XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 23 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1609  DAMBRUOSO, RECANTE L'ISTITUZIONE DELLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA E ANTITERRORISMO E DELLE DIREZIONI DISTRETTUALI ANTITERRORISMO

Audizione di Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, di Armando Spataro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, e di Carlo De Stefano, Prefetto.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
De Stefano Carlo , Prefetto ... 12 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 14 
De Stefano Carlo , Prefetto ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
De Stefano Carlo , Prefetto ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Fava Claudio (Misto-LED)  ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 15 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 15 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 16 
Mattiello Davide (PD)  ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 16 
De Stefano Carlo , Prefetto ... 17 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 17 
Rossomando Anna (PD)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 18 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 19 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 20 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
De Stefano Carlo , Prefetto ... 22 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 22 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 23 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 23 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ... 23 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, di Armando Spataro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, e di Carlo De Stefano, Prefetto.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 1609 Dambruoso, recante l'istituzione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e delle Direzioni distrettuali antiterrorismo, di Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia, di Armando Spataro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, e di Carlo De Stefano, Prefetto.
  Per intese pregresse, assunte prima dell'inizio, nonché per questioni organizzative do la parola ad Armando Spataro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Buongiorno. Il tema dell'audizione, connesso al disegno di legge Dambruoso, è un tema che da sempre sta al centro dell'attenzione non solo di chi vi parla, ma anche di tutti i magistrati che si sono occupati sia di antiterrorismo, sia di antimafia. Vedremo poi le connessioni tra i due compiti. Se possibile, presidente, mi piacerebbe spendere due parole anche sulla storia del coordinamento, che spiega anche perché oggi questo tema sia centrale.
  Come ho detto mille volte – non solo io, ovviamente – anche in incontri pubblici e in documenti, l'idea del coordinamento investigativo nasce originariamente nel campo dell'antiterrorismo, non dell'antimafia, nei cosiddetti anni di piombo. I magistrati, in assenza di leggi che favorissero il coordinamento – anzi, c'erano leggi che ostacolavano lo scambio di notizie e di atti – presero, a cavallo del sequestro Moro, ma più dopo che prima, a incontrarsi spontaneamente, creando una prassi di coordinamento spontaneo.
  Telegraficamente (basta questo), questi incontri avvenivano prima di tutto tra magistrati di uffici diversi – vi ricordo che all'epoca c'erano anche i giudici istruttori – spontaneamente. Si incontravano con cadenza più o meno mensile, spesso a spese proprie. Lo sottolineo soltanto per dire che era talmente importante la necessità di incontro che, al di fuori delle attività istruttorie, le uniche che allora legittimavano i rimborsi, noi ci incontravamo a spese nostre.
  Questo tipo di scambio di informazioni, in cui si elaboravano anche le strategie giurisprudenziali, ebbe un salto di qualità quando a queste riunioni pensammo fosse necessario invitare le forze di polizia giudiziaria specializzate. Immaginatevi che, in un'aula come questa, o anche più piccola, sedevano attorno a un Pag. 4tavolo pubblici ministeri, giudici istruttori dei principali centri e polizia giudiziaria che si occupava di antiterrorismo.
  Quest'attività produsse rapidamente dei risultati importanti. Vorrei sottolineare, per poi tornarci dopo, che stiamo parlando di attività della magistratura e della polizia giudiziaria. Non hanno mai partecipato – non è loro compito – a questo tipo di riunioni rappresentanti dei servizi di informazione, oggi agenzie.
  Andiamo avanti. I risultati si ebbero subito nei processi, con scambio di notizie, elaborazione insieme di calendari per interrogare i collaboratori, studio delle operazioni in contemporanea, provvedimenti cautelari che venivano eseguiti in contemporanea dal Nord al Sud. Soprattutto quelle riunioni ebbero effetti positivi nei rapporti tra politica e magistratura. Ciascuna manteneva, ovviamente, dignitosamente il proprio ruolo, ma c'erano rapporti che favorivano uno scambio di idee e uno scambio di ipotesi anche di interventi legislativi.
  Gli anni di piombo, come sappiamo, finirono attorno alla fine degli anni Ottanta. Negli ultimi anni, anche questo lo ricordo sempre con molto piacere, a queste riunioni partecipavano i colleghi che si occupavano di antimafia. Falcone in primis – nominiamo sempre Falcone – fu il primo a premere perché i colleghi dell'antimafia di varie sedi partecipassero a queste riunioni, non perché vi fossero connessioni (attenzione) tra terrorismo e mafie, ma perché a loro interessava capire il metodo di lavoro. Tale metodo, ovviamente, fu travasato pari pari nel campo dell'antimafia. Intendo pari pari quanto a persone, nel senso che molti magistrati presero a lavorare anche, esauriti i casi di terrorismo, nel campo dell'antimafia.
  Ci fu anche un di più sul piano dell'intervento legislativo, perché, proprio alla luce di quell'esperienza, furono approvate leggi che, da un lato, ereditavano i risultati positivi nell'antiterrorismo, per esempio la legge in favore dei collaboratori processuali, e, dall'altro, introducevano strumenti più importanti per la lotta all'antimafia, quali maggiori possibilità di intercettazioni telefoniche. Non ne faccio qui adesso un riassunto dettagliato.
  Fu anche creata la struttura costituita dalla Direzione nazionale antimafia e dalle Direzioni distrettuali antimafia, che ebbe un riconoscimento sul piano formale. Nel campo dell'antimafia l'esigenza del coordinamento, che lì era spontanea, qui venne ad essere oggetto di un intervento legislativo.
  Ricorderete certamente anche discussioni polemiche, che talvolta vengono rievocate strumentalmente, attorno ai poteri della Direzione nazionale antimafia, la quale ebbe alla fine un ruolo strettamente di coordinamento, senza possibilità di conduzione delle indagini, con propria sostituzione, in tal caso, agli uffici dei PM territorialmente competenti. Rimase, quindi, un organo di coordinamento. Le DDA, pertanto, costituirono la scoperta che sul piano formale – torno a ripeterlo – rendeva legge ciò che era prassi prima.
  Se questo avviene nel campo dell'antimafia forse parallelamente al decrescere del terrorismo interno – non siamo ancora agli anni del terrorismo internazionale – non avviene nel campo del terrorismo, nonostante i magistrati lo evocassero.
  Apro e chiudo una parentesi: non c’è mai stata, né prima, né in quel periodo, né oggi, una richiesta non solo di giudici che avessero la collocazione di giudici speciali, ma neppure di giudici specializzati. Mi permetto di dire che questa è l'unica mia critica al progetto Dambruoso, laddove parla di necessità che anche i giudici per le indagini preliminari siano specializzati. Ne faccio un cenno dopo, però, se non vi dispiace. Non ne abbiamo bisogno, perché i giudici che conducono le indagini preliminari sono già quelli distrettuali anche adesso.
  Andiamo avanti. Come ci organizzammo, a questo punto, dopo l'11 settembre ? Qui avvenne il salto di qualità e la ripresa di quelle che oggi si chiamerebbero best practices, ossia buone abitudini. Nel campo del terrorismo non c'era alcuno strumento di questo tipo. Pag. 5Era stata introdotta subito dopo l'11 settembre, con il decreto-legge 18 ottobre 2001, n. 374 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2001, n. 438, la competenza delle procure distrettuali sui processi di terrorismo. Non delle Direzioni distrettuali antiterrorismo, ma delle procure distrettuali.
  Come ci regolammo ? Noi riprendemmo esattamente, né più, né meno, le prassi dei tempi andati. Spontaneamente – ricordo che, peraltro, insieme al collega Borraccetti e a Enrico De Nicola io ne fui anche uno dei promotori; avevo finito la mia esperienza al Consiglio superiore della magistratura – con un giro di telefonate, banalmente, riprendemmo a incontrarci.
  Arriviamo al dunque. Il coordinamento fu, anche questa volta, spontaneo, come negli anni di piombo, ma fortunatamente avemmo interessamento e attenzione da parte del Consiglio superiore della magistratura.
  Presidente, tra i documenti che produrrò vi sono – forse li avete già, ma non è un problema – due testi relativi a due risoluzioni del Consiglio superiore, entrambe del 2006. Il primo è molto breve, ed è del 22 febbraio. Al momento ve lo lascio soltanto, non c’è necessità di approfondire il discorso.
  Molto importante è, invece, il documento del 12 luglio approvato dal Consiglio superiore, in cui si auspica – stiamo parlando del 2006 e, quindi, di otto anni fa – la creazione della Direzione nazionale antiterrorismo. Questo documento è molto articolato e motivato e fa seguito a incontri e dibattiti con i magistrati, che si riunivano spontaneamente anche presso il Consiglio, perché almeno avevamo una sede in cui riunirci. Vi sono elencate le ragioni che impongono un coordinamento anche formalizzato, ragioni che sono specifiche del terrorismo e del campo dell'antimafia e che riproducono delle esigenze importanti.
  Il fenomeno del terrorismo, soprattutto quello all'ordine del giorno dopo l'11 settembre, è un fenomeno che noi definiamo delocalizzato, il che comporta, a maggior ragione, che ci sia un organo centrale di coordinamento che possa anche servire a risolvere conflitti e – perché no ? – ad assicurare delle linee guida di pieno rispetto dei diritti degli imputati.
  In un'epoca in cui, come sappiamo, in maniera volgare e inaccettabile, a mio avviso, è prevalsa spesso la filosofia della warrant for terror, anche in Italia le esigenze di sicurezza sono state enfatizzate fino a ridurre l'ambito dei diritti individuali. In tal senso un organismo centrale con competenze di questo tipo ha un'esigenza e una ragione specifica rispetto a quelle della Direzione nazionale antimafia.
  Non solo, l'esigenza specifica nasce anche dal contesto internazionale. Sappiamo che si chiama, tecnicamente, terrorismo internazionale. Ancor di più lo scambio di informazioni deve essere ben disciplinato, deve essere ben coordinato, anche perché, parliamoci chiaro, è avvenuto nel campo dell'antimafia, come credo che il Procuratore Roberti sappia, perché sicuramente l'ha vissuto anche sulla sua pelle, e potrebbe avvenire anche nel campo del terrorismo, che vi siano dei magistrati che ritengono di essere i proprietari delle notizie.
  Il coordinamento tanto affermato nelle leggi e declamato a parole di fatto non avviene perché c’è qualcuno che ritiene di essere il proprietario delle informazioni, ma nessuno lo è. Ci sono delle convenzioni internazionali che propugnano, come sappiamo, lo scambio di informazioni spontaneo. Un ruolo importante come questo non va, dunque, trascurato.
  I primi documenti che vi produco sono quelli che ho appena detto. Li ho messi in ordine per cartellette. Poi metterò la data di ciascuno. Ve li fornisco mentre parleranno gli altri convocati.
  Sul coordinamento delle indagini vorrei precisare che ci sono state, però, elaborazioni che non sono recentissime o che sono frutto delle opinioni di qualcuno di noi. In merito vi produco altri documenti, in modo particolare scritti di Pier Luigi Vigna, che del coordinamento è stato uno degli inventori al tempo del terrorismo e poi uno dei maggiori interpreti al tempo della Procura nazionale Pag. 6antimafia, di Vittorio Borraccetti, del collega Melillo, che adesso è capo di gabinetto e che ha lavorato anche lui alla Direzione nazionale antimafia, e, ovviamente, del sottoscritto.
