XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 8 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C. 3201 , DI CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE N. 83 DEL 2015, RECANTE «MISURE URGENTI IN MATERIA FALLIMENTARE, CIVILE E PROCESSUALE CIVILE E DI ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA»

Audizione di Alida Paluchowski, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, di Roberto Fontana, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza, e di Filippo Lamanna, Presidente del Tribunale di Novara.
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Lamanna Filippo , Presidente del Tribunale di Novara ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Lamanna Filippo , Presidente del Tribunale di Novara ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Lamanna Filippo , Presidente del Tribunale di Novara ... 6 
Paluchowski Alida , Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Paluchowski Alida , Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Fontana Roberto , Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Fontana Roberto , Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Piacenza ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 15 
Paluchowski Alida , Presidente della Sezione fallimentare del tribunale di Milano ... 15 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 15 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 15 
Lamanna Filippo , Presidente del tribunale di Novara ... 16 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 16 
Piepoli Gaetano (PI-CD)  ... 17 
Paluchowski Alida , Presidente della Sezione fallimentare del tribunale di Milano ... 18 
Fontana Roberto , Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Piacenza ... 18 
Piepoli Gaetano (PI-CD)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Ermini David (PD)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Lamanna Filippo , Presidente del Tribunale di Novara ... 18 
Piepoli Gaetano (PI-CD)  ... 18 
Lamanna Filippo , Presidente del Tribunale di Novara ... 18 
Paluchowski Alida , Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano ... 21 
Lamanna Filippo , Presidente del Tribunale di Novara ... 22 
Paluchowski Alida , Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano ... 22 
Fontana Roberto , Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Alida Paluchowski, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, di Roberto Fontana, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza, e di Filippo Lamanna, Presidente del Tribunale di Novara.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 3201, di conversione in legge del decreto-legge n. 83 del 2015, recante «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria», l'audizione di Alida Paluchowski, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano, di Roberto Fontana, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza, e di Filippo Lamanna, Presidente del Tribunale di Novara.
  Ricordo agli auditi che hanno circa un quarto d'ora ciascuno per il proprio intervento.

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del Tribunale di Novara. Non so se in un quarto d'ora riuscirò a rendere il senso delle cose che credo siano da dire in maniera essenziale e fondamentale per questo decreto-legge. Per questo motivo ho preparato una piccola relazione che ho depositato, che è stata fotocopiata e che dovrebbe essere stata distribuita. Per quello che non riesco a dire, non posso che fare rinvio al contenuto di questa relazione.

  PRESIDENTE. Intanto la distribuiamo al relatore e poi agli altri colleghi. È fondamentale avere un documento. Magari adesso affrontiamo i punti più importanti.

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del Tribunale di Novara. Ho preparato la relazione in maniera tale da potermi svincolare dai profili molto tecnici e lasciare un documento che può servire a chi lo voglia per avere un'idea più precisa. Devo però fare un'avvertenza: si tratta di un documento in cui mi sono concentrato sulle criticità che potrebbero essere superate in sede tecnica. Tuttavia, la cosa che voglio assolutamente premettere e far notare – se ci fosse un evidenziatore lo utilizzerei tante volte – è che questo è un decreto-legge stranamente eccezionalmente positivo. Quindi, tutte le criticità che sono riportate non devono far tralignare dall'idea fondamentale che questo è un decreto-legge che serve.
  Dicevo «stranamente» perché negli ultimi anni abbiamo avuto dei decreti legge che, in maniera un po’ altalenante, hanno una volta ristretto i cordoni della tutela dell'impresa e qualche volta li hanno aperti. Qui abbiamo, in una situazione di crisi, un decreto legge che affronta la questione della crisi con tre o quattro novità estremamente interessanti.Pag. 3
  È chiaro che la fretta e l'urgenza con cui esso è stato predisposto hanno fatto sì che ci siano delle lacune, però bisogna dire tutto quello che si può dire di positivo per le cose dette, che non modificherei, mentre si può dire di aggiungere qualche cosa per le cose non dette, cioè per quelle lacune tecniche che non hanno avuto la possibilità di essere espresse in sede di redazione del testo della bozza di decreto-legge.
  Ci sono dei punti fondamentali. Quello che vorrei sottolineare subito, anche se può apparire di secondaria importanza, è la previsione che venga indicata una percentuale precisa, un'utilità precisa nella proposta di concordato. Questo serve per rendere non aleatoria la proposta di concordato, ma seria. Fino adesso, molto spesso è stato impossibile accedere a proposte serie perché si riteneva possibile per il debitore fare una proposta dicendo «vi do quello che ho, poi vi prendete quello che si riesce a realizzare, ma nel frattempo resto esdebitato». In questo modo si rende aleatoria la proposta. Non solo, non ci si perita neanche di informare i creditori su quello che sarà l'oggetto del pagamento che viene loro promesso.
  Qui bisogna fare il rinvio alla raccomandazione della Commissione europea del 2014, che dice espressamente che nelle proposte di concordato gli Stati sono invitati a precisare gli effetti che questa proposta determina. Quindi, la norma dell'articolo 161 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, (cosiddetta legge fallimentare) come modificato dal decreto legge n. 83 del 2015, è sacrosanta.
  La norma interviene poi – e questo è un punto estremamente qualificante – prevedendo la possibilità di fare proposte di concordato concorrenti. Si apre al mercato la possibilità per i creditori, forse per i terzi (il decreto-legge su questo punto non è chiarissimo e forse un chiarimento andrebbe fatto), di fare proposte di concordato alternative.
  Questa è una misura eccezionale, perché riesce a recuperare serietà alla proposta, ma non ridonda in danno del debitore. Forse nessuno ci ha riflettuto, ma se il terzo fa una proposta di concordato riesce, attraverso il suo intervento, a esdebitare il debitore; cioè il debitore fruisce non soltanto dell'effetto esdebitatorio proprio della proposta di concordato, ma anche del plusvalore che il terzo può apportare attraverso la proposta concorrente.
  Il decreto-legge n. 83 del 2015 dovrebbe solo chiarire – questa è una calda raccomandazione – quali sono i rapporti con il debitore. C’è un piccolo passaggio che mette in crisi un po’ il sistema, laddove, all'articolo 185 della legge fallimentare, come modificato dall'articolo 3 del decreto legge n. 83 del 2015, o si dice che, fermo restando quello che dice l'articolo 173, quando il debitore non si preoccupa di dare esecuzione alla proposta vincente del terzo, il tribunale può nominare il commissario come commissario ad acta attribuendogli il potere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla suddetta proposta.
  Non solo, dico io, questa norma coattiva andrebbe estesa a tutti i concordati perché renderebbe seria l'esecuzione, ma quel riferimento all'articolo 173 è ambiguo. L'articolo 173 prevede la revoca del concordato e la revoca sta tra l'ammissione e l'omologa, non c'entra niente la fase post-omologa.
  Nella fase post-omologa non si revoca un concordato, ma tutt'al più lo si risolve. Allora, il problema è di stabilire che effetti ha l'inadempimento alla proposta, anche del terzo, sulla posizione del debitore, cioè se questo fallisce o meno ex post per l'inadempimento alla proposta del terzo, e che cosa succede tutte le volte in cui il debitore, messo alle strette dalle proposte dei creditori concorrenti, voglia a tutti i costi venirne fuori facendo nuove proposte.
  Qui la Cassazione ha detto molto chiaramente in alcune pronunce che non è concepibile una nuova proposta di concordato quando già ne pende un'altra e io dico a maggior ragione ora che ci sono le proposte concorrenti, altrimenti ci sarebbe il giochetto delle tre carte: vedo che arriva il proponente, all'ultimo momento modifico ed elimino la concorrenza.Pag. 4
  Un altro elemento che forse meriterebbe attenzione è la previsione del 40 per cento come prerequisito per dare il via alle proposte. Mi sta benissimo, è una cosa serissima, ma si dice che qualora il debitore offra il 40 per cento o più allora le proposte non sono ammissibili, il terzo non partecipa. Attenzione, è troppo comodo per il debitore dire che propone il 40 per cento anche quando non può mantenere questa proposta. Bisognerebbe prevedere un piccolo correttivo, magari considerando dirimente la relazione che poi il commissario giudiziale farà sulla proposta di concordato; se il commissario giudiziale dice che non esiste né in cielo né in terra che il soggetto che sta proponendo il 40 per cento riesca a mantenerlo, noi dobbiamo rendere possibile la partecipazione dei terzi, come proposte concorrenti, perché non vengano sviati da una mera promessa poco seria di pagare il 40 per cento da parte del debitore.
  Ci sarebbero altri aspetti tecnici, per i quali vi rinvio alla relazione, però questi sono gli aspetti più importanti per quanto riguarda le proposte concorrenti.
  Occorre infine chiarire che il terzo, di norma, utilizzerà i beni del debitore, eventualmente mettendo qualcosa in più, però non esiste solo il concordato per cessione dei beni, ma esiste anche il concordato ristrutturatorio, quello che un tempo si chiamava per garanzia, in cui il debitore si tiene le cose sue e promette di pagare una certa percentuale.
  È concepibile una proposta alternativa anche in questo caso ? E qui andiamo al secondo punto, quello delle offerte concorrenti che riguardano l'azienda. La norma non fa riferimento a una determinata tipologia di concordato, ma estende la possibilità di fare offerte concorrenti da mettere in gara genericamente. Problema: anche nei concordati ristrutturatori o solo in quelli per cessione dei beni ? Questo ha un'influenza, poi, sul tipo di adempimento perché il debitore dovrà adeguare la proposta all'offerta vincente – così dice la legge – quindi ci sarà un problema di adeguamento del piano in funzione di quella che sarà l'offerta vincente.
  Qui segnalo soprattutto un punto molto importante. La norma parla di offerte. Quando c’è stata già l'offerta di un soggetto per un certo prezzo, e questa offerta verrà accettata e l'azienda trasferita a questo terzo, il commissario giudiziale dovrà valutare questa offerta e, se la reputa incongrua, sottoporre al tribunale l'opportunità di aprire al mercato. La norma, lo ripeto, parla di offerte, ma non c'era bisogno di dirlo che il tribunale può aprire al mercato quando c’è un'offerta incongrua. Siccome fino adesso si è sempre ritenuto che nel concordato, in forza dell'articolo 182, quando si tratta di cessione dei beni si applicano le norme cogenti previste per il fallimento, che prevedono la competitività obbligatoria, una mera offerta non conta niente per il tribunale. Il tribunale, in sede liquidativa, dirà al liquidatore di aprire al mercato e di valutare le offerte pubbliche.
  La norma ha un senso se si spinge un po’ più in là e considera i preliminari di vendita. È chiaro che se io voglio mettermi d'accordo per abusare del concordato e sottrarre al mercato i beni aziendali, faccio un preliminare di vendita, il cosiddetto «pacchetto preconfezionato», poi in sede liquidativa c’è poco da scegliere: ormai abbiamo già colui che, in quanto promissario acquirente, ha un diritto all'esecuzione del contratto.
  Tuttavia, sin dal caso «San Raffaele» si è detto che questo modo di fare contrasta con quelle norme cogenti previste in materia liquidativa che prevedono la competitività. Ecco, questa è l'occasione buona per dirlo espressamente, estendere cioè la possibilità di aprire al mercato anche a quelle pattuizioni in cui, prima di fare la proposta, il debitore abbia già accettato ipotesi di accordo traslativo.
  Non ci si deve preoccupare della stranezza, non soltanto perché queste ipotesi sono contrarie alle norme cogenti in materia liquidativa che vengono richiamate esplicitamente anche dal decreto legge – gli articoli da 102 a 105, che prevedono la competitività – ma anche perché c’è una normativa nuova sui contratti pendenti che prevede la possibilità di sciogliere i Pag. 5rapporti precedenti. E un preliminare non è altro che un rapporto bilaterale pendente che ben potrebbe essere sciolto.
  Ecco, se lo si dice apertamente e si dà questo potere al tribunale, si evitano possibili forme di abuso con il cosiddetto «pacchetto preconfezionato».
  Sui finanziamenti interinali evidenzio solo un aspetto. Il problema delle banche, che non hanno fino adesso dato finanziamenti è solo uno: non hanno la certezza che se fallisce quell'impresa il giudice delegato in sede di verifica non dica che, anche se il tribunale ha autorizzato, per lui non c’è la prededuzione. Bisogna dire espressamente che il tribunale, quando riconosce la prededuzione, la riconosce in maniera definitiva. Lo si deve scrivere e le banche il giorno dopo faranno i finanziamenti.
  In altre parole, si tratta di far dipendere dalla decisione del tribunale la non più sindacabile e modificabile attribuzione della prededuzione, e le banche incominciano a fare i finanziamenti. Ve lo posso assicurare, perché ho parlato con tanti di quei direttori di banche che su questo punto non ho dubbi.
  Le norme sulla ristrutturazione finanziaria con enti finanziari e sulla moratoria sono eccezionali, da confermare. Bisogna porre attenzione solo ad alcuni dettagli. Per esempio, laddove si prevede che automaticamente i creditori finanziari estranei, a cui si applica forzosamente l'accordo, valgono a integrare anche la maggioranza del 60 per cento, là c’è un rischio di incostituzionalità. Basterebbe togliere quella piccola precisazione e il resto rimane in piedi.
  Bisogna inoltre precisare quali sono le alternative concretamente praticabili e rispetto alle quali si fa un confronto. Ciò perché la norma non dice niente e parla di «concretamente praticabili»: vuol dire che devo andare a vedere se c’è un pignoramento in essere ? La norma non parla di «potenzialmente praticabili» ma utilizza il termine «concretamente». La formulazione può creare dei problemi applicativi.
  Si parla poi di prelazioni che non rilevano ai fini delle categorie se iscritte nei novanta giorni precedenti, ma io non ho capito che cosa vuol dire. Nella ristrutturazione non è prevista una graduazione, quindi questo riferimento alla inidoneità delle prelazioni scritte novanta giorni prima rispetto alla formazione delle categorie è per me rimasto non spiegabile. Basterebbe chiarirlo o togliere questa indicazione.
  L'ultimo punto riguarda la moratoria. La moratoria ripete una pratica in essere, il cosiddetto «stand still». Però, diversamente dal caso della ristrutturazione, non è previsto obbligatoriamente l'intervento con omologa del tribunale. Qui c’è un rischio: siccome la raccomandazione della Commissione europea del 2014 a cui facevo riferimento prevede che tutte le volte in cui c’è un trattamento forzoso dei creditori debba intervenire il tribunale in fase omologatoria, potrebbe creare qualche problema la mancata previsione di un'omologa.
  Il secondo problema riguarda la mancata previsione delle categorie per la moratoria. Mentre per la ristrutturazione finanziaria è previsto che si facciano delle categorie per caratteristiche omogenee, nella moratoria non è previsto e sembra quasi che il riferimento alla omogeneità di posizione debba riguardare tutti i creditori che partecipano alla moratoria. Ma questo sarebbe praticamente tale da rendere inattuabile la moratoria, perché non esiste mai una posizione omogenea. Basti pensare che ci sono banche con ipoteche o prelazioni di taglio diverso che le rendono sicuramente disomogenee, come posizione, rispetto agli altri creditori.
  Qui si richiede un'attestazione di omogeneità che sarebbe impossibile da realizzare nei casi normali. Quindi, io suggerisco di introdurre anche qui il principio delle categorie o di eliminare quella clausola che prevede l'omogeneità.
  Se avete bisogno di altri chiarimenti sono a disposizione. Non vi voglio tediare oltre, perché tra l'altro voglio lasciare spazio ai colleghi.

