XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Lunedì 13 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1138  D'INIZIATIVA POPOLARE, C. 1039  GADDA, C. 1189  GARAVINI, C. 2580  VECCHIO, C. 2786  BINDI e C. 2737  BINDI, RECANTI «MISURE PER FAVORIRE L'EMERSIONE ALLA LEGALITÀ E LA TUTELA DEI LAVORATORI DELLE AZIENDE SEQUESTRATE E CONFISCATE ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA»

Audizione di Flavio Monteleone, Consigliere della Corte di appello di Roma, di Silvana Saguto, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo, di Francesca La Malfa, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari, di Guglielmo Muntoni, Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, di Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, di Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, di Antonio Balsamo, Presidente della Corte di Assise e della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta, di Giovanbattista Tona, Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, e anche straniere, di rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana (ABI), di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e di rappresentanti dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Monteleone Flavio , Consigliere della Corte di appello di Roma ... 4 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Saguto Silvana , Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
La Malfa Francesca , Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
La Malfa Francesca , Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Muntoni Guglielmo , Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Muntoni Guglielmo , Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Mattiello Davide (PD) , Relatore ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Pignatone Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Menditto Francesco , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Menditto Francesco , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Balsamo Antonio , Presidente della Corte di assise e della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 
Tona Giovanbattista , Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere ... 28 
Ferranti Donatella , Presidente ... 31 
Mattiello Davide (PD) , Relatore ... 31 
Ferranti Donatella , Presidente ... 32 
Zaccaria Laura , Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI) ... 32 
Ferranti Donatella , Presidente ... 34 
Tona Giovanbattista , Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere ... 35 
Zaccaria Laura , Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI) ... 36 
Ferranti Donatella , Presidente ... 37 
Zaccaria Laura , Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI) ... 37 
Ferranti Donatella , Presidente ... 37 
Staiano Giovanni , Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI ... 37 
Ferranti Donatella , Presidente ... 37 
Saguto Silvana , Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo ... 37 
Ferranti Donatella , Presidente ... 38 
Staiano Giovanni , Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria italiana (ABI ... 38 
Zaccaria Laura , Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI) ... 39 
Ferranti Donatella , Presidente ... 39 
Tona Giovanbattista , Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, e anche straniere ... 39 
Staiano Giovanni , Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI) ... 40 
Ferranti Donatella , Presidente ... 41 
Staiano Giovanni , Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI) ... 41 
Ferranti Donatella , Presidente ... 41 
Zaccaria Laura , Responsabile Direzione Norme e Tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI) ... 41 
Staiano Giovanni , Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI) ... 41 
Ferranti Donatella , Presidente ... 41 
Bonifati Vincenzo , Delegato dalla Presidenza per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 41 
Ferranti Donatella , Presidente ... 43 
Campise Maria Luisa , Consigliere delegato area «Funzioni Giudiziarie» del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ... 43 
Ferranti Donatella , Presidente ... 45 
Posca Domenico , Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari ... 45 
Ferranti Donatella , Presidente ... 45 
Posca Domenico , Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari ... 45 
Mottura Giovanni , Consigliere dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari ... 47 
Ferranti Donatella , Presidente ... 48 
Posca Domenico , Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari ... 48 
Ferranti Donatella , Presidente ... 49 
Posca Domenico , Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari ... 49 
Ferranti Donatella , Presidente ... 49 
Posca Domenico , Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari ... 49 
Ferranti Donatella , Presidente ... 49 
Mattiello Davide (PD) , Relatore ... 50 
Fava Claudio (Misto-PSI-PLI) , Relatore ... 51 
Ferranti Donatella , Presidente ... 52

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono direzioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Flavio Monteleone, Consigliere della Corte di appello di Roma, di Silvana Saguto, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo, di Francesca La Malfa, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari, di Guglielmo Muntoni, Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, di Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, di Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, di Antonio Balsamo, Presidente della Corte di Assise e della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta, di Giovanbattista Tona, Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, e anche straniere, di rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana (ABI), di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), di rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e di rappresentanti dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 1138 d'iniziativa popolare, C. 1039 Gadda, C. 1189 Garavini, C. 2580 Vecchio, C. 2786 Bindi e C. 2737 Bindi, recanti «Misure per favorire l'emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata», di Flavio Monteleone, Consigliere della Corte di appello di Roma, di Silvana Saguto, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo, di Francesca La Malfa, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari, di Guglielmo Muntoni, Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma, di Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, di Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, di Antonio Balsamo, Presidente della Corte di Assise e della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta, di Giovanbattista Tona, Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, e anche straniere, di Laura Zaccaria, Responsabile Direzione Norme e Tributi dell'Associazione bancaria italiana Pag. 4(ABI), di Vincenzo Bonifati, Delegato dalla Presidenza per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), di Maria Luisa Campise, Consigliere delegato area «Funzioni Giudiziarie» del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e di Domenico Posca, Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari.
  Buongiorno a tutti. Abbiamo deciso di dedicare l'intero pomeriggio all'approfondimento della proposta di legge A.C. 2737 Bindi, che è stata abbinata alla proposta di iniziativa popolare A.C. 1138 e a altre di iniziativa parlamentare. La Commissione ha ritenuto, a seguito della presentazione della proposta della Presidente della Commissione antimafia – e analoga proposta è stata presentata al Senato dal Presidente Mirabelli – di allargare il tema di esame anche alla revisione del Codice antimafia.
  Discuteremo, dunque, sia della proposta della Commissione antimafia sia del testo originario dell'onorevole Mattiello.
  Il termine per la presentazione di emendamenti è fissato per il 27 aprile prossimo e la proposta è calendarizzata in Aula per maggio.
  Del primo gruppo di auditi sono presenti Flavio Monteleone, Consigliere della Corte di appello di Roma, su delega del Presidente della Corte d'appello; Silvana Saguto, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo; Francesca La Malfa, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari; Guglielmo Muntoni, Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma.
  Nell'ordine, ricordando che gli auditi hanno circa 10-15 minuti a disposizione per i loro interventi, do quindi la parola al Consigliere della Corte di appello di Roma, Flavio Monteleone.

  FLAVIO MONTELEONE, Consigliere della Corte di appello di Roma. Premetto gli ovvi ringraziamenti da parte del Presidente della Corte d'appello Panzani e miei personali per averci coinvolto in questo lavoro, su tematiche che in questo momento sono così vicine ai fenomeni sociali di criminalità organizzata e di stampo mafioso per i quali sicuramente le misure di prevenzione sono oggi il più attuale deterrente possibile.
  Riguardo alla scaletta, naturalmente mi riporterò alla memoria che depositiamo con l'integrazione, ma vi sono alcune osservazioni che abbiamo elaborato con il Presidente che intendo ripercorrere rapidissimamente, cercando di non sforare assolutamente i minuti che mi sono stati concessi.
  L'articolo 1 della proposta di legge Bindi modifica l'articolo 4 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ed estende l'applicabilità ad altre categorie di soggetti, tra i quali molto pertinentemente gli indiziati di delitti di cui agli articoli 416-ter e 418. Tuttavia, introducendo la lettera i-bis del comma 1 del citato articolo 4, coinvolge anche dei soggetti che, per la verità, seppur richiamando coloro che sono dediti ai traffici delittuosi eccetera, non sembrano sempre così collegati con criminalità organizzata o con criminalità di stampo mafioso. Infatti, nel capo richiamato dall'articolo 1 della proposta Bindi vi è anche un reato colposo, il 335 del codice penale.
  Forse, come suggerimento in uno spirito di rispettosa collaborazione, si potrebbe ripercorrere lo schema sistematico del 322-ter che ha indicato specificamente, a proposito della confisca in caso di condanna, i reati interessati.
  L'articolo 2, alla lettera c) del comma 1, sostituisce il comma 4 dell'articolo 5 del codice antimafia. Qui c’è una preposizione articolata che, per la verità, ingenera un equivoco difficile da risolvere in italiano. Leggendola così sembrerebbe che esistano dei tribunali nel capoluogo del distretto e nel capoluogo di corte di appello, ma il concetto distrettuale coincide, dal punto di vista territoriale, con quello della corte di appello. Di talché la preposizione «della» corte di appello, forse sulla scorta della proposta della Commissione antimafia del 9 aprile 2014, che sembrava auspicare Pag. 5l'istituzione di sezioni specializzate anche presso le corti di appello, dovrebbe essere sostituita con «e preso» la corte di appello.
  Probabilmente è così, anche perché, diversamente opinando, non si capisce quali dovrebbero essere i tribunali che hanno luogo nel capoluogo di distretto e quelli che hanno luogo nel capoluogo della corte di appello, che sono gli stessi naturalmente. È un errore che si ripete nella modifica del 146-bis delle disposizioni di attuazione, ma ci arriverò subito.
  L'articolo 2 della proposta di legge Bindi, sempre alla lettera c) del comma 1, inserisce il comma 4-bis all'articolo 5 del codice antimafia. Infatti, si parla di «sezioni distaccate delle sezioni specializzate in materia di misure di prevenzione presso il tribunale circondariale di Trapani e presso il tribunale circondariale di Santa Maria Capua Vetere». Intendo naturalmente che la sezione specializzata che ha sede nel tribunale distrettuale è quella rispettivamente di Palermo e di Napoli. Però, da un punto di vista sistematico, l'individuazione di sezioni distaccate e di sezioni specializzate crea nel nostro sistema non pochi problemi.
  Anche se, dopo l'abolizione delle sezioni distaccate dei tribunali, c’è stata una revisione delle norme dell'ordinamento giudiziario, ancora oggi, dal punto di vista sistematico, sarebbe ben difficile individuare una sezione di una sezione, soprattutto dal punto di vista della direzione di questa. Forse, nel solito nostro spirito squisitamente tecnico e avulso da qualsiasi considerazione di politica giudiziaria, si potrebbe immaginare una sezione del tribunale di Palermo presso quello di Trapani e del tribunale di Napoli presso quello di Santa Maria Capua Vetere, deputate alla trattazione esclusivamente dei procedimenti di misure di prevenzione.
  Su questo – è l'ultimo punto che tratterò, ci arrivo brevemente – ci sarebbe un'ulteriore osservazione, ma la farò quando parlerò alla norma di attuazione.
  L'articolo 29 della proposta di legge Bindi, che modifica l'articolo 41 del codice antimafia, riguarda tra l'altro il deposito della relazione dell'amministratore giudiziario. Potrebbe essere questa un'occasione per rivedere il termine dei sei mesi assegnati per il deposito della relazione dalla nomina, perché in questi sei mesi – ci confrontavamo con il Presidente Panzani l'altro giorno – le amministrazioni sottoposte a sequestro hanno tutto il tempo di morire. Dunque, forse sarebbe preferibile, salvo diversa determinazione del collega del primo grado del tribunale (che sicuramente è più specificamente interessato a questo punto, che non riguarda tanto la corte di appello), un termine più breve eventualmente prorogabile.
  L'articolo 42 della proposta di legge Bindi modifica l'articolo 56 del codice antimafia e riguarda – un'annotazione di carattere forse un po’ civilistico – la sospensione dei contratti non adempiuti o adempiuti solo in parte, come viene novellato dalla proposta in esame. Questo «solo in parte» può voler dire che vengono sospesi anche i rapporti relativi a quei contratti adempiuti completamente da una parte e non adempiuti dall'altra. Questo naturalmente collide con i princìpi generali in materia civilistica, ma anche con il fatto che la Commissione per le riforme delle procedure concorsuali, presieduta dal dottor Renato Rordorf, ancora sta lavorando, e non ha ancora depositato le sue conclusioni che forse potrebbe dare invece un apporto significativo a questa specifica norma.
  L'articolo 47 della proposta di legge Bindi modifica l'articolo 61 del codice antimafia. Con le modifiche apportate al comma 7 c’è un riordino effettivamente della materia. Anche su questo probabilmente avrà da dire di più e meglio il collega Muntoni, perché la procedura riguarda il primo grado, non è ancora arrivata in appello. È vero che il piano di pagamento non lo fa più il giudice delegato ma lo fa l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ma quello che non si riesce a intendere bene, da un punto di Pag. 6vista tecnico, sistematico, è che l'opposizione al piano di pagamento vada in corte d'appello.
  Ciò è contrario al principio stesso dell'istituto dell'opposizione e, comunque, siamo ancora in primo grado e la corte d'appello non è stata e potrebbe non essere addirittura investita della procedura, perché siamo ancora a livello del piano di pagamento.
  Forse sarebbe tecnicamente più corretto che l'opposizione andasse al primo grado e poi, eventualmente, i successivi mezzi di gravame su questa.
  Per quanto riguarda l'articolo 48 della proposta di legge in esame, che modifica l'articolo 63 del codice antimafia, vi è un aspetto che ci ha destato qualche perplessità. Mi riferisco alla possibilità di procedere alla verifica dei crediti e dei diritti ancorché sia trascorso il termine dei cinque anni dalla chiusura del fallimento prevista alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 48. La verifica, che è un istituto squisitamente endofallimentare, potrebbe non avere più senso dopo che il fallimento è chiuso, quindi si potrebbe suggerire, al riguardo, l'introduzione della locuzione, ad esempio, «ove sia stato riaperto il fallimento», altrimenti non si comprende bene il significato tecnico di questo periodo «ancorché sia trascorso il termine di cinque anni dalla chiusura del fallimento».
  L'articolo 58 della proposta di legge in esame modifica l'articolo 146 bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale e l'articolo 7-bis dell'ordinamento giudiziario. Premetto che al comma 2-sexies, dell'articolo 7-bis dell'ordinamento giudiziario, introdotto dalla proposta di legge in esame, si ripete l'errore di cui ho già parlato. Ovviamente, errore secondo noi, perché la interpretiamo nel senso di dare un significato alla norma, cioè «della» vuol dire «presso» le Corti di appello probabilmente, perché ho già detto che diversamente opinando non riusciamo a dare un significato compiuto al periodo.
  Ci siamo confrontati a lungo con il Presidente Panzani su questo punto e, per la verità, nel nostro spirito collaborativo avremmo pensato di suggerire l'esame di un'ipotesi di rimessione di questa questione della specializzazione al momento tabellare e non al momento normativo, richiamando, del resto, l'articolo 1, comma 8, del testo unificato, che richiama proprio tutti quegli oneri sui capi degli uffici affinché con metodo tabellare provvedano ad assumere tutte le determinazioni necessarie per la definizione e per la trattazione prioritaria dei procedimenti sulle misure di prevenzione.
  Quindi, richiamando questo, si propenderebbe per un intervento a livello tabellare, anche perché vi sono alcune corti di appello in cui, se è vero che quel «della» vuol dire «presso» le corti di appello, probabilmente una sezione specializzata dedicata alle misure di prevenzione non sarebbe possibile comporla. Posso citare Campobasso, Perugia, dove non si riuscirebbe a comporre i collegi, quindi ci sarebbero anche delle difficoltà operative, tecniche.
  A livello tabellare, posso menzionare che ovviamente gli interventi sono molto più snelli. Faccio l'esempio della nostra sezione, la quarta Sezione presso la Corte d'appello di Roma, penale: pur non essendo una sezione specializzata, vi abbiamo realizzato un sistema informativo locale che consente, nella trattazione delle udienze, di dare un coefficiente ponderale variegato alle misure di prevenzione patrimoniale, che quindi si allarga e svuota l'udienza quando c’è un impegno da attribuire a un procedimento più pregnante e più importante o comunque più lungo nella trattazione, come quello dei procedimenti di misura di prevenzione reale.
  Infine, faccio un richiamo all'articolo 16 della proposta di legge Bindi, o meglio: se, come si capisce, tutto l'intento delle norme in esame è quello di dare non solo una trattazione prioritaria ma anche una definizione nei tempi che vengono determinati dalla norma, è anche vero che dal punto di vista organizzativo qualcosa si potrebbe fare. Si potrebbe cogliere l'occasione di questa norma per l'inserimento di una figura che, sistematicamente collocata nel nostro sistema in maniera corretta, Pag. 7potrebbe assicurare il rispetto del termine di diciotto mesi, che non mi risulta sia cambiato, per la definizione di misure patrimoniali. Io parlo delle impugnazioni: naturalmente mi limito al momento della corte di appello.
  In particolare, si potrebbe mutuare la figura che è già stata creata nel momento del gravame penale, che è quella prevista dal comma 5 dell'articolo 6, della legge 22 aprile 2005, 69, in tema di mandato di arresto europeo. Nel civile già l'abbiamo; in primo grado, nel penale, abbiamo il giudice delegato; non abbiamo invece un consigliere delegato nella corte di appello. L'abbiamo per la trattazione di alcuni procedimenti che il legislatore ha ritenuto di particolare urgenza nei relativi provvedimenti, come quello appunto del mandato l'arresto europeo. Lì vi è la figura del consigliere delegato che viene nominato dal Presidente della corte, ovviamente dal Presidente della sezione, e provvede ad alcuni adempimenti urgenti o indifferibili o comunque, nel caso di specie, propedeutici alla trattazione dell'udienza.
  Nel caso di specie, un minimo apporto di rispettosa collaborazione è la proposta di norma che è allegata nell'integrazione alla memoria che deposito, dove, all'articolo 16, comma 1, lettera a), della proposta di legge Bindi, si suggerisce di aggiungere infine il capoverso 2-sexies. La proposta è formulata – potrebbe essere un'ipotesi – in questo modo: «Agli adempimenti istruttori propedeutici all'udienza di trattazione dell'impugnazione innanzi alla corte concernenti le acquisizioni documentali nonché l'eventuale conferimento di incarico peritale utile ai fini della decisione sul gravame – provvede tempestivamente il consigliere delegato dal presidente della corte e a tal fine da questi nominato al momento dell'arrivo dell'impugnazione alla cancelleria della corte. Il consigliere delegato provvede monocraticamente ai citati adempimenti, con le forme previste dall'articolo 667, comma 4, del codice di rito».
  Questo consentirebbe di arrivare alla prima udienza di trattazione sull'impugnazione con il carteggio già completo ed eventualmente con l'accertamento tecnico già esperito.
  Deposito la memoria. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringraziamo delle proposte che ha formulato e anche del rispetto dei tempi.
  Do la parola alla Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo, Silvana Saguto. Credo che sia interessante soffermarsi sui punti «critici».