  In questi documenti, che non sto a illustrarvi, sono spiegate in modo dettagliato le ragioni di cui in generale ho già parlato. Vi produco questi interventi, in ciascuno dei quali potrete trovare, forse ridondanti rispetto all'argomento di cui vi occupate, argomenti che fanno riferimento anche alla natura del terrorismo internazionale. Vi trovate, però, una marea di ragioni giustificatrici dell'idea della Direzione nazionale antimafia.
  Non ho citato un'altra esigenza, ma la cito adesso. Troverete anche un mio documento di coordinamento di un lavoro di gruppo che il CSM ha organizzato su Eurojust. Eurojust, lo sappiamo bene, dovrebbe essere il luogo della collaborazione piena e assoluta. Per la verità, la mia esperienza è certamente positiva, ma vi si scontrano talmente tante diversità di sistemi che a volte non è proprio il massimo come sede ideale in cui realizzare la collaborazione.
  In particolare nel terrorismo si verificano delle diversità di interventi perché abbiamo a che fare con sistemi diversi. Io ho sempre sostenuto che l'asse forte della cooperazione antiterrorismo sia l'asse Spagna-Italia-Germania, Paesi che, pur con diversità ordinamentali, hanno vissuto tutti e tre il dramma del terrorismo interno e internazionale e, quindi, hanno un'omogeneità di intervento. Tale omogeneità, però, non coinvolge neppure la Francia e la Gran Bretagna, che, a mio avviso, è troppo aderente alla teoria della segretezza investigativa e del ruolo primario che va riconosciuto ai servizi di informazione.
  Su Eurojust c’è un problema molto particolare: noi abbiamo leggi e disposizioni che penalizzano la rappresentanza dei magistrati antiterrorismo dinanzi a Eurojust perché prima un intervento normativo – Franco, correggimi se sbaglio – indicava come referenti di Eurojust le procure generali. Teoricamente, quindi, l'Italia doveva andare lì con 26 sostituti dei procuratori generali a rappresentare le esigenze dell'antiterrorismo. Si fa poi avanti l'idea della procura distrettuale, ragion per cui noi, ancora una volta, ci riunivamo, il procuratore generale ci inviava, noi ci selezionavamo e andavamo in 2-3 e non in 26.
  L'ultimo sviluppo è che il ruolo è attribuito a un sostituto della Procura generale della Cassazione. È bravissima la collega che se ne è occupata poco tempo fa, ma è evidente che, se parliamo di Procure generali di Corte d'appello e di cassazione, abbiamo a che fare con organismi puramente e semplicemente investigativi.
  Arrivo adesso – poi chiudo, fermo restando che, se ci saranno osservazioni, le approfondiremo – a due parole sul disegno di legge e sulla relazione di accompagnamento.
  Come ho già detto, io non sono d'accordo con il riferimento che si fa nella presentazione alla necessità di costituire sezioni giudicanti specializzate. Giustamente il proponente sottolinea che non stiamo parlando di giudici speciali, ma di sezioni specializzate. Non è necessario, perché io sono piuttosto convinto che la specializzazione serva durante le investigazioni e che il giudizio debba essere ancorato ai canoni ordinari.
  Del resto, poiché le indagini preliminari in campo di terrorismo sono fatte presso le Procure distrettuali, è chiaro che il giudice competente delle indagini preliminari sia quello della sede distrettuale. Questo comporta una sorta di specializzazione. Io sarei assolutamente contrario alla formalizzazione di un ufficio giudicante specializzato che non sia quello che già esiste di fatto.
  Andiamo ancora avanti. Io non sono neppure d'accordo quando si fa riferimento, non soltanto nella relazione, ma qua e là, a connessioni operative tra gruppi terroristici e gruppi mafiosi. Facciamo attenzione, perché questo prelude alle conclusioni sull'unicità o meno della struttura centrale di coordinamento.Pag. 7
  Per esempio, il collega Vigna, nella sua relazione cui facevo cenno, non fa, giustamente, riferimento a casi di associazioni mafiose che erano in collegamento con gruppi terroristici interni o internazionali. Praticamente questa ipotesi è inesistente. Il collega Vigna, per ipotizzare la necessità di una struttura unica, che è una delle alternative di cui si discute, fa riferimento al fatto che le organizzazioni mafiose abbiano compiuto delitti – mi riferisco alle stragi – in cui è stata contestata l'aggravante di aver commesso il fatto per finalità eversive. È il rovescio della medaglia. Non ci sono, però, collegamenti di questo tipo e, dunque, l'esigenza non è tanto quella di indagini unitarie, ma, torno a ripeterlo, di indagini coordinate nei due settori.
  Rapidamente, gli articoli del disegno di legge riprendono la normativa per le Direzioni distrettuali e per la Direzione nazionale antimafia. Sugli articoli ci potrebbero essere osservazioni marginali, ma la sostanza è condivisibile.
  C’è un punto centrale di cui, invece, si deve sicuramente discutere, e qui vengo al dunque. Posto che siamo, almeno in quest'Aula, credo, tutti d'accordo sulla necessità di creare un organismo di coordinamento centrale – non tanto la Direzione distrettuale antiterrorismo, perché di fatto già esiste. Non si chiama Direzione distrettuale, ma c’è la competenza distrettuale; si potrebbe anche adottare una formula definitoria diversa – il punto più importante è se l'ipotizzata Direzione nazionale antiterrorismo debba essere configurata secondo tre alternative.
  La prima è che sia completamente separata dalla Direzione nazionale antimafia.
  La seconda è che sia un'articolazione interna della stessa. Provate a immaginare che vi sia una Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo in cui vi siano due strutture, con 20 sostituti all'antimafia e 10 – a mio avviso, questo sarebbe il numero necessario – che si occupano di antiterrorismo, magari con due procuratori aggiunti che, ovviamente, coordinano il rispettivo lavoro.
  La terza ipotesi è non prevedere una diversa articolazione interna, ma una struttura unica interna, magari soltanto aumentandone l'organico.
  Su quest'ultima ipotesi io manifesto subito la mia contrarietà, perché vi sono delle peculiarità, delle differenze tra i due tipi di indagine. Pertanto, io non sono assolutamente dell'idea che una struttura unica serva. Credo che vi sia, invece, l'esigenza di una specializzazione molto mirata. Le tematiche sono molto diverse, persino la cooperazione internazionale è diversa. Nel campo dell'antimafia, tanto per intenderci, è raro che non ci troviamo di fronte alla resistenza degli Stati, o di alcuni Stati, alla cooperazione.
  Torno a capo. Nel campo dell'antiterrorismo a livello di cooperazione internazionale noi abbiamo a che fare spesso con ostacoli diversi da quelli che la Direzione nazionale antimafia incontra, perché abbiamo ordinamenti, come ho detto prima, ancorati all'attività dei servizi piuttosto che degli organi di polizia giudiziaria, abbiamo una legislazione ancora molto differente. Pertanto, a mio avviso, è preferibile una specializzazione più intensa.
  Non vi do lettura di nulla, salvo di un passaggio della risoluzione del Consiglio superiore della magistratura che vi ho prima citato e che parla della necessità di non dimenticare che permangono importanti differenze tra i due fenomeni criminali. Tenete presente che il Consiglio – io trovo questo documento molto importante – oltre ad indicare i caratteri dell'indagine antiterrorismo, si preoccupa anche di lasciare la strada aperta. Dice, cioè, che, creando un unico organismo di coordinamento nazionale, avremo determinati vantaggi e svantaggi. Questo è il documento del 12 luglio 2006 del Consiglio superiore. È fatto molto bene, è molto elaborato e, peraltro, incamera le nostre riflessioni.
  Tendenzialmente, io non ho grandi difficoltà ad accettare l'idea di una Procura nazionale unitaria. Preferirei due Direzioni nazionali distinte, ma mi rendo anche conto che abbiamo difficoltà strutturali e che abbiamo una banca dati già esistente. Non c’è veramente una ragione Pag. 8che si debba opporre all'idea di una Direzione nazionale unica con due strutture diversificate.
  Torno a dire comunque che ne abbiamo assolutamente bisogno. Nel passato – non sono aggiornatissimo – abbiamo, però, anche registrato delle resistenze istituzionali a questa idea. Lo voglio dire con franchezza, ovviamente assumendomi la responsabilità di quello che dico: abbiamo registrato delle resistenze istituzionali, quasi che la creazione di una Direzione nazionale antiterrorismo comportasse poi il venir meno di quei compiti di interlocuzione internazionale che oggi spettano alle autorità di polizia.
  Abbiamo avuto resistenze all'idea che vi possa essere una struttura che diventerebbe inevitabilmente, attraverso il suo dirigente, l'Istituzione che interloquisce con gli altri investigatori in tutte le parti del mondo con responsabilità di coordinamento. Talvolta, devo dire che abbiamo avvertito vere e proprie resistenze.
  È proprio questa la ragione che mi induce a sostenere che abbiamo bisogno di questa struttura anche per evitare slittamenti o fughe dal sistema dello Stato di diritto, nel quale profondamente crediamo. Con ciò non voglio dire, ovviamente, che si sia teorizzato il contrario, ma delle resistenze talvolta non sono state ben spiegate.
  Chiedo scusa, presidente. Sono stato anche troppo lungo. Adesso metto in ordine i documenti e ve li do, ma sono già ordinati. Ve li posso lasciare tutti.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Io ho portato una mia memoria scritta – poi dirò com’è articolata – alla quale sono allegati gli atti del recentissimo Convegno internazionale di Malaga che si è tenuto pochi giorni fa, sotto gli auspici e promosso dal Consiglio d'Europa, su criminalità organizzata e terrorismo. Gli atti contengono una relazione in inglese del collega Nicola Piacente, uno degli esperti italiani nella materia del terrorismo, un paper proprio come documento di base del congresso, e anche una breve relazione del collega Francesco Mandoi della Direzione nazionale antimafia, che ha presenziato al convegno per mia delega. Credo siano documenti piuttosto istruttivi, a sostegno delle cose che andrò a dire brevemente.
  Dico subito che sono in parziale – ma solo parziale – dissenso con le valutazioni di Armando Spataro per quanto riguarda le connessioni tra criminalità organizzata e terrorismo. Infatti, il primo paragrafo della mia relazione, che le consegnerò, presidente, si intitola «Le connessioni tra criminalità organizzata e terrorismo», che sono, per quanto riguarda la mia esperienza investigativa personale, testimoniate da una serie di vicende.
  Non posso dimenticare le strettissime connessioni tra la camorra e la colonna napoletana delle Brigate Rosse all'epoca del sequestro Cirillo. I presenti più giovani forse lo sapranno solo per sentito dire, ma il Prefetto De Stefano sicuramente ricorderà, perché abbiamo vissuto insieme quel periodo, quando ci trovammo a indagare sulla sinergia che si era creata tra la colonna napoletana delle Brigate Rosse e la camorra cutoliana. Tant’è che Senzani trasferì a Napoli questo gruppo terroristico, che compì il sequestro civile e tutta una serie di crimini e di attentati con l'appoggio della criminalità organizzata di tipo mafioso, che era all'epoca la camorra cutoliana. Non mi soffermo, ma è esperienza di chi ha vissuto quel periodo.
  Non posso dimenticare nemmeno, facendo un salto in avanti di una ventina d'anni, che gli attentati alla stazione di Atocha a Madrid nel 2004 furono finanziati con il traffico di stupefacenti. Il gruppo terroristico, che in quel caso era il Gruppo islamico combattente marocchino, se non ricordo male, era composto proprio da trafficanti di stupefacenti, tant’è che uno di essi era stato qualche mese prima arrestato, e poi inopinatamente scarcerato, per traffico di stupefacenti proprio in provincia di Napoli, a Santa Maria Capua Vetere.Pag. 9
  Potrei moltiplicare gli esempi, ma basta per tutti l'affermazione della posizione comune del Consiglio d'Europa del 2002, che – la cito testualmente, perché la riporto nella mia relazione – affermava che «le connessioni tra terrorismo e criminalità organizzata di tipo mafioso si riferiscono direttamente alle caratteristiche della criminalità organizzata transnazionale. Il terrorismo, in particolare, si autofinanzia soprattutto con i traffici di stupefacenti e di armi, nonché con i sequestri di persona».
  Del resto, sappiamo bene che il terrorismo internazionale, nella sua dimensione associativa – è sempre associativa, è raro trovare il terrorista individuale – ha bisogno di accedere ai sistemi finanziari per poter sostenere le proprie attività. Non per caso la terza direttiva antiriciclaggio dell'Unione europea, che è stata poi tradotta nel 2007 nella nostra normativa interna antiriciclaggio, abbina il contrasto al riciclaggio a quello del finanziamento del terrorismo internazionale attraverso il meccanismo delle operazioni sospette.