Pag. 6

  PRESIDENTE. Magari prima finiamo e poi vediamo come procedere.

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del Tribunale di Novara. Come preferite.
  Adesso lascio la parola alla dottoressa Paluchowski che è succeduta nella posizione che avevo prima io di presidente della sezione fallimentare del tribunale di Milano.

  ALIDA PALUCHOWSKI, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano. Si vede che è un destino.
  Buongiorno e grazie per averci chiamato. Ho voluto sentire quello che ha detto il presidente Lamanna prima di me perché non ci eravamo parlati prima. Quello che sentirete, che in alcuni punti è decisamente concorrente e concordante, è evidentemente frutto di una valutazione positiva assolutamente autonoma, assunta da due organi giurisdizionali che, comunque, di esperienza di fallimentare, volere o volare, hanno almeno vent'anni, a stare stretti.
  La valutazione generale del disegno di legge è sicuramente positiva. Mi spingerei un po’ oltre rispetto a quello che ha detto il Presidente Lamanna e aggiungerei che il disegno di legge ha una valenza in qualche misura moralizzatrice nei confronti di una particolare concezione nella quale l'imprenditore in crisi è stato così favorito per sostenere il risanamento da finire per schiacciare completamente le posizioni dei creditori piccoli, dei creditori chirografari, dei piccoli fornitori, insomma di tutti coloro che sono in realtà privi di forza perché non hanno conoscenze proprie, non hanno forza economica e finiscono, a cascata, per diventare a loro volta tanti altri piccoli fallimenti.
  Peraltro, è questo il difetto che in molti riconoscono al concordato, cioè che esso tenta di sanare un'azienda, ma nel frattempo ne distrugge diverse altre. Questo è un pericolo, purtroppo, che noi concretamente vediamo realizzarsi tutti i giorni. Questo disegno di legge, per la prima volta, ha cercato di contemperare questa tendenza che fino adesso si era realizzata e di dare quindi la possibilità di far emergere il valore reale di ciò che si vuole salvare e, nello stesso tempo, cercare di realizzare al massimo questo valore, senza lasciare esclusivamente nelle mani dell'imprenditore la scelta dello stesso.
  Sulla finanza interinale non ho niente da dire, sennonché non credo che la prededuzione spingerà particolarmente in più le banche a finanziare, perché credo che i problemi delle banche, oltre a quelli che richiamava il Presidente Lamanna, siano regolati dagli accordi di Basilea, per cui le imprese dissestate di fatto sono molto difficili da rifinanziare perché il costo per la banca è tale che, anche se le date la prededuzione, probabilmente i soldi non ve li darà lo stesso, soprattutto nella situazione di crisi in cui si trovano le banche adesso. Questo è un fatto. Di certo è astrattamente un buono strumento, ma non ho idea se riuscirà a raggiungere il suo scopo.
  Per quanto riguarda, in base all'articolo 163-bis della legge fallimentare, le proposte relative all'acquisto dell'azienda e all'acquisto dei beni aziendali o di complessi aziendali, ciò è in realtà la risposta allo strumento del concordato blindato, come si dice normalmente in gergo, cioè il concordato nel quale l'imprenditore, ammettendo di essere in crisi e di dover liquidare il proprio patrimonio, decide di liquidarlo vendendolo al signor «x» – che guarda caso è un'impresa a lui correlata, è un parente, è un collaboratore, è un suo compare di affari – il quale gli dà una certa somma che i creditori dovranno ripartirsi.
  Il concordato blindato è stato uno degli aspetti più critici. L'esempio di concordato blindato per antonomasia era il San Raffaele, ma, dal grande al molto piccolo, la tentazione di fare il concordato blindato vendendo alla cugina c’è sempre.
  Questa norma ha il positivo indirizzo di aprire alla competitività e quindi alla possibilità di trovare un altro soggetto – un terzo – che possa offrire di più, perché il valore dell'azienda è di più. In questo caso può essere un terzo qualsiasi. Mentre nei piani concorrenti, tanto per distinguere Pag. 7le due ipotesi, può essere soltanto un creditore che abbia almeno il 10 per cento, qui invece può essere un terzo qualsiasi. La condizione di ammissibilità individuata dalla norma, però, è che il commissario oppure il giudice d'ufficio rilevi che, in base alle caratteristiche dell'azienda, alle situazioni del mercato e via dicendo, il prezzo non sia idoneo.
  In realtà, c’è un meccanismo piuttosto complesso nel quale il curatore fa questo giudizio ispirandosi a numerosi criteri, dopodiché il tribunale esamina e, se decide che effettivamente questa situazione c’è, apre alla competitività.
  La mia idea, francamente, e anche quella del CESPEC (Centro studi delle procedure esecutive e concorsuali) è che comunque l'apertura alla competitività porta sempre una possibilità di crescita per l'offerta, quindi è sempre positiva, non c’è da scervellarsi. Di contro, mantenendo la formulazione della norma, c’è la possibilità che si creino dei contenziosi, perché il curatore dirà che secondo lui il prezzo non è congruo e il tribunale dovrà motivare, e a sua volta qualcuno potrebbe contestare e perdere tempo attraverso un'impugnativa dell'atto con il quale il tribunale decide, ritenendo che non sia sufficientemente o congruamente motivato. Ciò porterà molto spesso a motivazioni di tipo esclusivamente formale e nominalistico.
  Poiché è ovvio che l'apertura al mercato è sempre un vantaggio potenziale, a mio avviso la possibilità di apertura al mercato va data sempre.
  Qual è, però, il correttivo che può essere individuato nel momento in cui io decido di sondare il mercato per vedere se c’è qualche interessato ? Velocemente, attraverso la creazione di una data room telematica, nella quale sono individuate le notizie fondamentali, bisogna fare la pubblicità dicendo che esiste una proposta con l'acquisto di un'azienda, di un ramo di azienda, di un complesso produttivo, di un complesso di beni, per una tale somma e con le tali caratteristiche.
  Quindici giorni – nella pratica non serve di più, dal momento che, attraverso internet, si riesce ad avere questa immediatezza andando a individuare i siti giusti – e, se effettivamente ci sono dei soggetti interessati, a questo punto l'offerta che questi soggetti devono fare deve essere un'offerta congrua. Diversamente, il rischio parallelo all'apertura al mercato è che si inseriscano delle operazioni di disturbo, laddove il soggetto che arriva vuole solo speculare a proprio favore e non a favore dei creditori.
  Il problema, allora, è quello di dire che se c’è un'altra offerta deve essere un'offerta con una certa entità migliorativa. La gara, quindi, si apre solo se il soggetto che arriva dà un'offerta di un'entità maggiore. Tale entità potrebbe essere del 10 o del 15 per cento maggiore rispetto all'offerta che era stata fatta in termini monetari dal primo imprenditore.
  I correttivi che il disegno legge ha individuato per quanto riguarda l'eventuale rimborso delle spese del primo soggetto, individuando nel 3 per cento del prezzo offerto l'eventuale risarcimento, sono estremamente positivi, perché costui che per primo si è assunto il rischio – in fondo ha fatto l’outing – nell'ipotesi in cui risulti soccombente nella gara o decida di non partecipare alla gara perché l'altro ha offerto troppo, recupera le sue spese, quindi non si potrà dire che di lui si è approfittato in alcun modo. Mi sembra un'ipotesi molto bilanciata.
  L'unica idea che suggeriamo è questa: onde evitare questi interventi che, se voi aveste operato nelle vendite anche in sede immobiliare, sapreste che sono una distorsione che nel mercato si realizza sempre – gli italiani, poi, sono molto fantasiosi, quindi troverebbero sicuramente il sistema – si tratta di individuare un'offerta che abbia una certa entità superiore e una cauzione rilevante, che noi suggerivamo nel 20 per cento. Quindi, chi offre deve essere in grado di dimostrare la propria serietà.
  Il resto della norma mi sembra assolutamente buono; sullo svolgimento della gara e via dicendo, mi sembra corretto.
  I piani concorrenti: concettualmente è sicuramente un'idea condivisibile e a me è Pag. 8piaciuta molto. Ho solo una perplessità, che nasce dal fatto che io ritengo che questa norma sia idonea a valere per tutti i tipi di concordato: concordati in continuità diretta (continuo l'impresa, la risano e continuo a gestirla io), concordati in continuità indiretta (la continuazione dell'impresa la faccio solo al fine di alienarla a qualcun altro funzionante), concordato liquidatorio, nel quale scelgo una soluzione liquidatoria purché sia e vendo tutto il mio patrimonio.
  Nessun dubbio, quindi, che i piani concorrenti sul concordato in liquidazione siano ottimi, e anche su quello di continuità indiretta, cioè quello nel quale io continuo al fine di liquidare ad altri.
  Se, invece, mi impegno a continuare personalmente, quindi mi assumo il rischio – sono pochissimi gli imprenditori italiani che lo stanno facendo, però qualcuno c’è – probabilmente consentire in questo caso un'offerta concorrente potrebbe inibire questo tipo di comportamento, quindi bisognerebbe valutare quello che sostanzialmente il legislatore vuole.
  L'altro problema è la condizione di ammissibilità del 40 per cento. Si dice che l'offerta concorrente non la facciamo sempre, ma solo quando l'imprenditore assicura – anzi, ditemi le parole precise...

