'onda di alcuna emergenza. C’è la necessità di emanare una legge che, non appena esce, non venga criticata a trecentosessanta gradi, o perché è contro l'indagine in corso, o perché ci sono altre problematiche.
  Noi vogliamo emanare un provvedimento che serva e che sia idoneo ai princìpi per cui è stato richiesto da tutte le parti. Mi pare che questo sia uno dei Pag. 25punti di riforma voluto dalla magistratura, dall'avvocatura e dalla dottrina. Non è una questione che nasce dal nulla.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Certo. Io adesso proseguo nelle risposte, cogliendo anche queste problematiche rappresentate dal presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che l'Aula è alle 18.45.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Il problema, per come noi lo riteniamo, non è tanto la difficoltà di operare una prognosi, perché lei già esattamente osservava che la prognosi si fa nel momento in cui il giudice valuta se la pena sarà o no condizionalmente sospesa.
  Il problema è che la sospensione condizionale anzitutto può essere concessa solo due volte. Vi sono dei casi, per esempio i recidivi, in cui non potrà mai essere concessa. Inoltre, prevede un limite massimo di pena di due anni. Qui, invece, parliamo di un istituto che si applica almeno fino ai tre anni, se non, in quei casi particolari, eventualmente anche oltre, senza limiti e con riferimento a quell'automatismo che è la sospensione dell'esecuzione.
  Questo è un provvedimento in sé automatico, perché il pubblico ministero non ha alcuna discrezionalità, nel momento in cui esegue il titolo di scelta fra sospensione e non sospensione. È automatico e altrettanto automatico, analogamente, diventa il divieto di applicazione di custodia in carcere e di arresti domiciliari. Quando io ho parlato di corto circuito, facevo esattamente riferimento a questo problema che si pone nel rapporto con il comma 9 e, in particolare, con il comma 10 degli arresti domiciliari.
  Quali modifiche apportare ? Noi siamo critici complessivamente sulla previsione di un collegamento fra misure cautelari ed esecuzione. Per esempio, il divieto di applicazione di misure cautelari custodiali dovrebbe valere per tutte le esigenze cautelari e, quindi, anche per le esigenze di natura probatoria. Pur in presenza di un potenziale pregiudizio per la prova che può derivare dallo stato di libertà, ove sussistano in previsione le condizioni per una sospensione dell'esecuzione, non sarà possibile comunque applicare una cautela, neanche attenuata, quale quella domiciliare, a rischio, quindi, di prove che non sono state ancora acquisite al processo.
  Già questo riferimento integrale del divieto di applicazione di custodia cautelare indipendentemente dalla natura dell'esigenza cautelare considerata, francamente, mi pare che si presti a forti perplessità.
  Quali miglioramenti introdurre, volendo comunque accettare – faccio una subordinata – l'impostazione data ? Io sono assolutamente convinto della tesi principale, ma vengo sollecitato dal deputato che mi chiede: «Eventualmente, volendo approvare comunque questa disposizione, quali miglioramenti posso fare ?» Mi permetto di dare un contributo in questo senso. Già segnalavo l'incoerenza di applicare questo divieto agli arresti domiciliari.
  Quando ho parlato di come vada letto questo riferimento e se esso sia integralmente recettizio della disciplina del 656, comma 5, non volevo dare una soluzione, ma porre un problema interpretativo. Se io fossi un avvocato – sono sicuro che l'avvocato Spigarelli, che conosco bene, lo farebbe – nel momento in cui, da difensore, avessi un assistito tossicodipendente conclamato, con la volontà anche di sottoporsi a un programma di disintossicazione, fin dalla fase delle indagini preliminari, di fronte a una misura cautelare o alla prospettiva di una misura cautelare, farei valere questa volontà e, quindi, farei valere ora per il futuro la sussistenza delle condizioni per un articolo 94.
  In questo caso, dunque, la sospensione varrebbe fino a una pena, in concreto e non in astratto, fino a sei anni. Peraltro, si porrebbe anche il problema se l'articolo 94 sia escluso, e probabilmente non lo è, Pag. 26in presenza dei reati ostativi di cui al 4-bis, ossia in presenza di una rapina aggravata.
  Per evitare ogni dubbio interpretativo, meglio sarebbe un esplicito riferimento a un'entità della pena, se proprio si vuole lasciare questo collegamento, fermo restando che vi sono alcuni titoli di reato, in particolare quelli indicati nel comma 9, con rinvio, peraltro, al comma 4-bis, che dovrebbero essere esclusi da questo divieto di applicazione di custodia cautelare.
  Inoltre, già segnalavo il problema di un rinvio alla sospensione dell'esecuzione, che, come dicevo, non prevede alcuna discrezionalità e non, invece, a una prognosi riferita alla possibilità di accedere in concreto alle misure alternative.
  Ho fatto riferimento al finanziamento dei partiti, ma io non penso che il finanziamento dei partiti sia uno di quei reati per i quali si debba procedere a custodia cautelare. Lo indicavo come singolarità.

