XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 27 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN RELAZIONE ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 925-B , APPROVATA DALLA CAMERA E MODIFICATA DAL SENATO, IN MATERIA DI DIFFAMAZIONE, DI DIFFAMAZIONE CON IL MEZZO DELLA STAMPA O CON ALTRO MEZZO DI DIFFUSIONE, DI INGIURIA E DI CONDANNA DEL QUERELANTE NONCHÉ DI SEGRETO PROFESSIONALE. ULTERIORI DISPOSIZIONI A TUTELA DEL SOGGETTO DIFFAMATO

Audizione di Giovanni Guzzetta, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata; di Fabrizio Merluzzi, avvocato; di Fabio Alonzi, avvocato, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale stampa online.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Guzzetta Giovanni , Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'università degli studi di Roma Tor Vergata ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Alonzi Fabio , Avvocato ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Alonzi Fabio , Avvocato ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Merluzzi Fabrizio , Avvocato ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Merluzzi Fabrizio , Avvocato ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Vazio Franco (PD)  ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Colletti Andrea (M5S)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Guzzetta Giovanni , Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Guzzetta Giovanni , Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Merluzzi Fabrizio , Avvocato ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Guzzetta Giovanni , Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Alonzi Fabio , Avvocato ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Alonzi Fabio , Avvocato ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Alonzi Fabio , Avvocato ... 14 
Merluzzi Fabrizio , Avvocato ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 15 
Merluzzi Fabrizio , Avvocato ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Liberati Benedetto , Presidente dell'Associazione nazionale stampa ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Liberati Benedetto , Presidente dell'Associazione nazionale stampa ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Liberati Benedetto , Presidente dell'Associazione nazionale stampa ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Liberati Benedetto , Presidente dell'Associazione nazionale stampa ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Liberati Benedetto , Presidente dell'Associazione nazionale stampa ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Giovanni Guzzetta, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata; di Fabrizio Merluzzi, avvocato; di Fabio Alonzi, avvocato, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale stampa online.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 925-B, approvata dalla Camera e modificata dal Senato, in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale; ulteriori disposizioni a tutela del soggetto diffamato, l'audizione di Giovanni Guzzetta, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'università degli studi di Roma Tor Vergata; Fabrizio Merluzzi, avvocato; Fabio Alonzi, avvocato, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale stampa online.
  Do la parola al professor Guzzetta.

  GIOVANNI GUZZETTA, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'università degli studi di Roma Tor Vergata. Grazie, presidente. Non credo che utilizzerò tutto il tempo a mia disposizione, anche se non si deve mai dire perché poi capita che si parli più del dovuto. Comunque, dico questo sia perché tra colleghi abbiamo chiacchierato e ci siamo idealmente divisi il lavoro, sia perché penso che in questi casi sia più utile avere un minimo di interlocuzione, quindi dare spazio alle domande.
  In via preliminare, mi sento di dire che questa iniziativa è certamente meritoria perché interviene su due questioni centrali.
  La prima è quella della calibratura della tutela di diritti e interessi di rilievo costituzionale e non solo, sulla quale esiste un enorme dibattito molto attuale, che si rinnova continuamente, in particolare a livello di giurisdizioni sovranazionali, come la Corte europea dei diritti dell'uomo e la Corte di giustizia dell'Unione europea.
  Il secondo motivo di rilevanza e di merito dell'iniziativa è che questa disciplina sui limiti al diritto di cronaca si estende anche al mondo di internet, che, come sappiamo, pone un'infinità di problemi, che ovviamente la legge non pretende di risolvere interamente, ma che certamente sono di grande attualità.
  Nella mia relazione mi concentrerò su alcuni punti che riguardano degli aspetti specifici, omettendo riflessioni di ordine generale.
  Il primo è relativo alla disciplina delle rettifiche, con riferimento alle pubblicazioni on line. È evidente che, comprendendo le pubblicazioni on line e quelle non periodiche, come i libri, si fa un salto di qualità molto rilevante rispetto alla Pag. 4disciplina precedente, che riguarda essenzialmente pubblicazioni «spot», come l'articolo sul giornale, sul periodico o dell'agenzia di stampa.
  Estendere la disciplina ai giornali on line e alle pubblicazioni non periodiche significa far riferimento ad attività che investono pubblicazioni durevoli, per cui il modo di intervenire per ovviare a pubblicazioni antigiuridiche non è necessariamente lo stesso.
  Mi spiego. Se scrivo un articolo sul giornale e mi si chiede la rettifica, il giorno dopo sul giornale appare la rettifica, tuttavia, l'articolo ormai è passato, anche se si ha la compensazione legata alla rettifica. Se, invece, pubblico un articolo on line, che è destinato a rimanere sulla rete oppure un libro, che pure è destinato a permanere, si pone un problema diverso.
  Mi riferisco, in particolare, alla disciplina che prevede, nel caso, per esempio, di pubblicazione on line, che la rettifica venga pubblicata in cima all'articolo rettificato, per cui l'utente-lettore si trova in una situazione in cui ha durevolmente sia l'articolo sia la rettifica. Ora, questa disciplina di per sé non pone nessun problema. Mi domando, però, se non vada graduata.
  Infatti, se la rettifica riguarda affermazioni opinabili, è corretto e apprezzabile che in una società della discussione aperta e libera il lettore si possa fare un'idea confrontando l'articolo e la rettifica. Invece, nel caso in cui l'articolo abbia, per esempio, dei contenuti diffamatori che l'interessato è in grado di contestare, magari documentalmente, non ha molto senso che la rettifica continui a coesistere insieme all'articolo diffamatorio. Pertanto, bisognerebbe graduare di più le ipotesi poiché, nel caso in cui la rettifica metta in evidenza una grave falsità dell'articolo, non credo sia coerente con l'ispirazione della disciplina che esso continui a essere mantenuto su internet.
  È vero che l'articolo 3 prevede il potere di rimozione di pubblicazioni durevoli su internet, tuttavia – questo è il secondo punto che vorrei mettere in evidenza – esso appare infelice nella formulazione perché non si capisce se il diritto a ottenere la rimozione presupponga che ci sia un accertamento giudiziario, ovvero che ci sia una sentenza, di primo grado o passata in giudicato. Insomma, non è chiaro a quali condizioni ci si possa avvalere delle facoltà assicurate dall'articolo 3.
  Suggerirei, dunque, di riconsiderare la disciplina della rettifica di cui all'articolo 1, graduando le ipotesi nelle quali la rettifica possa continuare a coesistere sullo stesso sito insieme all'articolo contestato.
  Un altro problema riguarda l'articolo 1, comma 2, lettera e), che disciplina la rettifica di pubblicazioni non periodiche, il quale si presenta con due fattispecie. Si prevede, infatti, la rettifica nel caso di ristampa del testo e, nel caso in cui questa non sia possibile, la pubblicazione della rettifica su un quotidiano nazionale. Esiste, però, un terzo caso che, secondo me, è quello più frequente, ovvero quello in cui astrattamente la ristampa si potrebbe fare, ma l'editore non la voglia fare.
  Allora, se prevediamo la pubblicazione della rettifica sul quotidiano nazionale solo nel caso in cui non sia possibile la ristampa, lasciamo una lacuna molto ampia perché non discipliniamo il caso più frequente, cioè quello in cui l'editore, pur potendo, non la voglia fare. Su questo punto ci si dovrebbe, quindi, interrogare per decidere quale disciplina scegliere. In definitiva, vanno bene entrambe, ma eviterei di lasciare una lacuna rimessa all'attività dell'interprete, con tutti i costi relativi a un aumento del contenzioso che il legislatore potrebbe sicuramente evitare.
  L'ultimo punto su cui vorrei insistere riguarda la disciplina della delega delle funzioni di vigilanza da parte del direttore del giornale. Si prevede, infatti, che il direttore possa delegare a uno o più soggetti l'attività di vigilanza che, in via generale, spetterebbe a lui. Ora, questa norma di per sé è ragionevole perché è chiaro che il direttore non può controllare tutto quello che viene pubblicato, quindi Pag. 5che rischi di essere esposto a una responsabilità sostanzialmente oggettiva perché non è in grado di gestirla.
  Tuttavia, anche in questo caso la soluzione andrebbe meglio articolata perché se il direttore sostituisce a se medesimo un delegato, di fatto, il problema rimane, ma il direttore, in qualche misura, si lava le mani rispetto alla sua responsabilità.
  Allora, è vero che la disciplina delle deleghe è prevista anche in altre norme legislative del nostro ordinamento, quindi non è di per sé inconcepibile, ma non dimentichiamo che l'attività di vigilanza sulla veridicità delle notizie è il core business di un giornale. La responsabilità del direttore è innanzitutto che il suo giornale pubblichi delle notizie che non dico siano vere, visto che nessuno crede più alla verità, ma almeno non evidentemente false. Pertanto, articolerei meglio la disciplina anche su questo punto.
  Per esempio, è sensato che il direttore deleghi a più soggetti, a seconda delle sezioni in cui è articolato il giornale, ma lo è altrettanto che si preveda un meccanismo per cui i soggetti delegati possano riferire al direttore. Infatti, che succede se chi è delegato dal direttore scopre che una notizia potrebbe essere diffamatoria, visto che, in ogni caso, non può decidere di non pubblicarla ?
  Insomma, il direttore viene comunque coinvolto, per cui disciplinerei questa complessità di rapporti non in una riga e mezzo, ma con maggiore accortezza, per ragioni sia generali, sia pratiche perché tutto questo significa che poi in sede processuale si aprono praterie all'interpretazione, quindi alle divergenze interpretative, accumulando ricorsi presso la Cassazione o la Corte di giustizia europea, che forse con due righe in più da parte del legislatore potrebbero essere evitati.
  Mi fermerei qui perché la parte penalistica sarà affrontata dai colleghi, che sono molto più esperti di me.

