XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 23 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 631 FERRANTI E C. 980 GOZI, RECANTI MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE IN MATERIA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI

Audizione del presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, Giovanni Canzio, del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, Giorgio Spangher, del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa, Enrico Marzaduri, e del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara, Daniele Negri.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Canzio Giovanni , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale ... 3 
Spangher Giorgio , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma ... 6 
Marzaduri Enrico , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa ... 7 
Negri Daniele , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Spangher Giorgio , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma ... 15 
Canzio Giovanni , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Canzio Giovanni , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale ... 17 
Marzaduri Enrico , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Rossomando Anna (PD)  ... 17 
Spangher Giorgio , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma ... 18 
Rossomando Anna (PD)  ... 19 
Spangher Giorgio , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Canzio Giovanni , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale ... 19 
Negri Daniele , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara ... 20 
Marzaduri Enrico , Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
Morani Alessia (PD)  ... 22 
Canzio Giovanni , Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, Giovanni Canzio, del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, Giorgio Spangher, del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa, Enrico Marzaduri, e del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara, Daniele Negri.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 631 Ferranti e C. 980 Gozi, recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali, del presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, Giovanni Canzio, del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma, Giorgio Spangher, del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa, Enrico Marzaduri, e del professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara, Daniele Negri.
  Per domani è prevista l'audizione di Glauco Giostra, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative, e di Giulio Illuminati nonché dei rappresentanti dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia e dell'associazione Nessuno tocchi Caino.
  Darei la parola al presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale, Giovanni Canzio. Vi saremmo grati se riusciste a contenere i vostri interventi, in modo da dare la possibilità ai commissari di intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIOVANNI CANZIO, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale. Entro subito nel merito delle questioni. La Commissione ministeriale è stata nominata per individuare degli interventi urgenti che possono dare respiro, in questa fase così critica, al processo penale. Uno dei settori sui quali la Commissione ha lavorato con apposita sottocommissione è quello delle misure cautelari.
  L'elaborato è stato già posto a disposizione del ministro, per quindi sono in grado di illustrarlo e sono stato anche autorizzato a lasciarvelo. Si tratta di un elaborato composto da articolato e da relazione accompagnatoria. Per una parte, è largamente coerente con entrambe le proposte sulle quali siamo stati chiamati oggi a esprimere il nostro parere.
  Farò solo una brevissima premessa. Al di là del labirinto lessicale della grammatica, delle parole, il nodo è aggrovigliato, Pag. 4quindi probabilmente occorrerà affrontarlo non soltanto con terminologia esatta nei contesti normativi, ma tenendo presente che l'esigenza fondamentale è quella, laddove sia coinvolto il detenuto, di garantire la celebrazione del processo in tempi rapidi. Vedremo se si riesce a individuare percorsi migliori per assicurare, quantomeno laddove l'imputato è detenuto, una fase procedimentale e poi processuale governata dalle regole del giusto processo e della ragionevole durata.
  L'altra esigenza è quella di ridurre l'area della coercizione, soprattutto per quanto riguarda le misure più fortemente restrittive, cioè quelle carcerarie. La Commissione ha ritenuto di dover intervenire su alcune norme fondamentali del codice.
  Per quanto riguarda l'articolo 274, norma base in tema di esigenze cautelari, si è ritenuto di incrementare il tasso di specificità delle ragioni, con riferimento anche all'attualità del pericolo, alla lettera b) e alla lettera c), oltre alla concretezza, ma anche, come anche nelle vostre proposte, provando a inserire disposizioni che possano evitare che, nella motivazione, il giudizio di probabilità di colpevolezza risultante dalla gravità indiziaria, quindi dai criteri dell'articolo 273, possa assorbire la valutazione delle esigenze cautelari per la lettera b), ma soprattutto per la lettera c).
  Questa situazione di pericolo, dunque, non può essere desunta solo dalla gravità del reato e la personalità non può essere desunta unicamente dalla circostanza di fatto. Bisogna far sì che esista una motivazione specifica, puntuale, proprio sulle esigenze attinenti al pericolo e non soltanto su quelle della gravità indiziaria.
  Modifiche di un certo rilievo proponiamo all'articolo 275. Innanzitutto, in linea con un principio che ormai credo sia anche stabilizzato da più sentenze della Corte costituzionale, andrebbero eliminati il più possibile gli automatismi applicativi, e quindi anche quelli insiti oggi nei commi 1-bis e 2-ter nei casi di condanna di primo grado e di condanna in appello, in cui ci sembra che si tratti, nella maggior parte dei casi, tra l'altro molto rari – questa misura è raramente applicata – una sorta di esecuzione anticipata della pena, al di là delle regole generali che devono presiedere all'applicazione della misura cautelare.
  Direi che la proposta che può fornire sicuramente un contributo più significativo è quella di implementare, da un lato, il principio di proporzionalità e, dall'altro, il principio di adeguatezza. La proporzionalità fa riferimento oggi non solo a una prognosi fausta circa la sospensione condizionale della pena, per cui la custodia cautelare non può essere applicata se vi è una prognosi di sospensione condizionale della pena. Noi aggiungiamo anche, laddove il giudice ritenga che possa essere applicata una pena anche detentiva ma non carceraria oppure possa essere concessa la sospensione condizionale della pena, ma anche di tenere conto delle novità in materia di sospensione dell'esecuzione della pena, comma 5 dell'articolo 656. È una prognosi più ricca, più complessa, ma che può ridurre l'area della custodia cautelare.
  Per quanto riguarda il principio di adeguatezza, andrebbe arricchita di molto la gamma delle misure applicabili dal giudice per l'implementazione delle misure interdittive – dopo aggiungerò delle informazioni – e consentire, però, la custodia cautelare in carcere solo dove le altre misure coercitive e interdittive, anche se applicate cumulativamente, quindi consentendo un più largo uso delle misure cumulative, risultino inadeguate, così rovesciando il criterio di inadeguatezza in termini di adeguatezza e sufficienza di altre misure coercitive interdittive, anche se applicate cumulativamente.
  Ovviamente, come subito appresso vi dirò, questo significa che le misure interdittive devono avere un diverso perimetro di applicazione, in modo da rimettere ovviamente in ordine la norma. La Corte costituzionale è già intervenuta sul principio di adeguatezza.
  Tra gli automatismi, abbiamo ritenuto che sia da sopprimere il comma 1-ter dell'articolo 276, che impone un ripristino automatico della misura, e, per quanto Pag. 5riguarda l'articolo 280, abbiamo previsto con un comma 2-bis un rovesciamento della presunzione legale.
  Almeno come nostro intento, presumiamo inadeguata la custodia cautelare in carcere, che quindi non può essere disposta laddove il delitto non sia di una certa gravità, e quindi con una pena edittale inferiore nel massimo a 8 anni di reclusione, ovviamente, con la clausola di salvaguardia, con la riserva che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Ci sembra che il rovesciamento della regola possa contribuire a sdrammatizzare il tema dell'utilizzo eccessivo della misura cautelare in carcere.
  Ovviamente, l'intervento riguarda anche le misure interdittive. Molto brevemente, dirò che la scarsa applicabilità attuale delle misure interdittive dipende innanzitutto, come avete sottolineato anche voi, dai termini di durata, che sono infimi. Abbiamo, quindi, previsto un forte ampliamento dei termini di durata delle misure interdittive, che rende sicuramente più appetibile l'impiego delle stesse, ma anche con un allargamento del previo interrogatorio, che diventa il modo classico con cui si deve procedere all'applicazione delle misure interdittive, quindi un contraddittorio anticipato, non trattandosi certamente di provvedimenti a sorpresa.
  L'intervento è stato, quindi, sia sull'articolo 287, per quanto riguarda l'interrogatorio, sia sull'articolo 308, come vi dirò tra un attimo. All'articolo 308, il primo comma recherà non più solo le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare, ma anche quelle interdittive che insieme perderanno efficacia quando, dall'inizio della loro esecuzione, è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall'articolo 303. È prevista anche la rinnovazione per esigenze probatorie.
  In tal modo, riteniamo che l'ampliamento dei termini di durata parificato a quello delle misure cautelari e coercitive non detentive possa rendere effettivamente più ampia l'applicazione anche combinata, come abbiamo previsto nel 274, di misure coercitive non carcerarie e di misure interdittive in luogo della misura carceraria.
  Una proposta sicuramente innovativa, che è stata approvata all'unanimità dalla Commissione e richiede senz'altro un'attenta riflessione, che sottopongo alla vostra attenzione, è di rivisitare il giudizio di riesame, articolo 309 del codice di procedura penale, per alcuni profili. Il primo è quello di consentire all'imputato che lo chiede di comparire personalmente e, in ogni caso, riconoscere il diritto di comparizione all'imputato che lo richieda al di là delle variegate interpretazioni giurisprudenziali.
  Sempre dal punto di vista procedurale, bisognerebbe consentire che, su richiesta dell'imputato, sia differito il giorno dell'udienza da un minimo di 5 a un massimo di 10 giorni, per consentire alla difesa di prepararsi meglio – pensiamo all'accesso alle registrazioni delle conversazioni intercettate – e, nei casi di maggiore complessità, al giudice di studiare più attentamente la vicenda cautelare.
  L'intervento di maggior rilievo è, però, quello che parte da una considerazione su come rafforzare l'obbligo di motivazione del provvedimento genetico della misura cautelare attraverso un controllo reale e sostanziale da parte del giudice del riesame.
  Abbiamo ritenuto che continuare a consentire al giudice del riesame di poter integrare comunque la motivazione carente del giudice che emette la misura, falsi il compito di controllo, di verifica che spetta al tribunale del riesame e, soprattutto, deresponsabilizzi il giudice nella parte in cui deve motivare sugli elementi fondamentali, cioè la gravità indiziaria, le esigenze cautelari e gli elementi forniti dalla difesa che devono essere presi in considerazione.
  Ci rendiamo conto che è una proposta innovativa, forse anche audace, ma è stata pensata insieme ad avvocati e professori. Sono stato tanti anni giudice in Cassazione, giudice di merito, e ritengo che abbia la sua fondatezza. Duole ammettere, infatti, che la tecnica del copia e incolla non ci sta portando molto lontani.
  Non vogliamo, allora, che il tribunale si sostituisca, a sua volta, a questi difetti Pag. 6motivazionali, per cui abbiamo previsto che il tribunale debba annullare il provvedimento impugnato se la motivazione manca o è meramente apparente, soprattutto se non contiene la valutazione autonoma dei presupposti fondamentali, cioè gravità indiziaria, esigenze cautelari ed elementi forniti dalla difesa.
  Altra proposta anch'essa innovativa, ma pure formulata all'unanimità, è che il giudice del riesame abbia un più largo spazio di tempo per motivare, spostando il termine per la motivazione da 5 a 30 giorni, ma anche che si preveda, in caso di mancato deposito del termine, la caducazione della misura coercitiva.
  Questo assicura al tribunale del riesame quel respiro che oggi vediamo mancare – alcune prassi sicuramente non tranquillanti nascono anche dall'ansia di dover depositare in termini troppo brevi l'ordinanza che si decide in sede di riesame – ma, allo stesso tempo, dobbiamo evitare che la condizione del detenuto, di colui che è stato attinto da misura coercitiva, rimanga in questo limbo indefinito e non possa fare il suo ricorso per Cassazione finché non è depositata l'ordinanza. Da un lato, quindi, pensiamo ai carichi di lavoro dei magistrati; dall'altro, abbiamo ritenuto di garantire un'esigenza di celerità, ovviamente a pena di decadenza, di perenzione. Senza questa sanzione è come non porre un termine.
  Questo vale solo per il riesame, non anche per l'appello, mentre lo si ripete in caso di annullamento con rinvio in sede di giudizio di rinvio. Con quest'ultima osservazione, ho concluso l'analisi del lavoro che abbiamo svolto. Su autorizzazione del ministro, ve ne lascio una copia.
  Vorrei solo aggiungere una brevissima considerazione. Ho assistito a Trento – credo che ci fosse anche l'onorevole Rossomando – a un convegno pochi giorni fa proprio sulla libertà personale: una relazione molto interessante del professor Ceresa-Gastaldo ha messo in evidenza come, probabilmente, quella che un giorno sembrava la più alta garanzia del sistema costituzionale italiano, e cioè i termini massimi di custodia cautelare, che non esistono in quasi nessun altra Costituzione europea, una grandissima garanzia, oggi probabilmente non lo siano più. Oggi non abbiamo più bisogno tanto di termini della custodia, che si interrompono, si sospendono, si amplificano, si restringono, si prorogano e così via, quanto di termini del processo.
  La nostra idea – proveremo a lavorarci se avremo un prolungamento del nostro incarico – è che, laddove ci sia il detenuto, il processo debba camminare in termini prefissati e rigidi, provando cioè a organizzare le cadenze, procedimentali prima e processuali poi, e che, almeno per quei processi, sia garantita una durata ragionevole per il sistema, per l'ordinamento, ma anche per la difesa sociale, per la collettività, anche un segnale preciso che i nodi del processo non sono solo nella libertà personale, ma in quello che riteniamo un respiro più largo di equilibro e coerenza di sistema proprio nella celebrazione del processo.
  Abbiamo, infatti, lavorato anche per altri profili, di cui non parlerò, quali le impugnazioni e i riti alternativi. Vi ringrazio per l'attenzione che mi avete prestato.