  PRESIDENTE(fuori microfono). Prevede la reclusione fino a quattro anni.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. È esattamente il contrario. Mi è sembrato un po’ stravagante questo inserimento del finanziamento illecito dei partiti in presenza addirittura, di fatto, di un divieto di applicazione di misura.
  Sulle altre domande credo siano stati interpellati forse gli altri.

  GIUSEPPE PIGNATONE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Ringrazio innanzitutto l'onorevole Rossomando, che mi ha riconfermato nella mia idea che la tutela della collettività è una cosa di cui preoccuparsi anche nel processo penale. Mi sembrava dopo quarant'anni di non aver capito più niente, il che sarebbe stato grave.
  Sull'attualità io mi sono permesso di dire – ne ho parlato solo io; prendo atto di tutte le precisazioni del relatore e della relatrice – che la mia preoccupazione è che, come sappiamo tutti, le parole assumono vita propria nel momento in cui sono calate nella legge. Tutta la discussione che abbiamo fatto sul 656 ha confermato che evidentemente la Commissione Canzio non si era posta chiaramente, per chissà quale deficit di attenzione, i problemi che ci siamo posti oggi tutti noi. Questo per l'attualità.
  Anch'io sono assolutamente convinto di quello che abbiamo detto sull'assurdità del collegamento tra misure cautelari e prognosi di sospensione, non di concessione dei benefici, che è un'altra questione ancora. Parlo di sospensione dell'esecuzione, che è un fatto matematico, su un numero che non abbiamo, peraltro, in quanto dobbiamo fare la prognosi.
  Ripeto, se la Commissione, la Camera e poi il Senato dovessero andare avanti su un'ipotesi di modifica, magari fissando un limite numerico invece del rinvio al 656, oltre a tenere conto, come bene ha detto il collega Sabelli, delle esclusioni per tipo di reato, dovremmo porci il problema di tutte quelle condizioni che fanno sì che a una sospensione dell'esecuzione non segua il beneficio. La recidiva è la più semplice, ma ce ne sono altre.
  Diversamente, l'assurdità che, secondo me, rimane di partenza delle due situazioni diventa ancora più assurda, perché nella fase iniziale, in cui abbiamo gli altri parametri di esigenze cautelari di cui più volte abbiamo parlato, andiamo addirittura ultra petita rispetto a quella che fra quattro, cinque o sette anni diventerà la decisione del tribunale di sorveglianza.
  Grazie.

  VALERIO SPIGARELLI, Presidente dell'Unione delle camere penali italiane. Intervengo per conto della Commissione ministeriale a cui ho fatto riferimento.
  Premesso quello che abbiamo detto sul comma 10, su cui si può obiettivamente discutere, la Commissione Canzio si era, invece, perfettamente interpellata sui meccanismi che produceva quella scelta, che a me non paiono per nulla inficiati da ciò che è stato rappresentato prima. Anzi, l'esempio che ha fatto il dottor Sabelli è esattamente quello che era stato preso in considerazione. Di fronte a un carcere che Pag. 27non è destinato a essere irrogato, quello che si vuole è non irrogare un'anticipazione di pena del tutto gratuita, a questo punto. Questo è il punto in discussione. Rispetto a quel punto in discussione la soluzione era non soltanto preventivata, ma anche perfettamente logica.
  Quanto all'attualità delle misure, noi avevamo chiesto ben di più, mi rendo conto. È il Parlamento che, anche in sede di prima lettura, è andato a una previsione diversa. Noi avevamo puntualmente discusso proprio per rafforzare quel tipo di valutazione, che invece nella prassi giudiziaria non viene fatta.
  Debbo una risposta, giustamente, al Procuratore Pignatone. Lo strumento di difesa sociale del processo è fuori della nostra sfera, perché il processo non è uno strumento di difesa sociale. È uno strumento di accertamento di singole responsabilità. Su questo non penso di dire una cosa rivoluzionaria. Penso che ci sia un pensiero giuridico solido che afferma questo principio. Un altro conto sono, invece, meccanismi che prendano in considerazione la possibile reiterazione in concreto e attuale di un singolo reato.
  Dovevo, invece, una risposta, perché mi era stata chiesta proprio sul punto della attualità. Quello che si era proposto inizialmente è proprio di spezzare questo automatismo, che oggi si vuole attenuare con il riferimento al titolo del reato. Si dice: «Attenzione: non desumete il pericolo di reiterazione e la pericolosità del fatto unicamente da certi elementi, ma da una valutazione complessiva», tant’è vero che si riconosce che questo non deve essere fatto più esclusivamente con riguardo al titolo del reato. Perché avete scritto questa norma ? Perché così avviene, prescindendo anche dalla valutazione in concreto della personalità dell'indagato.

