XVII Legislatura

Commissioni Riunite (II e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 2 aprile 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 2215 , DI CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE N. 36 DEL 2014, RECANTE «DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI DISCIPLINA DEGLI STUPEFACENTI E SOSTANZE PSICOTROPE, PREVENZIONE, CURA E RIABILITAZIONE DEI RELATIVI STATI DI TOSSICODIPENDENZA, DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 9 OTTOBRE 1990, N. 309, NONCHÉ DI IMPIEGO DI MEDICINALI MENO ONEROSI DA PARTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE»

Audizione di rappresentanti del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA), della Comunità di San Patrignano, dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dell'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche (ACUDIPA), del Forum droghe, dell'Associazione La società della ragione, del professor Giovanni Biggio, presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia, del professor Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria, del professor Maurizio Pompili, responsabile del servizio per la prevenzione del suicidio presso l'Ospedale S. Andrea di Roma, di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori del Dipartimento e dei servizi delle dipendenze (FeDerSerD), di Vittorio Manes, professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Bologna, del dottor Giovanni Serpelloni, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, della dottoressa Marcella Marletta, direttore generale dei dispositivi medici del Servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute, e del dottor Andrea De Gennaro, direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
De Facci Riccardo , Vicepresidente nazionale del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA) ... 4 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Boschini Antonio , Responsabile sanitario della Comunità di San Patrignano ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Boschini Antonio , Responsabile sanitario della Comunità di San Patrignano ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Barberis Bartolomeo , Responsabile comunità terapeutiche dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Mammana Giuseppe , Presidente dell'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche (ACUDIPA) ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Bignami Giorgio  ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Bignami Giorgio  ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Bignami Giorgio  ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Saraceni Luigi  ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Janiri Luigi , Vicepresidente Sezione speciale SIP dipendenze ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Biggio Giovanni , Ordinario di neuropsicofarmacologia presso l'Università di Cagliari e presidente Società italiana di neuropsicofarmacologia ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Pompili Maurizio  ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Amato Maria (PD)  ... 19 
Farina Daniele (SEL)  ... 19 
Gigli Gian Luigi (PI)  ... 19 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 19 
Turco Tancredi (M5S)  ... 20 
Pagano Alessandro (NCD)  ... 20 
Burtone Giovanni Mario Salvino (PD)  ... 20 
Carnevali Elena (PD)  ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Janiri Luigi , Vicepresidente Sezione speciale SIP dipendenze ... 21 
Biggio Giovanni , Ordinario di neuropsicofarmacologia presso l'Università di Cagliari e presidente Società italiana di neuropsicofarmacologia ... 21 
Barberis Bartolomeo , Responsabile comunità terapeutiche dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ... 22 
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 
Mammana Giuseppe , Presidente dell'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche (ACUDIPA) ... 22 
De Facci Riccardo , Vicepresidente nazionale del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA) ... 22 
Pompili Maurizio  ... 23 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 23 
Ferranti Donatella , Presidente ... 23 
D'Egidio Pietro Fausto , Presidente nazionale – direttore Ser.D Pescara della Federazione italiana degli operatori del Dipartimento e dei servizi delle dipendenze (FeDerSerD) ... 23 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Manes Vittorio , Professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Bologna ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 29 
Serpelloni Giovanni , Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri ... 29 
Ferranti Donatella , Presidente ... 32 
Marletta Marcella , Direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute ... 32 
Ferranti Donatella , Presidente ... 32 
Marletta Marcella , Direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute ... 32 
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 
De Gennaro Andrea , Direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 35 
Ferranti Donatella , Presidente ... 37 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 37 
Ferranti Donatella , Presidente ... 37 
Vargiu Pierpaolo (SCpI) , Presidente della XII Commissione ... 37 
Serpelloni Giovanni , Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri ... 37 
Farina Daniele (SEL)  ... 39 
Ferranti Donatella , Presidente ... 40 
Ermini David (PD)  ... 40 
Ferranti Donatella , Presidente ... 40 
Manes Vittorio , Professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Bologna ... 40 
De Gennaro Andrea , Direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ... 41 
Marletta Marcella , Direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute ... 41 
Serpelloni Giovanni , Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri ... 42 
Ferranti Donatella , Presidente ... 43

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 12.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA), della Comunità di San Patrignano, dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dell'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche (ACUDIPA), del Forum droghe, dell'Associazione La società della ragione, del professor Giovanni Biggio, presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia, del professor Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria, del professor Maurizio Pompili, responsabile del servizio per la prevenzione del suicidio presso l'Ospedale S. Andrea di Roma, di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori del Dipartimento e dei servizi delle dipendenze (FeDerSerD), di Vittorio Manes, professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Bologna, del dottor Giovanni Serpelloni, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, della dottoressa Marcella Marletta, direttore generale dei dispositivi medici del Servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute, e del dottor Andrea De Gennaro, direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 2215, di conversione in legge del decreto-legge n. 36 del 2014, recante «Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale», l'audizione di rappresentanti del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA), della Comunità di San Patrignano, dell'Associazione comunità Papa Giovanni XXIII, dell'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche (ACUDIPA), del Forum droghe, dell'Associazione La società della ragione, del professor Giovanni Biggio, presidente della Società italiana di neuro-psico-farmacologia, del professor Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria, del professor Maurizio Pompili, responsabile del servizio per la prevenzione del suicidio presso l'Ospedale S. Andrea di Roma, di rappresentanti della Federazione italiana degli operatori del Dipartimento e dei servizi delle dipendenze (FeDerSerD), di Vittorio Manes, professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Bologna, del dottor Giovanni Serpelloni, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, della dottoressa Pag. 4Marcella Marletta, direttore generale dei dispositivi medici del Servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute, e del dottor Andrea De Gennaro, direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
  Prego i colleghi di aiutarci a tenere fede a questa tabella di marcia, anche perché, con il presidente Vargiu, abbiamo ritenuto di non fare riduzioni rispetto alle richieste che sono arrivate dai Gruppi per le audizioni. Abbiamo cercato, quindi, di dare ampio spazio, anche in considerazione delle tematiche che riguardano il provvedimento, che è importante e lo merita.
  A causa dei tempi ristretti a disposizione delle Commissioni, considerato che, peraltro, è previsto l'avvio dell'esame in Aula a partire dal 14 aprile e stante l'elevato numero degli esperti da audire, gli interventi dovranno essere contenuti in otto minuti, anche per permettere successivamente, magari per gruppi di esperti, di porre domande da parte dei deputati.
  In proposito chiederò poi l'aiuto da parte dei colleghi. Vi prego, se necessario, di fare domande e non interventi. Riserveremo gli interventi a un'altra seduta, in cui si inizierà a dibattere del merito, prima del termine per gli emendamenti.
  Nel primo gruppo di auditi sono presenti: per il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza il dottor Riccardo De Facci; per la Comunità di San Patrignano il dottor Antonio Boschini e il dottor Francesco Vismara; per l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII Bartolomeo Barberis e Luca Luccitelli; per l'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche il dottor Mammana e il dottor Di Lauro; per La società della ragione l'avvocato Luigi Saraceni; per la Società italiana di psichiatria il dottor Luigi Janiri; infine, il professor Giovanni Biggio e il professor Maurizio Pompili.
  Questo è il primo gruppo. Vi ringrazio. Dicevo in anteprima che, considerato il numero di auditi e avendo ritenuto di fare un'indagine conoscitiva approfondita da parte delle due Commissioni congiunte, vi pregherei di contenere i vostri interventi in otto minuti.
  Do la parola al dottor Riccardo De Facci, Vicepresidente nazionale del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza.