  Io credo, e adesso lo si ripete nel Congresso di Malaga di cui ho portato gli atti, che ci siano strettissime connessioni. Bisogna considerare, per rendersi conto di questo, che la criminalità organizzata di tipo mafioso è cambiata. Se noi pensiamo alla criminalità mafiosa di venti anni fa e pensiamo che quella di oggi sia tale e quale, sbagliamo. Lo dico assumendomi la responsabilità più piena di quello che sto affermando. La criminalità organizzata di tipo mafioso negli ultimi venti anni si è andata evolvendo proprio nel rapporto con le altre forme di criminalità organizzata che si agitano sullo scacchiere transnazionale, a cominciare proprio da quella terroristico-eversiva.
  Del resto, la globalizzazione dei mercati, legali e illegali, le opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico, la vulnerabilità dei mercati finanziari, la vulnerabilità della politica attraverso meccanismi corruttivi, tutto queste sono opportunità di sviluppo tanto per la criminalità di tipo mafioso, quanto per la criminalità di tipo terroristico-eversivo.
  Dunque, la criminalità organizzata di tipo mafioso si è andata evolvendo e ha cominciato a rafforzarsi proprio sfruttando il fatto che negli anni Ottanta l'attenzione dello Stato nel nostro Paese fosse polarizzata dal terrorismo. La criminalità mafiosa, quella cutoliana, per quanto riguarda la mia esperienza, è cresciuta e si è andata rafforzando, come anche quella di formazioni successive, proprio sfruttando le disattenzioni, a volte anche volute, devo dire, nel campo generale, dello Stato verso questo tipo di criminalità, essendo tutte le forze migliori polarizzate nel contrasto al terribile fenomeno del terrorismo interno.
  Il terrorismo internazionale si è posto su questa scia. Pertanto, io credo di poter affermare che ci siano strette connessioni. Lo dico io ma lo affermano ormai documenti internazionali e studiosi ben più esperti del sottoscritto.
  Detto questo, non posso che ripetere, e lo ripeterò meno bene, quello che ha ricordato Armando Spataro a proposito di ciò che noi abbiamo fatto all'indomani degli attentati del 2001, con la nuova legge che fu varata immediatamente dopo l'attentato alle Torri Gemelle. Tale legge costituì quella che io chiamo la «distrettualizzazione debole» delle indagini contro il terrorismo, anche internazionale, e l'eversione.
  Che cos’è per me la distrettualizzazione debole ? È una distrettualizzazione delle indagini non assistita dallo Statuto previsto per le Procure distrettuali antimafia, che oggi giustamente l'onorevole Dambruoso chiede venga esteso alle Procure distrettuali antiterrorismo.
  Anche per quanto riguarda la circolazione interna delle informazioni, le attitudini dei magistrati chiamati a far parte delle distrettuali antimafia non sono previste per i magistrati chiamati a far parte delle distrettuali antiterrorismo e soprattutto il coordinamento centralizzato, che è rimasto in capo ai procuratori generali presso le Corti d'appello, è andato come è andato. Essendo rimesso alla potestà, non all'obbligo, del procuratore generale di intervenire nei casi di Pag. 10scoordinamento, o di non perfetto coordinamento, purtroppo abbiamo constatato in molti casi che né il coordinamento interno, né quello infradistrettuale, né quello interdistrettuale hanno funzionato come avrebbero dovuto.
  Abbiamo fatto di necessità virtù. Io personalmente, forte anche dell'esperienza della Direzione nazionale antimafia dalla quale provenivo, come procuratore aggiunto addetto al coordinamento delle indagini antiterrorismo, nel 2001 proposi e affermai il protocollo organizzativo tra le procure dei distretti per quanto riguardava la materia del contrasto al terrorismo e all'eversione. Nella mia relazione scritta cito gli estremi di questo protocollo, che poi fu approvato dal procuratore generale di Napoli. Cito, cioè, i reati che rientravano, a mio avviso, nella competenza delle Procure distrettuali antiterrorismo, cioè tutti i reati che oggi sono elencati agli articoli 270-bis e seguenti, ma anche tutta un'altra serie di reati.
  Come sapete bene, la competenza è fissata dall'articolo 51, comma 3-quater, del Codice di procedura penale con un riferimento molto generico ai delitti di terrorismo. Quali poi siano questi delitti di terrorismo non è individuato. Mentre il 51, comma 3-bis oggi dice quali sono i reati di competenza distrettuale antimafia, il 51, comma 3-quater non lo dice. Ci siamo, quindi, dovuti inventare il catalogo dei reati che potevano rientrare nella competenza antiterrorismo. Non li cito, ma sono scritti nella mia relazione, per chi vorrà leggerla.
  Che cosa fa il disegno di legge, oggi in discussione, dell'onorevole Dambruoso ? Non fa che completare e perfezionare un cammino che cominciò nel 2001 e di cui si perse l'occasione del completamento con l'intervento normativo del 2005. Nel 2005, dopo gli attentati di Londra, la Convenzione delle Nazioni Unite di Varsavia obbligò gli Stati aderenti a introdurre nei rispettivi ordinamenti altre fattispecie di delitto, quali il reclutamento, l'arruolamento e soprattutto la definizione del metodo terroristico-eversivo, fissata nell'articolo 270-sexies.
  Fu persa anche in quell'occasione l'opportunità di fissare un coordinamento centralizzato, anche se devo ricordare che vi era già stato nel 2002 il disegno di legge A.S. 1882, di iniziativa dei senatori Brutti ed altri, comunicato alla presidenza il 6 dicembre 2002, avente per oggetto «Coordinamento delle investigazioni in materia di terrorismo», che individuava nella Procura nazionale antimafia la competenza al coordinamento anche delle indagini contro il terrorismo.
  Era poi stato presentato, il 10 marzo 2003, il disegno di legge A.S. 2087, di iniziativa del senatore Maritati, già facente parte, come magistrato, della Direzione nazionale antimafia, recante «Modifiche all'articolo 371-bis del Codice di procedura penale in materia di attribuzione alla Procura nazionale antimafia del coordinamento delle investigazioni per i reati in materia di terrorismo».
  Nello stesso senso, nel 2005, in sede di conversione del decreto-legge antiterrorismo n. 155 del 31 luglio 2005 fu presentato un emendamento da parte dei deputati Kessler ed altri. Oggi l'ex onorevole Kessler è, come sapete, il capo dell'OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode).
  Successivamente sono intervenuti altri elementi che io sottopongo alla vostra valutazione per sostenere il disegno di legge dell'onorevole Dambruoso, come l'attribuzione alla competenza della Procura nazionale antimafia delle competenze in materia anche di terrorismo.
  Sono senz'altro d'accordo con Armando Spataro sull'opportunità di mantenere una distinzione strutturale fra la competenza antimafia e quella antiterrorismo, magari affidando il coordinamento a due distinti procuratori aggiunti. Del resto, dovete sapere che la Procura nazionale antimafia ha oggi un programma organizzativo che prima non aveva mai avuto e che prevede la ripartizione per competenze e anche per materie di interesse. Una delle materie di interesse, quella della criminalità transnazionale, può inglobare anche la materia del terrorismo e dell'eversione.Pag. 11
  Ci sono, dicevo, altri elementi che oggi fanno decisamente capire che è giunta l'ora di completare il cammino verso un pieno coordinamento, cogliendo l'occasione della proposta di legge Dambruoso, la quale prevede l'estensione alla materia del terrorismo di tutte, ma proprio tutte, le regole che sono già previste per l'antimafia.
  Per esempio, devo ricordare che il decreto legge 12 ottobre 2001, n. 369, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 dicembre 2001 n. 431, attribuisce alla Direzione nazionale antimafia il ruolo di componente del Comitato di sicurezza finanziaria istituito al fine di contrasto del finanziamento del terrorismo internazionale. Non si capisce come mai nel 2001 sia stato attribuito al procuratore nazionale antimafia questo ruolo di componente del Comitato di sicurezza finanziaria e a ciò non abbia poi fatto seguito l'estensione delle competenze per quanto riguarda le indagini.
  C’è di più. C’è una ragione di più, anzi ce ne sono due. Una l'ha già riferita Armando Spataro, ed è quella del sistema informatico. La Direzione nazionale antimafia, posso affermarlo ancora una volta senza tema di smentita, ha il più grande sistema informatico, la più grande banca dati giudiziaria del mondo, perché è una banca dati che viene alimentata ogni giorno da tutti i provvedimenti giudiziari e dalle informative di polizia che provengono dalle 26 Procure distrettuali. Non è un semplice archivio. È una banca dati che elabora queste informazioni e che le restituisce sotto forma di elaborati che ci consentono poi di dar luogo alla nostra funzione, che, oltre al coordinamento, è di impulso investigativo.
  La banca dati della Procura nazionale antimafia, che Eurojust ci ha copiato – Eurojust ha la stessa banca dati nostra – non contiene atti di servizi segreti, ma atti giudiziari, atti che sono già stati valutati da un magistrato e che, quindi, hanno un'intrinseca e oggettiva attendibilità, superiore a quella di qualunque altra tipologia di atti.
  Dunque, c’è questa banca dati, la cui operatività è in continuo perfezionamento, che ci viene riconosciuta come importantissima da tutte le Istituzioni e che potrebbe ben operare anche per quanto riguarda le attività di elaborazione, di coordinamento e di impulso investigativo per le attività antiterrorismo.
  Infine, c’è ancora una ragione. Il Codice antimafia, il decreto legislativo n. 155 del 2011, agli articoli 4, comma 1, lettera d) e 16, comma 1, lettera a), prevede tra i soggetti ai quali possono essere applicate le misure di prevenzione personali e patrimoniali «coloro che, operando in gruppi o isolatamente, proponessero atti preparatori obiettivamente rilevanti diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato». Ai soggetti che hanno commesso uno dei reati previsti dal Capo I, Titolo VI, Libro II del Codice penale, agli articoli 284 ed altri, nonché reati con finalità di terrorismo e di eversione possono essere applicate le misure di prevenzione.
  A sua volta, l'articolo 16 dello stesso codice antimafia estende l'applicabilità delle misure patrimoniali alle persone dedite al finanziamento di organizzazioni e attività terroristiche, anche internazionali.
  Sapete bene che il procuratore nazionale antimafia già oggi ha la competenza per il coordinamento non solo delle indagini penali, ma anche delle indagini in materia di prevenzione, anzi è il garante della completezza e tempestività delle indagini in materia sia penale, sia di prevenzione.
  Io mi chiedo e vi chiedo, dunque: come potrebbe il procuratore nazionale antimafia promuovere e garantire l'effettività delle indagini finalizzate all'applicazione di misure di prevenzione nei confronti di soggetti dediti ad attività terroristiche, di cui la legge gli attribuisce già oggi la competenza, senza avere la conoscenza di tutte le informazioni relative alle indagini in materia di contrasto al terrorismo e all'eversione, cosa che, in questo momento, gli è inibita, perché non ha la competenza penale per il coordinamento di queste indagini ?Pag. 12
  Per rendere effettiva la capacità di coordinamento del procuratore nazionale antimafia anche in questa materia delle misure di prevenzione antiterrorismo e antieversione è indispensabile consentire al procuratore antimafia l'accesso alle informazioni delle Procure distrettuali antiterrorismo che già operano dal 2001. Il sistema deve, a mio avviso, essere completato anche con riferimento a questo profilo molto più recente.
  Ripeto, sulla struttura organizzativa di quella che dovrà essere la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo sono d'accordo con il collega Spataro sull'opportunità di mantenere due distinte sezioni. Tra le opzioni distinte si fecero – lo ricorderai, Armando – non solo l'ipotesi di una Procura antiterrorismo autonoma rispetto a quella antimafia, ma addirittura quella di attribuire, sul modello francese, la competenza nella materia dell'antiterrorismo alla Procura di Roma. C'era anche quella, peraltro criticatissima anche da alcuni colleghi della stessa procura di Roma.
  Concludo il mio intervento per quanto riguarda la mia adesione al progetto di legge Dambruoso e la competenza al coordinamento nazionale della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo.