  GIORGIO SPANGHER, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Non posso che condividere quanto illustrato da Gianni Canzio in considerazione del fatto che la Commissione ha lavorato all'unanimità. Ci sono magistrati, avvocati, rappresentanti di camere penali: il progetto che Gianni Canzio ha presentato è assolutamente condiviso da tutti. Forse si può solo aggiungere che siamo intervenuti anche sull'articolo 104 con riferimento al differimento del colloquio, ma si tratta di profili marginali. Lo abbiamo salvato per i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, ma è tutto marginale.
  Mi ricollego alle ultime considerazioni di Gianni Canzio e ritengo sia evidente, peraltro, che in questo, nonostante la condivisione, la buona volontà, non risolviamo il problema strutturale delle misure Pag. 7cautelari e della carcerazione preventiva. Non illudiamoci che con questo provvedimento ridurremo di tanto. Vanno benissimo l'innalzamento a 5 anni, la modifica in tema di stupefacenti del progetto Ferranti, che hanno un effetto deflattivo, ma esistono dei problemi di fondo. Il problema è strutturale.
  La nostra legislazione in tema di durata della custodia cautelare oscilla tra la pena in astratto e la pena in concreto e questo è un nodo che non si riesce particolarmente a risolvere. Non voglio entrare nel dettaglio, ma a mio avviso qui esiste un problema e suggerirei una prima considerazione.
  Quando si accede al rito abbreviato, forse si potrebbe già considerare, ancorché in astratto, la pena abbattuta di un terzo. Questo sarebbe legittimo. Se il rito è ammesso, non si capisce perché si debba considerare la pena massima in astratto anziché la pena in astratto già abbattuta di un terzo. È su quello che si andrà a rapportare la pena, senza andare alla pena in concreto, ma anche nella sua astrazione.
  Sollevo anche un problema – devo dire che qui avete non poche questioni – in merito alla struttura del processo e alla struttura della cautela. Oggi, come hanno evidenziato Ceresa e Gianni Canzio, la durata della custodia è calibrata sulla durata del processo. Si è modificata la rimessione, si è allungato; si è modificato l'articolo 415-bis, si è allungato. Non si può più andare avanti.
  Mi permetto un'osservazione che solleverà delle polemiche, ma che non è in dissenso. Abbiamo cercato la linea di massima condivisione, ma siamo in una sede autonoma, il Parlamento e i parlamentari. Nella sentenza Torreggiani, nell'articolo 5 della Convenzione europea, si fa riferimento allo strumento della cauzione. Sono per primo consapevole delle obiezioni, ma qui la cauzione è finalizzata alla presenza dell'imputato nel processo. È in Convenzione europea, l'abbiamo firmata: la sentenza Torreggiani ci dice che c’è quella possibilità tra i tanti strumenti. L'altro strumento è la verifica periodica, un articolo 299-bis che potrebbe essere attivato.
  Pur condividendo assolutamente, quindi, vi consegno anche questa serie di riflessioni, su strumenti cioè che ristrutturino diversamente il tempo di durata della custodia rispetto al processo, toccando non la struttura – oggi non possiamo farlo – ma il discorso tra la pena in astratto e la pena in concreto.
  È possibile che un articolo 300 reciti che il giudice libera quando c’è l'archiviazione e si arrivi all'archiviazione con la persona in carcere ? È possibile che si riconosca che la durata della custodia cautelare possa essere superiore alla pena applicata in concreto ? È possibile un sistema del genere ? Forse dovremmo riflettere su queste possibili patologie, senza arrivare alla riparazione per ingiusta detenzione.
  Ai miei studenti dico sempre di ricordare che Pistorius, che ha ammazzato una persona, in quel sistema processuale è libero su cauzione. Togliamo l'articolo 407, i reati di criminalità organizzata, ma riflettiamo sui limiti, tra cui potrebbe esserci l'obbligo di garantire la presenza nel processo, evitando di sparire. È una possibile riflessione. È uno scenario che, tutto sommato, la Convenzione europea ci consegna e la sentenza Torreggiani ci indica.