  PRESIDENTE. L'impostazione delle audizioni è libera. Tuttavia, vorrei precisare che siamo in terza lettura, per cui su molti dei punti si è già creata la doppia conforme. Dopo vi spiegherò meglio. A ogni modo, c’è ancora il voto finale, ci sono gli ordini del giorno e quant'altro.

  FABIO ALONZI, Avvocato. Accolgo immediatamente l'invito perché ho concentrato la mia attenzione sulle norme che sono state introdotte, o meglio modificate, a seguito dell'esame del Senato che si è concluso il 29 ottobre scorso. Non manterrò fede a questa premessa solo in relazione all'articolo 200, che so aver avuto la doppia conforme, ma sollecito comunque una riflessione su un punto specifico.
  Procedo con ordine. Il provvedimento legislativo, di fatto, riforma la legge n. 47 del 1948, che chiamerò semplicemente «legge sulla stampa», il codice penale, il codice di procedura penale e una singola norma del codice di procedura civile.
  Veniamo alle modifiche introdotte dal Senato. Innanzitutto, ho meno perplessità del professor Guzzetta sul responsabile. Possiamo, tuttavia, precisare. Peraltro, penso che non vi sia ostacolo perché l'espressione «il direttore o comunque il responsabile è tenuto» è stata inserita dal Senato e non ha la doppia conforme.
  Mi riferisco all'articolo 8, dopo il primo comma, che è stato sostituito. Ho il testo della Camera dei deputati aggiornato con quello del Senato. È l'articolo a cui faceva riferimento il professor Guzzetta, sollecitando l'attenzione sulla figura del responsabile per far sì che, in definitiva, non vada tenuto indenne il direttore quando voglia delegare ad altri.
  Sul punto sollecito, però, anche un'altra considerazione riguardo alla condizione a cui il testo del Senato ha inteso legare il rigetto della rettifica, dove è detto che non si possono pubblicare rettifiche se il contenuto non è suscettibile di incriminazione penale o non sia documentalmente falso.
  D'altra parte, non ho capito perché si è introdotta la separazione, che genera confusione, tra «dichiarazioni» e «rettifiche», quando con «rettifica» fino a oggi si Pag. 6intendeva tutto, sia la richiesta che alcuni dati venissero modificati, sia che venissero introdotte alcune dichiarazioni.
  A ogni modo, come verifichiamo le condizioni in base alle quali si ha il rigetto della rettifica ? Il documentalmente falso deve essere accertato con provvedimento giurisdizionale o attribuiamo al direttore del giornale o al responsabile una funzione paragiurisdizionale di verifica, limitando, di fatto, il diritto alla rettifica ?
  Signor presidente, mi consenta, tra l'altro, di intervenire sul lessico. L'espressione «incriminazione penale» è ignota nel nostro modo di produrre i testi normativi. Tutto si può modificare, ma facciamo in modo che le parole abbiano un riscontro con le idee sottostanti.
  Vi è un altro punto su cui la mia la critica è molto decisa. Al secondo comma è, infatti, aggiunto un periodo. Secondo me, però, era migliore il testo licenziato dalla Camera, dove si diceva che la pubblicazione deve essere fatta con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità. Ora, infatti, il testo si modifica con una frase che in italiano non funziona, ovvero «con la stessa metodologia, visibilità e rilevanza della notizia».
  Introducendo la rilevanza data alla notizia cambia il mondo, quindi questa formulazione è meno ponderata. Inoltre, neppure «la stessa metodologia» tout-court va bene perché prima era detto «la stessa metodologia di accesso al sito», che ha un senso che, invece, nella riformulazione si perde. Lo stesso vale in riferimento alla rilevanza, perché la rilevanza tout court è diversa dalla rilevanza data alla notizia, come era nell'intenzione del legislatore.
  Accolgo, invece, con favore l'ulteriore modifica che, nel caso in cui la testata sia on line e le notizie vengano mandate quotidianamente, la rettifica deve passare lo stesso e deve essere inviata agli utenti che hanno avuto accesso a essa (penso a mailing list e quant'altro).
  Inoltre, al terzo comma, lettera c), compare di nuovo l'espressione «non siano documentalmente false», su cui la critica è identica a quella che ho mosso poc'anzi.
  Ritorno, poi, su un punto su cui è intervenuto il professor Guzzetta. Mi riferisco alla possibilità di ristampa o nuova diffusione. Concordo pienamente con il professor Guzzetta sul discorso del diritto all'oblio o comunque sulla cancellazione. Aggiungo, però, che qui scompare ogni tipo di disciplina.
  L'articolo 1 è molto cavilloso nell'indicare come deve essere fatta la rettifica, ma qui scompare ogni riferimento. In primis, sparisce il limite temporale. Immediatamente prima si dice che la pubblicazione della rettifica deve essere effettuata entro due giorni dalla richiesta o nella prima ristampa utile. Invece, nel caso dell'impossibilità della pubblicazione via internet e quindi dell'obbligo di pubblicazione su quotidiani a diffusione nazionale, tutto questo sparisce.
  A mio avviso, il testo andrebbe integrato, quanto meno facendo riferimento alle condizioni previste nell'alinea precedente, altrimenti viene rilasciato tutto al buon cuore dell'interprete, ma soprattutto, dal punto di vista sostanziale, di chi deve eseguire la rettifica. Infatti, se pubblico una rettifica sul quotidiano nazionale cinque mesi dopo, è chiaro che è del tutto inefficace.
  Come giurista, credo poco all'introduzione della lettera f). Mi riferisco all'ipotesi in cui il giudice – evidentemente, dobbiamo intendere il giudice dell'articolo 700 – accoglie in ogni caso la richiesta quando abbiamo una diffamazione calunniosa. Qui si forza un po’ la mano perché si dice che non abbiamo spazi, ovvero il giudice non può valutare se ammettere o meno l'articolo 700, quindi lo deve ammettere in ogni caso. Dubito dell'importanza di queste norme, anche se non penso possano creare problemi.