  PRESIDENTE. Grazie, procuratore. Adesso acquisiremo anche la sua relazione. La metteremo a disposizione dei colleghi, non appena fatte le copie, per la prossima seduta.
  Do la parola al Prefetto De Stefano.

  CARLO DE STEFANO, Prefetto. Io ho preparato una relazione che consegnerò agli atti della Commissione, in cui esplicito a grandi linee che, in effetti, condivido il parere già espresso dal Procuratore Spataro e dal procuratore nazionale antimafia sulla necessità di un coordinamento. Effettivamente l'esperienza lunghissima nel campo dell'antiterrorismo ci fa capire come la possibilità di mettere insieme informazioni importantissime per esplicitare poi in maniera più corretta le indagini conseguenti sia assolutamente necessaria.
  Prima di addentrarmi nella specificità delle questioni, vorrei, però, approfittare di questa particolare opportunità che viene offerta per dire anche quello che da tanto tempo si è sempre detto negli ambienti investigativi, ma anche in quelli giudiziari, ossia per sostenere l'opportunità della creazione di una Procura nazionale autonoma antiterrorismo, sulla scorta dell'esperienza che abbiamo avuto in Spagna e in parte in Francia.
  Vorrei sottolineare che la necessità del coordinamento e del raccordo informativo è importantissima, ma vorrei fare anche una questione di omogeneità delle decisioni che vengono assunte dalle varie procure nel campo del terrorismo, e che non sempre sono convergenti. La presenza di una procura unica darebbe omogeneità a tutto il settore delle indagini e, quindi, anche una maggiore certezza e tranquillità negli operatori sia di polizia, sia giudiziari che lavorano in questo campo.
  Perché dico questo ? Perché faccio soprattutto riferimento ai reati associativi, soprattutto nel campo del terrorismo internazionale. Si è parlato qui delle importanti indagini che sono scaturite dopo l'11 settembre grazie anche alle leggi ottime che sono state varate a fine 2001 e a fine 2005. Già in precedenza, già negli anni Novanta, in tutti gli anni Novanta – il dottor Spataro e il dottor Dambruoso lo sanno bene – però, si sono compiute tantissime operazioni nel campo del terrorismo internazionale, perché già emergevano negli ambienti jihadisti idee salafiste molto forti di ritorno alle tradizioni, di ritorno alla purezza dell'Islam e, quindi, di aperta critica a tutto ciò che sembrava moderno e che pareva costituire una modifica degli apparati sociali che venivano considerati contro l'Islam.
  Prima del varo di queste leggi, in effetti, le procure avevano un'arma un po’ spuntata, perché queste organizzazioni terroristiche venivano perseguite solamente per la falsificazione di documenti o di banconote. Poi finalmente nel 2001 è stato configurato proprio il reato di terrorismo, anche internazionale, e successivamente Pag. 13sono stati definiti tutti i comportamenti dei terroristi, ragion per cui è stato più facile affermare queste esigenze.
  Il concetto che dicevo prima dell'associazione è importante perché, proprio in queste indagini nel campo del terrorismo internazionale, abbiamo visto come si sia sempre più diffusa una rete di collegamento, attraverso Internet, fra i vari jihadisti che colloquiavano fra di loro e mettevano insieme anche quella che possiamo definire una piccola organizzazione.
  È una questione che al di fuori non appariva, ma, ascoltando le intercettazioni che venivano autorizzate dall'autorità giudiziaria, si capiva benissimo che tanti jihadisti colloquiavano fra di loro per mettere in atto proprio un'organizzazione, seppure piccola. Questo faceva già nascere la necessità di valutare l'esistenza di un'associazione, anche telematica, perché effettivamente ce n'erano i presupposti.
  Questo discorso, in verità, noi l'abbiamo vissuto anche un po’ più sulle nostre spalle per quanto riguarda il terrorismo interno. Mi riferisco a tutte le indagini che sono state fatte soprattutto nel settore dei cosiddetti anarco-insurrezionalisti. Gli anarco-insurrezionalisti si distaccarono dalla Federazione anarchica italiana fin dagli anni Ottanta perché avevano deciso di creare una struttura autonoma per svegliare il movimento anarchico, per dare proprio una sveglia al movimento e, quindi, per mettere in campo tutta una serie di attività che andassero proprio direttamente contro il sistema dello Stato e il sistema del capitale, anche minimale, pianificando una serie di azioni violente contro le espressioni del capitale, anche minimo. Per esempio, uno degli attentati più frequenti degli anarco-insurrezionalisti è stato quello di colpire le banche.
  Ebbene, gli anarco-insurrezionalisti rivendicavano le loro azioni con volantini in cui, però, esaltavano il principio dell'individualità e dell'autonomia. Nei volantini loro dicevano: «Noi lavoriamo per affinità».
  Queste considerazioni hanno spesso indotto, anche giustamente – ci sono stati, però, sempre giudizi un po’ difformi – alcune procure a ritenere che non vi fosse il reato associativo, mentre invece dalle indagini, ma anche dal parere di alcune procure, questo reato associativo veniva evidenziato.
  La necessità di un coordinamento nazionale serve anche, quindi, se possibile, a dare omogeneità a tutta una serie di indagini per fare in modo che ci sia anche una certezza non voglio dire del diritto, che è troppo, ma investigativa di operare in un determinato modo.
  Vorrei approfittare adesso dell'occasione, sempre a proposito dei reati associativi, per esprimere anch'io il mio parere, che un po’ si discosta da quello del procuratore nazionale, circa le connessioni fra criminalità organizzata e terrorismo.
  È vero che ci sono stati tanti rapporti strettissimi che abbiamo vissuto, sia a livello interno, sia a livello internazionale, ma noi abbiamo sempre analizzato i gruppi terroristici internazionali e abbiamo sempre cercato di mettere in luce gli obiettivi che si sono prefisse le organizzazioni internazionali, obiettivi che sono assolutamente distanti e differenti da quelli delle organizzazioni criminali.
  Dire che c’è una connessione è molto difficile. È difficile digerire questa affermazione, perché io credo che l'unione operativa che c’è stata fra gruppi criminali e gruppi terroristici fosse un'unione solo di opportunità. I gruppi terroristici avevano bisogno di soldi e, quindi, si servivano delle organizzazioni criminali per procurarsi i soldi, ma rimanevano assolutamente distinti gli obiettivi.
  Questo è stato un argomento ricorrente, anche a proposito dei gruppi terroristici internazionali che abbiamo perseguito in Italia e che venivano perseguiti per la falsificazione di documenti. Per falsificare i documenti questi jihadisti si rivolgevano ai delinquenti comuni che erano bravi a farlo. La connessione è in questi termini, senz'altro, ma le finalità e gli obiettivi sono stati sempre assolutamente diversi.Pag. 14
  Volevo anche ricordare l'aspetto tipicamente internazionale delle organizzazioni jihadiste internazionali, che abbiamo vissuto direttamente, quando ci sono state le indagini per gli attentati di Madrid che prima sono state evocate dal Procuratore Roberti.
  Con gli attentati alla stazione di Madrid dell'11 marzo 2004 è venuto subito fuori un interesse primario che ha riguardato anche l'Italia, perché uno degli ideatori, non sappiamo se anche degli esecutori materiali, era un egiziano che, grazie a indagini subito molto attente e molto particolareggiate, fu rintracciato a Milano. L'indagine fatta con moltissima attenzione nei confronti di questo soggetto ha fatto emergere che egli capeggiava una rete internazionale di tanti jihadisti che venivano addestrati e venivano tutti convinti a perseguire la stessa causa o lo stesso scopo di azioni eclatanti per la riaffermazione del salafismo e, quindi, del ritorno all'Islam puro.
  Un'altra azione clamorosa, che ha visto presente anche l'Italia, è stata quella dell'attentato alla metropolitana di Londra, allorché uno degli attentatori, un etiope, fu arrestato a Roma, dopo un rocambolesco viaggio fatto in treno attraverso il Regno Unito, la Francia e poi anche l'Italia, con soste anche a Milano e a Firenze, che, naturalmente, preoccupavano moltissimo non solo gli apparati investigativi, ma anche quelli giudiziari.
  Voglio mettere in luce proprio l'aspetto internazionale importantissimo che rende ancora di più necessario un coordinamento centralizzato che sia in grado di raccogliere a fattor comune tutte queste informazioni, che possono poi essere sviluppate tranquillamente nelle indagini.
  Noi abbiamo parlato della nascita delle Direzioni distrettuali. Con la nascita delle Direzioni distrettuali il Ministero dell'interno dispose che anche le DIGOS distrettuali, le 26 DIGOS distrettuali, si dotassero non delle sezioni con competenza esclusiva, ma delle sezioni specializzate proprio nel settore del terrorismo, cosa che, in effetti, fu fatta e che ha avuto poi anche i suoi risultati soddisfacenti. Soprattutto, alcune di queste DIGOS distrettuali sono diventate poi veri centri di eccellenza nelle indagini sul terrorismo internazionale, che è molto complesso e delicato.
  Vorrei anche ricordare che nell'ambito del Ministero dell'interno c’è un'attività di coordinamento, che io chiamerei tecnico-amministrativa, molto valida, che fu creata nel 2003, subito all'indomani degli attentati di Nassiriya. Si tratta del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, che mette insieme sullo stesso tavolo i rappresentanti di tutte le forze dell'ordine, compresi i rappresentanti dell'amministrazione penitenziaria e i rappresentati dei servizi di informazione.
  Si tratta di un tavolo in cui vengono esaminate le informazioni di cui ogni ente dispone. Vengono messe a confronto, vengono soppesate e vengono anche correttamente valutate e poi diffuse, se segnalano una minaccia, oppure danno inizio a un'indagine, se ci sono elementi per iniziare un'indagine. È un tavolo molto proficuo, che costituisce in nuce un piccolo esempio di coordinamento molto ben riuscito.
  In conclusione, sono d'accordo con l'impostazione generale e assolutamente con la necessità di un ufficio centrale. Anch'io sarei del parere di creare due strutture distinte sotto l'egida di un solo procuratore nazionale, ma rimane valido quello che dicevo all'inizio: quello che è stato sempre un obiettivo ideale delle forze di polizia, ma anche di tanti apparati giudiziari, è avere una procura autonoma che abbia il potere proprio di promuovere e di esercitare l'azione penale.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Se fosse la Procura antimafia e antiterrorismo non avrebbe lo stesso potere ?