  ENRICO MARZADURI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa. Mi pare che gli ultimi accenni di Giorgio Spangher mi aiutino nella direzione di sfruttare l'occasione per allargare, ma non per non considerare queste proposte.
  Quando si parla del rischio di un'anticipazione della pena attraverso la custodia cautelare, si passa attraverso il discorso della durata. Quando il sistema consente l'applicazione di una custodia cautelare oltre certi tempi e si comincia a parlare di anni, l'identificazione con la pena è praticabile.
  Se un sistema, anche a prescindere da tutte le sottili discussioni sulla teleologia della custodia cautelare, prevede un limite massimo di 1, 2, 3 mesi per la custodia Pag. 8cautelare, anche se è l'ordine pubblico, l'allarme sociale a provocare l'intervento coercitivo, non c’è di fatto una possibile assimilazione con la pena. C’è, infatti, un intervallo temporale qualitativamente diverso.
  La giurisprudenza di Strasburgo, per esempio, sia pure in casi limitati, riconosce la possibilità di applicare misure restrittive della libertà personale sulla base dell'allarme sociale. Questo può sconvolgerci perché richiama la legislazione nazista, ma non dimentichiamo che nella legislazione della civilissima Francia compare l'ipotesi dell'allarme sociale come uno dei presupposti dell'intervento cautelare.
  Personalmente, non abbandonerei – butterei al macero tante pagine che ho scritto e troppi anni di lavoro – tutte le discussioni sui rapporti tra l'articolo 27, comma 2, l'articolo 13, comma 1, e le finalità della custodia cautelare, ma il tema fondamentale sul piano pratico dell'apprezzamento anche sociale di questi rapporti tra pena e custodia cautelare è il problema dei tempi.
  Proprio nel convegno di Trento ricordato bene da Gianni Canzio, nella relazione introduttiva Ennio Amodio ipotizzava, non in termini utopistici, pur sapendo che non è facile arrivare a certe soluzioni, dei tempi molto stretti per i processi con imputati in stato detentivo.
  All'interno di quei tempi così stretti, che replicano peraltro esperienze anglosassoni, si può avere il momento restrittivo della libertà personale, come ricordava Giorgio Spangher, ma rispetto a cui i problemi di assimilazione alla pena non si pongono proprio. Esiste, infatti, una distanza fortissima tra il tempo che consente di pensare, proprio a livello di uomo della strada, a un'anticipazione della pena, e cioè anni, e i tempi di applicazione della misura restrittiva nel corso del processo, ossia settimane o, al massimo, mesi. In una prospettiva molto più ampia, generale, ma che non dobbiamo non considerare, a mio avviso questa è la soluzione per evitare un'assimilazione «vera» tra pena e custodia cautelare.
  Passando, invece, alla riflessione, che non voglio declassare, tradizionale, cioè i rapporti tra finalità della custodia, e quindi rispetto della presunzione di non colpevolezza, vedo con piacere un'attenzione che negli ultimi decenni era un po’ venuta meno, ossia la considerazione della prevenzione speciale di cui alla lettera c) dell'articolo 274 come una situazione a rischio rispetto alla tutela dell'inviolabilità della libertà personale.
  Anche chi di noi non ha particolare esperienza forense sa che le motivazioni in tema di prevenzione speciale sono costruite con una certa facilità, spesso si esauriscono in clausole di stile. Giustamente, si fa riferimento oggi all'attualità del pericolo: non pochi casi hanno visto custodie cautelari giustificate sulla base di precedenti quanto mai lontani nel tempo. È più che giusto, quindi, non soltanto dare spazio all'attualità, ma anche circoscrivere.
  In questi casi, si tratta di circoscrivere un male e si sa che un male è che la gestione di questa finalità lascerà sempre spazio a interventi non del tutto rispettosi della gerarchia dei valori costituzionali. Sapendo che è un male, si cerca quindi di circoscriverlo, limitarlo, da cui l'intervento che già norma, col decreto-legge n. 78 del 2013, con riferimento ai 5 anni, e della Commissione Canzio, superiore al massimo a 4 anni, sostanzialmente equivalente. Non mi pare, infatti, esistano reati puniti con la pena di 4 anni e 6 mesi o giù di lì.
  Voglio ricordare un ragionamento che svolsi insieme a un grande giudice di legittimità, che purtroppo ci ha lasciato, il dottor Silvestri – accennerò poi a quello che mi diceva – per il quale indubbiamente è una scelta pedagogica anche quella di attribuire al tribunale della libertà il compito di sanzionare ciò che oggi, invece, è oggetto di intervento correttivo, suppletivo, rispetto al giudice che emette il provvedimento.
  Caricare di responsabilità il giudice che emette il provvedimento significa anche, non essendo l'articolo 274, lettera c), una autostrada, che, se il percorso non è svolto Pag. 9correttamente, esiste una risposta che si traduce nell'annullamento del provvedimento, conferendo così anche significato a quell'ipotesi di annullamento che altrimenti veniva a essere svilita attraverso la possibilità del tribunale del riesame di intervenire in sostituzione del giudice che non ha emesso correttamente il provvedimento restrittivo.
  Su questo punto, vorrei accennare anche a un altro aspetto. Proprio il dottor Silvestri mi diceva che esistono tanti aspetti – lui ha grande esperienza di Cassazione – e nonostante anni e anni vissuti in questo Collegio, spesso mi trovo con giurisprudenze consolidate alle quali non credo, una delle quali sembra essere stata recentemente superata del rapporto tra l'articolo 273 e il 192, comma 2. Recentemente, secondo la Corte di cassazione, anche per le misure cautelari gli indizi possono essere apprezzati solo se rispettano i canoni di cui all'articolo 192, comma 2. Sono contento per lui.
  L'altro aspetto che mi sottoponeva il dottor Silvestri era questo: quando la Corte di cassazione annulla con rinvio, il provvedimento che legittima la restrizione non c’è più. Allora, perché quest'uomo deve restare dentro se non c’è più un provvedimento che può giustificare la restrizione della libertà personale ?
  Direi che anche sotto questo profilo si potrebbe intervenire per evitare che, nelle more dell'intervento in sede di rinvio, ci sia una situazione limitativa della libertà personale che non ha un provvedimento attuale, concreto che la giustifichi. Quel provvedimenti è, infatti, viziato, non presenta una motivazione che lo giustifichi e che permetta il mantenimento della limitazione della libertà personale.
  Tornando molto rapidamente ai contenuti delle proposte di legge, abbiamo già, sia pure molto rapidamente, considerato i riferimenti sia al pericolo di fuga sia alla prevenzione speciale, che vedono l'inserzione del riferimento all'attualità del pericolo. Allo stesso modo, non può che essere, a mio avviso, apprezzato il riferimento contenuto nell'articolo 3.
  Ancora una volta, del resto anche nel progetto della Commissione Canzio, si fa riferimento alla necessità di motivare la sussistenza del pericolo di fuga e il rischio di reiterazione del reato non solo sulla base della gravità del reato imputato o nella circostanza del fatto addebitato – sul punto, peraltro, una certa giurisprudenza europea va nella stessa direzione – e altrettanto accade per quanto concerne tutti gli altri interventi volti a eliminare o limitare al massimo i profili presuntivi.
  Su questo, però, vorrei un attimo di riflessione, per poi passare molto rapidamente all'articolo 299. Ritengo che l'unica strada che si offra al riformatore sia quella di riprendere il testo originario del codice. A mio avviso, sarebbe molto più corretto partire da una logica di adeguatezza che deve essere misurata concretamente dal giudice.
  Questo non significa abbandonare l'attenzione o un'attenzione particolare nei confronti di certe manifestazioni della criminalità organizzata. Ricordo che, quando emersero le prime ipotesi di doppio binario già con il decreto-legge Cossiga tra il 1979 e il 1980, le giustificazioni di certi momenti presuntivi erano riferite al rischio per il giudice, allora per il pubblico ministero, di dover motivare nei confronti di situazioni che potevano porre in pericolo la stessa persona del magistrato. La presunzione era una sorta di usbergo. Ricordo interventi di diversi magistrati al proposito.
  Ritengo che, se quello è il pericolo, il nostro, come ordinamento civile, deve muoversi in un'altra direzione, non attraverso la presunzione di pericolosità che «impone» al giudice di emettere il provvedimento, e che quindi lo protegge rispetto a possibili critiche. Esiste un'attività di prevenzione, di tutela, che deve essere ed è esercitata quando ci sono dei rischi particolari per la magistratura che affronta certe tematiche, ma non si deve tradurre sul piano della disciplina particolare della misura cautelare personale.
  Passando all'articolo 299, il testo presentato dal presidente Ferranti impone alcune riflessioni. Personalmente, sono affezionato Pag. 10all'attuale disciplina dell'articolo 299, comma 1, proprio per un senso di rispetto e di apprezzamento nei confronti del magistrato. L'espressa attribuzione e riconoscimento di un legislatore a un giudice del diritto di ammettere un errore – di questo si tratta – anche per fatti non sopravvenuti, la semplice rilettura del provvedimento, rappresenta per me il massimo del riconoscimento del valore di una persona.
  Si tratta di potere e dover verificare continuativamente il provvedimento, perché incide sulla libertà personale. Non è necessario un quid novi. Semmai, qui si potrebbe inserire il discorso del controllo periodico. Si ha il potere-dovere di verificare se il provvedimento emanato mantiene validità rispetto a valutazioni più attuali. Per il legislatore, potrebbe venir meno indipendentemente la presenza di fattori nuovi, di fatti sopravvenuti.
  Ragionerei, quindi, sul significato anche un po’ più sistematico dell'abbandono di questo percorso e dell'inserzione di un inciso per ragioni sopravvenute, che in effetti non equivale a fatti sopravvenuti, ma potrebbe riferirsi semplicemente a motivi diversi, inseriti dalla difesa.
  Per quanto concerne la presenza di fatti sopravvenuti, questa invece è riferita al diritto della persona sottoposta alla misura che chiede l'interrogatorio di essere interrogato, quindi si apprezza la differenza tra il fatto e la ragione sopravvenuta.
  Quanto all'altro disegno di legge, che riprende anche dei suggerimenti di un nostro collega, Luca Marafioti, al di là di alcuni elementi comuni, come il riferimento all'attualità, c’è un'attenzione diversa al problema della prevenzione speciale.
  Se ben ricordo, in questa proposta di legge si ritiene che la possibilità di valorizzare la prevenzione speciale legata al rischio di commissione di delitti della stessa specie possa operare solo a fronte di determinate categorie, e cioè delinquenti abituali, professionali o per tendenza, sempre con una determinata gravità del fatto grave.
  A dire il vero, l'esigenza della limitazione si avverte, come già osservato in partenza, ma forse il riferimento a queste categorie è eccessivamente formale, che potrebbe per certi versi penalizzare ingiustamente, per altri liberalizzare pericolosamente, e quindi forse non è l'aggancio corretto qui. Riterrei che, attraverso il potenziamento di quelle esigenze motivazionali, che devono trovare in futuro una sanzione nel potere-dovere di annullamento da parte del tribunale del riesame, si possa offrire una risposta più concreta a questa esigenza di tutela della libertà personale.