  RICCARDO DE FACCI, Vicepresidente nazionale del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA). Vi porto i saluti di don Armando, presidente del CNCA, che purtroppo in questo momento è impegnato a Trieste.
  Illustro due elementi, perché forse non tutti lo conoscono, sul CNCA. Il CNCA rappresenta la più grossa rete italiana di comunità terapeutiche. Conta circa 300 comunità in tutta Italia. Per chi conosce i vari territori, CNCA è stata fondata da don Luigi Ciotti e don Gino Rigoldi. Io sono il vicepresidente nonché il responsabile per il tema droghe.
  Approfittando del fatto di avere le due Commissioni, svolgo una piccola premessa di un minuto per poi soffermarmi su alcuni elementi molto concreti.
  Noi riteniamo che la cancellazione della legge Fini-Giovanardi raggiunga sicuramente, secondo la nostra posizione, un obiettivo importantissimo, ma che apra anche una serie di quesiti, che io credo vi vengano consegnati, non solo rispetto al «decreto Lorenzin», ma anche in prospettiva. Per ragionare facciamo due affermazioni che ci sembrano importanti.
  In primo luogo, anche la Jervolino-Vassalli era una legge contraddittoria, in quanto dichiarava nel suo principio iniziale la non liceità del consumo, ma è stata poi rivista da un referendum nel 1993, il quale ha stabilito di non punire tale consumo. Non si è mai andati a cercare una situazione di sintesi, il che evidentemente ha aperto le grosse contraddizioni di questi anni, contraddizioni che ritroviamo anche nel «decreto Lorenzin». Questo è un primo elemento.
  Come secondo elemento, noi riteniamo che, a questo punto, il decreto in quanto tale potesse essere evitato. Gli elementi di urgenza, che sono quelli legati ai farmaci Pag. 5e ai trenta giorni, avrebbero potuto anche essere introdotti da un decreto del ministro della salute, così come la tabella delle sostanze.
  Vorremmo, invece, richiamarvi su un elemento, di cui sappiamo che si sta ragionando. L'attuale situazione d'urgenza, per quanto ci riguarda, è rappresentata dalle 12.000 persone condannate o in attesa di giudizio per la legge Fini-Giovanardi, che in questo momento sono in una situazione assolutamente sospesa, con una legge che è stata cancellata. Ci sono 12.000 persone che, per la situazione attuale, dovrebbero fare un ricorso individuale rispetto alla revisione della pena. Questo è un elemento su cui richiamiamo la vostra attenzione.
  Nello specifico, ci sembra assolutamente contraddittoria l'impostazione del decreto. Viene inutilmente riconfermato il fatto che la legge Fini-Giovanardi venga cancellata per un aspetto puramente burocratico e non già per la legittimità sostanziale delle norme di pronuncia. Se una legge è cancellata per anticostituzionalità, è cancellata. Non c'era bisogno di andare a riaffermare che i contenuti rimangono. C’è la cancellazione della legge, che deve essere rispettata. Su questo chiediamo la vostra attenzione.
  Il secondo punto importantissimo, che noi riteniamo rimanga un elemento importante, è il ritorno alla separazione tra sostanze diverse. Noi non usiamo le parole «droghe leggere» e «droghe pesanti». Riteniamo che si debba andare, da un punto di vista sanitario, scientifico, culturale e legislativo, verso un trattamento diverso di sostanze potenzialmente pericolose da un punto di vista sanitario, per le morti, e di sostanze potenzialmente pericolose in un'area più socio-sanitaria.
  Per esperienza, lo dice l'Europa, non esiste un tunnel della droga. Non esiste. I numeri attuali del consumo ci interrogano più da un punto di vista educativo e pedagogico. Calcoliamo che in Italia non abbiamo un Piano salute, né un Piano prevenzione nelle scuole. Di hashish e di cannabinoidi non è morto nessuno, anche se molte persone rischiano di farsi male. Pertanto, riteniamo che la separazione vada rimarcata e trattata in maniera diversa, sicuramente non affidata all'aspetto penale.
  Passo a un altro elemento importante. Noi non capiamo il senso di un continuo ricorrere del Dipartimento politiche antidroga all'interno del decreto. Ci sembra, invece, che alcune decisioni, quali ad esempio quelle sulla gravosità delle sostanze, vadano prese dall'Istituto superiore di sanità. Attualmente il Dipartimento, in quanto tale, collocato in quella posizione, non ha molto senso. Va ripreso un coordinamento forte tra i vari aspetti, che sono sanitari, legali, sociali, con le regioni e gli indirizzi dello Stato. Proponiamo, quindi, un cambiamento totale, che in questi anni non c’è stato.
  Aggiungo altre tre considerazioni e mi fermo. Credo di essere ancora nei tempi. Con il ritorno alla Jervolino-Vassalli noi ritorniamo a una contraddizione forte, ancor più aggravata dal fatto che in questo momento abbiamo un range di possibile pena, che va dai 2 ai 6 o dagli 8 ai 20 anni, molto ampio con un'eccessiva discrezionalità. Con riferimento alla quantità delle sostanze, per esempio, rischiamo di avere trattamenti eccessivamente difformi e di dover ritornare alla Consulta. Il range da 8 a 20 anni, senza una definizione di quantità e di criteri, è un elemento sul quale riteniamo si debba andare a ragionare, sapendo che quello della quantità è comunque un tema estremamente delicato, per il quale rinviamo a un percorso futuro.
  Vengo agli ultimi due aspetti. A noi sembra assolutamente inutile, anzi estremamente penalizzante, la sottolineatura [interruzione audio] alle misure alternative, la necessità e l'obbligo di segnalare all'autorità competente un'eventuale trasgressione. La parola è diversa, ma è completamente vaga. Noi riteniamo che un patto terapeutico debba rimanere un patto terapeutico. Un patto con la giustizia esiste già nel momento in cui ci vengono affidati gli arresti e, quindi, questo tipo di situazione è un elemento assolutamente problematico.Pag. 6
  Come ultimo aspetto, evidenzio la sottolineatura, ormai astorica e ascientifica, connessa alla necessità di legare a finalità esclusivamente cliniche e terapeutiche il trattamento delle persone con un farmaco sostitutivo. Attualmente su quasi 200.000 persone in carico ai servizi 100.000 hanno un trattamento farmacologico. Quello è già un trattamento terapeutico farmacologico alle persone. Il fatto di doverlo legare a un programma riabilitativo – come indicano i dati della somministrazione – mi sembra assolutamente inutile.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie di aver rispettato i tempi. La ringrazio molto delle osservazioni che ha voluto fare.
  La Comunità di San Patrignano è qui rappresentata dal dottor Antonio Boschini, responsabile sanitario, e dal dottor Francesco Vismara, responsabile delle relazioni istituzionali. Interviene il dottor Boschini.
  Voglio anticipare che l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ha prodotto anche un documento, come pure Forum droghe. Questi documenti sono già a disposizione.
  Do la parola, per la Comunità di San Patrignano, al dottor Boschini.

  ANTONIO BOSCHINI, Responsabile sanitario della Comunità di San Patrignano. Buongiorno a tutti. Anche noi abbiamo un documento, che poi vi invieremo.

  PRESIDENTE. Grazie. Chi non ce l'ha adesso e ce lo vuole inviare lo può mandare alle e-mail delle Commissioni.