  CARLO DE STEFANO, Prefetto. Procuratore, noi oggi abbiamo, per assurdo, un procuratore nazionale che, però, non può esercitare l'azione penale.

Pag. 15

  PRESIDENTE. Il prefetto la mette in un altro modo. Vuole proprio un'unica procura con poteri di indagine diretta. Noi, invece, qui parliamo di un coordinamento.

  CARLO DE STEFANO, Prefetto. È un ideale di cui si è sempre parlato.

  PRESIDENTE. È un ideale che si può raggiungere ugualmente attraverso un coordinamento delle procure, perché adesso non c’è, sostanzialmente. Comunque ognuno, ovviamente, dà priorità ad alcuni punti.
  Ringrazio anche il Prefetto De Stefano. Acquisiamo anche il suo documento scritto. Nel frattempo ci sono due prenotazioni per domande nel dibattito.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CLAUDIO FAVA. Grazie, presidente. Mi sembra che tutti abbiamo accolto pareri piuttosto uniformi sulla necessità di avere un'unità di collegamento, un organo centrale di coordinamento. Io sono particolarmente d'accordo col Procuratore Spataro sul fatto che occorra stabilire alcune linee guida nell'attività investigativa antiterrorismo anche rispetto alla condizione dei detenuti.
  Credo sia anche vero che tra organizzazioni mafiose e terroristiche ci possano essere punti di incontro, se non sull'obiettivo, certamente sul piano operativo. Ce lo conferma la storia recente e anche passata. Penso al Rapido 904, alla Banda della Magliana. Penso alle indagini in corso anche sulla morte di Mattarella. Penso a quello che succede all'estero, alle FARC e ai gruppi di narcotrafficanti in Colombia. Hanno obiettivi istituzionali assai diversi, ma una convergenza operativa.
  Resta una domanda di fondo. Le vostre letture propongono un'evoluzione del disegno di legge del collega Dambruoso verso due ipotesi diverse: una Procura nazionale antimafia e antiterrorismo con due refluenti collegati, ciascuno dei quali si occupi in modo specifico della propria materia, e due strutture parallele.
  Quello che a noi interessa capire è quali sono i benefici e le preoccupazioni su due percorsi che portano alla stessa soluzione, ma a due procure nazionali diverse o a una procura che abbia, però, competenze parallele non in capo alla stessa struttura, ma anche con percorsi e con filiere investigative parallele.

  PRESIDENTE. Do la parola per la replica al procuratore nazionale antimafia.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Sì, grazie. Rispondo rapidamente all'onorevole Fava. Io sono per l'ufficio unico, sia pure con due distinte sezioni, perché sono per la circolazione delle informazioni a tutti i livelli.
  È importante lo scambio informativo. Visto che lei, come ho sostenuto anch'io, ritiene che ci siano convergenze operative, sinergie operative tra criminalità mafiosa e criminalità terroristico-eversiva, le dico che, a mio parere, la circolazione delle informazioni all'interno dello stesso ufficio tra le due sezioni sarebbe molto più facile che non tra due uffici distinti e soprattutto sarebbe assicurata da un'unica dirigenza dell'ufficio stesso.
  Nella Direzione nazionale antimafia i procuratori aggiunti e lo stesso procuratore antimafia hanno il compito specifico di assicurare lo scambio informativo interno. Hanno il compito specifico di garantire la circolazione di informazioni e di assicurare che questo lavoro si traduca poi in atti di impulso e in riunioni di coordinamento. Tutto ciò sarebbe molto più facile in un ufficio unico, sia pur distinto in due sezioni.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. In effetti, a favore di questa tesi gioca anche altro. In ipotesi oggi potremmo avere anche delle idee differenti in questo momento sullo sfiorarsi o integrarsi dei fini e dei fenomeni, ma non si può escludere un evento che dimostri un'occasionale convergenza, o comunque una necessità di scambio, che sorga improvvisamente, Pag. 16anche a scopo probatorio, non necessariamente per provare l'unicità di un'associazione criminale.
  A sostegno sempre dell'unica struttura, ma con due articolazioni, volevo fare l'esempio – ne parlavo con il prefetto – della struttura spagnola. La Fiscalía general è competente per terrorismo, mafia e anche corruzione. Non esageriamo. In Italia ci vorrebbe una Direzione nazionale anticorruzione di 50 persone, ma lasciamo stare. Rimaniamo al nostro tema.
  Io, quindi, vedo, tutto sommato, tra le opzioni questa come la più realistica sul piano forse anche dei costi, che non sono oggi un elemento in esame, purché sia ben precisata la specializzazione all'interno di un'unica struttura tra sezione antimafia e sezione terrorismo, anche per favorire una maggiore specializzazione.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Se me lo permette, presidente, vorrei aggiungere un'ultima considerazione.
  Io ho scoperto recentemente che la Fiscalía spagnola, sebbene articolata come ricordava il collega Spataro, non dispone di una banca dati. Non ha un sistema informatico proprio, ma mutua le informazioni dagli organi di polizia giudiziaria. Il pubblico ministero italiano, in questo caso – diciamolo con orgoglio – ha un sistema anche informatico, oltre che organizzativo, che gli consente di dirigere le indagini e non di andare al traino della polizia giudiziaria, come invece avviene negli altri Paesi.