  SILVANA SAGUTO, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Palermo. Io ho segnato quelle che secondo me sono delle criticità tra i vari progetti, che qualcuno dovrebbe in qualche modo risolvere.
  Il mio approccio sarà molto diverso, meno tecnico. Per quanto riguarda la nostra esperienza a Palermo per le misure di prevenzione, noi abbiamo il 45 per cento delle misure di tutta Italia. È una statistica che consente di dire che, praticamente, non c’è statistica, in quanto si tratta di un ampio segmento delle misure di prevenzione che veniamo a trattare.
  Noto, nei progetti di legge, l'importanza da dare al fatto che l'amministrazione è per conto di chi spetta. Avverto molto spesso che chi parla guardando soltanto alla legge, senza avere mai amministrato, di fatto si ferma a considerazioni che sono avulse dalla realtà pratica, che è quella che noi dobbiamo vivere nei nostri tribunali.
  Per esempio, relativamente al problema del termine dei sei mesi, di cui parlava il collega, c’è già nel codice antimafia un articolo che prevede che questo termine venga abbreviato e che, comunque, di fatto la relazione completa quella che è la quotidianità di una presenza dell'amministratore presso il giudice delegato, soprattutto per le amministrazioni più grandi. In realtà, poco cambia scrivere sei o quattro mesi, perché è chiaro che se c’è una criticità l'amministratore non aspetterà certamente i sei mesi per venirci a raccontare di che cosa ha bisogno come Pag. 8autorizzazione o altro. Quindi, è una problematica che non ha una reale corrispondenza a quello che si guarda.
  Premetto che parlo a nome dei colleghi che sono con me nel tribunale e chiarisco che ormai siamo sezione specializzata, né poteva essere diversamente. Per fortuna, con il Consiglio superiore e con le nuove tabelle, a Palermo c’è la sezione specializzata per le misure di prevenzione.
  Per quello che riguarda il tema dell'amministrazione per conto di chi spetta, io e i miei colleghi abbiamo sempre considerato – e in questo siamo d'accordo anche con il Prefetto Postiglione – che l'amministrazione dell'Agenzia subito dopo il primo grado non sia una cosa opportuna, non solo perché l'Agenzia non ha i mezzi umani e di altro genere per poter gestire la quantità tale di misure che le verrebbero addossate fin dal primo grado, ma perché il compito dell'Agenzia dovrebbe essere individuato nell'assegnazione dei beni. Peraltro, il Prefetto Postiglione è riuscito a farlo, proprio perché si è occupato soltanto di quello, in maniera egregia rispetto al passato, e ha consegnato, soprattutto in Sicilia, parecchi beni.
  Postiglione più volte ha detto di non entrare nella gestione, anche perché, per come prestabilito, di fatto l'Agenzia sarebbe l'amministratore per il giudice delegato, che si troverebbe così a dirigere non una persona, ma un organismo variegato come quello dell'Agenzia (torneremo poi su quella che dovrebbe essere la composizione dell'Agenzia, laddove parlerò di quelle che per me sono le criticità).
  L'Agenzia ha un unico interesse, quello di capire come dovrebbero essere destinati questi beni. Io mi sono trovata più volte ad avere grossi problemi quando si sono assegnati beni prima della definitività, laddove lo abbiamo fatto direttamente noi. Noi l'abbiamo fatto, per alcuni casi, perché ci sono dei beni che sono suscettibili di essere individuati come già direttamente utilizzabili. Tuttavia, deve trattarsi di beni intanto «fungibili»: un appartamento vale l'altro, ma la villa liberty del proposto non vale la stessa cosa, perché lì c’è un'affezione tale che, se la Corte di cassazione o la corte d'appello dovesse restituirla, il proposto avrebbe un danno tale da chiedere un risarcimento che sarebbe realmente onerosissimo per lo Stato. Se io avessi già assegnato a un museo, per esempio, quella villa, il museo resterebbe lì ma non riesco a prevedere che cosa bisognerebbe dare.
  Deve essere il prudente apprezzamento del giudice che valuta la misura, valuta anche quali sono gli indizi, quindi quale sarà possibilmente l'epilogo. Tutto questo, invece, l'Agenzia non può vederlo, quindi potrebbe inopportunamente procedere a delle assegnazioni di beni particolari che provocherebbero un danno anziché un vantaggio allo Stato. Mentre è previsto che si diano subito le autovetture, che tranne qualche raro caso sono normalmente fungibili – quindi si valuta sul mercato il costo, le si dà oggi alle forze dell'ordine, non si spende per conservarle e le si utilizza immediatamente – per gli immobili o peggio ancora per le imprese il discorso cambia. Più è grossa l'impresa più le problematiche si pongono.
  Abbiamo avuto dei danneggiamenti e delle minacce serie perché io avevo assegnato un bene a un prete che aveva già un centro di ascolto. Il proposto ha telefonato all'amministratore fingendo di non sapere che fossi stata io a deciderlo, dicendo che ancora il bene non era confiscato, quindi chiedendo se gli si volesse dire proprio questo, addirittura mettendo quasi in mora il tribunale, secondo il ragionamento che se stava assegnando quel bene era perché aveva già deciso di confiscarlo. Questa è una delle criticità possibili, per questo l'Agenzia non ha ragione di esistere.
  Un'altra criticità – purtroppo ho avuto pochissimo tempo per preparare queste brevi note, quindi ho preso solo qualche appunto – riguarda la formazione del consiglio direttivo dell'Agenzia. Si tratta secondo me di una criticità notevole, poiché si viene a creare un profilo di incompatibilità con la lettera g) del comma 4-bis, dell'articolo 110 del codice antimafia, come previsto dall'articolo 22 del testo unificato, laddove si legge che il Comitato Pag. 9consultivo è composto anche «da un rappresentante delle associazioni che possono essere destinatarie o assegnatarie dei beni sequestrati». È un conflitto d'interesse palese.
  I soggetti di qualsivoglia associazione benemerita – e benemerite veramente lo sono, anche per la mentalità che hanno creato – non possono autoassegnarsi i beni. Il profilo di incostituzionalità viene ancora di più a determinarsi se considerate che tutto questo, secondo loro, dovrebbe essere fatto prima ancora di un provvedimento definitivo del giudice.
  Già ci sono delle figure di esperti che non si capisce bene chi dovrebbero essere, ma sicuramente questi rappresentanti delle associazioni che possono essere destinatarie, proprio perché possono essere destinatarie, non devono fare parte dell'organismo che provvede all'assegnazione, a nessun titolo. Non è un problema di rotazione, è un problema che non possono esserci, soprattutto se anticipiamo addirittura questo momento.
  Ricordo di essere stata sentita dalla Commissione affari costituzionali. La prima cosa che si disse è che noi abbiamo passato il vaglio della Corte costituzionale e anche quello della Corte europea proprio perché il sacrificio della proprietà privata è garantito da un provvedimento del giudice. Ma il provvedimento del giudice non c’è se decide l'Agenzia prima che ci sia il provvedimento del giudice. Per questo non vedo quale ragione dovrebbe consigliare di anticipare l'ingresso dell'Agenzia al momento del primo grado e soprattutto di comporla in questa maniera.
  Già si è visto – e anche Libera ha protestato – che per l'inserimento di Antonello Montante come Presidente di Confindustria si è parlato di conflitto d'interessi. Ma in questo caso, secondo me, il conflitto di interessi è ancora più palese. Questa è una delle criticità più serie che ho trovato nella proposta.
  La misura importantissima, secondo me, contenuta nella proposta Bindi è la tutela dei terzi, tema che, invece, non viene neanche sfiorato dall'altro progetto di legge.
  La tutela dei terzi è quella che ha dato maggiori problemi di gestione al tribunale, perché presuppone quello che è il presupposto della fallimentare stessa, cioè la decozione, mentre noi abbiamo il problema di fare funzionare le imprese che funzionano. Quindi, io non ho ragione di anticipare il momento di soddisfazione dei crediti tutti, perché, come qualunque imprenditore normale paga i suoi fornitori alla scadenza, alla consegna, ma dilazionando i pagamenti nel tempo, il problema è solo poter accertare separatamente la buona fede nei singoli crediti. Quindi, questo tipo di procedura concorsuale non ha ragione di esistere.
  Il modo in cui il tema è trattato nel disegno di legge Bindi è assolutamente condivisibile, perché è importante non fare fallire l'impresa, ma anche le imprese creditrici e sane dell'impresa del mafioso. Moltissime volte abbiamo soggetti creditori terzi che ci forniscono addirittura ad esempio l'energia elettrica, sulla cui buona fede non c’è nulla da accertare, trattandosi di energia che viene da un ente, e che noi non possiamo pagare se ci atteniamo alla lettera della norma, perché dovremmo fare la verifica insieme a tutti gli altri crediti. Quindi, se ho 90 mila euro di luce da pagare e me la tagliano, devo chiudere il negozio.
  Questo è veramente uno dei momenti migliori del testo del Presidente Bindi.
  Vorrei riferire un'ultima nota – così credo di essere rientrata nei minuti assegnatimi – su quello che ho letto, credo, nel testo unificato riguardo al numero delle amministrazioni per amministratore. Si dice che l'amministratore deve essere uno per ogni amministrazione: uno ne ha una. Ma questa è una follia, soprattutto con i nostri numeri. A Palermo l'amministratore che ha più misure ne ha undici; non sono molte, ovviamente sono variegate e alcune sono piccole, altre più grandi.
  Questa misura non ha senso. È il prudente apprezzamento del giudice a decidere. Del resto, il testo Bindi prevede che l'amministratore dica quali altri incarichi ha, se sono in altri tribunali. Questo va bene, ma la verità è che io verificherò la Pag. 10grandezza dello studio di quell'amministratore in relazione alla procedura e capirò se ha la capienza per reggerla o meno. Io ho quasi quattrocento misure di prevenzione ma non ho quattrocento amministratori. Non saprei dove trovarli, ma non c’è nemmeno ragione. È una specie di penalizzazione. Non vedo perché questa penalizzazione debba riguardare gli amministratori nelle misure di prevenzione e non i curatori fallimentari che hanno moltissime curatele. Non c’è una ratio, questa limitazione non ha alcuna logica. È come se ci fosse da tutelarsi dal giudice che nomina e dall'amministratore che viene nominato.
  La limitazione non ha ragione di esistere, perché bisogna controllare che questo amministratore abbia un rapporto costante con il giudice, quindi, se il giudice vede che ci sono amministratori che non arrivano mai, evidentemente non erano in grado di reggere la misura. Ma questo può vederlo il prudente apprezzamento del singolo magistrato, giudice delegato.
  Penso di avere dato una carrellata delle problematiche possibili. Avendo sentito varie volte i colleghi degli altri tribunali, posso dire che siamo sostanzialmente molto d'accordo sui princìpi generali di cui ho fatto una rapida rassegna, proprio volendo fornire uno spunto di riflessione più ampio e più generale, lasciando ai singoli un approfondimento più specifico.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Do la parola alla Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari, Francesca La Malfa.

  FRANCESCA LA MALFA, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari. Anch'io ringrazio e mi compiaccio di questo metodo che il legislatore manifesta di voler seguire con l'audizione degli operatori della giustizia che, con la loro esperienza, possono forse fornire spunti di riflessione a chi le leggi deve adottare.
  In realtà, sin dalle prime applicazioni del Codice antimafia, quindi sin dall'ottobre del 2011, abbiamo avvertito la necessità di avere strumenti più flessibili e funzionali allo scopo delle misure di prevenzione alle quali tale rilievo viene ormai attribuito dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
  Il procedimento che è stato disegnato dal codice antimafia è caratterizzato da rigidità che i vari tribunali stanno tentando di superare con prassi applicative ed interpretative che cercano di far fronte alle esigenze e che sono principalmente finalizzate alla sopravvivenza dell'azienda, alle ragioni del lavoro e dello sviluppo, che pure sono quelle ragioni che lo stesso legislatore pone come obiettivo.
  Tuttavia, l'esigenza è che si pervenga a una riforma che sia organica, e non settoriale e delimitata ad alcuni istituti, altrimenti gli effetti potrebbero essere più deleteri del risultato che si vuole ottenere.
  Procederò per sprazzi – lascerò anch'io una relazione – individuando quelle che sono, secondo me, delle vere e proprie emergenze che avvertiamo negli uffici, in primo luogo nel procedimento, che è uno degli obiettivi dichiarati del testo unico che comincia con le parole «norme per accelerare i procedimenti». Il testo comincia proprio così, però di norme per accelerare i procedimenti in realtà ce ne sono poche.
  C’è la norma che riguarda l'incompetenza per territorio, finalmente, ed è assolutamente condivisibile, quindi non dirò una parola di più.
  L'unico, ulteriore, istituto previsto dal testo unificato riguarda i termini per il deposito dei provvedimenti giudiziari. Va benissimo la differenziazione tra le misure personali e quelle patrimoniali, però vi voglio informare che i problemi non sono i tempi che i giudici impiegano a depositare i provvedimenti, ma sono altri, ad esempio arrivare all'udienza di decisione di quel procedimento che va avanti praticamente senza una regola specifica. Una regola di questo procedimento non c’è in alcun testo normativo.
  Quindi, è necessario, a mio modo di vedere, che ci siano riforme strutturali e riforme procedimentali. Sotto il profilo strutturale credo che sia ottima l'idea di Pag. 11prevedere sezioni specializzate distrettuali. Qui non è sufficiente, secondo me, la mera materia tabellare, perché si tratta di modificare la competenza, quindi trasformare le sezioni misure di prevenzione da competenza circondariale, come è allo stato, in competenza distrettuale, e questo lo può fare il legislatore sulla scorta del Tribunale della libertà. È una previsione indispensabile. Non è sufficiente dire che i procedimenti vanno trattati con priorità assoluta, perché la priorità diventa sempre relativa rispetto agli incarichi che ciascun magistrato ha.
  Presso il tribunale di Bari la sezione misure di prevenzione è composta dagli stessi magistrati che contemporaneamente trattano il Tribunale della libertà. Quindi, se arriva il riesame di un blitz, con misure cautelari in carcere, diventano priorità assoluta i riesami che riguardano le misure carcerarie. Stabilire in una norma che c’è priorità assoluta non è sufficiente, se poi non c’è una sezione che fa soltanto quello. Se si fa soltanto misura di prevenzione si può organizzare diversamente il lavoro.
  Ritengo altresì indispensabile prevedere che questa sezione specializzata sia a composizione mista, come stiamo cercando di fare a livello tabellare. È necessaria la presenza del magistrato penalista che sa leggere le carte dei processi penali, però è necessario anche il contributo del civilista, del fallimentarista, di chi è esperto in diritto societario. Io sono molto fortunata perché faccio penale, ma vengo dal diritto commerciale, quindi so leggere un bilancio, ma non tutti i magistrati penalisti sono in grado di farlo. Quindi, prevedere o dare una norma di indirizzo in base alla quale la sezione sia a composizione mista credo che sia indispensabile.
  Come dicevo, però, questo non basta. Secondo me, è necessario anche un profilo processuale di accelerazione del procedimento, poiché anche il procedimento di prevenzione risponde al principio costituzionale del giusto processo, che deve definirsi in tempi ragionevoli.
  Avverto l'esigenza di preclusioni, a pena di inammissibilità, alle varie produzioni documentali e orali che arrivano a valanga nel corso del procedimento. L'unica norma che esiste nel codice antimafia e che nessuno tocca, né il testo unificato né il testo della Commissione antimafia, è quello che prevede il termine di cinque giorni prima dell'udienza per il deposito di memorie difensive.
  Nulla si dice in ordine ai documenti che vengono prodotti; nulla si dice in ordine alle persone informate sui fatti di cui si vuole procedere all'audizione. Non è un discorso di poco conto. Vi porto un esempio: si fa una perizia estimativa nel contraddittorio, quindi con il perito, con il consulente, per determinare il valore di costruzione di una villa, ma soltanto a distanza di sei o sette mesi il proposto tira fuori il contratto di appalto dei lavori di costruzione di quella villa. Allora, credo che il diritto di difesa debba essere amplissimo, però deve rispettare anche delle regole, altrimenti il procedimento ha una durata che diventa indefinita e indeterminata. Parlo di regole con una discovery analoga a quella che c’è nel dibattimento: cinque giorni prima, a pena di inammissibilità, il proposto deve dire quali sono i documenti di cui lui e nessun altro è in possesso. Se il padre gli ha fatto una donazione e il proposto ha una carta scritta nel cassetto, deve tirarla fuori prima, perché il tribunale abbia possibilità di rivalutare sulla base delle deduzioni difensive di chi ha la disponibilità di quei documenti.
  In ordine alla pericolosità – altro profilo abbastanza urgente – condivido l'inserimento delle ipotesi di autoriciclaggio, ma non condivido assolutamente l'aggiunta prevista nel testo della Commissione antimafia all'articolo 4, comma 1, del codice antimafia della lettera i-bis), relativa ai «soggetti indiziati di uno dei delitti contro la pubblica amministrazione». Credo che questa aggiunta sia inutile e assolutamente superflua, poiché, ai fini del giudizio di pericolosità di prevenzione, si richiamano comunque le categorie di cui all'articolo 1, lettere a) e b), cioè è necessaria una abitualità di traffici Pag. 12delittuosi, di talché diventa assolutamente irrilevante il titolo di reato per cui si procede.
  Sotto altro profilo, invece, questo inserimento potrebbe dar luogo a interpretazioni dubbie, perché qualcuno potrebbe pensare che la norma valga soltanto per i delitti contro la pubblica amministrazione, e non invece, ad esempio, per le ricettazioni o il riciclaggio o per altri reati. Quindi, potrebbero sorgere dubbi interpretativi a fronte di una norma secondo me superflua.
  È molto opportuna la modifica dell'articolo 14 del codice antimafia sulle cause di sospensione della sorveglianza speciale costituite dalla sottoposizione a detenzione per espiazione pena. Questo è un discorso molto delicato, di cui voglio sottolineare l'urgenza, perché si è venuto a creare un vuoto normativo a seguito della pronuncia della Corte costituzionale, che ha demandato all'apprezzamento della magistratura il periodo in forza del quale si deve rivalutare d'ufficio la pericolosità sociale.
  Questo discorso è molto complesso dal punto di vista tecnico. Cerco di sintetizzarlo. Significa che si è scardinato il principio giurisprudenziale ormai consolidato per cui, una volta terminata la causa di sospensione, la risottoposizione era automatica. Adesso automatica non è più perché in forza della Corte costituzionale è necessario rivalutare, però non si sa quando.
  Le forze di polizia e i comandi ci hanno subissato di richieste. Io, come Presidente della Sezione, ho fatto una circolare ritenendo che la rivalutazione venga operata dopo un periodo di tre anni, prendendo spunto dall'unica norma del codice di procedura penale che ho trovato, che è l'articolo 656 sulla sospensione dell'esecuzione della pena. Il testo Bindi prevede invece due anni.
  L'importante è che il legislatore intervenga perché si va a incidere su una riserva di legge, nel senso che alcuni comandi procedono all'arresto delle persone pensando che ci sia una violazione delle misure di prevenzione sul presupposto che sia stata riapplicata automaticamente.
  Invece così non è.

  PRESIDENTE. Mi scusi, qual è l'articolo a cui fa riferimento ?

  FRANCESCA LA MALFA, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Bari. L'articolo 14 del codice antimafia. Il testo Bindi prevede la rivalutazione dopo due anni. Nel testo unificato non c’è nulla.
  Come ripeto, secondo me è il principio costituzionale della riserva di legge in materia penale, per cui diventa importantissimo. Su questo profilo io inviterei il legislatore anche a una valutazione articolata e differenziata della rivalutazione d'ufficio della pericolosità in ragione della personalità del soggetto. Mi riferisco alla rivalutazione d'ufficio perché rimane sempre ferma la possibilità di fare istanza di revoca da parte del difensore. Stiamo parlando soltanto della rivalutazione d'ufficio.
  Una cosa è rivalutare un soggetto alla sua prima esperienza detentiva; un'altra cosa è rivalutare la pericolosità di un soggetto condannato in via definitiva per associazione di stampo mafioso, per cui la giurisprudenza costantemente afferma che c’è una presunzione di persistente pericolosità. Forse la disciplina andrebbe differenziata.
  È urgente la modifica all'articolo 18 del codice antimafia in ordine alla possibilità, in caso di morte del proposto, di estendere la disciplina non soltanto ai successori a titolo universale, ma anche ai conviventi e agli intestatari fittizi delle società. È previsto nel testo Bindi, ma sul punto nel testo unificato non c’è nulla.
  L'articolo 21 del codice antimafia, come modificato nel testo unificato, è una norma assolutamente positiva. L'esecuzione del sequestro demandata alla polizia giudiziaria e non all'ufficiale giudiziario va benissimo così, come condivido totalmente la disciplina articolata dello sgombero contenuta nel testo unificato, anche in Pag. 13relazione agli immobili occupati dal proposto e dai suoi familiari.
  Condivido le modifiche in ordine alla previsione di un termine maggiore per la misura patrimoniale rispetto a quello per le misure personali.
  In ordine all'evasione fiscale, articolo 24 del codice antimafia e articolo 1, comma 5, del testo unificato, questa norma recepisce la decisione delle sezioni unite della Cassazione in cui si dice che il proposto non può giustificare con l'evasione fiscale. Io inviterei il legislatore a riflettere sul fatto che il più delle volte i beni sono intestati a soggetti altri rispetto al proposto.
  Ormai è raro che troviamo beni intestati direttamente al proposto. Queste giustificazioni, quindi, ci vengono date dalla moglie, dal convivente o dai figli, i quali puntualmente adducono redditi a nero, quindi frutto di evasione fiscale. Forse sarebbe opportuno che una volta per sempre, e solo il legislatore può farlo, si dicesse che nessuno può giustificare con i proventi dell'evasione fiscale. La legittima provenienza dei beni, cioè, non può essere giustificata sul presupposto che provengano da evasione fiscale.
  Ancora, è urgente la modifica dell'articolo 24, comma 2, del codice antimafia e opportunamente il testo unificato se ne fa carico, circa la sospensione del tempo intercorrente tra la morte del proposto nel corso del procedimento e l'individuazione degli eredi. Possono passare mesi prima che si capisca che l'erede può essere il successore legittimo, ma può anche non accettare l'eredità. In questo periodo, però, i termini per il sequestro decorrono e allo stato non abbiamo una causa di sospensione prevista. La disciplina è quindi molto opportuna.
  In ordine all'amministrazione dei beni sequestrati voglio dire, in via generale, che certamente le aziende non devono chiudere a causa del sequestro. Gli istituti di credito il giorno dopo il sequestro ci revocano – ormai sono compenetrata nelle gestioni dei beni – revocano alle aziende i fidi e ci chiedono il rientro nelle 48 ore. I contatti con gli amministratori giudiziari sono immediati, anche domenicali e notturni. Queste cose non devono succedere perché le aziende non devono chiudere a causa del sequestro.
  È anche vero però che le aziende che non funzionano non devono vivere grazie al sequestro. È necessaria una preliminare verifica dell'azienda che può vivere sul mercato con le sue gambe, legalizzata con i sistemi opportuni, e delle aziende che invece sono state lì soltanto perché foraggiate da denaro proveniente da attività illegali e che non sono in grado di stare sul mercato.
  Il giudice delegato o il tribunale devono avere immediatamente la possibilità di valutare questa situazione, di liquidare le aziende e le attività che non sono in grado di funzionare e di dare ogni possibilità a quelle che sono in grado di funzionare di continuare a stare sul mercato, legalizzandone l'attività sia con i lavoratori che con i fornitori.
  Se è questo il programma di prosecuzione dell'azienda, tale programma deve essere attuato e il tribunale deve avere la possibilità di pagare immediatamente i crediti relativi alle attività essenziali dell'azienda. Se aspettiamo la verifica dei crediti, in realtà non arriveremo mai. Così come, secondo me, è possibile fare funzionare le aziende quando chiudono per intimidazioni mafiose. Una struttura ricettiva, ad esempio, l'abbiamo data in gestione a una scuola alberghiera per consentire ai ragazzi di lavorare e così far fronte alle intimidazioni effettuate.
  Dico un'ultima cosa sull'Agenzia e per il resto rinvio allo scritto. L'Agenzia ci deve essere di ausilio. Che sia a Roma o a Reggio Calabria, per quanto mi riguarda, non cambia assolutamente niente. Abbiamo bisogno di gente che ci dia ausilio. Noi siamo magistrati: non siamo esperti nella gestione e nella destinazione dei beni.
  Abbiamo bisogno di un ausilio che deve essere come il contatto con l'amministratore, cioè quotidiano e continuo, da parte di qualcuno che conosca il territorio. Forse sarebbe più opportuna – come ripeto, da operatore io lancio idee che siete Pag. 14voi a dover valutare – un'articolazione distrettuale. Se si fanno ventisei sezioni distrettuali specializzate in materia di misure di prevenzione, che ci sia, presso ogni capoluogo di distretto, un centro dell'Agenzia in grado di avere contatti diretti con i magistrati e di fornire ausilio su possibili soluzioni e possibili future destinazioni e che ci dia anche una linea nella gestione dei beni.
  Vi chiedo scusa se ho sforato il tempo.

  PRESIDENTE. Grazie. Anche la Presidente La Malfa ci consegna il suo documento.
  Prende ora la parola Guglielmo Muntoni, Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma.

  GUGLIELMO MUNTONI, Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma. Ho predisposto una memoria, alla quale mi riporto, cercando di procedere il più velocemente possibile.
  L'aspetto fondamentale per gli addetti ai lavori è essenzialmente quello di avere finalmente un nuovo testo unitario, organizzato sistematicamente e coerente. L'attuale testo, come è stato già anticipato, presenta questa specie di schizofrenia tra l'invito a gestire al meglio i beni sequestrati e l'adozione di una filosofia di liquidazione dei beni tipicamente fallimentare, in una realtà completamente opposta. Il sospiro di sollievo che si è alzato quando abbiamo visto che i due testi sono stati abbinati è molto sentito.
  In questa esigenza di un testo che tutto comprenda perché le parti sono comunicanti e correlate, lo sforzo fatto dalla Commissione antimafia, che ha rivisto tutto il codice antimafia e tutta la normativa collegata, è particolarmente meritorio e apprezzato. L'esperienza del Tribunale di Roma, anche grazie al procuratore Pignatone, è purtroppo particolarmente vasta e gli aspetti che ci riguardano sono gli interventi sulla modifica della competenza territoriale, la disciplina della gestione dei beni sequestrati, l'estromissione dell'Agenzia nazionale dall'amministrazione dei beni nelle fasi antecedenti alla confisca definitiva e la riformulazione della tutela dei terzi.
  Per quanto riguarda la modifica della competenza territoriale, ritengo assolutamente da portare avanti il discorso della competenza distrettuale, soprattutto sotto il profilo della modesta disponibilità di risorse, che così possono essere concentrate in contesti più attrezzati. Inoltre, se riduciamo i soggetti da centodieci a ventotto, anche il rapporto con l'Agenzia nazionale e tutte le altre operazioni di coordinamento tra i vari soggetti diventano molto più agevoli, soprattutto se avremo una giurisprudenza più coerente rispetto a quella adottata da alcuni tribunali minori in Italia.
  C’è un aspetto della competenza territoriale che non è stato toccato né dal testo unificato né della Commissione antimafia ed è una migliore regolamentazione della competenza territoriale alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione. La norma fa riferimento unicamente alla dimora del proposto. La Corte di cassazione ha stabilito invece che si debba fare riferimento al luogo dove è esercitata la pericolosità del proposto come dimora della pericolosità.
  Portando avanti questa interpretazione, la Corte è però giunta ad affermare che la pericolosità di un soggetto appartenente a un'associazione mafiosa si realizza laddove ha sede l'associazione mafiosa. In questo modo avremo un'esplosione delle competenze dei tribunali, soprattutto dove è più radicata la realtà mafiosa. Parliamo di Palermo, Caltanissetta, Reggio Calabria, Bari e così via.
  Credo quindi che sarebbe più opportuno riformulare. Ho predisposto un testo che non sto a rileggere. In buona sostanza la competenza si ancora al luogo in cui il soggetto esercita la propria personale pericolosità, anche se appartenente ad associazione mafiosa.
  Faccio un esempio. Qui a Roma abbiamo sequestrato patrimoni a soggetti che riciclavano per conto di organizzazioni criminali campane. Questi soggetti sono Pag. 15però attivi essenzialmente o solamente a Roma e quindi non mi sembra sensato che se ne occupi Napoli invece che noi.
  Per quanto riguarda gli aspetti maggiormente critici del testo unificato, è particolare il fatto che non vengano toccati alcuni degli argomenti principali che ho indicato prima. Parlo della competenza, del ruolo dell'Agenzia nazionale e della tutela dei terzi.
  Accenno a una norma tecnica. Scusatemi la discesa sul tecnico, ma è importante. Laddove si parla di dichiarazione di incompetenza territoriale del tribunale non si prevede il mantenimento dell'efficacia del sequestro fino al provvedimento di convalida del giudice competente. Questo significa sostanzialmente perdere il patrimonio. È però un problema che nel testo unificato era stato già affrontato perché se ne parla nel provvedimento di incompetenza dichiarata dalla corte d'appello. Occorre quindi riformulare l'articolo 14 in questo senso. Nel testo della Commissione antimafia questo è espressamente previsto e disciplinato.
  Non si prevede poi lo spostamento della competenza nell'amministrazione dell'Agenzia nazionale nella fase successiva alla confisca definitiva. È un atto di dolore continuamente dichiarato dagli stessi direttori dell'Agenzia, che non sono in grado di gestire i beni in questa fase. Oltretutto l'amministrazione giudiziaria da parte dell'Agenzia nazionale si realizza come un filtro, ma più che altro è un ostacolo che si crea tra il giudice delegato e l'amministratore giudiziario, che nel 90 per cento dei casi diventa il coadiutore dell'Agenzia, rendendo più inefficace e lento questo rapporto proprio nel momento in cui è invece essenziale assicurare la gestione dei beni sequestrati.
  Non viene ridisciplinata inoltre la tutela dei terzi. Così come è prevista, essa procura danni assolutamente ingiusti e spesso anche rilevanti e decisivi per i terzi in buona fede. Pensiamo ai fornitori essenziali dell'azienda sequestrata, che si vedono ritardato per due o tre anni, senza motivo, il pagamento delle forniture anche quando è pacificamente accertato che sono state fatte e utilizzate per fini aziendali.
  Come diceva prima la collega, è ovvio che, se proviamo a non pagare il debito per l'energia elettrica, l'azienda chiude perché viene tagliata la corrente. Se non possiamo non riconoscere questo debito, dobbiamo riconoscerlo anche negli altri casi. Pensiamo anche ai lavoratori dipendenti che non sono stati pagati e che hanno diritto di esserlo. Il pagamento dei fornitori essenziali e dei dipendenti aiuta per altro la società «sana» o sanata con l'amministrazione giudiziaria a stare sul mercato perché si presenta in modo più positivo e i lavoratori lavorano anche meglio, al di là del discorso sulla giustizia di queste operazioni.
  Inoltre, non viene previsto il coordinamento delle varie proposte, come invece ha fatto la Commissione antimafia, da parte del procuratore distrettuale. Mi è capitato di vedere quanto può essere rischioso non procedere in questo senso perché la Direzione investigativa antimafia, piuttosto che il questore, può non sapere di una determinata indagine in procura, magari delicata, e con la propria proposta può metterla a repentaglio. Se invece ci fosse un unico regista delle proposte, tutto sarebbe più logico, coerente e sicuro. Una cooperazione fra i vari uffici garantisce oltretutto la presentazione di una proposta più completa e adeguata.
  Lascio perdere il fatto che non si preveda la competenza del Procuratore nazionale antimafia per la proposta di misure di prevenzione patrimoniali perché è un assurdo del vecchio codice che egli possa proporre quelle personali, ma non quelle patrimoniali.

