XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Mercoledì 29 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C.2798, RECANTE MODIFICHE AL CODICE PENALE E AL CODICE DI PROCEDURA PENALE PER IL RAFFORZAMENTO DELLE GARANZIE DIFENSIVE E LA DURATA RAGIONEVOLE DEI PROCESSI E PER UN MAGGIORE CONTRASTO DEL FENOMENO CORRUTTIVO, OLTRE CHE ALL'ORDINAMENTO PENITENZIARIO PER L'EFFETTIVITÀ RIEDUCATIVA DELLA PENA, E DELLE ABBINATE PROPOSTE DI LEGGE C. 370  FERRANTI, C. 372  FERRANTI, C. 373  FERRANTI, C. 408  CAPARINI, C. 1285  FRATOIANNI, C. 1604  DI LELLO, C. 1957  ERMINI, C.1966 GULLO, C. 1967  GULLO.

Audizione di Francesco Caprioli, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 4 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 4 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Amoddio Sofia (PD)  ... 14 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 14 
Amoddio Sofia (PD)  ... 14 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 14 
Amoddio Sofia (PD)  ... 15 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Amoddio Sofia (PD)  ... 15 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 15 
Amoddio Sofia (PD)  ... 15 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 15 
Amoddio Sofia (PD)  ... 15 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 15 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 16 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 16 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 16 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 18 
Amoddio Sofia (PD)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Amoddio Sofia (PD)  ... 18 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Caprioli Francesco , Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 12.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Francesco Caprioli, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2798, recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, e delle abbinate proposte di legge C. 370 Ferranti, C. 372 Ferranti, C. 373 Ferranti, C. 408 Caparini, C. 1194 Colletti, C. 1285 Fratoianni, C. 1604 Di Lello, C.1957 Ermini, C. 1966 Gullo e C. 1967 Gullo, di Francesco Caprioli, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino.
  Questa è la penultima audizione. In seguito ci sarà un flash sulla questione della pubblicabilità degli atti riguardanti le intercettazioni, con la presenza di direttori di testate giornalistiche. Questa è l'ultima audizione tecnica su questo complesso disegno di legge.
  Ringraziamo il professor Caprioli per aver accettato il nostro invito di partecipazione. In questa audizione il professor Caprioli illustrerà gli aspetti che ritiene di approfondire. Credo che si concentrerà in particolare sulla parte relativa alle impugnazioni, che è abbastanza delicata.
  Do la parola al professor Francesco Caprioli, ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino, per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Esordisco con una breve precisazione. Molte delle proposte di modifica normativa contenute nel disegno di legge C. 2798, per ciò che riguarda le impugnazioni e non solo, sono state prese in prestito, come sapete, dai lavori della Commissione di riforma presieduta dal professor Riccio negli anni 2006-2008 e della Commissione di riforma presieduta dal presidente Canzio nel 2013.
  Io ho fatto parte di entrambe queste commissioni e, quindi, i miei rilievi critici si rivolgeranno principalmente alle altre proposte e soprattutto a taluni emendamenti che sono stati apportati all'articolato Riccio e all'articolato Canzio, che io ritengo inopportuni.
  Muoverò, però, anche alcune critiche alle soluzioni dell'articolato Riccio e dell'articolato Canzio, sia perché io personalmente non avevo condiviso tutte le conclusioni a cui si era pervenuti nel corso di quei lavori, sia per effetto di qualche riflessione e ripensamento successivi.
  Mi scuso fin dall'inizio per il carattere molto tecnico che avranno certi miei rilievi, ma purtroppo la materia dell'impugnazione Pag. 4è per sua natura estremamente tecnica.
  Comincerei dai commi 5 e 6 dell'articolo 10 del disegno di legge, che intervengono sul regime di impugnabilità del provvedimento di archiviazione, perché contengono delle modifiche rispetto all'articolato Canzio che ritengo alquanto infelici per le ragioni che cercherò di esporre.
  Sappiamo qual è oggi la disciplina dell'impugnabilità del provvedimento di archiviazione. È impugnabile solo l'ordinanza di archiviazione, quella emessa all'esito della camera di consiglio di cui all'articolo 409, comma 2, del codice di procedura penale, nei casi di nullità previsti dall'articolo 127 del codice di procedura penale. Non sembrerebbe impugnabile, invece, il decreto di archiviazione, quello emesso de plano dal giudice per le indagini preliminari a norma del primo comma dell'articolo 409 del codice di procedura penale, e ciò anche quando sia stato emesso in violazione dei diritti partecipativi della persona offesa. La persona offesa, per esempio, ha chiesto di essere avvisata e non è stata avvisata, oppure ha presentato opposizione ma nel frattempo il giudice aveva già deciso. Per tutta questa serie di violazioni dei diritti partecipativi della persona offesa, non è previsto attualmente dal codice alcun regime sanzionatorio e non è prevista l'impugnabilità del decreto di archiviazione.
  La commissione Canzio aveva pertanto deciso di fare due cose: innanzitutto prevedere espressamente le nullità per queste ipotesi di violazione dei diritti partecipativi della persona offesa e in secondo luogo prevedere espressamente l'impugnabilità del decreto. Con una scelta molto innovativa, si era deciso di rendere impugnabile tanto il decreto di archiviazione (in questi casi) quanto l'ordinanza di archiviazione (nei casi in cui già oggi è ricorribile per cassazione) mediante appello anziché mediante ricorso per cassazione.