  DANIELE NEGRI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara. Ringrazio il presidente e la Commissione. Sono qui con uno spirito di servizio. Del resto, a fianco di colleghi autorevoli e magistrati insigni, forse mi conviene restare più chino sulle singole disposizioni che si propone di introdurre.
  Sul piano dell'inquadramento generale, esprimo senz'altro condivisione sia rispetto alla diagnosi da cui muovono entrambe le proposte di legge sia sulle linee generali che li ispirano.
  Devo ammettere, anche con un certo entusiasmo, che mi è capitato di leggere le parole, in particolare della relazione illustrativa alla proposta di legge C. 631, dove si fa riferimento alla necessità di ripristinare una cultura delle cautele penali. In effetti, è proprio quella cultura che è mancata nel momento della discrezionalità del giudice nell'applicazione delle diverse misure.
  Se posso semplicemente permettermi, mi pare che la direzione di questi progetti di legge sia quella di sopperire alla cultura che il codice del 1988-89 voleva veicolare ma che non è stata assorbita, sostituendola con una pedagogia, cioè con un intervento della legge che inserisce singole previsioni, che vincola, sostituendo in linea generale degli schemi di carattere formale e legale alla valutazione di merito.
  Faccio questo richiamo in sede di presentazione generale proprio riallacciandomi a quanto evidenziava anche il presidente Pag. 11Canzio ed è stato sottolineato anche da coloro che mi hanno preceduto. A me pare, cioè, che questa, che magari è necessitata, che possiamo anche non condividere, sia l'unica via da perseguire almeno nell'immediatezza, ossia di inserire norme legali vincolanti sotto il profilo della valutazione delle condizioni applicative delle misure.
  Su questa via, che è stata quella riforma del 1995, della riforma del 2001 – Enrico Marzaduri ricordava tutto il problema della valutazione della chiamata in correità e dei riscontri – il completamento necessario mi pare sia proprio quello cui faceva riferimento il presidente Canzio. Se, cioè, trasformiamo il merito in forma, in regole legali formali, la conseguenza è che il tribunale della libertà deve essere un giudice che annulla e non sostituisce completando la motivazione. Mi pare che ci sia una corrispondenza piuttosto stretta e in chiave di presidio proprio alle riforme che si vogliono introdurre, che altrimenti rischierebbero di essere vanificate per altro verso.
  Credo sia stata distribuita la relazione, quindi posso permettermi di procedere piuttosto velocemente, trascurando i passaggi un po’ più complicati sul piano logico da argomentare. Dal lato dei presupposti – cercherò di analizzare un po’ entrambe le proposte di legge – in particolare la proposta Ferranti intende introdurre il requisito dell'attualità per quanto riguarda sia il pericolo di fuga sia l'esigenza speciale preventiva.
  Sono d'accordo su entrambe le riforme e ritengo che il requisito dell'attualità vada inserito, anche se so che esistono voci contrarie a insistere sulla moltiplicazione degli aggettivi. Credo che sia necessario proprio per evitare certe derive. È vero che un pericolo concreto può intendersi anche come pericolo attuale, ma è vero che l'esperienza giurisprudenziale ci mostra che così non è stato inteso, e quindi ecco l'intervento pedagogico del legislatore. L'attualità del pericolo di fuga, in verità, potrebbe essere intesa in due modi, e quindi forse su questo è bene riflettere, anche semmai per lasciare traccia nei lavori parlamentari.
  Potremmo riferirci a ipotesi di fughe pregresse, di trasferimenti all'estero da parte di imputati magari in altri procedimenti molto lontani nel tempo. La prima funzione di quest'inserimento del requisito dell'attualità potrebbe essere, dunque, proprio quella di bloccare interpretazioni giurisprudenziali di questo tipo, che risalgono quindi troppo all'indietro. Potrebbe, però, esserci un'interpretazione più avanzata, che mi pare trapeli proprio dalla relazione introduttiva alla proposta di legge, secondo cui dovremmo trovarci di fronte a una fuga in preparazione imminente, qualcuno che sta per darsi o, comunque, che sta compiendo atti immediatamente prodromici, preparatori alla fuga stessa.
  Quanto alla norma che vieta di trarre il pericolo di fuga dalla gravità del reato contestato, senz'altro anche su questo concordo e direi che si tratta di una norma di carattere minimale. Mi pare che la giurisprudenza sia più avanzata su questo, per esempio quando ritiene che anche la condanna confermata in appello a una grave pena da sola possa non bastare a desumere il pericolo di fuga. È, quindi, senz'altro una norma di salvaguardia quella che si propone di introdurre.
  Segnalo una giurisprudenza che si spinge anche oltre, per cui sarebbe anche possibile compiere un passo innanzi, non limitandosi alla gravità del reato contestato, come divieto di valutarlo esclusivamente, ma conglobando in questo sentenze pronunciate anche in grado d'appello.
  Anche per quanto riguarda l'esigenza special-preventiva, quindi la lettera c), sono in pieno accordo. La commissione del delitto deve essere imminente, deve poter essere scorta. Non deve trattarsi di un tentativo, poiché in quel caso avremmo una notizia di reato apposita, ma di un momento più arretrato nella linea delle condotte rispetto al tentativo. In ogni caso, da questo lato, la giudicherei certamente una modifica più che positiva.
  Certo, il nucleo più importante risiede ancora una volta in quel divieto di valutare Pag. 12esclusivamente a questi fini. Sono molto favorevole a questi divieti, a queste regole probatorie legali di segno negativo, proprio perché, in sede di controllo, potrà esserci su questo punto l'annullamento. Se, cioè, non si è valutato qualcos'altro oltre a ciò che da solo non basta, questo deve portare a una nullità e all'annullamento.
  Non si debbono valutare esclusivamente le modalità e le circostanze del fatto in corso di accertamento, per cui andiamo alla ricerca di comportamenti o di atti concreti che si aggiungano alle circostanze relative al fatto principale in corso d'accertamento, o alla personalità, ovviamente in combinazione, desunta però a sua volta da elementi ulteriori rispetto a quelli della regiudicanda principale.
  Mi pare che questa sia una riforma sacrosanta che si allinea al principio della presunzione di innocenza, che ci impedisce di trarre prognosi di recidiva dallo stesso fatto in corso d'accertamento proprio perché manca il presupposto. Non possiamo muovere un rimprovero per un reato che non è ancora stato accertato in via definitiva.
  Semmai – lo vedrete nella relazione – a questo proposito mi sono permesso, ma i legislatori siete voi, di segnalare la necessità di giungere a una pulizia testuale tra la formulazione che nella vostra proposta rimarrebbe dell'articolo 274, lettera c), e questa clausola del divieto, che andrebbe ad aggiungersi, ma in sede sistematica autonoma. Mi pare che possa esserci un bisticcio, un po’ di corto circuito se le manteniamo distinte. Forse sarebbe il caso – nella relazione ho provato a suggerire, appunto, una formulazione – di ripulire quello che in questo caso mi pare un eccesso di terminologia che si rincorre e che rischia di fuorviare.
  Ha già detto benissimo Enrico Marzaduri sul progetto di legge C. 980. Neanche io sono d'accordo sulla valorizzazione di quei tipi d'autore. Specialmente il delinquente per tendenza ha un dubbio fondamento criminologico. Lascerei stare la malvagità della persona.
  Quanto ai criteri di scelta delle misure e alla sospensione condizionale anche per gli arresti domiciliari, sentivo prima anche Giorgio Spangher anticiparlo in via informale, ma pare anche a me che non si possa equivocare sul fatto che custodia cautelare è sia custodia in carcere sia arresti domiciliari. Ce lo dice l'articolo 284, comma quarto.
  Esiste un'isolatissima giurisprudenza del passato, ma ormai risalente e che mi pare del tutto superata, per cui forse in questo caso possiamo fidarci della giurisprudenza. Se non ci fidiamo, mi pare che la scelta sia, volendo tagliare la testa al toro, di precisare custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari.
  Certo, salta un po’ la funzione generale dell'articolo 284 che richiamavo, quella clausola che dovrebbe un po’ diffondersi sull'intero libro IV. Se, però, vogliamo proprio rafforzare il messaggio, indubbiamente andrebbe scritto chiaro in quei termini.
  Sono d'accordo anche sul cumulo delle misure tanto coercitive quanto interdittive, come si dice giustamente, come tentativo di ridurre di nuovo la custodia in carcere ad extrema ratio, quindi di saggiare alternative che possano rafforzare le cautele anche applicandole simultaneamente già nel momento genetico. La questione, infatti, si poneva proprio per la prima applicazione della misura. Secondo la giurisprudenza, infatti, il cumulo può esserci solo in certi casi ed erano quelli degli articoli 276 e 307.
  Mi limito a osservare che qui bisognerebbe, ancora una volta, precisare la funzione alternativa rispetto alla custodia cautelare in carcere, a meno che non vogliamo sostenere che il cumulo diventi uno strumento per far diventare extrema ratio anche gli arresti domiciliari, come non credo sia questo caso.
  In effetti, intervenire sull'articolo 275 – esiste un principio di legalità a questo proposito e io sono assolutamente convinto che vada rispettato – potrebbe adire un ruolo generale, un valore generale, ma è anche vero, segnalandolo per i sempre molto delicati coordinamenti, che l'articolo Pag. 13299, comma quarto, quindi in sede di revoca o sostituzione della misura, recita che il giudice sostituisce la misura applicata con un'altra più grave o ne dispone l'applicazione con modalità più gravose.
  Se stiamo al principio di tassatività, tra queste due ipotesi non c’è, a rigore, quella del cumulo. Si potrebbe, quindi, affermare che questa è una previsione che deroga – dove la legge non vuole, non dice che non vuole – all'articolo 275 che introduciamo. Se, perciò, vogliamo essere sicuri, dovremmo aggiungere anche qui l'autorizzazione al cumulo tra le misure. Spero che il cumulo sia inteso poi, sul piano interpretativo, come applicazione delle misure nella loro identità tipologica, quindi evitando degli ibridi, dei misti compositi tra le diverse misure, cioè che si prenda un pezzo dell'una e un pezzo dell'altra. Le misure vanno adottate entrambe, magari con alcune prescrizioni soltanto di ciascuna, ma senza incrociare.
  Sono d'accordissimo sullo sfoltimento, in linea con le pronunce della Corte costituzionale, delle ipotesi di presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere. Valutate l'ipotesi, vicina a quella che ci rammentava il presidente Canzio e che ritrovo, però, anche nel documento presentato dall'Unione delle Camere penali, secondo cui potremmo lasciare aperta la porta anche a una prova che vinca la presunzione, nel senso che emergano esigenze meno intense che possano giustificare, anche per i reati più gravi che avete lì elencato, una misura diversa dalla custodia in carcere, quindi sempre come rovesciamento di una presunzione, ma nell'ottica della stessa Corte costituzionale e che possa condurre anche all'applicazione di una misura inferiore. La non è, quindi, quella del tutto o niente, ma una logica graduata.
  Il tempo corre e lascio alla relazione che è stata distribuita le considerazioni che volevo svolgere sui dubbi che nutro in ordine all'assimilabilità tra questo trattamento cautelare d'eccezione riguardante l'associazione mafiosa e le altre due ipotesi dell'associazione sovversiva e di quella con finalità di terrorismo. Qui il discorso si farebbe molto lungo.
  Lascio l'argomentazione della ragione per cui ritengo che queste altre due fattispecie che avete assimilato presentino dei connotati normativi tali da non poterli equiparare all'associazione mafiosa. Dagli stessi ragionamenti della Corte costituzionale, quando tollera quella presunzione per il 416-bis, possiamo trarre gli indicatori per affermare che, invece, queste altre fattispecie probabilmente sarebbero oggetto di pronunciamenti di illegittimità costituzionale ove fosse chiamata a intervenire la Corte.
  Sulla durata delle misure interdittive, sempre nella logica di alternativa alla custodia carceraria, va benissimo il prolungamento dei termini. Essendo le misure interdittive rimaste ai margini, si tratta di rivitalizzarle, anche in cumulo con le misure coercitive, quindi a maggior ragione direi che vale l'opportunità di innalzare i termini.
  Ho visto che il dossier del Servizio studi segnala una norma – spesso non ci accorgiamo neppure che sono inserite queste previsioni – del 2012, anche piuttosto nota, famosa o famigerata, che ha inserito l'ipotesi di termini per misure interdittive pare a 6 mesi: valutate, ovviamente come legislatori, se mantenere i 6 mesi, uniformare questo limite o innalzarlo, secondo le due diverse proposte di legge, una a 6 e l'altra a 12.
  Non mi trovo d'accordo, invece, con la proposta di legge C. 980 per il rovesciamento della regola sulla comunicazione dell'arrestato ai domiciliari con persone terze. Mi pare che sia una regola troppo rigida e anche che contraddica l'esigenza di individualizzazione della motivazione cautelare, un po’ nello spirito di queste proposte di legge. Se il giudice deve individualizzare, dovrà precisare nel provvedimento chi sono le persone altre dalle quali possono nascere dei pericoli.
  Sono contrario anche alla norma riguardante il divieto di arresti domiciliari in caso di coabitazione tra l'imputato e la persona offesa. Non solo, infatti, esistono Pag. 14delle misure apposite, come gli allontanamenti, i divieti di avvicinarsi, ma il testo è costruito in modo da essere anche in questo caso troppo rigido.
  Si pensi al caso in cui l'imputato possa commettere altri reati che vedono come soggetto passivo la vittima, ma certe esigenze, tipicamente quella della fuga, potrebbero non coinvolgere per nulla la persona della vittima. Mi pare che sia una regola costruita senza tenere nel massimo conto queste ipotesi, che pure sono meno frequenti di quelle a cui si pensa, ma che esistono. Credo che non possiamo irrigidirci in una clausola di quel tipo.
  Sul controllo circa le condizioni applicative della misura, articolo 299, anch'io sono cauto, quindi pienamente in linea con le riflessioni di Enrico Marzaduri. Anche in questo caso mi affiderei alla relazione. Le ragioni sono, infatti, un po’ complesse e hanno a che fare anche con la terminologia non in senso pedante, ma perché da essa scaturiscono conseguenze da analizzare molto bene.
  Mi pare che si possa lasciare la formula dell'articolo 299, primo comma, quindi anche per fatti sopravvenuti, nel senso che si possa avere una riconsiderazione critica, appunto, del provvedimento genetico. Semmai, se la direzione è quella, come non mi pare assolutamente da tralasciare, cioè di evitare una difesa che insiste in continuazione riproponendo argomentazioni replica di quelle già disattese in precedenza, si potrebbe inserire una previsione che si aggiunge, però, a quella dell'articolo 299, primo comma, lasciandolo integro, ma che si riferisca ai casi di reiterate istanze, ex articolo 299, rendendo inammissibili le ipotesi in cui gli argomenti presentati siano non sostanzialmente diversi da quelli già rigettati in altre ordinanze anteriori.
  Siamo in un ambito simile a quanto si stabilisce, mi pare all'articolo 49, a proposito della rimessione del processo. Anche lì si era avuto il problema delle istanze ripetute. Certo, siamo in un altro ambito, quello della libertà personale, quindi anche a questo bisogna stare molto attenti poiché è molto più delicato.
  Esprimo favore anche per l'interrogatorio a richiesta nel caso di fatti nuovi da parte dell'imputato. Ritengo, infatti, sia un'opzione difensiva, purché però l'imputato ne sia informato personalmente. Non vorrei che una difesa magari trascurata facesse sì che all'interrogatorio non si addivenga perché quell'imputato non sa nulla, è in carcere e non pensa nemmeno a farsi ascoltare da qualcuno. Penso, quindi, che quest'ipotesi dovrebbe essere accompagnata da un'informazione.
  Queste riforme, specie se dovessero essere approvate, come l'articolo 299 come attualmente allo studio, indubbiamente responsabilizzano molto la difesa, c’è una sorta di laissez faire, si affida molto alla parte. Se si va in questa direzione, credo che quel riferimento molto interessante della relazione illustrativa a un controllo periodico a tempi brevi, quindi ripetuto a tempi stretti, come vuole la Corte europea dei diritti dell'uomo, sia il giusto contraltare.
  In questo modo, ci affidiamo al giudice, in modo da non lasciare che siano quei termini massimi, ai quali non dobbiamo assolutamente rinunciare, ma che siano solo quelli in quanto molto rigidi e astratti, a governare la durata della misura.
  Capisco che sarebbero molte le difficoltà organizzative, ma ribadisco che la misura può venire meno anche con questi controlli a ritmi serrati, tempi brevi, durante il processo, ma in un'ottica di continuo adeguamento della misura, delle condizione di fatto e di diritto che il processo via via fornisce nel corso del suo svolgimento.