  ANTONIO BOSCHINI, Responsabile sanitario della Comunità di San Patrignano. Io sono medico e parlo in qualità, in parte di medico, in parte di educatore, perché nella Comunità da ormai trent'anni ci occupiamo di trattamento delle dipendenze. Eviterò, anche perché non ne ho assolutamente la competenza, di entrare nel merito di questioni di carattere legislativo, che faccio anch'io fatica a comprendere.
  A noi interessa molto il discorso droghe pesanti e droghe leggere, perché di questo si sta molto parlando negli ultimi tempi. Si tratta di una distinzione che non è mai stata fatta a livello scientifico. È una distinzione che viene attribuita al pensiero comune, perché quelle che vengono definite «droghe leggere» sono droghe circolate ampiamente negli anni Settanta, che facevano parte di una cultura di rinnovamento. Spesso è rimasto questo retaggio, quasi un messaggio positivo rispetto a queste sostanze. Sicuramente non c’è mai stata la percezione, anche nelle persone della nostra fascia di età, che ci fosse qualcosa di pericoloso legato a queste sostanze.
  In effetti, come diceva il dottor De Facci, nessuno è mai morto a causa della cannabis della quale non esiste una dose letale. Addirittura la principale rivista sanitaria del mondo, The Lancet, nel 1995 pubblicò un articolo dicendo che non c'era alcuna evidenza che la cannabis potesse essere considerata una droga, in quanto risultava ai più innocua. Proprio dieci anni dopo, nel 2007, però, la stessa rivista pubblicò quasi un articolo di scusa, dicendo: «Ci siamo sbagliati. Questa è una sostanza chiaramente associata a patologie di carattere psichiatrico».
  Da allora, dal 2007 a oggi, in questi ultimi sette anni, sono stati centinaia e centinaia gli articoli pubblicati su riviste mediche in cui l'uso di cannabis viene associato a patologie di tipo psichiatrico o anche, più recentemente, a problemi di riduzione del quoziente intellettivo. Questo è un dato di fatto che dal punto di vista scientifico nessuno, credo, può mettere in discussione.
  Un'altra novità che riguarda questa droga, a mio parere solo definita «leggera», è il fatto che l'ultima pubblicazione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), un testo psichiatrico universalmente riconosciuto, definisce la cannabis come una sostanza che provoca dipendenza, nozione che fino a qualche anno prima non era ritenuta Pag. 7fondata. Vengono descritte una dipendenza da cannabis e una crisi d'astinenza da cannabis.
  Certo è che, e questo è vero, rispetto alle altre droghe la capacità di produrre dipendenza della cannabis è di gran lunga inferiore. Su 100 persone che usano eroina sicuramente almeno la metà sviluppa una dipendenza. Su 100 persone che usano la cannabis sicuramente almeno il 70 per cento, secondo dati OMS, smette spontaneamente nel tempo di usarla, un 20 per cento la continua a usare ma in maniera sporadica – non è, quindi, considerabile come una dipendenza – ma un 9 per cento sviluppa una dipendenza da cannabis.
  Addirittura, però, studi più recenti ci indicano che negli adolescenti, cioè in persone con età minore di 15 anni, che usano la cannabis il rischio di dipendenza sale dal 10 al 20 per cento. La cannabis può, dunque, dare dipendenza.
  Un altro discorso che sta molto a cuore a noi che ci occupiamo del tema, è che nelle nostre comunità, come, immagino, nelle comunità delle persone che hanno parlato prima di me, arrivano persone con problemi di dipendenza da eroina o cocaina, droghe definite usualmente «pesanti».
  Un dato che ci interessa sottolineare è che tutte le persone che arrivano da noi e che hanno usato cocaina, eroina o altro – se non tutte, il 99 per cento – hanno cominciato il contatto con le droghe usando la cannabis. Esiste, quindi, sicuramente una correlazione. Da un punto di vista statistico sanitario, si può assolutamente dire che l'uso di cannabis sia un fattore di rischio per il successivo utilizzo di altre sostanze.
  Il perché non è chiaro. Secondo i neurobiologi, tutte le droghe, la cannabis inclusa, agiscono sui centri nervosi che producono dopamina e, quindi, la cannabis potrebbe sensibilizzare delle aree cerebrali che poi diventano più sensibili all'azione e alla dipendenza da altre droghe.
  Potrebbero anche esserci altre teorie. Una, per esempio, è di tipo genetico: ci sono persone che sono predisposte alla dipendenza e, quindi, il fatto che usino prima la cannabis e poi altre droghe non dimostra una correlazione fra queste sostanze, quanto una vulnerabilità generica rispetto a più dipendenze.
  Al di là di queste due principali teorie, la nostra osservazione, sviluppata in oltre trent'anni, è che, al di là della genetica o della dopamina, esiste un concetto per cui, quando un ragazzo, per modificare la propria percezione di sé o del mondo e, quindi, per trovare maggior facilità a socializzare, per non avere problemi di timidezza o di imbarazzo, per sentirsi più disinvolto con le persone – questo per un adolescente è un problema reale e molto frequente -accetta di poter fare questo usando una droga, apre una porta per poi poter dire: «Va bene: se questo mi fa sentire meglio, può darsi che quest'altro mi faccia sentire ancora meglio».
  Noi riteniamo molto pericoloso che per i giovani ci possa essere la percezione che queste sostanze siano talmente leggere e innocue che il loro uso o il fatto di poterle acquistare o utilizzare sia una cosa normale. Rispetto a quanto previsto dal decreto-legge in oggetto e alle relative proposte di modifica noi ribadiamo, quindi, quanto segue: sia sempre ben chiaro a tutti che tutte le droghe sono una scelta sbagliata e che una qualsiasi forma di depenalizzazione, liberalizzazione o facilitazione all'uso della cannabis è un messaggio estremamente negativo per i giovani.
  Le tabelle che sono state riformulate nel recente decreto-legge – così è scritto – sono state riformulate in base a un criterio di capacità di produrre dipendenza. In questo senso la cannabis è stata messa in una tabella diversa, giustamente, rispetto all'eroina, per esempio, perché, come dicevo prima, la sua capacità di produrre dipendenza è minore rispetto a quella dell'eroina.
  Secondo noi, invece, avrebbe dovuto essere considerata anche la tossicità intrinseca di una sostanza e non soltanto la capacità di produrre dipendenza. Può sembrare paradossale, può sembrare Pag. 8un'affermazione eccessiva, ma con i dosaggi di THC contenuti adesso nella cannabis la sua tossicità – non la dipendenza – potrebbe essere anche superiore a quella degli oppiacei.
  Queste tabelle andrebbero riformulate considerando questo aspetto. Non a caso, stranamente, l'LSD, che non produce assolutamente dipendenza, ma è estremamente tossico, è stato incluso, invece, nella tabella 1, quella delle droghe «pesanti».
  Ci sono, dunque, alcune cose che, secondo noi, non sono molto chiare. Le altre che non sono riuscito a illustrare ve le mando per e-mail.

  PRESIDENTE. Per l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha già lasciato un documento, do la parola a Bartolomeo Barberis, responsabile delle comunità terapeutiche.