  PRESIDENTE. L'abbiamo inserita con il decreto antiterrorismo.

  GUGLIELMO MUNTONI, Presidente della terza Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Roma. Salto i punti strettamente tecnici che sono contenuti nella memoria. Come punto critico del testo Pag. 16unificato, devo dire che sono molto perplesso su questi tavoli permanenti presso le prefetture. Li ritengo, più che utili, un grosso rischio di ulteriori inefficienze e un ulteriore strumento «burocratico».
  Mi colpisce anche che a questo tavolo debbano partecipare alcuni soggetti che sono obiettivamente importanti per la gestione delle aziende e dei beni in generale, come datori di lavoro e sindacati o rappresentanti dei lavoratori. Il fatto che debbano cambiare ogni quattro mesi toglie però ogni senso al tavolo perché vuol dire cominciare ad avere un rapporto con un interlocutore valido e dopo quattro mesi, a circa un quarto della misura, doverlo salutare.
  Ritengo che la finalità di questa proposta si potrebbe meglio realizzare affidando all'Agenzia nazionale, come prevede il testo della Commissione antimafia, il compito di spingere per la conclusione di protocolli come quelli che si sono conclusi di recente a Milano, a Roma e a Reggio Calabria tra i tribunali e tutti i soggetti interessati alla gestione. Questo garantisce di avere un interlocutore stabile e immediato, che conosce perfettamente le problematiche, visto che il rapporto diventa quotidiano. A Roma ci siamo anche inventati il sito con database che funziona opportunamente.
  Diventa anche più semplice in questo modo procedere all'assegnazione provvisoria dei beni. Per risolvere tutti i problemi che ha indicato la dottoressa Saguto, noi assegniamo in comodato gratuito, in genere ai comuni e ad altri soggetti pubblici, gli immobili liberi, senza nessuno dentro. In questo modo garantiamo l'interesse del proposto perché l'immobile non può essere occupato, vandalizzato o altro. Al tempo stesso l'immobile viene impiegato anticipando il fine sociale, che è lo scopo finale della normativa. Comunque vada a finire il procedimento, viene realizzato l'interesse che deve essere protetto.
  Quanto agli aspetti positivi del testo unificato, devo sottolineare l'eliminazione, con il comma 6 dell'articolo 1, del dolo specifico per quanto riguarda il sequestro per equivalenza all'articolo 25 del codice antimafia, che trovo particolarmente meritorio. Così la dispersione di cessione non è più ancorata alla fase successiva alla proposta. In quel modo si aveva l'assurdità di non poter colpire il bene che il soggetto aveva fatto sparire il giorno prima della proposta, mentre si poteva colpire l'equivalente del bene fatto sparire il giorno dopo. Normalmente si tratta di soggetti che prevedono in anticipo quello che potrà succedere al loro patrimonio sotto questo aspetto.
  Con il comma 7 dell'articolo 1 del testo unificato, viene correttamente richiamato, all'articolo 27 del codice antimafia, tra i provvedimenti impugnabili quello di rigetto della richiesta di confisca anche se non preceduta da sequestro, che è un'ipotesi più che concreta.
  Trovo essenziale – e l'esperienza romana purtroppo ce lo conferma – l'introduzione, dell'articolo 34-bis del codice antimafia e 7-bis dell'ordinamento giudiziario sulla priorità assoluta della trattazione dei procedimenti di prevenzione e l'impegno di dirigenti per garantirlo.
  Come diceva prima la collega, con le modifiche apportate dall'articolo 3 del testo unificato all'articolo 21 del codice antimafia, finalmente vengono regolati in modo articolato i rapporti con il proposto e gli altri occupanti degli immobili sotto sequestro, cosa che prima mancava ed esponeva i giudici delegati e i tribunali a scelte fantasiose o coraggiose, comunque a rischio.
  Correttamente, con l'articolo 4 del testo unificato, si precisa all'articolo 36 del codice antimafia che si deve formulare una prima relazione sulle aziende. Questo supera il problema dei sei mesi che indicava il collega. Dopo un mese noi abbiamo già una prima relazione che ci spiega qual è la situazione delle società. Nei sei mesi avremo poi una relazione assolutamente articolata, che normalmente sarà preceduta da decine di informative e istanze per affrontare le varie problematiche della gestione delle aziende.
  All'articolo 38 del codice antimafia, come modificato dal testo unificato, come del resto all'articolo 110 del codice antimafia Pag. 17come modificato dall'articolo 54 della proposta di legge C. 2737, si prevede espressamente l'assegnazione provvisoria, che quindi non è più una scelta del singolo Presidente di sezione del tribunale, nonché il trasferimento della competenza dal collegio al giudice delegato per l'assegnazione dei beni immobili agli enti pubblici.
  Credo che coerentemente anche l'assegnazione e lo sgombero degli immobili dovrebbero essere di competenza del giudice delegato e non del tribunale, proprio per coerenza della figura che gestisce il patrimonio ed è cosa diversa dal tribunale, che invece interviene sulla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione.
  Per quanto riguarda invece il testo della Commissione antimafia, l'unica critica è la stessa che ha formulato la collega La Malfa circa la lettera i-bis) aggiunta all'articolo 4. Non ha alcun valore pratico perché il corrotto e il corruttore possono essere oggetto di misura di prevenzione se rientrano nelle categoria degli articoli 1 e 4. Inoltre devo ricordare che l'articolo 4, tolta la lettera c) che è un richiamo all'articolo 1, prevede una serie di casi di pericolosità qualificata. Se si vuole mantenere questa indicazione precisa dei reati contro la pubblica amministrazione, l'unico senso sarebbe individuare i reati contro la pubblica amministrazione come pericolosità qualificata, prescindendo dall'abitualità della condotta. Questa però è una scelta politica, che non spetta a noi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Presidente Muntoni.
  Do ora la parola al relatore, onorevole Mattiello.

  DAVIDE MATTIELLO, Relatore. Visti i tempi, vorrei intervenire solo per ringraziare per questa prima batteria di contributi e segnalare che senz'altro, dopo aver letto e meditato sui vostri contributi scritti, ci risentiremo.
  In considerazione della cornice e della visibilità di queste nostre audizioni sento poi il dovere di sottolineare due aspetti tendenziali. Dal momento che siamo qui oggi a ragionare su testi che hanno già fatto un lungo percorso, se non parlamentare, senz'altro nelle Commissioni e nel dibattito politico, ciò di cui oggi noi parliamo ha già avuto una buona sedimentazione. Dopo aver ascoltato quanto è stato detto, voglio quindi sottolineare due aspetti, come ripeto, tendenziali.
  Il primo, usando le parole della Presidente La Malfa, è il principio per il quale le aziende che funzionano non devono chiudere, ma quelle che non funzionano non devono sopravvivere a forza, attraverso l'azione dell'amministrazione giudiziaria. Questo è un principio che ci ispira.
  Allo stesso modo – secondo e ultimo passaggio – riprendendo il ragionamento della Presidente Saguto, abbiamo l'intenzione di sciogliere nella maniera più radicale possibile ogni potenziale conflitto di interesse e non solo quello evidenziato nella formulazione del testo unificato, rispetto al quale la riflessione cronologicamente successiva della Commissione antimafia ha già convinto. Io, come relatore per la maggioranza, mi faccio carico di questa tendenza rispetto alla composizione del consiglio direttivo.
  Più generalmente faremo lo sforzo di intervenire con la massima efficacia possibile per prevenire ogni potenziale conflitto di interesse nell'organizzazione di questo sistema complesso e delicato.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli esperti che finora hanno ritenuto di darci il loro contributo e sollecito tutti a farci avere documenti scritti per la significatività degli interventi. Avremo modo di trasmettere nel frattempo le trascrizioni e chi vorrà – immagino lo farà la Presidente Saguto – potrà inviarci le proprie correzioni.
  Passiamo ora al secondo gruppo di audizioni, che abbiamo scaglionato solo in base all'orario e non per una filosofia particolare.
  Do quindi la parola a Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.

  GIUSEPPE PIGNATONE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pag. 18Roma. Avendo sentito quello che hanno detto i colleghi, sicuramente sarò più breve perché è inutile ripetere.
  Mi pare che ci sia una sostanziale uniformità di opinioni e peraltro il relatore ha dato un ulteriore avvallo al fatto di considerare comuni i fini generali dei disegni di legge. Siamo tutti d'accordo sull'importanza strategica, nel contrasto alle mafie, dell'aggressione dei patrimoni illeciti, ma anche sulla necessità che essi vengano gestiti prima e destinati poi nel modo più efficiente e trasparente, con una speciale attenzione alla prosecuzione dell'attività delle imprese sequestrate e alla tutela dei lavoratori.
  Mi ha fatto molto piacere che il relatore abbia introdotto una cosa detta da qualche collega e che io dico da anni e ripeterò un'altra volta qui. Dobbiamo salvare le aziende che funzionano, ma non dobbiamo lasciare sul mercato, con un'ulteriore forzatura di aiuti di Stato, quelle che sono sostanzialmente «lavanderie» per il riciclaggio. Su questo bisogna essere sereni e anche rigorosi, altrimenti l'inquinamento del mercato fatto dalla mafia continueremo a farlo noi. Secondo me, questo è fondamentale.
  Cercherò di essere estremamente sintetico. Il progetto di legge Bindi nell'insieme mi pare che abbia fatto tesoro in modo più completo e complesso dell'interdisciplinarietà della materia, che è tipica ed è forse la prima difficoltà, prestando attenzione sia agli aspetti del procedimento sia agli aspetti sostanziali della gestione.
  Sottolineo, come già detto, la previsione finalmente di un coordinamento, in capo al procuratore distrettuale, del potere di proposta in materia di misure di prevenzione. È una regia. Nessun procuratore distrettuale potrà e vorrà dire al questore o al direttore della DIA di non fare una proposta di prevenzione. Siccome però sono avvenute di fatto cose non tanto spiacevoli sul piano personale, perché è un concetto che non esiste in questa materia, quanto dannose per le indagini, è opportuno che la legge faccia questa previsione.
  Il secondo punto che io sottolineo è la competenza distrettuale del tribunale della prevenzione. È stato già detto che serve per assicurare la necessaria specialità. Io aggiungerei che serve per ridurre i problemi che sorgono in materia di incompatibilità fra i giudici, anche perché la Cassazione ogni tanto aggiunge ulteriori incompatibilità a quelle previste. Se questo problema diventa pesante persino in una sede come Roma, che insieme a Napoli è la più grande d'Italia, figuriamoci nelle altre sedi. È chiaro che, se c’è soltanto un tribunale distrettuale, sarà meno difficile evitare le incompatibilità.
  È opportuna la previsione di sezioni specializzate per Trapani e Santa Maria Capua Vetere per ridurre le due sedi più grandi in questo settore che sono Palermo e Napoli. Sotto il profilo tecnico, come probabilmente avrà osservato il collega della corte d'appello, si dovrebbe parlare di collegi delle sezioni di Palermo e di Napoli perché la sezione della sezione finora non esiste e credo che possiamo tranquillamente farne a meno.
  Concordo con quello che presumo abbia detto il collega della corte d'appello – naturalmente abbiamo avuto contatti con il Presidente Panzani – e cioè sul fatto che non è invece il caso di creare una sezione specializzata della corte d'appello che debba esclusivamente trattare procedimenti di prevenzione. In tal caso, in gran parte delle corti d'appello italiane diverse da quelle classiche di Napoli, Reggio Calabria e Palermo avremo sezioni delle corti che non avranno cosa fare per ovvie ragioni.
  Questa è la tipica materia tabellare. Il Consiglio superiore sicuramente rafforzerà le previsioni che già esistono in materia di priorità e di composizione delle sezioni, così come alla materia tabellare va demandato senza rigidità, che sono sempre deteriori – è lo stesso ragionamento che abbiamo fatto sulle DDA antiterrorismo – il compito di articolare la trattazione prioritaria. Riesame e prevenzione sono due priorità che sbattono l'una con l'altra e bisogna adattare le sezioni, ma le realtà Pag. 19italiane sono molto variegate e quindi è meglio lasciare la scelta alla sede tabellare.
  Non ripeto quello che è stato detto sulla inutilità o addirittura dannosità potenziale della previsione del testo Bindi relativa all'estensione della lettera i-bis) ai destinatari di proposta con riferimento ai reati contro la pubblica amministrazione. Nella migliore delle ipotesi è inutile; più probabilmente è dannosa. Dico questo perché la fantasia dei magistrati, stimolata dai difensori, sicuramente la renderebbe tale.
  Fondamentali sono invece le previsioni in materia di tutela dei terzi, che sono secondo me correttamente e soddisfacentemente articolate dal testo della Commissione parlamentare antimafia. Si è già detto che bisogna poter pagare subito i creditori in buona fede. È evidente. La collega Saguto ha fatto riferimento all'Enel, ma si potrebbero fare molti altri esempi. Questo servirebbe a evitare, da un lato, che l'azienda sequestrata debba cambiare tutti i fornitori e, dall'altro, che i fornitori precedenti falliscano pur avendo tutte le ragioni di essere pagati. Questo – e grazie a Dio tante persone lavorano contro – andrebbe immediatamente additato all'opinione pubblica come un caso di antimafia che procura disoccupazione. Possiamo cercare di evitarlo.
  Piena di speranze per il futuro, più che fondamentale, a me pare la previsione del controllo giudiziario, che sarebbe il nuovo articolo 34-bis del codice antimafia previsto dall'articolo 22 del testo della Commissione parlamentare antimafia. È una misura molto articolata e abbastanza originale il cui scopo, che forse sarà meno frequente nelle regioni meridionali del Paese, ma potrebbe avere larga diffusione in quelle centro-settentrionali, è «salvare» quelle imprese che stanno correndo il rischio di infiltrazione e di inquinamento mafioso ma che possono essere salvate appunto perché, magari, sono inserite in un contesto che non è quello palermitano, reggino o casalese, per citare il peggio del peggio, anche se i casalesi sembrano ormai in difficoltà.
  Mi permetto di aggiungere, perché finora non mi pare di averlo sentito dire, che il controllo giudiziario ha un grosso potenziale vantaggio. Siccome è chiesto dall'interessato o azionato d'intesa con la società o l'impresa interessata, potrebbe, nella previsione che fa la Commissione antimafia, essere un'alternativa alle interdittive antimafia.
  Sulle interdittive bisogna prendere atto di un dato oggettivo. Lasciamo perdere se sia piacevole o spiacevole, giusto o sbagliato. Il fatto è che tantissime interdittive cadono davanti al TAR, creando una specie di circuito vizioso. Prima c’è l'affermazione che quell'impresa è sospetta, inquinata eccetera e dopo settimane, mesi o a volte giorni, secondo i tempi e le procedure del TAR – e dopo che è già esploso lo scandalo a livello di opinione pubblica e sono partite le misure di reazione, come la revoca dell'appalto e così via – il TAR revoca, annulla o sospende le interdittive e lo fa per la loro stessa natura. Se ci fossero le prove, avremmo verosimilmente delle misure cautelari. Se parliamo di interdittive, ci muoviamo in un campo molto più labile.
  Sotto questo profilo, affidiamo le speranze – lo sottolineo perché in questa materia non si sa mai come si evolvano le situazioni – a questa previsione del controllo giudiziario, che abbiamo articolato in sede di Commissione Fiandaca e che è stata poi ulteriormente affinata dalla Commissione parlamentare antimafia. Secondo me, uno dei vari aspetti positivi potrebbe essere il fatto di diminuire la tensione, che è frequentissima, tra provvedimenti di interdittiva adottati dai prefetti e annullamenti, revoche o sospensive da parte del TAR.
  È stato già detto sull'opportunità di estendere a confidenti e prestanome nel caso di un proposto già passato a miglior vita. È stato evidenziato l'aspetto positivo della disciplina dettagliata dell'incompetenza per territorio, prevista dalla proposta di legge Bindi, con la previsione anche di una durata temporanea del sequestro che sia stato annullato per incompetenza.Pag. 20
  Mi associo alla proposta di un testo ulteriore, fatta dal Presidente Muntoni, in materia di disciplina della competenza. Ne abbiamo parlato e quindi posso dire che siamo d'accordo. Con questa vecchissima giurisprudenza della Cassazione che ogni tanto torna nei vari provvedimenti, rischiamo di spaccare, nella materia che ci interessa, il Paese in due: tutte le misure di prevenzione da Napoli in giù e nulla da Napoli in su.
  Se si fa riferimento, come la Cassazione ogni tanto dice, alla sede presunta dell'associazione mafiosa – a parte il fatto che non abbiamo gli atti costitutivi di mafia, camorra e ’ndrangheta – e non al luogo in cui si articola la pericolosità del proposto, come ha detto il Presidente Muntoni, diventerà esplosiva la situazione per cui beni in tutta Italia, da Milano a Roma a Torino, dovranno essere sequestrati prima, confiscati poi e nel frattempo amministrati, per esempio, da Reggio Calabria.
  Sarebbe una follia del sistema, con conseguenze pratiche assolutamente negative e facilmente immaginabili e con una moltiplicazione delle spese perché si dovrebbe decidere di prendere amministratori milanesi per Milano, romani per Roma e così via.
  Si è parlato di una relazione anticipata e con questo io credo di avere delineato le cose di maggior rilievo che mi interessavano. Aggiungo soltanto, con tutta la cautela di non voler entrare nelle scelte più squisitamente politiche, il problema dei conflitti di interesse, ma non dico altro dopo quello che ha detto il relatore.
  Altro problema è quello della competenza dell'Agenzia, cioè se farla intervenire, come è oggi, dopo la confisca di primo grado o dopo la confisca definitiva. Forse la Presidente ricorderà, visto che siamo veterani entrambi, che proprio io nel 2010 proposi la soluzione attuale, così da contemperare le due esigenze, nella previsione, sempre ottimistica, che nel giro di un paio d'anni l'Agenzia sarebbe cresciuta quantitativamente e qualitativamente.
  Senza alcun desiderio di formulare critiche a nessuno, né ai governi né alle persone che hanno rappresentato l'Agenzia, questa previsione non si è realizzata. Credo che su questo siamo tutti d'accordo. Infatti, c’è persino la previsione dei diciotto mesi, una specie di termine di grazia, come forse si direbbe civilisticamente.
  Come ripeto, sono scelte squisitamente politiche, ma con un po’ di realismo, considerando che le condizioni economiche generali sono quelle che sono, è impensabile che vengano assunte duecento persone per l'Agenzia dei beni confiscati.
  Forse la previsione della Commissione parlamentare antimafia di fare intervenire l'Agenzia dopo la definizione della confisca, potenziando un ruolo consultivo e di interlocuzione scientifica, tecnica e organizzativa dei giudici, va seriamente presa in considerazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Procuratore Pignatone. Questa era, tra l'altro, la nostra idea all'epoca. Abbiamo battagliato per questo, poi si arrivò a quella mediazione, ma giustamente andava sperimentata.
  Do la parola a Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano.

  FRANCESCO MENDITTO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano. Buonasera a tutti. Ho ascoltato buona parte degli interventi precedenti e ovviamente c’è grande condivisione sulle linee di intervento. Io farò un flash di carattere generale e poi cercherò di andare nel dettaglio, nei limiti di tempo consentiti.
  Ho preparato una relazione scritta, con un cd allegato e i riferimenti a ogni singola norma nonché la proposta di integrazione dei vari testi. Abbiamo infatti un testo base che riguarda una parte della materia, un testo della Commissione antimafia molto più completo e articolato e un testo del Governo che attualmente è pendente al Senato e che non possiamo ignorare perché è sul tavolo.
  Per ogni articolo troverete quindi una finestra con una proposta di soluzione.

