XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Lunedì 6 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C. 2953 , CONCERNENTE DELEGA AL GOVERNO RECANTE DISPOSIZIONI PER L'EFFICIENZA DEL PROCESSO CIVILE

Audizione di Giampiero Balena, professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro, di Claudio Viazzi, Presidente del Tribunale di Genova, di Roberto Bichi, Presidente f.f. del Tribunale di Milano, di Luciano Gerardis, Presidente del Tribunale di Reggio Calabria, di Massimo Terzi, Presidente del tribunale di Verbania, di Giuliana Civinini, Presidente della sezione civile del Tribunale di Livorno, di Gioacchino Natoli, Presidente della Corte d'appello di Palermo, e di Luciano Panzani, Presidente della Corte d'appello di Roma.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Balena Giampiero , Professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Viazzi Claudio , Presidente del Tribunale di Genova ... 8 
Natoli Gioacchino , Presidente della Corte d'appello di Palermo ... 10 
Viazzi Claudio , Presidente del Tribunale di Genova ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Bichi Roberto , Presidente f.f. del Tribunale di Milano ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Gerardis Luciano , Presidente del Tribunale di Reggio Calabria ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Terzi Massimo , Presidente del tribunale di Verbania ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Terzi Massimo , Presidente del tribunale di Verbania ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Civinini Giuliana , Presidente della sezione civile del Tribunale di Livorno ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Natoli Gioacchino , Presidente della Corte d'appello di Palermo ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Natoli Gioacchino , Presidente della Corte d'appello di Palermo ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 
Panzani Luciano , Presidente della Corte d'appello di Roma ... 27 
Ferranti Donatella , Presidente ... 31 
Panzani Luciano , Presidente della Corte d'appello di Roma ... 31 
Ferranti Donatella , Presidente ... 32 
Panzani Luciano , Presidente della Corte d'appello di Roma ... 32 
Ferranti Donatella , Presidente ... 33 
Vazio Franco (PD)  ... 33 
Bonafede Alfonso (M5S)  ... 34 
Ferranti Donatella , Presidente ... 34 
Panzani Luciano , Presidente della Corte d'appello di Roma ... 34 
Ferranti Donatella , Presidente ... 35

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 16.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Giampiero Balena, professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro, di Claudio Viazzi, Presidente del Tribunale di Genova, di Roberto Bichi, Presidente f.f. del Tribunale di Milano, di Luciano Gerardis, Presidente del Tribunale di Reggio Calabria, di Massimo Terzi, Presidente del tribunale di Verbania, di Giuliana Civinini, Presidente della sezione civile del Tribunale di Livorno, di Gioacchino Natoli, Presidente della Corte d'appello di Palermo, e di Luciano Panzani, Presidente della Corte d'appello di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2953, concernente delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile, l'audizione di Giampiero Balena, professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro, di Claudio Viazzi, Presidente del Tribunale di Genova, di Roberto Bichi, Presidente f.f. del Tribunale di Milano, di Luciano Gerardis, Presidente del Tribunale di Reggio Calabria, di Massimo Terzi, Presidente del tribunale di Verbania, di Giuliana Civinini, Presidente della sezione civile del Tribunale di Livorno, di Gioacchino Natoli, Presidente della Corte d'appello di Palermo, e di Luciano Panzani, Presidente della Corte d'appello di Roma.
  Darei la parola a Giampiero Balena, professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro.

  GIAMPIERO BALENA, Professore di diritto processuale civile presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro. Grazie, presidente, per questo invito. Ho preparato un piccolo testo scritto, quindi, nel caso dovessi andare oltre, lei mi avviserà e io mi riporterò allo scritto.
  Faccio una premessa di carattere generale prima di qualche considerazione sul testo del disegno di legge: è noto che la propensione alle riforme dei processualisti è sempre stata per ovvie ragioni molto elevata, i progetti di riforma non sono mai mancati neanche quando, in epoca purtroppo ormai piuttosto remota, il nostro processo funzionava in maniera più che dignitosa.
  Credo che sia quindi molto significativo il fatto che oggi invece, come probabilmente la Commissione avrà potuto apprendere già dall'audizione di alcuni miei colleghi, vi sia un consenso pressoché unanime sull'assoluta inutilità e inopportunità di ulteriori riforme della disciplina processuale.
  Che la lentezza, la durata media quasi scandalosa del nostro processo civile non abbia nulla a che vedere con la disciplina processuale è un dato che oramai viene riconosciuto comunemente. D'altronde, se Pag. 4qualcuno ne dubitasse, basterebbe pensare ai dati statistici che ci vengono ad esempio dalla cosiddetta relazione Barbuto, da cui si evince che ci sono dei tribunali (purtroppo pochi) nel nostro Paese che, pur utilizzando lo stesso modello processuale, riescono a esaurire il processo in tempi del tutto fisiologici.
  A dimostrazione che la cosiddetta «semplificazione del processo» non c'entri nulla con la durata basti pensare al processo d'appello, che nella stragrande maggioranza dei casi è qualcosa che di più semplice non si potrebbe immaginare, si esaurisce in due udienze, ma anzi per legge basterebbe un'unica udienza, e ciononostante dura mediamente 3-4 anni e in qualche Corte purtroppo anche molto di più.
  La ragione fondamentale della crisi ormai annosa della nostra giustizia civile è assolutamente banale: è data dall'incongruo rapporto tra la mole del contenzioso e il numero dei magistrati che dovrebbero smaltirla. La ragione è semplicemente questa, e qui consentitemi due brevi considerazioni.
  Circa la mole del contenzioso, dai dati del CEPEJ (European Commission for the Efficiency of Justice), l'organismo della Commissione europea che valuta l'efficienza della giustizia negli Stati europei, si evince che noi siamo sempre stati, almeno fino a pochissimi anni fa, in testa alla classifica della litigiosità (numero di cause sopravvenute in rapporto agli abitanti), e peraltro il Ministro ha recentemente rivelato che c’è stata una riduzione negli ultimi tempi (non so quale sia l'arco di tempo considerato) del 20 per cento delle cause nuove, che è un dato non trascurabile.
  Se però andiamo a guardare i dati sempre del CEPEJ, la riduzione è maggiore, perché tra il 2010 e il 2012 c’è una riduzione di circa il 34 per cento, che sale al 45 per cento se si prende come dato di partenza il 2006, quindi è un trend significativo di riduzione, mentre da diversi anni il numero delle cause definite supera quello delle cause sopravvenute. Questo è importante, perché vuol dire che, smaltendo l'arretrato, il sistema potrebbe recuperare un equilibrio fisiologico in un termine assolutamente ragionevole.
  La mia impressione è che l'anomalia del nostro contenzioso sia settoriale, non generalizzata, e la mia sensazione è che riguardi essenzialmente le cause in cui è parte una pubblica amministrazione. La relazione Barbuto riporta un intervento del presidente dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che risale all'inizio del 2011, che, in occasione di un incontro dell'Associazione nazionale magistrati (ANM), rivela che l'INPS ha parte in 1 milione di cause, pari circa al 20 per cento del contenzioso civile complessivo.
  Se si vanno a guardare sempre i dati del Ministero, tra il 2009 e il 2012 le opposizioni a ingiunzioni per sanzioni amministrative sono diminuite da circa quasi 1 milione fino a 350.000, cioè sono altre 700.000 cause in meno, quindi ci spieghiamo la riduzione e ci spieghiamo anche che l'anomalia del nostro contenzioso sta probabilmente nella inefficienza della pubblica amministrazione, che è un problema che va affrontato prima e fuori del processo, perché evidentemente il processo non ne ha alcuna responsabilità.
  Il secondo punto riguarda il numero dei magistrati. Sempre i dati del CEPEJ ci dicono che siamo messi maluccio per quanto riguarda il numero dei magistrati togati e malissimo per quanto riguarda il numero dei magistrati non togati, siamo in fondo alla classifica come numero di magistrati non togati. Nel testo scritto ho indicato i numeri, ma insomma i dati del CEPEJ sono a disposizione di tutti.
  La differenza rispetto ad altri Paesi a noi vicini è veramente abissale, ma non credo nemmeno che renda sufficientemente l'idea di quanto è critica la nostra situazione, perché questi sono dati aggregati che fanno riferimento al numero complessivo dei magistrati, senza distinguere tra magistrati addetti al civile e magistrati addetti al penale. A me non risulta che ci siano dati ufficiali in questo senso, nemmeno nella relazione Barbuto, Pag. 5ed è molto strano perché dovrebbero essere dati facilmente desumibili dalle tabelle dei vari uffici messi insieme.
  Credo che un problema fondamentale sia il riequilibrio delle risorse nel nostro Paese, e non è una mia impressione perché lo ha scritto due o tre anni fa Giovanni Verde, che è stato vicepresidente del CSM e che ha scritto che la soluzione della crisi della giustizia civile non può prescindere da un riequilibrio nella distribuzione di risorse tra civile e penale, equilibrio che probabilmente è stato alterato negli anni ’80, i famosi anni di piombo, e non è stato più recuperato.
  Se la ragione della cosiddetta «inefficienza» della nostra giustizia civile sta semplicemente nell'inadeguatezza delle risorse, non credo che si debba affrontare il problema come lo si è affrontato negli i venticinque anni e poi, con ritmi sempre più incalzanti, negli ultimi dieci anni, cioè come se il problema fosse quello di velocizzare la trattazione e l'istruzione della causa perché c’è un magistrato sottoccupato, che purtroppo aspetta con ansia che le parti gli rimettano le cause in decisione, perché altrimenti non si può garantire la rapidità del processo.
  Sappiamo bene che la realtà non è questa, ma si continua imperterriti in quella direzione, che è quella seguita (evidentemente senza successo) da venticinque anni a questa parte.
  Certo, qualcosa è stato fatto negli ultimissimi tempi, qualche timido passo come i magistrati ausiliari in appello, però non ho idea di come sia andato il reclutamento. Certo che un reclutamento tra magistrati, notai e avvocati in pensione può suscitare qualche dubbio almeno sull'opportunità.
  A mio sommesso avviso la soluzione, la strada maestra è quella dell'ufficio del processo ma ufficio del processo realizzato in modo serio, con una selezione più rigorosa di quella attuale e con un po’ di risorse, perché si continuano a sbandierare ormai da molto tempo i costi della inefficienza della giustizia civile, la Banca d'Italia non so come fa questi calcoli e ha calcolato un punto del PIL, abbiamo dei dati molto più concreti che sono i costi della legge Pinto, che sono di ormai centinaia di milioni di euro, però, quando si tratta di tirare fuori poche decine di milioni per finanziare in modo serio l'ufficio del processo, si incontrano le difficoltà.
  Detto questo, non mi sottraggo a qualche rilievo più concreto sul disegno di legge, cominciando dalla trattazione della causa, e naturalmente mi fermo al processo di cognizione in primo grado e in appello, perché è quello il vero problema (sull'esecuzione il discorso è completamente diverso, perché fino adesso il legislatore non ha fatto altro che consacrare a livello legislativo delle prassi collaudate e, infatti, i risultati sono stati decisamente migliori).
  In merito alla trattazione della causa, l'articolo 1, comma 2, lettera a), punto 2, del disegno di legge mi sembra formulato in maniera veramente molto generica, perché non si capisce quali siano le indicazioni date al legislatore delegato. Se però si guarda alla relazione di accompagnamento, mi sembra di capire che ancora una volta si torna a puntare sull'idea, che risale addirittura al codice del ’40 – poi rispolverata nel 1973 con il processo del lavoro e nel 1990 – di costringere le parti a «vuotare il sacco» prima dell'udienza di prima comparizione, per assicurare che il giudice arrivi alla prima la prima udienza di trattazione conoscendo la causa e dunque potendo esercitare in modo incisivo i poteri di direzione del processo, al fine di assicurarne la concentrazione.
  Si tratta quindi di qualcosa di analogo a quello che è stato fatto quarant'anni fa con il processo del lavoro, ma con in più la peculiarità di una fase di trattazione scritta, più o meno equivalente a quella che oggi si svolge dopo la prima udienza, che invece dovrebbe essere anticipata rispetto all'udienza di prima comparizione.
  Per quanto riguarda il primo punto, cioè la proposta di inserire delle preclusioni rigide e implacabili (termine che è utilizzato nella relazione di accompagnamento), che dovrebbero scattare già con gli atti introduttivi, i avrei un paio di obiezioni. Pag. 6La prima mi viene dall'esperienza comune: che le preclusioni più o meno rigide non servano in alcun modo ad assicurare la concentrazione del processo è dimostrato, come dico ormai da diversi anni, dal procedimento in camera di consiglio.
  Il procedimento in camera di consiglio ha sempre funzionato benissimo, tanto che il legislatore l'ha utilizzato spesso anche al di fuori della materia concernente la giurisdizione volontaria, e non conosce alcuna preclusione né in primo grado, né in fase di reclamo. La stessa cosa potremmo dire per il procedimento cautelare, in cui non esistono preclusioni, ma funziona benissimo, mentre il processo del lavoro, che conosce le preclusioni più rigide e assolute, mi pare che non si sia fatto apprezzare molto negli ultimi decenni dal punto di vista della concentrazione, in quanto mi pare che la durata media dei processi del lavoro, almeno nella maggior parte degli uffici giudiziari italiani con le dovute eccezioni, non abbia niente da invidiare in negativo a quella del processo ordinario.
  La seconda obiezione attiene all'equità. L'esigenza suggerita dal buonsenso fatta propria anche dalla riforma del 1990 è di fare in modo che le preclusioni istruttorie scattino solo dopo che si sono chiariti i fatti controversi. Questa era la logica della riforma del 1990 e mi sembrava una logica di assoluto buonsenso, che non è la logica del processo del lavoro.
  Oggi è stato codificato il principio di non contestazione, che è importante perché serve ad agevolare gli oneri probatori di una parte, ma perché funzioni questo processo a una parte deve essere consentito, prima di richiedere le prove, di sentire cosa dice l'altra. Se si deve fare tutto negli atti introduttivi, questo meccanismo salta, è assolutamente irrazionale.
  La mia impressione è che qui ci sia un pregiudizio direi quasi «ideologico», cioè quello che il difensore, in particolare quello dell'attore, abbia fin dal primo momento tutti i fatti chiari, le prove a sua disposizione e che quindi possa decidere a tavolino cosa dire o non dire, quale prova chiedere, quale documento produrre oggi e quale tenere per il corso del giudizio, mentre non è così. Il processo in molti casi è qualcosa di molto complicato (lo dico da avvocato, prima che da docente universitario, da processualista), spesso la realtà si viene disvelando allo stesso difensore strada facendo, quindi è inopportuno creare delle rigidità come quelle che si sono create fino adesso.
  Qualche settimana fa sono dovute intervenire le Sezioni Unite per dire che nel corso del processo, dopo aver chiesto una sentenza costitutiva ai sensi dell'articolo 2932 del codice civile in base a un contratto che veniva qualificato come preliminare, poi ci si accorge che quello in realtà è un contratto definitivo e le Sezioni Unite hanno detto che si poteva modificare la domanda, perché l'alternativa era buttare a mare il processo e ricominciarlo da capo dopo dieci anni, ma vi sembra un sistema razionale ?
  Per un pregiudizio di natura ideologica, secondo cui non è giusto consentire che le parti modifichino le proprie allegazioni strada facendo, ma mi sembra una logica eccessivamente formale. Calamandrei diceva che significa attribuire agli avvocati il pericoloso privilegio di essere infallibili.
  L'idea di anteporre la trattazione scritta alla prima udienza ha qualche fascino, però fino adesso si è rivelata fallimentare non solo per il processo societario, ma, se andiamo indietro nel tempo, il processo formale del codice civile del 1865 non fu abrogato, fu solo abbandonato dalla prassi, perché preferirono il procedimento sommario, che dava la possibilità di un contatto più immediato con il giudice. L'esperienza ci deve insegnare qualcosa e quindi dire che non è questa la strada da percorrere.
  Il secondo punto è la valorizzazione della proposta conciliativa da parte del giudice. Credo che l'attuale formulazione dell'articolo 185-bis sia equilibrata, è una delle poche norme di quelle che sono state inserite negli ultimi anni che non mi dispiace affatto, è equilibrata, dà la possibilità al giudice di valutare discrezionalmente se sia il caso di formulare una Pag. 7proposta transattiva, dove il giudice prescinde dal pronostico circa l'esito della causa, o conciliativa.
  Qui, invece, mi sembra che la si voglia rendere qualcosa di doveroso, doveroso allo stato degli atti prima che il giudice si pronunci sulle prove da assumere. Capiamo bene tutti che sarebbe una proposta fatta al buio, e non dobbiamo sottacere il rischio che, imponendo al giudice una valutazione prognostica di questo tipo nella fase iniziale del processo, si favoriscano delle proposte conciliative, che in realtà non sono precedute da uno studio serio ed effettivo del fascicolo, ma servono soltanto a finalità deflattive del ruolo.
  Immediata, provvisoria efficacia di tutte le sentenze di primo grado: anche questa mi sembra una novità assolutamente inopportuna. Infatti, anticipare l'efficacia costitutiva e di accertamento delle sentenze è rischiosissimo, in particolare per le sentenze costitutive (pensiamo alle sentenze costitutive necessarie che incidono su status), perché creeremmo una situazione di grave incertezza dal punto di vista sostanziale, in quanto queste modificazioni poi potrebbero benissimo cadere in seguito alla pronuncia d'appello o di Cassazione.
  Se pensiamo invece all'efficacia di accertamento, dovremmo in realtà riscrivere l'articolo 2909 del codice civile, che ci dice che è la sentenza passata in giudicato a fare stato, che significa che quell'accertamento è vincolante. Se anticipiamo quell'accertamento alla pronuncia della sentenza di primo grado, dobbiamo evidentemente ripensare anche all'articolo 2909.
  Qui mi pare inoltre che l'idea di fondo non detta sia la stessa che portò nel 1990 ad anticipare alla sentenza di primo grado la provvisoria esecutività, nella speranza che in questo modo si disincentivassero gli appelli. Non è successo, perché non mi pare che gli appelli siano diminuiti, e non credo che questa modifica porterebbe a qualcosa.
  L'appello. Qui le modifiche sono quasi quelle che mi preoccupano di più. L'idea di limitare i vizi censurabili in appello, in particolare per quanto riguarda l'errore manifesto di valutazione dei fatti, e poi una chiusura a «qualunque, nuova allegazione, anche se limitata a nuove ragioni o deduzioni di diritto (sto leggendo dalla proposta dalla relazione di accompagnamento) per dimostrare la fondatezza giuridica delle domande e delle eccezioni».
  È quindi una sorta di anticipazione del ricorso per Cassazione, ma in termini addirittura più ristretti, perché in Cassazione posso dedurre una nuova ragione giuridica a fondamento della medesima censura che ho già svolto in appello, mentre qui sarebbero precluse anche queste diverse valutazioni giuridiche. Torniamo al pregiudizio di natura ideologica di cui dicevo prima.
  Non mi è chiaro infine quali innovazioni si propongano in relazione all'onere dell'appellante di motivare l'appello, non so in che modo lo si vorrebbe rendere più rigoroso di quanto già non sia oggi, perché, a prescindere dalla infelice formulazione degli odierni articoli 342 a 434, come modificati un paio di anni fa, nessuno dubita che l'appellante oggi debba, a pena di inammissibilità, formulare censure specifiche, e soprattutto non capisco per quale motivo dovremmo renderlo ancora più rigoroso di quanto già non sia.
  Quando si parla di efficienza del processo civile, non ci si dovrebbe preoccupare solamente della durata, ma anche dell'attendibilità del risultato. Da venticinque anni a questa parte ci preoccupiamo solamente della durata. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie molte, professore, anche del documento. Per la scelta degli uffici giudiziari, avremmo dovuto sentire tutti, ma, non essendo possibile, ci siamo basati sull'elaborazione della commissione di valutazione nominata dal Ministro; abbiamo voluto tener conto della Corte d'appello di Roma che è una Corte di grandissime dimensioni. Il presidente Natoli è qui in qualità di presidente di Corte d'appello di Palermo ma anche in relazione alla tipicità del tribunale di Marsala che ha diretto come presidente. Abbiamo voluto dare parola a nord e a sud, abbiamo cercato di avere le testimonianze Pag. 8di uffici giudiziari, di persone che hanno lavorato sul campo, che ci potessero dare la loro esperienza sia dal punto di vista organizzativo che in vista della riforma presentata dal Governo, laddove il Parlamento deve valutare se cambiare indirizzo o portarla avanti.
  Lascio la parola al presidente del Tribunale di Genova, Claudio Viazzi.