  BARTOLOMEO BARBERIS, Responsabile comunità terapeutiche dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Buongiorno a tutti e grazie di questa occasione di approfondire un tema che ci sta estremamente a cuore.
  La nostra associazione, già dal 1980, ha creato una rete di comunità terapeutiche. Sono attualmente 21 in Italia, più numerose all'estero. Il nostro fondatore è don Oreste Benzi, che credo diversi di voi abbiano conosciuto. Lui ha sempre dedicato molto spazio e molto del suo tempo a questo tema, perché è estremamente importante.
  Anche noi riteniamo che nella definizione degli effetti nocivi delle sostanze psicoattive la dizione «droghe leggere» e «droghe pesanti» sia assolutamente inesatta. Tale dizione nasce, peraltro, in ambito giornalistico e non ha fondamento scientifico, anche perché si deve considerare non solo la sostanza di per sé, ma anche la modalità di uso, la motivazione per cui essa viene usata e la personalità di chi la sta utilizzando.
  Rispetto ai derivati dell’hashish e della cannabis, è vero che non hanno mai fatto morire nessuno, ma non possiamo ignorare il fatto che abbiano un potente effetto slatentizzante di pregresse predisposizioni alla patologia psichiatrica. Se l'eroina, estremamente sedativa del sistema nervoso centrale, comporta rischi di morte a causa di overdose e blocco del sistema circolatorio, comporta, però, di per sé, molto di meno il rischio di creare psicosi indotte. È stato accertato che, per quanto riguarda la cannabis, questo rischio aumenta fino a sei volte. Nelle nostre comunità noi abbiamo spesso accolto giovani che, a causa dell'uso intenso di cannabis, avevano avuto questo tipo di problematica.
  È già stato sottolineato, e anche noi riteniamo importante considerarlo, che rispetto agli anni in cui fu emanata la Jervolino-Vassalli e alle legislazioni successive è cambiata in maniera forte la concentrazione di THC, che è aumentata fino a otto o dieci volte. Sono state create numerose nuove droghe sintetiche disegnate a tavolino.
  In sintesi, il problema non è la droga leggera o pesante, ma la valutazione di ogni singola sostanza e soprattutto delle caratteristiche del soggetto che ne fa uso. Introduco ora il tema che a noi sta più a cuore: il tema educativo.
  Credo che tutti noi siamo giustamente e sanamente preoccupati del cammino di crescita dei nostri giovani, che oggi incontrano tante difficoltà, non ultima, come abbiamo visto, quella di avere un lavoro e, quindi, una prospettiva per il loro futuro. Ogni giovane ha diritto di avere la possibilità di sviluppare le ricchezze e i doni di cui è stato dotato. Ampliare e facilitare la possibilità di utilizzo di sostanze psicoattive è oggettivamente un grave vulnus di fronte a questo diritto.
  Già molti anni fa il professor Andreoli, in un convegno che organizzammo insieme, affermò con forza il diritto a non drogarsi. Ciò significa che tutta la società deve organizzarsi per prevenire l'utilizzo di sostanze stupefacenti, in particolare da parte dai giovani. In questo senso recenti prese di posizione, per esempio, del Governo uruguaiano e degli Stati del Colorado e di Washington, i quali puntano alla legalizzazione della cannabis, definendola «sostanza leggera», comporta un rischio Pag. 9enorme. Noi non vorremmo che anche in Italia seguissimo strade di questo tipo.
  Noi riteniamo che sia fondamentale che la legislazione non vada verso forme di accettazione passiva o di depenalizzazione dell'utilizzo delle sostanze psicoattive, senza dimenticare, ovviamente, che ci sono differenze enormi fra il possesso, il piccolo spaccio e il traffico internazionale di sostanze, differenze che non possono non trovare una precisa collocazione a livello delle normative che saranno emanate.
  Vorremmo poi sottolineare, in merito al grave dramma del sovraffollamento carcerario, che in Italia assistiamo a una distorsione oggettiva della pena che deve essere comminata, nel caso in cui sussista un reato. Purtroppo, il primo elemento a cui si fa ricorso nel caso di condanna penale è quello della carcerazione. Questo è, oggettivamente, un errore. Dobbiamo sviluppare al massimo tutte le forme di misure alternative alla carcerazione. In Italia ci sono già alcune norme in merito, ma credo che ulteriori passi avanti vadano fatti.
  Il nostro fondatore, don Oreste Benzi, sottolineava già da molti anni che dobbiamo passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero della persona. In questo senso, come Comunità Papa Giovanni, noi abbiamo dato vita a un progetto educativo, che chiamiamo CEC (Comunità educante con i carcerati), che prevede proprio l'inserimento in strutture alternative.
  La legislazione italiana, la Costituzione stessa, non offre, allo stato attuale, molti spazi. Non so se conoscete l'esperienza brasiliana dell'Associazione per la protezione e l'assistenza ai condannati (APAC), un'esperienza di trentacinque anni, che è stata definita dalle Nazioni Unite «il miglior sistema di recupero delle persone condannate». Io personalmente ho avuto modo di visitare queste realtà.
  In Italia stiamo cercando di riproporre questa modalità di approccio, nella quale si mette al centro non la punizione, non la pena come elemento afflittivo, ma il cammino che deve volgere al recupero della persona stessa. In tale contesto deve esserci il massimo sviluppo possibile. Addirittura l'esperienza dell'APAC brasiliana prevede che persone che ricevono condanne, anche pesanti, non passino neanche attraverso il carcere tradizionale, ma vadano subito in strutture alternative in questo senso.
  Noi riteniamo che il necessario intervento educativo passi anche attraverso il sottolineare che ciò che non è lecito va sanzionato. Sappiamo bene che una legge che non preveda delle sanzioni è una legge inefficace. In questo senso riteniamo molto pericolosa ogni deriva verso forme di liberalizzazione di sostanze psicoattive. Vogliamo, però, insistere sul fatto che non è la reclusione in carcere la prima strada da seguire, ma è quella del recupero della persona, con tutte le forme già previste di affidamento ai servizi e ai lavori socialmente utili e di inserimento nelle comunità di recupero.
  Va spinto, quindi, al massimo l'acceleratore su queste forme di intervento, che peraltro sono assolutamente meno onerose per lo Stato, ma che soprattutto ottengono il grande risultato di diminuire con forza l'effetto della porta girevole che sappiamo si può creare nel carcere, per cui circa l'80 per cento di chi viene liberato dopo una carcerazione ritorna a delinquere. Il tema educativo deve essere, quindi, il primo che a noi stia a cuore.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Do la parola, per l'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche, al professor Giuseppe Mammana.

  GIUSEPPE MAMMANA, Presidente dell'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche (ACUDIPA). Ringrazio innanzitutto per quest'audizione su un tema così delicato e importante e presento brevissimamente l'associazione.
  La nostra è una società scientifica nazionale, è una delle tre società scientifiche nazionali che operano nel campo, e si caratterizza per due aspetti. Il primo è di avere al proprio interno la presenza tanto di professionisti dei servizi pubblici, quanto di professionisti, operatori e volontari Pag. 10del cosiddetto privato sociale, come anche del mondo accademico. La nostra è una società, da questo punto di vista, mista e un po’ differente dalle altre.
  L'altro tratto caratterizzante della nostra associazione è la forte finalizzazione del nostro lavoro scientifico di studio e operativo alle cure riabilitative. Noi riteniamo che il campo delle dipendenze sia stato inficiato per troppi anni, da un punto di vista clinico e sociale, da un'idea di sistemi cronicizzanti di terapia e che questo sia un grave danno per il Paese e per i cittadini che usufruiscono di questi servizi.
  Abbiamo letto il decreto-legge n. 36 del 20 marzo 2014 e ravvisiamo l'estrema opportunità che esso ci offre, soprattutto per le motivazioni che hanno dato origine al decreto stesso, cioè per il vizio di costituzionalità per il quale la Corte costituzionale ha bocciato la Fini-Giovanardi. Tale vizio costringe a questa revisione, in quanto, si ricorderà, la materia che riguardava le tossicodipendenze era stata inserita, in sede di conversione, all'interno di un decreto-legge sulle Olimpiadi invernali del 2006. Il motivo per cui la Corte costituzionale ritiene fondamentale questo decreto è, quindi, anche il motivo sostanziale per il quale siamo qui oggi.
  Nel merito occorre svolgere alcune considerazioni. La prima riguarda le sostanze e la diversità delle stesse. Qualcuno ha già detto che i princìpi di concentrazione delle sostanze psicoattive le rendono diverse e che, quindi, non esistono droghe leggere e droghe pesanti, ma esistono delle droghe ed esiste la loro modalità d'uso.
  Da questo punto di vista, bene fa il decreto quando cita come riferimento il Dipartimento politiche antidroga, perché questo Dipartimento, a nostro avviso, ha reso possibile negli ultimi anni un intervento integrato su vari assi delle politiche che riguardano le dipendenze.
  Le dipendenze non afferiscono unicamente alla materia sanitaria, ma anche alla materia sociale, alla materia giuridica, alla materia economica. Solo un organismo sovra-ministeriale può intervenire con efficacia su questi aspetti, che sono trasversali. Il ritorno a Istituzioni puramente sanitarie o puramente sociali sarebbe un ritorno all'indietro, perché non conferirebbe a un organismo capace di intervenire in questa materia la potestà di agire su competenze tanto differenti.
  Per quello che riguarda, invece, il problema della cannabis, ho già detto che la questione della percentuale del principio attivo è una questione centrale. Esistono studi ormai da oltre cinquant'anni. Noi riporteremo e consegneremo alla Commissione un vecchio studio, addirittura del 1969, della struttura militare svedese, compiuto da ricercatori inglesi e svedesi. Già nel 1969 essi affermavano che il rischio relativo allo sviluppo della schizofrenia per i consumatori di cannabis – non per coloro che avevano sviluppato dipendenza, ma per i consumatori – proprio perché fa perno su vulnerabilità individuali, è da 2,5 a 6 volte superiore rispetto quello relativo a soggetti cosiddetti normali. Consegneremo, dunque, questo studio, che è vecchio di dieci anni come pubblicazione, ma è addirittura del 1969 come data di effettuazione.
  Vorrei anche ribadire un pericolo che esiste attualmente in questo dibattito sulla cannabis. Il pericolo è relativo al fatto che la prescrizione medica della cannabis, che certamente può essere utile per alcuni tipi di patologie, venga poi allargata all'utilizzo nel trattamento, per esempio, delle dipendenze o degli stati di assuefazione alla cannabis stessa.
  Dobbiamo stare molto attenti a questo rischio, che è insito nelle norme varate e che può produrre fenomeni di cronicizzazione analoghi a quelli spesso prodotti dall'utilizzo improprio e solitario dei farmaci sostitutivi degli oppiacei, come il metadone e altre sostanze di questo genere. Oggi è molto evidente che nel corso degli anni si sia prodotta nel nostro campo, soprattutto nel campo degli oppiacei, una cronicizzazione iatrogena dei pazienti che sono curati solo con sistemi farmacologici. Spesso essa si aggiunge alla cronicità tendenziale delle patologie da dipendenza.Pag. 11
  Noi dobbiamo evitare questi rischi per tante ragioni di salute, ma anche di tipo economico. Nessuno Stato può caricarsi di una quota di «invalidi sociali», che sono quelli prodotti spesso da fenomeni che si cumulano, come l'antisocialità e l'utilizzo massiccio di farmaci sostitutivi, senza che a questo cooperino misure di integrazione psicosociale.
  Io vorrei, inoltre, che le norme future tenessero conto anche di un nostro punto fisso, come associazione, ossia del fatto che, così come ha detto chi mi ha preceduto, le cure siano assolutamente prevalenti rispetto a tutti i sistemi di detenzione e di carcerazione. La prevalenza delle cure per noi è il problema centrale.
  Occorre anche che le cure siano liberalizzate, ovvero che ci sia da parte dei cittadini la possibilità di scegliere liberamente il luogo dove curarsi e che questo possa avvenire tanto nelle strutture pubbliche, quanto in quelle del privato sociale.
  Il terzo punto è che si privilegino e si premino, sia da un punto di vista sia giuridico, sia delle misure terapeutiche, tutti i programmi farmacologici, psicologici e sociali che riducono la cronicità e la cronicizzazione di questa patologia e dei soggetti che ne sono affetti e che sviluppino azioni di prevenzione precoce.
  In ultimo, bisogna tener conto anche del fatto che ormai le dipendenze da sostanze sono spesso associate ad altre dipendenze altrettanto nocive e che un campo d'azione importante delle norme dovrebbe concernere anche le altre forme di dipendenza, soprattutto quando esse siano commiste alle dipendenze classiche da sostanza.
  Su tutto questo forniremo un documento che invieremo alla Commissione, cui allegheremo anche il documento scientifico riferito allo studio svedese di oltre quarant'anni fa.