  PRESIDENTE. Sono di educazione del giudice.

  FABIO ALONZI, Avvocato. Sarei anche favorevole. Il problema è che l'educazione Pag. 7è su casi molto sporadici perché dobbiamo pensare che l'articolo abbia non solo contenuti diffamatori, ma anche calunniosi, per cui si restringe di molto l'ambito di applicabilità.
  Accolgo, invece, l'altra modifica del Senato (siamo a pagina 5), ovvero il giudice, qualora accolga la richiesta, comunica il provvedimento al prefetto per la sanzione e lo trasmette all'ordine professionale.
  Arriviamo alle pene. C’è stato un ritocco perché sono stati abbassati i minimi e i massimi, per cui se prima era prevista una multa da 20.000 euro a 60.000 euro ora si va da un minimo di 10.000 euro ad un massimo di 50.000 euro. Da questo punto di vista, non ho nessun rilievo. Vorrei, invece, chiarire un punto sul secondo comma, riguardo alla pena accessoria della pubblicazione ex articolo 36.
  Nel testo licenziato dalla Camera la pena accessoria dell'interdizione scattava nell'articolo 99, secondo comma (recidiva semplice), qui invece ci si riferisce a quella reiterata. Ora, nel dossier che mi è stato inviato si dice che si è ampliato l'ambito, invece è l'esatto contrario. Ecco, l'essenziale è che abbiamo chiarezza e contezza di questo. Di fatto, si è ristretto l'ambito della sanzione.
  L'altra ipotesi di non punibilità, accanto a quella dell'articolo 4, che ha avuto la doppia conforme, quindi possiamo dire poco, è quella in cui si dice che se l'autore dell'articolo diffamatorio chiede al suo direttore la pubblicazione della rettifica e non la ottiene, va indenne, come è logico, da responsabilità penale. Questa introduzione mi sembra molto opportuna.
  Arriviamo, ora, alle modifiche al codice penale.
  Riguardo alla modifica dell'articolo 57, è opportuna, a mio avviso, la reintroduzione fatta dal Senato dell'espressione «a titolo di colpa». Questa è una norma costruita in questo modo. Non discutiamo del tipo di norma, ma è evidente che costituisce un titolo autonomo di reato colposo, peraltro è stato sempre così e abbiamo fior fiore di dottrina e di giurisprudenza in questo senso. È stato, dunque, opportuno l'aver precisato.
  Quella che mi vede, invece, nettamente contrario è l'ultima parte, in cui si introduce, a mio avviso, un'ipotesi di responsabilità obiettiva. Bisogna essere chiari su un punto. Nel dossier si dice che questa norma si conforma alla decisione del 2012 della Cassazione sul famoso caso Sallusti. Tuttavia, non è così perché quella di Sallusti è una responsabilità dolosa poiché vi era contestato l'articolo 110, mentre nell'altro si contestava l'articolo 57 per omesso controllo.
  Peraltro, così come è scritta significa ben poco. Infatti, «scritti o diffusioni non firmati» non significa nulla perché il non firmato non esiste in diritto; esiste, semmai, l'anonimo, cioè il non attribuibile a nessuno. Infatti, nel caso di Sallusti l'articolo era firmato dallo pseudonimo (ricordiamo, per esempio, il Ghino di Tacco degli anni Ottanta, che tutti sapevamo chi fosse). Insomma, a voler essere cavillosi, ci sono degli iscritti anonimi, cioè non attribuibili a nessuno; ci può essere, invece, un testo non firmato, ma facilmente attribuibile.
  Con il collega Merluzzi facevamo un esempio. Se l'ex Presidente della Repubblica pubblica un articolo senza firma, scrivendo «in veste di ex Presidente della Repubblica», si sa benissimo chi è l'ultimo ex Presidente, perché ce n’è uno solo, quindi il problema non si pone.
  Al di là di questo, mi preme osservare che è del tutto inopportuna l'introduzione di una norma del genere poiché inserisce all'interno del sistema una responsabilità oggettiva che proprio quella decisione della Cassazione aveva voluto escludere, dicendo, appunto, che quando si pubblica un articolo nel quale non compare la firma non si ha una responsabilità obiettiva del direttore, bensì dolosa, perché vi è compartecipazione, oppure una responsabilità colposa ex articolo 57. Pertanto, così come è rubricato, andrebbe soppresso tutto il riferimento.
  Prima di arrivare alle norme del codice di procedura penale, vorrei dire che anche l'articolo 3 va rivisto. Farebbe parte, infatti, solo del diritto legislativo.
  A ogni modo, dal punto di vista lessicale, compare la figura dell'interessato. Pag. 8Ora, chi è l'interessato, visto che non corrisponde con la figura dalla persona offesa ? Per esempio, potrei essere titolare di un'impresa o socio di una società il cui amministratore è stato diffamato, diffamando in realtà l'attività dell'impresa, quindi potrei essere interessato. Capisco che ci si vorrebbe riferire alla persona offesa dalla diffamazione, ma in diritto le parole pesano, quindi dobbiamo fare attenzione.
  Non capisco, poi, perché è stata introdotta anche la possibilità, già prevista nel Codice della privacy, della soppressione dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge. Anche il vostro dossier fa presente che è già scritto nel decreto.
  I veri problemi nascono, tuttavia, nei due commi successivi. A questo faceva riferimento il professor Guzzetta, quando diceva che potremmo utilizzare l'articolo 3 anche per i libri o le pubblicazioni non periodiche.
  Innanzitutto, nell'inciso non fila molto «ai sensi l'articolo 14» perché sembrerebbe che questo disciplini un caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati, invece, esso, rubricato «responsabilità nell'attività di semplice trasporto (mere conduit)», nell'ultimo comma dice che l'autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzione di vigilanza può esigere, anche in via d'urgenza, che il prestatore nell'esercizio dell'attività impedisca o ponga fine alla violazione commessa.
  Ora, questa non mi sembra un'esplicitazione dei casi di rifiuto o di omessa cancellazione. Scritto così non ha senso perché è parentetico rispetto a «l'interessato in caso di rifiuto»; invece, se scriviamo «il giudice, ai sensi dell'articolo 14» il senso cambia. Ovviamente, dovremmo intende il giudice dell'articolo 700 perché l'articolo 3 sta al di fuori di qualsiasi provvedimento normativo, cioè non è né nel Codice penale, né nel Codice di procedura penale.
  Ancora, si dice che in caso di morte le facoltà e i diritti di cui al comma 2 possono essere esercitati dagli eredi e dal convivente. Non ho capito, però, perché questo non si estenda anche al comma 1. Mi riferisco al fatto che, nel caso di morte dell'interessato, si possa chiedere al sito la rettifica, dopodiché si ha la tutela giudiziaria. Peraltro, siccome si subentra in tutti i diritti attivi e passivi, è più facile che si subentri sistematicamente nel diritto di azione giudiziaria che non nell'ipotesi del primo comma. Si dovrebbe, quindi, estendere.
  Mi avvio alla conclusione. Riguardo alla modifica dell'articolo 427, la norma è scritta male. Infatti, «nel pronunciare sentenze» non può essere modificato con «nel pronunciare sentenza di assoluzione» perché questa è una norma che viene inserita all'interno dell'articolo 427, che regola l'udienza preliminare, quindi si ha, semmai, una sentenza di non luogo a procedere.
  Facciamo, inoltre, attenzione al fatto che è già tutto disciplinato in quell'articolo, per cui non si capisce quale tipo di sanzione si introduce. Nel testo approvato alla Camera abbiamo il pagamento di una somma alla Cassa delle ammende, con una disposizione molto simile a quella dell'articolo 616 in Cassazione. Abbiamo, quindi, una sanzione pecuniaria. Invece, in questo caso diciamo che avviene su richiesta dell'imputato, quindi non è un potere che il giudice può avere ex officio. Siamo sicuri, però, che questo vada a favore dell'imputato ? Non è per niente chiaro. Inoltre, di quale tipo di sanzione stiamo parlando ?
  Arriviamo, così, al vero punctum dolens: la querela temeraria. Una cosa del genere non l'avevamo mai letta. Abbiamo i danni da lite temeraria, che il terzo comma dell'articolo 427 già disciplina, per giurisprudenza e dottrina costante. Quando esiste la colpa grave, il querelante può essere condannato alla refusione.
  Dobbiamo fare attenzione perché questa è una norma che viene inserita in un testo che riguarda la diffamazione, ma poi varrebbe per tutti i processi. Di questa norma non c’è alcun bisogno perché, peraltro, l'articolo 427 viene richiamato dalle norme sul dibattimento. Non basta neppure il restyling perché sarebbe scorretto dire «nel pronunciare sentenza di assoluzione», Pag. 9ma andrebbe detto «nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere».
  In ogni caso, non ha senso introdurre una norma del genere che parla, tra l'altro, di temerarietà della querela. Esiste – ripeto – una lite temeraria, integrata dalla colpa grave, prevista dal terzo comma dell'articolo 427, i cui parametri la dottrina e in parte la giurisprudenza hanno individuato essere quelli, appunto, della lite temeraria, in questo avvicinandosi all'articolo 96, che pure è stato riformato dal legislatore e sul quale non interverrò perché sono un processualpenalista, quindi non vorrei andare fuori dal mio ambito.
  Infine, non so quanto possa essere modificato, ma vorrei esprimere una sollecitazione sull'articolo 200, che non è stato modificato dal Senato. Ora, l'articolo 200 si applica ai giornalisti professionisti o pubblicisti iscritti agli albi professionali, manca, quindi, la figura dei praticanti, che soprattutto in Italia svolgono spesso giornalismo d'inchiesta, proprio quello che andrebbe maggiormente tutelato.
  Per gli avvocati, la Corte costituzionale è intervenuta sulla norma per introdurre anche i praticanti avvocati, così dovrebbe essere anche per i praticanti giornalisti, per estendere – ripeto – la tutela. In un bellissimo scritto pubblicato dalla professoressa Spagnolo sul segreto professionale si sollecitava una riforma in tal senso, proprio per tutelare coloro che fanno giornalismo di inchiesta e che dovrebbero non aver negato il diritto al segreto professionale.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocato. Vedremo cosa possiamo fare.
  Do ora la parola all'avvocato Merluzzi.