  PRESIDENTE. Mi è parso, con favore, che negli interventi ci sia stata sicuramente una convergenza su alcuni punti, tra l'altro anche di alcuni punti della proposta della Commissione ministeriale di studio con la proposta C. 631, a mia prima e a molte altre firme. Non entrerei, tutto sommato, nel merito di questa. Ci Pag. 15sono suggerimenti tecnici o, comunque, sistematici, molti dei quali mi sono chiari e mi vedono d'accordo. Vorrei, invece, qualche delucidazione per alcune soluzioni che sono state proposte dal testo più ampio che la Commissione Canzio ha elaborato.
  Se ho capito bene, fermo restando l’extrema ratio della custodia cautelare in carcere e che il termine, ormai anche alla luce del nostro provvedimento legislativo, è a partire da 5 anni, mi lascia personalmente un po’ perplessa il termine di 8 anni di reclusione, quindi un doppio termine, in basso e in alto, una fascia intermedia.
  Questa fascia intermedia sarebbe per i delitti che prevedono una pena da 5 a 8 anni, se intendo bene: la Commissione ha condotto una verifica d'impatto con riferimento alle fattispecie delittuose ? Dai 5 agli 8 anni esistono reati di un certo spessore. Come mai questi 8 anni ? Penso a tutta l'associazione a delinquere, ai delitti contro la pubblica amministrazione. La corruzione per l'esercizio della funzione, ad esempio, è da 5 anni.
  Un'altra mia perplessità riguarda proprio la nuova funzione del tribunale del riesame. Ho un po’ in mente la definizione del nuovo codice di procedura penale della funzione del tribunale del riesame: con questa funzione anche dell'indagine in fieri, in progress, al tribunale del riesame, a differenza dell'appello, è consentito addirittura integrare la motivazione.
  In caso di annullamento del provvedimento, però, o di motivazione assente o che non contiene un'autonoma valutazione, capisco le motivazioni sottostanti, come lo stimolo per il giudice di prima battuta, per il gip, ma ad esempio da un nostro piccolo approfondimento ci risulta che in Germania si mantiene efficace il provvedimento per un periodo di tempo molto breve.
  In ogni caso, avete lasciato quest'integrazione del tribunale del riesame in progress anche per motivi diversi da quelli enunciati. Ricordo, per la mia esperienza di pubblico ministero fino al 1999, ormai vecchia, che si continuano a condurre le indagini, si porta al tribunale del riesame anche il supplemento di inchiesta, per cui il tribunale del riesame ha questa funzione non statica, ma dinamica. Francamente, allora, la tagliola per cui si annulla e decade mi sembra un po’ eccessiva.
  Vedo, invece, con favore i termini che la Commissione ha messo con riferimento ai tempi di pronuncia dell'ordinanza, di un percorso stringente.
  Inoltre, nella proposta a mia prima firma, in realtà, manca un pezzo. Non abbiamo avuto, infatti, il coraggio o, comunque, il tempo di articolare bene la misura di una sorta di controllo periodico. Dai dati ricevuti dal ministro, ci lascia molto colpiti che abbiamo 12.000 persone in stato di custodia cautelare in primo grado, 6.300 in secondo e 4.000 ricorrenti in Cassazione, quindi 20.000 persone in custodia cautelare in carcere.
  Concordo con quanto avete illustrato un po’ tutti, col fatto che comunque dovrebbe essere previsto anche un percorso più veloce o, comunque, a tempo determinato per chi è in cautela; non si potrebbe, però, anche – chiedo anche un suggerimento o un'elaborazione, se possibile – cercare di verificare come introdurre nel nostro sistema un controllo periodico d'ufficio ?
  Molte volte, infatti, non si ha un avvocato particolarmente solerte o diligente, il giudice nelle varie fasi cambia e molte persone rimangono in carcere e qualcuno è dimenticato nei tre gradi di giudizio. Ci eravamo posti questo problema.