  CLAUDIO VIAZZI, Presidente del Tribunale di Genova. Grazie, presidente, ho già consegnato un mio documento. La prego di avvertirmi un minuto prima della scadenza del tempo, perché non voglio esagerare.
  Per dare un senso concreto a questa audizione ho cercato di toccare maggiormente i temi che conosco più a fondo, anche perché me ne occupo direttamente nell'ufficio che da un po’ anni dirigo, quindi mi occuperò soprattutto delle due questioni relative alle Sezioni specializzate per l'impresa e la famiglia, che rappresentano peraltro il punto focale di questa proposta.
  Al di là del titolo che vorrebbe riguardare in generale l'efficienza del processo civile, la proposta riguarda soprattutto norme in materia di Sezioni specializzate per l'impresa e la famiglia e una serie di disposizioni un po’ sparpagliate sull'intero processo civile.
  Anch'io vorrei fare una premessa, buona parte dalla quale è stata già anticipata dal professor Balena con considerazioni che condivido totalmente: siamo di fronte all'ennesima riforma a costo zero per la clausola di invarianza finanziaria contenuta nel disegno di legge, e questa rappresenta un'ulteriore occasione per rinfocolare tra addetti ai lavori le solite polemiche che portiamo avanti da vent'anni sul fatto che non si può continuare a legiferare operando solo sulle norme processuali, perché è totalmente illusorio ritenere che i processi in Italia possano durare meno solo perché si è inciso su norme processuali, per giunta senza costi aggiuntivi per l'erario.
  Di questa illusorietà sono emblematiche proprio le proposte, anche se solo a livello di legge delega, relative alla famiglia e alla Corte d'appello, su cui dirò qualcosa da studioso e da operatore del processo civile.
  Partiamo dalla famiglia. Io sono entrato in magistratura nel 1977, quando esisteva un grande dibattito a livello di studiosi, magistrati, avvocati, se il tribunale dei minori dovesse essere soppresso e al suo posto si dovessero creare i tribunali della famiglia, nuove strutture separate che si chiamavano già allora tribunali della famiglia, o si dovessero semplicemente potenziare e specializzare le sezioni famiglia dei tribunali ordinari, perlomeno di quelli più grandi. Questo è un dibattito che risale al 1977: sono passati quarant'anni e siamo ancora lì. Le oscillazioni di questo disegno di legge sul punto mi sembrano, come ho detto, emblematiche.
  Trovavo bizzarra la proposta iniziale della commissione Berruti, che sopprimeva le competenze civili dei tribunali dei minori mantenendoli in piedi solo per le competenze penali. Secondo me, la bizzarria si doveva sciogliere in un unico modo: sopprimendo anche le competenze penali.
  In realtà, la questione finanziaria, messa in primo piano come ragione per la quale non si potevano mantenere delle strutture come 26 o 29 tribunali dei minori, quanti sono in Italia, per le sole competenze penali, anziché portare alla soppressione tout court di queste strutture, ha portato al ripristino delle competenze civili, salvo qualche ritaglio aggiunto alle competenze dei tribunali ordinari.
  Sostanzialmente, invito proprio il legislatore a riflettere sul fatto che, fino a quando rimarrà in piedi una norma come l'articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile che vorrebbe disciplinare chiaramente il riparto di competenze tra tribunale ordinario e tribunale della famiglia, per quanto ci si giri intorno, finché esisterà una norma del genere, continueranno i conflitti di competenza, tra l'altro tra strutture giudiziarie del tutto asimmetriche. Non ho ancora visto, infatti, toccare il noto dell'asimmetria tra competenze distrettuali o quasi del tribunale dei Pag. 9minori e competenze ordinarie delle sezioni della famiglia dei tribunali disseminate tra 136 tribunali italiani. Qui arrivo subito al punto.
  L'attuale disegno di legge delega, non risolto a monte il problema della soppressione dei tribunali dei minori, ma anzi mantenendoli, anche se un po’ dimagriti, afferma che si vogliono istituire i tribunali della famiglia, ovvero sezioni specializzate della famiglia in tutti i tribunali. Invito caldamente a riflettere sulla questione di evitare di introdurre riforme organizzative, che tali sarebbero, avulse totalmente dalla realtà.
  La dimensione dei nostri 136 tribunali è la seguente: andiamo da tribunali composti in pianta organica da 379 giudici, come il tribunale di Roma, a due tribunali che ancora, miracolosamente, sopravvivono, Lanusei e Urbino, composti in pianta organica da 6 giudici. Su 136 tribunali italiani, 88 hanno meno di 30 giudici in pianta organica; di questi 88, 45 ne hanno meno di 25; 27 hanno da 15 a 6 giudici.
  In questi 88, se vogliamo essere buoni, di almeno 40-60 tribunali di sezioni specializzate in famiglia non si costruisce neanche l'ombra. Oggi, quando va bene in questi tribunali, se andiamo a vedere le tabelle concrete di questi 88 con meno di 30 giudici, c’è un giudice che tabellarmente si occupa della materia della famiglia insieme ad altre cose, magari i fallimenti, facendo anche il giudice penale promiscuamente con il giudice della famiglia.
  Questa non è specializzazione, e tanto meno sono specializzati i collegi che poi si debbano costituire per decidere collegialmente la gran parte delle questioni in materia di famiglia, per non parlare dei collegi interamente costituiti da altri tre giudici, che devono risolvere per esempio i reclami sui provvedimenti dei giudici cosiddetti specializzati. Istituire sezioni specializzate per la famiglia in un reticolo di uffici giudiziari come quello attuale è pura astrazione. Questo è il primo nodo.
  Innanzitutto, bisogna farsi carico dell'asimmetria delle competenze tra tribunali dei minori e tribunali ordinari ove si vogliano mantenere i tribunali dei minorenni. Se si dovessero sopprimere, come non solo io sostengo da tempo come l'unica misura realmente razionalizzatrice e tale da determinare economie di scala e risparmi – visto che il problema della finanziaria ve lo siete posti all'epoca della commissione Berruti, che richiamavo – l'unico modo per risolvere da un punto di vista finanziario era sopprime tout court, e non ripristinare la competenza civile.
  In ogni caso, bisogna porsi il problema che qualunque forma di specializzazione per competenza in materia di famiglia a livello di tribunali ordinari comporterà necessariamente fare i conti con un'inevitabile concentrazione di queste competenze a livello non di tutti gli attuali 136 tribunali.
  È esattamente lo stesso problema su cui ci stiamo arrovellando nella commissione ministeriale di cui faccio parte in materia di riforma delle procedure concorsuali. Il Ministro ci ha dato come compito nell'istituzione della commissione di occuparci dell'obiettivo e della specializzazione dei giudici addetti alle procedure concorsuali, che riporta esattamente in primo piano il problema che ho appena detto per le sezioni famiglia: i tribunali sono quelli che sono, per cui se vogliamo specializzare anche il giudice delle procedure concorsuali, bisogna occuparsi inevitabilmente di come concentrare queste competenze su un numero di tribunali inferiore agli attuali 136.
  Vedo lo stesso problema di scarto tra la concretezza dei problemi ordinamentali e organizzativi e le proposte normative – faccio un cenno rapidissimo – per le norme sulle corti d'appello. Nuovamente, è clamoroso lo scarto tra la diagnosi contenuta nella relazione accompagnatoria al testo della commissione Berruti e le proposte. La diagnosi contenuta nella relazione, infatti, esordisce così: per il processo di cognizione in corte d'appello non c’è un problema di procedura. È la relazione accompagnatoria a dire che non è un problema di procedure.
  Le criticità in cui vivono le corti d'appello italiane sono altre. Perché le corti Pag. 10d'appello italiane sono diventate il buco nero della giustizia civile italiana’ Sono il buco nero, gli uffici che funzionano peggio in tutta l'Italia. Lo sappiamo tutti, ma conosciamo meno le cause. Sono almeno due le riforme che negli anni le hanno «ammazzate». Il primo è stato il giudice unico, che abbiamo vissuto quando eravamo al Consiglio superiore nel 1998. Lo ricorda anche l'attuale presidente della Commissione.
  Il giudice unico comportò un effetto molto preciso: mentre prima gli appelli si dividevano tra tribunali con giudici competenti sugli appelli dei pretori e corti d'appello, gli appelli finirono tutti nelle corti d'appello. Nel 1998, con la riforma del giudice unico non si modificò di una virgola, di un'unità le piante organiche delle corti d'appello.
  La seconda bastonata è stata la legge n. 89 del 2001, cosiddetta legge Pinto. Vi pare possibile che la piccola corte d'appello di Perugia, isola felice fino a prima dalla legge Pinto, di colpo si trovi a gestire le leggi Pinto di Roma e di tutto il Lazio ? Ecco la fine della corte d'appello di Perugia. Queste due riforme, non accompagnate da supporti organizzativi e ordinamentali, sono state la morte delle corti d'appello.
  Queste sono le criticità: cattiva ripartizione degli organici, squilibri nei carichi di lavoro, cattiva geografia giudiziaria. Adesso mi rivolgo al presidente della corte d'appello di Palermo: ti sembra logico che in Sicilia dobbiate avere quattro corti d'appello ?

  GIOACCHINO NATOLI, Presidente della Corte d'appello di Palermo. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