  FABRIZIO MERLUZZI, Avvocato. I miei colleghi hanno già detto tutto. Faccio, comunque, una piccola premessa. Il problema che si pone quasi sempre nelle aule giudiziarie è quello dell'interpretazione della legge, che comporta continui sforzi e rinnovamenti giurisprudenziali, con l'intervento sempre più spesso delle Sezioni unite. Questo, spesso e volentieri, dipende da norme lasciate un po’ troppo aperte o non contrassegnate da estrema precisione.
  Per non ripetere ciò che hanno detto i colleghi, mi soffermo sull'articolo 1, che alla lettera a), parla della possibilità di dichiarazioni o rettifiche in caso di pubblicazioni che abbiano leso la dignità del soggetto o siano contrarie a verità, purché le dichiarazioni non abbiano un contenuto suscettibile di incriminazione penale – su questo vi ha già detto l'avvocato Alonzi – o non siano documentalmente false.
  Ora, la giurisprudenza in vent'anni si è dovuta affannare a delimitare il confine della diffamazione quando una parte della notizia non è contrassegnata da verità. Troverete, infatti, fiumi di giurisprudenza, che hanno costretto le aule giudiziarie e la difesa di molti giornalisti ad affaticarsi sul concetto di verità. Pertanto, sarebbe necessaria una delimitazione maggiore perché la giurisprudenza ha elaborato il principio in forza del quale non ogni notizia non veritiera è diffamatoria. Potrebbero, infatti, esserci delle esasperazioni di determinati elementi della notizia o un'esasperazione critica del fatto-notizia che non mutano la sostanza della notizia stessa.
  Per esempio, se qualcuno pubblica un articolo secondo cui l'avvocato Merluzzi è imputato di estorsione per 100 milioni di euro e io chiedo la rettifica perché non è vero che sono imputato per 100 milioni, ma per 95, la mia rettifica non ha un gran senso. Allora, la documentale falsità della richiesta di rettifica dovrebbe essere individuata in riferimento all'essenzialità della notizia, cosa che muta il principio. Occorre, insomma, trovare una formula più precisa, altrimenti il giornale, di fronte a una richiesta di rettifica in cui si reclama la restituzione della propria dignità rispetto a una frazione della condotta che viene descritta, potrebbe rifiutare la rettifica, appellandosi al fatto che riguarda solo una parte della notizia.
  Peraltro, il discorso della documentale falsità della rettifica si ripete in diversi commi introdotti dal Senato. In questi Pag. 10casi, a «che non siano documentalmente false», aggiungerei «rispetto al contenuto essenziale della notizia».
  Sulla rilevanza ha già detto il collega. Anch'io riterrei più corretto e specifico il richiamo alla metodologia di accesso al sito.
  Ritorno sull'articolo 57, chiedendovi di rileggere la sentenza Sallusti. La Cassazione è stata esplicita, anzi ha chiarito che per non scadere in una responsabilità oggettiva, totalmente ignota e rifiutata dal diritto penale moderno, occorre l'identificazione dell'origine della responsabilità, cioè la colpa.
  Invece, nell'ultimo comma dell'articolo 2, inserito dal Senato dopo la modifica di cui si diceva, ovvero l'aggiunta di «a titolo di colpa», si reintroduce inequivocabilmente una responsabilità oggettiva perché la dizione del comma è talmente tranchant che al direttore del giornale non è data neppure la possibilità di indicare chi è l'autore dell'articolo non firmato. Infatti, il direttore potrebbe decidere di non far firmare l'articolo perché, se lo fosse, si individuerebbe immediatamente la fonte della notizia. Tuttavia, non è detto che non possa identificarlo in un secondo momento.
  Difatti, nella sentenza Sallusti la Cassazione, e ancor prima la Corte d'appello, attribuiscono a titolo di responsabilità a Sallusti proprio il fatto di non aver voluto rivelare l'autore della notizia. Nell'ambito dell'esercizio del diritto di difesa, questo sarebbe stato un atteggiamento collaborativo perché non si può chiedere al titolare dell'azione penale la ricerca impossibile. Quindi, siccome Sallusti era il direttore, non avendo voluto indicare l'autore dell'articolo, ne ha risposto perché, di fatto, se ne assumeva la paternità.
  Secondo questo comma, invece, questo tipo di difesa per il direttore è impossibile perché non gli si dà questa possibilità. Ugualmente, indipendentemente dall'anonimato di colui che ha redatto l'articolo, non gli si dà neppure la possibilità di dimostrare di aver esercitato il controllo possibile. Per esempio, l'autore dell'articolo anonimo potrebbe aver indotto in errore il direttore del giornale sulla veridicità della notizia. Insomma, con questo comma, l'eventuale allegazione di aver assolto all'obbligo di controllo, quindi il poter non rispondere a titolo di colpa da parte del direttore, è totalmente esclusa, con buona pace dell'autore della diffamazione. In definitiva, mi sembra che questa modifica apportata dovrebbe essere oggetto di una rivisitazione, inserendo nello stesso comma la possibilità per il direttore di individuare l'autore dell'articolo e di allegare l'assolvimento dell'onere di controllo.
  Sul concetto di temerarietà della querela è già intervenuto l'avvocato Alonzi. La lite temeraria è un istituto di diritto civile, quindi era corretto quanto la Camera aveva modificato nell'articolo 427 del codice di procedura penale, prevedendo il pagamento alla Cassa delle ammende. Si tratta, infatti, dell'esercizio di un'azione che ha coinvolto lo Stato in un'attività dispendiosa, quindi, oltre al risarcimento del danno nei confronti dell'imputato temerariamente querelato, ci stava bene una condanna al pagamento alla Cassa delle ammende.
  In questo modo, invece, si trasforma un pagamento in favore dello Stato, che è stato attivato in maniera incongrua, con un pagamento inevitabilmente in favore dell'imputato, dal momento che non può essere nella disponibilità dell'imputato il pagamento a favore della Cassa delle ammende. È evidente, dunque, che questo è un esercizio iure proprio che l'imputato eserciterebbe.
  In questo modo, si risolverebbe, però, in un terzo genere di risarcimento del danno, essendo già previsto sia il risarcimento del danno in favore dell'imputato sia il pagamento delle spese legali sostenute dall'imputato o dal responsabile civile citato. Si tratta – ripeto – di un terzo genere di risarcimento, che non vedo come il giudice possa argomentare come ulteriore condanna nei confronti dell'imputato. Meglio sarebbe, perciò, ritornare al teso approvato dalla Camera, con il pagamento a favore della Cassa delle ammende.
  Mi rendo conto che siete già in seconda lettura, ma mi permetto di far notare che Pag. 11le pene stabilite nell'articolo 595 non potranno passare il vaglio di costituzionalità perché la pena prevista per la diffamazione semplice va da 3.000 a 10.000 euro, mentre quella per la diffamazione con attribuzione di un fatto determinato va fino a 15.000 euro. Insomma, non c’è il minimo.
  Ecco, questo è di una tale irragionevolezza che la Corte costituzionale non la passerà. Se si voleva un aumento di pena per l'attribuzione di un fatto determinato – cosa corretta perché sicuramente è un fatto più grave – si doveva scrivere la pena aumentata fino alla metà, in modo che si sarebbe aumentato anche il minimo stabilito per la pena di cui all'articolo 595, primo comma. Vi dico subito che al primo impatto in un'aula un qualsiasi avvocato solleverà la questione di legittimità costituzionale di quella norma.
  Mi permetto, inoltre, di segnalare l'assenza di una mediazione in termini di pena all'interno dell'articolo 13 della legge, là dove si prevede una multa da 10.000 a 50.000 euro se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità.
  Ora, a prescindere dal fatto che la riduzione a 50.000 euro è conforme all'articolo 24 del codice penale, che prevede, appunto, che la multa non possa essere superiore a 50.000 euro, quindi è ricondotta nell'alveo della pena legale, visto che si è voluto formulare in questo modo, occorrerebbe una mediazione perché se vi è l'attribuzione di un fatto determinato, ma non c’è la consapevolezza della sua falsità, si rientra nella pena base bassa prevista per la diffamazione ordinaria. Se, invece, c’è un'attribuzione di un fatto determinato non vi è nessun aggravamento, salvo che non si provi che la diffusione è avvenuta con la consapevolezza della falsità.
  Peraltro, siccome la pena è piuttosto severa, e con la scarsità dei mezzi che hanno oggi i giornali 50.000 euro non sono sanzione di poco conto, sarebbe stato meglio trovare una soluzione intermedia per cui, nel caso di attribuzione di un fatto determinato, la pena potrebbe essere aumentata magari di un terzo.