  PRESIDENTE. Nel merito.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Nel merito: più esattamente, di fronte al giudice di merito, ma sempre nei casi di nullità indicati in precedenza.
  Il disegno di legge introduce invece una sorta di doppio binario: per le ipotesi di nullità del decreto di archiviazione in seguito alle violazioni dei diritti partecipativi della persona offesa si prevede l'applicazione della procedura di correzione dell'errore materiale di cui all'articolo 130 del codice di procedura penale, mentre per le nullità dell'ordinanza di archiviazione si prevede, come nell'articolato elaborato dalla commissione Canzio, un'impugnazione alla corte d'appello con una procedura che non prevede la partecipazione personale delle parti e destinata a concludersi con un provvedimento non impugnabile.
  Ritengo criticabile questa scelta, innanzitutto perché il decreto di archiviazione viene appunto con una procedura di correzione degli errori materiali che è, a ben vedere, molto eccentrica. Infatti, se noi leggiamo la disciplina dell'articolo 130 del codice di procedura penale, scopriamo che la procedura di correzione dell'errore materiale non si applica in caso di nullità. Invece, questi sono proprio casi di nullità.
  Inoltre, la scelta mi pare criticabile perché la correzione dell'errore materiale, come dice la parola stessa, consiste nel correggere un provvedimento dove ci sia un errore, un lapsus calami o qualcosa del genere. Qui, invece, si tratta di annullare un provvedimento.
  Pertanto, la procedura di correzione dell'errore materiale in questo caso mi sembra totalmente fuori luogo. Per di più, è una procedura per la quale si applica l'articolo 127 del codice di procedura penale, cioè la disciplina ordinaria del procedimento in camera di consiglio e, quindi, paradossalmente, una disciplina più garantita e più partecipata di quella prevista invece in corte d'appello per l'impugnazione contro l'ordinanza di archiviazione. Mi sfugge la logica.
  Quanto all'ordinanza, come ho detto, è appellabile, ma c’è una cosa che mi preme segnalare, perché credo sia un errore. La commissione Canzio, nel momento in cui Pag. 5aveva reso appellabile l'ordinanza di archiviazione, aveva anche previsto l'abrogazione del comma 6 dell'articolo 409 del codice di procedura penale, che prevede oggi la ricorribilità per cassazione di quell'ordinanza. Questa previsione abrogativa non è più contenuta nel disegno di legge, per cui, se il testo normativo venisse approvato così com’è, avremmo una singolare situazione. Contro l'ordinanza di archiviazione l'interessato potrebbe proporre appello (per l'emanazione di un provvedimento che poi non sarebbe ricorribile per cassazione) oppure ricorrere per cassazione. Francamente è una situazione che non si verifica mai nel codice. In genere, c’è l'una o l'altra ipotesi. Si può anticipare il giudizio di cassazione con il ricorso per saltum, ma non c’è una situazione nella quale si possa liberamente scegliere di percorrere una strada piuttosto che l'altra. Io credo che la mancata abrogazione del comma 6 dell'articolo 409 sia un lapsus e, dunque, lo segnalo.
  A proposito dei ripensamenti di cui si diceva poc'anzi, io credo comunque che forse si dovrebbe ancora riflettere sull'opportunità di sottrarre alla Corte di cassazione il giudizio su questi reclami contro i vizi della procedura di archiviazione: sia che lo voglia attribuire alla corte d'appello o al giudice che ha emanato il provvedimento di archiviazione, come nel disegno di legge in commento, sia che lo si voglia attribuire al tribunale collegiale, come mi pare sia stato suggerito nel corso di una delle audizioni dal dottor Sabelli.
  Il rischio è che si creino disparità di trattamento di situazioni analoghe, perché non ci sarebbe più la Corte di cassazione a garantire la nomofilachia, cioè un indirizzo interpretativo unitario.
  Su questi temi, per esempio su chi sia destinatario dell'avviso della richiesta di archiviazione, si pongono delicate questioni esegetiche: ad esempio, chi possa realmente definirsi persona offesa in relazione a determinati reati. Ne ha parlato qui, se non sbaglio, il dottor Davigo, citando l'esempio della circonvenzione di incapace: gli eredi sono persona offesa o sono danneggiati ? Sono questioni complesse sulle quali, infatti, si è sviluppata tutta una giurisprudenza della Corte di cassazione, che domani con questa riforma verrebbero decise magari diversamente dalle diverse corti d'appello, senza più una funzione unificatrice della Corte di cassazione. Io dunque suggerirei una riflessione anche in questo senso. Pensiamoci ancora, se sia il caso di sottrarre alla Corte di cassazione il potere di decidere su queste forme di reclamo.
  Una cosa che bisogna certamente fare in sede di emendamenti è coordinare il testo dell'articolo 410-bis che si vuole introdurre con due riforme che sono intervenute nel frattempo, una nel 2013 e una nel 2015. Il dettaglio è fin troppo tecnico, ma mi riferisco, in primo luogo, al comma 3-bis dell'articolo 408, che per i reati con violenza alle persone prevede un termine di venti giorni invece che di dieci giorni per la presentazione dell'atto di opposizione. Pertanto, è necessario richiamare anche il citato comma 3-bis. C’è stato poi il recente inserimento del comma 1-bis dell'articolo 411, in materia di tenuità del fatto. Naturalmente andrebbe richiamata anche questa particolare ipotesi nel regolare il reclamo alla corte d'appello o alla Corte di cassazione.
  Io personalmente proporrei, dunque, una riscrittura abbastanza radicale dell'articolo 410-bis che il disegno di legge intende introdurre. Se lo ritenete utile, invierò il testo alla Commissione.
  In ogni caso, se si ritiene invece irreversibile questa scelta di affidare alla corte d'appello anziché alla Corte di cassazione il sindacato sui vizi del provvedimento di archiviazione, suggerirei di eliminare il riferimento alla procedura di correzione materiale, come già è stato proposto, in questa stessa sede, dal professor Daniele Negri. Al più, se si vuole lasciare allo stesso giudice che ha emanato il provvedimento il compito di valutare se si sono verificate nullità, si costruisca un procedimento ad hoc. Lo si può immaginare in molte forme diverse, e bisognerà immaginare anche che tipo di impugnazione potrà essere esperita contro quel provvedimento. Comunque, eliminerei il riferimento Pag. 6alla procedura di correzione dell'errore materiale, perché altrimenti mineremmo le fondamenta di questo istituto. Non è una correzione, e per di più la legge stabilisce che la correzione non vale nei casi di nullità. Applicare quella stessa procedura sarebbe veramente molto eccentrico dal punto di vista sistematico.
  Inoltre, come dicevo, occorre aggiornare il testo in base alle modifiche intervenute nel 2013 e nel 2015 e abrogare il comma 6 dell'articolo 409 per eliminare quell'incongruenza derivante dalla compresenza dei due mezzi di impugnazione.
  Naturalmente non si possono trattare tutti i temi. Io mi soffermerei allora su due profili particolarmente delicati che riguardano l'appello, ovvero sull'articolo 18. Mi riferisco alla reintroduzione del cosiddetto «concordato sui motivi d'appello» di cui all'articolo 599-bis, che l'articolo 18 si ripromette di introdurre, e alla rinnovazione del dibattimento nel caso di prova dichiarativa.
  L'articolo 18, come già la commissione Canzio, suggerisce di reintrodurre il concordato sui motivi d'appello, ma con alcune varianti rispetto al modello precedente. Questo istituto, come sappiamo, era stato introdotto nel 1988. Era stato dichiarato incostituzionale, poi riscritto e infine abrogato nel 2008. Adesso lo si vuole riproporre, però con due fondamentali differenze rispetto al passato. La prima differenza è che questo concordato sui motivi d'appello sarebbe vietato per gli stessi reati per i quali è precluso il cosiddetto «patteggiamento allargato» a norma dell'articolo 444, comma 1-bis. Inoltre, si prevede che «il procuratore generale presso la corte d'appello, sentiti i magistrati dell'ufficio e i procuratori della Repubblica del distretto, indichi i criteri idonei a orientare la valutazione dei magistrati del pubblico ministero» nel concedere il proprio assenso al concordato.
  A questo proposito bisogna premettere qualche rilievo. Questo è un istituto che ha conosciuto una grave degenerazione nella prassi, ed è anche per questa ragione che nel 2008 era stato abrogato. Esso infatti attentava gravemente al principio di legalità delle pene, nel senso che questo possibile accordo tra le parti in appello sull'accoglimento di alcuni dei motivi finiva per tradursi in un mercanteggiamento sulla pena, con una logica che diventava premiale. La logica era: «Se tu, imputato, rinunci al motivo concernente l'affermazione di responsabilità, io, pubblico ministero, sono disposto, come premio per questa rinuncia, a non oppormi all'accoglimento dell'altro tuo motivo concernente l'attenuazione di pena».
  Tutto questo poi andava sottoposto al vaglio del giudice, il quale, però, di regola assentiva, anche quando vi erano abbattimenti del trattamento sanzionatorio davvero sconcertanti. Io ricordo un processo per estorsioni plurime piuttosto gravi. In primo grado c'era stata una condanna a otto anni di reclusione. Il pubblico ministero ne aveva chiesti dieci e aveva dunque impugnato chiedendo un aggravamento della pena. Dopodiché, tutto si era concluso con un concordato in appello a tre anni di reclusione, per di più coperti da indulto.
  Questo era l'istituto nella prassi. Proprio per questo, si era proposto già nella commissione Canzio di introdurre delle direttive che i procuratori generali dovrebbero dare ai sostituti per non eccedere nel clemenzialismo.
  Io vedo poi – e questa, invece, è una novità apportata solo dal disegno di legge – che è stato escluso il patteggiamento in appello negli stessi casi in cui in primo grado non è possibile effettuare il cosiddetto «patteggiamento allargato», ossia il patteggiamento fino a cinque anni.
  Quell'elenco di reati per i quali non è possibile...

  PRESIDENTE. È lo stesso.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Esatto. È lo stesso.