  CLAUDIO VIAZZI, Presidente del Tribunale di Genova. Ti avvali della facoltà di non rispondere, giustamente, ma sono io a dire che non ha senso che ci siano quattro corti d'appello in Sicilia.
  Questi sono i nodi. Lo dice la relazione Berruti. Tutte le proposte sono procedurali per rendere l'appello ancora più a critica limitata, ancora più chiuso, ancora più penalizzante, anche qui nella logica di ridurre le cause, ma non facendo ridurre gli appelli in modo da far funzionare meglio il giudizio di primo grado, bensì calpestando e comprimendo il diritto prima di tutto di difesa e disincentivando il ricorso all'appello.
  Grazie al cielo, da un lato vogliono sopprimere forse il filtro, che mi pare non abbia dato grandi prove di sé in giro per l'Italia. Contemporaneamente, però, si prevede addirittura il divieto di nuove deduzioni difensive in appello. Mi pare, francamente, che vietare nuove deduzioni difensive in grado d'appello sia un ulteriore restringimento degli spazi di un giudizio d'appello solo per finalità deflattive e non per far funzionare meglio il processo di tale grado.
  Anche nel caso del tribunale delle imprese, tornando al problema dei tribunali, si prevede un drastico aumento della competenza. Sono sostanzialmente d'accordo sull'aumento della competenza. Ci sono sicuramente delle materie che si possono ulteriormente attribuire alla competenza di queste sezioni specializzate che operano in 21 realtà giudiziarie italiane, ma che siano tutte competenze ulteriori coerenti tra loro.
  Non vedo, però, molta coerenza nell'attribuzione con ulteriori competenze di tutti i contratti pubblici di fornitura e via discorrendo, che potrebbero benissimo rimanere in altre sezioni competenti per competenze commerciali dei grossi tribunali senza finire al tribunale delle imprese. Allo stesso modo, temo la revisione delle piante organiche, prevista peraltro per i tribunali delle imprese: se non accompagnata da un aumento di spesa, diventa un po’ il gatto che si morde la coda.
  Anche per i tribunali della famiglia è previsto che devono essere rivisti gli organici, ma se devono riguardare quelli della famiglia tutti i tribunali italiani, è impensabile che sia a costo zero una riforma che arrivi dagli organici, quando questa investe non pochi tribunali, ma tutti i tribunali italiani.
  Sempre a proposito dei tribunali delle imprese, vedo con molte perplessità la Pag. 11previsione di nomina di nuovi esperti non meglio identificati, che sembrano sovrapporsi con il consulente tecnico d'ufficio (CTU). Anche la loro utilizzazione in funzione di supporto conoscitivo, che può svolgersi anche all'udienza pubblica di discussione, è esattamente quanto già dal 1942 prevede il codice per il CTU. Poi sono state le prassi che hanno poco utilizzato la norma.
  È dal 1942, però, che è previsto che il CTU possa venire perfino in camera di consiglio a fornire il proprio parere alla presenza dei difensori. Non vedo, quindi, ben coordinate tra loro le competenze che dovrebbero essere attribuite a questi nuovi esperti, ma che in realtà appartengono anche al CTU dal 1942.
  A maggior ragione, non vedo coordinato proprio con il tessuto ordinamentale complessivo il fatto che questi nuovi esperti debbano essere nominati dal presidente della sezione. Se occorre in quel processo ricorrere a particolari esperti, che sia il presidente del collegio, che sia il giudice monocratico di quella causa, ma non si vede perché debba essere il presidente di sezione. Ho molte perplessità, quindi, su questa nuova figura degli esperti.
  Infine, potrebbe essere foriera, a mio avviso, di utili sviluppi la previsione di legge delega sul rafforzamento della collegialità. Secondo me, quest'ultimo dovrebbe essere un principio di legge delega non solo per il tribunale delle imprese, ma per tutti i giudizi di primo grado. Se c’è un punto su cui il giudizio di primo grado potrebbe essere irrobustito e migliorato nella sua funzionalità – qui parliamo comunque di nuove norme processuali che arriveranno – allora facciamo almeno una riforma del giudizio di primo grado utile, ossia ripristiniamo in primo grado i controlli su alcune ordinanze del giudice monocratico, a cominciare da quelle istruttorie.
  Il giudizio di primo grado soffre, a partire dalla riforma del giudice unico, di troppa monocraticità. Il numero degli appelli sicuramente dipende anche dall'eccessiva varietà giurisprudenziale, non tanto per gli orientamenti giurisprudenziali, quanto per la cattiva gestione di momenti decisivi del giudice di primo grado, a cominciare dall'istruttoria. Questi ben potrebbero essere contenuti e migliorati ripristinando quel controllo collegiale endoprocessuale nel giudizio di primo grado per contenere quell'eccessiva monocraticità che potrebbe far funzionare meglio il giudizio di primo grado, e allora sì contenere anche i ricorsi in appello, ma non per effetto della deflazione violenta che restringe sempre di più il novum in appello, bensì perché funziona meglio il giudizio di primo grado.
  Vengo a un'ultimissima considerazione. Mi interesserebbe molto che nella valutazione e nell'approfondimento di quelli che possono essere gli spazi non grandi, ma sicuramente esistenti, di miglioramento anche processuale del giudizio di cognizione di primo grado, il tema dell'adeguamento al processo civile telematico fosse portato in primo piano.
  Non parlo, quindi, di un oggetto a latere, come se a fianco del codice procedura civile ci fosse un codicillo costituito da norme di adeguamento al processo civile telematico (PCT). È il codice che deve al suo interno, a mio avviso, rivedere una serie di istituti, che vanno dalla forma e dalla validità degli atti alle notifiche, alle prove, documentali in testa, all'assunzione delle prove, alla verbalizzazione, ai poteri dei difensori.
  Sono nodi che investono istituti generali del codice, e che non possono essere messi a parte come adeguamento al PCT, che deve entrare nella rivisitazione di questi istituti come parte centrale anche della riforma, quella che credo necessaria sì del codice di procedura civile, ma con una scelta che solo un legislatore delegante può fare, e rispetto a cui il legislatore delegato sarà incaricato di normare nel dettaglio. Bisogna, però, domandarsi che tipo di processo vogliamo nonostante il PCT.
  Ho letto l'audizione di qualche settimana fa del professore Auletta, che mi ha spaventato quando ha detto che ragionare ancora di oralità – Chiovenda si è rivoltato Pag. 12nella tomba quando lo ha sentito – rientra in una visione obsoleta del processo, che ormai cambia tutto. Non ha parlato di telelavoro, ma a quello pensava quando ha chiesto a che cosa servissero ancora le udienze. Il processo potrebbe essere celebrato tra persone assenti, che si parlano virtualmente.
  Non mi piace, ma non credo sia solo mia questa visione. Il processo deve rimanere comunque incentrato su momenti di oralità, sul dialogo tra le parti. Avvocati e giudici, parti, testimoni devono ancora vedersi o no nelle udienze ? Certo, magari si tratta di eliminare le udienze inutili, i vuoti simulacri, non succede niente, dove c’è lo scambio dei cioccolatini, come lo chiama da tanti anni Giorgio Costantino.
  Possiamo eliminare le udienze da scambio dei cioccolatini, ma altre udienze, in cui l'oralità, l'incontro e il dialogo processuale tra le parti deve esserci ancora deve essere chiarito ! Allora è il PCT che deve adeguarsi a questi valori del processo, e non viceversa ! Non è il processo che deve diventare surrettiziamente scritto, come era nel 1865, solo con dialoghi tra gli studi. Allora mandavano gli scritti con la diligenza o non so come.
  Adesso li mandiamo via etere, ma non possiamo ripristinare quel tipo di processo, altrimenti surrettiziamente ci ritroveremo quel tipo di processo, che si svolge fuori dalle aule, fuori dall'incontro dialogico tra giudice, parti, difensori. È necessario che questo dialogo ci sia.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente anche per queste note complessive. Ho visto che nel decreto-legge n. 83 del 2015 c’è una parte che riguarda il processo telematico, ma sono piccole norme di adeguamento. Ci ha già lasciato il documento, che abbiamo messo in distribuzione.
  Do ora la parola al presidente facente funzioni del tribunale di Milano Roberto Bichi.

  ROBERTO BICHI, Presidente f.f. del Tribunale di Milano. Grazie, presidente, e buon pomeriggio a tutti.
  Porto l'esperienza del tribunale di Milano, che da vari anni, da quando è stato creato il tribunale delle imprese, lo ha strutturato come un dipartimento articolato su due sezioni cui è stata affidata la competenza esclusiva delle materie in tema di diritto industriale e diritto societario, come previsto dalla legge prima del 2003, poi del 2012.
  Il disegno contenuto nella legge delega si adatta molto a quella che è già la realtà del tribunale di Milano. Oltre alle materie normativamente attribuite al tribunale delle imprese, infatti, con provvedimenti organizzativi e tabellari sono state attribuite a questo dipartimento delle imprese anche alcune materie che nel disegno di legge verrebbero affidate normativamente a questo tribunale specializzato: le cause di concorrenza sleale anche se non interferente; le cause sulla pubblicità ingannevole; le cause riguardanti le società di persone.
  Riguardo a queste ultime cause, è subito da dire però che l'attribuzione a livello normativo di questa competenza al tribunale delle imprese, se risolverebbe un problema di specializzazione, nel senso che tutta la materia societaria verrebbe a far capo al tribunale delle imprese, dall'altro potrebbe creare dei problemi di prossimità.
  Attualmente, cioè, il tribunale di Milano tratta le cause riguardanti le società di persone del circondario del tribunale di Milano. Un'attribuzione della competenza di tutte le cause societarie personali, ponendole sullo stesso piano delle cause riguardanti le società di capitali, farebbe sì che anche piccole controversie riguardanti società di persone e piccoli esercizi commerciali sarebbero attratte dal tribunale delle imprese a livello tendenzialmente distrettuale, quindi con problemi di prossimità non indifferente. Questa è una problematica che può essere molto rilevante.
  Per quanto riguarda le altre attribuzioni al tribunale delle imprese previste nel disegno di legge, si fa riferimento all'articolo 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del Pag. 132005, quindi alle azioni di classe. È un'opzione certo possibile, ma è da dire che la nostra esperienza non vede necessariamente questa tipologia di causa collegata con il diritto industriale o con il diritto commerciale societario o con le regole della concorrenza. Spesso sono cause che fanno riferimento a contratti di conto corrente bancario, intermediazione finanziaria o erogazione di servizi in regime pubblico, trasporti pubblici e così via, quindi non materia che si ricollegano alla specializzazione propria del diritto societario e del diritto industriale.
  Tra l'altro, la scelta che abbiamo fatto a livello del tribunale di Milano è stata quella di privilegiare queste materie di industriale e di societario, nel senso che abbiamo due sezioni con 14 giudici, i quali hanno un flusso in entrata annuale di circa mille cause, con molti provvedimenti cautelari anche delicati. Comunque, è un dato quantitativo estremamente minore rispetto alle altre sezioni, e quindi con delle rese a livello di tempi eccezionale rispetto alla media. Si interviene, cioè, in tempi stretti sia con la cautela, sia con il reclamo sia in cause delicatissime.
  Se attribuiamo molte competenze in più a questo tribunale delle imprese, evidentemente si ricrea la stessa situazione. Se trasferiamo tutti gli appalti di una certa rilevanza al tribunale delle imprese, pian piano si creerà una situazione di ingolfamento. Se ipotizziamo diverse cause di classe, ex articolo 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, quelle sono controversie che assorbono molte energie. L'ampliamento eccessivo della competenza a questi tribunali delle imprese evidentemente si ripercuote poi sui tempi di definizione.
  Già il presidente Viazzi ha fatto riferimento all'anomalia di questa previsione della nomina dell'esperto, a cominciare dal riferimento al presidente di sezione. Non si capisce perché il legislatore lo abbia indicato. Probabilmente, sarebbe palesemente incostituzionale. Tutt'al più, ci si potrebbe riferire al presidente del collegio. In secondo luogo, questa possibilità è prevista dal codice da sempre, per cui non si vede questa necessità di introdurre un esperto diverso dal CTU per essere sentito in camera di consiglio.
  La riserva di collegialità va benissimo. I miei colleghi che trattano la materia societaria non rimpiangono il rito societario. L'unica disposizione, un riferimento nella nota, che invece era utile era quando, in sede di intervento cautelare sommario sulla sospensiva di delibere societarie, vi era la possibilità di un transito immediato dal cautelare alla decisione di merito collegiale per chiudere una vicenda che aveva necessità di definizione in tempi rapidi. Mi hanno indicato, se proprio si deve privilegiare la collegialità, il suggerimento di introdurre questa possibilità di passaggio dal cautelare al collegiale definitivo, soprattutto nell'ambito delle impugnative di delibere di società.
  Quali altri profili possono venire in considerazione ? Sul tribunale della famiglia mi fermo pochissimo. L'esigenza fondamentale è quella di superare l'articolo 38 delle disposizioni di attuazione. C’è una necessità di definire in maniera esatta le competenze del tribunale della famiglia. È un'esigenza sentitissima, perché oramai, ogni volta che c’è un caso minimamente particolare, si impone un problema molto rilevante di competenza tra il tribunale del conflitto e il tribunale per i minori.
  Farò velocemente alcune notazioni per quanto riguarda le disposizioni in tema di procedura. In merito all'articolo 185-bis, devo dire che questa proposta di conciliazione iniziale predittiva può essere prevista, ma non è un grande strumento. L'esperienza porta a dire che spesso la conciliazione si ha quando si sono acquisiti gli elementi probatori. Io faccio causa di responsabilità professionale, ad esempio, quando c’è la consulenza che determina la misura del danno, e allora sì è molto facile fare una conciliazione. Questa conciliazione predittiva, quindi, non deve influire sulla conciliazione da esperire durante il processo.
  Voglio, però, fare una notazione critica. Noi siamo in un sistema in cui è stata introdotta la mediazione obbligatoria, la conciliazione negoziale obbligatoria, mettiamo Pag. 14anche questa conciliazione in sede di prima udienza: vorrei che il cittadino che si rivolge al giudice perché venga riconosciuto il diritto potesse avere anche una speranza di una sentenza, senza trovarsi in continuazione rinviato di fronte ai conciliatori. C’è anche chi ha ragione e vuole farsi dar ragione. Non è una cosa così strana. Se uno si decide di andare davanti al giudice, vuol dire che ha fatto questa scelta. Sa anche che in Italia ci vogliono dei tempi, ma prima o poi diamogli una sentenza.
  Per quanto riguarda gli altri interventi, già sono stati ricordati gli atteggiamenti critici rispetto all'ipotesi di riportare lo scambio delle memorie prima della prima udienza. Leggendo la relazione Berruti si capisce che si parte dal presupposto che la prima udienza nel processo italiano sia inutile, nel senso che il giudice non legge atto di citazione e comparsa di risposta. È un mero passaggio per dare i termini.
  Credo che noi tutti giudici civili ci ribelliamo un po’ a questa visione. Nella prima udienza non è affatto vero che sia così. Basti pensare a tutta la problematica sulla provvisoria esecuzione, alla sospensione dell'esecuzione, alla rimessione dell'eventuale mediazione delegata, a questioni di costituzione delle parti, di integrazione del contraddittorio e così via. Nella nostra esperienza non è così, non è un'udienza inutile, anzi è un'udienza utile, che permette di definire certi temi della controversia.
  Al tribunale di Milano metà dei flussi è definito non con sentenza, ma con altre modalità. Nell'ambito di queste altre modalità ci sono molte conciliazioni che trovano un avvio nella prima udienza. Questo è un presupposto che non condividiamo. Poi l'esperienza del rito societario è stata pessima. È stato abolito questo scambio di memorie a furor di popolo.
  Si potrebbe ipotizzare che in prima udienza il giudice non sia obbligato su semplice richiesta delle parti a dare questi termini, con una certa discrezionalità del giudice di fissare soltanto dei termini perentori qualora lo ritenga utile, ma non con l'abolizione della prima udienza.
  Lo scambio delle comparse conclusionali prima della precisazione delle conclusioni è contraddittorio in sé. Dovrebbe essere modificato proprio il rito: non chiamiamo di precisazioni e conclusioni l'ultima udienza, ma torniamo alla vecchia udienza di spedizione a sentenza, quando in effetti lo scandalo delle comparse conclusionali avveniva prima dell'udienza di spedizione a sentenza. Non mi sembra che questi siano gli strumenti per davvero risolvere il problema dei tempi del processo civile. Se si vuol fare una breve azione efficace, si intervenga sui termini a comparire. In Italia sono 90 giorni, per la notifica nel territorio italiano, termine che credo non abbia riscontrato da nessuna parte.
  Vado velocemente su altri spunti, come le sentenze costitutive. Il professor Balena ha evidenziato veramente la pericolosità di una tale scelta, che determinerebbe delle incertezze sulla circolazione dei beni e su tutto, con delle conseguenze veramente incredibili.
  Certo, la sinteticità degli atti deve essere perseguita. L'effetto maggiore che ha avuto l'informatica è stato quello di allungare gli atti piuttosto che renderli sintetici. Il copia e incolla è diventato veramente intollerabile, soprattutto negli atti dei difensori, come nelle sentenze, ma negli dei difensori è ormai veramente fuori controllo. Naturalmente, la sinteticità può essere perseguita, ma se non c’è una forma di sanzione, non vedo quale risultato possa avere.
  Forse per concludere – credo che il tempo sia finito – posso ricordare l'esperienza che ho testato del sistema anglosassone, molto più pragmatica ed efficace, sulla lunghezza degli atti. Nello Stato della California – parliamo di vent'anni fa – in una situazione disastrosa della giustizia civile, con un primo intervento determinate cause vengono inserite in un ruolo never by never, vale a dire che il giudice dice che non le tratterà mai, perché di interesse talmente minimo che lui non le tratta e si occupa di altre cause. Anche in quel caso c’è stata la ribellione degli Pag. 15avvocati, per i quali questo è troppo: va bene essere pragmatici, ma così è veramente tanto.
  Hanno trovato lo stratagemma per cui il giudice in prima udienza, sentendo le parti, determinava il numero di pagine che meritava quella causa, in questo caso con l'accordo degli avvocati. È stato un metodo in definitiva non autoritario da parte del giudice nei confronti delle parti molto utile per lo smaltimento di questi arretrati.
  A questo punto mi fermo per non portare via tempo e ringrazio la presidente.

  PRESIDENTE. Siamo noi che la ringraziamo, presidente. È stato consegnato un elaborato nelle osservazioni molto puntuale, come negli altri documenti. La ringraziamo molto.
  Do ora la parola a Luciano Gerardis, presidente del tribunale di Reggio Calabria.