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  PRESIDENTE. La interrompo solo un attimo. Ho dimenticato di comunicare che il Ministro ha incaricato il suo ufficio legislativo di seguire la seduta di oggi attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

  FRANCESCO MENDITTO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano. Il punto di vista del Governo è importante. Negli articolati ho cercato di tenere conto anche delle proposte del testo che è presente al Senato, e che si occupa solo di alcuni aspetti, per dare un contributo concreto all'integrazione dei testi. I testi sono facilmente integrabili in molte parti e questo può semplificare di molto il lavoro.
  Devo anche dire che il lavoro della Commissione antimafia è ottimo. Ci tengo a dirlo e a sottolinearlo, anche se ora mi soffermerò su alcune questioni critiche per non ripetere che tutto il resto va benissimo. Tengo a dire che è un ottimo lavoro e che finalmente potremo avere una modifica organica del Codice antimafia. C’è da dire che anche altro sarebbe da modificare, ma non lo solleveremo perché non si può avere sempre tutto. Sarebbe impossibile.
  Vorrei fare una premessa di carattere generale. Il testo della Commissione antimafia si occupa principalmente della materia delle misure di prevenzione. Questo è un mio pallino. Le misure di prevenzione in materia di sequestri antimafia sono una metà del cielo. Un'altra metà del cielo è rappresentata dai sequestri ex articolo 12-sexies. Il procuratore Pignatone è un esperto di questo e quindi non devo aggiungere nulla. Le modifiche, quelle del testo base e quelle del testo del Governo, non a caso riguardano anche il 12-sexies e tutti i riferimenti relativi.
  È molto importante, in primo luogo, perché bisogna intervenire anche in questo settore e, in secondo luogo, perché molte materie sono accavallate e si integrano a vicenda. La tutela dei terzi deve essere disciplinata in un settore e nell'altro, altrimenti la Cassazione continuerà a dirci cose diverse e i poveri terzi non sapranno cosa fare, con i tribunali che brancolano nel buio e gli enormi effetti che si producono.
  Tra l'altro, dobbiamo tenere conto – lo voglio dire con estrema chiarezza – che, poiché le norme del Codice antimafia si applicano per l'amministrazione della destinazione anche ai sequestri del 12-sexies penali (non ce lo dobbiamo dimenticare), una cosa è il tribunale per le misure di prevenzione, con una sensibilità particolare e una specializzazione nell'amministrazione. Dico subito che è bene che i giudici della prevenzione amministrino per l'intera fase, fino alla confisca definitiva, modificando, quindi, la competenza dell'Agenzia nazionale. Condivido il testo della Commissione antimafia, ma questa era la nostra vecchia idea, come ha ricordato il procuratore Pignatone.
  Io sarei molto più cauto, e lascio quindi un punto interrogativo, in materia di 12-sexies, laddove i giudici penali, in genere i GIP, ossia i GIP distrettuali, che sono già specializzati, hanno meno sintonia con l'amministrazione. In quel contesto forse l'intervento – l'Agenzia nazionale oggi non è in grado di farlo – di un organismo un po’ prima della confisca definitiva consentirebbe di mettere in ordine dei sequestri che, ve l'assicuro, quando sono concomitanti con i sequestri di prevenzione, ci rendiamo conto che fanno acqua da molte parti. Vi prego di tener conto di questo secondo aspetto, altrimenti ci manca una metà del cielo, riprendendo una vecchia dizione.
  Tenete presente che mediamente il numero dipende dalle zone dell'Italia, ma che in alcune zone ci sono il 30 per cento di sequestri per 12-sexies e il 70 per cento per prevenzione, e viceversa. Parliamo di masse enormi di sequestri.
  Svolgo un'analisi veloce sul testo della Commissione antimafia. Sul testo in materia di aziende sono stato già audito. Andrò per flash.
  Sull'estensione ai corrotti non devo aggiungere nulla a quello che hanno detto i colleghi. Io ho scritto un articolo su questo per dire con chiarezza che si rischia, con questo testo, di creare confusione. Le Pag. 22esperienze su evasione fiscale, corruzione e bancarottieri siamo stati in grado di crearcele da soli, non abbiamo avuto bisogno di modifiche normative. Io chiamo questa la modernizzazione delle misure di prevenzione – ci tengo a dirlo – dal contrasto al disagio sociale al contrasto alla criminalità da profitto, con riferimento a evasione fiscale, corruttori e via elencando. Queste sono le misure di prevenzione che ci piacciono.
  Tuttavia, poiché io sento continuamente dire che si vogliono estendere le norme in materia di contrasto patrimoniale dei mafiosi ai corrotti, vi dico che la possibilità c’è e vi ho formulato un testo. Si tratta semplicemente di ampliare la pericolosità qualificata, come ha suggerito il consigliere Muntoni.
  Vi ho consegnato il testo. Basta riprodurlo. Si fa riferimento agli indiziati di alcuni delitti in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, non di tutti. Al di là di un'eccessiva abitualità, basterà un indizio e soprattutto non ci sarà la necessità della condanna. Questo significa estendere ai corrotti il contrasto patrimoniale dei mafiosi. Ovviamente, però, questa è una scelta politica e, quindi, non è rimessa a noi. Noi possiamo solo scrivere le norme che possono funzionare.
  Sul PM distrettuale io ho qualche perplessità. Questo è uno dei pochi punti su cui ho qualche perplessità. Prima di tutto sono sicuramente d'accordo con il potere di coordinamento del PM distrettuale o del PM circondariale, se rimarrà. Il testo della Commissione antimafia mi sembra, però, un po’ farraginoso e soprattutto pone a carico del Tribunale per le misure di prevenzione una serie di adempimenti.
  Io non credo che esso debba svolgere questi adempimenti e ho preparato un testo un po’ più coraggioso. Non so se avrà il consenso di altre parti che sono organi proponenti, ma prevede un potere di coordinamento, non di direzione, intenso in capo al procuratore distrettuale, al procuratore circondariale, che deve essere preventivo, precedente la presentazione della proposta. Questo mi sembra opportuno, anche perché il potere di proposta di questore e DIA ha un retaggio che non sto qui a dirvi, uno storico e l'altro del Commissario antimafia.
  Quanto all'ampliamento del potere di proposta del PM distrettuale, io starei attento, perché la Commissione antimafia propone di estendere al procuratore distrettuale il potere di proposta, che attualmente è solo del procuratore circondariale (i pericolosi «semplici», per intenderci).
  Io non aggraverei il ruolo del procuratore distrettuale, perché questo riguarderebbe anche le misure personali, che sono tantissime. Tra l'altro, vengono segnalazioni da Carabinieri e Guardia di finanza. Io eviterei questo aggravamento ed eviterei di avere troppi organi che concorrono. Lascerei l'attuale competenza del procuratore distrettuale, rivedendo eventualmente la norma sulla competenza.
  Il procuratore Pignatone ha detto tutto, ragion per cui non devo aggiungere nulla di più. Non è facile scrivere una norma, ma sono sicuro che l'abbiano scritta bene e, quindi, la posso sposare e aderirvi per tabulas direttamente.
  Passo alle sezioni specializzate del tribunale presso la sede distrettuale. È un po’ complicato immaginare, sotto il profilo della coerenza sistematica – anche di questo ci dobbiamo preoccupare – alcuni tribunali che non sono distrettuali, come Santa Maria e Trapani, che sicuramente necessitano di questo. Io sarei molto attento alla concentrazione nel tribunale specializzato distrettuale, anche perché bisognerebbe intervenire in materia di organici e andare un po’ a cambiare l'organizzazione della competenza.
  Si può fare qualcosa di molto più concreto e di molto più rapido. I procuratori distrettuali avanzeranno la proposta e poi la politica deciderà. Si potrebbe fare un po’ quello che avviene con il GIP in materia distrettuale, vale a dire creare la specializzazione e, quindi, la competenza del tribunale distrettuale con riferimento alle proposte di pericolosità qualificata.
  Traducendo, laddove la proposta è del procuratore distrettuale, è sempre competente il tribunale distrettuale, mentre oggi, se la proposta è del dottor Pignatone e Pag. 23riguarda Latina, interverrà poi il Tribunale di Latina. Concentriamo questo tipo di proposte tutte nel tribunale distrettuale. Mi sembra una buona soluzione.
  Io credo che le priorità sia bene scriverle, perché i nostri capi degli uffici hanno bisogno di indicazioni molto chiare e di risponderne anche al Consiglio superiore della magistratura.
  Mi permetto di sottolineare il pericolo della modifica dell'articolo 18, comma 3, in materia di applicazione disgiunta. È una materia molto tecnica. Ho scritto due pagine in merito. C’è una sentenza della Corte costituzionale che ci dice che attualmente la norma funziona benissimo. Per come è stata proposta la modifica, che è ambiziosa e corretta, essa è superata da questa sentenza della Corte costituzionale e rischia addirittura di restringere la platea delle persone proposte. Noi sappiamo che una delle materie in cui funzionano meglio le misure di prevenzione è l'applicazione nei confronti del morto – chiamiamola così – o di colui che è morto nei cinque anni dall'epoca precedente alla presentazione della proposta.
  Vi invito, quindi, a fare molta attenzione, perché rischiamo di avere un effetto boomerang, un po’ come per la lettera i). Comunque, vi ho messo le citazioni giurisprudenziali. Si tratta di una sentenza piuttosto chiara sul punto. Anche la giurisprudenza della Cassazione è in questo senso.
  Sulla competenza territoriale ci siamo detti tutto. Nel dettaglio posso riportarmi a quello che ho scritto nella relazione sotto il profilo del procedimento.
  Sul controllo giudiziario sono perfettamente d'accordo. La Commissione Fiandaca ha lavorato benissimo. Il professor Visconti e anche alcuni presenti hanno lavorato bene. Ci tengo a dirlo: la criminalità organizzata è molto duttile nel suo comportarsi. Gli articoli 34 e 34-bis, per come sono stati organizzati, danno un po’ di duttilità in più ai tribunali per le misure di prevenzione, ragion per cui questa proposta è assolutamente da sposare.
  Vado ora a toccare qualche altro punto, sempre velocemente, ancora per qualche minuto. In materia di amministrazione e destinazione si possono ben integrare i testi. L'ho già detto e, quindi, non devo andare oltre.
  Sulla competenza dell'Agenzia nazionale vi ho già detto che sono d'accordo a restringerla a quella successiva alla confisca definitiva.
  Pongo un punto interrogativo sui sequestri (12-sexies). Ripeto, riflettiamoci un attimo. Non sono io, ovviamente, che posso decidere, ma credo che, se ascoltassimo i giudici delle indagini preliminari, il 90 per cento di loro direbbe che vuole l'Agenzia nazionale da ora, ossia da quando è prevista, da dopo l'udienza preliminare.
  Non dimentichiamo che il lavoro della Commissione giustizia nasce dal disegno di legge d'iniziativa popolare n. 1138. Le associazioni hanno raccolto le firme e hanno presentato una proposta di legge.
  Io penso che le norme indicate in questa proposta di legge debbano avere un minimo di attenzione maggiore da parte della Commissione giustizia. Di qui i tavoli permanenti, sui quali anch'io ho qualche perplessità. C’è una forte richiesta da parte dell'associazionismo. Credo che sia difficile dire di no, salvo mettere dei paletti, perché ovviamente il tribunale per le misure di prevenzione passa le informazioni necessarie.
  Anche sulle aziende abbiamo detto tutto. Io sono d'accordo che solo una parte delle aziende si possa salvare. Di qui l'importanza del testo base e del testo della Commissione antimafia nel dare un rilievo fondamentale alla prima relazione, ossia alla relazione dell'amministratore giudiziario, e al famoso provvedimento ex articolo 41 del tribunale per le misure di prevenzione.
  Questo è il momento in cui c’è lo spartiacque: o si chiude o non si chiude. La nostra esperienza penso ci dica che non più del 50 per cento – mi scopro io, perché lo posso fare in questo momento – può essere salvato. Un accanimento terapeutico (traduco così espressioni dei colleghi che mi hanno preceduto) non è necessario e non fa bene. Se le aziende Pag. 24non si possono salvare, c’è il problema occupazionale, di cui si deve far carico lo Stato attraverso la riconversione del lavoro delle persone o con interventi di sostegno salariale. Questo non è, però, un problema di tenere in piedi aziende che non possono funzionare, altrimenti facciamo un cattivo lavoro alla lotta alla mafia.
  Passo alla tutela dei terzi. Vado sempre velocemente, perché – ripeto – c’è la relazione. Sulla tutela dei terzi va benissimo la proposta della Commissione antimafia. Ci sono dei piccoli dettagli, ma li ho proposti nella relazione scritta. Ci tengo a trattare due punti fondamentali.
  Bisogna estendere l'intervento anche alla legge 24 dicembre 2012, n. 228, che parla anche di tutela dei terzi, ma non disciplinata dal codice antimafia. Se ne occupa il testo base, fortunatamente, ragion per cui basta integrarlo con il testo della Commissione antimafia.
  Aggiungo, rispetto alla tutela dei terzi, che il codice antimafia fu previsto perché si voleva un unico testo in cui raccogliere tutte le norme. Oggi abbiamo già delle norme nella citata legge n. 228 del 2012. Se volete fare un buon lavoro, potete inserire quelle norme nel codice antimafia. Io vi ho fatto un progetto che risale alla Commissione Garofoli. Così finalmente in un unico testo continueremo a cercare le norme e non a orientarci diversamente.
  Alcune modifiche vanno apportate anche alla disciplina sulla tutela dei terzi prevista nella citata legge n. 228 del 2012. La dottoressa Tassone, che fa parte della Commissione antimafia, ha scritto un bellissimo articolo su questo punto. La tutela dei terzi va disciplinata anche per la confisca allargata per il 12-sexies. Abbiamo previsto tutto. È già previsto nel testo base e, quindi, questa è una disciplina, credo, piuttosto condivisa.
  Attualmente, ripeto, la Cassazione ci sta fornendo orientamenti diversi. Ho cercato di spiegarlo, ma nella relazione era un po’ complicato farlo. Vi assicuro che stanno impegnando i giudici penali, che sono, peraltro, quelli meno avvezzi a muoversi nell'ambito della tutela dei terzi.
  Per l'Agenzia nazionale ho detto tutto.
  All'articolo 12-sexies tengo tanto e vorrei spendere una parola a favore del Governo. Il testo base che è stato già approvato dalla Commissione riprende in buona parte il testo del Governo e contiene delle norme piuttosto importanti. Si riscrive il 12-sexies, si prevede la tutela dei terzi, come ho detto, e si introduce la confisca senza condanna, nei limitati casi consentiti in base alla Convenzione europea per i diritti dell'uomo (CEDU), il che consentirebbe di ampliare la portata delle confische.
  Sappiamo che oggi, se un reato viene dichiarato prescritto, anche dopo la condanna di primo grado e dopo la condanna di secondo grado, anche quando, in alcuni casi, abbiamo addirittura la certezza che i beni siano di provenienza illecita, si è costretti a restituirli in sede penale, salvo avere il tempo poi di proporre una richiesta di sequestro ai sensi dell'articolo 12-sexies.
  Ho esaurito il mio tempo. Vi faccio un ultimo invito, per favore fate presto. Peraltro, nella norma dell'articolo 12-sexies proposta dal testo base e da «L'altra metà del cielo» si combatte anche l'evasione fiscale. C’è una giurisprudenza molto intensa, direi dominante, oggi della Corte di cassazione per cui nell'articolo 12-sexies l'indagato può giustificare la legittima provenienza del bene con denaro provento di evasione fiscale. È una cosa che ci fa male anche dirla, ma che, ovviamente, è argomentata dalla Cassazione.
  Questa modifica normativa ci eviterebbe questa soluzione scandalosa, non giurisprudenzialmente, ma sotto il profilo dell'immagine che si lancia all'esterno. Ogni giorno che passa in cui voi non provvedete, alcuni beni vengono restituiti sulla base di queste interpretazioni. Se fate presto, quindi, fate un vantaggio a tutti. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ad Antonio Balsamo, Presidente della Corte di assise e della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta.

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  ANTONIO BALSAMO, Presidente della Corte di assise e della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale di Caltanissetta. Innanzitutto ringrazio la Commissione per aver organizzato questo incontro e questa opportunità di confronto tra il mondo della prassi e quello della legislazione. In effetti, tutto il diritto sulla criminalità organizzata in Italia ha avuto i suoi momenti migliori di costruzione quando si è riusciti a stabilire questo tipo di dialogo. Io penso che la Commissione, nel momento in cui si accinge a varare una riforma e ha sentito l'esigenza di prendere in considerazione la prospettazione della giurisprudenza, l'abbia fatto nella migliore tradizione del legislatore italiano.
  Per quanto riguarda la proposta della Commissione antimafia, mi ritrovo quasi completamente d'accordo. Ci sono soltanto alcuni piccoli aspetti, che riguardano innanzitutto l'estensione al fenomeno della corruzione.
  Hanno già spiegato i colleghi le ragioni per le quali non è prospettabile un'integrazione nel senso proposto dalla Commissione antimafia. Personalmente, però, non sono neppure dell'idea che il contenuto del disegno di legge governativo C. 2798 vada perfettamente bene sul piano del rispetto degli standard internazionali, perché il rapporto tra confisca penale e prescrizione è estremamente controverso. C’è stata una recente pronuncia della Corte costituzionale, ma la questione è stata rimessa pochi giorni fa alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo.
  La mia impressione è che la strada maestra sia quella indicata nel 2009 dal Gruppo di Stati contro la corruzione, che nel suo rapporto di valutazione sul sistema italiano aveva proposto l'introduzione di forme di confisca in rem sganciate dalla prescrizione.
  Se si vuole realmente estendere la misura patrimoniale anche al fenomeno della corruzione, senza che essa possa essere inficiata dalla prescrizione, a mio parere, la strada maestra è quella di inserire una tipizzazione di pericolosità qualificata avente a oggetto i più gravi reati contro la pubblica amministrazione.
  Per intenderci, si potrebbe prendere come punto di riferimento il catalogo di reati che è stato inserito nel disegno di legge governativo C. 2798 e creare una fattispecie di pericolosità qualificata che comprende esattamente questi reati. Automaticamente la misura patrimoniale diventerebbe insensibile alla prescrizione.
  Per quanto riguarda la problematica della garanzia dei soggetti coinvolti, io sono dell'idea che ormai si stia realizzando una piena giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione anche sotto il profilo del livello probatorio. Noi non abbiamo più una pena del sospetto, ma un procedimento di prevenzione che ha ormai garanzie non inferiori a quelle del processo penale.
  Pertanto, a mio parere, un'ulteriore fattispecie di pericolosità qualificata, che consentirebbe di applicare le misure patrimoniali prescindendo dal requisito dell'abitualità della condotta criminosa o del godimento dei profitti illeciti, potrebbe avere un suo spazio applicativo autonomo e innovativo. Comunque, è più conforme rispetto agli standard internazionali di quanto non sia la previsione contenuta nel disegno di legge C. 2798.
  Personalmente, poi sono dell'opinione che si potrebbe ristrutturare il rapporto tra repressione penale e controllo preventivo anche con riguardo al terrorismo. Adesso, irragionevolmente, il controllo preventivo è ai margini dell'intervento penale, nel senso che è l'unica fattispecie di pericolosità qualificata per la quale, invece di avere la stessa ipotesi, per intenderci quella della realizzazione di un dato tipo di reati, nel caso di specie di terrorismo, a presupposto sia del procedimento di prevenzione, sia del procedimento penale, esiste un procedimento di prevenzione, che resta, però, limitato agli atti preparatori e non può coinvolgere gli atti esecutivi.
  Una situazione del genere, del tutto anomala, risale a un vecchissimo assetto del processo di prevenzione, che restava Pag. 26limitato a quelle situazioni in cui non vi era un'autentica prova del fatto, ma vi era semplicemente una situazione intermedia tra il sospetto e l'indizio. A mio parere, bisogna, anche nel campo del terrorismo e del terrorismo internazionale, rendere il controllo preventivo una componente di un sistema integrato che si forma attraverso un duplice intervento, sulle persone e sul patrimonio.
  Peraltro, avendo anche nella mia attività della Corte d'assise conosciuto bene la situazione degli stranieri, sono convinto che il controllo preventivo sia fondamentale in questo settore, proprio per evitare i rischi di infiltrazione terroristica.
  Svolgo ora una serie di valutazioni tecniche su altre norme contenute in parte nel testo unificato, in parte nella proposta della Commissione antimafia, che, a mio parere, fra l'altro, se opportunamente integrate, possono rappresentare un'ottima occasione per farci compiere un salto di qualità.
  Noi abbiamo lamentato nel codice antimafia una non corrispondenza alle esigenze della prassi. Sia nel testo unificato che nasce dalla proposta Mattiello, sia nella proposta della Commissione antimafia io vedo, invece, un grandissimo influsso delle esigenze che nascono dalla giurisprudenza e dall'applicazione pratica.
  Una prima questione che, a mio parere, va esaminata è la specializzazione dell'organo giudicante. Va benissimo la proposta della Commissione antimafia, ma con una precisazione. Per come è formulata, sembrerebbe necessario che i componenti di questa sezione specializzata provengano o da esperienze dello stesso tipo, ossia prevenzionistiche, oppure da sezioni civili, fallimentari e societarie. Evidentemente si deve trattare di un criterio preferenziale. Io non vedo alcuna ragione per escludere chi proviene da un'esperienza penale dal far parte dei collegi di prevenzione.
  Sono anche dell'idea che la soluzione migliore sarebbe un'integrazione di competenze. Per intenderci, queste sezioni specializzate devono essere non soltanto focalizzate su questo aspetto, ma anche multidisciplinari. A me per primo verrebbe estremamente comodo avere tra i giudici a latere un esperto in materia societaria e fallimentare.
  Per quanto riguarda le potenzialità di questa riforma che si sta avviando con l'idea della specializzazione delle sezioni per le misure di prevenzione, io ho l'impressione che siamo di fronte a un punto di partenza più che a un punto di arrivo. Il passaggio successivo dovrebbe essere la costruzione di un ufficio del procedimento di prevenzione, che potrebbe avere una collocazione, con modalità diverse ma con la stessa ratio, sia negli organi requirenti, sia negli organi giudicanti, attraverso l'integrazione di competenze giuridiche ed extragiuridiche.
  Per intenderci, si possono studiare varie modalità, o di inserimento organico, o anche di collaborazione con altre istituzioni, per esempio universitarie. Tuttavia, di fronte ai nuovi compiti che il giudice delle misure patrimoniali ha sul piano del controllo effettivo e non soltanto nominalistico dell'amministrazione giudiziaria, tra cui l'approvazione del business plan e una serie di ulteriori attività che gli verrebbero attribuite dalla proposta della Commissione antimafia, io credo sia essenziale un background non soltanto come quello tradizionalmente proprio della magistratura.
  Occorre una competenza economica, di cui noi, per forza di cose, siamo sforniti. Ci sarebbe, invece, bisogno di figure di stabili collaboratori dell'amministrazione della giustizia, per intenderci non l'amministratore giudiziario nominato ad hoc, non il perito. Occorrerebbe una figura che sia in grado di assicurare quell'apporto di competenza che, per forza di cose, il giudice non può avere, per ragioni formative.
  A ciò si dovrebbe accompagnare la costruzione di percorsi formativi individualizzati per i giudici della prevenzione. Parlo in particolare per i distretti piccoli, dove c’è l'uditore – adesso il magistrato ordinario in tirocinio (MOT) – che arriva come primo incarico a svolgere queste delicatissime funzioni.
  Noi non possiamo accontentarci di una formazione generica di qualche giorno Pag. 27dedicata a questa materia. Io credo che uno dei compiti che dovrebbe svolgere la scuola della magistratura, che probabilmente sarebbe opportuno attribuirle anche in sede legislativa o comunque attraverso attività di impulso da parte del CSM, sia quello di costruire una formazione in questa materia che potrebbe essere aperta al dialogo con altre esperienze internazionali. Molti altri sistemi giuridici sentono il bisogno di prendere il nostro come punto di confronto e di riferimento.
  Un'altra tematica riguarda la competenza territoriale. Condivido quanto hanno detto Guglielmo Muntoni e Giuseppe Pignatone. C’è un problema, che è una vera e propria mina vagante, perché la competenza territoriale, per come è configurata dalla giurisprudenza, potrebbe benissimo determinare la nullità del provvedimento, anche se dedotta in Cassazione. Bisogna trovare un criterio certo di attribuzione della competenza sin dall'inizio del procedimento.
  Oltre alla questione di cui parlavano i colleghi, io mi permetto di segnalarne un'altra, che avrebbe a sua volta bisogno di un'apposita regolazione. Si tratta del proposto che si trova a collaborare con una pluralità di organizzazioni criminali, un fenomeno che si sta verificando frequentemente, specialmente in campi come quello del gioco d'azzardo. Anche su questo tema dovremmo trovare un criterio univoco di indicazione della competenza che sin dall'inizio del procedimento renda certa l'individuazione dell'organo giudicante.
  Una questione che a me sta molto a cuore è quella del procedimento applicativo. Abbiamo bisogno di riempire di contenuti una disciplina estremamente lacunosa, che è nata, in buona sostanza, quando le misure di prevenzione erano un vero e proprio diritto di polizia. Il tribunale faceva un controllo meramente formale e non c'era alcuna istruttoria.
  Adesso l'istruttoria del procedimento di prevenzione c’è ed è estremamente articolata, e spesso è particolarmente garantistica. Almeno le esperienze che io considero migliori, come quelle del distretto di Palermo e di altri, vanno proprio nel senso di coniugare efficienza e garanzia.
  A mio parere, questa evoluzione del diritto vivente andrebbe cristallizzata a livello normativo perché rappresenta una grande guida per l'operatore. Stiamo attenti al fatto che l'operatore può essere anche il giudice di un distretto dove non si sono mai applicate misure di prevenzione e che, quindi, può aver bisogno di avere una precisa indicazione legislativa sul modo in cui si sviluppa il procedimento.
  Inoltre, questo sarebbe un ottimo biglietto da visita sul piano internazionale e farebbe comprendere che il nostro non è per nulla un sistema di carattere autoritario, ma anzi è pienamente in linea con gli standard europei di tutela dei diritti fondamentali.
  Se, come d'altra parte è anche nella proposta e negli emendamenti presentanti dall'onorevole Bindi al testo unificato, si intende inserire anche una disciplina del procedimento di prevenzione, io mi permetto di segnalare due aspetti che andrebbero focalizzati.
  Il primo è eliminare il termine di 30 giorni inserito all'inizio dell'emendamento Bindi, che non è coordinato con la successiva previsione. Il termine di 30 giorni, infatti, si riferisce alla definizione del procedimento, ma chiaramente non è coordinato con la successiva previsione di un termine più ampio per il deposito del decreto conclusivo. A mio parere, basterebbe inserire un semplice termine dilatorio, o anche ordinatorio, massimo, per esempio di 60 giorni, tra il momento di presentazione della proposta e il momento di celebrazione dell'udienza, nonché un autonomo termine per il deposito del provvedimento, un po’ come era stato fatto nella proposta della Commissione Fiandaca.
  Per quanto riguarda la vocatio in iudicium, invece di inserire la concisa esposizione dei motivi su cui si fonda la proposta, il che può dare luogo a grossi problemi anche sul piano dell'imparzialità del giudice – affermare che ho sintetizzato una proposta rilevando io stesso quali Pag. 28sono i motivi fondamentali, a mio parere, è già una sorta di anticipazione in sede di giudizio – sarebbe opportuno che venisse notificata la stessa proposta unitamente all'avviso di udienza.
  Vanno benissimo le disposizioni riguardanti la videoconferenza, che dovrebbero essere espressamente estese anche all'esame degli imputati di reato connesso, che attualmente sembrerebbero sfuggire a questa possibilità.
  Occorrerebbe poi aggiungere una definizione delle conseguenze della mancata citazione del proposto e dei terzi, che non possono essere le stesse. Per il proposto si può parlare di nullità assoluta, mentre per i terzi non si può andare certamente oltre l'inefficacia. Dato che attualmente la disciplina legislativa sembrerebbe equiparare, o comunque non disciplinare compiutamente, le conseguenze della mancata vocatio in iudicium, io credo sia importante una chiarificazione in sede di riforma.
  Come ultimo aspetto, mi permetto di segnalare l'esigenza di esplicitare che la perizia non possa essere soggetta ai limiti temporali del codice di procedura penale. Attualmente ci troviamo in una situazione di incertezza del diritto. Pensare che un accertamento tecnico complicatissimo, che deve ricostruire sviluppi patrimoniali e societari che si sono snodati per decenni, possa essere compiuto entro sei mesi è assolutamente irrealistico. A mio parere, noi abbiamo bisogno di un'esplicita evidenziazione della peculiarità del procedimento di prevenzione anche sotto questo aspetto.
  Ci sono altri due temi che mi permetto di segnalare brevissimamente. Dato che attualmente la misura di prevenzione personale può rivelarsi eccessivamente afflittiva sul piano del rispetto dei diritti fondamentali – penso, per esempio, alla possibilità per il sorvegliato speciale di recarsi nello studio del difensore situato in un altro comune, situazione frequentissima e attualmente controversa nella giurisprudenza di legittimità, la quale, anzi, sembra orientata negativamente – a mio parere, un pieno rispetto delle indicazioni provenienti dalla Corte costituzionale passa attraverso una rimodulazione delle autorizzazioni da dare al sorvegliato speciale, in modo da renderle pienamente coerenti con il rispetto dei diritti fondamentali.
  A questo punto, rinvio alla memoria che lascerò, con una sola precisazione, ma fondamentale. Noi abbiamo un grande problema di raccordo tra la fase giurisdizionale e il lavoro dell'Agenzia dei beni confiscati. È un problema di carattere ordinamentale, che prescinde dalla buona volontà dei soggetti coinvolti, anzi abbiamo avuto una grandissima attitudine al dialogo da parte dell'attuale direttore dell'Agenzia.
  Io sono fermamente convinto che il ruolo naturale dell'Agenzia sia quello della destinazione dei beni confiscati e che in questo momento noi non possiamo più avere questa scissione dell'amministrazione in due fasi, perché ciò rischia di privare di progettualità un'amministrazione giudiziaria che, invece, proprio in questo momento storico, sta rappresentando un ottimo fattore di speranza. Noi abbiamo beni che possono rappresentare un elemento di ricostruzione dell'economia di interi territori. Se rendiamo l'amministrazione giudiziaria capace di fare dei progetti a lungo termine, credo che questo sistema possa diventare un collante tra la giustizia e la società.
  Per tutto il resto rinvio alla memoria scritta, ringraziando ancora la Commissione.