  VITTORIO FERRARESI. Io ho apprezzato anche i discorsi teorici. Ho cercato di restare molto stretto, ma non ho ricevuto tante risposte e sinceramente mi dispiace un po’. Non mi è stato risposto soprattutto sull'approvare o no la norma così come sta.

  PRESIDENTE. Approvare una norma, però, è una responsabilità che non possiamo attribuire a terzi.

  VITTORIO FERRARESI. È una responsabilità che si devono prendere.

  PRESIDENTE. Questa è una nostra responsabilità. Non la possiamo delegare. Non hanno risposto anche per rispetto del principio della separazione dei poteri.

  PRESIDENTE. È come se contestassimo un'ordinanza. Le ordinanze di custodia cautelare le richiedono loro. Noi facciamo le leggi. Non possiamo chiedere agli altri di assumersi questa responsabilità.
  Do la parola al rappresentante del Governo.

  COSIMO FERRI, Sottosegretario di Stato alla giustizia. Il Governo ringrazia il presidente della Commissione, i commissari e tutti gli illustri e autorevoli esponenti della magistratura, dell'avvocatura e dell'accademia che sono stati auditi.
  Desidero intervenire sul 656, comma 5, che è l'ultimo punto su cui ci siamo soffermati e su cui mi pare che il Presidente Sabelli abbia suggerito alcune proposte a seguito della domanda dell'onorevole Turco.
  Io ritengo che, a parte il problema della doppia conforme, che tutti conosciamo, questo sia un problema che deve essere affrontato, anche perché ne esiste un altro: se noi manteniamo il riferimento al 656, comma 5, il suggerimento è di sostituirlo con la pena fino a tre anni di reclusione. Indicare la pena, secondo me, è una soluzione che può essere valutata da percorrere. Per quanto riguarda l'affidamento in prova, non dimentichiamoci che noi abbiamo alzato il limite da tre a quattro anni. Questo sì che incide sul sovraffollamento carcerario.
  Oggi abbiamo un'incongruenza normativa, perché abbiamo un affidamento in prova che si può avere fino a quattro anni di reclusione e abbiamo, invece, una sospensione con il 656, comma 5, automatica Pag. 28fino a tre anni. Pertanto, oggi per i reati da tre a quattro anni il pubblico ministero non può applicare il 656, comma 5 e il soggetto deve entrare, fare l'istanza e c’è poi il cosiddetto fenomeno delle porte girevoli che tutti conosciamo.
  Se andiamo ad adeguare, come si dovrà fare, il 656, comma 5, con la norma sull'affidamento in prova, si crea un problema. Se rimane il riferimento al 656, comma 5, non ci sarà più il riferimento da tre anni con il limite dei quattro per gli ammalati e di sei per i tossicodipendenti, ma si alzerà e si dovrà portare a quattro anni.
  Per questo motivo ho apprezzato il suggerimento del Presidente Sabelli e, devo dire, anche la distinzione, su cui mi pare sia d'accordo anche l'avvocato Spigarelli, di coordinamento con gli arresti domiciliari e con l'altro profilo. Infatti, una soluzione, sempre se si riesce a superare il problema del Regolamento della Camera con la doppia conforme, per quanto riguarda la soluzione intermedia, può essere quella di distinguere e di stabilire che non possa essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena. Non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene diversamente. Qui si potrebbe fare il riferimento ai tre anni, togliendo il 656, comma 5 e distinguendo che per gli arresti domiciliari, invece, non vale questo riferimento. Questo mi sembra uno spunto.
  Noi siamo favorevoli ad adeguare il 416-ter e il 74, su cui mi pare che sulla presunzione assoluta ci sia l'unanimità di consensi. C’è già la Corte costituzionale e, quindi, sorvolo.
  Sugli altri punti che sono stati toccati il Governo si riserva di esprimere il proprio parere. Rimane il punto dell'articolo 16, che è stato affrontato. Già in Aula noi avevamo detto che questa era una materia non attinente al procedimento della misura cautelare.

  PRESIDENTE(fuori microfono). Ogni occasione è buona al Senato per mettere un disciplinare in più.

  COSIMO FERRI, Sottosegretario di Stato alla giustizia. Su questo punto noi avevamo detto che la materia era estranea al provvedimento. Ci limitiamo a esprimere un parere, però, non votiamo.

  PRESIDENTE. C’è un interesse particolare, in un provvedimento che riguarda la custodia cautelare, a modificare l'ordinamento in materia di disciplinare. Questo mi pare assurdo, ma non mi voglio esprimere. Me lo tengo per me.
  Vi ringrazio ancora tutti a nome di tutti i colleghi e del Governo per l'approfondimento che ci avete offerto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.