  LUCIANO GERARDIS, Presidente del Tribunale di Reggio Calabria. Presidente, ringrazio particolarmente lei e la Commissione per quest'audizione, che interpreto come un gesto di attenzione per le specificità di un territorio, come prima lei evidenziava.
  Visto il tempo anche ridotto a mia disposizione, ma anche per tutto quello che si è detto finora, sento di dover portare qui proprio la specificità di un territorio, e quindi forse mi e vi intratterrò un po’ di più su questo. Ho sentito anche prima l'ottimo intervento del professor Balena, che condivido appieno. Vorrei dire che spesso si parte da un presupposto e forse non pensiamo fino in fondo sempre che il processo è soltanto uno degli strumenti, uno dei fattori che incide sull'effettività, sulla rapidità e sulla giustezza delle decisioni stesse.
  Intendo dire che il processo è sicuramente suscettibile di miglioramento, ma è soltanto uno dei fattori che concorre all'efficienza della giustizia e, in particolare, della giustizia civile. Il mio territorio è proprio testimone di questo. Dico questo perché, anche a leggere le relazioni e le statistiche che vengono dal Ministero, senz'altro ampiamente apprezzabili per le finalità che le ispirano e per tanti tratti, si ha la sensazione però che sfugga a quei dati statistici la specificità di alcuni territori. Sembrerebbe quasi che ci sia una parte d'Italia particolarmente attenta all'efficienza del processo civile e della giustizia civile e una parte d'Italia al meglio disattenta a queste problematiche.
  Così in realtà non è, o meglio non è sempre. Possono sicuramente esserci delle deficienze organizzative – di questo si può parlare – ma talvolta tutto è dovuto appunto alla specificità di un territorio. Ho portato con me e lascerò agli atti della Commissione la relazione che ho ricevuto, con altre finalità – il calcolo del lavoro straordinario – dal presidente dell'unica sezione dibattimentale del mio tribunale.
  Il mio non è un tribunale piccolo. Sulla carta dovrebbe avere 50 magistrati, ma sono da quasi sette anni presidente del tribunale di Reggio Calabria e 50 magistrati non li ho mai avuti. Mediamente, la scopertura del mio tribunale è stata di un quinto dell'organico, quando non di un quarto.
  Vorrei segnalare a questa Commissione come non sempre sia un problema di organizzazione. Peraltro, sottoponiamo la nostra, come ella sa, al Consiglio superiore della magistratura nel momento in cui formuliamo le tabelle. Personalmente, ho sempre avuto approvate senza alcuna osservazione le mie tabelle, ma questo non mi ha aiutato per nulla a risolvere alcuni problemi.
  Veda, presidente, quando abbiamo presso l'unica sezione dibattimentale 30 maxi processi di criminalità organizzata, come in questo momento; quanto la sezione gip-gup in un solo anno, il 2012, movimenta tra due fasi 2.705 detenuti; quando la sezione misure di prevenzione si trova a gestire beni per un valore stimato superiore ai 2,5 miliardi di euro di beni con sole quattro unità che compongono contemporaneamente le due Corti d'assise; quando questi sono i numeri, con tutte le incompatibilità che si determinano Pag. 16nel processo penale, è facile dire che bisogna stare attenti e organizzare meglio le sezioni civili.
  Giustamente, tra le cause che determinano l'inefficienza della giustizia civile, oltre l'inefficienza della pubblica amministrazione e le risorse, su cui tornerò, il professor Balena indicava anche il problema del riequilibrio dei magistrati tra settori civile e penale. Il presidente Panzani sa bene che di questo ci siamo occupati.
  Il tribunale di Torino, quando lo presiedeva, ha creato una costola del nostro processo «Crimine», e cioè il processo «Minotauro». Era un processo di criminalità organizzata affidato a tre giudici, che si sono dedicati esclusivamente a quel processo per tutta la durata dello stesso. Milano ha celebrato il processo «Infinito», altra costola del nostro «Crimine» nelle stesse esatte condizioni, con tre giudici che si sono occupati esclusivamente di quel processo.
  Noi, con nove magistrati della sezione dibattimentale, dobbiamo affrontare quasi 8.000 cause, di cui 261 collegiali e 30 maxi di criminalità organizzata. Con i problemi di incompatibilità che vengono a determinarsi e con la costante scopertura per ragioni varie dell'organico, con l'inadeguatezza assoluta dell'organico, è facile vedere come non sia soltanto, o forse per nulla – diciamolo francamente – un problema di organizzazione.
  Vorrei fare una seconda considerazione legata a questa, e torno al costo zero, che mi preoccupa molto. Le riforme a costo zero, come quelle che si vogliono fare, significano soltanto – qua lo si dice e parlo, per esempio, per il tribunale della famiglia, su cui tornerò – una riorganizzazione in modo da poter costituire le sezioni specializzate della famiglia, che mi trovano assolutamente consenziente, ma che presupporrebbero di distogliere le risorse da altri settori, che non potrebbero essere in realtà che il settore penale.
  Allora vi chiedo se tutto questo è compatibile con la nostra dimensione e con la nostra realtà dei problemi. Qui sento forte la responsabilità di rappresentare a lei, presidente, e alla Commissione tutta questo forte grido di dolore che viene veramente da sedi dove è dilagante la criminalità organizzata. Mi rendo conto che l'esercizio dei diritti è fondamentale anche per sconfiggere la criminalità, ma se prima non si dà una risposta sui grandi problemi delle libertà personale, mi chiedo come si possano distogliere risorse dal settore penale, riportandole a quello civile.
  Questo costo zero, allora, è particolarmente grave, soprattutto – mi faccia concludere con questo primo aspetto – per quanto riguarda qualcosa di cui forse finora non abbiamo parlato: il personale non solo di magistratura, ma di cancelleria. Ancora una volta le porto la specificità del mio tribunale. In sede di ispezione ordinaria, nel 2001 il Ministero ritenne che fossero essenziali per il normale funzionamento del tribunale di Reggio Calabria 245 unità di personale amministrativo.
  Lei sa che dal 2001 a oggi si sono quasi decuplicate le funzioni della cancelleria. Oggi abbiamo 140 effettive unità ! Questo significa 105 di meno dello stesso stimato ministeriale del 2001 ! Abbiamo grandissimi problemi per gestire le udienze, persino quelle penali. Non riusciamo a fare lo straordinario, che come sa il Ministero ha bloccato, dicendo che è responsabilità dei capi degli uffici andare oltre. Mi trovo davvero spesso tra l'incudine e il martello. Tenga conto che la gestione di tutto quel numero di detenuti ha significato che una buona parte delle carceri calabresi e siciliani fossero piene di detenuti che dovevano venire al mattino a fare le udienze al tribunale di Reggio Calabria. Di più non si poteva, perché non sarebbero arrivati in tempo. Spesso i detenuti arrivavano a mezzogiorno, alle 13.00, talvolta alle 14.00, quando non si poteva più proseguire il processo perché scattava lo straordinario del personale.
  Questi sono i problemi, e mi scuso se ho parlato quasi esclusivamente di penale in una sede che tratta la riforma del codice di procedura civile, ma se non teniamo conto di queste specificità territoriali, Pag. 17rischiamo di falsare fortemente le problematiche che siamo chiamati ad affrontare.
  Fatta questa premessa, e mi scuso per la sua eventuale lunghezza, vengo brevemente a dire qualcosa, che peraltro è ripetitivo di quello che probabilmente molto meglio di me è stato detto fino a questo momento. Comincerò proprio dalle cose che tratto io, per esempio il tribunale della famiglia.
  Ho letto, come tutti, il dibattito fino a questo momento molto ricco articolato c’è stato. Si tratterebbe solo di fare delle opzioni. Ho letto che ci sono delle previsioni internazionali, ma anch'io mi chiedo per quale motivo, ad esempio, si voglia semplicemente limitare soltanto ad alcune materie la specializzazione delle sezioni, perché si continui a mantenere questa ambivalenza tra tribunale dei minorenni – parlo per il settore civile, ma varrebbe anche per il penale – e le sezioni specializzate. Per il civile, come diceva il presidente Viazzi, sicuramente continueranno a porsi problemi di competenza, anche se è opportuno quello che fate cercando di risolvere qualcosina, ma qualcosa.
  Vorrei anche segnalare che il tribunale ordinario non ha la dotazione degli esperti a tempo pieno che ha il tribunale per i minorenni. Quest'ultimo si avvale, nelle audizioni e in tutto, di personale specializzato che noi non abbiano. Questo è, secondo me, un problema che va risolto in radice. Ho visto che prevedete l'utilizzazione di esperti, ma deve essere chiaro che questo deve integrarsi con la normativa che andate a sviluppare.
  Relativamente alla conciliazione preventiva obbligatoria, parlerò soltanto di pochi aspetti che ci hanno riguardato. Il tribunale di Reggio Calabria sin dal 1997, mi pare – ero presidente della sezione civile – ha sperimentato questa forma di conciliazione preventiva nella sinistrosità stradale quando il processo lo consentiva.
  Quando si è trattato di danni micropermanenti e la contestazione non era così forte da sembrare proprio radicale, abbiamo tentato molto utilmente la conciliazione preventiva. Ci siamo spesso riusciti, perché abbiamo avevamo le tabelle di liquidazione del danno biologico. Abbiamo notevolmente ridotto il contenzioso con questa conciliazione preventiva, ma laddove era possibile. Forse quest'estensione di un tentativo obbligatorio di conciliazione preventiva spesso si rivelerà non utile ai fini processuali.
  Concordo perfettamente quanto dicevano il professore Balena e gli altri per quanto riguarda le perplessità sull'articolo 183, sull'anticipazione dello scritto rispetto alla trattazione dell'articolo 183, e concordo perfettamente sull'utilità invece di una prima udienza che sia assolutamente di verifica, di provvedimenti di integrazione, di ascolto delle parti. Non è inutile un'udienza ex articolo 183 assolutamente come può pensarsi e come sembrerebbe trarsi dalla relazione introduttiva. Mi sembra, invece, che vada segnalata l'importanza di questo articolo 183 fino in fondo.
  Poi mi sembrava giustissima l'osservazione del professor Balena sul fatto che queste preclusioni preventive a ogni costo, rigide e così via, non si sono rivelate fondamentali, utili ai nostri fini. Proprio come lui accennava, i procedimenti camerali, procedimenti assolutamente liberi, sono invece quelli più efficienti e che danno una migliore risposta.
  Condivido, inoltre, perfettamente, e non mi soffermo, le questioni sollevate sull'esecutività del processo di primo grado. Condivido perfettamente queste perplessità sulle sentenze costitutive e non ci torno.
  Segnalo la positività, a mio avviso – e concludo – della normativa che si vuole introdurre in materia di processo esecutivo, soprattutto per quanto attiene all'aspetto dall'adottabilità del procedimento sommario nell'opposizione alle esecuzioni, che secondo me può sicuramente agevolare molto in termini di rapidità ed efficienza di risposta.
  Mi fermo qui e ringrazio.

  PRESIDENTE. La ringraziamo, presidente, anche per la sua testimonianza. Peraltro, siamo consapevoli delle varie Pag. 18problematiche di organizzazione ancora in essere e a cui speriamo stia facendo fronte il Ministro.
  Do ora la parola al presidente del tribunale di Verbania, Massimo Terzi.

  MASSIMO TERZI, Presidente del tribunale di Verbania. Ho mandato delle note adeguate – c'era scritto «sintetiche» – e, preannunciando quello che era stato scritto nel codice, mi sono strettamente adeguato a questo concetto, anche perché spesso le norme sono inutili se poi ognuno fa come gli pare.
  Come avrete visto, ho toccato pochi punti, che adesso esaminerò, ma prima mi hanno molto stimolato due idee che sono state manifestate. Il tema posto dal presidente del tribunale di Reggio Calabria – so che non è questa la sede, ma può essere la sede per lanciare l'idea – secondo me stimola un'idea a monte che io coltivo da molto tempo: forse è arrivato il momento di rendersi conto che l'organizzazione civile e l'organizzazione penale nei tribunali sono due cose molto diverse e sempre più lo saranno.
  Forse sarà giunto il momento di mettere in discussione anche l'unicità del capo dell'ufficio, proprio perché le visioni, le risorse e le necessità sono diverse e c’è anche una difficoltà di contemperare le varie esigenze. Questa è un'idea random che mi ha stimolato il presidente del tribunale di Reggio Calabria.
  Vorrei offrire un altro spunto avendo sentito i colleghi. Qui, sostanzialmente, è evidente che si sta andando sempre più comunque verso il tribunale delle imprese specializzato, allargato, tribunale dei minori e tribunale fallimentare alla fin della fiera. Non sono né a favore né contro, ma credo che il Parlamento in particolare debba fare un'accurata riflessione. Per il tramite di queste riforme organizzative di fatto, oltre a derogarsi al giudice naturale, si sta minando una certa idea di magistrati tutti uguali. Alla fine, è inevitabile, andando in questa direzione, che la magistratura si divida in una magistratura di seria A e in una di serie B, con tutto quello che può conseguirne anche in un ambito generale di equilibri costituzionali.
  Allora credo, anche se mi rendo conto che è stata appena fatta la riforma della geografia giudiziaria dopo anni di lotte...

  PRESIDENTE. Con dolore.