  DAVIDE MATTIELLO. Le ultime parole del Procuratore Roberti anticipano la questione che vorrei porvi: entrare meglio e di più nel rapporto tra autorità giudiziaria e investigatori, forze di polizia. Nel concetto di distrettualizzazione debole mi pare possa entrare, se non meglio specificato, anche questo tema, ossia il rapporto tra autorità giudiziaria centralizzata e chi fa le indagini.
  Premesso che i criteri di specializzazione e centralizzazione di fronte a fenomeni come questi mi convincono, vorrei capire in questo ragionamento il ruolo della DIA. Mentre abbiamo esplicitato il ruolo della Procura nazionale e ci siamo confortati nel dirci, in un modo o in un altro, con una declinazione o con un'altra, che sia bene che esista un ufficio giudiziario centralizzato con capacità di coordinamento e impulso, a meno che io non mi sia distratto, non ho sentito un riferimento a quella che nella mia testa e nell'architettura è la struttura di riferimento per fare analisi, che è la DIA.
  Parallelamente a questo, un magistrato di grande e riconosciuta esperienza come il dottor Gratteri ha recentemente detto che, se fosse per lui, la DIA la chiuderebbe. Vorrei che ci aiutaste a capire questo, perché, per quello che capisco io, invece, una struttura come quella della DIA è importante, anzi importantissima, quando si voglia centralizzare e specializzare il lavoro dell'autorità giudiziaria su fenomeni come questi.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie anche per questo tema. Rispondiamo volta per volta.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Certo, la riflessione dell'onorevole Mattiello coglie sul punto della distrettualizzazione debole proprio un aspetto nevralgico del problema. Quando io parlo di distrettualizzazione debole, mi riferisco sia alla mancanza di criteri per la selezione dei magistrati che debbono far parte delle Procure distrettuali antiterrorismo, a differenza di quelli che, invece, ci sono e che sono stati consacrati anche in delibere del CSM per le Procure distrettuali antimafia, ma soprattutto alla conoscenza, che è data non solo dall'esperienza e dalla conoscenza personale dei magistrati, che poi si traduce in un criterio attitudinale, ma anche dal sistema informatico di cui questi magistrati possono disporre per gestire la conoscenza, per orientarla e per tradurla in direttive e in ipotesi operative in materia di indagini.
  Di conseguenza, la mancanza che io, come procuratore aggiunto coordinatore dell'antiterrorismo, ho sofferto è quella di Pag. 17una banca dati, il che mi costringeva poi ad appoggiarmi sugli eccellenti organi di polizia. Il Prefetto De Stefano ricordava l'esperienza della Polizia di Stato per quanto riguarda le indagini antiterrorismo. Io posso dire lo stesso per i Carabinieri. Comunque eravamo costretti ad appoggiarci alla conoscenza degli organismi di polizia giudiziaria, invertendo un rapporto in cui, invece, il nostro ordinamento vuole la prevalenza e la direzione delle indagini in capo al pubblico ministero – piaccia o no, è così – sbilanciando un po’ il rapporto.
  Per quanto riguarda la competenza della DIA, lei ricorderà, onorevole Mattiello, che la DIA, nell'originario disegno che era stato di Giovanni Falcone, ma anche di altri magistrati che a quell'epoca si occupavano di queste cose, avrebbe dovuto accentrare tutte le indagini in materia di criminalità organizzata di tipo mafioso. Gli altri organismi centralizzati che erano già stati costituiti un po’ di tempo prima avrebbero dovuto cedere – nel decreto-legge era previsto questo – la competenza antimafia alla DIA.
  In sede di conversione in legge questa previsione venne meno perché c'era una resistenza da parte degli organismi centralizzati, Polizia di Stato e Carabinieri in particolare, a cedere questa competenza. Originariamente era così.
  Questa perdita dell'originaria competenza ha fatto sì che la DIA diventasse col tempo un quarto organo di polizia, cioè non più l'Agenzia antimafia che era stata pensata all'inizio, ma un quarto organo di polizia, con tutti i pregi, ma anche i difetti, di un organo di polizia centralizzato.
  Io dissento radicalmente dalla visione del pur ottimo e stimabilissimo collega Gratteri. Io credo che la DIA abbia svolto un compito importante, nonostante questa mutilazione rispetto all'origine, e che svolga un compito molto importante. Naturalmente, anche qui si pone il problema della previsione di cui all'articolo 371-bis del codice di procedura penale, in cui è scritto che «il procuratore nazionale antimafia dispone della Direzione nazionale antimafia e dei servizi centralizzati di polizia giudiziaria».
  Che significa che il procuratore nazionale dispone ? In che si realizza, in che si concretizza questa disponibilità da parte del procuratore nazionale ? Questo non è stato ancora chiarito. Sto cercando di chiarirlo adesso io con la mia interlocuzione con gli organi di polizia, con gli organi centralizzati e con la DIA, perché deve pur voler dire qualche cosa.
  Avere una maggiore e più stretta sinergia tra il procuratore nazionale antimafia e gli organismi centralizzati, anche se si arrivasse, come io auspico, a una competenza del procuratore antimafia nella materia del terrorismo, sarebbe, io credo, una conquista per tutti e andrebbe soprattutto a vantaggio di un più efficace coordinamento, anche per l'esigenza che ricordava il Prefetto De Stefano, che non è assolutamente da trascurare, ossia quella dell'uniformità dei comportamenti, delle condotte e delle scelte investigative, non solo a livello processuale, ma anche a livello investigativo. Coordinamento e uniformità delle scelte si possono realizzare se portiamo a sistema questa previsione, che già esiste nel nostro ordinamento.

  CARLO DE STEFANO, Prefetto. Anch'io sono d'accordo col Procuratore Roberti. Volevo evidenziare la necessità della raccolta delle informazioni e, quindi, dell'utilizzo delle banche dati. Ormai siamo in un'epoca in cui bisogna bandire qualsiasi senso di appartenenza, di gelosia e di competizione. Bisogna assolutamente condividere, mettere a fattor comune tutte le informazioni.
  Purtroppo, questo è un retaggio di cui ancora soffriamo, non solamente noi, a cominciare dagli americani, che sono gelosissimi nel loro ambito interno. Le varie agenzie fra di loro sono assolutamente gelose. Ormai sarebbe ora di mettere fine a queste situazioni.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Posso, presidente ? Aggiungo due Pag. 18parole. Questo è verissimo, anche se talvolta è vero anche che ci sono più problemi all'interno delle singole procure che non nei rapporti con gli americani, ma lasciamo stare.
  Detto questo, nel condividere tutto ciò che è stato ricordato sulla DIA, io vorrei anche invitare a non enfatizzare il problema. Perché ? Non dimentichiamo che la Direzione nazionale antimafia, o la futura Direzione antimafia e antiterrorismo, salvo casi di avocazione o di assegnazione di propri rappresentanti alle Procure distrettuali, non conduce direttamente indagini. La Procura nazionale antimafia si avvale della DIA per quei compiti informativi e di coordinamento che le sono propri.

  ANNA ROSSOMANDO. Alcune domande sono già state fatte. La mia è una domanda forse un po’ surrettizia per vedere se ho capito bene, tornando per un attimo all'argomento della procura unica, al terrorismo, alla criminalità organizzata e a un'analisi del fenomeno.
  Se ho capito bene, da quello che è stato detto e da quello che noi sappiamo, non ci può essere un rapporto organico tra organizzazioni terroristiche e criminalità organizzata perché sono antitetiche. Il terrorismo ha un, ovviamente non condivisibile, disegno, la criminalità organizzata è un'altra questione. Sicuramente viene da dire che i loro sono rapporti occasionali, come infatti è stato detto.
  Se però, sempre senza alcuna presunzione, proviamo a mettere insieme i dati che abbiamo, dalle notizie, dall'evolversi del fenomeno – voi avete giustamente citato i fatti degli ultimi vent'anni e avete illustrato come può essere cambiato il quadro – con riferimento alle organizzazioni terroristiche nazionali, vediamo che esse hanno quasi sempre rapporti internazionali e che anche il quadro politico internazionale è molto più spezzettato.
  È evidente che ci sia e che ci sarà sempre più bisogno per queste organizzazioni di poter avere quel tipo di aggancio per disporre di mezzi. Forse questa è l'ipotesi. È questa l'ipotesi di lavoro ? Probabilmente questo fatto per gli interessati di essere insieme e paralleli consente, visto che voi avete giustamente citato le informazioni, di poter cogliere nel flusso di informazioni se si stia muovendo qualcosa.
  È questa l'utilità ? Così si può capire, prevenire e intervenire su movimenti e comunicazioni. Naturalmente, parlo non dico da profana, ma da persona che si basa solo sulla lettura dei giornali e delle analisi e su quello che voi avete detto. Sono delle ipotesi di lavoro che non possono cambiare quello su cui stiamo già tutti ragionando, cioè l'esigenza di avere una procura unica, eventualmente articolata al suo interno.
  Se devo pensare agli anni della giovinezza nostra, in cui, quando si parlava di terrorismo, si guardava soprattutto a una mano, più o meno invisibile, di natura sempre «politica», adesso noto che tutto è completamente diverso, o almeno così sembrerebbe, sotto il profilo di fornire mezzi, soldi, armi e via elencando. Chiedo il vostro parere, visto che avete gli elementi per fornirci dei dati rispetto a ragionamenti che sono forse un po’ più speculativi.