  PRESIDENTE. Acquisiamo anche la nota del Presidente Balsamo.
  Do la parola a Giovanbattista Tona che, essendo membro del gruppo che ha elaborato il testo per la Commissione antimafia, ci potrà spiegare qual è stato il filo conduttore, anche alla luce del testo unificato. Vorremmo capire i punti cruciali in cui ci si discosta, oppure dove si integra tale testo, premesso che l'integrazione c’è, perché ovviamente la materia è più ampia.

  GIOVANBATTISTA TONA, Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione Pag. 29parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Grazie, Presidente di questa opportunità di offrire uno spaccato di questo lavoro nella sede nella quale si deve decidere se tradurlo in un testo di legge.
  Io vorrei cogliere questa occasione per attribuire un immediato significato al lavoro che è stato svolto dalla Commissione antimafia, partendo da un dato fondamentale. Su esplicito mandato della Commissione noi abbiamo esaminato e studiato segnatamente i testi che erano già stati depositati presso i due rami del Parlamento, quello di iniziativa popolare e quelli elaborati dalle Commissioni, e ne abbiamo valutato i contenuti di carattere tecnico e le istanze politiche che erano alle loro spalle e che li muovevano.
  Perché non abbiamo copiato i testi che c'erano già ? Avremmo potuto fare questo, e in parte l'abbiamo fatto. Abbiamo preso parte di questi testi e l'abbiamo utilizzata. Non c’è in questa scelta l'idea che noi siamo in grado di fare meglio. Non c’è l'idea di una competizione rispetto a un testo. C’è, invece, un'idea che nasce da un dato di esperienza.
  Noi sentiamo spesso dire – in sede politica lo si dice spesso, come auspicio da perseguire, ma ancora non raggiunto – che il sequestro dei beni e la loro destinazione deve costituire motivo di benessere per tutti. Nella materia della gestione e della destinazione dei beni le criticità vengono valutate da ciascuno in relazione al malessere che ciò comporta per ciascuna categoria sociale. Finora noi abbiamo visto nascere elaborazioni, orizzonti di elaborazione e soluzioni tecniche che tenevano conto del malessere parziale che ciascuna categoria sociale ha ritenuto di dover sopportare in ragione del sequestro o della confisca.
  Peraltro – non consideratela una critica; io penso che la si possa considerare come constatazione – molto spesso in sede politica, per varie ragioni, anche in buona fede, si è fatta una mera opera di registrazione e traduzione nel dibattito pubblico di questo segnalato malessere, senza però fare un adeguato filtro delle ragioni di questo malessere, per capire da cosa dipendesse.
  C'era una leggenda persiana che raccontava dell'elefante che entrava nel paese dei ciechi. I ciechi stavano ad aspettare l'elefante per poter capire come fosse fatto questo animale. Passavano poi anni a litigare perché ognuno riteneva che ciò che aveva toccato fosse l'elefante. Chi aveva toccato la coda diceva che era un animale piccolo, chi aveva toccato le orecchie diceva che si trattava di un animale piatto, chi aveva toccato la pancia diceva che era un animale grosso. Nella materia delle misure di prevenzione, che tuttora è molto più dibattuta che conosciuta, il rischio è quello di trovare delle soluzioni come quelle dei ciechi nel paese della leggenda persiana.
  Lo sforzo che la Commissione ha cercato di fare, e che ha fatto perseguendo un risultato votato all'unanimità, è stato quello di farsi carico di tutti questi malesseri, sceverarli e filtrarli, perché non è detto che tutte le cose che si sostiene vadano male attorno alla gestione dei beni in sequestro dipendano dai beni in sequestro. Questo è stato già detto.
  Diciamo anche con una certa franchezza – lo dico io qui, in sede pubblica, visto che poi queste cose rimangono registrate – che molto spesso nelle nostre realtà noi riscontriamo un'aspettativa nei confronti dello Stato che sequestra e dell'amministratore giudiziario che non è mai stata riposta nel titolare dell'impresa precedente. È come se tutte le situazioni che non andavano bene prima e che si tolleravano, non appena arriva lo Stato non si possano tollerare più. Pertanto, alla fine, se uno non è stato pagato per anni, quando non lo paga l'amministratore giudiziario, scrive l'articolo sul giornale e trova gente che gli dà conto.
  Ecco perché la tutela dei terzi è l'elemento fondamentale della riforma. Un testo che non parta da questo aspetto è un testo che non tiene conto della complessità della realtà di impresa. L'impresa non è Pag. 30un oggetto, è una rete di relazioni. Le reti di relazioni che stanno attorno all'impresa sono quelle dei lavoratori.
  Certamente il lavoro dipendente va preso in considerazione. Noi l'abbiamo preso in considerazione. Tuttavia, non possiamo dimenticarci che oggi la maggior parte delle persone che trovano di che vivere dalla relazione con un'impresa che può essere sequestrata non sono lavoratori dipendenti. Sono piccoli fornitori, piccoli artigiani, gente che ha dei contratti che non sono classificabili con quelli che noi tuteliamo attraverso la tutela del rapporto di lavoro.
  Qual è lo snodo centrale della lotta alla mafia oggi ? È la tutela dei terzi. Questa cosa la dobbiamo dire. Proprio perché noi siamo in questa sede, e io sono contento che di queste cose che diciamo poi resterà traccia, il collega Menditto vi ha invitato a tenere conto di un problema, quello dell'urgenza. Io mi permetto di invitarvi a tenere conto di un altro problema, ossia della responsabilità storica che nel dibattito su questi testi la politica oggi ha.
  Noi non possiamo dire che non sappiamo quello che è successo e, poiché non possiamo dire di non saperlo, io lo voglio dire: noi sappiamo quello che è successo. Sappiamo che non c'era legislazione in materia di misure di prevenzione e che c'era bisogno di una legislazione. È stato fatto il codice antimafia. Abbiamo una serie di norme articolate e complesse. Il codice antimafia avrebbe dovuto disciplinare tutto e, invece, brancoliamo nel buio. Abbiamo moltissime di norme, ma non riusciamo a trovare le regole, perché le norme non basta approvarle. Bisogna anche dare loro le gambe per camminare.
  Non possiamo, quindi, fare finta di non sapere questo. Non possiamo fare finta che, per fare presto, dobbiamo comunque fare una norma, perché tanto poi le soluzioni verranno. Abbiamo visto che questo non succede. Abbiamo visto che ci ritroviamo qui, dopo qualche anno, a dire che è stato un disastro e che era meglio prima, quando non c'erano regole. L'avete sentito dire, penso. Nelle audizioni della Commissione antimafia i magistrati l'hanno detto ripetutamente: era più semplice quando non c'erano regole.
  Abbiamo visto anche quello che è successo quando in passato abbiamo fatto delle cose buone. La legge di iniziativa popolare l'abbiamo già sperimentata, ed è stata una cosa ottima. Quando è stata approvata – fu Libera che, in quel caso, si fece carico di questa iniziativa – la legge che regolamentava la destinazione, si fece una legge e la si fece in fretta. C'era la voglia di dare soddisfazione al popolo, che, con una sua iniziativa, aveva impresso una direzione. La politica e i tecnici, però, devono dare un vestito alla direzione, altrimenti succede quello che è già successo, ossia che avevamo la legge, ma non le regole.
  Pertanto, abbiamo dovuto vedere nascere alti commissariati e sorgere problemi per l'Agenzia del demanio. L'istituzione dell'Agenzia è stata proposta come soluzione ai problemi che derivavano dal fatto che avevamo la direzione, ma non gli strumenti per raggiungere la direzione.
  Questo è l'orizzonte di senso nel quale si inserisce il lavoro della proposta di legge Bindi. Poi ci sono le soluzioni tecniche, sulle quali io potrei dire tante cose. Sicuramente lo farà meglio di me e certamente molto più ampiamente di me la collega Merola domani, in relazione alle singole scelte tecniche, che sono tutte migliorabili.
  Il problema è che noi dobbiamo guardare al complesso delle istanze che ruotano attorno al mondo dell'impresa sequestrata e dell'impresa da destinare, del bene da sequestrare e del bene da destinare, per trovare delle soluzioni che abbiano carattere, al contempo, flessibile, tale da non stringere in viluppi soffocanti amministratori giudiziari e giudici. Molto spesso noi abbiamo la percezione che l'idea della garanzia sia collegata alla limitazione dei poteri del giudice e dell'amministratore giudiziario. Limitando i poteri del giudice e dell'amministratore giudiziario, il codice antimafia ha fatto morire di fame i terzi creditori, che non possono essere pagati. Il giudice che oggi paga un creditore piuttosto che un altro rischia, infatti, di essere Pag. 31citato per responsabilità civile, perché ha fatto una scelta che non è detto la legge gli consentisse.
  Svolgo un ultimo accenno a «L'altra metà del cielo», di cui io faccio parte. Io ho alle mie spalle dieci anni di esperienza come GIP distrettuale. Peraltro, come GIP distrettuale, mi sono trovato a gestire in sequestro una SpA che aveva, al 31 dicembre 2007, 430 milioni di ricavi stimati. Questa impresa era una multinazionale che noi abbiamo sequestrato e amministrato e che abbiamo restituito, dopo il risanamento e la condanna dei responsabili per frodi in forniture di cemento, un argomento, purtroppo, ancora molto attuale.
  Ebbene, in questa esperienza io vi posso dire che è vero quello che si diceva: occorre tenere conto di quello che i GIP si attendono. I GIP probabilmente si attendono di non dovere fare il lavoro faticoso della gestione in amministrazione giudiziaria. Piacerebbe loro avere l'Agenzia. Tuttavia, i GIP, quelli come me, quelli che conosco io, sono persone pratiche, che hanno il senso delle cose. Poiché l'Agenzia non c’è, e non c’è un'altra persona o un altro ente, i GIP sanno bene che, alla fine, la soluzione sarebbe quella di mandare al macero i beni. Si tengono, quindi, sicuramente con poco entusiasmo, la gestione.
  Nella proposta di legge Bindi la soluzione è affidata a una norma che sicuramente potrà essere considerata insufficiente, ma che ha il pregio di essere chiara. Mi riferisco all'articolo 30-bis del codice antimafia, introdotto dall'articolo 19 della proposta di legge Bindi, che stabilisce che in tutti i procedimenti penali ordinari nei quali viene disposto il sequestro si applichino le norme previste dal Codice antimafia, ivi comprese quelle relative alla tutela dei terzi. In merito certamente il collega Balsamo ha detto bene, quando ha invitato noi giudici a farci promotori di attività di formazione e di confronto. Il legislatore, però, una volta tanto, faccia una norma contro i magistrati. Se i GIP non la vogliono, fate almeno questa contro i magistrati, così li facciamo lavorare e siete tutti contenti.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto. Io ho chiuso anche questa seconda parte, che si integrava con la prima. Non so se il relatore intenda fare qualche domanda, oppure se passiamo alla terza tornata.

  DAVIDE MATTIELLO, Relatore. Domande ancora non ne ho ma, se mi permette, Presidente, vorrei spendere un minuto, come prima, nel ringraziare per questi contributi, per sottolineare un fatto. Essendo io membro sia della Commissione giustizia, sia della Commissione antimafia, vorrei rassicurare, sperando che la storia non ci smentisca, il dottor Tona rispetto all'assunzione di responsabilità sulla complessità di questa materia.
  Prova ne dovrebbe essere – lo dico io sollevando dall'imbarazzo la Presidente – l’iter cronologico che abbiamo fin qui seguito. Il testo iniziale di iniziativa popolare, che ha una sua propria specifica e grande legittimazione, a cui sono stati abbinati fin dall'inizio i testi Garavini e Gadda, è dell'inizio della legislatura. È del 2013. Se non ci fosse stata da parte della Commissione giustizia, che è la Commissione permanente e che ha la responsabilità di entrare nel merito del processo legislativo, la consapevolezza sulla complessità della materia e sul bisogno di attendere il maggior numero qualificato di contributi, come poi è successo attendendo, come il dottor Tona spiegava bene, il contributo della Commissione parlamentare antimafia, l’iter sarebbe stato differente.
  I tempi sarebbero stati differenti. Avremmo proceduto in Commissione giustizia e, invece, abbiamo aspettato. Abbiamo fissato un primo termine per presentare gli emendamenti e poi ne abbiamo fissato un secondo. Poi abbiamo abbinato i testi.
  Io credo che – e con questo mi taccio, ringraziando ancora – almeno fino a qui abbiamo dato prova di assumerci, quanto meno nelle intenzioni e nel comportamento, la complessità di questa materia e la responsabilità di prendere delle decisioni Pag. 32che abbiano poi anche le gambe per camminare e non soltanto che fissino delle buone intenzioni.
  Anche da questo punto di vista, Presidente, è importante la parola dei rappresentanti del Governo, perché in questa complessità noi abbiamo proprio bisogno di capire, tra le altre cose, come possiamo procedere in questo ramo del Parlamento su questa materia.

  PRESIDENTE. Ringrazio il relatore che ha dato un po’ contezza di questo nostro iter.
  Ci sono la consapevolezza e l'esigenza da parte della Commissione giustizia, come testimonia l'aver dedicato una seduta specifica a questi approfondimenti, di un ampliamento del tema, una volta che sia stata elaborata una proposta in questo senso da parte della Commissione antimafia.
  Alla fine di questo percorso di approfondimento ci sarà un adeguato momento di interlocuzione con il rappresentante del Governo e della giustizia, in primo luogo. Questo è il percorso che ci siamo dati. Alcuni nodi sicuramente dovranno essere sciolti dal Governo, soprattutto per quanto attiene alla configurazione dell'Agenzia.
  Per il resto, per quanto attiene invece alle procedure, ossia alla revisione del procedimento di prevenzione, terremo conto del lavoro che è stato fatto, perché è stato un lavoro in progress, nonché del disegno del Governo, che è stato presentato al Senato, ma che riguarda in alcune parti anche noi. Attualmente credo che qui ci sia una visione più ampia della problematica.
  Passiamo ora all'Associazione bancaria italiana (ABI), che ha chiesto di essere sentita, così come l'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e l'Istituto nazionale amministratori giudiziari (INAG). Si tratta di audizioni a cui noi abbiamo dato spazio in relazione alle richieste che ci sono arrivate dagli stessi auditi. Vediamo anche quali problematiche ci portano. Parlerà un rappresentante per gruppo.
  Per l'ABI sono presenti Laura Zaccaria, responsabile della Direzione norme e tributi, Giovanni Staiano, responsabile dell'Ufficio affari legali, e Maria Carla Gallotti, dell'Ufficio relazioni istituzionali.
  Do la parola a Laura Zaccaria, responsabile della Direzione norme e tributi dell'ABI. Voi avete chiesto di essere sentiti in relazione al testo unificato, ma soprattutto – credo – in relazione alla proposta Bindi della Commissione antimafia.