  PRESIDENTE. «... assicura il pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il 40 per cento».

  ALIDA PALUCHOWSKI, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano. Allora, se per «assicura» si intende «si impegna a» è un discorso, «garantisce» è un altro discorso. Voi sapete che nel concordato per liquidazione c’è stato questo enorme sviluppo giurisprudenziale nel quale, proprio sulla base del fatto che si ritiene che sia aleatoria la cessione dei beni ai creditori, ai creditori cedo i beni e poi dico loro che secondo me se li vendono prendono il 20. Allora, è questo assicurare il pagamento ? Non lo so. Oppure assicurare il pagamento può voler dire: «il mio attestatore, valutate tutte le cose e viste tutte le perizie, ha dichiarato che voi prenderete almeno il 20» ? Questo è un altro discorso. Bisognerebbe chiarirlo, da qualche parte, perché l'espressione «assicura il pagamento» non vuol dire niente. Lui non assicura nulla, di persona, e nella proposta non si usano queste espressioni. Siccome poi le interpretazioni e i sofismi diventano un sacco, toglierei «assicura» e forse bisognerebbe dire che l'attestatore dichiara che verrà ripartita almeno la percentuale.
  Dopodiché, lui dice che il 40 va bene, ma io vi dico che il 40 è troppo, e non perché non abbia a cuore i creditori – tutti quelli che mi conoscono lo sanno – ma perché giusto venticinque anni fa, quando facevo i primi concordati, non si riusciva a ripartire nemmeno allora il 40 per cento e non c'era la crisi economica.
  Voi sapete che la prima critica che questo decreto ha sollevato da parte di tutti i professionisti e i professori universitari è stata che questa norma è la fine del concordato; nessuno farà mai il concordato perché nessuno vorrà dare e nessuno dà il 40, di fatto, quindi è sicuro che è sempre ammissibile l'offerta e a questo punto, mentre io sto tentando di sollevare l'azienda e di risolverla, arriva uno e me la porta via perché offre poco di più. Questa è stata la critica che si è sentita immediatamente.
  Allora, secondo me, si potrebbe rendere un po’ più ragionevole la percentuale. Nello stesso tempo, però, bisogna dire che l'imprenditore si deve impegnare attraverso l'attestatore e l'attestatore deve dire che almeno quella percentuale debba essere recuperabile.
  Quale sia l'entità non lo so. Potrebbe essere il 25 per cento del vecchio concordato fallimentare per avere la riabilitazione, potrebbe essere il 30. Pensateci voi.
  Il sistema di voto – anche su questo sono d'accordo in parte con quello che ha detto il Presidente Lamanna – delle proposte concorrenti è cervellotico e confuso. Lo dico innanzitutto perché in tre abbiamo dato tre interpretazioni diverse e poi, quando ci siamo parlati, non riuscivamo a capire quale fosse quella vera. In Pag. 9secondo luogo, quando si hanno più proposte concorrenti, usare il sistema di voto del silenzio-assenso è un controsenso. Qui sembra che in adunanza debbano essere risolti i problemi di individuazione della proposta da scegliere; ma in adunanza non partecipa nessuno.
  Tenete presente che le adunanze sono morte insieme al concordato – che, sotto il profilo pattizio, in realtà è completamente agonizzante – perché la gente è talmente scorata e sfiduciata che alle adunanze non viene. Poi, visto che si vota per silenzio-assenso, si evita la trasferta, non si paga l'avvocato e si risparmia. Quindi, in adunanza non verrà nessuno e mi domando come andranno i voti.
  Le diamo tutte negative perché non è venuto nessuno ? Onestamente non sono riuscita a capire come si vota.
  Inoltre, non si capisce perché, quando ci siano le votazioni sulle proposte concorrenti, non si possano utilizzare i venti giorni successivi che si usano sempre per votare; anzi, le maggioranze si formano sempre nei venti giorni successivi e mai in adunanza. Quindi, bisogna sicuramente rivedere il meccanismo del voto. Se fate votare per silenzio-assenso in adunanza non ve ne passerà nemmeno una.
  È vero che avete detto che, nell'ipotesi in cui non si raggiungono le maggioranze, si prende quella che ha avuto la maggioranza relativa, ma io non sono per niente sicura che questo meccanismo funzionerà. Fate conto che in adunanza non venga nessun creditore o ne vengano due. Peraltro, in base a tale meccanismo, votando per silenzio-assenso, in realtà se voglio che la mia proposta passi devo votare contro le altre. Ma i creditori lo capiranno ? Non lo so. Questo è solamente quello che io rilevo.
  Da ultimo, l'articolo 182-septies secondo me è una forza di questo decreto legge. Tale articolo inserisce, secondo me, nel nostro ordinamento un terzo tipo diverso di procedura. In realtà, l'articolo 182-bis era una procedura in fase di trasformazione già da tempo, perché sempre più spesso c’è l'intervento del giudice. Adesso, invece, secondo me è stata fatta una scelta che, tra l'altro, ispirandosi alla raccomandazione europea, si ispira a soluzioni che ci sono nel Regno Unito, dove c’è lo scheme of arrangement, lo schema di accordo, e in Francia, laddove addirittura nel 2014 è stata creata una procedura che si chiama di «salvaguardia finanziaria accelerata».
  Qual è, però, in Italia la caratteristica di questa procedura ? Che è un insieme attualmente ibrido tra il concordato e l'accordo preconfezionato. Questo vuol dire che non è un accordo e non è un concordato. Infatti, tutti quelli che l'hanno letta hanno detto che è sbagliata concettualmente. Come si fa a chiamare «accordo» una cosa nella quale i non aderenti vengono costretti ad aderire ? La mia proposta è di cambiare nome: non chiamatelo accordo, chiamatelo composizione della crisi semplificata. In realtà, non è né un concordato né un accordo, e i professori universitari andranno a nozze nel senso di dire che non hanno capito niente perché quello che è affermato è un errore di diritto civile marchiano.
  Invece non lo è, e perché ? Perché questo è una sorta di concordato con il contraddittorio posticipato. Al posto del voto, in realtà, c’è un accordo che ha delle maggioranze molto più alte del concordato, quindi è più tutelante per il creditore.
  Per quanto riguarda l'altra parte, cioè la tutela del diritto di difesa della singola parte che viene costretta ad aderire, essa ha la possibilità di opporsi e in sede di opposizione ha un tale elenco di cose che il tribunale deve visualizzare in sede di omologa che, secondo me, è decisamente più tutelante di qualsiasi concordato. E lo è perché il cram down nel concordato lo potete avere solamente se siete in una classe dissenziente o siete un creditore dissenziente. Allora, non fanno le classi e quindi non si fa mai il cram down. Altrimenti occorre il 20 per cento del capitale, quindi non si arriva mai. Invece qui, anche se io sono da solo, posso ottenerlo, quindi va benissimo. Grazie.

Pag. 10

  PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Roberto Fontana.