  PRESIDENTE. Pensavo che la sua preoccupazione fosse relativa alla mancanza di una fase intermedia. Forse la Camera ha voluto evidenziare quei casi in cui c’è un dolo molto pronunciato. Insomma, siamo al limite della calunnia.

  FABRIZIO MERLUZZI, Avvocato. Sì, siamo al limite della calunnia. Per quanto mi riguarda, ho concluso.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri auditi degli interventi molto puntuali e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCO VAZIO. Vorrei rivolgere una domanda al professor Giovanni Guzzetta, che parlava della responsabilità del direttore, della facoltà di delega e dei problemi che questa potrebbe portare. In realtà, però, la giurisprudenza, anche in materia di delega sul lavoro, ha espresso e codificato cosa si intende per delega, autonomia di intervento, poter impedire e rimuovere e quant'altro. Credo, insomma, che la facoltà di delega possa essere interpretata senza difficoltà non solo in relazione alla responsabilità penale, ma, appunto, come delega piena e ampia, che consenta al delegato di poter intervenire non pubblicando, rimuovendo o comunque intervenendo. Questa è la prima osservazione.
  La seconda è in tema di rettifica. Condivido la questione sollevata in merito alla modifica all'articolo 1 da parte del Senato, ma non la preoccupazione sulla possibilità di reintervenire rispetto a una correzione e una rettifica parziali (le cosiddette «mezze verità»; per esempio, non è vero che sono stato condannato per estorsione a 15 anni, ma a 13), perché il giornalista ha lo strumento per intervenire con un altro articolo, cosa che non gli è certamente impedita. Anzi, sotto questo profilo, il secondo articolo potrebbe essere Pag. 12ampio e documentato, quindi la rettifica apparirebbe come puramente formale (anche se, ovviamente, dovuta perché il primo articolo è sbagliato), mentre il secondo potrebbe essere certamente più soddisfacente.
  Da ultimo, vorrei evidenziare che non avete detto nulla dell'articolo 96 del codice di procedura civile, che appare speculare. Infatti, siccome avete sollevato una questione, per certi versi condivisibile, sull'articolo 427, mi pare che anche l'articolo 96 del codice di procedura civile ponga le stesse problematiche, per cui, se sono vere e fondate, quelle relative all'articolo 427 dovrebbero valere anche per questo. È vero che in un caso siamo nel campo della procedura civile e nell'altro della procedura penale, ma il tertium genus di risarcimento ci potrebbe essere anche in questo caso.
  Ecco, vorrei sapere cosa pensate di questi tre temi, fermo restando il diritto all'oblio, su cui condivido le osservazioni svolte.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire anche l'onorevole Colletti.

  ANDREA COLLETTI. Personalmente, ho dei dubbi sull'articolo 3 e più precisamente sul comma 1. Chi decide che un certo contenuto è diffamatorio, quando si va a chiedere l'eliminazione dai siti internet e dai motori di ricerca ?
  Inoltre, riguardo al comma 2, vorrei precisare che, teoricamente, con l'attuale codice di procedura civile già si può intervenire per chiedere un'eventuale rimozione cautelare attraverso l'articolo 700, quindi, a mio parere, esso è ultroneo.
  Ecco, vorrei conoscere la vostra opinione su questi aspetti. Nello specifico, sul contenuto diffamatorio ho un dubbio. Infatti, se ritengo che un contenuto di un articolo sia diffamatorio, teoricamente, in base al comma 1, potrei chiedere direttamente la rimozione al motore di ricerca. Tuttavia, è mia opinione che il contenuto sia diffamatorio. Non vi è una decisione di un giudice terzo, quindi questo si può prestare a far sì che i motori di ricerca tolgano automaticamente il reindirizzamento agli articoli, quasi a non farli esistere più.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per una breve replica.

  GIOVANNI GUZZETTA, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Sulla delega, è vero che la giurisprudenza sistemerà il discorso, ma rilevo due aspetti. Il primo è che, in linea di massima, è buona norma evitare che sia la giurisprudenza a dover intervenire. Riguardo al secondo, personalmente, non sono affatto convinto che da quest'articolo si desuma che il delegato possa decidere di non pubblicare un articolo senza consultare il direttore. Mi sembrerebbe strano. Il soggetto è delegato alla vigilanza, quindi dubito che possa agire autonomamente.
  È vero, come peraltro ho detto poc'anzi, che ci sono altre norme che prevedono deleghe, ma qui non stiamo delegando una parte secondaria dell'attività del direttore, bensì una funzione essenziale nell'attività di direzione del giornale, che corrisponde alla responsabilità del direttore stesso. In sostanza, stiamo delegando la funzione di sapere se una notizia può essere o meno diffamatoria, corrispondente al vero o appropriata. Questo è esattamente il core business di un giornale, visto che nasce per dare notizie. Non è, dunque, un'attività marginale, come la sicurezza nell'ambito di un'attività più generale che consiste nella direzione dei lavori o quant'altro. Insomma, siamo proprio nel nucleo essenziale dell'attività del direttore.