  PRESIDENTE. Grazie molte, professore, anche perché ha rispettato esattamente i tempi.
  Do la parola, per il Forum droghe, al dottor Giorgio Bignami, membro del Comitato scientifico.

  GIORGIO BIGNAMI, Membro del Comitato scientifico del Forum droghe. Ringrazio molto le due Commissioni per l'invito a quest'audizione, anche a titolo personale, dato che il mio mestiere per quarant'anni all'Istituto superiore di sanità è stato quello di psico-farmacologo. Ho già presentato una memoria, che è stata inviata ieri alla Segreteria della Commissione.
  A nome dell'associazione, della presidenza e del direttivo di Forum droghe – la presidenza è cambiata alcuni giorni fa; io sono stato presidente dal 2010 al 2014 – dobbiamo esprimere alcune notevoli perplessità sul decreto legge n. 36 del 2014, ritenendo in prima battuta che una buona parte dei contenuti del decreto-legge non faccia parte della necessità e dell'urgenza.
  Per esempio, il rifacimento delle tabelle, dopo l'abrogazione delle tabelle relative alla Fini-Giovanardi, avrebbe potuto essere fatto con il meccanismo ordinario della decretazione ministeriale. Ciò significa che la decretazione d'urgenza avrebbe avuto un senso se ci fosse stato un sostanziale miglioramento rispetto ai profili indicati dal testo unico del 1990, cioè dalla Jervolino-Vassalli, mentre nell'ordinamento del nuovo decreto noi troviamo un'indicazione delle sostanze, nelle tabelle da 1 a 5, in funzione della pericolosità, una graduatoria che non possiamo condividere.
  Per esempio, se prendiamo analisi autorevoli, come quella che è stata fatta dal gruppo del professor Nutt in Inghilterra e che è stata pubblicata sul The Lancet del 2010, vediamo che, a parte le droghe lecite, come l'alcol e il tabacco, che sono in testa alle graduatorie di pericolosità, sia i barbiturici, sia le benzodiazepine possono produrre danno fisico, dipendenza e danno sociale maggiori di quelli della cannabis e dell'LSD.
  Le persone che hanno parlato prima di me hanno insistito molto sulla nocività e sulla psico-patogenicità della cannabis. In realtà, devo sottolineare il fatto che i ricercatori in questo campo sono divisi in due fazioni. Ci sono quelli che sostengono Pag. 12un rapporto causa-effetto e ci sono quelli che sostengono, viceversa, con dati statistici anche piuttosto convincenti, la tesi dell'influenza dei fattori di confondimento. Ciò significa che in uno studio longitudinale, ossia in uno studio osservazionale e non in una sperimentazione in doppio-cieco randomizzata, i fattori di confondimento, come il livello socioeconomico, la condizione delle famiglie e altri fenomeni di questo genere, sono più che sufficienti per spiegare le differenze fra consumatori e non consumatori.
  Desta perplessità anche il modo in cui sono stati cambiati, rispetto alla Jervolino-Vassalli, gli organi responsabili della formulazione delle tabelle. Per esempio, scompare il Ministero della giustizia, che ha un'importanza in questo campo, perché segue il movimento di coloro che hanno violato la legge, e scompare l'Istituto superiore di sanità.
  Io non dovrei parlare di questo, perché sembra una sorta di Cicero pro domo sua, ma nell'Istituto superiore di sanità esiste un grande Dipartimento del farmaco con settori che si occupano specificamente di psicofarmaci e, quindi, anche di usi illeciti degli psicofarmaci e altri che si occupano di droghe e di altre sostanze psicoattive. Pertanto, non è assolutamente comprensibile il motivo per il quale l'Istituto sia stato escluso dall'attività consultiva mirata alle tabelle.
  Vi sono poi alcune perplessità che, secondo noi, limitano l'efficacia delle provvidenze di assistenza e cura. Per esempio, l'obbligo indiscriminato di segnalare, nel caso di soggetti che sono in programmi terapeutici come misure alternative, tutte le violazioni del programma è, secondo noi, un fatto eccessivo. Esistono violazioni minori, che, oggi come oggi, sono sufficienti spesso e volentieri a riportare in carcere il soggetto e che, viceversa, dovrebbero essere tollerate per consentire la prosecuzione del programma terapeutico.
  Così pure c’è un'enfasi molto forte sulla disassuefazione. Tale enfasi va contro una consistente letteratura internazionale, la quale mostra che esiste, purtroppo, uno zoccolo duro di soggetti renitenti alla disassuefazione, per tenere in vita i quali, per evitare che muoiano di overdose, di AIDS o di epatite C, come male minore li si mantiene in terapie sostitutive, anche per lunghi periodi di tempo.
  Questo riguarda un aspetto estremamente delicato. In molti Paesi è stata sperimentata, proprio per la parte più dura dello zoccolo più duro dei soggetti, l'efficacia dei programmi di mantenimento con eroina. Questo nei casi di soggetti che seguitano a ricorrere, con grave rischio, all'eroina di strada e ai quali non venga concessa l'eroina come trattamento sostitutivo.
  Se ci sono due minuti di tempo, farei anche un'aggiunta che forse interessa alla Commissione affari sociali, più che alla Commissione giustizia. Riguarda l'impiego dei farmaci meno onerosi. Su questo tema ci sono due lavori importanti che io ho segnalato, uno del reparto di farmaco-epidemiologia dell'Istituto superiore di sanità, a opera di un ricercatore che è anche membro nel Consiglio di amministrazione dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), l'altro del gruppo dell'Emilia-Romagna, firmato anche su Il Sole 24 ORE Sanità dalla senatrice Dirindin.
  Le disposizioni contenute per arrivare a consentire l'uso off label del farmaco meno costoso sono, in un certo senso, sconcertanti. Sono, infatti, subordinate – i dettagli si trovano nei lavori che ho fornito – a tutta una fase sperimentale, con o senza accordo con la ditta interessata, mentre esiste una documentazione fenomenale per cui praticamente nel giro di ventiquattro ore l'AIFA e le altre autorità responsabili ai livelli regionali potrebbero consentire quest'uso senza tutto questo giro pazzesco.
  Chiudo qui, perché l'argomento è molto vasto. Volevo soltanto citare un fatto. Noi avevamo anche espresso una perplessità sul divieto indiscriminato di coltivazione, ma vedo oggi sui giornali che il disegno di legge che stamattina è in votazione alla Camera lo depenalizza.

  PRESIDENTE. No, il disegno di legge riguarda un'altra questione.

Pag. 13

  GIORGIO BIGNAMI, Membro del Comitato scientifico del Forum droghe. Se è sbagliato, come non detto.

  PRESIDENTE. Comunque, nel lavoro voi avete inserito anche questa questione del divieto di coltivazione.

  GIORGIO BIGNAMI, Membro del Comitato scientifico del Forum droghe. Questo fa parte del decreto Lorenzin, ma, secondo un paginone de La Stampa di stamattina, si attribuisce al disegno di legge di delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie la depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina e del reato di coltivazione di piante dagli effetti stupefacenti.