  PRESIDENTE. Per noi sono i più sensibili.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università Pag. 7di Torino. Sì, però in questo modo si accomunano chiaramente i due istituti, che invece non hanno la stessa natura.
  Siamo d'accordo sul fatto che in primo grado c’è la riduzione fino a un terzo della pena, dunque è un istituto premiale, ma, in appello, il concordato sui motivi non è nato e non dove essere reintrodotto come istituto premiale.
  Invece, se diciamo che non potranno concordare l'accoglimento dei motivi d'appello gli imputati degli stessi reati per i quali non si può patteggiare la pena in primo grado, è chiaro che istituiamo un'evidente correlazione. La logica è questa: «Per questi reati particolarmente gravi e odiosi, mi spiace, ma tu non meriti una riduzione di pena».
  Lo ripeto, non è questa la logica del concordato sui motivi d'appello. Il concordato sui motivi d'appello serve per accelerare una procedura, quando già il pubblico ministero e il giudice accoglierebbero il motivo sulla pena. Questo istituto dovrebbe funzionare solo come strumento di accelerazione di una procedura che sarebbe destinata comunque a concludersi con l'applicazione di una pena ridotta, e non invece come strumento di applicazione di una pena ridotta in funzione e per effetto dell'accelerazione che è stata data alla procedura.
  Istituendo il chiarissimo parallelismo che emerge da quell'elenco di reati ostativi, si accredita invece questa diversa proiezione funzionale dell'istituto.
  Peraltro, come ha già fatto notare in una delle passate audizioni la Professoressa Stefania Carnevale, in quell'elenco non sono inseriti delitti gravissimi come l'omicidio e la strage. Ma è chiaro che non aveva senso inserire quei reati tra i reati ostativi al patteggiamento in primo grado, perché comunque non si riuscirebbe a patteggiare una pena di soli cinque anni per quei gravi reati.
  Così com’è la norma, dunque, domani si potrà concordare in appello l'accoglimento dei motivi in procedimenti per omicidio e per strage e non si potrà in procedimenti per associazione per delinquere finalizzata alla contraffazione di marchi. Che senso ha ? Ha un senso nel patteggiamento in primo grado escludere strage e omicidio, perché comunque non si potrà mai patteggiare una pena per quei gravissimi reati, in quanto non ci si arriva, con le riduzioni di pena, fino a cinque anni. Invece, in appello che senso avrebbe ?
  Quanto all'altro correttivo, ossia le indicazioni dei procuratori generali, l'abbiamo introdotto noi nella commissione Canzio. Tuttavia, come ho fatto notare poc'anzi, la responsabilità di quell'eccesso di clemenzialismo è dei giudici tanto quanto dei pubblici ministeri. Infatti, in un caso come quello che ho menzionato in precedenza bastava che il giudice dicesse che tre anni erano troppo pochi. Invece, i giudici hanno sempre assecondato questa logica.
  Di conseguenza, dove non ha funzionato il controllo giurisdizionale per evitare questo degrado sul piano della legalità della pena, non credo che potrà funzionare il timore di una valutazione negativa di professionalità del pubblico ministero, anche se so che Giovanni Canzio, ad esempio, la pensa diversamente...

  PRESIDENTE. Con la procura c’è un rapporto gerarchico.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Tuttavia, faccio notare che non è prevista una sanzione disciplinare, ma soltanto una valutazione negativa, e soprattutto nella norma c’è scritto: «Fermo restando quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 53», ossia il principio dell'autonomia del pubblico ministero in udienza. Pertanto, io non so bene se alla fine prevarrà la logica dell'indirizzo unitario o quella dell'autonomia del pubblico ministero. Al limite, eliminiamo quell'inciso.
  C’è poi un'altra ragione per cui il concordato sui motivi d'appello era stato soppresso: si temeva un effetto disincentivante rispetto alle richieste di patteggiamento in primo grado. Il difensore poteva ragionare così: «Facciamo il processo di Pag. 8primo grado. È vero che avremo un terzo in più di pena rispetto al patteggiamento, però intanto potremo eccepire le nullità, allungare i tempi, cercare di raggiungere la prescrizione. Tanto poi in appello la pena sarà abbattuta per effetto del concordato sui motivi».
  Questo era uno dei motivi per cui l'istituto era stato eliminato: si era constatato un effetto disincentivante rispetto alla richiesta di patteggiamento in primo grado. Tale effetto, si noti, continuerebbe a verificarsi con quell'esclusione dei reati di cui all'articolo 444, comma 1-bis, perché tutti coloro che possono patteggiare in primo grado fino a cinque anni potranno anche concordare i motivi d'appello, quindi per loro l'effetto disincentivante rimarrà. Non ci sarà più effetto disincentivante per quei pochi che, imputati di un reato compreso in quell'elenco, saranno in condizione di patteggiare fino a due anni, perché in effetti chi si trovi in queste condizioni dovrà patteggiare in primo grado oppure non lo potrà più fare. Tuttavia, mi sembra piuttosto limitato come beneficio per l'economia processuale.
  Riassumendo, si tratta di un istituto che a mio giudizio suscita forti perplessità. Se io dovessi formulare delle richieste, in via principale direi di non reintrodurlo, ma in via subordinata direi di eliminare quantomeno il riferimento ai reati ostativi, che non ha molto senso per la ragione che ho cercato di spiegare.
  C’è poi la questione molto delicata e molto complessa della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, che apparentemente sembra semplice, ma in realtà non lo è. Mi riferisco all'articolo 18, comma 3, del disegno di legge in discussione, che propone di introdurre all'articolo 603 il comma 4-bis, in base al quale, «nel caso di appello del pubblico ministero contro la sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alle valutazioni di attendibilità della prova dichiarativa, il giudice, quando non ritiene manifestamente infondata l'impugnazione, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale».
  Questa è una norma che già nella commissione Canzio noi abbiamo scritto, come si dice, sotto dettatura della Corte europea. Come sappiamo, la Corte europea non è intervenuta sul sistema italiano, ma, con riferimento al processo moldavo e rumeno – se non ricordo male, ci furono quattro sentenze, tre contro la Romania e una contro la Moldavia – ha affermato: «Non è tollerabile che un imputato prosciolto in primo grado, perché non sono state ritenute sufficienti le prove dichiarative a suo carico, venga condannato in appello da un giudice che non ha disposto la riassunzione di quelle prove». Questo rientra in effetti nella logica del processo accusatorio. La linfa del processo accusatorio non è solo il contraddittorio, ma anche l'oralità e l'immediatezza, cioè l'esigenza che il giudice che decide sia lo stesso che ha assistito al formarsi della prova. Invece, qui abbiamo un rovesciamento di un giudizio dato dal giudice che ha assistito alla formazione della prova da parte di un giudice che, invece, valuta solo le carte. Pertanto, si è detto: «Prima che la Corte intervenga anche sul nostro ordinamento, interveniamo sull'articolo 603 e stabiliamo che ogni volta che il pubblico ministero appella contro una sentenza di proscioglimento, perché il giudice di primo grado ha ritenuto non sufficienti le prove dichiarative a carico dell'imputato, il giudice d'appello sia obbligato a disporre la rinnovazione».
  Ho visto che nel corso di queste audizioni sono emersi in proposito due orientamenti diversi, uno espresso da Rodolfo Sabelli, che si ispira a una certa giurisprudenza della Corte di cassazione, e l'altro espresso da Giovanni Canzio, Daniele Negri e altri.
  Rodolfo Sabelli si chiede se davvero sia sempre necessaria la rinnovazione della prova dichiarativa per rovesciare una sentenza di assoluzione e trasformarla in sentenza di condanna.
  Vi faccio un semplice esempio: Tizio è stato assolto nonostante esistessero a suo carico le dichiarazioni di Caio, che erano dichiarazioni precise, reiterate, disinteressate e, insomma, in sé assolutamente attendibili. Tuttavia, Tizio ha addotto una prova d'abili che ha instillato nel giudice Pag. 9un ragionevole dubbio circa la sua colpevolezza. Tizio, quindi, è stato prosciolto, nonostante il giudice di primo grado avesse ritenuto attendibile il testimone Caio.
  Se successivamente il pubblico ministero appella attaccando solo la prova d'alibi – magari adducendo nuovi decisivi elementi probatori a sua confutazione – resteranno solo quelle dichiarazioni che già in primo grado erano state ritenute attendibili. Ci si domanda, allora: perché, per condannare, il giudice d'appello dovrebbe assumere nuovamente la prova dichiarativa ?
  Magari a quel testimone in primo grado era già stato contestato il fatto che l'imputato adduceva una prova d'alibi, ma lui aveva continuato a ribadire di aver riconosciuto con certezza nell'imputato la persona che, supponiamo, aveva commesso la rapina. In un caso come questo, ci si potrebbe chiedere, se cade la prova d'alibi in appello, perché rinnovare ?
  Qualcuno, come Giovanni Canzio e Daniele Negri, ritiene che comunque andrebbe rinnovata quella prova, perché il quadro probatorio è comunque mutato e allora bisogna risentire il testimone. Anch'io, sostanzialmente, la penso così.
  Altri, invece, credono che la prova non andrebbe rinnovata. In questo senso si è orientata una giurisprudenza della Corte di cassazione, che ha affermato che quando il giudice di primo grado ha ritenuto in sé e per sé attendibili le dichiarazioni accusatorie, pur non pervenendo alla condanna, si può rovesciare in appello quel giudizio proscioglitivo senza procedere alla riassunzione.
  Tutta questa premessa serve a farvi capire il senso di un'espressione che c’è nella norma che stiamo analizzando: «valutazione di attendibilità». Noi, nella Commissione Canzio, avevamo scritto «valutazione delle dichiarazioni».
  Inserendo quel riferimento all'attendibilità, si è voluto ottenere proprio questo risultato. La rinnovazione non si dispone sempre: la rinnovazione si dispone solo quando il pubblico ministero attacca la valutazione (negativa) di attendibilità intrinseca del testimone compiuta dal giudice di primo grado e non quando l'attendibilità intrinseca è già stata riconosciuta da tale giudice.
  Io ritengo che sia sempre opportuno procedere alla nuova audizione del testimone, per le ragioni che hanno già spiegato in questa sede Giovanni Canzio, Daniele Negri e forse altri. Ma comunque, temo che quel riferimento all'attendibilità potrebbe non essere sufficiente a far ottenere il risultato che si vuole ottenere, perché si potrebbe dire che tutte le volte che non si condanna l'imputato, pur sussistendo dichiarazioni accusatorie a suo carico, in realtà si ritengono quelle dichiarazioni non attendibili.