  PRESIDENTE. Questa norma ci è stata richiesta – per questo l'abbiamo inserita nella prima lettura – in relazione a eventuali dimensioni rilevanti delle testate, che non avrebbero consentito ai direttori di effettuare un controllo effettivo.

  GIOVANNI GUZZETTA, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Pag. 13degli Studi di Roma Tor Vergata. In quel caso, non si deve delegare a una sola persona.

  PRESIDENTE. Infatti possono essere anche due o di più. Nell'ambito di una grande amministrazione c’è una delega di alcune funzioni a una persona che eserciterà il controllo effettivo. Questa è la ratio.

  FABRIZIO MERLUZZI, Avvocato. Segnalo che il tema ha costituito oggetto di numerose sentenze proprio perché molti direttori...

  PRESIDENTE. Le sentenze, però, riguardano casi in cui non c'era questa norma, visto che oggi non è ancora prevista. Siccome il direttore ha una specifica responsabilità penale, si è voluto precisare che non si può trincerare dietro al fatto che la grande organizzazione non consente di controllare, quindi, se non ce la fa, può delegare quella funzione. Poi, a tutela di chi riceve la delega si è introdotto l'atto scritto, l'accettazione e quant'altro. In questo modo, non è possibile che la delega si tiri fuori dopo.
  Insomma, la delega ha caratteristiche tali per cui c’è una ripartizione di funzioni, come accade per il personale e quant'altro. Questa è la ratio.

  GIOVANNI GUZZETTA, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Questo mi è chiaro. Peraltro, condivido la ratio e penso che sia necessario provvedere. Temo, però, che possa essere una soluzione che non risolve tutto il problema. Peraltro, il fatto che ci sia l'accordo è relativo. Sappiamo come funzionano le grandi organizzazioni. È difficile rifiutare al proprio direttore un accordo, quando è la condizione per la permanenza nell'impresa.
  A ogni modo, per quanto riguarda l'articolo 3, non mi porrei il problema di chi decide. Questa, infatti, è una questione di ordine generale. Anche nel caso di rettifica, chi decide se c’è o meno la diffamazione ? Mi porrei, invece, il problema di come si integra questa disciplina con la rettifica e così via. Per esempio, nel momento in cui viene pubblicato su un giornale on line un articolo radicalmente diffamatorio, oltre a richiedere la rettifica, come posso chiedere che l'articolo venga rimosso immediatamente e senza nessun altro accertamento ?
  Questa disposizione è molto ambigua sul punto perché non si capisce se questo si può fare avendo ottenuto una sentenza di condanna o con l'articolo 700. Questo, infatti, è l'unico caso in cui non si pone un termine per la rimozione. Mentre per la rettifica e per gli altri casi vi è un termine, per cui dopo due giorni si sa se il giornale è adempiente o meno e si possono attivare le altre strade, qui non c’è un termine.
  Quando al secondo comma si dice «in caso di rifiuto o di omessa cancellazione», come facciamo a capire quando si perfeziona l'ipotesi di omessa cancellazione ? Dopo uno, due, dieci giorni, un mese, un anno ? Qui siamo in un caso diverso dalle ipotesi disciplinate dalla legge sulla stampa nel 1948. Siamo, infatti, di fronte a pubblicazioni durevoli, che rimangono lì.
  L'articolo di giornale lo leggo oggi e il giorno dopo il giornale è morto, invece su internet possiamo avere per mesi un articolo che dice delle cose totalmente false, anche in presenza di una rettifica. In tal caso, la rettifica non è in condizione di compensare la gravità diffamatoria di un articolo. Pertanto, visto che si interviene in questa sede, mi porrei il problema di perfezionare meglio la disciplina.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Do la parola all'avvocato Alonzi.

  FABIO ALONZI, Avvocato. Per rispondere all'onorevole Colletti, concordo con la posizione in relazione alla nomina del responsabile. In altri settori dell'ordinamento, abbiamo la figura del responsabile e la delega. Certo, si pone il problema dello scaricabarile, ma ognuno si assume le proprie responsabilità.
  Forse ho equivocato i vostri nomi.

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  PRESIDENTE. Sono gli onorevoli Vazio e Colletti.

  FABIO ALONZI, Avvocato. Allora chiedo scusa, rispondo all'onorevole Vazio.
  Come dicevo, non mi preoccupa il discorso della responsabilità. In altri settori dell'ordinamento, ben più gravi, abbiamo la figura del responsabile. Per esempio, nella sicurezza sul lavoro si prevede la nomina del responsabile, pur considerando che in quell'ambito ci sono degli omicidi colposi. Possiamo, forse, calibrarla, ma la figura deve essere introdotta. Peraltro, la norma risente di quegli orientamenti giurisprudenziali che richiedono che la delega non debba essere generica, ma contenere la definizione dei compiti e dei ruoli, che indichi, appunto, che non sia una burletta.
  Vengo, quindi, agli articoli 427 e 96. Su quest'ultimo non sono intervenuto perché ognuno di noi cerca di parlare delle poche cose che sa. Essendo un processualpenalista, non sono intervenuto sull'articolo 96. Tuttavia, anche in questo c’è un problema che concerne il tipo di responsabilità che c’è dietro. Infatti, esso già prevede i danni da lite temeraria, anche se non viene mai utilizzato nel nostro Paese.
  Apro una parentesi per dire che, forse, bisognerebbe cominciare a utilizzare i danni da lite temeraria, così sia le parti sia gli avvocati si ridimensionano nelle loro attività. In realtà, devo dire che non riguarda tanto gli avvocati, ma sopratutto le parti, perché poi cominciano quei discorsi per cui non possiamo inibire la tutela giurisdizionale e così via, quindi ingolfiamo i tribunali.

  PRESIDENTE. C’è un'idea, ma in un contesto diverso.

  FABIO ALONZI, Avvocato. In ogni caso, mi chiedo di che tipo di responsabilità e di che tipo di sanzione si tratti. Infatti, una cosa è la condanna alla Cassa delle ammende, come la norma prevista nei ricorsi per Cassazione, un'altra è questa norma, che è scritta ancora peggio – lo dico in modo chiaro ed esplicito – perché parla di temerarietà della querela, che è un tema che non definisce affatto, quindi lo complica ancora di più.
  Insomma, per come è scritta oggi la norma, non si riesce a comprendere che la condanna debba essere a favore dell'imputato. Tuttavia, ci sono più danni nell'articolo 427 che non nel 96, tranne poi indurre i giuristi a domandarsi che tipo di responsabilità sia questa.
  Vorrei poi rispondere all'onorevole Colletti. Rileggendo il testo, a seguito della sua sollecitazione riguardo a chi decide, credo che qualcosa debba essere fatto perché questo è un problema generale che vale anche per la rettifica. Chi si sente diffamato, chiede la rettifica, che oggi è posta come obbligatoria. Il problema è, però, il rapporto tra il primo e il secondo comma dell'articolo 3.
  Chi stabilisce che è diffamatorio ? Noi avevamo detto che ci vuole la sentenza, ma non sembrerebbe che occorra una sentenza che affermi che il contenuto è diffamatorio perché, nel rapporto tra il primo e il secondo comma, quest'ultimo stabilisce che, in caso di rifiuto della cancellazione, ci si rivolge al giudice ex articolo 700. Lei, quindi, ha perfettamente ragione. Lo strumento già esiste, quindi ci si può rivolgere al giudice per ottenere una tutela d'urgenza ex articolo 700 che imponga l'inibizione. A mio avviso, pertanto, questa norma va riconsiderata complessivamente.