  MASSIMO TERZI, Presidente del tribunale di Verbania. Con grande dolore. Se si vuole impostare un discorso in termini di sezioni specializzate – è palesemente assurdo creare una sezione specializzata, in tribunali di certe dimensioni, della famiglia e così via – forse bisogna avere il coraggio di ripartire daccapo e di creare delle unità, uffici giudiziari che abbiano sufficiente dimensioni per aver una struttura omogenea a tutti gli uffici giudiziari, senza rischiare questa diseguaglianza nella magistratura, che a mio avviso può avere gravi conseguenze.
  Passando al tema più specifico, sono abbastanza d'accordo sul fatto che non sono le riforme del codice a migliorare l'efficienza. Siccome, però, mi sembra che l'aria che tira sia che qualcosa si va a toccare, cerchiamo di toccare le cose utili. A mio avviso, come ho scritto, una delle cose più utili sarebbe quella, mi sembra contrariamente alla proposta Berruti, di unificare l'atto introduttivo tutto per ricorso. Quest'esigenza, oltretutto, mi sembra necessaria non solo per i motivi che dirò, ma anche per un minimo di coerenza con il processo civile telematico.
  L'atto di citazione è, sostanzialmente, un atto necessariamente cartaceo, o comunque prevalentemente cartaceo prima del processo. In un'ottica di processo civile telematico, mi pare una follia che buona parte dei procedimenti civili abbia l'atto introduttivo, quello più importante, cartaceo, che è cosa diversa da un originale informatico. Già questo motivo mi convincerebbe della necessità di scegliere il ricorso tout court.
  Oltretutto, adesso ci sembra impossibile, perché chiaramente all'inizio tutto sembra difficile, ma nel giro di poco tempo tutti gli atti processuali saranno informatici obbligatoriamente e lo saranno, volente o nolente, anche per i Pag. 19magistrati. È solo questione di tempo, ovviamente di fare assorbire il cambiamento.
  Se prevediamo un processo civile in cui tutti gli atti sono in originale informatico, diamo garanzia al sistema che nel giro di vent'anni libererà tutti i depositi del civile e tutti i famosi fascicoli d'ufficio di una volta si terranno in una scatoletta così, reperendo risorse infinite. La custodia dei fascicoli cartacei, infatti, comunque ha costi molto elevati in prospettiva. Possono essere anche carte su liberazione di risorse da giocarsi con il Ministero dell'economia e con il Governo.
  Non è, però, solo il motivo informatico che mi induce a perorare la causa dell'unicità dell'atto introduttivo, il ricorso. Secondo me, comunque l'atto di citazione ha fatto il suo tempo da un punto di vista psicologico e maieutico per i magistrati. Mi sembra che in altre audizioni abbiano già detto altre persone che, essendo l'atto di citazione un flusso dall'esterno, dal punto di vista psicologico il magistrato ha un po’ meno di cultura di autorganizzazione rispetto a un ricorso. Il ricorso è comunque qualcosa che ci si ritrova, devi fissare tu l'udienza e programmare per organizzarti, e quindi la scelta del ricorso come atto introduttivo secondo me avrebbe anche una funzione maieutica per migliorare la cultura di autorganizzazione da parte dei singoli magistrati.
  L'altro tema che mi sembra sia stato sviluppato e su cui vorrei spiegare questa mia idea particolare è quello della sinteticità degli atti. Come ho detto con la battuta iniziale, per cui si fa presto a definire qualcosa sintetico, ma bisogna vedere le sanzioni e come si adempia, sempre nell'ambito di un'idea informatica, direi di usare la leva fiscale. Credo che oggi la DGSIA (Direzione generale servizi informativi automatizzati) sarebbe in grado in 48 ore di dare tranquillamente il peso dell'atto che vi viene buttato dentro: facciamo pagare il contributo unificato, o quello che sia, proporzionalmente a questo peso.
  Credo che ci sarebbe un generalizzato crollo dei copia e incolla da parte degli avvocati. Se, infatti, incollando 100 pagine, devo spendere mille euro di contributo unificato, probabilmente ci penso due volte. Tutto questo è assolutamente banale dal punto di vista informatico. Ovviamente, si dovrebbe conciliare con un altro punto, che penso arriverà tra non molto, che sarebbe quello del pagamento telematico obbligatorio. Diversamente, tutto diventerebbe troppo complicato. Credo, però, che sia molto meno complicato di quello che si pensa mettere in piedi un'operazione del genere.
  Un altro punto un po’ particolare che ho portato avanti è questo, e qui mi sembra di essere abbastanza in minoranza rispetto a quanto è stato detto. Dico che forse è ora di cominciare a vedere quello civile come un processo in cui siano soprattutto le parti a dare la loro valutazione, recuperando un po’ di importanza della valutazione da parte dei soggetti, verificando se possa star bene loro o meno una certa proposta o una certa decisione. Adesso, in realtà, non è così. Sono gli avvocati ad avere una grande influenza.
  Io vedo, al contrario del collega presidente f.f. del tribunale di Milano, una prosecuzione della mediazione obbligatoria anche in corso di processo. Ogni momento è buono per «far pace». Ogni momento è buono. E in ogni momento le parti devono fare la loro valutazione. Come ho scritto, vado oltre: dico che si può in qualche modo ancora far pace dopo il dispositivo della sentenza e prima di scrivere la motivazione. Le parti possono, alla fine della fiera, anzitutto ancora far pace una volta uscito il dispositivo; comunque, accettare quel dispositivo.
  Se troviamo il sistema per farlo sapere prima e per dare un tempo di spatium deliberandi prima, magari potremmo anche evitare di scrivere motivazioni ove le parti dichiarassero che non vogliono impugnare la precisione. Quello che è stato detto è vero, il vero collo di bottiglia del processo civile è il numero di sentenze, di decisioni latu senso che i magistrati riescono a iscrivere. Se troviamo dei sistemi che possono comportare anche decisioni a cui non seguono motivazioni, che comunque sono la parte più impegnativa dal Pag. 20punto di vista di utilizzazione di tempo, probabilmente dei margini di miglioramento potrebbero essere trovati.
  Su un altro punto mi pare di capire di essere in netta minoranza. Vi dico che forse è arrivato il momento di rendere speculari primo grado e appello, magari estendendo la regola che dirò a tutte e due le situazioni. C’è il primo grado monocratico e non vedo perché non possa esserci un giudice d'appello monocratico. Magari si può prevedere che il giudice d'appello monocratico possa chiedere, se del caso, che si decida in forma collegiale perché il caso è complicato o altro. Sono d'accordo, però, sul fatto che in realtà il processo d'appello non ha alcuna particolare vischiosità, e quindi l'inefficienza, o comunque i lunghi tempi dell'appello evidentemente non possono essere sanati in una riforma procedurale in sé e per sé. Si potrebbe fare un tentativo in questo senso.
  L'ultima proposta, questa abbastanza shock, che vi faccio è questa. Dei procedimenti sopravvenuti di un tribunale, circa il 40 per cento sono decreti ingiuntivi, di cui oltre la metà nei confronti di imprese commerciali. Dico che forse è arrivato il momento di far assumere agli avvocati la responsabilità di fare ingiunzioni che possono diventare esecutive, se non opposte, senza passare per il tribunale. Questo comporterebbe un grande discarico da parte degli uffici giudiziari, sicuramente accelererebbe moltissimo i tempi.
  Come ha scritto, e mi spingo ancora più in là, a questo punto non vedo perché non dare anche agli avvocati la responsabilità dell'autoformazione esecutiva del titolo, sostanzialmente spostando la discussione giudiziaria a un'eventuale opposizione a precetto, ovviamente senza rendere, prima della notifica del precetto con il titolo esecutivo autoformato, esecutivo il decreto ingiuntivo. Credo che questo farebbe risparmiare circa il 20 per cento delle sopravvenienze agli uffici giudiziari.
  Oggi, così come l'obbligo la PEC è limitato alle imprese commerciali, non troverei così folle, come può apparire, un'idea del genere.
  Credo di averne dette abbastanza.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente.
  È il momento dell'esperienza della presidente di sezione civile del tribunale di Livorno, Giuliana Civinini, alla quale do la parola.

  GIULIANA CIVININI, Presidente della sezione civile del Tribunale di Livorno. Ringrazio dell'invito. Mi trovo in sintonia con molte delle cose che sono state dette dalla maggioranza, giusto per riprendere il filo del presidente del tribunale di Verbania. Potrò concentrarmi, quindi, su alcuni aspetti specifici che mi sembrano, nella mia esperienza, di particolare importanza, come i procedimenti in materia di famiglia e alcune questioni particolari relative al processo ordinario di cognizione di primo grado.
  Per quanto riguarda la questione famiglia, non dirò nulla sulla soluzione ordinamentale che prevede il mantenimento del tribunale per i minorenni, perché sono perfettamente in linea con quanto detto il presidente Viazzi, che è poi opinione espressa ampiamente nelle consultazioni dall'AIAF (Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori).
  Per quanto riguarda la soluzione organizzativo-ordinamentale relativa alla creazione di una sezione specializzata del tribunale ordinario, osservo che la norma del disegno legge delega non specifica se i giudici di tale sezioni esercitino le funzioni in maniera esclusiva, sul modello del giudice del lavoro. Per garantire la specializzazione si dovrebbe modificare il numero 2 della lettera b) del comma 1 dell'articolo 1 aggiungendo appunto le parole: «in via esclusiva».
  C’è da tener conto che, qualora si adottasse questa soluzione – non sono pessimista come il presidente Viazzi sulla possibilità di costituire queste sezioni – certamente avremmo bisogno come minimo di un tribunale composto da 21 magistrati. Una sezione specializzata famiglia, infatti, deve avere un minimo di quattro magistrati: il giudice tutelare e tre Pag. 21per la formazione del collegio, per i reclami e, ovviamente, per tutte le funzioni ampie che rientrano in questa sezione.
  Se non vi è esclusività, e quindi si sceglie la via opposta, si deve tener conto che non cambia nulla rispetto a quello che è oggi. Nei grandi tribunali ci sono le sezioni famiglia oggi e ci saranno domani e saranno specializzate; i piccoli tribunali saranno sezioni dove si fa famiglia e tutto il resto, salvo soluzioni organizzative particolari. La specializzazione, quindi, sarà molto affievolita.
  Sarebbe opportuno che la legge delega si occupasse della specializzazione sia nella fase di selezione, raccomandando l'adozione di criteri che valorizzino esperienze specifiche nel settore e la formazione, e che si raccomandasse anche che chi fa parte della sezione debba partecipare a sessioni obbligatorie di formazione non solo sulle materie giuridiche specifiche, ma anche su quelle extragiuridiche – non sto a dilungarmi su questo – che sono molto importanti per quello che riguarda la materia minori e famiglia.
  Non ho osservazioni sulla competenza. Se si mantiene la distinzione tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni, ha un suo senso attribuire la trattazione dei procedimenti ex articoli 330 e 336 del codice civile, cioè i provvedimenti ablativi, al tribunale del disagio, cioè al tribunale per i minorenni, anche perché si tratta di provvedimenti che possono spesso sfociare in procedure per lo stato di abbandono. Il tribunale ordinario ne terrà conto come elementi di fatto della causa petendi per adottare i provvedimenti eventualmente rientranti nella sua competenza.
  Il riferimento all'ausilio dei servizi sociali mi sembra ultroneo. Se si fa riferimento agli ordinari servizi sul territorio, è già così: tutti i tribunali della famiglia, tutti i giudici della famiglia si avvalgono ampiamente dei servizi sociali dei comuni e dell'ASL; se si fa riferimento ai 29 uffici del servizio sociale per i minorenni che dipendono dal Ministero della giustizia, non hanno certo le risorse né umane né materiali sufficienti per supportare 136 tribunali.
  L'ausilio dei tecnici specializzati è un punto che mi sta particolarmente a cuore. Ho espresso da molti anni l'idea che neppure il tribunale per i minorenni dovrebbe avere dei tecnici, degli esperti in materie extragiuridiche che operano come dei giudici, quindi come se fossero dei giuristi, con competenze in più, vedendosi delegare anche attività istruttorie specifiche, nelle quali la competenza giuridica del giudice con il suo bagaglio di giurista è essenziale. Mi riporto, quindi, a questa contrarietà assoluta, senza entrare nel tema perché non ci sarebbe tempo.
  Non entro neanche nel tema della sentenza della Corte costituzionale citata dal presidente dell'Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia, Micela, che francamente dà un'interpretazione dell'articolo 29 della Costituzione piuttosto discutibile. Il punto è che la presenza di giudici portatori di conoscenze extragiuridiche fuori dalle forme della consulenza tecnica d'ufficio viola il diritto al contraddittorio, viola il diritto di difesa e il diritto fondamentale all'imparzialità del giudice. Penso che, se un avvocato avesse l'idea di portare la questione davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), riporteremmo l'ennesima condanna.
  Lo stesso discorso, secondo me, si può fare per i tecnici delle sezioni specializzate per le imprese. Mi limito a notare nel contesto del disegno di legge delega che è molto diversa l'impostazione di questi tecnici di supporto nelle due sezioni specializzate: da una parte, sembrano giudici laici che integrano il collegio; dall'altro, degli esperti che partecipano alla camera di consiglio e sono pagati dalle parti, e forse sarebbe eventualmente opportuna un'omogeneizzazione.
  Mi sembra molto importante, invece, la riforma del rito per i procedimenti attribuiti alle sezioni specializzate per varie ragioni. Da un lato, il processo di famiglia oggi è divenuto un'emergenza sociale. È un moltiplicatore di conflitti e di cause non solo in sede civile, ma che in sede penale. Questo è un portato della crisi economica. Assistiamo al diffondersi della presenza di Pag. 22un disagio che abitativo, scolastico, psichiatrico, psicologico terribile. I servizi che i comuni possono offrire a supporto sono sempre minori per la spending review. Questi procedimenti sono diventati un collettore di tensioni e conflitti enormi.
  Se non si incide in questa materia in modo molto competente, ma anche molto rapido, la conseguenza è la moltiplicazione delle cause per violenza domestica, per maltrattamenti, per mancato pagamento del contributo al mantenimento, delle modifiche delle sentenze di separazione e divorzio o dei provvedimenti adottati per la filiazione al di fuori del matrimonio. Mi sembra, quindi, indispensabile che su questo la delega introduca alcuni princìpi direttivi chiari.
  A mio avviso, tutti i procedimenti contenziosi – dico contenziosi perché si discute di corposi diritti, come separazione e divorzio, modifiche di separazione e divorzio e fissazione delle condizioni di affidamento e mantenimento per i figli nati fuori dal matrimonio – possono avere lo stesso rito: un'introduzione con ricorso, con la previsione di un termine a comparire massimo di 20 giorni, ma modulabile dal giudice su richiesta di parte o d'ufficio; una proposizione delle domande e delle richieste istruttorie negli atti introduttivi; una fondamentale udienza davanti al giudice istruttore. A quel punto, non ha più senso avere il presidente del tribunale o della sezione che fa le funzioni famiglia, in quanto è una sezione specializzata e tutti sono in grado di svolgerne le funzioni.
  Penso anche a un ascolto molto mirato dei coniugi o dei genitori nei procedimenti della famiglia non tradizionale; all'ascolto dei minori, salvo di quelli non capace di discernimento; ad eventuali accertamenti patrimoniali; all'adozione di provvedimenti provvisori molto sostanziosi, che possono in alcuni anche dar luogo a un immediato passaggio a sentenza qualora il giudice, sentite le parti, non ritenga necessaria ulteriore attività istruttoria.
  Deve essere prevista la reclamabilità al collegio dello stesso tribunale e non della corte d'appello. Nei piccoli tribunali il giudice tutelare sostituisce nel collegio il giudice che ha adottato i provvedimenti, in quanto sappiamo che una delle ragioni per cui si viene spesso condannati dalla CEDU, soprattutto i tribunali nascenti dal tribunale per i minorenni, è che i procedimenti durano molto tempo e i provvedimenti provvisori restano in piedi a lungo senza che sia possibile individuare un giudice che può modificarli in sede di reclamo. La reclamabilità di tutti i provvedimenti in questa materia è, quindi, essenziale.
  Lo è anche la possibilità di disporre di una consulenza tecnica psicologica e sulla capacità genitoriale delle parti in qualunque momento, anche nella prima udienza se la situazione che emerge dagli ascolti è tale da richiedere un approfondimento professionalmente molto qualificato.
  Servirebbero la previsione per la parte di chiedere la pronuncia della sentenza parziale di separazione e divorzio fin dalla prima udienza e l'indicazione che le prove debbano essere adottate in modo concentrato, dopodiché o alla stessa udienza le parti potranno concludere o a un'udienza molto ravvicinata. Si tratta di un procedimento conflittuale, contenzioso, che segue le regole del contraddittorio e del diritto di difesa, e che si svolge da un minimo di pochi mesi a un massimo di un anno e mezzo – o a un anno e dieci mesi forse nei casi molto complessi, in cui sono richieste molte prove, molti accertamenti e consulenze.
  Bisognerebbe ormai anche eliminare l'addebito. Non mi dilungo, perché è fuori dalla delega, ma avendo la possibilità di esercitare un'azione di risarcimento del danno ex articolo 2043 del codice civile, non ha senso mantenere quest'ammennicolo dell'addebito, che allunga i processi e che ora con il divorzio breve porterà a dei divorzi rapidissimi, con la causa di addebito che prosegue negli anni mantenendo rancori e cattiverie accese nel tempo.
  Ci dovrebbero essere poi princìpi che riguardano tutti i procedimenti consensuali, separazione e divorzio, ma anche tra genitori di famiglie non tradizionali, che possano concordare le condizioni di affidamento e mantenimento. Tutti potrebbero avere la stessa struttura: comparizione Pag. 23davanti al giudice istruttore o relatore; verifica che l'interesse del minore sia attuato, altrimenti ascolto; rimessione al collegio per la decisione.
  A mio avviso, la legge delega dovrebbe contenere anche due raccomandazioni fondamentali, che nascono dalle numerose condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione dell'articolo 8, diritto alla vita familiare, e anche dalla tradizionale prudenza, riserbo dei giudici non solo ordinari, ma anche minorili, a procedere all'ascolto, in particolare all'ascolto diretto, eventualmente con l'assistenza di un ausiliario psicologo.
  Pensiamo che in tutti i rapporti sullo stato d'attuazione della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo si vedono sempre scritte le stesse cose: che in Italia si fanno pochi ascolti, e questo è perché abbiamo una struttura paternalistica della giustizia e un approccio paternalistico ai problemi di famiglia. Dovrebbe esserci la raccomandazione a che sia assicurata l'adeguata considerazione dell'interesse del minore, con ascolto diretto, eventualmente con l'assistenza di un ausiliario psicologo o psichiatrica, sempre salvo che il minore non sia capace di discernimento. È, però, il giudice che deve valutare se lo è o meno, vedendo il bambino, provando a parlarci, provando a effettuare. L'ascolto è un momento di diritto per il minore e un momento di grande conoscenza per i genitori.
  Inoltre, dovrebbe essere raccomandato il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell'infanzia e delle linee guida del Consiglio d'Europa in materia di giustizia a misura di minore. Gli stessi princìpi potrebbero essere applicate davanti al tribunale per i minorenni.
  Se ho ancora due minuti, ho alcune brevissime osservazioni sul processo ordinario di primo grado. Condivido molte delle cose dette prima di me, e quindi non ci tornerò. Vorrei solo dire che sul tentativo di conciliazione a valutazione prognostica l'attuale testo dell'articolo 185-bis del codice di procedura civile, che consente il tentativo di conciliazione in qualunque momento e fino alla chiusura dell'istruttoria, lascia aperta la strada prevista dalla legge delega e non ne esclude altre, lasciando al prudente apprezzamento del giudice di valutare il momento migliore per la proposta.
  Osservo anche che nella pratica si tratta di un istituto che sta avendo un successo enorme, che i giudici attuano con impegno, ma a ragione veduta. Penso che lasciare il testo attuale della norma soddisferebbe le esigenze del legislatore delegato senza creare nuove modifiche.
  Un'altra osservazione è sullo scambio anticipato di memorie e anticipazione delle comparse conclusionali. Dello scambio anticipato delle memorie hanno già detto molto prima di me ed è inutile che mi ripeta. Vorrei solo fare un'osservazione: non è facendo cominciare il processo davanti al giudice alla prima udienza che si evita il rischio Pinto, come mi sembra che si favoleggi un po’ nella relazione o nel progetto che sta alle sue spalle.
  Se andiamo a vedere la giurisprudenza della CEDU in materia di tempi necessari per l'esecuzione degli sfratti all'epoca del blocco e della graduazione degli sfratti, apprenderemo che la CEDU non considera solo il segmento strettamente giudiziario, ma la ragionevole durata, parametrandola alla realizzazione del diritto, che comprende sia la fase preliminare in cui si discute sia quella finale in cui si fa l'esecuzione. Non è certo con l'inserimento di norme come quella che c’è nella normativa sulla mediazione che non si conta il tempo ai fini della Pinto. In questo modo a Strasburgo ci ridono dietro.
  Penso, invece, come ha già detto non ricordo più chi, forse il presidente del tribunale di Milano, che sarebbe utile lasciare al giudice più flessibilità per quello che riguarda la concessione dei termini prima di arrivare all'udienza di ammissione delle prove. Il giudice, discutendo con le parti, potrebbe suggerire di avere solo due termini, di non averne nessuno, e dal dibattito processuale potrebbe venire la giusta soluzione.
  Aggiungo che in molti protocolli per l'udienza civile, ad esempio quello nel mio tribunale, questo è già previsto e funziona Pag. 24adeguatamente: tutte le volte che non c’è da fare una vera emendatio o una modifica della domanda si chiedono solo due termini, e quindi si tratta di andare a 50 giorni per le decisioni istruttorie. Ugualmente, basterebbe dire che si può sempre rinunciare alle conclusionali per evitare che in udienza di precisazione delle conclusioni si perda troppo tempo.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per aver esaurito tutti i temi, avendo anche rispettato i tempi. Vi ringrazio molto anche degli elaborati scritti.
  Siamo quasi alla fine. Anche per l'esperienza come presidente del tribunale di Marsala che è stata già studiata e analizzata dalla Commissione di valutazione, do la parola al presidente della Corte d'appello di Palermo, Gioacchino Natoli, che ringrazio anche per il documento che ha predisposto.