  PRESIDENTE. Complessivamente.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Esatto. In fondo, è un giudizio di inattendibilità che io ho dato al testimone. In altre parole, «prova dichiarativa ritenuta non sufficiente per la condanna» può essere intesa come sinonimo di «prova ritenuta inattendibile».
  Di conseguenza, non basta quell'accorgimento per ottenere il risultato sperato. Io preferirei, lo ripeto, che fosse sempre risentito il testimone, ma, se volessi ottenere quel risultato, adotterei una formula diversa, che ho anche provato ad abbozzare e che consegno alle vostre valutazioni: «nei casi di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento, il giudice, anche d'ufficio, quando occorre effettuare una nuova valutazione di prove dichiarative già acquisite nel dibattimento di primo grado, ne dispone la riassunzione». In questo modo, valuterà il giudice, caso per caso, se si debba procedere oppure no alla rinnovazione, sulla base di un parametro («quando occorra eccetera») che mi sembra sufficientemente rassicurante anche per la difesa. Infatti, questo «quando occorra», letto anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea, vorrà dire «quando non sia manifestamente superflua e irrilevante l'audizione».Pag. 10
  Peraltro, un criterio analogo è già previsto nel vigente articolo 604, comma 6, nell'ipotesi in cui in appello venga rovesciata una sentenza di primo grado di estinzione del reato o di improcedibilità. Se in primo grado era stata dichiarata, ad esempio, l'estinzione del reato, e il giudice d'appello si accorge che il reato non è affatto estinto, in quella ipotesi si dice che il giudice, «occorrendo», ordina la rinnovazione del dibattimento. Pertanto, è un parametro che il legislatore già conosce.
  C’è poi un altro caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa sembrerebbe inutile in presenza di un appello del pubblico ministero. Mi riferisco all'altro inciso: «quando non ritiene manifestamente infondata l'impugnazione». Per quali ragioni è stato introdotto questo inciso, che non c'era nell'articolato Canzio ? Immaginiamo un pubblico ministero che appella contro una sentenza di proscioglimento, che ha prosciolto l'imputato perché le dichiarazioni testimoniali esistenti a suo carico erano scarsamente attendibili e, per di più, esisteva una prova d'alibi formidabile. Se il pubblico ministero appella attaccando la valutazione negativa della prova dichiarativa, ma senza nulla eccepire in ordine a quella prova d'alibi, perché mai dovremmo nuovamente sentire i testimoni ? Qualunque esito abbia quella rinnovazione, ci sarà sempre la prova d'alibi a impedire la condanna.
  Per soddisfare questa esigenza, il disegno di legge dice: «quando non sia manifestamente infondata». Tuttavia, questa formula, anche nel corso delle audizioni, è stata molto criticata, e giustamente, perché si confonde una valutazione di ammissibilità della prova con una valutazione di ammissibilità dell'impugnazione, e si innesta in piena udienza d'appello un giudizio di manifesta infondatezza dell'impugnazione.
  Come sappiamo, la manifesta infondatezza dell'appello non è neanche una causa di inammissibilità dell'appello, ma è solo una causa di inammissibilità del ricorso per cassazione. In ogni caso, è molto singolare che un giudice in piena udienza, di fronte a un pubblico ministero che chiede la rinnovazione del dibattimento e la riassunzione della prova dichiarativa, neghi la rinnovazione dichiarando che l'appello del richiedente è manifestamente infondato. Dopodiché, cosa si fa ? Si va avanti, nonostante il giudice abbia già detto che l'appello è manifestamente infondato ? Sinceramente, questa strana commistione tra il giudizio di ammissibilità della prova e il giudizio di ammissibilità dell'impugnazione mi sembra molto infelice. Anche in questo caso, la formula che suggerivo io – «quando occorre effettuare una nuova valutazione della prova» –, che invece attiene strettamente all'ammissibilità della prova, potrebbe essere più rassicurante.
  C’è poi il problema della declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione. Il disegno di legge riprende l'articolato Canzio, cioè attribuisce al giudice che ha emanato il provvedimento il potere di dichiarare l'inammissibilità in una serie di casi di inammissibilità formali. Non nel caso della mancanza di interesse a impugnare e non nel caso della specificità dei motivi, ma in tutti i casi di inammissibilità formale si attribuisce al giudice a quo il compito di dichiarare l'inammissibilità.
  Anche su questo ci sono state critiche, che io in parte condivido. Il giudice che ha emanato il provvedimento non è proprio il giudice più adatto a valutare se è ammissibile o meno l'impugnazione, perché c’è una naturale tendenza a preservare gli effetti del proprio provvedimento, come è ovvio. Inoltre, questi casi di inammissibilità formale, che vengono spacciati come di facile e pronta diagnosi, non sempre lo sono.
  C’è poi un problema che anche il presidente Canzio – autocriticamente – è venuto a illustrare qui, dicendo che forse non ci si era pensato a sufficienza nel corso dei lavori della sua Commissione e che ora è necessario porvi rimedio.
  Abbiamo detto che l'inammissibilità viene dichiarata, peraltro con una procedura senza formalità, anche d'ufficio, dal giudice a quo. In questo modo si risparmia tempo, in quanto i tempi morti del passaggio Pag. 11al giudice ad quem e le impugnazioni meramente dilatorie dovrebbero venir meno. Questa ordinanza di inammissibilità può essere però impugnata in Cassazione, anzi si dice proprio che una compensazione rispetto alla deformalizzazione della procedura risiede nel fatto che è possibile il ricorso per Cassazione. Ma se questo è vero, forse non si ricavano eccessivi benefici sul piano della deflazione.
  Nel corso delle audizioni voi avete sentito due diversi suggerimenti per uscire da questa impasse. Il primo è quello del dottor Sabelli, che vi ha detto: «Rendiamo quell'ordinanza di inammissibilità, pronunciata dal giudice a quo, non impugnabile». Ciò significa che la sentenza passa in giudicato e diventa esecutiva, dopodiché, se il condannato avrà qualche lamentela rispetto a quella dichiarazione di inammissibilità della sua impugnazione, si rivolgerà al giudice dell'esecuzione. La proposta avanzata da Giovanni Canzio in Commissione è invece quella di prevedere una sorta di reclamo allo stesso giudice che abbia pronunciato l'inammissibilità, il quale deciderebbe senza sospensione dell'esecuzione e con un provvedimento non più impugnabile.
  Queste sono le due soluzioni che sono state prospettate in questa stessa Aula. Io però sono estremamente contrario a entrambe.
  Stiamo parlando di un tribunale che pronuncia una sentenza. Se io faccio appello contro questa sentenza, l'inammissibilità dell'appello può essere dichiarata senza formalità dal tribunale. Allora, io mi lamento di quell'inammissibilità che è stata dichiarata. Ma con chi me ne lamento ? Secondo Canzio, con lo stesso tribunale, investito di un apposito reclamo. Secondo Sabelli con il giudice dell'esecuzione. Ma il giudice dell'esecuzione, di regola, è lo stesso giudice che ha emesso la sentenza, cioè il tribunale.
  In tal modo, il giudice che pronuncia il provvedimento svolgerebbe tre diverse funzioni: sentenziare, dichiarare inammissibile l'impugnazione e poi dichiarare inammissibile anche l'impugnazione contro l'ordinanza di inammissibilità. Diventerebbe una sorta di sovrano del passaggio in giudicato della sentenza, che peraltro ha emanato lui stesso. Io lo trovo molto preoccupante. Non si può affidare al giudice che ha emanato il provvedimento la decisione sull'impugnazione e poi anche sull'ordinanza con la quale egli stesso ha dichiarato inammissibile l'impugnazione.
  Queste sono le proposte che io mi auguro non verranno recepite dalla Commissione. Tuttavia, faccio notare che qualcosa del genere potrebbe succedere anche approvando il testo del disegno di legge in discussione così com’è. Nei casi di inammissibilità formali, quelli dichiarati con ordinanza dal giudice a quo, l'ordinanza di inammissibilità è ricorribile per cassazione. Ma chi è che dichiara l'inammissibilità formale del ricorso contro l'ordinanza di inammissibilità ? A leggere l'articolo 591 del codice di procedura penale, sembrerebbe lo stesso giudice a quo.
  Capisco che sembra un gioco di scatole cinesi, ma l'ipotesi è questa: il tribunale sentenzia, il condannato fa appello e il tribunale dichiara inammissibile l'appello. A quel punto, il disegno di legge prevede la possibilità del ricorso per cassazione contro quest'ordinanza di inammissibilità. Tuttavia, l'inammissibilità formale del ricorso per cassazione sembrerebbe poter essere dichiarata di nuovo dal tribunale.
  Mi limito a sottoporre il problema alla vostra attenzione. Leggendo l'articolo 591 del codice di procedura penale, così come è stato riscritto, io capisco che anche i ricorsi contro l'ordinanza di inammissibilità possono essere dichiarati inammissibili dal giudice a quo. Di nuovo, si determina quel fenomeno del giudice che decide sovranamente sul passaggio in giudicato del «suo» provvedimento. Questo mi lascia perplesso.
  Procederò oltre molto rapidamente, anche perché mi pare che le cose che volevo dire siano già state dette in precedenti audizioni.
  Anche qui ci sono esigenze di coordinamento. Questa disciplina nuova dell'inammissibilità dell'impugnazione andrebbe infatti coordinata con l'articolo 648 del codice di procedura penale, che spiega Pag. 12quando passa in giudicato la sentenza, e con l'articolo 670 del codice di procedura penale, che è una delle norme più complicate dell'intero Codice di procedura penale. Io tremo ogni volta che devo spiegare a lezione l'articolo 670, che riguarda una dinamica di rapporti tra giudice dell'esecuzione e giudice dell'impugnazione, che credo andrebbe rivista alla luce della nuova disciplina.
  Come è già stato detto, poi, la lettera l) del comma 1 dell'articolo 25 contiene una direttiva di delega volta a prevedere che l'inammissibilità dell'appello sia dichiarata in camera di consiglio con l'intervento del pubblico ministero e dei difensori. Questa direttiva di delega sembra contrastare con la logica del «nuovo» articolo 591 del codice di procedura penale. Noi stiamo per introdurre una norma che dispone, invece, che quell'inammissibilità viene dichiarata senza formalità, anche d'ufficio. Occorre un coordinamento tra queste due norme. Forse si tratta semplicemente di integrare la direttiva contenuta nella lettera l) del comma 1 dell'articolo 25 dicendo che vale soltanto per le inammissibilità dichiarate dal giudice ad quem, perché altrimenti avremmo un'aperta contraddizione fra due norme contenute nello stesso disegno di legge.
  Io ho toccato i punti fondamentali, o meglio quelli sui quali volevo maggiormente approfondire. Posso fare una rapidissima carrellata di pochi minuti sul resto, se lei, Presidente, mi indica i tempi.