  ROBERTO FONTANA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza. Grazie dell'invito. Voglio innanzitutto presentarmi: attualmente svolgo le funzioni di sostituto procuratore, ma per diciassette anni ho svolto le funzioni di giudice delegato prima presso il tribunale di Monza e poi presso il tribunale di Milano. Di conseguenza, credo che la qualifica che ha giustificato la convocazione fosse essenzialmente la precedente, per quanto oggi mi occupi soprattutto della materia fallimentare, anche nella nuova funzione.
  Ovviamente non ripercorrerò quanto è stato detto, altrimenti rischiamo di ripetere, ma focalizzo solo alcuni punti. Vorrei dare, in via di premessa, due dati che secondo me possono essere interessanti per capire le dimensioni del fenomeno di cui stiamo parlando. A mio avviso, sono dati che colpiscono, perché la percezione è di un fenomeno minore di quello che è in realtà.
  Ho analizzato e classificato tutti i passivi delle procedure concorsuali di Milano. Tenete presente che Milano è uno dei 160 (ma adesso sono un po’ di meno) tribunali, ma in tutte le statistiche per il valore economico i dati di Milano vanno moltiplicati almeno per undici in queste materie.
  Il passivo delle procedure concorsuali aperte a Milano attualmente pendenti è pari a 21 miliardi 588 milioni di euro. Questo è il passivo di tutte le procedure pendenti, quindi indipendentemente dall'anno di apertura. Di queste, per darvi un ordine di grandezza, quelle dei fornitori sono pari a 3 miliardi 887 milioni di euro, quelle delle banche pari a 5 miliardi 821 milioni di euro. Se moltiplicate per undici o dodici questo dato, avete il dato nazionale.
  Prendendo un anno campione – quindi le procedure di quell'anno, che è un dato ovviamente più significativo – nel caso specifico il 2013, in quell'anno il totale del passivo delle procedure aperte a Milano (sono fuori ovviamente gli accordi di ristrutturazione) è pari a 4 miliardi 223 milioni di euro. Ciò vuol dire che su base nazionale nel 2013 il monte dei passivi è pari a 50 miliardi di euro. Di questi, 500 milioni nel 2013 erano i fornitori, quindi moltiplicando su base nazionale arriviamo a 5 miliardi, 986 milioni le banche, 2 miliardi 261 milioni il fisco. Ciò significa che, su scala nazionale, solo le procedure concorsuali del 2013, i crediti fiscali sono oltre i 20 miliardi.
  Questi dati, secondo me, non sono scontati, perché danno le dimensioni del fenomeno.
  Un altro dato che voglio riferire, sempre frutto di analisi statistiche, è che facendo un'analisi su tutti i concordati a cinque anni dall'omologa i concordati dove sia stato pagato almeno un euro ai creditori chirografari sono una percentuale credo inferiore al 10 per cento. Dunque, nel 90 per cento dei concordati, a cinque anni dall'omologa, non è stato pagato un euro ai creditori chirografari, che sono i più colpiti. Indubbiamente i creditori chirografari in parte sono le banche, ma esse talvolta sono tecnicamente chirografari, ma hanno delle garanzie esterne da altri soggetti.
  Quelli che sono sempre e comunque chirografari tout court sono i fornitori, perché i fornitori non hanno in sede di contrattazione iniziale il potere di farsi dare garanzie esterne da terzi o su beni di terzi, dunque quando parliamo dei fornitori sono chirografari a tutti gli effetti e non solo giuridicamente. È evidente – poi vado sul decreto legge, però questo è il tema che mi sta particolarmente a cuore – che, vedendo queste dimensioni del fenomeno, si capisce qual è il discorso che faceva prima Alida Paluchowski sul potenziale effetto domino sulle altre imprese.
  Qual è il problema ? Perché i passivi sono così alti ? I passivi sono così alti perché abbiamo constatato – e l'hanno constatato anche studi universitari – che mediamente, non solo nel caso di fallimento, ma anche nel caso di concordato, l'87 per cento delle società che vanno in concordato, con l'analisi di bilancio erano Pag. 11in una situazione sostanzialmente di quasi insolvenza, se non già di insolvenza, almeno tre anni prima. Se quelle società fossero andate in concordato tre anni prima, questi valori sarebbero più che dimezzati e questo varrebbe per i venti miliardi all'anno del fisco ma vale anche per i fornitori.
  Questo mi consente di dire che il decreto-legge giustamente deve intervenire in maniera circoscritta su alcuni istituti, ma il problema chiave di cui bisogna farsi carico (e spero che avvenga, se si farà il discorso della legge delega e via dicendo) è quello dell'emersione anticipata della crisi, a tutela innanzitutto dei fornitori e del fisco. Una parte rilevante di quel fisco che manca non è fatta di crediti sui redditi, ma crediti di IVA, quindi crediti a loro volta rispetto a risorse che provengono da terzi e transitano alle imprese. Quindi, dal punto di vista del sistema è decisamente più grave.
  Il problema strutturale, che non può essere risolto nel decreto-legge (però voglio fare la considerazione di fondo), è l'emersione tempestiva della crisi d'impresa. Non bisogna farsi accecare, a mio avviso, da parole d'ordine ideologico, del tipo che questo è statalismo, perché questo non c'entra proprio niente con lo statalismo. L'emersione è contenere l'epidemia in una fase iniziale, perché se si aspetta troppo a intervenire gli effetti sistemici sono devastanti. Questo è il nodo.
  Se, invece, aspettiamo 4-5 anni, la torta diventa troppo più piccola e si devono ripartire tra tanti poche risorse, allora si scatenano tutte le tensioni (prededucibili, non prededucibili e via dicendo). Comunque, quello è il cuore del problema.
  Detto questo in via generale – mi interessava dirlo in via di premessa altrimenti non abbiamo la gerarchia delle questioni – intervengo per flash su alcuni punti, per non ripetere quello che è già stato detto.
  Il presidente Lamanna ha cominciato con la questione dell'offerta vincolante. Anch'io credo che sia importante. Quando vi ho detto che il 90 per cento dei concordati di Milano dopo cinque anni non ha pagato nulla ai chirografari, voi capite perché la stragrande maggioranza dei creditori e dei fornitori sono arrabbiatissimi. Se gli viene offerto poco, ma neppure quel poco gli viene garantito, questo significa svilire completamente l'istituto.
  Allora, il concordato deve essere un accordo o anche una proposta che deve essere vincolante. I creditori subiscono falcidia, ma quello che viene loro proposto, in una valutazione di certezza ex anteex post possono accadere tante cose – deve essere ragionevolmente certo. Quindi, ha fatto bene il legislatore a dire «utilità specificamente determinate» (utilità perché si ipotizza anche un soddisfacimento che non sia strettamente monetario), ma io lo rafforzerei, altrimenti il termine riapre di nuovo tutto il dibattito filosofico, chiarendo che quella utilità specificamente determinata deve essere oggetto dell'impegno contrattuale. Per quanto adesso l'espressione sia già un po’ più univoca, la rafforzerei con due paroline in più, così tagliamo definitivamente la testa al toro.
  Non è all'ordine del giorno, ma io sarei – questa era la proposta di Confindustria di due anni fa – per introdurre una percentuale minima di soddisfacimento per accedere al concordato. Ipotizzare che a dei fornitori che hanno sostenuto i costi, che per realizzare quel prodotto devono pagare l'erario, la previdenza e via dicendo, si debba prospettare il 3, il 4, il 5 o il 2 per cento, come accade in gran parte dei concordati, credo che non sia dignitoso.
  Ritengo che si dovrebbe arrivare almeno alla percentuale minima. In ogni caso, se non si vuole arrivare lì, almeno si dica che quello che viene offerto deve essere vincolante. Il concordato non può essere aleatorio. Il concordato deve essere una proposta precisa. Se poi non si realizza, scatta il meccanismo della risoluzione. Comunque, la norma va nella direzione giusta, per quanto si possa migliorare.
  Il discorso delle offerte concorrenti è stato sviscerato. Il problema è che il meccanismo delle offerte concorrenti assicura la realizzazione del giusto prezzo, Pag. 12perché, se non c’è un meccanismo di competizione, non ci sono i presupposti del giusto prezzo.
  È stato, giustamente, sottolineato che è essenziale chiarire nella norma che si estende il preliminare. Se non mettiamo l'estensione al preliminare, abbiamo scritto una norma inutile, perché tutti vestiranno poi l'offerta come preliminare al rapporto pendente. Quindi, bisogna dire a chiare lettere che il meccanismo che si è indicato vale anche per il preliminare.
  Io sono convinto che tutta la valutazione che fa il commissario, ossia il fatto che lui debba fare una valutazione di congruità o non congruità e che poi il tribunale decida, sia inutile. È inutile, a mio avviso, perché allunga i tempi e dà spazio a potenziali reclami. Poi si finisce in appello e, quindi, si perdono due mesi per decidere se fare la vendita.
  Come ha già spiegato Alida Paluchowski – e io rafforzo il concetto – è meglio prevedere che, se c’è una proposta di concordato bloccato, si apre la finestra di quindici giorni, si fa la pubblicità su internet, si fa la data room telematica accessibile con le password e chiunque è in grado di farsi un'idea.
  Per fare un esempio concreto, in pieno agosto io ho curato un fallimento, quello delle macchinine burago. In pieno agosto feci la dataroom con internet. Vennero la Mattel americana e una grande società cinese, in pieno agosto. In quindici giorni tutte le multinazionali interessate nel settore – ero a Monza – vennero.
  Quando io dico di aprire una finestra di quindici giorni, ma che è importante la pubblicità su Internet, lo schema è quello dell'invito a offrire. C’è una pubblicità e la data room contiene i dati essenziali. Se se ne vuole avere qualcuno in più, si verrà in azienda e dal commissario. Bastano quindici giorni, ma la data room è fondamentale. Se nei quindici giorni pervengono delle offerte, allora si mette in moto il procedimento di gara.
  È inutile fare valutazioni o non valutazioni. Si tratta di un meccanismo procedurale stringente. Io preferisco perdere le valutazioni del commissario e introdurre, invece, una cauzione. In questo modo non diamo spazio, da una parte, a contenziosi sulla congruità o la non congruità della valutazione, e, nello stesso tempo, dall'altra parte, evitiamo operazioni di disturbo, perché per riaprire una gara poi si deve fare un'offerta cauzionata. A mio avviso, questo semplifica e rende il meccanismo più efficiente.
  Salto il tema dei piani concorrenti perché è stato già sviscerato e tocco altri due punti.
  Noi abbiamo parlato dell'articolo 182-septies e dell'accordo di ristrutturazione, che però, in realtà, contiene un segmento di concordato. Anch'io reputo opportuna una chiarificazione linguistica, per evitare le facili critiche. Io reputo che debba essere espressamente previsto, per quanto sia già immanente nel sistema, che il tribunale, quando deve valutare la proposta con riferimento al creditore a cui può essere imposta, abbia la possibilità di nominare un consulente che, però, operi rapidamente.
  Nominato un consulente – se ritenuto opportuno, potrebbe essere l'inciso – questo svolge un po’ le funzioni del commissario. Qui non nominiamo un vero e proprio commissario, ma, visto che dentro la cornice dell'accordo di ristrutturazione portiamo un concordato e visto che nel concordato è essenziale il ruolo del commissario a livello di acquisizione e di valutazione critica dei dati – altrimenti il tribunale su che cosa si basa ? -dobbiamo prevedere una figura – se non lo vogliamo chiamare commissario chiamiamolo consulente – specificando che, ovviamente, deve operare con la massima rapidità. Non deve impiegare tre mesi per fare quelle verifiche, altrimenti il tribunale non è in grado di fare le valutazioni richieste dalla norma e, quindi, quella previsione rischia di rimanere lettera vuota.
  Questo tema mi consente di toccare, invece, un tema penalistico che ha una portata più ampia. Qui si è detto che, proprio perché si è portato un pezzo di concordato dentro l'accordo di ristrutturazione, ora si applica l'articolo 236 della legge fallimentare. L'articolo 236 della Pag. 13legge fallimentare è quello che estende alle ipotesi di concordato i reati di bancarotta.
  Questa norma fino al 2006, tranne che nel caso famoso della Rizzoli, rimase sostanzialmente lettera morta per cinquant'anni. Perché ? Perché il concordato prima riguardava i privilegiati al 100 per cento e i chirografari al 40. Tutto sommato, anche le procure della Repubblica si concentravano su altro. Da quando è possibile costruire il concordato con proposte al 2 o al 3 per cento, non c’è più questa radicale differenza sotto il profilo sia dell'entità del dissesto, sia della genesi del dissesto, sia del trattamento dei creditori tra concordato e fallimento e l'articolo 236 via via sta riemergendo come norma centrale del sistema.
  È per questo motivo che, giustamente, il decreto-legge ha detto che, se facciamo questa sorta di accordo di ristrutturazione, che potremmo chiamare «composizione di crisi semplificata», in cui entra un pezzo di concordato preventivo, allora bisogna introdurre l'articolo 236.
  Il vero problema dell'articolo 236 – è questo il punto che vorrei far capire – è l'effettività della norma. Mentre nel fallimento c’è un curatore fallimentare che espressamente deve fare una relazione ex articolo 33 incentrata sull'emersione dei fatti penalmente rilevanti, una norma analoga non c’è nel concordato. Succede allora che l'Italia diventa una sorta di Repubblica federale, in cui in qualche ufficio particolarmente attrezzato si applica la norma. Nel 90 per cento dei casi, invece, la norma non trova applicazione.
  Secondo me, la risposta qual è ? Nelle norme generali sul concordato – si può vedere se inserire questo nell'articolo 236 come norma di sintesi o nelle norme sul concordato – bisogna dire che, quando il tribunale trasmette la domanda di concordato, alla procura della Repubblica bisogna trasmettere anche gli atti conseguenti, ossia la proposta concordataria con gli allegati. Se la procura ha già i bilanci degli anni precedenti e ha i valori della proposta concordataria, spesso ha già gli elementi indiziari su cui costruire un ragionamento.
  Deve essere poi mandata la relazione ex articolo 172 del commissario. In alcune realtà più virtuose questo già accade, ma nel 90 per cento degli uffici non accade. Il legislatore deve decidere: o depenalizza e abolisce l'articolo 236, o gli dà effettività. Questa è l'occasione per dare effettività all'articolo 236. Oltre a trasmettere questi documenti, bisogna anche inserire nella norma che il commissario, laddove ravvisi non una notizia di reato, perché questa è già una qualificazione, ma elementi indiziari di un possibile reato fallimentare, ha l'obbligo di darne comunicazione alla procura della Repubblica.
  Faccio un esempio. Se il commissario vede che sette mesi prima del fallimento è stata venduta un'azienda o un asse e che i valori non gli paiono congrui, questo è un elemento indiziario di bancarotta. Si vedrà poi se sia effettivamente bancarotta.
  È vero che quest'obbligo esisterebbe già come obbligo del pubblico ufficiale, ma bisogna espressamente sancirlo e introdurlo. Nella norma sul concordato bisogna dire che il commissario, laddove emergano, nello svolgimento della sua attività, elementi indiziari, ne dà comunicazione alla procura della Repubblica. Questo assicurerebbe effettività all'articolo 236.
  Per quanto riguarda, invece, questa sorta di concordato inserito nell'accordo di ristrutturazione, laddove non c’è il vero e proprio commissario, sarà questo consulente nominato a fare un rapido esame. Vedere gli indizi di bancarotta è facilissimo, perché basta andare a vedere se ci sono state alcune operazioni straordinarie nei due o tre anni precedenti con qualche parte correlata. Si va a vedere ictu oculi se i valori sono congrui o non congrui. Questi sono degli spunti su cui poi qualcun altro può riflettere, ma senza queste comunicazioni...
  Questo è il capitolo sull'articolo 236 che io ho inserito, agganciandolo al riferimento all'articolo 236 nella norma dell'articolo 182-septies.
  Aggiungo due ultime cose in trenta secondi. Per quanto riguarda l'incompatibilità tra curatore e commissario, io la lascerei alla prudente valutazione del tribunale, Pag. 14perché ci sono dei casi in cui può essere opportuno nominare un curatore diverso dal commissario, ma ci sono anche dei casi in cui è assurdo disperdere quel patrimonio conoscitivo. Per esperienza, io vi dico che a Milano non ho mai avuto la sensazione di qualche commissario che lavori per affondare il concordato perché poi farà anche il curatore. Questa patologia qualcuno l'ha ipotizzata in astratto, ma in concreto io non l'ho mai vista.
  Io lascerei questo alla prudente valutazione del tribunale e non introdurrei un sistema rigido di incompatibilità. Al limite, prevedrei una norma per cui, laddove lo stesso professionista facesse il curatore e anche il commissario, non ci sia una duplicazione del compenso, ma ci sia un compenso base maggiorato. Indubbiamente una certa economia di lavoro c’è, perché c’è una valorizzazione. Il curatore valorizza in parte il lavoro già fatto come commissario, per esempio ai fini dell'accertamento del passivo. È una verifica un po’ diversa, ma alla fine è una verifica dei crediti.
  L'ultima cosa che vi dico è che è buona l'idea di costruire un albo nazionale dei curatori fallimentari. Deve essere un albo nazionale, però, in cui, oltre ai valori dell'attivo e del passivo, siano introdotti anche alcuni indici di funzionalità ulteriori, da elaborare informaticamente. Questo è positivo. Tra l'altro, il Ministero della giustizia, con il meccanismo delle relazioni semestrali che deve fare il commissario, sta predisponendo dei programmi per analizzare anche per indici e, quindi, per poter comparare le procedure. Questo è un patrimonio conoscitivo importante.
  Infine, con riferimento ai singoli tribunali, bisogna dire che nella nomina dei curatori il tribunale, oltre a guardare le caratteristiche soggettive del singolo professionista, quali l'organizzazione e via elencando, debba agire in un'ottica di efficienza. Questo è il concetto. Se c’è l'accordo su questo, si può trovare poi la parola che lo definisca. Se un tribunale dichiara 200 fallimenti in un anno, non può far girare 600 curatori e neanche 200, per una semplice ragione, ossia perché il 50 per cento dei fallimenti sono vuoti. Non c’è un euro di attivo. Pertanto, il professionista lavora a vuoto.
  Perché un professionista sia motivato economicamente e anche in termini di investimento professionale, di organizzazione e di studio, deve avere almeno quattro o cinque fallimenti all'anno. È la soglia che statisticamente gli assicura un minimo di redditività, se le cose non vanno bene.
  Se non c’è una norma di legge, eccetto i tribunali che si sentono più gravati di un'ottica gestionale, la maggior parte dei tribunali, per quieto vivere e per assecondare la comprensibile spinta degli ordini, distribuisce a pioggia queste nomine. Ciò è devastante sotto il profilo della qualità del risultato. Se un curatore ha tre fallimenti all'anno, vuol dire che li usa solo come etichetta da spendere, ma non può fare un investimento organizzativo e neanche di formazione professionale.
  Pertanto, io introdurrei una norma nell'articolo 28 che dica che il tribunale, nella nomina dei curatori – possiamo trovare il concetto – debba far sì che i princìpi di rotazione siano contemperati con esigenze di efficienza e che l'esigenza di efficienza debba essere tale da assicurare una rimuneratività minima ai professionisti che lavorano su base annua.