  GIOACCHINO NATOLI, Presidente della Corte d'appello di Palermo. La ringrazio, presidente, per l'attenzione che ha voluto riservarmi, che ho inteso ovviamente, come ella ha precisato, per i risultati ottenuti in un tribunale, importanti a mio avviso per un passaggio che è stato sottolineato dal presidente Viazzi, e cioè perché il tribunale di Marsala è uno di quelli 88 tribunali con organico inferiore alle 30 unità, in cui l'aspetto organizzativo è assolutamente prevalente rispetto a qualsiasi altro discorso.
  Mi permetterà di aggiungere a questo – mi dispiace che il professore Balena sia dovuto andare via, glielo accennavo sottovoce durante l'audizione – che spesso si commette, a mio modesto avviso, l'errore di prospettiva di tarare gli interventi su un sistema Italia come fosse un sistema omogenea. Come ben sappiamo, invece, come sanno certamente tutti i presenti, il nostro è un sistema a macchia di leopardo, in cui però la gran parte, il 65 per cento, è costituito da quegli 88 tribunali su 136 che sono dei microcosmi all'interno dei quali la componente soggettiva è assolutamente prevalente. Mettendo insieme la componente soggettiva con quella organizzativa, i risultati o la probabilità di risultati positivi si innalza di moltissimo.
  Cosa completamente diversa è parlare del problema al quale, ad esempio, faceva riferimento in alcuni suoi accenni il professore Balena del tribunale di Roma, che continuo a dire essere unico tribunale conosciuto al mondo, a eccezione della Cina, che non conosco a sufficienza per esprimere un giudizio così categorico, come il più grande. Non parliamo, quindi, di Roma, né di Napoli, che aggiunge alla grandezza dei numeri una specificità di tipo sociale che non è il caso di sottolineare.
  Non appena passiamo al tribunale di Milano, di grandi numeri, vediamo che già l'aspetto organizzativo fa cambiare totalmente la prospettazione. Quando passiamo all'ottimo tribunale di Torino o alla Corte d'appello di Torino, l'ottima organizzazione fa cambiare completamente ogni prospettiva. Probabilmente, se ci dedichiamo alla reale strutturazione e composizione del sistema Italia – mi piace utilizzare questa dizione – verosimilmente riusciremo ad avere qualche risultato diverso da quelli inani che tutti hanno sottolineato essere i risultati certamente intervenuti dalla legge n. 353 del 1990 a oggi. Il professore Balena addirittura retrodatava questa inanità a tempi ancora più risalenti.
  Mi soffermerò soltanto su pochissimi temi, due verosimilmente, perché sul resto il dibattito che ho letto con attenzione dalle trascrizioni dei lavori di questa Commissione, che ho particolarmente apprezzato, è stato così ampio e risalente da non avere bisogno certamente del mio contributo.
  Per il documento che, invece, ho depositato, che è della corte d'appello – ho ritenuto che sull'esperienza di Marsala ci fosse ben poco da dire, se non per l'aspetto organizzativo, sul quale tornerò soltanto per un attimo – mi è parso fosse indispensabile seguire un modello di lavoro per le nostre sintetiche osservazioni che desse, appunto, contezza del frutto delle riflessioni di un gruppo che opera quotidianamente sul campo della corte di Pag. 25un territorio particolare, e sulla particolarità mi rifaccio a ciò che ha detto Luciano Gerardis e non aggiungo altro.
  In linea generale, però, prima dei due punti desidero ancora sottolineare che sarebbe assolutamente indispensabile, ad avviso di questo gruppo di lavoro e mio in particolare, pensare principalmente e precipuamente all'aspetto organizzativo. Questo è un terreno sul quale gli sviluppi positivi sono forieri di risultati notevoli.
  Avete visto nella relazione tecnica, credo a pagina 18 del documento che ci avete mandato, che vi è una serie storica dello stock di pendenze Italia – lo chiamo sinteticamente così – che ci vede impennare o far impennare lo stock stesso tra il 2003 e il 2009. Dal 2010 fino al 30 giugno del 2013, vede invece lo stock delle pendenze abbassarsi lentamente, ma costantemente.
  Con l'ufficio statistico della Corte ho cercato di spingermi, con risultati che non sono ovviamente ufficiali – faccio, quindi, tutte le riserve di questo mondo – fino al 31 dicembre 2014. Un altro dei problemi che dobbiamo risolvere, infatti, signora presidente, è quello delle statistiche. Non possiamo permetterci, in un mondo nel quale con un clic si spostano in tempo reale capitali finanziari immensi, di lavorare oggi, in sede parlamentare, con statistiche al 30 giugno 2013. Io ho già le statistiche al 31 dicembre 2014 e ritengo di essere in deficit se devo prendere una decisione oggi, che siamo al 6 luglio 2015.
  Comunque, le statistiche al 31 dicembre 2014 ci confermano un calo dello stock delle pendenze che non voglio quantificare, perché mi sembra eccessivo, ma che, se anche fosse la metà di quello che mi appare, sarebbe comunque significativo.

  PRESIDENTE. Questi sono dati del Ministero ?

  GIOACCHINO NATOLI, Presidente della Corte d'appello di Palermo. No, sono presi su dati ministeriali, ma sono elaborazioni che facciamo con l'Ufficio statistico, che sono assolutamente private. Non è il caso di consegnarle in una sede pubblica ed elevata qual è la Commissione giustizia della Camera.
  Il trend si conferma, quindi, assolutamente positivo, il che significa – aiutatemi a riflettere ad alta voce su questo – che noi fino al 2001, come ben sappiamo, non conoscevamo il significato del valore tempo nel sistema civile italiano. Nel marzo del 2001 abbiamo avuto la modifica dell'articolo 111 della Costituzione. Diciamo che ci abbiamo impiegato 8-9 mesi per metabolizzarlo. A partire dal 2002 fino al 2009 abbiamo riflettuto e abbiamo metabolizzato. I motivi potranno anche essere quelli sottolineati dal professor Balena circa i dati dell'INPS e i decreti ingiuntivi, ma sta di fatto che i dati sui quali ci misura ogni due anni comparativamente la CEPEJ sono quelli di cui stiamo parlando.
  Ebbene, dal 2010 per un quinquennio noi abbiamo un segno positivo. Abbiamo aggredito la grande montagna, il grande Himalaya, del nostro arretrato. È stato detto dal presidente Barbuto che, se riuscissimo a chiudere il rubinetto delle entrate per sedici mesi, con la capacità di smaltimento che i giudici italiani hanno, i più laboriosi in tutti i 46 Paesi del Consiglio d'Europa, riusciremmo ad arrivare a zero. Il problema è, però, quando riapriamo il rubinetto, in quanto tempo ricostituiamo uno stock di pendenze.
  Detto questo, rimandando per il dettaglio alle note del documento, mi preme semplicemente sottolineare due aspetti che i colleghi del tribunale di Palermo – sono stati colleghi per gli aspetti specialistici del tribunale delle imprese e del tribunale della famiglia e tutti i presidenti delle Sezioni civili e della Sezione lavoro per quanto riguarda la Corte, e quindi abbiamo messo insieme questo gruppo di lavoro – mi hanno pregato di rassegnarvi.
  Per esempio, si tratta dell'assoluta importanza – è già stato detto da altri e, quindi, vi faccio soltanto un cenno – dell'unicità dell'atto introduttivo nella forma del ricorso. Rispetto a tutto ciò che Pag. 26è stato detto da chi mi ha preceduto, mi permetto di aggiungere qualcosa sul ricorso.
  Si è parlato dell'autorganizzazione del giudice in generale. Noi abbiamo sottolineato, invece, che c’è un'autorganizzazione del ruolo del giudice, il quale potrà trovarsi, non già, come ha sottolineato anche il presidente Berruti nella sua audizione, con un ruolo eteroformato, ma anche con un ruolo che si è autoformato, stabilendo lui, in relazione al contenuto delle singole controversie, quante metterne e di che tipo metterne per ogni singola udienza che andrà a fissare.
  Questo è un aspetto che abbiamo ritenuto essere collegato al punto della delega relativo allo scambio di atti e memorie prima dell'udienza di prima comparizione, perché solo con il ricorso il giudice potrà tendenzialmente arrivare a leggere gli atti prima di quell'udienza.
  Collegato direttamente con questo aspetto c’è l'altro, sul quale in molti si sono soffermati, relativo alla possibilità di una proposta conciliativa, che i colleghi della Corte di Palermo ritengono assolutamente positiva. I risultati che sono stati raccolti sia in tribunale, sia in Corte fino a questo momento sembrano essere assolutamente favorevoli. Non posso rassegnarvi i dati statistici perché, purtroppo, non ho avuto il tempo di raccoglierli. Peraltro, sono in Corte da appena cinquanta giorni e, quindi, sono ancora un apprendista. Se li dovessimo elaborare in tempo utile – sento che comunque voi andrete a settembre – può darsi che questi dati vi siano disponibili.
  Nel documento si condivide il fatto che il disegno di legge valorizzi l'istituto della proposta conciliativa disciplinato dall'articolo 185-bis. Ciò che si sottolinea, però, è che la proposta trova un evidente limite temporale, che è quello di fermarsi sino a quando la causa è posta in decisione.
  A questo punto, si propone – c’è anche un accenno di articolato – che sarebbe opportuno prevedere la tendenziale obbligatorietà, e non già facoltatività, della formulazione della proposta conciliativa, oltre che in tutti i processi pendenti per i quali, come si legge, «vi sia il rischio di eccedere i termini di ragionevole durata del processo», anche al momento della precisazione delle conclusioni, o comunque prima della decisione di ogni giudizio, compresi quelli pendenti.
  Questo perché c’è un altro aspetto che mi piace sottolineare e che ricavo dalla relazione tecnica. Abbiamo visto la composizione dello stock delle pendenze attuali. Il 90 per cento delle pendenze riguarda il primo grado, l'8 per cento l'appello e il 2 per cento la Cassazione, il che significa che, nonostante quello che è stato definito il buco nero, cioè l'appello, questo buco nero, per fortuna di tutti noi, riguarda soltanto l'8 per cento dello stock delle pendenze.
  Quindi, su che cosa bisogna lavorare ? Bisogna lavorare necessariamente sul primo grado. Ecco perché si pensa che, a fronte di un numero medio – come tutte le medie statistiche, anche questa lascia il tempo che trova – di un giudice che scrive tra 150 e 200 sentenze all'anno, il 90 per cento di queste non verrà impugnato. Trovare dei meccanismi, quale quello della proposta conciliativa, che consentano fino al momento della decisione di saltare il vero collo di bottiglia del sistema, che è la decisione, dal punto di vista, però, dell'onere della motivazione, dà un risultato la cui importanza non sfugge a nessuno.
  Ancora, se – è un'altra delle proposte che noi inseriamo alla fine dell'articolato, che già si trova nell'articolo 2 – si dicesse espressamente che le proposte conciliative o transattive andate a buon fine vengono valutate ai fini della produttività alla pari delle sentenze, noi incentiveremmo ancora di più i colleghi, che tanto si spendono nel cercare la conciliazione o la transazione della controversia, a ulteriormente impegnarsi. Il grande vantaggio sarebbe quello di avere tante cause definite, molte delle quali senza il peso della motivazione.
  Questo ci farebbe risolvere anche l'altro problema sul quale da tempo discutiamo, quello della stessa motivazione a richiesta. Per quale motivo si è parlato di motivazione a richiesta ? Poiché il 90 per cento delle decisioni di primo grado sostanzialmente Pag. 27non viene impugnato, si è pensato, in alcuni momenti, di rimandare alla richiesta la motivazione. La forma della proposta conciliativa o transattiva senza la necessità di una motivazione potrebbe agevolarci nello smaltire questo stock di pendenze, che rappresenta il nostro reale problema.
  Sul giudizio di appello trovate tutto quello, o quel poco, che c’è da dire nel documento, nel quale noi ci permettiamo di segnalare, accanto all'assoluta condivisibilità della tipizzazione dei motivi di appello, l'attenzione della Commissione sul fatto che forse il disegno di legge, all'articolo 1, comma 2, lettera b), n. 1, quando parla di «tipizzare i motivi di gravame», lo fa in maniera probabilmente troppo generica, il che potrebbe provocare non pochi problemi successivi.
  Sulla disciplina del tribunale delle imprese, considerato che ho già bruciato la gran parte del tempo a disposizione e che mi restano quaranta secondi, rimando interamente al documento scritto, dove troverete, soprattutto a pagina 18, se non ricordo male, le conclusioni.
  Le conclusioni sono, in particolare – ne ho già sentito parlare e, quindi, sono agevolato – che il panel oggi rischia di divenire eccessivamente variegato, a scapito, verosimilmente, di quella che dovrebbe essere la specializzazione perseguita soprattutto a livello comunitario, con un'altra criticità, ossia l'estensione della competenza dell'azione di classe a tutela dei consumatori di cui all'articolo 140-bis del codice di consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, con una violazione delle regole dettate a favore dei consumatori.
  Questa è un'osservazione che è già stata fatta dal professor Auletta. Mi limito semplicemente a riprenderla e a sottolineare un ultimo passaggio, anche questo rilevato da altri, credo dal collega Bichi, ossia la necessità dell'esclusività delle funzioni. Perché ? Perché ancora, per esempio al tribunale di Palermo, tanto per dire, non si può arrivare ad assicurare, per quella carenza di unità di magistrati, questo risultato.
  Ancora un'altra limitazione, con riferimento al processo telematico, in questa materia è che i decreti ingiuntivi europei o le cause in materia di marchio comunitario promosse da società estere non possono utilizzare il processo telematico. Questo potrebbe essere un punto da affrontare e approfondire per evitare questa criticità.
  Sulla sinteticità degli atti siamo assolutamente d'accordo, ragion per cui non è necessario aggiungere altro, se non, come suggeriamo, che alla fine dell'articolo 1, comma 2, lettera g) forse si potrebbe aggiungere «con la previsione di una possibile sanzione da parte del giudice» alla proposta del disegno di legge.
  Vi ringrazio per l'attenzione e spero di essere rimasto nei termini.