  PRESIDENTE. Ha ancora cinque minuti. In seguito, porremo delle domande noi. Prima però, vorrei chiederle una cosa.
  C’è ancora un grosso nodo da sciogliere sulla questione del giudizio di ammissibilità dell'impugnazione da parte del giudice che ha emesso il provvedimento. Ci sono critiche su questo punto, a cui oggi si aggiunge anche la sua.
  Tuttavia, nella ratio del provvedimento questo nasce per semplificare. Noi non ci possiamo nascondere il problema del collo di bottiglia delle corti d'appello e della Corte di cassazione. Si è voluto trovare una strada, forse errata, per cercare di semplificare, o comunque di sfoltire, quelle impugnazioni che sono manifestamente infondate. Altrimenti, ci teniamo il sistema com’è, ma siamo gli unici che hanno impugnazioni a iosa.
  Dobbiamo trovare un sistema che sia di garanzia, ma al tempo stesso ci consenta di semplificare. Se non si trova, bisogna soltanto ampliare le piante organiche della magistratura. Non c’è un'altra soluzione.
  C’è una soluzione a cui avete pensato che in qualche modo possa risolvere questo problema, che esiste ?
  Lasciamo perdere questo giudizio del giudice a quo, che anche a me dà un senso di ristrettezza. In quel caso, il giudice a quo dovrebbe essere asettico.
  Nella parte della delega sulle impugnazioni si chiede, anche per l'appello nel penale, una sorta di «percorso motivazionale» per temi o per argomenti, come avviene già nel civile.
  Io penso che questo provvedimento voglia affrontare il problema dei tempi del processo. In primo grado i tempi non si possono accorciare più di tanto, perché c’è la raccolta massima delle prove.
  Si può, senza incidere sulle garanzie, fare in modo che l'impugnazione sia qualcosa di più serio e non meramente dilatorio ? Pongo questo quesito a titolo personale, non da parte della Commissione.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. In sé, quella di trasferire al giudice a quo almeno alcune delle declaratorie di inammissibilità non è un'idea infelice. Non per niente, alla fine l'avevamo condivisa quasi tutti all'interno della Commissione Canzio. Infatti, senz'altro elimina i tempi morti del passaggio al giudice ad quem. Perché bisogna andare fino alla corte d'appello, quando lo stesso tribunale potrebbe rendersi conto dell'inammissibilità ?

  PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Peraltro, in altri ordinamenti mi pare che sia così. Nell'ordinamento anglosassone e in quello americano – non so se valga anche per l'ordinamento tedesco, ma Pag. 13sicuramente lei lo saprà meglio di me – c’è proprio questo vaglio da parte del giudice che ha emesso il provvedimento, che quindi conosce. Il giudice non ha un interesse al provvedimento.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. I vantaggi ci sono: si eliminerebbero, lo ripeto, i tempi morti del passaggio degli atti al giudice ad quem e ci sarebbe un effetto disincentivante per le impugnazioni meramente dilatorie. Noi sappiamo che oggi con un'impugnazione inammissibile almeno si guadagna il tempo richiesto per il passaggio degli atti al giudice dell'impugnazione, anche se poi l'impugnazione verrà dichiarata inammissibile.
  Si tratta solo di sciogliere questo nodo: che tipo di impugnabilità prevedere per l'ordinanza di inammissibilità ?