  PRESIDENTE. Do subito la parola al Procuratore Spataro, che ci deve lasciare.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Sì. Io dico la mia e poi chiedo scusa a tutti perché ho un appuntamento al Consiglio superiore della magistratura. Volevo soltanto dire la mia arricchendo il mio giudizio parzialmente diverso da quello di Franco Roberti.
  Iniziamo col dire che i gruppi terroristici interni o internazionali non investono il denaro sporco. Il denaro provento di delitti vari, che li facciano loro o i criminali comuni, serve loro per le loro attività. Questo è il primo punto.
  Come secondo punto, queste attività costano poco. Spesso non costano niente. Eccetto per l'11 settembre, su cui le indagini relative ai finanziamenti degli attentatori sono state enormi, eccetto per Pag. 19quell'evento a livello internazionale – lo dico per effetto della mia esperienza nei rapporti di cooperazione con i colleghi e con le altre polizie – il finanziamento dell'11 marzo 2004 a Madrid o degli attentati di Londra nel 2005 o, se volete, di altri attentati anche a livello più basso è un finanziamento che costa molto poco. Non pensiamo alla necessità che i terroristi, – non dico quelli interni, che se le facevano loro le rapine e che le fanno ancora oggi loro, ma anche a quelli internazionali – avrebbero di fare denaro. Non hanno il denaro come obiettivo. Il denaro è lo strumento.
  È vero che ci sono stati dei casi, che Roberti ha ricordato. Per esempio, nel napoletano, neanche a farlo apposta, i documenti falsi sono stati da alcuni terroristi acquisiti in ambiti di criminalità comune. Oppure a Milano abbiamo avuto anche traccia di traffico di stupefacenti che facevano i terroristi, i quali compravano 2-3 chili da un trafficante, il quale però non aveva rapporti con loro. È sempre un rapporto criminale, ma non è un rapporto associativo. Poi si vendevano gli stupefacenti. Abbiamo persino false fatturazioni che sono servite a procurare fondi.
  Tutto questo per dire che io sono d'accordo con quello che è stato appena affermato, cioè che i rapporti che ci sono stati con la criminalità comune sono da parte dei terroristi, anche internazionali, occasionali e che non sottintendono una convergenza di finalità organizzative.
  Questa è la mia opinione. Penso al kamikaze fallito, fortunatamente per noi, di Milano, che alla caserma Perrucchetti ha tentato di farsi esplodere. Io sono andato a casa sua un'ora dopo l'attentato: era una cosa da pazzi. Era pieno di scarafaggi dappertutto. Viveva nella miseria. Era anche folle perché era fallita una sua ditta. Per questi soggetti non si pone il problema di avere i soldi. Andavano a comprare i materiali chimici nei supermercati e tramite Internet li mettevano insieme. Non hanno importazioni di armi.
  Questo vale anche per l'espatrio. Parlo più, badate bene, dell'espatrio ante ISIS, perché, a mio avviso, si favoleggia attualmente su grandi traffici di jihadisti che sarebbero partiti dall'Italia. L'ISIS è nato nel 2012. Se parliamo di un numero di questi tipo – ogni tanto ho letto che ci sarebbero 48 jihadisti italiani – se si mettono dentro tutti quelli che negli anni passati, nelle inchieste che ha iniziato Dambruoso, hanno portato avanti altri, allora ci arriviamo, forse, ma stiamo parlando di un'epoca che non ha nulla a che fare con questo.
  L'espatrio è stato favorito talvolta dall'utilizzo di fondi sottratti alle offerte dei fedeli. Come sapete, è uno degli obblighi quello di dare a chi non ha. L'argomento va tenuto sempre presente. Comunque, anche questi incroci occasionali, seppur marginali, legittimano un'attività di coordinamento. Non pensiamo, però, a un collegamento con la criminalità organizzata che sia essenziale e stabile. Io addirittura sarei proprio dell'idea opposta.

  STEFANO DAMBRUOSO. Sarò velocissimo nel dire che, non a caso, sono presenti tre persone che non ho chiamato tutte io. Mi fa piacere che sia stato chiamato anche, dall'onorevole Mattiello, il Procuratore di Torino, perché abbiamo sentito che parla con consapevolezza di argomenti che ha vissuto per tutta una vita.
  È importante la presenza del Prefetto De Stefano perché, fra le righe, non è solo prefetto – magari il fatto è poco noto; lo dico a me stesso – ma è stato per molti anni il responsabile nazionale della polizia dell'antiterrorismo. Poiché si è avvertita una certa resistenza, come ha detto Spataro, in alcuni periodi storici, in un tentativo, così come accade in magistratura, di proteggere i propri campi di dominio e di controllo, che nella polizia c'erano, perché aveva un ufficio di coordinamento, mentre in magistratura questo non c’è ancora, mi fa piacere sentire proprio il responsabile dell'antiterrorismo che concorda con l'idea di una procura finalmente nazionale che sia capace anch'essa di coordinare le varie indagini. Si tratta di un Pag. 20arricchimento messo a disposizione di chi poi alla fine dovrà valutare l'importanza di questo strumento.
  Io sono davvero convinto che, in questo periodo storico, in cui tanto si parla in termini mediatici del terrorismo e del rischio di terrorismo, che tocca parzialmente anche l'Italia, in quanto fa parte dell'Europa e per tutto quello che siamo oramai abituati a sentire quotidianamente, ma mai come in questo periodo, l'unica cosa che manca sia propria questa. Ne sono davvero convinto. Spataro spesso appare in televisione, giustamente ricordando che non abbiamo bisogno di molti strumenti o di articoli vari. La legge che abbiamo basta e avanza per fare prevenzione e repressione. Io credo fortemente che l'unica cosa che manca – avevamo un vero gap, una mera mancanza – sia proprio questo strumento, che migliorerà la situazione.
  In che modo l'Italia può migliorare la prevenzione rispetto al terrorismo che i cittadini comuni, gli elettori, che a noi interessano oggi, avvertono come qualcosa che li inquieta ? Lo può migliorare in una maniera che sembra lontana rispetto alle cose che vediamo in televisione, ma che davvero, invece, nel quotidiano la migliorerà: affidando il coordinamento investigativo alle procure che se ne occupano, perché così migliorerà la risposta. Di questo sono davvero convinto.
  L'unico gap che esiste, l'unico elemento che manca, dunque, è questo. Io spero davvero che questa legislatura, dopo le difficoltà che sono state ricordate dai due procuratori prima, riesca a portare a termine il disegno di legge. Alla Camera sono ottimista, ma speriamo che accada anche al Senato, dove molte cose si bloccano per ragioni molto spesso ignote.
  Tutto il lavoro dei procuratori, di cui abbiamo parlato oggi e a cui ho partecipato anch'io nella mia attività in magistratura, rischia molto spesso di vedersi vanificato perché dall'altra parte, a fronte di una magistratura che, come vediamo e condividiamo tutti, è diventata a livello investigativo specializzata, perché ormai una procura sull'antiterrorismo nei fatti c’è, ci sono delle resistenze.
  Purtroppo, io temo, che occorra una magistratura che, con tutta la leggerezza del caso, con tutta l'attenzione del caso opposto nella mia proposta di legge, una magistratura non speciale, ma che abbia dei profili di specializzazione. Il giudice che, il giorno dopo, ha valutato sui fallimenti o su un reato commesso ai danni di una persona, deve misurarsi con i nuovi tipi di condotte piuttosto nuove e recenti, come, per esempio, essere di fronte a un computer e dialogare con qualcuno dall'altra parte del mondo e comunque già realizzare qualcosa che incarni il pericolo che quella condotta non si vede, invece, riconoscere da una disciplina normativa non ancora matura.
  Qualcuno che abbia una sensibilità più vicina al lavoro importante che le magistrature inquirenti sono già capaci oggi di svolgere credo sia importante, con tutte le attenzioni che riconosco debbano essere mantenute ogni volta che si parla di specializzazione. Mai come in questo settore specializzato io credo che una tale figura debba vedere un suo riconoscimento, forse anche nella magistratura ordinaria.
  Io so quali sono le posizioni risalenti di Spataro, che giustamente è molto preoccupato sempre della terzietà a 360 gradi del giudice, che deve passare anche da un'assenza di specialità, proprio perché il giudice veramente terzo è quel giudice che si trova a misurarsi con tutti i fatti in una maniera uguale. Tuttavia, io a questo vi sollecito. Chiedo se il procuratore Spataro – la domanda è a lui – sia davvero convinto che una marginale specializzazione non debba essere comunque gradualmente introdotta.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Assolutamente sì. Non credo minimamente alla specializzazione del giudice, non perché le esigenze cui fa riferimento l'onorevole Dambruoso non siano Pag. 21da valorizzare, ma perché lo sono attraverso i moduli di organizzazione interna degli uffici.
  Oggi i tribunali, non solo quelli distrettuali e non solo quelli grandi, hanno i cosiddetti moduli tabellari. Il presidente stabilisce che la prima sezione si occupa dei reati finanziari, la seconda dei reati contro i soggetti deboli, e via elencando. Ci può benissimo stare un'organizzazione che preveda, quando i reati non sono in Corte d'assise, ovviamente, la competenza di una sezione.
  Per quanto riguarda, però, l'ufficio GIP, ossia l'interfaccia dell'indagine del pubblico ministero, sono già i GIP distrettuali quelli competenti. Istituire l'ufficio del GIP distrettuale non è significativo. Dovremmo, eventualmente, istituire all'interno dell'ufficio GIP obbligatoriamente la sezione antiterrorismo. Sarebbe una modalità ulteriore, che io rimetterei ai dirigenti degli uffici con i loro programmi tabellari di verificare. Questo è il mio parere, ovviamente.
  Una specializzazione del distretto c’è già come specchio della competenza della Procura distrettuale. Per andare avanti si può risolvere il tema anche sul piano organizzativo. È una mia opinione, ovviamente.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Sull'ultimo punto della specializzazione non posso che condividere, in teoria, le affermazioni e il pensiero del collega Armando Spataro. Purtroppo, però, vedo che in pratica non è così.
  In pratica non è così, ma io lo vedo anche con riferimento alla specializzazione, o mancante specializzazione, in materia di reati di mafia. Abbiamo visto spesso, a parte alcuni tribunali che ormai anche al Nord si sono specializzati – penso al Tribunale di Milano, che presenta un'alta specializzazione anche in questa materia – tribunali medio-piccoli del Centro-Nord che non hanno alcuna specializzazione, eppure il fenomeno mafioso li riguarda e temo che li riguardi molto da vicino. Abbiamo più di quanto non si creda e più di quanto non si avverta anche a livello di organizzazione giudiziaria.
  Pertanto, il problema della specializzazione esiste sia per le mafie, sia per il terrorismo. Lo risolviamo con il GIP distrettuale, ma al dibattimento, purtroppo, come ricordava l'onorevole Dambruoso, abbiamo delle cadute anche nella capacità di valutazione delle prove, perché mancano l'esperienza e la conoscenza.
  Io sono per imporre in qualche modo quei moduli tabellari che portano alla specializzazione in materia di mafia e in materia di terrorismo. Purtroppo, non tutti i dirigenti degli uffici giudiziari sono in grado, però, di realizzare questi moduli tabellari. L'esigenza, quindi, esiste.
  Vorrei intervenire su alcun altro paio di punti. I gruppi terroristici, diceva il collega Spataro, non investono il denaro sporco, ma dobbiamo intenderci su che cosa intendiamo per denaro sporco. Quando uscì la terza direttiva europea che associava il riciclaggio al finanziamento del terrorismo, con il conseguente decreto legislativo n. 231 del 2007, tutti dicemmo che terrorismo e criminalità organizzata erano due cose diverse. La criminalità organizzata ricicla e, quindi, ripulisce denaro sporco all'origine. Il terrorismo, invece, maneggia denaro che nasce pulito e che si sporca per la sua finalità, che è appunto la finalità terroristico-eversiva.
  Io mi sono reso conto, però, che questa distinzione risente un po’ troppo di schematismo. In realtà, anche il denaro gestito dal terrorismo è sporco e le organizzazioni terroristiche di denaro ne gestiscono tanto, ne riciclano tanto, nel senso che ne mascherano la finalità.
  Non ci appigliamo a questo argomento per dire che sono due cose diverse. Sappiamo che concettualmente sono due cose diverse, ma possiamo forse dimenticare le stragi mafiose del 1992-93 ? Non avevano una finalizzazione terroristica quelle stragi mafiose ? O possiamo dimenticare che lo stragismo del clan dei Casalesi, quello che ha insanguinato il territorio campano nel 2007 e 2008, non aveva una finalità terroristico-eversiva ?Pag. 22
  Si è riconosciuto anche nella sentenza definitiva che per la strage di Lago Patria del 19 settembre 2008 ha condannato il gruppo Setola degli stragisti casalesi con l'aggravante dell'articolo 1 della legge 15/80. Per arrivare a dimostrare quest'aggravante il pubblico ministero ha citato il ministro dell'interno dell'epoca in dibattimento e gli ha fatto confermare che queste attività stragistiche avevano determinato nella collettività una sorta di terrore generalizzato, tipico della finalizzazione delle azioni terroristiche.
  È vero, quindi, che sono due fenomeni diversi, ma hanno delle intersezioni non solo sul piano operativo, come abbiamo ricordato e come ricordava prima l'onorevole Fava con altri esempi ulteriori a quelli fatti da me, ma anche sul piano della convergenza degli obiettivi. In qualche momento c’è stata questa convergenza di obiettivi.
  Al di là di questi intrecci, di queste connessioni, di queste connessioni operative, chiamiamole come vogliamo, l'elemento che vale a sostegno, secondo me, più di ogni altro argomento dell'unicità del coordinamento centralizzato nazionale è la condivisione delle conoscenze.
  Come procuratore antimafia, io oggi non sono in grado di esercitare la funzione di coordinamento e di impulso nella materia delle misure di prevenzione contro il terrorismo, che pure la legge mi attribuisce, perché non ho la conoscenza del fenomeno terroristico. Se ho diritto ad accedere alle banche dati delle procure antimafia, le banche dati delle procure antiterrorismo intanto non ci sono e, quand'anche esistessero per iniziativa volenterosa dei singoli procuratori, non potrei avervi accesso. Basterebbe questo per sostenere la necessità che è a fondamento di questo progetto di legge.
  Credo di non avere altro da aggiungere.