  FABRIZIO MERLUZZI, Avvocato. Sull'articolo 96 sono perfettamente d'accordo con l'onorevole. È una triplicazione del risarcimento del danno. Se la lite è temeraria, crea un danno anche allo Stato perché comunque un giudice si deve interessare di essa. Non si crea, quindi, un danno soltanto alla controparte, ma anche all'istituzione e all'amministrazione della giustizia, per cui eventualmente occorre una condanna in favore della Cassa delle ammende.
  Peraltro, se dovete metterci mano, vi segnalo che la malafede è un istituto che nel diritto non esiste: o c’è dolo o c’è colpa grave; «malafede» in una legge non si può leggere.

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  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire anche l'onorevole Businarolo, a cui chiedo di limitarsi a una domanda telegrafica.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Ho sentito che sembra possibile modificare il testo che non è stato cambiato al Senato relativamente all'inciso «fino a euro 15.000» visto che, come dicevano gli auditi, potrebbe essere incostituzionale. Ecco, vorrei capire come si può fare.
  L'altra domanda è collegata alle ultime riflessioni che i nostri auditi hanno fatto sulla modifica dell'articolo 96. Siccome è prevista una mera potestà in capo al giudice di condannare eventualmente l'attore, se questa potestà fosse modificata in un dovere l'articolo avrebbe una valenza diversa ? Peraltro, sono d'accordo che la malafede non esiste nel diritto.

  FABRIZIO MERLUZZI, Avvocato. Vi è sempre un problema di valutazione. C’è un'attività ermeneutica costante in ambito giurisprudenziale. Spetta al giudice stabilire fino a che punto e a quale grado di colpa o di dolo l'azione sia stata esercitata, quindi nel caso in cui vi sia dubbio sulla temerarietà dell'azione – come viene definita qui – il giudice ometterà la condanna perché non vi è una prova o un'intensità del dolo.
  Non è, perciò, discrezionale tout-court, ma nella misura in cui vi sia una prova maggiore o minore del grado di colpevolezza nell'esercizio dell'azione. Infatti, la somma viene determinata in via equitativa, a seconda della fattispecie che si ha di fronte. Ritengo, tuttavia, tecnicamente errato stabilire una nuova forma di risarcimento che non sia in favore delle casse dello Stato nel momento in cui si è attivata una lite che ha creato un danno al convenuto, che viene risarcito sia del danno che gli è stato creato sia di un ulteriore danno in riferimento non si sa bene a quale diritto, se non quello di avere incautamente messo in moto una macchina, che è quella statale, ovvero del giudizio penale o civile.
  Insisto, perciò, sul fatto che il testo licenziato dalla Camera fosse più corretto anche da un punto di vista tecnico.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto a nome della Commissione, anche per aver dato un contributo molto specifico. Vedremo ora quale sarà la possibilità politica di correggere il testo.
  Proseguiamo l'indagine conoscitiva con l'audizione del presidente dell'Associazione nazionale stampa online (ANSO), Benedetto Liberati, accompagnato da Sara Cipriani, consigliere della medesima associazione.
  Do, quindi, la parola al presidente Liberati.

  BENEDETTO LIBERATI, Presidente dell'Associazione nazionale stampa online. Grazie, presidente. Siamo venuti a rispondere alle vostre domande sul documento che ci è stato inviato, ma vorremmo cominciare ponendo alcuni quesiti su alcuni punti che per noi sono fondamentali.
  Innanzitutto, all'articolo 1 si parla di testate on line registrate. Ci interesserebbe, quindi, capire quale dovrebbe essere l'atteggiamento nei confronti di tutte quelle testate e siti internet che non risultano registrati nei tribunali.
  Non so se devo porre tutte le domande...

  PRESIDENTE. La Commissione è qui per avere le vostre osservazioni critiche, non per rispondere a delle domande. Dopodiché, sulla base delle osservazioni critiche cercheremo di vedere se modificare il testo. Pertanto, interpretiamo le vostre domande come osservazioni critiche. Non facciamo domande e risposte. La nostra audizione serve per il contrario: chi viene audito fa i rilievi. Questo, quindi, è un suo primo rilievo.

  BENEDETTO LIBERATI, Presidente dell'Associazione nazionale stampa online. Siccome in altre occasioni ci sono stati posti dei quesiti su alcuni punti, pensavamo l'audizione si svolgesse allo stesso modo. Comunque, non c’è problema.Pag. 16
  Il primo punto riguarda – ripeto – la definizione di testate on line registrate. Per noi, è determinante capire quale dovrebbe essere l'approccio verso quelle non registrate, che sono la maggior parte.
  L'ANSO ha 11 anni e da sempre chiediamo agli editori di essere editori di testate registrate in tribunale, con un direttore responsabile, perché pretendiamo che si dimostri l'ambito professionale nel quale si vuole operare, a differenza di chiunque altro registri un dominio e metta quattro notizie on line.
  Il problema è che da alcuni anni, grazie o a causa della legge Peluffo (16 luglio 2012, n. 103), sempre più testate non si registrano in tribunale in quanto essa prevede, appunto, questa opportunità. Quindi, abbiamo una doppia platea di siti internet. Da una parte, c’è chi si mette in gioco assumendosi le proprie responsabilità; dall'altra, altri che fanno il medesimo lavoro (si potrebbe arrivare a dire che qualcuno lo fa anche meglio), ma non hanno responsabilità, per cui sono equiparati a quelli che, in genere, la politica chiama «blog» o sito internet in genere.
  Noi, invece, vorremmo capire quali sono le differenze perché negli ultimi due anni ci sono state diverse provocazioni da parte di molte testate che hanno proposto di cancellarci tutti dal tribunale. Insomma, temiamo possa passare una norma che va a toccare i cardini solo di quelle testate che già sono sul campo di battaglia, come lo definisco, nel senso che sono già raggiungibili in quanto si sa dove si trova l'editore, la sede e chi è il direttore responsabile.
  Questi editori fanno già un lavoro accorto, dunque dover combattere contro altri editori che non hanno gli stessi requisiti, dovendo rispondere a nuove leggi, mentre altri non lo fanno, per noi rappresenta un'enorme limitazione. Pertanto, se dovesse passare una misura del genere, almeno come provocazione, centinaia di testate si cancelleranno dai tribunali, quindi passeranno dall'altra parte della barricata. Credo che nessuno voglia questo, noi per primi, tuttavia, è chiaro che occorre avere gli strumenti per poter lavorare.
  Inoltre, come dicevo, oggi gli editori fanno già il loro mestiere. Hanno i direttori responsabili, quindi si assumono la responsabilità di quello che scrivono e, di conseguenza, se sbagliano è giusto che paghino. Non diciamo di no a questo perché siamo belli e buoni. Non pretendiamo di essere super partes. Tuttavia, questo è il momento giusto per cercare di bloccare le querele temerarie e intimidatorie, che oggi sono il grande problema di tutte le testate on line.
  Come editori riceviamo migliaia di richieste e centinaia di querele che nella maggior parte dei casi hanno carattere intimidatorio, cioè si cerca di limitare lo spettro d'azione delle testate. Da questo punto di vista, appoggiamo il progetto, anche se vorremmo che fossero fatte delle implementazioni.
  Quanto alle rettifiche, per noi due giorni è un tempo troppo stretto per accedere alla pubblicazione della rettifica. Ovviamente, va bene la rettifica, che c’è sempre stata e ci dovrà essere, ma i tempi devono essere congrui con gli aspetti tecnici di pubblicazione.
  Oltretutto, in alcuni punti si parla di due giorni dalla richiesta e in altri di due giorni dalla ricezione. Naturalmente, la seconda opzione è quella che ha più senso perché dobbiamo poter essere in grado di pubblicare un documento da quando lo riceviamo e non da quando parte dal mittente.
  In ogni caso, devono essere più chiare le modalità tecniche di pubblicazione. Si parla, infatti, di visibilità e rilevanza in maniera troppo generica. Invece, parlando di internet, abbiamo l'opportunità di poter meccanizzare e standardizzare dei criteri, a differenza di quello che può fare un prodotto cartaceo, quindi sarebbe opportuno scendere nel dettaglio delle modalità di pubblicazione.
  Ci sono, poi, alcuni altri punti che non riusciamo proprio a capire. Per esempio, non abbiamo la minima idea di cosa si Pag. 17voglia intendere quando si dice «nel caso in cui la testata giornalistica on line fornisca un servizio personalizzato».
  Un altro problema è quello di dover pubblicare rettifiche senza alcun tipo di modifica e commento, purché non siano documentalmente false. Ora, noi non facciamo i giudici, quindi non dobbiamo fare inchieste per verificare se quello che ci viene inviato sia documentalmente falso o meno. Soprattutto, come ci poniamo nel momento in cui, non potendo modificare alcunché di quello che riceviamo, pubblichiamo qualcosa che leda terzi, di cui non siamo in grado di sapere ?
  Per noi questa modalità può andar bene, ma deve essere definito che la responsabilità unica e ultima di quel contenuto è di chi ci ha costretto a pubblicarlo. A quel punto, possiamo pubblicare tranquillamente quello che ci viene richiesto. In caso contrario, invece, si rischia di innescare un meccanismo di rettifiche e controrettifiche delle rettifiche che non riguarda il mestiere dell'editore.
  Un altro punto su cui vorremmo disquisire riguarda la responsabilità del direttore. I siti web non sono giornali, telegiornali o radio, cioè non hanno un flusso di notizie lineare. In pratica, non siamo in una redazione cartacea, dove il giornale viene chiuso alle 8 di sera e poi alle 11 c’è il rilancio, per cui è possibile dire che fino alle 8 controlla il direttore responsabile, poi dalle 8 alle 11 c’è il vicedirettore, dopodiché la notte c’è il responsabile della notte e così via.
  Questo – ripeto – succede per le televisioni, per i radiogiornali e per tutti gli altri, ma non per il web, perché abbiamo un tipo di pubblicazione non lineare, quindi è impensabile che il direttore responsabile o il vicedirettore siano presenti a controllare a qualsiasi ora del giorno e della notte.
  Soprattutto, nel mondo del digitale è impensabile che si possa – leggo testualmente – «delegare, con atto scritto avente data certa e accettato dal delegato, le funzionalità di controllo a uno o più giornalisti professionisti idonei a svolgere le funzioni di vigilanza di cui al periodo primo». Questo è un meccanismo a dir poco anacronistico.