  PRESIDENTE. Grazie molte. Non avete documenti da lasciarci ?

  ROBERTO FONTANA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Piacenza. Noi li avevamo già mandati. Qualche appunto, alla luce di oggi, lo possiamo mandare anche stasera. Vorrei fare prima la discussione, eventualmente per arricchirlo un po’.

  PRESIDENTE. Bene. Se ritenete di mandarci ulteriori precisazioni o anche proposte di correzione o di integrazione del testo, i deputati le avranno a disposizione.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

Pag. 15

  FRANCESCA BUSINAROLO. Ringrazio gli auditi per i loro interventi. Attualmente, con riferimento a concordati e fallimenti – mi sembra che il dato l'abbia fornito il dottor Fontana – quante volte un concordato diventa effettivamente fallimento ? Secondo voi questo decreto legge potrà sanare questo problema, che comunque c’è, perché la stragrande maggioranza dei concordati, come qualcuno ha già detto, non pagano i chirografari, né i privilegiati e nemmeno i prededucibili ? Questa è la prima domanda.
  La seconda domanda riguarda il voto e il silenzio-assenso. È stata sollevata, giustamente, la questione delle votazioni. Molto spesso basta convincere i creditori che hanno la somma più grossa per votare. Adesso, con questo nuovo meccanismo...

  ALIDA PALUCHOWSKI, Presidente della Sezione fallimentare del tribunale di Milano. Non c’è bisogno di convincere nessuno.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Non c’è più bisogno di convincere nessuno. Mi avete già risposto.
  Aggiungo un appunto sulla questione dei commissari. Se è vero che alcune realtà virtuose, magari come Milano e qualche altra città, danno questi incarichi a pioggia, in altri tribunali – potrei fare l'esempio di quello di Vicenza – invece, le procedure concorsuali e i fallimenti vengono dati oculatamente a tre o quattro professionisti. È stata fatta una statistica. Dati alla mano, sono sempre quelli. Non è vero, quindi, che vengono dati a pioggia.
  Come dicevate giustamente, ai commissari che si affacciano a questo nuovo mondo, perché magari sono alle prime armi o non hanno ancora il nome ben conosciuto, non viene data la possibilità nemmeno di pagarsi le spese primarie, le spese vive.
  La mia domanda è se, oltre alle indicazioni fornite dal decreto legge, non sia il caso di prevedere anche una rotazione obbligatoria e, come seconda proposta, se non sia il caso anche di mettere dei limiti temporali per le varie adempienze, al di là delle varie relazioni semestrali che si devono fare. Sappiamo che ci sono – magari scado nel fallimentare – dei fallimenti che durano vent'anni semplicemente perché si lascia andare un po’ la mano del curatore. Scusate se sono andata nella questione fallimentare.
  L'ultimissima domanda è sulla questione delle percentuali da dare ai chirografari. Io trovo scandaloso che ci siano Piani concordatari che prevedono di pagare i chirografari con il 2-3 per cento. È scandaloso, tanto più che poi non vedono neanche quei soldi. Sono molto d'accordo, quindi, con chi ha sollevato questa questione, perché la stragrande maggioranza delle imprese sono piccole imprese. Non sono artigiani e, quindi, non hanno i privilegi dell'artigiano e non sono professionisti, che magari potrebbero avere una piccola percentuale. Sappiamo quali sono i criteri per individuare i privilegi. La stragrande maggioranza di queste imprese, quindi, risente della situazione. Io focalizzerei l'attenzione ancora un po’ sulla questione della percentuale.