  PRESIDENTE. Assolutamente sì. Comunque ci sarà poi l'ulteriore approfondimento dalla lettura degli scritti, oltre che dalla rilettura delle audizioni.
  Do la parola adesso al presidente della Corte d'appello di Roma Luciano Panzani.

  LUCIANO PANZANI, Presidente della Corte d'appello di Roma. Grazie, presidente. Anch'io ho mandato dei materiali, che credo siano pervenuti. In gran parte faccio riferimento a questi materiali.
  Preciso che ho riunito i presidenti di Sezione della corte d'appello del civile e della Sezione lavoro, i quali mi hanno trasmesso delle schede, che lei ritrova allegate, e che ho chiesto una relazione al presidente del tribunale di Roma Bresciano, il quale, a sua volta, ha operato sostanzialmente nello stesso modo. Pertanto, la relazione del presidente Bresciano, allegata, in realtà, riferisce le valutazioni complessive del tribunale di Roma. Le considerazioni che farò, quindi, salvo alcuni punti rappresentati da mie considerazioni personali, sono il frutto di un lavoro collettivo.
  Mi fermo un momento per dire che condivido quanto è stato asserito dal professor Balena e dal presidente Viazzi e poi successivamente ribadito e anche le considerazioni sulla distribuzione dei magistrati Pag. 28e dei carichi di lavoro nei tribunali che affrontano maggiormente i problemi della criminalità organizzata. Questo è l'unico punto sul quale la pregevole analisi del presidente Barbuto è carente, perché non è stato indicato – era un'operazione che, tutto sommato, si poteva fare in poco tempo, ricavando i dati – quanti magistrati siano addetti al civile e al penale nei vari uffici.
  Nel tribunale di Torino essi sono rigorosamente divisi al 50 per cento. Nella corte d'appello di Roma c’è una leggera prevalenza del civile, con una robusta Sezione lavoro. Quando andiamo a vedere tribunali del Sud Italia e delle zone in cui c’è più criminalità organizzata, notiamo che non tanto i grandi tribunali, ma i piccoli uffici sono sovente sommersi dal penale. Si impone, quindi, necessariamente un problema di riequilibrio. Alcuni dati considerati scandalosi, come arretrato, non dimostrano una minore produttività dei giudici, ma dimostrano che ci sono altri problemi di cui ci si deve fare carico.
  Spendo due parole per indicare che l'andamento delle corti d'appello civili presenta alcune anomalie. Questi sono dati che sono stati elaborati per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2015 della corte d'appello di Roma dall'Ufficio statistico su dati del Ministero. Sui 412.000 procedimenti civili che pendevano al 30 giugno 2013 quasi il 50 per cento era pendente in cinque corti d'appello, ossia Roma, Napoli, Bari, Milano e Bologna. Questo vuol dire che il problema organizzativo di queste cinque corti pesa in misura esponenziale.
  Aggiungo anche, per chiarezza, che Napoli e Roma sono due corti d'appello che hanno dei problemi peculiari. Roma ha il problema della legge Pinto, che è pesantissimo. Poi fornirò qualche dato. Viceversa, Napoli ha il problema delle cause di lavoro. Il 50 per cento delle cause di lavoro di tutte le corti d'appello d'Italia grava su Napoli per il 35 per cento e su Roma per il 15 per cento. È difficile, quindi, fornire delle ricette sul rito, quando in realtà i problemi sono di carattere organizzativo.
  Aggiungo un altro dato. Non è vero che le corti d'appello, che sono certamente il ventre molle della giustizia civile, ma anche della giustizia penale italiana, vadano sempre male, perché il confronto tra i dati al 30 giugno 2013 e al 30 giugno 2014 vedono scendere lo stock da 412.000 procedimenti a 372.000, con una diminuzione del 9,8 per cento.
  Questo è un dato nazionale. Roma è scesa del 12 per cento, Milano del 10 per cento, Bologna del 10 per cento. Si tratta di dati che mostrano una certa capacità di lavoro. Va anche considerato che tutte le corti d'appello hanno un indice di ricambio che, come media complessiva, dà 133. Su 100 fascicoli, cioè, ne sono stati smaltiti 133.
  L'indice di smaltimento, cioè di capacità di aggressione, dell'arretrato è ancora abbastanza ridotto, ma questo avviene perché, a differenza del primo grado, i flussi degli appelli sono ancora in aumento. Tuttavia, poiché noi sappiamo che ormai, come il presidente Natoli ci ha detto, in primo grado il trend è in diminuzione, è da ritenere che presto questa diminuzione si riverbererà anche sugli appelli.
  Non si tratta, quindi, tanto di un problema di cambiare il rito per affrontare il processo. Questo è già stato detto da altri, ma credo che valga la pena di ripeterlo: il problema è fondamentalmente di carattere organizzativo e si traduce poi in uomini e mezzi.
  Quando parlo di uomini e mezzi, intendo dire che la situazione della giustizia italiana è di circa 1.000 magistrati in meno rispetto all'organico, dato che peggiorerà con i pensionamenti a 70 anni, oggi prolungati dal decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, fino a 71 e comunque non compensati dai nuovi concorsi, sia per i tempi di svolgimento, sia per la limitata capacità delle università italiane di fornire candidati che abbiano una preparazione adeguata.Pag. 29
  Inoltre, vi è un enorme vuoto negli organici del personale amministrativo. Sono 8.000 unità. Adesso questo decreto-legge n. 83 del 2015 stanzia alcuni fondi per 2.000, ma ci sono delle piante organiche che sono state rifatte nel 2014 con la revisione della geografia giudiziaria. Non stiamo discutere di un dato che risale al 1870 o a una situazione non più attuale. È un dato che si deve ritenere sia stato calcolato tenendo già conto del processo telematico.
  Tra l'altro, le cancellerie sono impegnate su due fronti, perché rimane il cartaceo e il telematico non è ancora funzionante. Non svelo un segreto nel dire che il presidente Liccardo, il Direttore generale dell'informatica, ha chiesto al Ministro Orlando di differire al 1o gennaio 2016 l'entrata in vigore del processo telematico per le corti d'appello. Il Ministro non ha ritenuto di accogliere questa richiesta, ma di fatto noi stiamo partendo con il processo telematico senza che ancora la cosiddetta consolle del magistrato sia stata adattata al processo d'appello, che è collegiale, mentre il processo di primo grado è prevalentemente monocratico.
  Le difficoltà ci sono, dunque. Noi siamo abituati a rimboccarci le maniche e a cercare di farvi fronte, ma obiettivamente questi sono problemi ai quali non si pone rimedio cambiando il rito, ma sul piano organizzativo.
  Aggiungo che anche il discorso del maggior contatto diretto tra le parti e il giudice si può fare laddove gli uffici esistono e laddove i magistrati possono andare tutti i giorni, se lo ritengono, in ufficio, cosa che a Roma è impossibile.
  Non vorrei che venisse considerato un mio pallino – ne ho parlato all'inaugurazione dell'anno giudiziario, ho sollecitato il Ministro della giustizia e ho avuto la disponibilità del Ministro Pinotti – la necessità di trovare dei locali da mettere a disposizione degli uffici giudiziari romani. Mancano, in due battute, 90.000 metri quadri. Questo significa che non mancano solo le stanze per i giudici, ma mancano le aule d'udienza.
  La corte d'appello penale di Roma ha quattro Sezioni perché ha quattro aule, non perché quattro Sezioni siano l'organizzazione ottimale. Dobbiamo contingentare le aule per tenere udienza. Questo significa, per il civile, che i giudici in tribunale si alternano nella disponibilità della medesima stanza e che, quindi, è difficile immaginare un aumento di produttività in queste condizioni.
  Detto tutto questo, ho ancora un dato che vi fornisco riguardo alla corte d'appello di Roma. La corte d'appello di Roma ha un contenzioso civile di 35.000 cause al 30 giugno 2014, che generano il 45 per cento del carico complessivo. Inoltre, ha 16.600 cause di equa riparazione pendenti e 25.000 cause di lavoro e previdenza.
  In queste condizioni è impossibile aggredire l'arretrato del civile ordinario, perché, per le cause di equa riparazione – alla Sezione equa riparazione sono applicati anche i giudici del penale e pertanto, il danno dell'equa riparazione incide anche sul penale – il carico delle cause di lavoro – come ho detto, la Sezione lavoro è una Sezione tra le più grandi d'Italia – impedisce di distogliere forze da quel settore.
  Io ho avuto un'interlocuzione sul discorso della legge Pinto con il Ministero della giustizia. È un problema che riguarda fondamentalmente la corte d'appello di Roma e la corte d'appello di Perugia. Le altre corti, tutto sommato, sono riuscite a trovare un ubi consistam, poiché le pendenze mediamente non superano le 1.000 cause, mentre per Roma e Perugia la situazione è diversa. Perugia ha una Corte d'appello che ha 16 magistrati. È presto detto che non ce la possa fare.
  La soluzione, la via maestra, a mio giudizio, è quella di passare attraverso una fase amministrativa. Gli stessi uffici, le stesse ragionerie, delle corti d'appello potrebbero liquidare in via preventiva questi compensi. Si fanno ipotesi di progetti di riforma per attribuire allo stesso tribunale che ha pronunciato nel giudizio il presupposto e a un altro magistrato la liquidazione, ma sono palliativi. Il problema di fondo è di avere una fase amministrativa Pag. 30che possa incidere rapidamente con un'eventuale impugnazione davanti al giudice.
  Ci sono obiezioni del Ministero dell'economia e delle finanze, che è contrario, nell'opinione che la liquidazione in sede amministrativa comporti maggiori spese. Io credo, però, che questo sia un problema facilmente risolvibile con un decreto ministeriale che stabilisca dei parametri per la liquidazione.
  Quello che è certo è che bisogna intervenire anche sulla legge Pinto – lo sottolineo – perché siamo in una fase di tregua, in cui la trasformazione dei giudizi da collegiali a monocratici e la previsione che non si possa promuovere l'azione ex legge Pinto prima che sia definito il giudizio presupposto ci hanno dato qualche anno di pausa. È chiaro, però, che poi questi giudizi torneranno ad arrivare e che, se noi non creiamo un'organizzazione, ci ritroveremo presto al punto di prima, ossia con qualcosa come 500 o 700 fascicoli depositati ogni giorno.
  Chiudo scusa per questa lunga premessa, che però mi pareva assolutamente fondamentale.
  Per quel che riguarda le cose che sono state dette sulla struttura del giudizio di primo grado, lo scambio anticipato delle memorie e via elencando, io sono totalmente d'accordo con i rilievi che sono già stati fatti. Non credo che si possano avere scritti difensivi conclusivi prima della precisazione delle conclusioni. Mi sembra un'inversione dell'ordine logico degli adempimenti.
  L'ampliamento delle competenze delle Sezioni specializzate delle imprese – questo è già stato detto, ma è importante – non si può fare senza risorse aggiuntive.
  Il problema riguarda anche la riforma organica della disciplina fallimentare. Io faccio parte della Commissione Rordorf, che proporrà verosimilmente sui princìpi di delega una parziale attribuzione alle Sezioni specializzate di competenza in materia fallimentare, per quel che riguarda le procedure di maggior importanza. Tuttavia, il problema che è stato rappresentato, per esempio, dalla presidente della Sezione specializzata di Milano, la collega Marina Tavassi, è che ci sarebbe un carico, a forze immutate, eccessivo.
  Bologna mi fa osservare che oggi l'Emilia ha un dato numero di tribunali medi, ma di rilievo (Modena, Reggio Emilia, Parma), e che la concentrazione su Bologna determinerebbe un peso sproporzionato. Ci sono altre Sezioni specializzate in altre zone d'Italia che, invece, hanno un carico di lavoro molto più ridotto, ma non è evidentemente possibile fare delle compensazioni.
  Il discorso certamente è favorevole agli incrementi di competenza che razionalizzano in materia di concorrenza, in materia societaria e in materia concorsuale, di cui ho già detto. Ho qualche dubbio in più sull'aumento di competenza per quel che riguarda gli appalti, intanto perché gli appalti non hanno un collegamento reale con le altre materie di competenza del giudice specializzato e poi perché superare la cosiddetta soglia comunitaria significherebbe far abbattere sulle Sezioni specializzate un numero di controversie non indifferente e obbligare i giudici a occuparsi di fatterelli che, tutto sommato, possono restare nella competenza dei tribunali territorialmente oggi competenti.
  Non sposta la competenza l'attribuzione delle azioni di classe, perché queste azioni al momento sono molto poco frequenti. La class action è partita, ma non ha mai funzionato molto bene. Io non credo che, all'atto pratico, avremo delle differenze sensibili. Se dovesse funzionare, allora i numeri che può coinvolgere, soprattutto per i soggetti che possono partecipare nella seconda fase del giudizio, dopo l'ammissibilità, diventerebbero assolutamente esponenziali. A quel punto, che si tratti della Sezione specializzata o di un'altra Sezione, poco importa.
  Quando dico «esponenziali», intendo dire che, come presidente del tribunale di Torino, in un'azione di classe promossa nei confronti di una banca io avevo fatto fare un conto. Si poteva immaginare che presentassero adesioni circa 10.000 correntisti, con 10.000 domande da gestire, Pag. 31tanto che si era elaborato un programma informatico per far arrivare queste domande per via telematica. Poi l'azione non ebbe successo e, quindi, il problema in concreto non si pose.
  Sulle Sezioni specializzate della famiglia e della persona è già stato detto praticamente tutto sul fatto che si debba fare una scelta: o si mantengono i tribunali per i minori, o si istituiscono e si potenziano realmente queste Sezioni. Il doppio regime non può funzionare, perché ci vogliono risorse aggiuntive.
  Ancora come presidente del tribunale di Torino io ho vissuto la modifica dell'articolo 38 delle disposizioni di attuazione, che ha significato un incremento notevole dei carichi di lavoro della Sezione famiglia. La Sezione famiglia del tribunale di Torino fa udienza tutti i giorni. Intendo dire che tutti i magistrati fanno udienza tutti i giorni e riescono a fatica a tener fronte al carico di lavoro. Ipotizzare risorse aggiuntive senza indicare o un reclutamento aggiuntivo di magistrati, o il recupero da altri uffici significa fare un discorso, a mio avviso, velleitario.

  PRESIDENTE. Questo in relazione alla Sezione della famiglia, così come nel progetto ?