  PRESIDENTE. No. Preciso per correttezza, perché l'abbiamo fatto sapere anche al giornalista Grignetti, che nella delega che è stata oggi approvata la depenalizzazione riguarda solo la coltivazione autorizzata, cioè quella dei laboratori di ricerca. È una mera contravvenzione dell'articolo 28, altrimenti ci sarebbero stati i fuochi d'artificio, oltre a quelli che già ci sono stati.
  Grazie, professore.
  Do la parola all'onorevole Saraceni, componente del Comitato scientifico dell'Associazione La società della ragione.

  LUIGI SARACENI, Componente del Comitato scientifico dell'Associazione La società della ragione. Io vorrei sottolineare una cosa che è già stata detta. Probabilmente questo decreto-legge, per le ragioni addotte a giustificazione nel preambolo, cioè l'aggiornamento delle tabelle, non era necessario. Bastavano dei decreti ministeriali.
  La dichiarazione di incostituzionalità della cosiddetta Fini-Giovanardi ha ripristinato gli articoli 13 e 14 del vecchio testo, i quali prevedevano, e prevedono tuttora, visto che ne è stato ripristinato il vigore, il potere per il Ministero della salute di emanare i decreti di aggiornamento delle tabelle. Questo non era assolutamente necessario. Perché impegnare il Parlamento su provvedimenti che avrebbero potuto essere facilmente adottati in sede amministrativa ?
  Per converso, secondo l'associazione che sono qui a rappresentare, c’è una forte carenza di una necessità e urgenza, quella autentica, che avrebbe dovuto guidare un decreto-legge del Governo. Mi riferisco al terreno penale e, in particolare, a due problemi. Uno riguarda l'incidenza che la dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi ha sulle sentenze passate in giudicato in base alla legge dichiarata incostituzionale e l'altro i processi in corso per quanto riguarda l'ipotesi lieve all'articolo 75, comma 3.
  Anche questo tema è stato sottolineato nel preambolo, non si capisce se a giustificazione o forse come un momento improprio di propaganda. Si sottolinea, infatti, che l'illegittimità costituzionale è stata dichiarata non per ragioni sostanziali, ma per la violazione dell'articolo 77. Non so quanta consapevolezza ci sia di questo, ma in un sistema come il nostro, in cui la fattispecie penale e la sanzione sono soggette al principio di stretta legalità, come sappiamo, la violazione del procedimento legislativo di approvazione della legge è, secondo me, molto più grave di una violazione sostanziale, per stare alle parole, forse improprie, del preambolo del decreto.
  Il principio di stretta legalità è il primo presidio della libertà personale nel nostro sistema e, dunque, c’è da meravigliarsi che in un decreto-legge non sia stata avvertita la necessità e l'urgenza di risolvere almeno i problemi più urgenti, che, lo ripeto, sono i due che ho indicato e sui quali brevemente mi soffermo.
  C’è il fatto di dover scontare un surplus di pena per una legge che nasce incostituzionale. La legge nasce incostituzionale quando la Corte la dichiara incostituzionale e ne accerta l'illegittimità ab origine. C’è, quindi, un surplus di pena che viene scontato sulla base di una legge incostituzionale. A me questo pare un grave vulnus al principio di stretta legalità sotto il profilo proprio della sostanza.Pag. 14
  Qual è l'obiezione che si muove a questo tipo di soluzione che sarebbe necessaria ? È quella che Cordero chiama «il feticcio del giudicato», cioè che il giudicato non si può toccare. Come una visione laica del diritto penale impone, il giudicato non è un dogma, un elemento della natura, ma un fatto di diritto positivo. È, in sostanza, un espediente pratico necessario per evitare che i processi si protraggano all'infinito.
  A un certo punto bisogna mettere la parola fine, ma questo non esclude affatto, anzi impone, che in casi eccezionali il giudicato si possa rimettere in discussione, il che nel nostro ordinamento già avviene con il riconoscimento della continuazione in sede di esecuzione dell'articolo 671, in cui il giudice dell'esecuzione è chiamato a un compito di disfacimento dei giudicati separatamente pronunciati e di rideterminazione della pena.
  In questo caso credo che siamo in una situazione analoga. È certo che il surplus di pena della Fini-Giovanardi sia in contrasto con la nostra Costituzione. Ce l'ha detto la Corte costituzionale. Cosa fare ? Intanto si stanno accumulando i ricorsi dei condannati e anche gli uffici giudiziari ne soffrono. Ad avviso dell'associazione che rappresento, ci sarebbe una soluzione molto semplice ed efficace: poiché la Fini-Giovanardi ha aumentato di due terzi le pene per le cosiddette droghe leggere, basterebbe abbattere di due terzi le condanne definitive per portarle alla legalità costituzionale. Questo per quanto riguarda le sentenze passate in giudicato.
  Per quanto riguarda il comma 5, c’è una situazione paradossale, in particolare per i fatti commessi successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge cosiddetto «Svuota carceri». Siamo alla situazione paradossale per cui, nell'ambito del grosso traffico, vige ormai la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, mentre per il piccolo spaccio no.
  Questo è l'auspicio che voglio esprimere a nome dell'associazione: noi ci auguriamo che il Parlamento in sede di conversione saprà esprimere tutta la sua capacità di emendamento che questo decreto richiede, in particolare su questi due punti sul terreno penale, che sono di grande importanza per il nostro sistema.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole.
  Do la parola, per la Società italiana di psichiatria (SIP), al professor Luigi Janiri, Vicepresidente della Sezione speciale SIP dipendenze. Anche da questi auditi è stato consegnato un documento, che è già in distribuzione.