  PRESIDENTE. Andare direttamente in appello.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. No. Si potrebbe consentire, come si è previsto, il ricorso per Cassazione, anche se a questo punto qualcosa si perderà in termini di moneta processuale, perché qualcuno non si accontenterà dell'inammissibilità dichiarata dal giudice a quo e andrà in Cassazione.
  Oppure, si potrebbe intervenire più radicalmente, rendendo inoppugnabile quell'ordinanza di inammissibilità. Ma questo, come ho detto, mi spaventa un po’ sinceramente. Si potrebbe rendere l'ordinanza di inammissibilità inoppugnabile, come proponeva il dottor Sabelli, oppure creare una sorta di reclamo al giudice del provvedimento, come proponeva Giovanni Canzio, costringendo questo stesso giudice – lo ripeto – a pronunciarsi tre volte. La mia proposta è di mantenere questa distinzione tra giudice a quo e giudice ad quem, consentendo però il ricorso per Cassazione, la cui inammissibilità non potrebbe essere dichiarata dal giudice a quo. Magari si potrebbe prevedere un apposito emendamento all'articolo 591. Il giudice dell'impugnazione potrà dichiarare l'inammissibilità, ma non dei ricorsi contro le ordinanze di inammissibilità che lui stesso ha emesso.
  È interessante lo spunto relativo alla direttiva di cui all'articolo 25, comma 1, lettera h), del disegno di legge A.C. 2798. Nella Commissione Canzio, soprattutto il professor Spangher aveva suggerito di rendere più articolata e più «per punti» la motivazione della sentenza e di prevedere una modifica dell'articolo 581 del codice di procedura penale (presentazione dei motivi di impugnazione), in cui a questa maggiore articolazione della sentenza corrispondesse un'articolazione più puntuale dei motivi. Invece, il disegno di legge non è intervenuto sull'articolo 581 e ha trasferito alla direttiva di delega il compito di prevedere la proponibilità dell'appello solo per uno o più dei motivi tassativamente previsti.
  Mi sembra di capire che si fa un grosso salto di qualità rispetto alla soluzione della Commissione Canzio. Sembrerebbe che si voglia limitare la devoluzione all'appello dei soli motivi d'appello, cioè trasformare l'appello in un'impugnazione «a critica vincolata», come è il ricorso per Cassazione. Il giudice d'appello, che oggi decide liberamente sui punti investiti, non essendo vincolato alle richieste, si trasformerebbe in un giudice che decide sulle richieste, cioè sui motivi.
  Questa è una riforma radicale, perché bisognerebbe chiedersi tante cose. Bisognerebbe chiedersi se in appello l'alternativa decisoria diventerà esclusivamente conferma o annullamento, oppure ci saranno ancora spazi per sentenze di riforma. Occorrerebbe chiedersi se la rinnovazione del dibattimento dovrà essere limitata alle prove sopravvenute o scoperte oppure no. Ci sono questi e tanti altri interrogativi, che il legislatore delegato, sulla base di questa direttiva, dovrà sciogliere.
  Io ritengo di condividere le critiche di eccessiva genericità che già sono state mosse in questa sede alla direttiva. Forse bisognerebbe fare uno sforzo di maggiore Pag. 14analiticità nella direttiva. Per rispondere alla sollecitazione che era stata fatta sull'articolo 25, comma 1, lettera h), mi pare, insomma, che siamo alle soglie di una svolta epocale per ciò che riguarda l'appello, che però è da compiere sulla base di una direttiva molto generica che lascerà molti dubbi.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SOFIA AMODDIO. Grazie veramente per l'approfondimento molto critico, che ci dà da riflettere molto.
  Partiamo dalla sua ultima affermazione. Lei parla di una delega troppo generica nella lettera h), comma 1, dell'articolo 25. Sono d'accordo, perché, letta in questo modo, costituirebbe una sorta di eliminazione dell'appello.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. C’è un'eliminazione dell'appello per come lo conosciamo, con una struttura che è ancora quella del mezzo di gravame piuttosto che quella dell'azione di impugnativa.
  Oggi il giudice dell'appello, anche se la sua cognizione è limitata ai punti di sentenza investiti dai motivi, all'interno di quei punti può spaziare liberamente. Così, invece, si tratterebbe di prevedere, come per il ricorso per Cassazione, una serie di motivi. Il primo compito molto arduo sarebbe proprio individuare questi motivi.

  SOFIA AMODDIO. Certo. Lei avrebbe un suggerimento per specificare questa lettera h), oppure la casserebbe ? Infatti, mantenere la lettera h) vuol dire riformare veramente in toto l'appello, senza dare indicazioni precise.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. C’è chi ha lavorato molto su questi temi e ci sono delle proposte frutto di progetti di ricerca. Io non l'ho mai fatto in prima persona, ma so che qualcuno ha riflettuto molto, per esempio, sull'individuazione di questi motivi.
  Il primo compito, estremamente arduo, è proprio quello di individuare l'elenco dei motivi. Qualcuno ha detto anche in questa sede che è un compito troppo arduo e di fatto impossibile, perché qualcosa resterà inevitabilmente fuori.
  Si può immaginare che sarà un elenco in parte corrispondente a quello dei motivi di ricorso per Cassazione, che comprenderà anche le ipotesi di nullità che già oggi, ai sensi dell'articolo 604, possono essere dichiarate in appello. Penso poi a un motivo concernente l'erronea ricostruzione del fatto, che potrà essere rivalutata in appello anche nel merito. Questo limite non dovrà essere superato, nel senso che l'appello dovrà rimanere ovviamente un giudizio di merito. Non si tratterà semplicemente, come in Cassazione, di vagliare la logicità della motivazione e di verificare se il giudice ha applicato una regola di esperienza che rientra nei limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento. Si tratterà comunque di rifare il giudizio di merito, e bisognerà dunque individuare esattamente il motivo che consente di effettuare questo nuovo giudizio. Io penso a qualcosa come la «erronea ricostruzione del fatto», ma non sono in grado di offrire un'indicazione più precisa a questo riguardo.
  Inoltre, ci sarebbero degli altri nodi da sciogliere, forse già in sede di direttiva, come dicevo. Per esempio, si potrebbe prevedere la rinnovazione del dibattimento soltanto per le prove sopravvenute o scoperte, oppure si potrebbe prevedere già in sede di direttiva quali potrebbero essere le decisioni terminative di questo nuovo giudizio d'appello, se solo annullamento o conferma oppure anche riforma.
  Forse poi, in questa nuova ottica, si potrebbe prevedere, per esempio, una causa di inammissibilità dell'appello per manifesta infondatezza, che è la vecchia proposta che aveva fatto a suo tempo Giovanni Canzio, ma non è mai stata recepita. Forse in questa nuova ottica, si potrebbe ragionare sull'introduzione di Pag. 15un'inammissibilità per manifesta infondatezza anche per l'appello. Su questo, però, confesso qualche mia incertezza.

  SOFIA AMODDIO. Le pongo un'altra domanda. Lei ha evidenziato la discrasia tra le disposizioni di cui all'articolo 17 del disegno di legge e il comma 5-bis dell'articolo 610 del codice di procedura penale che verrebbe introdotto dall'articolo 19 del disegno di legge, cioè tra i casi di inammissibilità del ricorso pronunciato dalla corte d'appello e l'inammissibilità del ricorso del giudice a quo. Parliamo dell'articolo 17, che modifica l'articolo 591 del codice di procedura penale. Il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, il giudice a quo, anche d'ufficio potrebbe dichiarare l'inammissibilità.
  Io condivido le critiche che lei ha posto, perché ciò è abbastanza «pericoloso». Tuttavia, l'inammissibilità è motivata quando il provvedimento non è impugnabile, quando c’è una rinuncia all'impugnazione o quando l'impugnazione è posta da persona non legittimata o che non ha un interesse ad agire. In questi tre casi, effettivamente si tratta di un'inammissibilità istantanea e palese, che potrebbe essere pronunciata dal giudice a quo.
  Pertanto, non ritiene che si potrebbe eliminare dalla pronuncia di inammissibilità del giudice a quo solamente i casi di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 591, che richiama il 581, il 582 eccetera, per esempio quando non sono indicati i capi della sentenza impugnati o l'oggetto ? È più una natura di merito, che il giudice non può decidere sic et simpliciter.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. L'idea è quella di procedere ancora a un'opera di delimitazione di questi poteri, senza escluderli del tutto.

  PRESIDENTE. La lettera b) non è impugnabile.

  SOFIA AMODDIO. La lettera b) non è impugnabile. È evidente.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Sì. Credo che ci sia qualche dubbio in più sulla legittimazione e anche sui termini.

  SOFIA AMODDIO. Quando c’è rinuncia all'impugnazione.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Direi che sull'ipotesi di rinuncia all'impugnazione possiamo stare abbastanza tranquilli.
  Si può ragionare ancora su questo. Noi ne avevamo discusso a lungo nella commissione. In effetti, credo di ricordare che ci fosse chi era un po’ preoccupato della conclusione a cui eravamo pervenuti, che consisteva nel lasciare fuori soltanto i casi più critici, cioè l'interesse a impugnare e il difetto di specificità dei motivi.

  SOFIA AMODDIO. Intende lasciare fuori solo la lettera c) ?

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Io lascerei fuori quantomeno anche la disciplina dei termini, che è molto complicata, e quella della legittimazione, mentre le inammissibilità legate alle forme, alle modalità di presentazione e all'inoppugnabilità oggettiva potrebbero essere pronunciate dal giudice a quo.
  Come ho cercato di far capire, più che...

  PRESIDENTE. Più che l'impugnazione, il problema è chi controlla.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Esatto. Il problema sono i poteri del giudice e chi li controlla.
  Anche la più banale e la più apparentemente scontata inammissibilità potrebbe essere valutata male dal giudice dell'impugnazione. Se poi è lui, che peraltro, come abbiamo detto, tenderà a difendere Pag. 16la sua sentenza, a dover dire la parola definitiva su quell'ammissibilità, questo potrebbe essere problematico.
  Pertanto, io lavorerei più sulla ricorribilità per Cassazione, almeno dell'ordinanza di inammissibilità. Ripeto ancora una volta che l'inammissibilità del ricorso per Cassazione non potrebbe essere dichiarata a sua volta dal giudice.