  ALFREDO BAZOLI. Anch'io ringrazio gli auditi perché ci hanno esposto con grande chiarezza e semplicità l'utilità e l'obiettivo di questo decreto legge. Mi pare che ciò ci sia stato molto utile. È un discorso complesso tecnicamente, ma abbiamo capito quali sono la finalità e l'obiettivo.
  Qualche domanda, in realtà, è stata anticipata dalla collega Businarolo. Anch'io volevo chiedere la vostra opinione sia sul tema del silenzio-assenso, sia sul tema della percentuale minima per il concordato.
  Effettivamente, il tema del silenzio-assenso è diventato lo strumento attraverso il quale passano sostanzialmente tutte le proposte. Evidentemente la stragrande maggioranza dei creditori non ha interesse a partecipare alle adunanze. Non partecipano e non votano e questo fa sì che il non voto diventi un assenso implicito.
  La domanda, in questo caso – esplicito quello che credo volesse chiedere anche la Pag. 16collega Businarolo – è se abbia senso il silenzio-assenso o se non sia, invece, il caso di modificare e magari di utilizzare questo veicolo normativo per intervenire su tale questione. È una manovra semplicissima. Basterebbe un tratto di penna. Questa è la prima domanda.
  Passo alla seconda domanda. A proposito della percentuale minima ha detto con chiarezza il dottor Fontana che concordati con percentuali dell'1-2-3 per cento sono sempre più ricorrenti e che sono concordati nei quali si rischia veramente di pregiudicare in maniera eccessiva i diritti dei creditori. Anche qui, ha senso, è opportuno, può valere la pena, sfruttando magari questo veicolo normativo, introdurre, invece, una percentuale minima dalla quale sarebbe opportuno non discostarsi ?
  Il dottor Lamanna ha fatto un riferimento alla prededucibilità della finanza interinale. Se non ho capito male, lei diceva che andrebbe chiarito che quella finanza è prededucibile. Tuttavia, leggendo la norma, io avevo...

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del tribunale di Novara. Non ho detto che è prededucibile, ma che non si può ritornare sul punto.

  ALFREDO BAZOLI. Bene. Volevo fare una domanda specifica al dottor Fontana, che non riguarda, per la verità, l'aspetto del diritto fallimentare, ma l'aspetto delle procedure esecutive, perché so che il dottor Fontana si è occupato a lungo anche delle procedure esecutive. Ieri abbiamo audito Francesco Vigorito, Presidente della sezione esecuzioni immobiliari del Tribunale di Roma, che ci ha detto che ci sono alcune cose che forse varrebbe la pena di modificare ulteriormente con questo decreto legge. Lui ha parlato, tra le altre cose, del pignoramento degli autoveicoli che non funziona. Forse si potrebbe intervenire con questo decreto legge per modificare il procedimento.
  Ieri abbiamo accennato anche al tema del funzionamento degli ufficiali giudiziari, ossia alle modalità attraverso le quali gli ufficiali giudiziari intervengono e svolgono la loro attività. Su questo forse qualche proposta, qualche idea, magari anche qui sfruttando questo veicolo normativo, si potrebbe introdurre per rendere un po’ più efficiente ed efficace l'attività degli ufficiali giudiziari. Volevo sapere da lei che cosa ne pensa.

  PRESIDENTE. Do la parola a Giovanni Paglia, che viene dalla Commissione finanze ed è qui proprio per questo provvedimento. Prego.

  GIOVANNI PAGLIA. Grazie per il contributo che ritengo molto importante e, su alcuni punti, anche chiarificatore.
  L'impressione, che mi sembra anche avallata dall'analisi e dal contributo che voi ci avete portato, è che il meccanismo del concordato sostanzialmente in questi ultimi anni abbia avuto un buon successo dal lato dei richiedenti e un pessimo successo dal lato della capacità di portare effettivamente sia a un recupero dei crediti, sia alla sopravvivenza in vita delle imprese.
  In merito emerge, io credo altrettanto chiaramente, l'elemento decisivo che veniva citato in premessa. Se intervenisse al momento giusto, probabilmente il concordato potrebbe essere lo strumento giusto, ma, se interviene come strumento di comodo, in alcuni casi, quando invece ormai dovrebbe già intervenire un altro strumento, che è quello fallimentare – di fatto, è quello il punto – diventa un'altra questione.
  La questione se il 2 o il 3 per cento sia o non sia una percentuale adeguata a me pare abbastanza virtuale, perché siamo in un altro campo. Il punto non è il 2 o il 3 per cento, ma è se poi almeno quel 2 o 3 per cento si abbia la possibilità di incamerarlo realmente. Se non c’è neanche quella, la percentuale, per quanto bassa, rimane una percentuale morale. Nel campo degli affari le percentuali morali credo valgano piuttosto poco.
  La prima domanda che io volevo fare è la seguente. È chiaro l'intento delle norme che stiamo guardando, ma il punto è: Pag. 17secondo voi, per l'esperienza che potete avere, irrigidendo il regime concordatario continuerà ad avere lo stesso appeal che può avere in questo momento ? Vorrei capire anche noi che cosa stiamo andando a fare realmente. Oppure non si tratta, invece, di ricondurlo a una cosa teoricamente più corretta e più vicina alle rispondenze, ma, in pratica, di conseguenza, abbandonata al suo destino e non più utilizzata come prima ? Vorrei solo capire in quale direzione stiamo andando noi, come legislatori.
  In secondo luogo, è stato detto che c’è un potenziale forte interesse delle banche rispetto all'emissione di nuovo credito prededucibile. Per l'esperienza dall'altro lato io ho un po’ meno questa visuale, a meno che non sia nuovo credito, magari ipotecario, finalizzato a recuperare proprio credito, magari chirografario. In questo caso, se reso prededucibile con certezza, può esserci un forte interesse. In caso diverso, io lo vedo un po’ meno.
  Come ultima considerazione, ricordiamoci sempre che, anche rispetto al sistema bancario, il fatto che non si intervenga per tempo nell'attivare è dovuto a un'asimmetria informativa molto forte, che è sempre a vantaggio del sistema bancario. In realtà, in quei tre anni di cui si parlava, l'unico soggetto in campo fra i creditori che sappia per tempo e quasi per certo qual è la reale situazione di un'impresa e, quindi, che abbia la possibilità di cominciare per tempo a recuperare i suoi crediti è il sistema bancario. Gli altri arrivano sempre dopo, per forza di cose. Anche questo dovrebbe portare a dire che si deve portare più vicina la situazione.
  Su queste norme, così mi pare di aver capito – e chiudo – il giudizio è che non porteranno a far sì che i concordati si attivino prima, ma forse che si attivino meno. Forse può essere questo l'effetto. Vorrei sbagliarmi.

  GAETANO PIEPOLI. Io vorrei dire una cosa molto semplice. Mi pare che – al di là degli aspetti più propriamente specifici che sono emersi oggi, così come ieri, e che dobbiamo assolutamente raccogliere per evitare che, paradossalmente, per una sorta di effetto capovolto, quello che pensiamo di poter migliorare diventi un elemento di contraddizione e di altra difficoltà interpretativa – la crisi dell'impresa si svolga intorno a un unico fattore unificante, che è l'elemento tempo. L'elemento tempo è l'elemento che deve caratterizzare il governo della crisi dell'impresa.
  Naturalmente, noi purtroppo su questo tema anche con questo provvedimento stiamo inseguendo il tempo perso. Mi domando se, come in altri ordinamenti – è stato citato l'ordinamento francese, con le procedure dalerte e i diversi clignotant – si gestisce per tempo, ovvero se si gestisca quello che, invece, è poi, ahimè, un cadavere, intorno al quale i medici non sono più medici, ma mi ricordano, purtroppo, un'immagine macabra che si vede nei cimiteri.
  Io mi domando se, secondo la vostra esperienza, non si possa fare qualcosa per intervenire, visto che ne stiamo discutendo mentre c’è una Commissione – mi pare – presso il Ministero che sta organizzando tutto il tema della riforma delle procedure concorsuali, per far introdurre elementi di prevenzione. Introdurre elementi di prevenzione significa introdurre meccanismi di segnalazione che siano in grado poi di aiutare. Volevo sapere questo.
  Vorrei dire una seconda cosa con molta franchezza: io non credo molto nella dimensione taumaturgica di una complicazione legislativa, perché il problema su cui alcune questioni emergono è il problema della crisi del servizio giustizia. Il fattore tempo di cui noi parliamo in prevenzione per la crisi di impresa vale anche per la gestione successiva della crisi di impresa.
  Nella mia piccolissima esperienza meridionale – io non faccio l'avvocato, perché faccio il professore da quarant'anni – io vedo che il trascinamento galleggiante di questo soggetto ufficialmente in vita, o addirittura morto, è tale che c’è un solo meccanismo che funziona, che si chiama prescrizione.
  Io credo che questo fatto vada tenuto presente, perché noi non possiamo permetterci Pag. 18più in questo contesto elementi di provvedimenti congiunturali che siano una sorta di parabola che dal passato ci riporta al passato.
  C’è un ultimo fatto. Esiste un profilo non detto, che si chiama etica professionale, che non è, naturalmente, affidato solo alle sanzioni di carattere penale. Nel regime dell'incompatibilità – lo dico con molta franchezza, senza voler in alcun modo trarre giudizi – io penso che andrebbe introdotta un'incompatibilità tra la propria funzione nei Consigli degli ordini e gli incarichi professionali di questo tipo.

  ALIDA PALUCHOWSKI, Presidente della Sezione fallimentare del tribunale di Milano. C’è già. A Milano...

  ROBERTO FONTANA, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Piacenza. C’è già, ma a livello di autoregolamentazione.

  GAETANO PIEPOLI. Allora siamo sempre nell'ambito dell'etica professionale, della deontologia spontanea.

  PRESIDENTE. Diamo la parola per l'ultima domanda all'onorevole Ermini, che è il relatore.