  LUIGI JANIRI, Vicepresidente Sezione speciale SIP dipendenze. Anche a nome del presidente della Società italiana di psichiatria, professor Claudio Mencacci, ringraziamo la Commissione affari sociali della Camera per l'invito a quest'audizione su una materia così importante e delicata.
  Noi vogliamo proporre un punto di vista scientifico. Peraltro, io sono l'estensore di uno statement molto attuale sulla revisione della letteratura molto recente in tema proprio di effetti dannosi della cannabis sulla psiche degli individui e sulla possibilità di dare dipendenza. Questo mi sembra un punto importante. Quello che noi vogliamo portare è un contributo che non vuole essere asettico, ma che vuole essere, invece, di appoggio per il miglioramento della legislazione in materia di uso di stupefacenti.
  Il primo punto che vorrei chiarire riguarda la distinzione che si fa tra droghe leggere e droghe pesanti. Già se ne è parlato. Dal nostro punto di vista non c’è una base scientifica per poter fare questa distinzione. In realtà, più che sulla distinzione tra droghe che hanno potenze diverse, dovremmo fare appello a un concetto molto più importante, quello della vulnerabilità individuale, ossia della vulnerabilità bio-psico-sociale. Questa vulnerabilità è oggetto di ricerca scientifica attuale, si sta molto parlando di questo tema. Senza dubbio il problema riguarda l'incontro tra questa vulnerabilità e la disponibilità della sostanza chimica all'esterno, nell'ambiente.
  Caduto questo primo problema, che effettivamente è un artificio anche ai fini Pag. 15mediatici per dire che ci sono droghe leggere e droghe pesanti, indubbiamente ci sono droghe che hanno effetti più importanti, ma, ripeto, questo si deve sempre relativizzare rispetto alla vulnerabilità della persona. Questo è il primo punto.
  Il secondo punto riguarda la tabella ministeriale per gli stupefacenti. Il problema è quello dell'aggiornamento puntuale di questa tabella, che non riesce ad avvenire, probabilmente per motivi di registrazione e, quindi, anche di tipo burocratico e amministrativo. Noi chiediamo che le tabelle possano essere soggette ad aggiornamenti più rapidi, possibilmente instaurando osservatori che possano anche recepire informazioni online, facendo delle ricerche online, come del resto sta accadendo attualmente in altri Paesi europei.
  Noi abbiamo la fortuna di collaborare in alcuni progetti europei in cui si fa proprio un censimento delle sostanze, le cosiddette nuove droghe, che sono reperibili sul mercato, non soltanto sul mercato nero o grigio, che dir si voglia, ma anche proprio sul mercato online. Ci sono droghe che sono reperibili per essere comprate e addirittura per essere sintetizzate a casa, con una sorta di fai-da-te. Una persona riesce a reperire una ricetta dalla quale poi si può costruire la sua sostanza e anche modificarla a seconda dei suoi piaceri.
  Da questo punto di vista, noi siamo ormai in una situazione quasi da supermarket, per cui ogni persona che ha determinate esigenze può costruirsi, comprarsi, procurarsi la sua droga e modificarla a seconda degli effetti che ne ricava, che gli piacciano o no, e, quindi, del profilo dell'impatto della sostanza sul suo organismo e sulla sua psiche.
  Occorre, quindi, avere la possibilità di accedere a un osservatorio che puntualmente aggiorni e informi gli operatori e gli utenti sulle nuove droghe. Ripeto che attualmente ce ne sono oltre 200 recensite ufficialmente nei progetti europei. In parte questo elemento è stato recepito dal Dipartimento antidroga in una recente pubblicazione.
  L'ultimo punto che vorrei affrontare, che è però il punto più corposo, visto che ce ne siamo occupati direttamente anche dal punto di vista della ricerca scientifica, è la questione dell'impatto della cannabis. Questo tema si rifà al problema della droga leggera o della droga pesante.
  La cannabis è una droga leggera ? Il problema è capire esattamente quale sia il suo impatto dal punto di vista degli effetti psichiatrici e, quindi, degli effetti non solo psicotropi, ma anche psicopatologici di questa sostanza. Di per sé noi possiamo dire che la cannabis provoca sicuramente tre effetti: può provocare episodi psicotici acuti transitori; può peggiorare sintomi psicotici di una persona che già precedentemente li esprimeva; può portare a recidive di episodi psicotici in persone che erano andate in remissione e che successivamente ricadono sotto l'effetto della cannabis.
  Detto questo, noi possiamo affermare che la cannabis a oggi sia al massimo una concausa nella slatentizzazione di un disturbo mentale. I disturbi mentali indotti sono oggi molto dibattuti, anche nelle classificazioni internazionali come quelle del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM IV, che adesso è diventato DSM V, come anche nella classificazione internazionale delle malattie, perché in realtà il disturbo mentale indotto dovrebbe finire quando si smette l'uso della sostanza. Ciò non avviene in tutti i casi, anzi stiamo sempre più vedendo che le persone che vanno incontro a questi disturbi mentali ne rimangono affette poi per parecchio tempo.
  Ci sono altri fattori che aumentano la pericolosità dell'impatto della cannabis, prima di tutto l'età e soprattutto l'età adolescenziale.
  Il secondo punto è il poliabuso: quando la cannabis viene utilizzata insieme ad altre sostanze, aumenta il suo impatto negativo. Ci sono studi scientifici recentemente pubblicati che ci indicano come negli esordi psicotici, episodi in cui un ragazzo, generalmente un giovane, un adolescente, Pag. 16va incontro a una follia acuta, nella metà dei casi ci sia una diagnosi di abuso o di dipendenza a monte.
  Questo ci deve far riflettere sul fatto che la cannabis, anche in un modo dose-dipendente, può indurre sintomi psicotici. Lo vediamo anche con l'introduzione di questi ultimi preparati ad alta concentrazione, tipo skunk, di cannabis, che impattano in maniera negativa.
  L'ultima cosa che vorrei dire è che, quando noi parliamo di disturbi mentali indotti e di dipendenza, è vero, come si diceva prima, che la cannabis è in grado di dare dipendenza in una minoranza di persone, ma è anche vero che la cannabis è in grado di dare, per fortuna in una minoranza di persone almeno, effetti molto gravi. Noi non abbiamo alcun elemento per predire chi abbia questa famosa vulnerabilità bio-psico-sociale e quindi può andare incontro a un episodio psicotico o addirittura a un disturbo mentale prolungato sotto l'effetto della cannabis.
  Il nuovo manuale che sta uscendo in questi giorni della classificazione e della diagnosi delle malattie mentali, il DSM V, ci offre un elemento importante per sostenere che la dipendenza sia fondamentalmente una classe diagnostica unica – non esiste più neanche l'abuso oggi, ma soltanto la dipendenza – e che già con soli due criteri diagnostici si può avere una diagnosi di dipendenza. In tal caso si pone un problema di gravità e di severità nell'uso delle sostanze e non di distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Giovanni Biggio, ordinario di neuropsicofarmacologia dell'Università di Cagliari e presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologica.

  GIOVANNI BIGGIO, Ordinario di neuropsicofarmacologia presso l'Università di Cagliari e presidente Società italiana di neuropsicofarmacologia. Parliamo di sostanze d'abuso, cioè di molecole che colpiscono il cervello. Io vorrei in trenta secondi ricordare cos’è il cervello.
  Sono stati citati giustamente gli adolescenti. Per quanto riguarda il cervello, si è adolescenti nel sesso maschile fino a 28-29 anni, mentre nel sesso femminile il cervello è adulto a 24-25 anni. Ci sono, quindi, molti anni di adolescenza in cui il cervello è particolarmente vulnerabile, anche anatomicamente.
  Gli studi di brain imaging, che consentono di entrare in modo non invasivo e di vedere come si sviluppa il cervello, ci hanno detto – non so se lo sapete – che l'area del cervello in cui agiscono le sostanze, il nucleo accumbens, l'area limbica, che genera quel piacere straordinario del tipo «Mi è piaciuto. Lo voglio rifare» nell'adolescente è sviluppatissima e si riduce progressivamente, per diventare molto più piccola, nell'età adulta, dopo i trent'anni.
  Al contrario, la corteccia frontale è l'ultima area del cervello che diventa adulta, intorno ai 28 anni. La corteccia frontale è l'area del cervello che ci fa ponderare una decisione – gli inglesi parlano di decision making – ed è l'area della cognitività. Vi ricordo che la cognitività è il più grande privilegio del genere umano, il che non vuol dire solo avere memoria, ma anche saper interagire, ponderare e prendere una decisione.
  Le sostanze, tutte – anche la cannabis, che metterei in alto – alterano in modo irreversibile questa funzione. Questa è una delle peculiarità, al di là della dipendenza che conosciamo e che possono dare o meno e al di là del fatto che ci siano soggetti geneticamente predisposti. Per esempio, ci sono i portatori di un polimorfismo di un gene che esprime un enzima che si chiama COMT, i quali, se nell'età adolescenziale, entro i 27-28 anni, assumono cannabis, sviluppano la psicosi al 99 per cento. Sono il 10 per cento nella popolazione generale. Non sono pochi.
  Su tutto il resto la cannabis può creare tutta una serie di problemi a lungo termine. Perché a lungo termine ? È questo il punto che io vorrei evidenziare. Ho anche una diapositiva con una vignetta affinché questo venga memorizzato.Pag. 17
  Pochi anni fa io vi avrei detto: la cannabis agisce sui recettori della dopamina. Tutto vero, ma oggi vi dico che queste sostanze, inclusa la cannabis, vanno a modificare, ed è questo il dato cruciale che poi porta alla patologia, la funzione dei nostri geni. Si tratta di quello che si chiama «effetto epigenetico». Non modificano la struttura dei nostri geni. Quella, come ha detto Darwin, si modifica con l'evoluzione. Possono, però, determinare su un gene una maggiore o minore pulsione o espressione.
  Questo fenomeno non siamo in grado di «curarlo», non dico di guarirlo, né con i farmaci, né con l'approccio non farmacologico. Io sono un farmacologo e può sembrare paradossale che lo dica io, ma forse è maggiormente possibile con approcci non farmacologici rimodulare i geni. Questa è la nuova farmacologia della malattia mentale, che sta nascendo adesso e su cui Obama ha stanziato 10 miliardi di dollari per questo decennio, 2010-2020. Dubito che l'epigenoma sarà sequenziato.
  Questo è il vero problema della cannabis, che influenza i nostri geni, come hanno già detto i colleghi. La distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti scientificamente non esiste. La cannabis va a modificare la funzione dei nostri geni come lo possono fare la cocaina, l'eroina e l'etanolo.
  Se ci fossimo visti un mese fa, io vi avrei detto che la cannabis fa queste cose, ma non uccide. Credo sappiate, però, che nell'ultimo mese sono uscite tre segnalazioni di morti da derivati della cannabis per crisi cardiocircolatorie e crisi respiratorie. Si parla di derivati sintetici di ultima generazione efficacissimi e potentissimi, 100 o 200 volte di più del vecchio delta-9- tetraidrocannabinolo.
  Questo è il problema della cannabis. Assumerla, soprattutto nell'età adolescenziale, provoca questi problemi, ma questo succede anche da adulti. Il nostro cervello diventa adulto a quell'età, ma mantiene una grande peculiarità: può produrre nuove cellule per tutto l'arco della vita, anche da vecchio. Da vecchi ne produciamo di meno, ma, se siamo impegnati e stimolati, ne produciamo molte di più. La cannabis, come farebbe l'alcol e come fa la cocaina, inibisce questo processo, il che vuol dire che staccano la memoria recente da quella passata.
  Se voi chiedete a un centenario – in Sardegna ne abbiamo molti – che cosa faceva da ragazzino, vi dà tutta una serie di dettagli. Se, invece, gli dite che l'altro giorno si è sposata sua nipote, risponde: «Mia nipote ? Non mi hanno invitato» Questo perché la neurogenesi si riduce. La possiamo stimolare con l'attività fisica e l'interazione sociale. Il cervello risponde all'ambiente in modo straordinario. Le sostanze la inibiscono, la cannabis come le altre.
  Aggiungo un'altra questione come fattore di vulnerabilità verso il cervello dei giovani che fumano cannabis e consumano alcol: la deprivazione di sonno. Sono cocktail che inibiscono il sonno. Fortunatamente è un processo che riprende e che va avanti, ma occorre sollecitarlo. Con gli stili di vita dei nostri ragazzi, va bene la nottata, ma non vanno bene l'alcol, né tantomeno la cannabis.
  Il mio è non il messaggio di un clinico, ma di chi, come ricercatore, segue la ricerca e non può che trasmettere questo messaggio.
  Credo di aver toccato rapidamente il tema.