  ALFREDO BAZOLI. A me pare che l'ordinanza di inammissibilità del giudice a quo sia stata introdotta proprio sulla falsariga di un'esperienza ormai consolidata in altri Paesi, in cui c’è un filtro iniziale da parte del giudice, che ha avuto la possibilità di studiare e vedere le cose e, quindi, ha forse più facilità e velocità nel valutare alcuni profili di inammissibilità.
  Da questo punto di vista, a me pare che un obiettivo filtro che può consentire una deflazione notevole delle lungaggini delle procedure, anche in presenza di una ricorribilità per Cassazione del provvedimento di inammissibilità, rimane.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Certo. Non si ricorrerà sempre per Cassazione.

  ALFREDO BAZOLI. Credo che da questo punto di vista, con gli accorgimenti che si possono immaginare e fermo restando che anch'io sono assolutamente dell'idea che è necessaria una valutazione di legittimità dell'ordinanza di inammissibilità da parte della Corte di cassazione, anche così possa rimanere in piedi. Non so se lei è d'accordo su questo.
  Sul tema del concordato con rinuncia dei motivi in appello, dalla sua relazione mi sembrava di capire che lei ritenesse che, laddove questo venga considerato un istituto finalizzato a ottenere uno sconto di pena, allora è un istituto che non si giustifica e non ha senso. Invece, laddove venga considerato, come dovrebbe essere, un istituto finalizzato a garantire un'accelerazione dei tempi, perché la pubblica accusa e la difesa sono d'accordo sul fatto che è verosimile che qualcuno dei motivi di impugnazione verrà accolto alla fine, è un istituto che potrebbe avere un suo significato, in quanto consentirebbe una deflazione, un'accelerazione eccetera.
  Tuttavia, alla fine lei conclude dicendo che sarebbe il caso di eliminarlo totalmente. Pertanto, lei ritiene che questo istituto non sia modificabile o emendabile in modo da indirizzarlo precisamente nella natura che lei suggeriva ?
  Non si potrebbe magari scrivere più chiaramente che il pubblico ministero può accedere a questa facoltà, laddove ritenga che alcuni di questi motivi d'impugnazione abbiano una prognosi di accoglimento in esito al procedimento ?
  La terza domanda riguarda un tema molto delicato di cui abbiamo parlato qui in altre audizioni. Non so se ha già toccato questa questione, perché sono arrivato un po’ in ritardo in audizione. Mi riferisco alla data d'iscrizione delle notizie di reato.
  Per risolvere un problema che nella pratica si è evidenziato diverse volte, ovvero la difficile controllabilità della durata delle indagini preliminari, la commissione Canzio aveva ipotizzato una verifica da parte del giudice, con la possibilità di retrodatare anche la data d'iscrizione, e l'utilizzabilità di tutti gli atti di indagine successivi.
  Dopodiché, qui sono arrivati procuratori e giudici per le indagini preliminari anche di tribunali molto significativi, i quali sostanzialmente ci hanno detto che questa proposta è inapplicabile o pericolosa per la conduzione delle indagini.
  È inapplicabile, perché i giudici per le indagini preliminari hanno detto che loro non sono in grado di fare una verifica di questo genere. Loro hanno detto: «Non siamo attrezzati. Non siamo in grado. È impossibile».
  I procuratori, dal canto loro, hanno detto: «È chiaro che ci deve essere un margine di discrezionalità per la data d'iscrizione a carico del pubblico ministero, perché altrimenti noi dovremmo iscrivere ogni volta che ci arriva una notizia di reato e questo sarebbe pericoloso. Pag. 17Dovremmo iscrivere mezzo mondo, perché a noi arrivano notizie di ogni tipo».
  Il procuratore di Milano ha fatto un esempio classico, dicendo: «Se a noi arriva un esposto che riguarda una società quotata in borsa, io dovrei iscrivere nel registro degli indagati fin da subito presidente, amministratore delegato, consiglio d'amministrazione e sindaci. Io, invece, prima voglio fare una valutazione che mi consenta di capire».
  Pertanto, hanno detto che è impossibile.
  Su questo punto, che secondo me è molto delicato, perché l'esperienza di tanti professionisti e tanti avvocati ci dice che su questa questione qualche deriva e qualche abuso si registra, vorrei capire qual è, invece, la sua opinione.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Tornando al concordato sui motivi d'appello, io credo che i correttivi non servirebbero. C’è un'attrazione fatale verso il risparmio di tempi processuali. Penso soprattutto alla motivazione della sentenza d'appello sul motivo in fatto, che invece viene ritirato per effetto della rinuncia. Pertanto, la logica premiale finirebbe per prevalere.
  Secondo me, questo è un istituto che è stato inteso male fin dall'inizio. Anche il fatto che lo si sia definito nel gergo «patteggiamento in appello» ha contribuito alla sua degenerazione in una logica premiale che non è la sua.
  Si era semplicemente pensato a una cosa che assomiglia un po’ al nolo contendere di certi altri istituti, in cui le parti si rendono conto che in realtà non hanno una vera ragione di contraddire e si adotta una procedura breve. Invece, la logica è diventata quella di dire: «Se tu rinunci, io sono disposto a...».
  Non vedo rimedi. Io lo eliminerei...

  PRESIDENTE. Alla fine non rimane più niente.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Io capisco che avvocati, magistrati e imputati amano il concordato sui motivi d'appello, però c’è un problema di legalità della pena.
  Anche in questo caso c’è una proposta di subordine: mantenere quell'istituto, ma quantomeno senza quel riferimento, che sarebbe fuorviante, ai reati ostativi.

  PRESIDENTE. Levando quella parte, deve essere riqualificato per quello che è. Inoltre, occorre un controllo. Purtroppo abbiamo capito che se non c’è un controllo o lo spauracchio di un controllo...

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Noi nella relazione dell'articolato Canzio l'avevamo scritto: bisogna ricondurre l'istituto alla sua reale portata di concordato sui motivi, più che di applicazione concordata della pena.
  Invece, è diventato questo progetto che le parti possono...

  PRESIDENTE. Confidiamo nelle nuove generazioni di avvocati e di magistrati, anche alla luce della specializzazione forense. Si parla del futuro. Se si pensa alla parte più burocratica della magistratura e alla parte meno professionale dell'avvocatura, si va a finire in quel modo.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Comunque, se vogliamo dare ancora una chance a tutti gli operatori del processo penale di intendere questo istituto come va correttamente inteso, quantomeno non confondiamo loro le idee, dicendo che non lo si può applicare negli stessi casi in cui non si può applicare il patteggiamento allargato, altrimenti finiremmo per dire loro che sono proprio la stessa cosa.

  PRESIDENTE. Ho capito. Almeno io ne sono molto convinta.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Facciamo almeno questo. Pag. 18Vediamo come funzionano le indicazioni provenienti dai procuratori generali. Può darsi che ci sia una complessiva autoregolamentazione.

  PRESIDENTE. Io ci conto molto.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Anche su questo ho una proposta di subordine: teniamolo, ma almeno eliminiamo quel riferimento fuorviante e vediamo come funzionano le direttive.

  SOFIA AMODDIO. Va allargato a tutti i reati, come era prima.

  PRESIDENTE. Perché non è un patteggiamento sulla pena, ma sui motivi.

  SOFIA AMODDIO. Esattamente come era prima. Che mi risulti, nella pratica giudiziaria il patteggiamento allargato si utilizzava anche quando le pene erano state veramente enormi in primo grado, per una proporzionalità della pena oppure per dubbi relativamente alla prova.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Con tutte le riduzioni, ai cinque anni del patteggiamento allargato si arriva anche con pene fino a venti anni. Però, come facevo notare prima, omicidio e strage non ci sono nell'elenco dell'articolo 441. Che senso ha, invece, consentire il concordato sui motivi per la strage e non consentirlo per l'associazione finalizzata alla contraffazione di marchi ?