  LAURA ZACCARIA, Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI). Innanzitutto vi porto un vivo ringraziamento a nome del Presidente, ma anche a nome mio personale, per questa opportunità che ci viene concessa.
  Lei diceva che probabilmente vogliamo parlarvi della proposta di legge Bindi. Noi, in verità, sul tema della legalità a 360 gradi siamo molto impegnati in generale e, quindi, seguiamo un po’ tutte le normative che in questo periodo si stanno maggiormente muovendo. Quello della legalità è un tema fondamentale per l'erogazione del credito e per il recupero di una società che sia più equa e più attenta anche a tutti i fenomeni che la percorrono in questo momento.
  Per quanto riguarda i contributi alla legalità, mi limito a ricordare i due protocolli che noi abbiamo sottoscritto, il protocollo con il Tribunale di Milano nel 2012 e quello con il Tribunale di Roma nel 2014, che sono volti proprio a porre in essere una serie di attività a supporto della giustizia per consentire una maggiore efficienza alla giustizia stessa.
  Si tratta, in particolare, di porre in essere quelle attività che consentano di fare una migliore gestione dei beni sequestrati alla mafia, partendo da un presupposto che noi vorremmo fosse sempre ricordato, ossia che, fatte salve le ipotesi, che ovviamente possono accadere in qualunque settore, di mele marce, in linea di massima la banca è un soggetto che opera rispettando tutte le normative di legge che esistono. In linea di massima, quindi, le operazioni di finanziamento che vengono Pag. 33concesse sono operazioni di finanziamento rispetto alle quali sono state osservate tutte le regole del gioco.
  I protocolli hanno come primaria finalità quella di sensibilizzare le banche all'adesione e, quindi, a una migliore collaborazione con i vari presìdi di giustizia che hanno bisogno dell'aiuto dell'intermediario. In particolare, per quanto riguarda Roma, è stata fatta un'operazione che, secondo il Presidente del tribunale, e anche secondo noi, è stata molto importante. Si è trattato di individuare per ogni banca il funzionario di riferimento. Questo fa sì che il tribunale si possa rivolgere a un soggetto specifico, non a caso.
  Voi sapete bene quanto può essere grande una banca. Ci sono strutture che, ovviamente, sono al di fuori di ogni controllo quanto a grandezza. Pertanto, sapere esattamente subito qual è la persona di riferimento a cui rivolgersi per poter porre in essere le pratiche che servono a velocizzare la gestione del bene, benché sequestrato, è sicuramente importantissimo.
  A questa iniziativa dei protocolli noi teniamo molto e tendiamo a proporla a tutte le Istituzioni, tant’è che abbiamo fatto un tentativo anche con l'Agenzia antimafia, ma anche e soprattutto con il Consiglio superiore della magistratura. Noi pensiamo che si possa creare un protocollo nazionale che detti delle regole valevoli su tutto il territorio. Questo perché la giustizia ha uguali esigenze indipendentemente dal luogo in cui il fenomeno si produce.
  Dobbiamo tenere presente che esiste uno studio della Banca d'Italia che, avendo preso un campione di riferimento di aziende sequestrate, ha potuto rilevare che, in realtà, durante la fase del sequestro, non vengono meno i supporti da parte delle banche.
  Ovviamente, questo deve sempre tener conto delle esigenze di prudenza che sono necessarie per la normativa dei requisiti prudenziali che viene imposta alle banche. Da questo punto di vista diciamo che gli ultimi avvenimenti – mi riferisco in particolare alle nuove regole di Basilea e alle nuove regole di determinazione dei crediti sofferenti che si stanno maturando a livello di riforma di princìpi contabili internazionali – non sono generose per le imprese italiane.
  Ovviamente, noi stiamo cercando di far presente alle Istituzioni europee e anche a quelle internazionali come il tema sia delicato e come si debba fare riferimento alle singole realtà dei Paesi, non potendo generalizzare delle regole che poi, in automatico, facciano scattare sofferenze obbligatorie o tagli delle linee di credito.
  Per quanto riguarda in particolare l'Agenzia antimafia, noi abbiamo anche proposto di collaborare alla scrittura di linee operative generali che possano essere di supporto per tutti i territori nazionali. Il quadro normativo, devo dire, però, non ci aiuta, né per quanto riguarda le regole prudenziali cui facevo prima riferimento, né perché, in realtà, c’è una tendenza generale a sacrificare i diritti dei creditori.
  Questa tendenza, che, come vedremo più avanti, prevede addirittura un'inversione dell'onere della prova, a noi sembra davvero poco utile, perché, lungi dall'ottenere l'effetto desiderato, finisce anche per screditare le regole italiane rispetto a investitori stranieri. Su questo punto noi pensiamo che, più che andare a creare meccanismi che sviliscono i diritti del creditore, sia opportuno lavorare, eventualmente insieme, per migliorare la gestione dei beni sequestrati.
  Riteniamo che sia necessaria una migliore gestione e che sia necessario assicurare la prosecuzione dell'attività tipica dell'impresa. Bisogna mantenere la possibilità di favorire le condizioni di accesso al credito da parte delle imprese anche quando esse siano coinvolte in procedimenti di prevenzione. È necessario un sistema di garanzie per il creditore ed è necessario, secondo noi, evitare di comprimere ulteriormente i diritti.
  In realtà, ripeto, nei diversi atti Camera che sono in discussione non sempre questo è sufficientemente chiarito o garantito. Pertanto, le modifiche che noi auspichiamo possano essere apportate sono Pag. 34quelle di mantenere una pari dignità ai creditori e il rispetto del principio di buona fede da parte loro.
  Noi chiediamo certamente che venga creato il Fondo di garanzia per il credito e gli investimenti, anzi, questa era una delle proposte che noi stessi avevamo portato avanti quando abbiamo avuto gli incontri con l'Agenzia antimafia. Tuttavia, ci sembra molto singolare che il finanziamento di questo Fondo di garanzia debba essere per la maggior parte a carico degli intermediari, quando poi gli effetti benefici, invece, sono, in prima battuta, per il Paese, ma, più in generale, io direi, per la collettività, per la stabilità del lavoro e via discorrendo.
  Dicevo che deve essere mantenuto il principio di buona fede del creditore e da questo punto di vista probabilmente si potrebbe anche fare qualcosa di più. Sapete che da un paio d'anni è stato istituito il rating di legalità, il famoso bollino blu che vede per certe imprese il riconoscimento da parte del Garante della concorrenza dell'assoluto rispetto della legalità.
  Si potrebbe presumere che di fronte a queste imprese i finanziamenti ad esse concesse siano sicuramente finanziamenti nei quali il rispetto della buona fede e della legalità vi è stato tutto, e quindi si potrebbe superare quelle prove che invece devono essere fornite in tutti gli altri casi.
  Per quanto riguarda le domande di ammissione al credito, il meccanismo attuale è poco tutelante, perché immagina questa pubblicazione della comunicazione nel sito e poi tutti alla ricerca di quali siano le aziende sequestrate. A noi sembra che questo meccanismo francamente non lasci abbastanza tutelati i creditori e riteniamo che debba essere costituito un elenco, un posto pubblico dove andare a vedere tutti i beni sequestrati, ma resta sempre fermo che al creditore che vanti un diritto rispetto a queste aziende debba comunque essere effettuata una comunicazione.
  Una maggiore garanzia sembra assolutamente necessaria anche per tutti quei procedimenti per i quali la legge di stabilità ha sostituito la notifica con una mera comunicazione.
  Oltre all'Albo dei beni confiscati, pensiamo che ci debba essere anche una maggiore efficienza per le aziende anche attraverso la figura dell'amministratore giudiziario, il quale deve essere inserito in un apposito Albo, avere professionalità sue proprie che non possono essere quelle di un giurista, ma devono essere quelle di un manager d'azienda, e la sua attività deve essere remunerata in modo adeguato alla delicatezza e all'importanza dell'attività svolta, e non con cose improvvisate e somme insufficienti.
  Per quanto riguarda i tavoli provinciali che vengono costituiti per la gestione di queste aziende sequestrate, secondo noi la normativa è mancante nella parte in cui non ammette al tavolo anche l'intermediario finanziario che è maggiormente esposto nei confronti dell'azienda sequestrata. Sarebbe invece assai più utile per tutti una maggiore presenza, un maggior coinvolgimento nella gestione dell'attività.
  Ho cercato di essere molto veloce, ovviamente c’è una memoria agli atti che è più lunga, quindi mi fermerei e, se non ci sono domande, rinvio al testo scritto.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Come avevamo già detto, questo provvedimento parte con relatore l'onorevole Mattiello come legge di iniziativa popolare, poi si abbina anche la proposta della Commissione antimafia e quindi i relatori sono due ed è presente anche l'onorevole Fava, vicepresidente della Commissione antimafia.
  È presente anche il consigliere Tona, consulente della Commissione antimafia, che ha redatto il progetto alla luce del lavoro di approfondimento. Vorrei cogliere il segno più rilevante, fermo restando che gli altri aspetti mi sembrano più temperabili e comunque quella parte che attiene al protocollo era stata valorizzata anche dal Presidente Muntoni del Tribunale di Roma: c’è un punto critico che attiene alla questione dell'onere della prova della buona fede.Pag. 35
  Questo è un punto critico che viene da voi evidenziato e che invece fa parte di entrambe le proposte. Voi parlate di un'inversione dell'onere probatorio, quindi non so se il consigliere Tona voglia specificare qual è stata la linea, perché tra l'altro l'aspetto inerente alla tutela dei terzi e quindi anche alle modalità di gestione è stato oggetto di meditazione da parte della Commissione antimafia.
  Qui l'ABI ritiene che le due proposte, sia l'A.C. 2737 sia l'A.C. 1138, prevedano modifiche all'articolo 52 del codice antimafia, e voi la vedete come un'ipotesi che va anche a incidere sull'attività economica a discapito dei creditori.
  Dobbiamo però tenere presente che si tratta di crediti concessi a imprese per cui ci sarà un sequestro, quindi in odore di mafia. Questo punto nell'ambito della legalità va tenuto presente. Vorrei quindi che ce lo spiegasse.

  GIOVANBATTISTA TONA, Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Il problema dell'onere della prova è complesso, l'ABI ovviamente ha le sue opinioni ma c’è da fare i conti con un'elaborazione giurisprudenziale consolidata a sezioni unite da decenni rispetto alla quale i giudici di merito e la Commissione antimafia hanno dovuto fare i conti.
  Le Sezioni riunite già da vent'anni dicono che la materia dell'accertamento della buona fede in sede penale per questo tipo di procedimenti, di misure di prevenzione e penali ordinari va fatta secondo una serie di regole, e non parla di inversione dell'onore della prova, ma parla di distribuzione dell'onere della prova.
  È una materia molto complessa, che spesso non riusciamo a spiegare agli operatori economici perché attiene a dei profili di carattere tecnico-giuridico probabilmente poco frequentati dalle filiali bancarie, con le quali spesso ci troviamo ad avere anche delle difficoltà di interlocuzione sul concetto di diligenza professionale.
  Il concetto di diligenza professionale secondo molti giudici di merito implica che l'operatore bancario sappia che l'amministratore giudiziario al momento in cui assume l'incarico a seguito del sequestro per legge ha l'obbligo di sospendere tutti i pagamenti.
  Dinanzi ad un'azione sostanzialmente necessitata o addirittura autorizzata dal giudice, ci sono state delle segnalazioni alla Centrale rischi, in relazione alle quali, a seguito di procedimento ex articolo 700, le banche sono state condannate anche alle spese del giudizio perché non hanno tenuto conto di un dato di legge, di una giurisprudenza pacifica.
  Qui c’è un problema anche di formazione degli operatori bancari e di allineamento delle prassi bancarie alla giurisprudenza da vent'anni dominante su questo tema.
  Cosa prevede la proposta di legge Bindi ? La partecipazione necessaria fin dall'inizio dei titolari di diritti reali di garanzia, il che significa che la banca, che spesso, seguendo le proprie linee guida, quando concede un finanziamento si riserva un diritto reale di garanzia quale che esso sia, può partecipare dall'inizio al procedimento e far valere le proprie ragioni.
  In un'ottica generale, che tutela non solo la banca ma tutti i terzi creditori, la proposta di legge Bindi prevede la valutazione preliminare da parte dell'amministratore giudiziario dei crediti strategici, ivi compresi quelli delle banche, e la prosecuzione dei rapporti pendenti pagando anche il pregresso.
  Certo è che molto spesso, anche nei casi segnalati dagli studi che la Banca d'Italia ha proposto laddove ha dimostrato che ci sono una serie di ipotesi nelle quali la fiducia nei confronti del proposto viene meno prima dell'arrivo del sequestro, la banca si trova ad avere tollerato l'inadempimento del proposto per un po’ di tempo Pag. 36e poi ovviamente a pretendere dall'amministratore giudiziario che sia pagato il credito pregresso.
  Comprendete bene però che questa non è una cosa che si può ammettere automaticamente, anche perché bisogna valutare perché la banca abbia tollerato un inadempimento pregresso e non lo tolleri più da parte dell'amministratore giudiziario.
  Ci sono poi da valutare tutte le condotte e i comportamenti, con le banche abbiamo avuto molte occasioni di interlocuzione ma viviamo due mondi diversi, perché le banche ci dicono che non chiudono i finanziamenti ma spesso vediamo che vengono chiusi anche nell'arco di quarantotto ore per le ragioni più varie.
  Le iniziative dei protocolli sono quindi le più auspicabili, perché creano delle condizioni di dialogo. La condizione di dialogo processuale nella proposta di legge Bindi è l'approvazione del programma di prosecuzione, in cui si individua il credito strategico e quando la banca ha operato conformemente alle proprie linee guida, alle circolari della Banca d'Italia non avrà problemi, sarà pagata, perché sarà considerato credito strategico (i crediti con le banche sono tutti strategici per le imprese sane che vogliono funzionare).
  Questo risolverà tutti i problemi, anche quello della cosiddetta «inversione» dell'onere della prova. La tutela dei terzi nella forma attuale, con la procedimentalizzazione simile al fallimento, non si farà se non in una fase successiva per quei crediti per i quali ci possono essere dei dubbi sulla natura della loro insorgenza e della loro permanenza.
  In questo quadro, che non guarda settorialmente all'esigenza del singolo soggetto – che può essere la banca, che è uno dei soggetti che può essere pregiudicato nel pregiudizio complessivo dello sviluppo economico, ma è uno dei soggetti e non il solo – la banca può trovare a nostro avviso adeguata tutela immediata nella prosecuzione, perché la prosecuzione comporta la scelta tra prosecuzione e liquidazione, e la liquidazione comporta il pagamento di quanto si può, come succede quando date fiducia a imprese che poi falliscono.
  In questo quadro riteniamo di aver risolto il problema senza un intervento parcellizzato che sia quello di risolvere il problema delle banche.

  LAURA ZACCARIA, Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI). Mi sembra però che stiamo in alcune ipotesi addirittura sovvertendo i ruoli. Le banche sono costrette a fare formazione ai propri dipendenti perché sul sistema viene caricata tutta una serie di attività di supporto in generale alle pubbliche amministrazioni, che non competono in realtà all'impresa.
  Partendo dal presupposto e ricordandoci sempre che la banca è un'impresa al pari dell'impresa di costruzione, solo sulle banche grava tutta una serie di attività di supporto in relazione al fatto che si maneggia denaro che quindi ha dei rischi in più.
  L'attività di formazione viene svolta, non c’è dubbio che tutto può essere migliorato (non sosterrò mai che in assoluto non ci siano cose che non possano essere migliorate), però uguale cortesia andrebbe fatta nello studiare le normative specifiche che riguardano gli intermediari.
  Si dice che è un obbligo di legge sospendere il pagamento e tuttavia non esiste una norma nella normativa che riguarda i requisiti prudenziali delle banche che dica che quando il pagamento è sospeso per obbligo di legge certi altri obblighi non incombano sulle banche allo stesso modo. Nel momento in cui io ho il passaggio dei fatidici giorni che mi obbligano a fare certe cose, le devo pur sempre fare, anche se il mancato pagamento mi viene da una normativa.
  Questa situazione peggiorerà nel tempo. Infatti, fino al 4 dicembre scorso sulle banche vi era un minimo di discrezionalità nell'applicare nei singoli casi le normative generali. Oggi, invece, dopo il 4 dicembre, data di entrata in vigore di Banking Union, questa discrezionalità non esiste più. Per cui quando la banca si trova Pag. 37di fronte a una impresa che per x giorni non effettua il pagamento e la posizione non pagata rappresenta un «x» per cento di tutta la posizione, è costretta a cessare immediatamente ogni finanziamento, deve mandare l'impresa in default e fare tutte le comunicazioni che la normativa di Basilea e quelle nuove dei princìpi contabili internazionali (IAS) impongono.
  Diciamo da tempo che questa normativa europea mal si sposa con le realtà nazionali e mal si sposa con il concetto e l'abitudine che esiste in Italia di immaginare che in realtà questo credito è una cosa che la banca a capriccio dà o non dà.
  Anche nelle espressioni di prima, «ha mantenuto il credito fino a che c'era odore di mafia» e lei stessa, Presidente, ha detto che «questa è un'azienda in odore di mafia». Se però se fosse stata in odore di mafia fin dall'origine, ci possono essere mele marce e di mele marce noi non discutiamo perché mi scusi, Presidente, ma sulla patologia non si fanno le regole...

  PRESIDENTE. No, su questo punto vorrei essere chiara e anche avere una risposta, perché ci sono dei dati oggettivi, realtà oggettive: vengono sequestrate aziende che appartengono alla criminalità organizzata e che hanno avuto crediti, quindi non viene dopo...

   LAURA ZACCARIA, Responsabile Direzione Norme e Tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI). I dati oggettivi e le singole ipotesi vanno gestiti come singole ipotesi.

  PRESIDENTE. Sì, ma nell'erogazione del credito alcuni passaggi di verifica forse dovrebbero essere fatti in maniera diversa. Ecco perché i protocolli di legalità dovrebbero essere previsti non solo per la gestione delle aziende confiscate, ma anche prima.
  Non è che l'impresa diventa mafiosa dopo il sequestro: viene sequestrata perché è frutto di un'attività illecita. Si deve fare in modo che lo Stato quando interviene in questi casi possa avere quel tempo minimo (adesso vedremo quale procedimento migliorare perché il sistema attuale non funziona), perché non stiamo parlando di un'impresa normale che poi ha dei problemi di credito: parliamo di aziende mafiose.

  LAURA ZACCARIA, Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI). Mi è assolutamente chiaro che parliamo di aziende mafiose e, se lei in merito all'azienda mafiosa che è stata illegittimamente finanziata assume una misura che riguarda la banca che l'ha finanziata, io la seguo fino in cima, ma se lei mi dice che, siccome c’è una mela marcia che ha finanziato, tutto il sistema degli intermediari deve pagare, io non la posso seguire, perché sulla patologia non mi può fare regole generali che vanno a travolgere soggetti che non sono coinvolti. Questo è il mio principio.
  Se lei si accorge che in quel tale contesto c’è la tale banca che ha fatto questo, che paghi, perché quando un intermediario cade nell'illegalità deve pagare come e più degli altri, però non può essere generalizzato.

  PRESIDENTE. Sì, ho capito. L'argomento che avete ritirato fuori è di estremo interesse, è un po’ il fulcro di questa problematica.

  GIOVANNI STAIANO, Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI). Presidente, posso intervenire ?

  PRESIDENTE. Le lascerei la parola dopo, per rispondere all'interlocuzione del consigliere Tona, che è uno degli elaboratori del testo, e della Presidente Saguto che lavorano quotidianamente su queste problematiche, così facciamo una cosa meno formale, perché noi dobbiamo trovare la soluzione normativa.
  Do la parola a Silvana Saguto, che ha un'ampia esperienza: il 40 per cento delle misure di tutta Italia.

  SILVANA SAGUTO, Presidente della Sezione misure di prevenzione presso il Tribunale Pag. 38di Palermo. Più del 40 per cento delle misure di tutta Italia. Partendo dalla mia esperienza, a Palermo quello che lei chiama la mela marcia è il cesto di mele marce con la mela non marcia, in termini statistici già riconosciuti dalla Cassazione come non buona fede nei crediti, perché così è stato.
  La maggioranza dei crediti in passato (adesso le banche hanno un atteggiamento diverso nella concessione dei crediti), negli anni ’80 e ’90, veniva concesso anche con non isolate, ma emblematiche concessioni di crediti con 33 miliardi di lire di chirografo, cioè senza garanzie di nessun tipo, con banche che venivano chiuse come la Cassa rurale artigiana di Monreale per avere concesso 9 miliardi di credito senza garanzie su 27 miliardi di capitale di banca versato.
  Ci siamo quindi trovati a fronteggiare una situazione dove inspiegabilmente vi erano e inspiegabilmente la Procura non ha accertato (non so se perché non ci è riuscita o perché allora c'era un'emergenza tale su Palermo che queste cose non sono state considerate nel giusto peso che secondo me era notevolissimo) filiali piccolissime che concedevano crediti elevatissimi e sempre gli stessi crediti e sempre a soggetti mafiosi e a costruttori edili mafiosi, perché conosciuti come tali dappertutto e poi accertati come tali in sede giudiziaria.
  Conoscevano i nomi e i cognomi di queste banche e di questi soggetti tutte le persone di Palermo, perché queste erano le realtà palermitane. Adesso c’è la legge e dobbiamo verificare la buona fede, che è giusto sia la buona fede fornita dall'istituto di credito che usa tutta la diligenza che normalmente adopera per gli altri soggetti anche privati a cui chiede garanzie prima di concedere un prestito, e, se non lo fa, una ragione ci deve essere perché non è possibile sovvertire la modalità di concessione dei crediti in relazione al regolamento della Banca d'Italia.
  Noi ci limitiamo semplicemente a guardare quello e, se non sono rispettate nemmeno le prassi, evidentemente non si può parlare di buona fede di credito.
  Siccome il 50 per cento riguarda Palermo, evidentemente la giurisprudenza che fa Palermo è quella che peserà sulle banche, ma non è una giurisprudenza palermitana, perché è confermata in Cassazione, quindi è una giurisprudenza della giustizia italiana, che ha detto che le banche per anni non sono state creditori di buona fede.
  Non capovolgiamo quindi il problema dicendo che è colpa nostra che cerchiamo ancora di avere credito, perché a tutt'oggi ottengo crediti dopo avere minacciato di rivolgerci a qualcuno con cui il protocollo è già concluso, ma ci sono state banche, fino all'anno scorso, che hanno rifiutato il credito a noi e l'hanno riaperto in altra sede di negozio riaperto, che è veramente il massimo della malafede.
  Questi atti sono stati mandati alla Procura della Repubblica di Palermo. Si tratterà della responsabilità della mela marcia e del singolo funzionario, ma la proporzione finora è stata assolutamente inversa rispetto a quella che lei oggi prospetta, che forse nel resto d'Italia sarà diversa, ma noi abbiamo il 50 per cento della giurisprudenza dell'Italia.

  PRESIDENTE. Do la parola a Giovanni Staiano, Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria italiana.

  GIOVANNI STAIANO, Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria italiana (ABI). I termini in cui avevamo posto la questione relativa all'onere della prova erano con riferimento al principio giuridico calato nell'attuale normativa, e non ovviamente con riferimento al singolo caso concreto, e sono finalizzati a ricondurre a un principio normativo esistente nel codice di procedura civile per cui chi asserisce un fatto è tenuto a dimostrarlo.
  Questa stortura che noi vediamo a livello di quadro giuridico è rappresentata dal fatto che solamente in questo caso non è chi sostiene un determinato fatto che poi è tenuto a provarlo, bensì è l'altra parte che è tenuta a dimostrare (nelle parole della Presidente Saguto ci sono questi accenni) di aver fatto tutto quello che Pag. 39poteva fare, quindi la diligenza professionale.
  Noi poniamo la questione sotto un profilo di equilibrio nella relazione tra le parti e quindi crediamo nell'opportunità di tornare a un principio per cui anche in questo contesto, fermo restando il caso concreto che non voglio assolutamente prendere in considerazione, nella generalità dei casi la banca, qualora sia chiamata a dover dimostrare un determinato comportamento, riesca a sostenere questo onere sulla base dell'aver adempiuto alle normali attività creditizie e quindi all'aver osservato con diligenza professionale ciò che ad esempio la normativa di vigilanza impone.
  Ciò, però, non sposta il principio giuridico, per cui il tema dell'onere della prova non dovrebbe seguire l'inversione, cioè la constatazione del fatto che quella è una situazione in cui si versa in cattiva fede, a meno che la banca non riesca a dare questa «probatio diabolica» di aver osservato ogni e qualsiasi ulteriore, rispetto alle proprie attestazioni di comportamento uguale in quella fase del credito come verso chiunque altro.
  Consideriamo il credito a un'azienda in una situazione del genere come un credito ordinario, che va trattato come un altro credito, non deve essere considerata una situazione del tutto particolare.
  Chiedevamo quindi una riconsiderazione del comportamento processuale delle parti, indipendentemente dal riferimento al singolo caso concreto che, come diceva giustamente la dottoressa Zaccaria, ma come è emerso in tutto il dibattito, se va punito e sanzionato, deve essere punito e sanzionato.

  LAURA ZACCARIA, Responsabile Direzione norme e tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI). Comunque è consolante quello che diceva la Presidente, ossia che si tratta di operazioni vecchie, risalenti agli anni ’80. Questo conferma che nel corso degli anni la coscienza di certi fenomeni si è molto rinforzata, le regole e la professionalità sono cambiate, quindi oggi il concetto del rispetto della legalità non è quello che esisteva vent'anni fa.
  Sapere che si tratta di vecchie operazioni ci consola molto, perché vuol dire che non è il completo fallimento di quello che noi pensiamo del sistema. Peraltro quelle operazioni sicuramente saranno state anche sanzionate da Banca d'Italia, perché, per come ce li racconta la Presidente, tutto il meccanismo è saltato completamente, quindi meritano un'attenzione particolare.

  PRESIDENTE. Il consigliere Tona voleva aggiungere qualcosa sempre sulla linea di riforma che avete fatto ?