  GIORGIO SPANGHER, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Credo che quella del riesame sia stata una soluzione di equilibrio. Per un verso, si dice che il tribunale del riesame può chiaramente avere altro materiale, che il detenuto può chiedere di essere ascoltato, ci sono 30 giorni e c’è un sostanziale rafforzamento, anche molto discutibile o, comunque, questa è stata la soluzione della Commissione, di quella decisione. Se, infatti, in 30 giorni si redige una motivazione, sarà solida. Presumo che non ci si Pag. 16perda per scriverla il ventinovesimo giorno.
  Per un verso, quindi, si è cercato di accentuare il discorso sul riesame in considerazione del fatto che per il momento il diritto di difesa si era fortemente anticipato sugli interrogatori di garanzia; sull'altro piatto della bilancia, non si è potuto non ritenere, criticamente, che provvedimenti motivati per relazione, lacunosi sul piano della motivazione, possano essere salvati.
  Un provvedimento cautelare che abbia una sua consistenza, seppur sommaria nella celerità dei tempi, può essere anche stabilizzato, ma solo nella misura in cui, come accennava giustamente Gianni Canzio – l'articolo 292 prevede i requisiti a pena di nullità rilevabili anche d'ufficio – o quell'elemento di invalidità è messo sulla carta o, tra motivazione per relazione, elementi strutturali carenti e così via, diamo al tribunale della libertà il potere di integrare un atto viziato. Per un verso, lo rafforziamo anche rispetto alle revoche e alle sostituzioni. È chiaro, infatti, che un provvedimento collegiale, ben motivato, che a questo punto tiene in Cassazione, diventa molto difficile da revocare.
  Per altro verso, però, non possiamo neanche escludere patologie procedimentali legate all'articolo 292 o, addirittura, alle motivazione per relazione. Come si può dimostrare che il giudice ha valutato criticamente di fronte a una formula, visti gli atti del pubblico ministero che si condividono integralmente ? Si è voluto sanzionare alcuni comportamenti e, nel contempo, rafforzarli.

  GIOVANNI CANZIO, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale. Non ho proprio nulla da aggiungere su questo punto. Sicuramente, la soluzione, come ha sottolineato il presidente, può sembrare radicale, ma lo è la custodia cautelare in carcere. Partiamo dal presupposto che stiamo parlando di persone deprivate della libertà personale pur godendo della presunzione di non colpevolezza. È legittimo, quindi – parla un giudice e lo hanno asserito tanti giudici nella Commissione – pretendere dal magistrato che emette l'ordinanza applicativa della misura una particolare attenzione al percorso motivazionale che è stato disegnato, in particolare nel 1995, con una serie di cadenze tutte previste a pena di nullità.
  Qui, infatti, facciamo riferimento ai veri elementi fondamentali dell'ordinanza, cioè gli indizi, le esigenze cautelari e gli elementi forniti dalla difesa. Su questi tre punti, il giudice deve fornire una valutazione autonoma. Questa di appiattimento è un'accusa che noi giudici vogliamo smentire. Chiedo come giudice che sia smentita e sia responsabilizzata la funzione del giudice che applica la misura.
  Per quanto riguarda il limite degli 8 anni, ci è sembrato, al di là di un'analisi dettagliata dei reati, non ancora condotta, ma ci ripromettiamo di fare, di lanciare un altro segnale forte di innovazione. Proviamo a rovesciare, per quei reati che saranno gravi, ma non particolarmente, la presunzione. Non è adeguato il carcere.
  Esistono tante misure, la gamma è vastissima, l'applicazione può anche essere cumulativa, ma tra questi reati, al di là dei casi di eccezionale rilevanza, abbiamo voluto ancora una volta lanciare un segnale di inversione di tendenza, e cioè che si cominci a considerare il carcere non solo sulla carta, ma anche nella norma come l’extrema ratio. In questo caso, partiamo almeno per questa tipologia di reati, che non saranno tantissimi, ma che comunque cadono tra i 5 e gli 8 anni, e hanno una loro considerazione.

  PRESIDENTE. Nelle premesse, partiamo dall’extrema ratio. Nella nostra ipotesi, quindi nella vostra – è una delle questioni che ci porremo, come ce l'hanno proposta anche le Camere penali – già partiamo con queste proposte, tanto più in quella elaborata dalla Commissione di studio sul carcere come extrema ratio.
  Francamente, non comprendo. Se è extrema ratio, è comunque sempre da 5 a 6 o anche da 5 a 9. È questo che mi lascia un po’ perplessa. Come si pongono le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza Pag. 17rispetto al criterio base che, appunto, deve essere quello degli articoli 774 e 775, cioè a quello che deve riguardare tutte le misure cautelari in carcere da 5 anni in su ?

  GIOVANNI CANZIO, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale. Anche noi affidiamo alla vostra valutazione questa nostra. Ovviamente, ci ripromettiamo di condurre un'analisi articolata e dettagliata della tipologia dei reati e possiamo trasmettervela al seguito di questa relazione.

  ENRICO MARZADURI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa. Proprio con riferimento all'ipotesi di un controllo periodico d'ufficio, ricordiamo tutti che la Corte di cassazione a sezioni unite ha fatto un richiamo esplicito a questo istituto quando, a proposito dell'ammissibilità di un provvedimento di riconsegna, mi pare della Germania, dove non era prevista la durata massima della custodia cautelare, ha individuato nell'esigenza di un controllo periodico una garanzia tale da poter essere considerata sufficiente. In sostanza, non si creava una frattura insuperabile tra il nostro ordinamento e quello che non prevedeva la durata massima proprio perché in questo ordinamento vi era un sistema di controllo periodico ex officio.
  Ritengo che giustamente la Commissione abbia fatto riferimento anche a situazioni concrete, che vedono detenuti che davvero marciscono in carcere per mesi, se non anni, anche legati a particolari condizioni di non efficace difesa tecnica. Direi che esiste proprio un'altra esigenza, cioè la responsabilizzazione del magistrato rispetto al fascicolo con un imputato detenuto.
  A mio avviso, è chiaro che l'introduzione di un istituto del genere può avere un significato immediato: la necessità del controllo, la possibilità di avere una scarcerazione ex officio alla luce di una rilettura della vicenda processuale. Proprio, però, su un piano più ampio, culturale, il concetto di inviolabilità della libertà personale è una sorta di elemento propulsivo, deve spingere il legislatore a costruire una serie di momenti nei quali questa inviolabilità trova una sua traduzione concreta.
  L'inviolabilità è sì un tema estremamente pericoloso e potremmo non trovare mai un freno, un momento finale di attuazione dell'inviolabilità, ma riterrei che proprio in una situazione del genere, attraverso un istituto che impone un controllo periodico, troviamo invece una soluzione equilibrata: un magistrato con la responsabilità per ciò che avviene rispetto alla situazione della libertà personale dell'imputato e quella che prescinde anche dallo stimolo dall'iniziativa di parte. La tutela dell'inviolabilità, infatti, si impone indipendentemente dalle iniziative di parte, e quindi sotto questo profilo riterrei che quel refuso, come lo ha definito, abbia un valore estremamente utile in una prospettiva di arricchimento del testo normativo.
  Tra l'altro, se esaminiamo la situazione normativa, in Europa vediamo che sono molti i casi in cui gli ordinamenti prevedono controlli ex officio periodici. La Corte europea è intervenuta diverse volte anche segnalando la necessità che l'arco temporale sia ragionevole, e quindi non ogni anno, ma su mesi, se non addirittura settimane. Questa potrebbe essere una di quelle garanzie che, alla luce dell'articolo 13, comma 1, della Costituzione, dobbiamo introdurre nel nostro ordinamento.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Rossomando, che ha chiesto di intervenire.