  PRESIDENTE. Io vi ringrazio molto. Ovviamente, ringrazio sia per gli approfondimenti, sia per i documenti scritti e per questa opportunità che abbiamo avuto.
  Ringrazio anche i colleghi. Noi adesso cercheremo di portare avanti questa proposta, sperando di riuscire anche a farla diventare legge. Vediamo se c’è da limare ancora qualche cosa.
  Il prefetto è stato responsabile – faccio una domanda io – del servizio di polizia di prevenzione. Oggi c’è ugualmente questa disponibilità ? È un po’ nell'aria questo discorso di affermare che non sempre ci sia stata questa disponibilità, questo favore da parte anche degli interni rispetto a questa costituzione.
  Oggi questa esigenza, di cui si fa parte la proposta di legge e che è fatta propria anche dalla magistratura e da lei, per la sua esperienza, ritiene che sia un'esigenza avvertita anche dagli organi di polizia ?

  CARLO DE STEFANO, Prefetto. Io penso di sì, perché comunque costituisce un arricchimento nell'acquisizione delle informazioni e nell'accertamento dei fatti di cui si viene a conoscenza. Comunque è un arricchimento.
  È importante che la conoscenza non rimanga retaggio della forza che l'ha generata e che poi, una volta trasmessa, non dico che non se ne perda la titolarità, perché nessuno è titolare di nulla – non si esercita un potere di titolarità – ma ci sia comunque la condizione dell'osmosi o dell'interscambio continuo.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Pongo una domanda, visto anche l'appello che ha lanciato il procuratore nazionale antimafia, il quale si lamenta del fatto che non riesce ad arrivare capillarmente perché ha difficoltà di condividere, ma anche di ricevere informazioni.
  Il procuratore ha ricordato che al Nord sono sempre più evidenti fenomeni di origine mafiosa. Io sono di Verona. L'altro giorno sono stati arrestati 13 ’ndranghetisti, ma per iniziativa di un'altra procura, non di quella di Verona. Dieci giorni prima erano stati effettuati altri arresti di altri 10 ’ndranghetisti, sempre in provincia di Verona, anche con veronesi coinvolti.

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  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. Per iniziativa di quale procura ?

  FRANCESCA BUSINAROLO. Mi sembra di Reggio Calabria, anzi di Roma per la seconda e di Reggio Calabria per la prima. C’è un'evidente lacuna della nostra procura provinciale. Non voglio attribuire responsabilità in questo momento. Sta di fatto, però, che a Verona questo sta diventando, come in altre città probabilmente – io porto l'esempio di Verona – un problema evidente. Probabilmente c'era già da prima, ma in maniera più tranquilla, più silente. Adesso emerge con le indagini che stanno facendo altri.
  Volevo chiedere, visto che la collega che mi diceva che le DDA sono 26, se non sia il caso di ampliare le sedi, di aumentare il numero delle sedi, e che proposte ha lei per formare i giudici.
  Lei ha fatto presente la sua opinione che sia il caso di specializzarli, ma nel frattempo c’è da risolvere il problema attuale. Le forze dell'ordine e i giudici hanno bisogno di essere formati in maniera adeguata per lottare contro la mafia. Per noi forse non è una novità, ma lo è per la gente.
  Anche la questione della proposta di legge Dambruoso è interessante, con riferimento all'antiterrorismo. Noi siamo anche attrattori degli immigrati. Non è un tema del Movimento 5 Stelle, ma spesso la Lega fa un vessillo di questo problema. Volevo sentire la sua opinione.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia. La presenza delle mafie al Nord del nostro Paese è un problema serio, reale e che richiama la costante, direi quasi quotidiana, attenzione della Direzione nazionale antimafia. Sono frequentissime le riunioni di coordinamento che noi organizziamo tra le procure distrettuali del Sud – in questo caso lei parla di Reggio Calabria, ma io potrei citare anche quelle di Napoli, di Palermo e di Caltanissetta – e le procure distrettuali del Nord.
  Verona non è procura distrettuale. Verona dipende, come procura distrettuale, da Venezia. Frequentissimamente ci sono riunioni tra la procura distrettuale di Venezia e quella di Reggio Calabria proprio per coordinare le indagini.
  Che cos’è il coordinamento ? Il coordinamento sta nello stabilire come si procede e chi fa che cosa, in modo appunto coordinato. Come ricordava il Prefetto De Stefano prima, occorre che ciascuno abbia la conoscenza e sappia quello che sta facendo l'altro, in modo da non procedere ognuno per conto proprio. Questo è il coordinamento.
  Noi facciamo un costante coordinamento tra queste procure del Sud, cioè delle zone di provenienza dei soggetti che sono venuti a colonizzare i vostri territori, e le procure del Nord massimamente interessate, Milano, Torino, Genova, Venezia e Bologna. Queste sono le cinque procure.
  Sappiamo benissimo che questo fenomeno, se non lo si affronta subito, rischia di estendersi. Io sono stato, pochi giorni fa, a Reggio Emilia a parlare di questo problema. Lì è molto presente la ’ndrangheta, molto più che nel Veneto, ma si sta estendendo anche verso il Veneto. Se questo fenomeno non lo affrontiamo subito con la dovuta determinazione, rischiamo veramente di compromettere la situazione anche nei territori del Nord.
  Che cosa si deve fare ? Io sono contrario a un ampliamento del numero delle Procure distrettuali, sarei addirittura per una riduzione, perché ci sono procure distrettuali piccole – adesso non le voglio nominare – che, francamente, sono distrettuali solo perché sono capoluogo del distretto, ma operano in zone che come criminalità organizzata hanno poco e niente. Tuttavia, hanno la distrettuale.
  Io sarei per una riduzione, o meglio per una concentrazione e una razionalizzazione anche delle Procure distrettuali, con il conseguente incremento delle forze di polizia giudiziaria. A Verona non manca la polizia giudiziaria, ma magari la sede, gli Pag. 24uffici dei servizi centralizzati di polizia giudiziaria sono a Venezia. Non so se siano anche a Verona. Si può anche provvedere a una razionalizzazione e una redistribuzione dei servizi di polizia giudiziaria.
  Quello che, però, è molto importante è che si proceda in coordinamento e con lo scambio dei dati e delle informazioni, in modo che tutte le sedi interessate dal fenomeno siano coperte da indagini attive. È quello che stiamo facendo.

  PRESIDENTE. Grazie. Come vede, non riusciamo a chiudere perché l'interesse è molto. Comunque vi ringraziamo ancora. Non credo che ci siano altre domande per ora. Ci saranno altre occasioni. Vi ringrazio.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.50.