  GIOVANBATTISTA TONA, Consigliere della Corte d'appello presso il Tribunale di Caltanissetta e consulente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, e anche straniere. Sì, ovviamente stiamo parlando di vicende precedenti al 4 dicembre, per le quali possiamo interloquire anche raccontando notizie per procedimenti che non sono più in corso, quindi è ovvio che faremo i conti con questa nuova rigidità, che ci darà anche degli strumenti per la valutazione della buona fede.
  Sempre nella prospettiva del futuro riteniamo che le soluzioni tecniche dell'interlocuzione in contraddittorio immediata e in relazione alla gestione siano le migliori, le più operative e le più concrete. Mi spiego meglio.
  Avete richiamato l'esigenza di cercare di capire quali sono le normative che si susseguono e creano il diritto vivente delle banche, e cerchiamo di farlo. E molto difficile perché noi giuristi siamo abituati ad essere tacciati come persone che parlano lingue incomprensibili e ci rincuoriamo nel confrontarci con le vostre regole perché capiamo che non siamo solo noi a essere difficili da comprendere.
  L'interlocuzione in contraddittorio consentirà alla banca di fare presente tutte le norme che sono intervenute e che il giudice non conosce, però ci sono alcune cose sulle quali non penso che possiamo trovare un punto d'incontro a queste condizioni. Pag. 40Il principio civilistico dell'onere della prova non si applica alle misure di prevenzione, perché alle misure di prevenzione i princìpi civilistici non si possono applicare, perché altrimenti non sono misure di prevenzione, ma sono un'altra cosa.
  L'onere della prova si applica nel diritto civile. Siete molto turbati da questa affermazione, ma sono abituato a fare affermazioni che turbano. Le misure di prevenzione richiedono un'altra distribuzione dell'onere della prova sulla buona fede, perché il creditore pretende di prendersi un pezzo di quello che lo Stato si dovrebbe prendere. Il concetto è molto semplice, è molto rozzo, ma è questo, non siamo nell'ambito in cui ci troviamo nel processo civile.
  Come avete avuto modo di vedere dalla piccola rassegna della Presidente Saguto, non erano casi in cui le regole interne erano state rispettate, e sono casi in cui comunque in un processo civile la banca avrebbe avuto riconosciuto il proprio diritto, perché al giudice civile non interessa come si sia comportata la banca a casa sua, se abbia osservato o meno le regole dettate dalla Banca d'Italia.
  Per noi che facciamo prevenzione, invece, questa cosa è importante, e tra l'altro l'esigenza di fare una valutazione più penetrante della buona fede è richiesta dalla Corte di cassazione in diverse decisioni, in cui si è cercato di fare un punto di mediazione tra ragioni civilisticamente tutelate e ragioni di sicurezza pubblica e di tutela dell'ordine pubblico, anche quello economico che penso stia a cuore a tutti.
  Dinanzi alle esigenze che voi prospettate un giorno magari metteremo insieme tutti i casi isolati e faremo questo cesto di mele marce. Vi potrei, ad esempio, raccontare non di casi in cui la banca avrebbe dovuto accorgersi prima dell'odore della mafia, perché noi non giudichiamo l'olfatto del bancario, ma giudichiamo il suo comportamento. E faccio riferimento ad ipotesi di inadempimento tollerato. L'esempio che facevo poco fa è un'ipotesi di inadempimento tollerato.
  Dopo il 4 dicembre non sarà più così, non so se sia bene o male, ma sono regole più stringenti. In passato non era così e c'erano i finanziamenti con scopertura, con i quali il giudice può fare i conti facendo la differenza tra l'esperienza che ha avuto come cliente di una banca e quella che vede fare al proposto, perché ognuno di noi è cliente di una banca e tutti abbiamo bisogno delle banche, ma abbiamo esperienza. Siccome noi veniamo considerati clienti particolarmente affidabili e privilegiati, vediamo che garanzie vengono chieste a noi e quali vengono chieste a questi soggetti. Ci risulta facile, senza bisogno di conoscere tanti particolari, individuare delle cose che non funzionano e ne abbiamo individuate diverse.
  A fronte di questo, civilisticamente nessuno avrebbe di che lamentarsi, chi deve pagare paga davanti al giudice civile, ma nell'ambito delle misure di prevenzione, che si basano su una diversa distribuzione dell'onere della prova, la Corte europea ha detto che lo possiamo fare e l'ha detto quando i migliori professori universitari dicevano che come giuristi eravamo rozzi perché facevamo le misure di prevenzione. Poi è arrivata la Corte europea e abbiamo scoperto che eravamo i più avanzati d'Europa e poi ci hanno anche copiato perché hanno fatto le direttive dicendo agli altri Stati di attrezzarsi.
  Non c’è un'esigenza di contrapposizione sul principio, ma c’è da fare i conti con il mondo che c’è, noi con il mondo che c’è nelle banche, buono o cattivo, cercando di selezionare quello buono e di togliere quello cattivo, e voi con il mondo che c’è nell'ambito della giurisprudenza di prevenzione. A meno che non ci siano scelte politiche che vanno rimesse ovviamente alla sede che riterrà di prenderle, il mondo è questo.

  GIOVANNI STAIANO, Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI). Vorrei aggiungere una sola cosa. Anche i due protocolli, quello di Milano e di Napoli, e ci auguriamo specialmente Pag. 41quello a livello nazionale ma anche tutti gli altri sul territorio che noi abbiamo...

  PRESIDENTE. Lo auspicate ?

  GIOVANNI STAIANO, Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI). Lo auspichiamo sicuramente, anche perché noi siamo una delle parti coinvolte nel processo, ma è ovvio che questa iniziativa deve prendere in considerazione tutti i soggetti.

  PRESIDENTE. Facevo una domanda per capire se sia in fase di elaborazione, perché magari a livello di vertice nazionale c’è questa cosa oppure no, quindi lo auspicate...

  LAURA ZACCARIA, Responsabile Direzione Norme e Tributi dell'Associazione bancaria italiana (ABI). Noi lo abbiamo solo proposto.

  GIOVANNI STAIANO, Responsabile Ufficio Affari Legali dell'Associazione Bancaria Italiana (ABI). Per dare anche un dato di riferimento storico, entrambi i protocolli, sia quello di Milano che quello di Roma, nei loro consideranda iniziali, quindi nelle premesse, prevedono che si consideri che la banca come intermediario finanziario operi correttamente quando nella concessione del credito nei connessi servizi accessori si attenga alla stringente normativa di settore, fatto salvo l'accertamento dei diritti di terzi di cui all'articolo 52 e seguenti del codice antimafia.
  Anche nei protocolli già sottoscritti vi è quindi questa presa di coscienza del fatto che l'operatore bancario, nel momento in cui ha adempiuto alle prescrizioni in tema di vigilanza, abbia adempiuto alla buona fede.

  PRESIDENTE. Grazie, è stato sicuramente utile un ulteriore approfondimento. Do ora la parola al Delegato dalla Presidenza per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio dell'Associazione nazionale costruttori edili, Vincenzo Bonifati, che è accompagnato da Flavio Monsillo, dirigente responsabile direzione affari economici e centro studi, Franca Cappelli, dirigente direzione legislazione opere pubbliche, e Stefania Di Vecchio, dirigente responsabile ufficio rapporti con il Parlamento.

  VINCENZO BONIFATI, Delegato dalla Presidenza per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). Noi abbiamo lasciato agli atti un documento, ma prima di parlare del documento nello specifico vorrei fare anch'io una breve premessa.
  L'ANCE in questi anni si è battuta e si sta battendo per il mantenimento della legalità nel settore delle costruzioni e abbiamo distribuito insieme al documento il Codice etico che abbiamo approvato a ottobre dell'anno scorso, che è molto più stringente e anticipa una serie di sanzioni nei confronti di quelle imprese e quegli imprenditori che ricoprono incarichi associativi che incorrono in alcuni reati.
  Interveniamo già nella fase degli arresti e della carcerazione preventiva addirittura con la sospensione o l'espulsione in caso di sentenze di primo grado per i reati di tipo associativo o per i reati di corruzione.
  Cerchiamo di fare la nostra parte nel mantenere la barra sui comportamenti di legalità, perché crediamo fermamente che la legalità serva per avere un sistema di concorrenza più efficace. La concorrenza è quella che spesso manca, quindi abbiamo visto che ogni volta che si fa una normativa di emergenza, che è quella che noi contrastiamo da tempo, anche se le intenzioni di questa normativa sono positive e condivisibili, durante il corso dell'applicazione di queste norme accadono delle cose che non dovrebbero accadere e che alterano il mercato.
  Questa alterazione del mercato, applicando delle norme straordinarie che nascono sull'emergenza di una situazione oggettiva, ogni volta viene in qualche modo strumentalizzata, e i casi sono all'ordine del giorno.Pag. 42
  Nel commentare le modifiche al codice antimafia (l'atto Camera 2737 già ne riunisce altri tre) riteniamo che dovremmo cercare di riunire tutti insieme i testi delle proposte di legge per farne una valutazione complessiva.
  Abbiamo la necessità di garantire e tutelare la concorrenza nel libero mercato, quindi ogni volta che noi alteriamo questo creiamo uno sconquasso. Vorremmo avere meno Stato, più un mercato, più concorrenza, più merito.
  Riteniamo doverosi e legittimi provvedimenti come questo della tutela dei lavoratori delle imprese sequestrate o addirittura confiscate nel campo specifico delle imprese di costruzione, che normalmente sono imprese a basso contenuto di investimenti, fatte sostanzialmente sull'attività imprenditoriale del singolo imprenditore, che non sono depositarie di particolari privative industriali, ma che realizzano la loro attività sulla base di capacità che sintetizza l'imprenditore.
  Creando una situazione di privilegio su queste imprese confiscate o sequestrate rispetto a normali imprese di costruzioni che hanno una difficoltà enorme sul mercato oggi assisteremmo quasi a un paradosso, perché ci sono imprese che sono andate in crisi perché il mercato è in crisi, quindi imprese sane che sono state danneggiate anche da comportamenti illeciti sul mercato, da imprese o in odore di mafia o conclamate mafiose perché sequestrate, e vediamo che il sistema di quelle imprese confiscate o sequestrate viene tutelato con una norma specifica, in modo molto puntuale, e le altre imprese che invece sono incappate in situazioni di grave crisi del mercato e i loro dipendenti hanno dei comportamenti diversi da parte dello Stato, non vengono tutelati nella stessa maniera.
  Si tratta di un paradosso, perché alla fine nel Mezzogiorno si auspica che l'imprenditore sia diventato un mafioso così i lavoratori hanno maggiori tutele. Tenendo ben presente quali sono le necessità, dovremmo evitare di creare delle sacche che possono essere mal interpretate, mal utilizzate, e per risolvere magari un problema crearne degli altri.
  In questi ultimi mesi abbiamo avuto l'esempio delle cooperative sociali, abbiamo avuto esempi sul territorio di come finalità giuste siano state utilizzate in modo estremamente dannoso per la garanzia della concorrenza.
  Questo discorso non è soltanto una questione etica, morale, o una questione di società, ma è una teoria economica, è una questione importante per la crescita del Paese: se il Paese vuole crescere, ha bisogno di un confronto concorrenziale costante, assoluto, ci deve essere la certezza che quando si partecipa a una gara di appalto non ci siano dei privilegi, altrimenti diventa inutile, non parteciperà più nessuno.
  Se presupponiamo che chi opera sul territorio non possa non sapere e non ci sia di contro il controllo del territorio, credo che una banca o un'impresa sana che si rivolge a fornitori sul posto non possa non sapere che quell'impresa era mafiosa o infiltrata e le forze dell'ordine non lo sanno o le autorità non gli impediscono di operare.
  Si sostiene che la banca non poteva non sapere che quel soggetto fosse mafioso, ma, se quel signore è mafioso o in odore di mafia perché lavora ? Perché non ci sono dei sistemi per fermarlo prima che per contagio inquini inquina tutto il settore economico ?
  Non stiamo parlando della FIAT, cioè di imprese di grandissime dimensioni, stiamo parlando di imprese di piccole dimensioni. I dati dell'ANCE ci dicono che oltre il 94 per cento delle imprese italiane ha meno di quindici dipendenti, quindi queste imprese sul territorio sono conosciute, come dagli atti giudiziari ormai conclamati è noto, i dipendenti di queste imprese non possono non sapere che lavorano per una persona mafiosa.
  Nell'ambito delle misure di prevenzione forse è opportuno che queste misure siano destinate a far sì che questa impresa venga ricollocata sul mercato il più presto possibile per evitare che continui a turbare il Pag. 43mercato. Deve essere riammessa nel mercato il più presto possibile, non tenuta in vita artificialmente, ma rimessa sul mercato se ha delle condizioni e rimessa nel circuito virtuoso di un'imprenditoria sana, dove chi partecipa all'acquisizione di questa impresa partecipa con un confronto concorrenziale pubblico ed abbia tutti i requisiti di moralità per poter accedere all'acquisto di questa impresa sempre se è possibile, altrimenti deve essere rimessa sul mercato oppure liquidata.
  Non possiamo continuare a tenere in vita artificialmente delle imprese che paradossalmente continuano a turbare il mercato.
  Le misure di prevenzione patrimoniale, quindi tutte le principali novità noi le condividiamo, l'obbligo delle Autorità competenti di adottare misure di prevenzione patrimoniale è prevista in via facoltativa, ma riteniamo che sia una cosa importante.
  L'istituzione di sezioni specializzate è condivisibile, il sequestro anticipato fin dalla presentazione della proposta di sequestro e non come procedimenti in corso è un discorso positivo.
  In conclusione, c’è una possibilità che l'articolo 32 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, offre se lo applichiamo alla proposta di legge C. 2737, ossia la possibilità che il prefetto, sentita l'autorità anticorruzione, può mettere un monitoraggio all'impresa. Se potessimo recuperarlo nella proposta di legge C. 2737, questo faciliterebbe le cose.
  Sul sistema degli amministratori giudiziari riteniamo che il compenso degli amministratori giudiziari debba essere commisurato sia all'attività costante, sia ai risultati che ottengono, in modo tale che non ci sia un interesse da parte dell'amministrazione giudiziaria di andare più a lungo possibile, ma sempre nell'ottica che deve essere un periodo breve per la ricollocazione dell'azienda sul mercato.
  Per quanto riguarda le criticità del tema di lotta ai fenomeni della mafia e della corruzione, come ho già detto risultano vari provvedimenti all'esame del Parlamento, ma l'unificazione del disegno di legge presentato al Senato S. 1687 sarebbe opportuna. Tutta la normativa in questo momento è in esame sia alla Camera che al Senato.
  Da agosto dello scorso anno non c’è più la possibilità di avere i certificati antimafia per i privati, quindi c’è l'impossibilità di attestare la regolarità della posizione antimafia nel rapporto con i privati.
  Confindustria ha stilato un protocollo di legalità con il Ministero dell'interno per far sì che gli associati di Confindustria, tramite le associazioni territoriali, possano accedere alla banca dati per avere informazioni, in modo tale da poter monitorare i loro fornitori.
  Vorremmo che questo discorso fosse esteso o previsto per legge, in modo che non sia riferito a un protocollo al quale si può aderire o non si può aderire, o che sia soggetto a una serie di questioni, ma sia invece reinserito nel sistema normativo, mutuandolo da questo protocollo di legalità sottoscritto tra Confindustria e Ministero dell'interno, che mi sembra stia dando esiti positivi.
  Mi fermo qui per non rubare altro tempo alla Commissione. Abbiamo depositato il documento e, se avete bisogno di altre informazioni, siamo a disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie. Da agosto, dopo la legge n. 124 del 2015 cosiddetta «legge Madia», il discorso si è invertito. D'altra parte, la semplificazione ha i suoi costi. L'accesso consente comunque di verificare senza oberare le pubbliche amministrazioni.
  Do ora la parola a Maria Luisa Campise, Consigliere delegato area «Funzioni Giudiziarie» del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Maria Luisa Campise è accompagnata da Luca D'Amore, ricercatore della Fondazione nazionale commercialisti.
  Poi c’è l'Istituto nazionale amministratori giudiziari (INAG) con il Presidente Domenico Posca e il consigliere Giovanni Mottura.

  MARIA LUISA CAMPISE, Consigliere delegato area «Funzioni Giudiziarie» del Pag. 44Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Grazie, Presidente. Innanzitutto volevo esprimere a nome del Consiglio nazionale un ringraziamento per il metodo adottato, per aver coinvolto i principali attori istituzionali interessati dalla materia.
  Non vi è dubbio che la nostra professione, che ha competenze specifiche in materia economica, giuridica e contabile svolge un ruolo fondamentale in queste misure. La multidisciplinarietà dell'amministrazione giudiziaria coinvolge tutte le attività proprie dei commercialisti.
  In questo ambito il Consiglio nazionale si è fatto portavoce delle istanze degli oltre 115 mila iscritti all'Albo che rappresenta, con alcune proposte di modifica legislativa per rendere più snella e immediata la procedura.
  Dall'entrata in vigore del codice antimafia abbiamo assistito a pochi e frammentati interventi legislativi, che spesso si sono dimostrati insufficienti a supportare il ruolo fondamentale che per primo lo Stato sta spendendo.
  Prima di entrare nel merito delle nostre proposte, voglio anche evidenziare il fatto che le proposte attualmente all'esame sono meritevoli di grande considerazione. Mi riferisco in modo particolare all'A.C. 2786 a firma dell'onorevole Bindi, che recepisce norme snelle, fluide e prevedono una precisa ma flessibile procedimentazione del piano di prosecuzione dell'azienda che è fondamentale nel momento in cui si confida nel sequestro della confisca per ridare quello spessore e far sentire il peso dello Stato.
  Fatte queste considerazioni, le proposte da noi formulate possono ricondurre a quattro grandi aree tematiche. La prima è la proposta finalizzata a rendere più trasparenti i criteri di nomina dell'amministratore e quindi anche ad agevolare la relativa attività, le proposte dirette a rendere operativa e maggiormente flessibile l'Agenzia nazionale dei beni sequestrati, la ristrutturazione della disciplina di tutela dei terzi e dei rapporti con il fallimento, e anche alcune proposte in materia di destinazione dei beni confiscati.
  Tralascio ovviamente quelle proposte emendative in materia processuale, anche perché prima meglio di noi sul punto si sono espressi autorevoli magistrati. Per quanto riguarda le proposte finalizzate a rendere trasparenti i criteri di nomina dell'amministratore, riteniamo che sia assolutamente auspicabile una riformulazione dell'articolo 35 del codice antimafia, così come proposto negli emendamenti dall'onorevole Bindi.
  In particolare, auspichiamo che vengano evitati criteri e meccanismi di selezione rigidi e inadeguati alle esigenze di ciascuna procedura e per questo venga lasciata al magistrato la facoltà di scegliere liberamente, dando però nello stesso tempo indicazioni perché l'amministratore giudiziario depositi immediatamente una dichiarazione.
  Nei casi più complessi si può prevedere la possibilità di articolare un ufficio di coadiuzione, indicando anche i componenti e gli oneri, onde sottoporlo alla preventiva autorizzazione del giudice.
  Le nostre proposte si pongono anche l'obiettivo di riscrivere le norme che fanno riferimento alle persone cui sono affidati i beni definendo le custodie, con particolare riguardo all'articolo 30 nella parte relativa al ruolo dell'amministratore giudiziario nominato nell'ambito del procedimento penale ordinario, dove rimane ancora qualche margine.
  Nella visione più dinamica si auspica che sia sempre lo stesso giudice delegato ad occuparsi di sovrintendere l'attività di amministrazione, anche quando il procedimento transiti da una fase a un altro grado d'appello, in modo da assicurare la continuità di gestione in tutti i casi in cui la competenza si trasferisca in uffici diversi.
  Altre proposte emendative. Nelle more dell'adozione del regolamento attuativo dell'Albo degli amministratori giudiziari, che ormai è bloccato da diversi anni, quindi nelle more che venga anche adottato il relativo regolamento per la determinazione dei compensi, si propone di applicare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale un criterio univoco di Pag. 45determinazione dei compensi agli amministratori giudiziari e ai coadiutori mediante un espresso rinvio al decreto del Ministro della giustizia n. 140 del 2012.
  Da qui anche la necessità che la previsione abbia efficacia novativa di tutti gli incarichi in corso sia per gli amministratori giudiziari che per i coadiutori dell'Agenzia.
  Nell'ottica di valorizzare a figura dell'amministratore giudiziario auspichiamo che venga dato allo stesso un termine più ampio per presentare la relazione ex articolo 36, rimettendo ovviamente il tutto alla decisione finale del giudice delegato e il tempo per individuare questo maggior termine.
  Per quanto riguarda l'articolo 55 in materia di azione esecutiva, auspichiamo che venga chiarito meglio il periodo dell'attività in materia di azioni esecutive. In particolare, la proposta emendativa tende a precisare che l'eventuale processo esecutivo sul singolo bene sottoposto a sequestro non possa essere iniziato.
  Questa è la regola già fissata nel testo vigente, però l'attuale testo non chiarisce il termine per cui rimanga sospeso. Auspichiamo quindi che dalla sospensione derivi la possibilità di riassunzione in caso di dissequestro, facendo salvi ovviamente tutti gli effetti prodottisi prima della sospensione in favore dei creditori.
  Per quanto riguarda le proposte dirette a rendere operativa e maggiormente efficiente l'Agenzia, senza entrare nel dettaglio, in poche parole auspichiamo che la competenza dell'Agenzia vada traslata alla confisca definitiva. Per quanto si voglia dotare la stessa l'Agenzia delle risorse umane e finanziarie necessarie, noi riteniamo che sia bene che la gestione dei beni rimanga sotto il controllo del giudice delegato per tutta la durata del procedimento giudiziario e, quindi, che la competenza dell'Agenzia venga traslata nel momento successivo, per traghettare la gestione dei beni, date le finalità, alla loro destinazione agli aventi diritto.
  Tralascio tutti gli altri aspetti per soffermarmi sull'altro aspetto fondamentale, ossia la riscrittura della disciplina della tutela dei terzi. Questo è veramente il nodo principale. Noi siamo assolutamente concordi con la proposta dell'onorevole Bindi, ragion per cui auspichiamo vivamente che siano integralmente recepite le modifiche formulate dalla Commissione parlamentare antimafia.
  Riteniamo anche – e mi fermo – che anche tutte le altre proposte in materia di gestione e di destinazione dei beni debbano essere accolte. Se è vero che, come ha detto prima la Presidente La Malfa, vogliamo che le aziende sequestrate vivano, dobbiamo anche dare loro i mezzi per poter sopravvivere.
  È anche vero, però, che sicuramente non perché sono sequestrate queste aziende debbano assolutamente continuare a stare sul mercato. Se ci sono le condizioni, bisogna fare in modo, con gli strumenti adeguati, che le aziende sopravvivano. Se le condizioni non ci sono, a quel punto è bene iniziare un'attività liquidatoria, nonostante gli effetti negativi che questo può avere.

  PRESIDENTE. Do la parola, per l'Istituto nazionale amministratori giudiziari, al Presidente Domenico Posca.

  DOMENICO POSCA, Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari. Grazie della convocazione, seppure ricevuta in extremis. Ci siamo organizzati due giorni fa.

  PRESIDENTE. L'avete chiesta voi, però. Questa era l'unica data utile.