  DAVID ERMINI. Grazie. Il professor Piepoli ha espresso meglio di me il concetto del tempo, che è obiettivamente l'elemento fondamentale nelle procedure concorsuali, sia per quanto riguarda il soggetto che propone la procedura, sia soprattutto per quanto riguarda i creditori. L'esempio che il dottor Fontana faceva prima, ossia che nei cinque anni successivi ancora non si riesce a riscuotere alcuna somma di denaro, è veramente inquietante.
  C’è una norma in questo decreto legge sulla chiusura del fallimento. È una questione che ho posto anche ieri ad altre persone che sono state audite. Ho qualche perplessità su questa norma, perché si chiude il fallimento, ma tutti gli organi (giudice delegato e collegio) rimangono comunque in funzione: non è forse, soprattutto per le cause in corso, più opportuno intervenire sulla velocizzazione delle cause quando riguardano procedure concorsuali per cercare di chiudere definitivamente anziché lasciare comunque in funzione gli organi del fallimento ?
  Ancora, so che questo è un decreto legge, quindi naturalmente non può prevedere quello che sarà previsto dal lavoro che la Commissione Rordorf sta sviluppando, ma è anche vero che in qualche modo c’è un problema di etica non soltanto nei professionisti, ma anche degli imprenditori.
  Per evitare che il soggetto vada in concordato e poi affitti l'azienda a un altro che magari è parente, cognato, zio o cugino, dimodoché con l'affitto si riesce a pagare il concordato, sono possibili dei provvedimenti o comunque un meccanismo ? Peraltro, questa è una brutta pagina del sistema imprenditoriale, che poi va a scapito dei creditori, perché va in concordato la prima, ci va la seconda, e poi magari succede il «patatrac».

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi.
  Diamo la parola sinteticamente agli auditi per la replica.

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del Tribunale di Novara. Devo fare i complimenti all'uditorio degli onorevoli.

  GAETANO PIEPOLI. È la prima volta...

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del Tribunale di Novara. Ci mettono in una condizione di conflitto d'interessi interno. Noi abbiamo cercato di focalizzarci sulle norme del decreto-legge, mentre noto con estremo piacere – non capita spesso – che avete allargato la questione agli elementi di fondo. Questo non può che farci piacere. Sono anni che combattiamo contro gli onorevoli che hanno modificato in maniera molto random le norme fallimentari inserendo princìpi contraddittori.
  Per seguire un filo logico nella risposta, vengo al primo aspetto: ha senso il concordato ? Ha senso tutelare con il concordato ed esdebitare l'impresa che si può Pag. 19salvare. Quando con il decreto legge n. 83 del 2012 (cosiddetto decreto sviluppo) si era pensato di introdurre il concordato in continuità aziendale, quella era una cosa buona, ma è stata fatta una normativa sbagliatissima, che tutto tutela tranne che il concordato in continuità aziendale, cioè l'impresa che può salvarsi. Sono state, infatti, inserite delle norme sostanzialmente inapplicabili, ma in compenso sono state estese le provvidenze, come i finanziamenti interinali, per le imprese che vanno a chiudersi, che devono dissolversi.
  Le imprese che, però, arrivano al concordato sono di due tipi: quelle che vanno in liquidazione e muoiono e quelle che possono salvarsi. Ha senso il concordato ? Solo per quelle che possono salvarsi, perché per le altre non c’è ragione per preferire il concordato al fallimento. Questa è la verità. Fino a quando non riusciremo a capire questa semplicissima verità, non verremo fuori dall'ideologia, attraverso la quale si confondono le acque. Si è detto di dare più privatismo al concordato, perché sono le parti che devono decidere: ma che cosa devono decidere ? Altro è salvare il debitore, altro è salvare l'impresa, due ambiti completamente diversi.
  Tutto quello che si può fare va fatto a tutela dell'impresa, che è il valore sociale, dove ci sono i dipendenti, c’è ricchezza. Tutto quello che queste norme e altre possono fare per migliorare il concordato e renderlo più facile va fatto, ma a tutela dell'impresa, con l'ottica di tutelare l'impresa che si può salvare, non con quella di salvare il debitore che non ha pagato. Quello è semplicemente un inadempiente.
  Per riuscire a capire come si vive il problema del concordato nei tribunali, basta pensare a quello che sta succedendo per la Grecia. Ci si chiede perché sia così complicato riuscire a fare uno sconticino alla Grecia, ma quando si tratta degli imprenditori delle imprese, si esdebita il debitore che non paga al 100 per cento, considerando tutto come se fosse irrilevante per tutti i fornitori che stanno assieme. È come se il problema dell'epidemia dell'insolvenza non esistesse. C’è, invece, un effetto domino: se tutelo il debitore e gli consento di non pagare, i suoi creditori sono soprattutto imprese che, non prendendo quello che devono prendere, falliscono a loro volta. Va invertito, quindi, il ciclo negativo, vanno tutelate le imprese che si possono salvare, vanno non dico sanzionate, ma lasciate al loro destino di dissoluzione quelle che non si possono salvare.
  Dal punto di vista della statistica, a Milano nel 2012, subito dopo l'introduzione del decreto sviluppo, che ha introdotto anche il preconcordato, abbiamo avuto 400 tra preconcordati e concordati, una cifra che prima esisteva in tutta Italia. A Milano erano più di 400, di cui solo il 30 per cento è arrivato all'omologa, e di questo 30 per cento una buona parte in sede di esecuzione è andata in rovina. Vuol dire che nemmeno un concordato su tre riesce a dare esito positivo come vita processuale. Oltretutto, dobbiamo vedere se serve a qualcuno questa vita processuale con quelle percentuali che abbiamo detto.
  Introdurre una percentuale ? Siete più don Chisciotte di noi. Certamente sarebbe utile. Non so se si riuscirà mai a reintrodurre una cosa del genere, perché ci sono troppe spinte che muovono contro, ma introdurre una percentuale minima...
  In questo caso, sarebbe una percentuale doppia: una per consentire al debitore di accedere al concordato, che va insieme a quella percentuale che gli serve per evitare la competizione con altri terzi sulle offerte. Una potrebbe essere del 20 e l'altra del 40, come è stato previsto. La doppia percentuale dovrebbe servire, da una parte, per rendere serie le proposte di concordato di base; per rendere tutelato entro determinati limiti il diritto del debitore a conservare l'impresa, aprendola al mercato solo dopo quella soglia.
  Tenete presente, però – su questo punto dissento dalla collega Paluchowski – che dire di una società che questa non riesce a pagare nemmeno il 40 per cento vuol dire che ha perduto per intero il capitale. Questo è certo. Che cosa significa questo nell'economia spicciola ? Che non è Pag. 20più proprietà dei soci quell'impresa, ma dei creditori. Ci sono molte più passività che attività. È questo che giustifica che si possa fare una proposta concorrente, perché quella è un'impresa che solo formalmente appartiene ancora ai soci, che però non hanno messo i soldi per pagare i creditori.
  È per questo che il decreto-legge propone questa forma giusta di esproprio indiretto. Se l'impresa, infatti, non è capace neanche di ricapitalizzarsi attraverso i soci per il minimo, la mettiamo al mercato e ci sarà chi la prenderà. È una cosa fisiologica, normale, appartiene all'economia liberale, ma all'interno di un sistema socializzato, in cui si devono tutelare più soggetti, non uno solo, non solo il debitore.
  Ben vengano, quindi, queste norme, perché introducono una piccola percentuale di moralizzazione all'interno di un sistema che lo stava perdendo, meglio ancora se se ne aggiungono altre di questo tipo: eliminando, per esempio, il silenzio-assenso, si moralizza il concordato. Certo che si moralizza il concordato. Oggi, infatti, con il silenzio assenso il concordato passa sempre, e quindi fa passare sempre anche i debitori disonesti, non solo le imprese che meritano di passare. Non c’è un controllo sulla fattibilità, perché con un malinteso senso della negozialità si fa sì che il giudice che dovrebbe fare questo mestiere non possa effettivamente controllare distinguendo il grano dal loglio, cioè facendo passare quello che deve.
  Quanto alla prededucibilità, se il tribunale autorizza o meno i finanziamenti, diamogli il potere di dire che quello non si tocca più come prededuzione. Non è vero che le regole di Basilea impediscono i finanziamenti. Certo, li impediscono pro forma. In un'ipotetica scala, che poi non è tanto ipotetica perché è reale, da uno a dieci, il credito delle imprese in concordato viene stimato al peggior grado, al decimo, dalle banche.
  Noi stiamo dando, però, la prededucibilità, e la norma prevede che si possano garantire anche con ipoteca, pegno e concessione di credito. Non esiste un credito più capace di essere pagato di questo ! La banca corre molti più rischi a darlo fuori che a darlo alle imprese in concordato con queste tutele, ma la banca queste tutte le vuole, e le vuole in maniera tale che non siano poi sindacabili a seconda del giudice che arriva. Diciamo la verità. Vedremo poi all'atto pratico, perché con i «se» non si fa la storia. Noi proponiamo per esperienza certe soluzioni, ma poi sono le norme che si inverano e danno la possibilità di risolvere questi problemi in senso reale.
  L'ultimo aspetto su cui vorrei soffermarmi sono i giudizi pendenti. Purtroppo, quello è un problema europeo, perché dobbiamo far conto della ragionevole durata del processo.
  Certo, questa è una norma un po’ ipocrita, ma ormai stiamo tutti al gioco. Si dice che un fallimento si deve chiudere in sei anni: oggi in Italia una causa che dura sei anni è un miracolo, ma il fallimento è un contenitore di decine o centinaia di cause. Ecco perché poi dura tanto, non per colpa di chi lo gestisce. Bisogna aspettare che finiscano quelle cause per recuperare i crediti, con revocatoria e sentenze passate in giudicato, fino a quel punto il fallimento resta in piedi.
  Allora si è fatto il gioco delle tre carte, facendole chiudere prima, ma restano in piedi i fallimenti e gli organi. Era una cosa che succedeva già, perché è necessitata tutte le volte in cui un credito viene ammesso con condizione. Fino a quando non si verifica la condizione, il fallimento non si può chiudere, quindi la condizione che si verifica dopo fa sì che ci sia una reviviscenza degli organi e una redistribuzione delle sopravvenienze a fallimento chiuso.
  Oggi lo si estende in maniera più chiara anche ai giudizi pendenti. Non è un male, perché almeno ci leviamo dal groppone il problema di sembrare inefficienti se il fallimento non si chiude in sei anni, cosa che rasenta il miracolo in un'Italia in cui non si è fatto nulla per rendere più breve il percorso delle cause civili.
  L'ultimo non fa parte delle domande, ed è un suggerimento. Mi riallaccio a Pag. 21quello che diceva il collega Fontana sulla parte penalistica: è stata prevista l'applicazione dell'articolo 236 per gli accordi di ristrutturazione con enti finanziari, cioè di una norma penale che riguarda il concordato anche per questo nuovo strumento. Ci si è dimenticati, però, degli accordi di ristrutturazione dei crediti simplex, quelli cioè dell'articolo 182-bis. Forse bisognerebbe estendere quella norma, a questo punto, visto che si tratta della stessa zuppa, anche agli accordi di ristrutturazione per evitare che qualcuno sollevi una questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento addirittura all'interno della stessa fattispecie ristrutturatoria.