  ANNA ROSSOMANDO. Vi ringraziamo moltissimo per la molto articolata esposizione, soprattutto perché tocca puntualmente anche i punti da noi sollevati con ulteriori suggestioni agganciate sempre a princìpi.
  Quanto alla questione della durata del processo e dei tempi, immaginate qualche misura ? Andiamo un po’ su questioni meno sofisticate: attualmente, questo è affidato a chi dirige l'ufficio e chi pratica sa che ovviamente è data precedenza ai Pag. 18processi con un imputato detenuto: quale potrebbe essere il modo di incidere sui tempi ?
  La questione ovviamente più generale della prescrizione con riferimento al processo è molto vasta, da noi affrontata in altri termini, con riferimento ai regimi europei, che danno molto valore al momento processuale: a che tipo di cogenza pensavate quando l'imputato è detenuto ? Come pensate di agganciarlo ?
  Inoltre, quella dell'ipotesi di allarme sociale è una questione che per completezza avete inserito negli argomenti o esiste una proposta più articolata ?
  Sulla questione della cauzione, ho seguìto una parte dei lavori di Trento e ho letto, ovviamente, con attenzione la relazione di Amodio, che mi sembra facesse riferimento all'istituto della cauzione anche come apertura di una nuova prospettiva. Naturalmente, per noi, come avete anche voi adombrato, è un po’ delicato agganciare questo a un'ipotesi residuale: pensavate a forme di obbligo, a qualcosa di diverso che non sia agganciato a una monetizzazione della questione ?

  GIORGIO SPANGHER, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Rispondo su questo perché è un tema che mi interessa. È evidente che il bail sta nel sistema anglosassone, americano e non a caso in Sudafrica uno che ha ucciso la compagna, Pistorius, è in libertà su cauzione.
  Innanzitutto, tenderei, per ovvie ragioni, a evitare che la criminalità organizzata paghi, a escludere reati di cui all'articolo 407 o di un certo genere. Il rapporto tra cauzione e libertà risiede nella garanzia che il soggetto dà di stare nel processo.
  Secondo l'articolo 5, può essere prestata idonea cauzione o garanzia, che assicuri però la presenza. Questo ci risolve il problema del procedimento in abstentia e di quello contumaciale. È chiaro che, se non si presenta, deve essere sanzionato sul piano della perdita di danaro. Potrebbe essere rilevante, ma non vuol dire che io pago 100 euro e tu paghi 100 euro. È chiaro che il discorso deve essere anche legato proporzionalmente alle disponibilità economiche, diversamente, non si capisce niente, ma non è questo il punto, quanto quello di costruire anche un sistema diverso.
  La Convenzione europea lo prevede, la sentenza Torreggiani ci dice che è uno degli strumenti. Se non ci si presenta, il punto non è tanto perdere i soldi, ma ricevere un'ulteriore sanzione per la mancata presenza. Non si è rispettato un obbligo nei confronti dell'amministrazione della giustizia per la quale avevo assicurato che sarei andato. È da costruire, ma non è una prospettiva di fronte alla quale mi sottrarrei. Da un lato, infatti, ce l'abbiamo, da un altro la sentenza Torreggiani ci dice che è uno strumento. È chiaro che è molto difficile nella nostra struttura sociale, nella nostra cultura. Certo, se diventa una monetizzazione della libertà, a questo punto è meglio non parlarne neanche più.
  Ragioniamo sul discorso dei tempi. Se inseriamo delle verifiche periodiche, probabilmente non liberiamo la persona. È una soluzione che vedrei soprattutto dopo l'esercizio dell'azione penale, non prima. Lì il giudice può valutare, ma ha una conoscenza parziale. Un giudice dibattimentale che, però, si accorge, pur nel differimento delle udienze, che il fatto come sta emergendo deve proprio aspettare la fine per arrivare alla sentenza di condanna, per un fatto diversamente qualificato, per una pena che sarà obiettivamente ridotta rispetto al massimo, o può cominciare a ragionare valutando ? Nella mia visione, non lo libera, ma può chiedere al pubblico ministero di applicare gli arresti domiciliari.
  Cito sempre questo esempio ai miei studenti: è possibile che io abbia un'imputazione per il fatto A, che prevede un anno di carcere, e subisco una condanna per il fatto B, che ne avrebbe previsti 6 mesi, e resto dentro perché B mi condiziona il segmento successivo ? È ragionevole ? Ho già scontato un anno e avrei potuto scontare 6 mesi di custodia. Resto a sistema invariato, non sto cambiando i Pag. 19tempi né le pene. È ragionevole ? La giurisprudenza mi risponde di sì perché l'imputazione B varrà per il segmento successivo.
  Il giudice che si sta accorgendo che stiamo arrivando a un fatto B, che prevede una durata di custodia ridotta, può prendere un'iniziativa per mettere il tizio agli arresti domiciliari anziché tenerlo in carcere ? Questa è la domanda.
  L'altro discorso può essere quello dei percorsi accelerati. Se, infatti, ci sono i termini feriali, si fa il procedimento con imputati detenuti; sappiamo cosa accade con lo sciopero delle udienze e così via; se arriva la prescrizione, si accede. Possiamo anche ritenere che, se c’è un imputato in custodia cautelare, il percorso sia secondo una linea di priorità rispetto ad altri procedimenti che non vanno a prescrizione e che hanno imputati liberi.

  ANNA ROSSOMANDO. Su questo non voglio creare dialogo, ma vorrei che ci chiarisse. Se ho capito bene, in questo caso la questione tempi del processo si può agganciare al controllo con particolare riferimento a quando è iniziato il dibattimento.
  Questo mi determina a una riflessione ulteriore su questo punto, ma mi lascia perplessa, nell'elemento molto suggestivo che ha proposto, che nel caso particolare che ha citato, reato A e reato B, poi deve essere motivato e rischiamo di ficcarci in un'anticipazione di giudizio col processi in corso.

  GIORGIO SPANGHER, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi La Sapienza di Roma. Non è così. Secondo l'articolo 275, la proporzionalità è in relazione alla gravità del fatto e alla pena che può essere applicata, quindi il parametro è esplicito. A vostro giudizio, il principio di proporzionalità vale soltanto nel momento genetico o lungo tutto l'arco del processo ?
  Bologna era arrivata a chiedere che, dopo due terzi della pena massima, fosse liberato automaticamente. Le Sezioni Unite hanno detto di no e forse hanno fatto bene per l'automatismo matematico, ma la questione è la seguente. Come secondo Enrico Marzaduri, non possiamo far identificare la custodia con la pena: se, allora, il giudice sta vedendo prognosticamente – certo che è difficile, ma abbiamo i giudici per questo – che quel fatto si sta ridimensionando, se la gravità del fatto e la pena che potrebbe essere chiamato ad applicare non è più proporzionale al tempo, applicherà il principio di proporzionalità.
  Diversamente, il principio di proporzionalità non esiste più. Esiste solo all'inizio, ma poi lo perdiamo per strada. In quel caso, a cosa sarà servito scriverlo ? Nell'articolo 275, si parla di sanzione che può essere applicata, sanzione concreta, non di pena in astratto del reato. Parlo del giudice dibattimentale che va a sentenza di condanna.

  PRESIDENTE. Penso, quindi concordiamo, anche alla luce dei vostri interventi, che forse in questa fase iniziale ci siano tanti controlli, responsabilizzazioni, l'intervento della difesa. A un certo punto, però – ricordo anche proprio il lavoro giudiziario – tutto si appiattisce, mentre dovremmo forse, anche se gli strumenti normativi esisterebbero già, veicolare questo percorso del controllo periodico, d'ufficio. L'avvocato si disamora o ha, comunque, altro a cui pensare. All'inizio c’è tanta convergenza.

  GIOVANNI CANZIO, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale. La Commissione ministeriale ha ricevuto un incarico delimitato nel tempo e anche, come sapete, nello spazio. Ci sono state richieste proposte di interventi urgenti e urgentissimi per dare respiro alle aree del processo penale in quei settori di maggiore sofferenza.
  Questo è quanto abbiamo prodotto da luglio a settembre. Vedo che è stato ripreso ampiamente, ma esiste un tema sul quale continueremo a lavorare non appena ci sarà prorogato l'incarico di lavorare più a largo raggio, a 360 gradi, e cioè che la garanzia classica del sistema italiano Pag. 20è stata la configurazione dei termini massimi di custodia cautelare, una grande conquista di civiltà per il 1948.
  A mio avviso, oggi non rappresentano più una garanzia perché sono troppo ampi, si cumulano, si interrompono, si sospendono, si moltiplicano. Non sono quelli la garanzia per il giusto processo cautelare né di quello di merito. Occorre pensare ad altro, e quindi giustamente si pensa, come in Germania, al controllo periodico oppure a tempi cadenzati e anche al procedimento, alle indagini fino all'ultimo momento dei tempi del processo.
  Visto che lo Stato ha la disponibilità di una persona a cui sottrae la libertà personale, deve rispondere con un servizio che abbia una caratura di maggiore efficienza, di maggiore efficacia, di maggiore qualità. Ci stiamo lavorando e l'incontro di oggi ci aiuta anche a capire meglio in quale direzione andare, ma abbiamo bisogno anche noi, come voi, di un po’ di tempo.