  DOMENICO POSCA, Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari. Mi sembrava comunque importante. Notiamo, infatti, la sensibilità della Commissione a sentire anche chi opera sul concreto. Tutta la materia delle amministrazioni giudiziarie, sotto il profilo operativo, riguarda magistrati, giudici e amministratori giudiziari, prima che altre parti in causa.
  Io non posso che condividere l'impostazione complessiva attribuita all'impianto normativo, soprattutto per il grandissimo Pag. 46lavoro svolto dalla Commissione antimafia, che ha unificato diversi testi e ha tirato fuori un articolato veramente completo. Per la prima volta, esso dovrebbe prevedere più o meno ogni ipotesi, tanto che abbiamo avuto difficoltà, sia pure in questo poco tempo a disposizione, a individuare punti non già trattati ampiamente e brillantemente. Come vedremo, però, ci sono due o tre nostre proposte molto specifiche che vanno a completare esattamente il quadro complessivo.
  Abbiamo già lasciato il documento. Notiamo con soddisfazione che, forse per la prima volta, è stato tracciato un quadro veramente organico di tutto l'impianto. Condividiamo tutte le considerazioni svolte che abbiamo sentito finora dai nostri predecessori, i magistrati, che peraltro già conosciamo per aver con loro collaborato fino ad oggi.
  Noi siamo un mondo di professionisti tutto sommato limitato rispetto al più ampio numero di professionisti operanti dalle cui fila proveniamo. Parliamo di circa un migliaio di professionisti impegnati in quest'attività sul territorio nazionale. Noi svolgiamo un ruolo un po’ diverso da quello che talvolta qualcuno si aspetta da noi, anche avendo ascoltato le precedenti relazioni.
  Noi siamo diversi, infatti, dagli amministratori iure privatorum. Siamo amministratori, manager, ma abbiamo anche il ruolo di dover ripristinare, laddove possibile, la legalità. Siamo stretti, quindi, da questo punto di vista, rispetto alla normale libertà di cui, invece, godrebbe un amministratore ordinario.
  Detto questo, dobbiamo considerare anche l'ampio dato numerico che riguarda questo fenomeno, di cui forse finora si è parlato poco. Incrociando dati del Ministero della giustizia con dati provenienti dai principali tribunali e da nostre elaborazioni, possiamo dire che abbiamo oltre 60.000 immobili, tra sequestrati e confiscati, circa 9.500 aziende, oltre ai beni immobili registrati, e soprattutto strumenti finanziari per 3,4 miliardi di euro. Questa è la fotografia di ciò di cui stiamo parlando.
  All'interno di questo più ampio perimetro ci sono poi le aziende e i beni immobili definitivamente confiscati, che sono i numeri sulla base dei quali spesso si fanno elaborazioni statistiche non sempre fino in fondo coerenti. Le 1.700 aziende confiscate definitivamente oppure gli 11.000 immobili di cui abbiamo notizia da parte dell'Agenzia nazionale sono, infatti, una parte del fenomeno, ma non l'intero fenomeno.
  Volevo tranquillizzare anche il rappresentante dell'ANCE che prima diceva che gli amministratori giudiziari dovrebbero in qualche modo essere ricompensati anche in base ai risultati, in modo tale che avrebbero uno stimolo a non prolungare oltremodo la durata di queste procedure. Vorrei sottolineare semplicemente che la durata della procedura non dipende dall'amministratore giudiziario, ma dalle vicende processuali. Noi non siamo muniti di questo potere.
  Le nostre proposte sono, come accennavo, piuttosto semplici. Una prima modifica è ricollegata a quella già evocata in precedenza sia dal dottor Menditto, sia dagli altri magistrati che ci hanno preceduto. Si tratta dell'applicabilità delle norme previste dal codice antimafia – con una precisazione che, però, a nostro avviso, è necessaria, perché mette in difficoltà tutte le attuali procedure di amministrazione giudiziaria – a tutti i procedimenti penali iscritti nel registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale alla data del 13 ottobre 2011, la data di entrata in vigore del codice antimafia.
  Con questo intervento si metterebbe la parola fine a una serie di incertezze interpretative in sede giudiziaria rispetto all'applicabilità o meno delle modifiche introdotte dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, anche ai procedimenti penali di cui all'articolo 12-sexies e similari. Questa è una delle modifiche che chiediamo.
  Un'altra semplice integrazione che chiediamo è quella di precisare che l'estinzione dei debiti tributari all'esito della confisca, quando cioè questa diviene irrevocabile, riguardi tutti i tributi di natura Pag. 47erariale così come definiti dalle norme di legge, dalle norme regolamentari e dai chiarimenti ministeriali.
  Ciò perché talvolta c’è stata qualche incertezza nel considerare o meno qualche tributo estinguibile, per confusione, tra cui, per esempio, anche l'IVA. In taluni casi abbiamo avuto anche questa difficoltà sull'IVA, che invece è notoriamente un tributo erariale, con la motivazione che parte dell'IVA sarebbe in qualche maniera di natura comunitaria. Non è così, perché l'IVA l'incassa lo Stato, salvo poi regolare i suoi rapporti tributari con l'Unione europea. L'IVA è a tutto tondo un tributo erariale. Se si riesce ad aggiungere questo piccolo inciso, anche questa incertezza verrebbe meno.
  Mi avvio a cedere la parola al collega Mottura – il quale intende illustrare l'altra modifica, che riguarda le aziende – dicendo, un po’ più in generale, che forse uno dei problemi oggi affrontati, quello del rapporto con gli intermediari finanziari, potrebbe essere di gran lunga agevolato se si riuscisse a cambiare la gestione dei fondi del Fondo unico giustizia, con riferimento ai beni sequestrati che vanno a finire su questo capitolo.
  Come abbiamo approfondito in una serie di esami anche con qualche intermediario finanziario, pur prendendo la parte del Fondo unico giustizia composta da strumenti finanziari non liquidi, ma liquidabili – parliamo di circa 2 miliardi di euro – spostando queste risorse in un fondo gestito, per esempio, dalla Cassa depositi e prestiti, sempre in ambito pubblico, da mettere a presidio di eventuali linee di credito che le banche ordinarie possono attirare in favore delle aziende (chiaramente di quelle meritevoli) che sono in amministrazione giudiziaria, si risolverebbe il problema a costo zero.
  Lo Stato, invece di tenere questi fondi, questi strumenti finanziari, giacenti senza alcun frutto sui conti di Equitalia Giustizia del Fondo unico giustizia, potrebbe metterli in un altro conto, sempre dello Stato, ma a presidio di un credito che potrebbe essere riaperto in favore delle imprese. Questo sempre senza nemmeno compromettere la parte di risorse liquide disponibili, che possono, in base alle scelte del Parlamento e del legislatore, essere utilizzate in favore delle forze di polizia, dei tribunali e delle finalità normalmente perseguite.
  Infine, anche il patrimonio immobiliare, che è piuttosto consistente – come dicevo prima, si tratta di oltre 60.000 immobili – potrebbe essere molto meglio sfruttato e messo a frutto per la collettività se gestito con logiche tecniche e manageriali, per esempio con un Fondo immobili confiscati, sempre a gestione pubblica, magari da parte del Ministero dell'economia e delle finanze. Tale fondo, con logiche professionali, potrebbe gestire al meglio tutti gli immobili confiscati anche nella fase del sequestro, dando una mano in quel caso all'amministratore giudiziario, che spesso ha diverse difficoltà in questo senso, laddove non tutte le situazioni sono quella dell'immobile normalmente locato di cui si va, a fine mese, a percepire il fitto.
  Un soggetto pubblico che gestisce professionalmente tutti gli immobili potrebbe essere di grande aiuto, pur mantenendo anche un ruolo importante da parte dell'Agenzia e delle associazioni, che potrebbero sedere nel comitato di gestione del fondo stesso e, quindi, indirizzare le scelte rispetto a questi immobili.
  Lascio la parola al collega Giovanni Mottura.

  GIOVANNI MOTTURA, Consigliere dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari. Questo ritaglio, che riguarda un ultimo articolato di emendamento, avrebbe potuto essere benissimo illustrato dal Presidente Posca, ma mi è stato demandato soltanto perché era stato, a suo tempo, già fatto oggetto di un'interlocuzione con la Commissione antimafia che avevo curato insieme ad altri consiglieri dell'Istituto.
  È un fatto che, ancorché manchi – o almeno credo – al tavolo il principale interlocutore, che è l'Agenzia in quanto parliamo della fase di destinazione (articolo 48 del codice antimafia), ha un Pag. 48aspetto piuttosto tecnico, che interessa, però, un po’ tutti gli interlocutori che oggi ho sentito presenti di fronte alla Commissione. Stiamo parlando della circostanza per cui si pone una rilevante problematica interpretativa all'atto della destinazione del bene aziendale, del complesso aziendale, allorché l'articolo 48 disciplina anche la destinazione specifica dei singoli beni che compongono il compendio aziendale e, quindi, dei beni immobili e, in particolare, dei beni mobili.
  Il pregevole lavoro già svolto dalla Commissione Bindi ha individuato delle modifiche anche all'articolo 48, nelle lettere a), b) e c), quelle che riguardano la destinazione delle aziende, nonché agli articoli che riguardano la destinazione dei singoli beni.
  Noi avevamo pensato, però, e l'abbiamo già sottoposto al vaglio della Commissione, che, nel caso concreto di destinazione di azienda nella quale rientrino beni mobili e soprattutto beni immobili, si ponga l'annosissimo problema per cui, poiché l'esecuzione del sequestro viene eseguita ai sensi degli articoli 104 e 104-bis, con la trascrizione nei pubblici registri, l'Agenzia spesso ha interpretato la questione volendo destinare, o ritenendo di dover destinare, singolarmente i beni, o di dover comunque interpretare quale fosse prevalente il senso di destinazione dei singoli beni rispetto a quello del compendio aziendale.
  Questa circostanza, che, lo ripeto, è molto tecnica, crea un vero vulnus nella massimizzazione della pubblica utilità che si ricava all'esito della destinazione del bene, perché rende vana l'applicazione proprio del comma 8 dell'articolo 48 del codice antimafia, che, come ben sapete, ha individuato la destinazione all'affitto a titolo oneroso o a titolo gratuito a cooperative di dipendenti dell'impresa confiscata o, in casi particolari, la vendita a prezzi di mercato proficui del compendio aziendale.
  In concreto, se andiamo a estrapolare, perché riteniamo prevalente quel tipo di articolati che si ritrovano nello stesso articolo 48, dal compendio aziendale i beni mobili e i beni immobili, assegnandoli separatamente e preventivamente rispetto al compendio aziendale, andiamo a svuotare di contenuto lo sforzo fatto dalla magistratura e dagli amministratori giudiziari, se bravi sono stati nel corso del tempo, per valorizzare quell'avviamento che nel compendio aziendale è stato riposto.
  Dunque, qual è l'emendamento ? È quello, nell'articolato che abbiamo scritto di non considerare destinabili e applicabili i commi 3, 12 e 12-bis dell'articolo 48 e di considerare, invece, prioritaria la destinazione del compendio aziendale, a meno che non si decida in sede poi di esecuzione e di valutazione definitiva da parte dell'Agenzia che questo compendio aziendale debba essere definitivamente liquidato.
  Diversamente, avremmo una perdita di natura veramente rilevantissima, oltre che problemi procedurali infiniti. Credetemi, questo nasce dall'esperienza di molti colleghi che ci hanno segnalato il caso e che si sono trovati a doverlo poi decidere a suon di sentenze e appelli. Si potrebbe tranquillamente risolvere questo aspetto fornendo uno strumento all'Agenzia per poter decidere, in primo luogo, di destinare il compendio aziendale secondo la migliore delle soluzioni.
  Nel caso in cui ciò non fosse possibile, perché si tratta di una valutazione fatta nel corso della destinazione, c’è sempre la possibilità di scorporare dal compendio aziendale i beni e di assegnarli ai sensi di legge, perché, a questo punto, essendo essi posti fuori bilancio, rivarrebbero le norme ordinarie di destinazione dei singoli beni mobili e immobili.
  Questa circostanza noi riproponiamo, così come avevamo già fatto alla Commissione antimafia, all'attenzione della Commissione, proponendo l'introduzione di un comma 8-bis all'articolo 48.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio. Quella proposta che ha fatto il Presidente, invece, non la vedo nell'articolato. Mi riferisco a quella sul Fondo immobili.

  DOMENICO POSCA, Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari. Non abbiamo fatto in tempo a inserirla.

Pag. 49

  PRESIDENTE. Volevo solo capire se avevo letto bene.

  DOMENICO POSCA, Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari. Ne approfitto per chiederle se possiamo magari...

  PRESIDENTE. Ci sono documenti già presentati e comunque ci sarà anche la trascrizione degli interventi per chi non ha depositato i documenti. Eventuali proposte emendative potete farcele arrivare entro il 20.

  DOMENICO POSCA, Presidente dell'Istituto nazionale amministratori giudiziari. Volevo aggiungere una considerazione, se possibile, perché è importante nell'ambito del dibattito complessivo.
  Sempre dall'esperienza sul campo noi abbiamo sentito che si è molto parlato della tutela dei terzi e dell'importanza di dare un taglio nel momento in cui arriva l'amministratore giudiziario. Io vorrei rafforzare questo concetto. Non è un'azienda normale quella che viene sottratta all'imprenditore, ragion per cui – attenzione – anche la gestione non può essere una gestione normale. Se non c’è una rete di protezione che in qualche modo – condivido l'opinione dell'amico dottor Tona – calpesti, se vogliamo, un po’ il diritto civile, ossia i diritti dei terzi da perseguire con i commi del codice civile, non se ne può uscire.
  Spesso nella realtà ci si trova davanti ad aziende che avevano un credito pressoché illimitato presso i fornitori e presso lo stesso sistema bancario, che, quando passano nella gestione dello Stato, hanno difficoltà a pagare il corrente e il vecchio fardello che si ritrovano alla data del sequestro. Se non c’è questa rete di protezione, opportunamente prevista già nel codice antimafia e migliorata con le norme che stiamo guardando, non se ne esce. Non si può portare avanti l'azienda.
  Traslando il problema a quattro, cinque e sei anni, cioè alla data della verifica definitiva dei crediti, c’è qualche possibilità di salvezza per queste aziende, quindi per i relativi posti di lavoro. È assolutamente fondamentale mantenere, anzi rafforzare questa rete di protezione.

  PRESIDENTE. Noi lavoreremo sul testo base, ma esso ha un collegato, ossia il progetto dell'antimafia che, tra l'altro, era già entrato a far parte di un complesso di emendamenti. Peraltro, per quanto riguarda gli emendamenti, abbiamo riaperto il termine proprio perché c’è stato l'abbinamento delle proposte, quindi procediamo in via unitaria, in virtù di un'esigenza fatta propria da tutti.
  Comunque, già rispetto al testo base, cioè il testo elaborato dall'onorevole Mattiello sulla base dei testi di iniziativa popolare, erano stati elaborati dalla Commissione antimafia, a firma Bindi, alcuni emendamenti che introducevano queste proposte.
  Siamo disponibili anche a ricevere suggerimenti emendativi di miglioramento del testo, però teniamo sempre presente la filosofia del testo.
  Noi abbiamo cominciato nel 2013 con la proposta di iniziativa popolare, che ha raggiunto oltre 500 mila firme, che riguardava la gestione delle aziende confiscate. Siamo nel 2015 e non abbiamo ancora chiuso, non perché non volessimo andare avanti, ma perché ci siamo resi conto che era necessario un discorso più ampio. Tale discorso più ampio lo stava elaborando la Commissione antimafia, che ha fatto un'indagine conoscitiva specifica sul punto, quindi non è il frutto di una elaborazione improvvisata; la Commissione ha tenuto conto anche delle Commissioni Fiandaca, Garofoli e via dicendo.
  Adesso cercheremo anche l'intesa con il Senato, perché nel frattempo anche il Senato, per una parte, ha iniziato in relazione al disegno di legge del Governo. Cerchiamo di non pestarci i piedi, poiché l'intento è unico: fare un testo il più equilibrato ma anche il più incisivo possibile.Pag. 50
  Adesso faremo l'intesa con i due Presidenti. Io attiverò l'intesa per capire quale ramo del Parlamento debba portare il testo in Aula, sebbene per noi sia già stato calendarizzato a maggio. I Presidenti valuteranno. Comunque sia, per noi questo approfondimento era utile, perché in ogni caso i relatori e la Presidenza erano intenzionati a conoscere la viva voce di chi aveva lavorato e lavora con queste materie, gli interlocutori quotidiani di queste problematiche.
  Capisco le esigenze di tutela del mercato, di tutela dei creditori, poiché tutto questo serve anche a ripulire il mercato da situazioni di anomalia derivanti dalle infiltrazioni mafiose; dall'altro lato, si tratta di ripristinare le situazioni di legalità, al tempo stesso salvaguardando anche le potenzialità economiche.
  Tutto questo non può reggersi solo sulla base di misure strettamente civilistiche, come se ci si astraesse dal contesto. Facevo parte della Commissione giustizia anche quando è stato varato il codice antimafia. Già all'epoca, quando nel 2010-2011 abbiamo espresso il parere, in Commissione giustizia individuammo la presenza di un'ottica troppo civilistica e fallimentaristica della gestione del procedimento di prevenzione e soprattutto della gestione dei beni.
  Fu espresso un parere all'unanimità. Noi all'epoca eravamo all'opposizione, relatrice era Angela Napoli, quindi non mi attribuisco alcun merito. Dico solo che in quella occasione, grazie all'apporto di esperti, la Commissione vide lungo. Il problema è che non si parla di un'impresa fallita o in odore di fallimento, che si deve decidere se recuperare o meno. Qui il problema attiene a un tessuto ben più complesso, quindi gli strumenti di intervento dello Stato devono essere diversi.
  Ovviamente, in questo contesto ci sono le tutele di cui tutti oggi vi siete fatti carico, sebbene con accenti diversi. Comunque il problema è quello.
  Alla luce anche dell'esperienza che si è verificata in questi anni sul codice antimafia, si deve cercare di produrre una normativa che sia efficace ed equilibrata, per spezzare definitivamente questo nesso, recuperare i beni o le aziende che si possono recuperare, ripristinare le regole di legalità che sono a tutela innanzitutto delle imprese. Credo che i primi soggetti a rimetterci siano le imprese oneste, per quanto attiene sia alla corruzione, sia ai reati fiscali, sia ai reati più ampi di criminalità organizzata, di gestione di appalti e quant'altro.
  Credo che il cittadino onesto, l'imprenditore onesto sia il primo che deve appoggiare questa strada, perché è una strada che alla lunga porta lo Stato in una situazione di gravissima crisi.
  Do la parola ai relatori per la replica.

  DAVIDE MATTIELLO, Relatore. Ringrazio ancora una volta le persone che ci hanno portato i loro contributi in quest'ultima parte del pomeriggio. Non intendo fare sintesi o puntualizzazioni. Rilevo che lo spirito complessivo dei contributi che abbiamo raccolto conferma il lavoro e la direzione del lavoro nella quale stiamo andando.
  Mi sembra che siamo tutti d'accordo che si debba trovare il miglior punto di equilibrio, come lei, Presidente, diceva, tra tutela del mercato e tutela dei creditori, però tutela di quel bene comune, fondamentale e prezioso che è la prevenzione della capacità delle organizzazioni criminali di offendere i diritti fondamentali, la libertà, quel mercato e quella libertà di concorrenza e di impresa a cui si faceva riferimento.
  Mi pare che la centralità che viene data nei provvedimenti che stiamo analizzando alla relazione che l'amministratore giudiziario deve fare tempestivamente dopo il sequestro, per stabilire se l'azienda è un'azienda vera, cioè un'azienda con una capacità di stare sul mercato, oppure no, sia una boa fondamentale del ragionamento. Lo dico in particolare avendo in mente le riflessioni dell'ANCE, ma non soltanto.Pag. 51
  Parliamo di un amministratore giudiziario che deve stabilire il più in fretta possibile se siamo di fronte a una «lavanderia» di soldi mafiosi, punto e basta, come l'ha chiamata il procuratore Pignatone, oppure no. Mi sembra che questo sia uno strumento fondamentale di garanzia e di svolta.
  Ugualmente mi sembra che sia importante la promozione del protocollo nazionale sulla questione del rapporto con gli intermediari finanziari e con ciò che è stato detto sul punto, soprattutto in materia di onere della prova. Mi pare che si debba lavorare insieme perché si arrivi non tanto a qualche norma quanto piuttosto al protocollo nazionale, così come è stato evocato, sulla base delle migliori prassi locali che già hanno stabilito – come mi sembra le parti abbiano riconosciuto – un rapporto virtuoso tra magistratura, amministratori giudiziari, interessi dei creditori e intermediatori finanziari.
  Credo che sia altresì importante lavorare su quella trasparenza del ruolo degli amministratori giudiziari a cui facevamo riferimento, intanto – mi preme e mi piace sottolinearlo – promuovendo la piena attuazione dell'albo degli amministratori giudiziari, che è stato previsto dalla legge ma mi pare non funzioni ancora come la legge prevedrebbe.
  Rispetto al tema degli strumenti economico-finanziari a sostegno delle aziende, tutto ciò premesso, fino a prova contraria il cardine del ragionamento resta l'articolo 41-bis contenuto nel testo unificato. Nel ragionamento, quel 41-bis per me resta il punto cardinale, poi vedremo come modificato dal complesso degli emendamenti, come integrato.
  Sapete, avendo visto le proposte, che una serie di altre misure è previsto che vengano trasformate in delega al Governo. Non sarà sfuggito a nessuno che la Commissione antimafia, a prima firma Bindi, ha proposto due testi. Noi oggi abbiamo ragionato soprattutto su quello che poi, incardinato alla Camera, è diventato l'A.C. 2737, ma non dimentichiamo l'altro, in forma di delega al Governo, sulle misure economiche a sostegno, che noi abbiamo già riconsiderato e ripreso.
  Segnalo soltanto che l'articolo 41-bis, che fa riferimento al Fondo unico giudiziario e non agli intermediari finanziari – è interessante la riflessione fatta dagli amministratori giudiziari su questo punto – rimane fino a prova contraria il cardine del ragionamento sugli strumenti finanziari a sostegno delle aziende che, avendo superato la valutazione dell'amministratore giudiziario, vengono sostenute nella ripresa dell'attività economica.

  CLAUDIO FAVA, Relatore. Farò solo due sottolineature, Presidente. Abbiamo fatto bene a dire che l'azienda sequestrata non è un'azienda normale, così come l'azienda mafiosa non è un'azienda normale. È già un elemento di turbativa, una patologia rispetto alle regole del mercato. Da questa patologia dobbiamo partire per capire che rimedi trovare.
  L'azienda sequestrata richiede cura, regole, attenzione, una rete di protezione diversa. Io credo che questa rete di protezione debba essere naturalmente definita in punta di norma dal legislatore, ma poi richiede uno spirito positivo da parte di tutti. Non possiamo immaginare che sia soltanto compito di una norma o di una legge creare questa rete di protezione.
  Assumere la diversità di queste aziende e assumere che l'emersione alla legalità e alla normalità di queste aziende è un risultato positivo per l'intero sistema Nazione è una questione che mette in campo tutti, non soltanto il legislatore.
  La seconda puntualizzazione riguarda il tema della buona fede. L'onere della prova è il «non poteva non sapere». Sono d'accordo con gli amici dell'ANCE, è chiaro che questo tema e questo scrupolo devono porselo tutti, però non li metterei tutti sullo stesso piano. Non poteva non sapere il lavoratore e non poteva non sapere la banca portano a conseguenze diverse, sul piano dei rapporti di forza che il lavoratore ha rispetto al proprio datore di lavoro, spesso in una condizione di Pag. 52mercato dove quel lavoro è l'unica risorsa di sopravvivenza, e ciò che invece l'istituto di credito ha, che è una scelta più consapevole, con margini di arbitrio diversi da quelli che subisce il lavoratore.
  Credo che anche in questo caso ci sia una responsabilità complessiva del sistema Nazione, ma ciascuno con una dose e una qualità della propria responsabilità, della propria consapevolezza e della propria buona fede diversa da quella degli altri. Di questo dobbiamo tenere conto.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti ai quali ricordo che, ove volessero inviarci delle integrazioni scritte, siamo qui per leggerle.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.10.