  LUCIANO PANZANI, Presidente della Corte d'appello di Roma. Sì, in relazione alla Sezione famiglia. Questo, però, è un discorso un po’ più generale.
  Qualche tempo fa io ho dovuto occuparmi, proprio su sollecitazione di questa Commissione, del progetto di legge sulla nuova disciplina delle misure di prevenzione. Anche lì si prevedeva una Sezione specializzata, che avrebbe dovuto avere come minimo tre componenti, i quali si sarebbero dovuti occupare in via esclusiva della materia.
  Non entro nel merito. Io sono anche d'accordo. Personalmente al tribunale di Torino ho istituito la Sezione che mancava. Tuttavia, se per ogni ufficio di qualche dimensione cominciamo a immaginare una Sezione specializzata con un numero minimo di magistrati che si occupa di una determinata questione, un'altra Sezione per la famiglia e via elencando, è chiaro che, a un certo punto, non siamo più in grado di gestire, salvo che queste Sezioni specializzate vengano fatte con gli stessi giudici.
  Mi fa venire in mente l'esempio che faceva un po’ di anni fa il professor Costantino, un professore di procedura civile: nelle corti d'appello sovente la Sezione specializzata agraria è composta con gli stessi magistrati della Sezione famiglia, forse perché i bambini nascono sotto i cavoli. Evidentemente non è questa la soluzione.
  Se si ipotizza di avere organici adeguati per le Sezioni specializzate in materia di famiglia, è bene non dimenticarsi le corti d'appello. Il progetto di legge non ne parla, ma è una lacuna importante. Ricordo i 136 tribunali, di cui parlava il presidente Viazzi, quelli in cui la specializzazione proprio non si può immaginare.
  L'ausilio dei servizi sociali è un punto delicato, perché i grandi comuni, le grandi strutture a livello nazionale, faticano ormai a fornire personale in misura adeguata. La collaborazione c’è, ma poi, all'atto pratico, ci sono notevoli carenze. Se si vogliono istituire delle Sezioni specializzate, bisogna anche prevedere un organico adeguato. Così come esiste la Polizia giudiziaria, ci deve essere anche una struttura per quel che riguarda gli assistenti sociali.
  Io, ma non solo io, non comprendo – è un'osservazione che viene dai colleghi del tribunale di Roma – per quale motivo le Sezioni specializzate in materia di famiglia dovrebbero occuparsi anche di protezione internazionale. La materia della protezione internazionale è importantissima, ma si tratta di due settori piuttosto diversi, con caratteristiche differenziate.
  Per di più, il disegno di legge parla soltanto di alcuni dei procedimenti in tema di immigrazione. Per esempio, non parla del ricongiungimento familiare e dell'opposizione all'allontanamento. Il testo scritto è più dettagliato. Qui bisognerebbe meglio precisare.Pag. 32
  Sulla proposta conciliativa – articolo 185-bis - a me pare che il punto fondamentale sia la possibilità per il giudice di formulare una proposta conciliativa senza per questo anticipare giudizio ed esporsi alla ricusazione o all'obbligo di astensione. Io ho provato a riformulare la norma in questo senso, senza prevedere una camicia di Nesso, cioè una struttura troppo rigida.
  Sull'esecutività di tutte le sentenze di primo grado le critiche sono già state formulate, ragion per cui non sto a dire altro.
  Per quanto riguarda il principio di sinteticità degli atti, io credo che potrebbe essere opportunamente rafforzato con un'eventuale sanzione, ma di carattere processuale, ossia di inammissibilità dell'atto, di irricevibilità dell'atto quando ecceda i limiti.
  Tra l'altro, da questo punto di vista c’è una connessione immediata tra sinteticità dell'atto e processo telematico. Sono già stati fatti degli esperimenti per avere un atto introduttivo, una comparsa di risposta e una sentenza divise per campi, in modo tale che sia agevole recuperare un determinato tema sui vari documenti a video, nonché previsioni per quel che riguarda l'ordine di produzione dei documenti. Uno dei problemi del processo telematico è proprio la difficoltà per il giudice di operare a video. Pertanto, tutto ciò che si può fare per predeterminare e per sintetizzare è meritorio.
  Passo al giudizio di appello, rapidissimamente.

  PRESIDENTE. Per questo ci sono dei parametri.

  LUCIANO PANZANI, Presidente della Corte d'appello di Roma. Noi riteniamo che il filtro in appello, l'articolo 348-bis, non abbia dato grandi risultati e che, quindi, possa essere abolito senza particolari rimpianti. Riteniamo, inoltre, che introdurre come motivo d'appello esclusivamente la violazione di legge e l'errore manifesto di valutazione dei fatti sia un errore, perché limita e comprime eccessivamente il giudizio di appello e perché il giudice si troverebbe comunque costretto a discutere se quell'errore denunciato sia errore manifesto o non sia errore manifesto. Alla fine, quindi, non si guadagnerebbe molto.
  Tutti hanno criticato la previsione di estendere il divieto dei nova alle nuove ragioni o deduzioni in diritto. È già stato detto molto sul punto. Io aggiungo solo che ciò contrasta con il principio iura novit curia e che altera profondamente le caratteristiche del nostro processo.
  La valutazione della rilevanza del giudicato interno mi sembra una questione astrusa, sulla quale le Sezioni unite stanno per decidere. È già stata rimessa da una Sezione semplice della Corte e, tutto sommato, non incide in misura rilevante sui carichi di lavoro.
  Merita, invece, approvazione il proposto restringimento dei casi di rimessione al primo giudice che potrebbero essere limitati alle ipotesi di violazione del diritto di difesa e del contraddittorio. Ogni tanto emerge in sede di audizione l'idea di limitare i casi di appello. È un errore. Richiamo qui la mia esperienza. Io sono stato per sette anni consigliere della Cassazione. Ciò significa, laddove si esclude l'appello, avere la possibilità di fare ricorso per Cassazione. La possibilità di ricorrere per Cassazione contro le sentenze inappellabili del giudice di pace ha già causato guasti rilevanti.
  Mi pare, invece, tutto sommato, un'ipotesi che meriterebbe di essere presa in considerazione quella di reintrodurre la figura del consigliere istruttore in appello. I motivi che hanno portato a eliminarla, in realtà, non sono mai stati ben chiari, perché la previsione del giudice monocratico in primo grado e la collegialità in appello non escludono che la collegialità possa articolarsi in due fasi, con una fase davanti al consigliere istruttore. Tale giudice verifica l'integrità del contraddittorio, provvede sull'istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà ed eventualmente assume le proprie, ove si debba procedere ad attività di carattere probatorio, e poi, precisate le conclusioni, tenta la conciliazione e rimette le parti davanti al collegio. Questo consentirebbe di operare anche Pag. 33con maggiore sveltezza e semplicità, in una situazione in cui, invece, le corti sono appesantite dalla necessità di operare sempre in modo collegiale.
  Aggiungo due parole, che non sono nel testo – nessuno ne ha parlato, almeno oggi – per quel che riguarda la revisione del giudizio di Cassazione. La proposta del testo della Commissione di eliminare il giudizio semplificato davanti a quella che oggi è la VI Sezione civile della Corte, per riprendere, evitando un'ordinanza-sentenza che è poi oggetto di impugnazione, mi trova consenziente.
  Quel tipo di provvedimenti io li ho fatti. Questa ordinanza crea lo stesso impegno per il relatore estensore della redazione di una normale sentenza. Uno può redigerla in modo un po’ più conciso, ma la sostanza è quella. Viceversa, si trova poi esposto a una sorta di «appello improprio», anche se poi è vero che nella maggior parte dei casi il collegio conferma il precedente provvedimento.
  Il sistema penale è molto più semplice, perché c’è una valutazione di ammissibilità o di inammissibilità che fa il consigliere relatore. Se il collegio condivide, dichiara inammissibile senza che ci sia questa fase di contraddittorio con le parti, che non ha motivo di esistere, perché discutiamo di ammissibilità. Non stiamo discutendo di fondatezza o meno nel merito.
  Tutt'al più, la differenza potrebbe essere per i casi in cui la Corte ritenga la manifesta fondatezza del ricorso. Quella potrebbe forse giustificare il mantenimento dell'attuale sistema.
  Per il resto, mi pare che non sia da condividere, invece, la proposta di ripristinare come motivo di ricorso (articolo 360, n. 5) il vizio di motivazione. La mia esperienza è che la maggior parte di queste impugnazioni costituiscono un tentativo di ridiscutere il fatto in sede di legittimità. Si tratta di un'attività che normalmente finisce con una valutazione di inammissibilità. Quei pochi casi in cui c’è un difetto radicale di motivazione ricadono già oggi nella violazione di legge per omessa motivazione. Pertanto, non mi pare che questo sia giustificato.
  D'altra parte, la disciplina del processo di Cassazione ha sempre oscillato tra due modelli, quello di una sorta di terzo grado con profili di merito e quello di un giudizio di legittimità. È vero che il problema, il nodo di fondo, sta nell'articolo 111 della Costituzione, in una norma che, scritta all'indomani della dittatura fascista, aveva un significato ben diverso da quello che può avere oggi. In ogni caso, però, non mi pare che ci siano motivi per complicare ulteriormente il lavoro della Corte, che ha già questi 100.000 fascicoli di arretrato che non riesce a smaltire.
  Con questo credo di aver concluso.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Il relatore Berretta si è dovuto allontanare. Non so se il relatore Vazio intende dire qualche parola.

  FRANCO VAZIO. Presidente, come abbiamo fatto anche l'altra volta, non possiamo che ringraziare del contributo che ci è stato offerto, che è un contributo certamente molto articolato e, per taluni versi, anche critico. Come abbiamo già avuto modo di illustrare ai precedenti auditi, la finalità di un'audizione è proprio quella di fare attenzione a chi sul campo verifica determinate criticità e, raffrontandole con il testo in discussione, ne porta a conoscenza la Commissione.
  Ovviamente, sia io sia l'onorevole Berretta abbiamo esperienze di tipo professionale, ma in questa fase noi ci comportiamo come legislatori attenti rispetto alle osservazioni che vengono presentate. Cercheremo di metterle insieme, di fare la sintesi e di trarne poi un giudizio che ci possa condurre in una direzione, io credo, positiva.
  La giustizia civile certamente non gode di ottima salute. Bisogna comprendere le ragioni della malattia e intervenire efficacemente, non con provvedimenti che, in teoria, possono risolvere il problema, ma che, in realtà, questo problema non lo risolvono. Da parte nostra c’è la massima Pag. 34attenzione per le osservazioni che voi avete fatto, per farne, ovviamente, tesoro. Grazie.

  ALFONSO BONAFEDE. Mi unisco ai ringraziamenti per i contributi importantissimi che abbiamo ricevuto oggi e faccio soltanto una considerazione finalizzata anche a una domanda concreta.
  Nella mia esperienza d'avvocato le esperienze migliori, in termini di tempo in cui si risolveva un contenzioso, provengono dall'applicazione degli articoli del codice di procedura civile che consentono ai protagonisti del processo (giudice e avvocati) di rendere il processo flessibile rispetto all'esigenza concreta che viene posta. Faccio l'esempio dell'articolo 702-bis e di altri articoli, secondo me, molto poco utilizzati, almeno dal mio punto di vista, come le ordinanze di cui agli articoli 186-bis, ter e quater.
  In questo senso, invece, ritengo che poco efficace sia stato l'utilizzo dell'articolo 696-bis. Secondo me, entra in tutto quello che è venuto fuori da queste audizioni, cioè che la conciliazione è molto più efficace ed è molto più probabile nei casi in cui le parti, aiutate dal giudice, chiaramente, hanno maggiori elementi per arrivare a una conciliazione. Quando c’è un articolo 696-bis in cui c’è un consulente che dà un'indicazione di massima, ma poi non c’è alcuna udienza successiva, è come se quel processo, che potrebbe essere virtuoso, venisse troncato al momento probabilmente più utile.
  Chiedo a chi vuole rispondere – non voglio nemmeno indicare uno degli auditi, in quanto ritengo che siano tutti autorevoli – se non possa essere utile, per migliorare quello strumento, che, secondo me, sarebbe fondamentale (penso, per esempio, alle cause di responsabilità medica), soltanto per alcune cause, o soltanto quando è richiesto dalle parti, prevedere un numero di ipotesi, anche tipizzate, in cui ci sia un'udienza successiva finale dell'accertamento tecnico preventivo in cui il giudice – in quel caso sì – possa favorire una conciliazione tra le parti sulla base di quello che è stato accertato.
  Porto poi un contributo brevissimo sulla possibilità di portare le azioni di classe al tribunale delle imprese. Io sono primo firmatario della proposta di legge sull'azione di classe che è stata approvata all'unanimità alla Camera. Dico soltanto che forse il timore di un eccessivo peso sul tribunale per le imprese può essere confortato dal fatto che la proposta di legge prevede che ci sia un'unica azione di classe e necessariamente una. Laddove ci dovessero essere più azioni di classe, esse verrebbero accorpate a quella che è stata proposta per prima, il che potrebbe migliorare la situazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Panzani per la replica.

  LUCIANO PANZANI, Presidente della Corte d'appello di Roma. Comincio dall'azione di classe. Quello che io volevo dire – forse non mi sono spiegato bene – è che l'azione di classe richiede, per la sua complessità, un presidio organizzativo a livello di presidenza e di dirigenza amministrativa del tribunale. Gli avvocati, nella causa a cui facevo riferimento, si sono stupiti di venir convocati dal presidente del tribunale, che non presiedeva il collegio, per sentirsi porre una serie di questioni di carattere organizzativo: «Come facciamo per far confluire le azioni degli aderenti ? Quanti sono gli aderenti ? Potete raccogliere voi le domande sul territorio e, se sì, come ? Come autentichiamo queste domande ? Dove mettiamo fisicamente la cancelleria ?». Si trattava di problemi di questo genere, che sono molto banali. Tuttavia, quando io moltiplico per migliaia, diventano rilevanti.
  È chiaro che questi sono problemi che riguardano la Sezione specializzata come possono riguardare qualunque altra Sezione, perché sono problemi di carattere strutturale. Io vado dicendo da tempo ai miei colleghi che ormai noi dobbiamo lavorare per squadra – il discorso del team è fondamentale – i magistrati con il personale amministrativo, perché con il processo telematico questo aspetto è diventato inevitabile. Non possiamo farne a meno.Pag. 35
  Si tratta di un progresso, naturalmente, che coinvolge anche gli avvocati, in qualche misura, sempre di più, perché poi ci sono problemi che sono comuni di malfunzionamento della rete e via elencando. Tutto questo significa che deve nascere una cultura organizzativa che prescinde da chi è il magistrato incaricato di decidere poi una determinata controversia.
  Sull'articolo 696-bis sarebbe interessante guardare i dati a livello statistico nazionale. La mia esperienza, come presidente del tribunale di Torino, è che veniva molto utilizzato. Chi può fare la conciliazione senza necessariamente arrivare alla fissazione di un'udienza ? Lo stesso consulente che è stato nominato.
  Io ho avuto nei miei ormai oltre quarant'anni di carriera alcuni consulenti tecnici che chiudevano quasi tutte le cause di cui venivano incaricati e altri che non ne chiudevano nessuna. Evidentemente è proprio una questione di capacità. Certo, il giudice nel formulare il quesito deve ricordarsi di scrivere che il consulente è incaricato anche di tentare la conciliazione, ma quello è il momento fondamentale.
  Normalmente, cosa succede ? Basta leggere i verbali delle operazioni peritali. Spesso i consulenti di parte e il consulente d'ufficio concordano su tutta una serie di punti, ma rimangono alcune differenze. Se in quel momento quelle differenze si quantificano in termini di denaro, si arriva al range sul quale è possibile fare la conciliazione. Questo non richiede delle competenze straordinarie, ma si tratta di competenze che ha molto di più il tecnico che non il giudice, che deve farsele spiegare. È per questo motivo che l'esperto in taluni tipi di collegi funziona bene.
  Per esempio, vi riferisco la mia molto risalente esperienza nella Sezione specializzata agraria. Quando andavi a discutere di affitti, di prezzi di derrate, di quanto potesse rendere un determinato terreno, ho visto che, se ci sono gli esperti che compongono la Sezione, si innesta un dialogo non tra gli avvocati e il giudice, ma tra questi e le parti, qualche volta scivolando nel dialetto, perché non riescono ad esprimersi in italiano, che porta a chiudere la lite, in quanto si passa da questioni astratte a questioni molto concrete e quantificabili.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo molto. È stata una giornata per noi molto costruttiva. Grazie anche per lo sforzo che avete fatto di integrazione del testo. C’è molto materiale da studiare.
Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.