  DANIELE NEGRI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Ferrara. Gli spunti dell'onorevole Rossomando sono estremamente interessanti. A proposito del primo aspetto, quello della possibilità del giudice di valutare, per esempio, nel corso del dibattimento, vedo un problema che va subito a innestarsi su questo, e cioè che il giudice è pregiudicato nel suo convincimento o rischia di esserlo.
  La Corte costituzionale dice di no, ma a non pare che le sue motivazioni siano ragionevoli. Sono legate all'organizzazione del processo, che altrimenti salterebbe, ma il problema esiste e, allo stato attuale della normativa, questo controllo può esserci. L'articolo 299 lo contempla, ma il problema è che un controllo penetrante in questi momenti rischia di pregiudicare la decisione di merito, il fatto che sta cambiando perché emergono certi elementi magari sul piano soggettivo. Allora, ecco che il giudice si mischia in questioni che dovrà decidere alla fine.
  Il vero problema sono i tempi morti del processo, quindi i passaggi tra i vari gradi, ma soprattutto i tempi non morti, che pure ne contengono troppi di morti, le indagini preliminari. Sono tempi troppo lunghi e lì la difficoltà è di fornire a un giudice per le indagini preliminari, che abbiamo voluto senza fascicolo, gli elementi per compiere questo controllo periodico ex officio. Questo, indubbiamente, toccherebbe nervi vitali, come ovviamente quello della segretezza dell'indagine. Su questo, dobbiamo senz'altro riflettere molto.
  Non sono stato a Trento, non ho sentito la relazione senz'altro interessantissima di Ennio Amodio sulla cauzione, sul bail. Giorgio Spangher ricorda, giustissimamente, che culturalmente l'imputato che deve esser presente al processo ci è estraneo. Io penso che debba restarci tale.
  Quello statunitense è un processo nel quale l'imputato deve presentarsi, ma di fronte ai suoi pari, e quindi è diverso. In Germania non è così: abbiamo un magistrato di professione e l'imputato che deve presentarsi. Noi non abbiamo come esigenza cautelare quella che l'imputato si presenti al processo. Abbiamo quella che non sfugga dalla sentenza finale, che è una cosa molto diversa.
  Sul ruolo del giudice rispetto all'imputato doverosamente presente ho assistito a qualche processo in Germania, si tratta di un processo di carattere più inquisitorio, che da questo punto di vista ci riporta indietro. Fatalmente, infatti, il giudice, quando è giudice di professione e ha di fronte l'imputato, diventa giudice paternalista, che vuole qualcosa da quell'imputato. Questa è una posizione rischiosa.

  ENRICO MARZADURI, Professore di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Pisa. Vorrei fare un accenno al discorso dell'allarme sociale che avevo inserito in maniera volutamente provocatoria. Lo stesso articolo 275, nella parte richiamata prima da Giorgio Spangher, e cioè il principio di proporzionalità, legato non soltanto all'entità della sanzione, ma anche alla gravità del fatto, Pag. 21non fa altro che replicare una formula tedesca, che abbiamo inserito nel nostro codice dimenticando un fatto: quando fu inserita nel 1964, in Germania ci fu un grande dibattito. Per alcuni, infatti, in un sistema civile e democratico, la gravità del fatto deve trovare traduzione integrale nella sanzione nelle ipotesi di aggravamento, di diminuzione, è la sanzione il riflesso della gravità del fatto.
  Mantenere questi due concetti in termini di autonomia o di possibile autonomia vuol dire far rivivere la possibilità di valorizzare l'allarme sociale perché c’è un quid che non trova una traduzione integrale nella risposta sanzionatoria, quindi è una forma indubbiamente molto pericolosa.
  Io la apprezzo, cerco di apprezzarla in una logica un po’ edulcorata, che è quella di Giorgio Spangher, cioè di riuscire a seguire, nel corso dell'evoluzione del processo, anche l'elasticità dell'apprezzamento giudiziale rispetto a un'ipotesi imputativa che può non trovare conferma in sede di sentenza.
  È anche un voler forzare un po’ la storia della formula e la lettera della forma, ma purtroppo in quel caso non facevo parte della Commissione. Giorgio Spangher e io eravamo in un'altra Commissione. Indubbiamente, forse una maggiore attenzione a ciò che stava dietro questo contenuto avrebbe portato il legislatore italiano a non inserirla senza tener conto di queste possibili letture.
  Mi ha colpito, tuttavia, che una Corte europea, ordinamenti come quello francese facciano riferimento all'allarme sociale sul piano dei presupposti cautelari. Accennavo prima al presidente che queste formule sono care all'opinione pubblica. Se parliamo fuori da questa bellissima sala del Mappamondo e ragioniamo dei fatti della custodia cautelare col quivis de populo, ci troviamo con degli scenari totalmente diversi.
  Si obietterà, infatti, che non è possibile non tenere dentro chi ha confessato, chi è stato arrestato in flagranza per un reato gravissimo. Questo ha un significato, che posso anche capire, in una logica di presunzione negativa all'inizio, per un periodo di 7-10 giorni, finché non si è avuto modo di apprezzare il significato sul piano cautelare di questo soggetto e della pericolosità cautelare.
  Ripeto che si tratta di una reazione che trova una giustificazione in una logica presuntiva, che è chiaro che riflette essenzialmente quell'allarme sociale destato dall'entità del disvalore coinvolto dalla condotta illecita, questo sì. Ciò non significa giustificare una custodia cautelare nel tempo per l'allarme sociale, ma valorizzare, in termini secondo me ragionevoli, quello che può essere un allarme sociale.
  È brutto dirlo, ma l'opinione pubblica va un po’ educata su questi piani. È troppo facile cavalcare la tigre dei reati gravissimi, sostenendo che gli imputati debba finire in detenzione, che i magistrati non sono attenti a queste problematiche, che in Italia vanno tutti fuori. Non è così. Abbiamo appena visto che sono preoccupanti non soltanto per l'Italia, ma anche nel confronto con gli altri Paesi europei, le percentuali di imputati sottoposti a custodia cautelare carceraria.
  È vero, però, che nel misurare questi numeri con le esperienze straniere, dobbiamo considerare che, nelle statistiche di molti Paesi europei, non figurano come sottoposti a custodia cautelare gli imputati già condannati in primo grado, proprio perché viene meno la presunzione di innocenza e sono considerati già detenuti in corso di esecuzione di pena. Anche sotto questo profilo, quindi, bisognerebbe ragionare in termini più rispondenti alla realtà complessiva.
  Vorrei fare un accenno al discorso del tribunale del riesame e a questo potere, che può apparire contraddittorio, di confermare anche sulla base di motivi diversi. Mi pare che già la giurisprudenza, però, abbia già risposto in questo senso a fronte di una motivazione radicalmente o sostanzialmente assente, una motivazione integralmente per relazione che non consente di apprezzare l'autonoma valutazione.
  D'altra parte, la riforma del 1995 ha introdotto questa categoria anomale di nullità, una nullità relativa, ma rilevabile Pag. 22anche d'ufficio, innocua perché in realtà non esistono situazioni in cui abbiamo avuto modo di apprezzarla.
  Forse, potremmo collegarle, esplicitarle come ipotesi di nullità da rilevare d'ufficio e rispetto alle quali la risposta è necessariamente quella dell'annullamento, in modo da collegare il contenuto del 292 strettamente al potere e dovere del tribunale del riesame di annullare e non riformare per motivi diversi.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Morani, che ha chiesto di intervenire.

  ALESSIA MORANI. Sarò brevissima. Peraltro, le relazioni e le considerazioni svolte mi inducono a un pensiero che va oltre la nostra discussione e forse ci rivedremo presto anche per discutere dei gradi di giudizio, un altro problema che forse dovremmo riuscire a incastrare con questa discussione.
  In merito alle osservazioni del presidente sui limiti di pena, i 5 anni e gli 8 anni, non varrebbe forse la pena, nell'occasione che stiamo affrontando, rivedere anche il sistema delle pene e dei reati ?

  GIOVANNI CANZIO, Presidente della Commissione ministeriale di studio in tema di processo penale. Il problema è sicuramente alla nostra massima attenzione. Non appena avremo la conferma della possibilità di proseguire il lavoro della Commissione, incontreremo l'apposita Commissione presieduta dal professor Francesco Palazzo che è proprio sui reati e sulle pene. Siamo consapevoli, infatti, della necessità delle interferenze e di lavorare in sinergia.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Spangher, il professore Marzaduri, il professor Negri, il presidente Canzio e i colleghi. L'indagine conoscitiva proseguirà e si concluderà domani. Ringrazio ancora tutti del contributo prezioso.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.