  ALIDA PALUCHOWSKI, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano. Intervengo brevemente, perché le domande sono tantissime. Tenterò di rispondere in generale a quelle che potrebbero anche rispondere ad altre domande.
  Il risultato del concordato è stato buono per l'imprenditore ? Sì. È stato buono per i creditori ? No, è stato pessimo. È stato buono per l'impresa ? Pochissimo. Direi che, nonostante i molteplici interventi che ci sono stati, se lo scopo di questa procedura deve essere comporre la crisi e potendo salvare l'impresa, i due obiettivi principali sono stati mancati clamorosamente.
  Abbiamo centrato un obiettivo laterale che direi marginale, tangenziale, ma che evidentemente è quello che interessa agli imprenditori e che è nato probabilmente anche dal fatto che inizialmente gli imprenditori come lobby pensavano di dover soprattutto tutelare l'imprenditore in crisi. È poco, due o due anni e mezzo, che hanno scoperto che gli imprenditori sono anche gli altri, quelli che subiscono la crisi, e quindi adesso stanno diventando più elastici anche in Confindustria, tanto che riuscire a parlare di competitività fino a poco tempo fa era praticamente impossibile, mentre adesso persino a loro obtorto collo cominciano a pensare che o entrano delle normative moralizzatrici o non si va da nessuna parte. Questa è la realtà.
  Se lo irrigidiamo avrà più successo ? Come numero di concordati presentati, probabilmente no. Quando, però, è stato inserito l'articolo 161, cioè il concordato con riserva, ha salvato più imprese ? No, ma ha fatto emergere la crisi.
  Mi riaggancio a quello che diceva l'onorevole Piepoli: ci sono degli strumenti per far emergere la crisi in esito ai quali bisogna scegliere la strada migliore da perseguire, che non necessariamente è solo quella del concordato. Il concordato con molto appeal, come diceva lei, potrebbe essere un concordato a cui molti imprenditori accedono, ma costa tanto e ripartisce poco. Allora forse il sistema è quello di far emergere l'insolvenza, mettere norme per cui se non si sforza avrà la concorrenza di altri.
  Se sarà in grado di sforzarsi, farà competitività, altrimenti entrerà nell'ambito, come diceva il dottor Lamanna, di una soluzione liquidatoria, che non si chiamerà più fallimento, ma ad esempio, liquidazione dell'impresa in crisi, che potrà essere comunque in accordo con i creditori o di altro tipo, ma secondo una struttura che non ha bisogno dei costi e dell'impegno che un concordato normalmente richiede, secondo me giustificati solamente se c’è il fine di salvare l'impresa o ripartire una percentuale notevole.
  Diversamente, queste procedure con i costi si mangiano tutto quello che devono ripartire i chirografari. Questa è la realtà dei fatti. Tutti i soldi che avanzano dai privilegiati normalmente sono coperti dalla prededuzione dei professionisti, non rimane niente. Le proposte all'1,2 vengono fuori perché poi rimangono quattro lire tolta la prededuzione, che non è per le banche, le quali ancora non erogano, quindi non sono loro che prendono, ma solo i professionisti. Purtroppo, statisticamente è questa la realtà.
  Infine, c’è il tempo. Credo che relativamente alle misure di allerta, che siano alla francese, all'italiana, quello che volete, in qualche misura si debba trovare un Pag. 22sistema per far fare coming out all'imprenditore italiano. Essendo così riservato che non vuole far sapere a nessuno le sue cose, l'imprenditore va finalmente e continuamente in default e solo dopo comincia a pensare che forse lo farà sapere a qualcuno, quando moratorie non sono più da fare, concordati non sono più da fare e bisogna solo scegliere se liquidarsi in una maniera o nell'altra.
  Se vogliamo e volete fare la procedura di allerta, la possibilità potrebbe essere quella di incentivare prima l'imprenditore a venire fuori dandogli l'esenzione da determinati eventi, che potrebbero essere piccoli reati compiuti in quel periodo, ritardi nei versamenti delle imposte, quello che volete in quel periodo: se non viene fuori spontaneamente, si accoglie sulle sue spalle il rischio di subire a sua volta conseguenze negative, che potrebbero essere i reati penali per aver ritardato l'emersione della crisi e la scoperta dell'insolvenza e tutti gli altri.
  Purtroppo, solo con l'incentivo non si riesce a far funzionare l'italiano; con l'incentivo e lo spauracchio della sanzione, forse, con questo sistema di colpi e contraccolpi, si riesce a farlo emergere. Purtroppo, è così.
  Un'ultima considerazione: se volete abolire il silenzio assenso, è l'ora, perché se volete moralizzare il concordato, è l'unica ipotesi.

  FILIPPO LAMANNA, Presidente del Tribunale di Novara. Non l'unica. Una delle pochissime.

  ALIDA PALUCHOWSKI, Presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Milano. Una delle pochissime. Non costa niente.

  ROBERTO FONTANA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Piacenza. Schematicamente, il decreto-legge va, per le ragioni che abbiamo detto, nella direzione giusta, ma non è la panacea ai problemi del concordato. Sostanzialmente, quelle due offerte concorrenti e anche i piani concorrenti servono per realizzare il giusto valore e gli asset che sono nell'azienda. Punto.
  Non è poco, ma non è tutto. Vuol dire che, se ho un'azienda che vale 1.000, non posso ricomprarla io per interposta persona a 300 e liberarmi dei debiti, altrimenti può arrivare un terzo e prenderla a 900. Questa è una risposta importante, ma non è la panacea al problema, perché se l’asset dell'azienda è 1.000, più di 1.000 comunque non si riesce a distribuire.
  Per far sì che, a fronte di un debito di 5.000 non ci sia solo 1.000 ma di più, ci vuole un'altra misura, che qui non c’è: l'emersione tempestiva. I concordati, a maggior ragione i fallimenti, arrivano quattro o cinque anni dopo. Quando un'impresa perde, anche se si mascherano le perdite a livello di bilancio, si consuma il patrimonio, quindi alla fine l'attivo vero è un quinto del passivo.
  Poi è risaputo che con la situazione di dissesto si trascina, molto spesso ci sono anche comportamenti fraudolenti per impoverire ulteriormente, il che peggiora le cose. Le misure di allerta, quindi, devono essere serie. Non dico a caso quello che vi sto dicendo, perché sto seguendo dietro le quinte un po’ il dibattito. Se diciamo che il 90 per cento delle imprese è tagliato fuori per le soglie che si mettono, non avremo risolto il problema. Il fenomeno delle imprese in Italia è quello delle medio-piccole: se si fa la misura di allerta, non si può farla per le grandi imprese, ma per quelle medio-piccole.
  Lasciamo fuori i negozi all'angolo della via anche se si chiamano Srl, ma poi devono essere meccanismi seri. Va anche bene prevedere un primo passaggio, anche extra giudiziale – se ne sta discutendo – ma poi è importante che, se il meccanismo extra giudiziale non dà risultati perché l'interessato non si presenta, si deve passare al trasferimento in mano giudiziale, altrimenti diventa una farsa. Lo dico a ragion veduta perché è possibile che tra un po’ dovrete occuparvi di questo tema, e questi sono i nodi a mio avviso sulle misure di allerta. Le misure di allerta, quindi, sono il tema fondamentale.Pag. 23
  Vediamo quali questioni sono emerse. Il silenzio-assenso va abolito. D'altro canto, l'inserimento del silenzio assenso non fu frutto di una riflessione, non l'aveva proposta nessuno. Fu un emendamento a livello parlamentare, di cui non so neanche chi l'avesse proposto: nessuno ne aveva discusso e ci si è trovati una norma scardinante.
  Alla adunanze dei creditori non viene più nessuno, ma per quale ragione ? In tutte le situazioni di dissesto c’è un 25-30 per cento dei creditori che ha alzato già bandiera bianca, e quindi non vota. Allora basta che io abbia prima il consenso del 20 per cento dei creditori, a cui posso anche far attivare dei meccanismi compensativi di altro tipo, e ho già fatto approvare il concordato. Il silenzio assenso è devastante. Questa è l'occasione per abolirlo.
  In secondo luogo, la percentuale minima avrebbe a mio avviso due pregi. Vuoi il concordato ? Sai che sei in crisi, allora puoi anche aspettare sei mesi, nei quali ci si guarda attorno; ma non si può pensare di aspettare quattro anni mascherando le perdite a bilancio, dopodiché si fa il concordato: è evidente che a quel punto non si hanno più le risorse. Allora la percentuale minima diventerebbe un incentivo all'emersione tempestiva insieme alle misure di allerta, ma avrebbe un effetto anticipatorio: se si vuole il concordato, si deve farlo presto.
  La percentuale minima tutela poi i fornitori, soprattutto le banche. Oltretutto, le banche hanno una componente del costo del denaro specificamente destinata a coprire l'insolvenza. Un tempo era dell'1 per cento del costo del denaro, lo spread, e serviva per il rischio insolvenza. Soprattutto, però, ci sono le garanzie esterne. Alla banca può anche andare bene a volte il concordato al 3 o al 4 per cento, perché intanto ci sono le garanzie esterne. Quelli che veramente sono schiacciati sono i fornitori.
  Secondo me, è giusto che il legislatore introduca una norma di tutela delle piccole imprese, ma in generale dei fornitori, mettendo la percentuale minima, sotto la quale non può essere neanche proposto il concordato. Sarebbe una spinta all'anticipazione percentuale minima. Potrebbe essere non certo più il 40 per cento, magari il 20, ma già è una percentuale minima.
  Infine, quanto alle prededuzioni, quelle che avvengono durante la procedura vanno bene perché sono sotto il controllo del tribunale. Le prededuzioni prima, invece, vanno abolite. Non è possibile che maturino prededuzioni su atti compiuti dall'imprenditore prima addirittura del preconcordato, con pattuizioni a volte spropositate. Ahimè, purtroppo qui il problema è la deontologia professionale. Non è possibile che il debitore con il suo professionista si metta d'accordo e scompaia di fatto un quarto del patrimonio con compensi stratosferici che automaticamente diventano prededuzione. La prededuzione deve esserci per atti dall'apertura della procedura in poi, perché in qualche modo una forma di controllo c’è.
  Vengo ad altre due questioni flash, tra cui la rotazione: va introdotto un principio. Nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile c’è una norma sui professionisti delegati in cui si fa un riferimento alla rotazione come criterio che, però, deve essere contemperato con criteri di efficienza.
  Sulla pubblicità e sulle esecuzioni di cui mi chiedevano manderò degli appunti.

  PRESIDENTE. Ritornerete, in ogni caso, quando ci sarà la delega, se ci arriverà.
  Vi ringraziamo molto. Sarebbe molto utile se riusciste a mandarci anche delle proposte. Lunedì è la scadenza per gli emendamenti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.