  PRESIDENTE. Si cerca di dare questo orientamento di percorso che sia professionale. A prescindere dalle parti, è il giudice che deve fare la valutazione.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Quanto all'ultima questione, cioè il controllo sulla data di iscrizione della notizia di reato, anche di questo noi abbiamo discusso fino allo sfinimento sia nella Commissione Riccio che nella Commissione Canzio. Ovviamente c’è una fortissima resistenza da parte dei pubblici ministeri e forse in parte anche da parte dei giudici per le indagini preliminari. Tuttavia, c’è una disciplina dei termini che dobbiamo rispettare. Io semmai sarei per domandarmi se ha ancora senso prevedere dei termini di indagine preliminare, tanto più con la trasformazione che ha subìto la fase dell'indagine preliminare dal 1988 a oggi.
  Tuttavia, finché ci sono dei termini e una sanzione di inutilizzabilità, non li si possono aggirare giocando sui vari modello 21, modello 45, la non notizia di reato eccetera.
  Nei lavori della Commissione Canzio era emerso anche un orientamento intermedio. Non pensavo che oggi si parlasse di questo argomento, altrimenti avrei rivisto il tema con maggiore attenzione. Ma il dottor Pistorelli di Milano aveva dato un suggerimento: far retroagire la data di inizio delle indagini non alla data di acquisizione della notizia di reato – sappiamo che le procure ricevono montagne di notizie di reato e dovrebbero iscriverle il giorno in cui le ricevono, e da lì dovrebbero scattare i termini – ma dal giorno in cui si cominciano effettivamente le indagini, cioè dal primo atto di indagine relativo a quella notizia di reato.
  Infatti, quello che andrebbe evitato, soprattutto, è che si indaghi a carico di un soggetto non ancora iscritto nel registro degli indagati, quando già si sa chi è. Del resto, stupisce che i giudici vengano a dire di non essere in grado di effettuare questo tipo di controlli, perché il codice, per quanto riguarda i procedimenti contro ignoti, dà esattamente questo tipo di compito al giudice per le indagini preliminari. La presa di contatto tra pubblico ministero e giudice di cui all'articolo 415 del codice di procedura penale. Serve proprio affinché il giudice possa dire: «Tu stai indagando contro ignoti, ma in realtà non è vero. Hai già compiuto degli atti di indagine che si indirizzano precisamente nei confronti di un soggetto». Pertanto, in realtà, almeno nei procedimenti che vengono Pag. 19iscritti come procedimenti contro ignoti, c’è già questo tipo di controllo. Oggi, se il giudice per le indagini preliminari viene interpellato ex articolo 415 dopo sei mesi di indagine, e rileva che sono già tre mesi che si sta indagando nei confronti di un determinato soggetto, fa già retroagire il termine iniziale ai tre mesi precedenti. Qualcosa c’è già nel sistema.

  PRESIDENTE. Il problema è che questo punto si è evoluto in maniera negativa. È nato in maniera adeguata, per gestire la notizia di reato o comunque l'identificazione, ma poi si sono diffuse alcune prassi, in alcuni uffici più e in altri meno, per cui questo fatto viene dilatato in maniera abnorme. Questi termini non sono di sei mesi, ma di quattro o cinque anni, e soprattutto non sono delimitati.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Come sappiamo, le Sezioni unite hanno detto che può esserci una responsabilità disciplinare per l'iscrizione tardiva, ma che in sede di sindacato sull'utilizzabilità dell'atto, ai sensi dell'articolo 407 del codice di procedura penale, il giudice non può effettuare la retrodatazione per verificare quali sono stati i termini effettivi delle indagini. Per questo, andrebbe stabilito per legge che in sede di articolo 407, ovvero di verifica sull'utilizzabilità dell'atto per intempestività, si può fare la valutazione sostanziale di quando l'indagine è nata.

  PRESIDENTE. Faccio a margine una valutazione. Questo fatto si presta a una strumentalizzazione di non correttezza da parte di chi conduce le indagini. Un pubblico ministero che non fa bene il suo dovere può mettere in piedi un castello, tanto sa che poi questo castello viene meno, a seguito di una pronuncia di inutilizzabilità. In questo modo, si premiano i neghittosi. Non è una questione peregrina.
  Secondo me, bisogna rafforzare il controllo e la responsabilità del procuratore della Repubblica. Occorre un controllo dell'iscrizione di tutti i reati e un disciplinare specifico. L'interesse dello Stato non è quello di rendere inutilizzabili gli atti tout court. Se io sto fermo, la mia sanzione è solo l'inutilizzabilità ? Dovrebbero essere l'inutilizzabilità e il procedimento disciplinare.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Tuttavia, io ritengo fisiologica la funzione di controllo del giudice, nonostante le resistenze che ci sono, perché il giudice per le indagini preliminari ha, tra l'altro, proprio quei compiti: controllare i tempi dell'indagine...

  PRESIDENTE. Completo la domanda dell'onorevole Bazoli. In realtà, abbiamo parlato di questa specificità anche con i presidenti di sezioni GIP di alcuni uffici di grandi dimensioni. Ci hanno detto che il controllo ex post ha una valenza diversa.
  Io credo che dovrebbe valere per i casi in cui è eclatante che l'indagato c'era, aveva un nome e un cognome e doveva essere iscritto oggi e non un anno dopo. In quel caso, devono partire l'inutilizzabilità e anche il disciplinare, perché altrimenti la questione non si pone. Non ha neanche una natura culturale, perché non si produce cultura.
  Le voglio dire una cosa che sembrerà assurda. Quando il codice è iniziato, finché non c’è stata l'unificazione tra procura grande e procura piccola, le iscrizioni sono state quasi normali. Dopo le unificazioni, si sono incrementate queste prassi, però non in tutti gli uffici. Come mai ciò non è avvenuto in tutti gli uffici ?
  Comunque, lo valuteremo.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Come ho detto, esiste una soluzione di compromesso che mi aveva colpito, anche se poi non l'avevamo approfondita: far decorrere il termine effettivo, non da quando è stata ricevuta la notizia di reato, ma da quando si è cominciato effettivamente a indagare.

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  PRESIDENTE. Secondo me, questa proposta potrebbe essere valutata.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Anche se naturalmente è una patologia, è una di quelle patologie al momento non risolvibili il fatto che si riceva una notizia e si riesca materialmente a cominciare a indagare solo a distanza di molti anni.
  Aggiungo soltanto una considerazione finale. Nel testo che invierò ci sono anche alcune piccole proposte di aggiustamento normativo che non sono state previste nel disegno di legge. Si tratta soprattutto di rimuovere alcuni detriti normativi che sono rimasti sul terreno delle impugnazioni penali dopo la tempesta scatenata dalla legge Pecorella e dalle successive sentenze costituzionali.

  PRESIDENTE. Ben vengano.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Ci sono una serie di incongruenze – ad esempio il riferimento ai «reati connessi» contenuto nell'articolo 580 del codice di procedura penale, ed altre – che tutta la dottrina, dopo le tormentate vicende della legge Pecorella, ha denunciato come sussistenti.
  Una di queste incongruenze è stata rilevata dalla stessa Corte costituzionale: alludo all'appellabilità delle sentenze di proscioglimento per reati punibili solo con l'ammenda o con pena alternativa, che oggi non è consentita all'imputato, dopo le varie sentenze costituzionali, ma invece è consentita al pubblico ministero. A questo proposito la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 85 del 2008, ha detto che il legislatore avrebbe dovuto provvedere a riequilibrare le parti, ma questo non è ancora stato fatto.

  PRESIDENTE. La ringraziamo di questa integrazione. Questo è un contenitore, dove possiamo mettere anche altro. Il professore ci propone alcune discrasie del sistema di cui è a conoscenza. Ben venga.

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Mi riferivo in particolare all'articolo 593, comma 3, che aveva un suo contenuto fino al 2006 e poi è stato abrogato dalla legge Pecorella. In seguito, per effetto delle sentenze costituzionali, il suo contenuto originario è stato ripristinato, ma solo in parte. Adesso andrebbe riequilibrato. La Corte costituzionale aveva detto che il legislatore avrebbe dovuto provvedere, ma ciò non è ancora avvenuto e questa mi sembra una buona occasione per farlo.

  PRESIDENTE. Dunque, ci manderà una relazione ?

  FRANCESCO CAPRIOLI, Ordinario di diritto processuale penale presso l'Università di Torino. Sì, domani al più tardi.

  PRESIDENTE. L'aspettiamo con piacere. La ringrazio a nome della Commissione. Aspettiamo questo ulteriore contributo scritto, che ci sarà sicuramente d'aiuto durante la fase emendativa.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.55.