  PRESIDENTE. Da che cosa le risulta che è anacronistico ?

  BENEDETTO LIBERATI, Presidente dell'Associazione nazionale stampa online. Come ho detto, la pubblicazione dei giornali on line non è lineare come accade per una televisione, una radio o un giornale cartaceo, quindi, non essendo lineare, non è possibile stabilire che fino alle 8 della sera il direttore sta in redazione ed è responsabile o che dopo le 8 se ne occupano altri.
  La redazione è in divenire; il direttore entra, esce e fa altre cose. Abbiamo, per esempio, direttori che sono dipendenti pubblici, per cui nell'orario di lavoro del dipendente pubblico fanno, appunto, quel lavoro, poi escono dall'ufficio...

  PRESIDENTE. Sì, ma c’è una responsabilità penale, che è individuale, quindi occorre un responsabile. La norma è a garanzia...

  BENEDETTO LIBERATI, Presidente dell'Associazione nazionale stampa online. Questo lo possiamo accettare, ma non ha senso dire che deve essere delegato con atto scritto. È un meccanismo non applicabile al web.
  Oltretutto, questo punto parla di delegare con atto scritto uno o più giornalisti professionisti, ma nelle redazioni on line i professionisti sono pochissimi. Siccome esistono i pubblicisti, il testo andrebbe integrato in tal senso.
  In sostanza, per noi va benissimo la responsabilità tout-court del direttore, riteniamo, però, che sia opportuno definire anche la responsabilità di chi scrive l'articolo. Per esempio, in alcune sezioni noi pubblichiamo comunicati stampa o lettere di sindaci, di imprenditori e quant'altro. Ora, questi comunicati stampa sono stati scritti da qualcuno. È importante, quindi, che la responsabilità ultima e vera sia – Pag. 18oltre che sempre del direttore, per un terzo, come avete scritto – di colui che ha redatto quel prodotto.

  PRESIDENTE. È scritto «fatta salva la responsabilità dell'autore».

  BENEDETTO LIBERATI, Presidente dell'Associazione nazionale stampa online. Sì, ma non viene esplicitato bene il punto, per cui se l'autore non è un collaboratore interno o un dipendente, ma un esterno la responsabilità non c’è.
  Invece, dovrebbe essere così non solo se l'articolo è firmato, ma anche quando non lo è ed è platealmente riconducibile a chi l'ha mandato. In definitiva, se l'articolo che è stato pubblicato è stato scritto da qualcun altro, questo deve essere comunque responsabile, sia che l'articolo sia firmato, anche con uno pseudonimo, sia che non lo sia, ma abbiamo in mano gli strumenti che ci possono dire chi lo ha effettivamente scritto (penso a una email o alla disponibilità di un account).
  Inoltre, siamo d'accordo sul fatto che venga riconosciuta al querelato una somma determinata in via equitativa. Almeno, così abbiamo interpretato questo punto, anche se non è chiaro se questa somma vada a favore della Cassa delle ammende, come era precedentemente stabilito. In questo testo non è specificato, quindi immaginiamo vada al querelato.
  Ci sembra strano, però, che questo debba avvenire su richiesta dell'imputato. Nel momento in cui un soggetto è stato querelato per 100.000 o 50.000 euro per un articolo e poi viene riconosciuto innocente, è infatti il giudice che dovrebbe procedere all'ammenda senza una richiesta dell'imputato.
  Un ulteriore aspetto importantissimo riguarda l'articolo 3, là dove si fa riferimento a siti internet e non più a testate on line. Vorremmo, quindi, capire se tornano in ballo tutti i siti, anche quelli non registrati, oppure ci si riferisce a qualsiasi sito internet e motore di ricerca, a cui l'utente può chiedere l'eliminazione.
  Il problema, però, è che non siamo d'accordo che chiunque possa chiedere l'eliminazione. Se è stato scritto un articolo che viene ritenuto diffamatorio da qualcuno, questi farà la querela per diffamazione, ma non può richiedere la cancellazione, che deve avvenire con l'intervento di un organo pubblico. Non può essere il privato a farlo, altrimenti domani mattina, come è successo per il diritto all'oblio con Google, tutti noi riceveremo centinaia e centinaia di richieste di cancellazione al giorno. Da questo punto di vista, credo vada messo un argine.
  Peraltro, si fa riferimento alla privacy, ma non sappiamo cosa c'entri con la pubblicazione di un articolo ritenuto o meno diffamatorio. Se si tratta di un articolo di cronaca che porta dati di persone che sono oggetto di quell'articolo, i dati personali devono rimanere nell'articolo finché questo rimane on line.
  Abbiamo, da ultimo, il comma 3, che dice che in caso di morte dell'interessato la facoltà e i diritti di cui al comma 2 possono essere esercitati dagli eredi – su questo, nulla quaestio – o dal convivente, ma dove si stabilisce chi è convivente di chi ? Visto che nell'ordinamento non abbiamo delle modalità per riconosce il convivente, crediamo sia un punto da eliminare.
  Queste sono le nostre osservazioni. Ho concluso, se non possiamo fare domande sui dubbi che abbiamo.

  PRESIDENTE. Dal momento che non ci sono domande da parte dei deputati, vi ringraziamo per i punti critici che avete voluto portare all'esame della Commissione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.10.