  PRESIDENTE. Grazie molte, professore.
  Do la parola al professor Maurizio Pompili, responsabile del servizio per la prevenzione del suicidio presso l'Ospedale Sant'Andrea Sapienza Università di Roma, che ci sottoporrà alcune slide.

  MAURIZIO POMPILI, Responsabile del servizio per la prevenzione del suicidio presso l'Ospedale S. Andrea Sapienza Università di Roma. Buongiorno a tutti. Ringrazio per questa opportunità. Per svolgere il mio intervento più rapidamente ho preparato alcune slide per riflettere su alcuni punti specifici.
  Io mi occupo della prevenzione del suicidio presso La Sapienza, Ospedale Pag. 18Sant'Andrea di Roma. Si tratta forse dell'unico centro per la prevenzione del suicidio, nel quale noi cerchiamo di infondere un po’ di speranza e di illuminare il futuro di persone che non riescono a vedere una via d'uscita.
  In questo contesto riceviamo molte richieste di sostegno di soggetti che abusano di sostanze, come ad esempio la cannabis, di cui avete già parlato. Dagli anni Cinquanta a oggi si è registrato un aumento dei suicidi, nella fascia dai 15 ai 24 anni, pari al 200 per cento: il suicidio è diventato la seconda causa di morte nella fascia giovanile. Tale aumento esponenziale è soprattutto imputabile all'aumento dell'abuso di sostanze e, vedremo, anche della cannabis.
  Secondo il rapporto dell'OMS che riporta tali dati, il suicidio e gli incidenti stradali rappresentano la maggior parte delle cause di morte. Aggiungo che la cannabis è implicata in entrambe le cause di morte. Non si è ancora parlato dell'effetto deleterio di tale sostanza sulla guida e, quindi, sulla possibilità di provocare incidenti stradali.
  Si è parlato dei princìpi attivi della cannabis, la maggior parte dei quali hanno un effetto stupefacente sui quali non mi soffermo nuovamente. L'unico principio che ha un'azione terapeutica è il cannabidiolo, che è un antagonista recettoriale.
  Il disegno di legge in questione prevede di riposizionare e di rivedere le tabelle. Come abbiamo evidenziato nella nota che vi abbiamo consegnato, sembra essere necessario riflettere proprio sulle due tabelle riportate alle pagine 13 e 14, dove si evince che l'effetto stupefacente non collima con quello che può essere un effetto terapeutico.
  Ho anche depositato un articolo del The Lancet, in cui si parla di tutti gli effetti deleteri della cannabis sulla salute dell'uomo: ho già fatto riferimento agli incidenti stradali, alle patologie respiratorie e anche al suicidio.
  Io sono psichiatra. Si è già parlato degli effetti deleteri sulla psiche, ma ci sono tanti altri elementi da considerare, come il cancro ai polmoni, il suicidio, i disturbi cognitivi e il disadattamento psicosociale.
  Riguardo all'effetto della cannabis sulla capacità di guidare, si è constatato che la cannabis è una delle cause principali degli incidenti stradali. In merito, richiamo l'attenzione su un problema gravissimo di salute pubblica, sul quale la letteratura è univoca. Io vi ho portato solo alcuni spot, ma centinaia di report di questo tipo in tutto il mondo testimoniano come la cannabis possa determinare un maggior tasso di incidenti stradali.
  Bisogna quindi rivedere queste tabelle: l'effetto stupefacente non deve essere confuso con quello che è un potenziale effetto terapeutico del cannabidiolo.
  Concludendo, non devono essere sottovalutati alcuni effetti, che accomunano gli incidenti stradali e il rischio di suicidio: deficit nell'apprendimento, nella working memory, nelle capacità cognitive e di elaborare le informazioni e nel problem solving, che determinano incapacità nell'affrontare i problemi stressanti, i problemi della vita e gli eventi traumatici, ma anche di governare un'automobile, con conseguenti possibilità di incidenti.
  Bisognerebbe avviare programmi di screening di salute pubblica e pubblicizzare il fatto che la cannabis può determinare questi rischi notevoli e che, quindi, tutti, giovani e non, dovrebbero fare molta attenzione nell'utilizzarla.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Pompili.
  Abbiamo terminato questo primo gruppo di audizioni: ringrazio molto gli esperti per averci aiutato a rispettare i tempi. Anche se alle 14 sono programmate altre audizioni, pensavamo di dedicare un po’ di tempo alle domande nei confronti del primo gruppo di auditi, proprio per non far protrarre ulteriormente la presenza degli esperti. Pregherei, quindi, i colleghi di porre domande, rimandando i commenti ad un momento successivo.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

Pag. 19

  MARIA AMATO. Ho ascoltato la relazione del professor Janiri, che ci parlava di disponibilità di sostanza e di vulnerabilità psicosociale dell'individuo, del fatto che la cannabis ha un effetto psichiatrico e psicotico acuto transitorio e che può far peggiorare episodi psicotici derivanti da altre recidive. Inoltre, può «slatentizzare» disturbi mentali preesistenti, ha come fattori di impatto l'età, l'uso di altre sostanze e la possibilità di follia acuta, genera una dipendenza in una minoranza di persone e, soprattutto, incide su chi ha vulnerabilità psicosociale. Si aggiungeva poi, in un'altra relazione, che la cannabis ha un effetto deleterio sulla guida e può causare la morte.
  Ascoltando le relazioni, se non sapessi che si parla di cannabis, potrei pensare all'alcool, salvo per la mancanza dell'effetto oncogenico e, quindi, di cancrocirrosi, cancro del pancreas e incidenza sul polmone.
  Il parterre è troppo ricco per non porre questa domanda: quali sono i motivi scientifici che condizionano una diversa enfasi e un diverso approccio normativo tra alcool e cannabis ?

  DANIELE FARINA. Molto velocemente, si diceva che le tabelle relative a 500 sostanze dovrebbero essere riviste, ma, in realtà, abbiamo parlato di una sola: tale approccio a un testo di legge è piuttosto sorprendente. La mia domanda è molto specifica e si riferisce all'ultimo intervento, in relazione all'assistenza e all'aiuto ai potenziali suicidi.
  Facendo riferimento agli incidenti stradali e ponendo grande enfasi sulla cannabis, è emerso un problema riguardante la veridicità dei dati su cui si lavora. Come confermato da numerose sentenze, non basta, in base ai test che vengono utilizzati, la presenza di cannabinoidi nel sangue, che oggi è condizione sufficiente per definire una vicenda processuale. È necessario che venga accertata l'effettiva inabilitazione del rapporto uomo-macchina. In assenza della seconda, sono sempre più numerose le sentenze di Corte d'assise che assolvono il convenuto.
  Io chiedo se i dati su cui lavoriamo – si tratta di una polemica antica – abbiano un fondamento. Nel caso in cui, come penso, non l'avessero, anche molte delle questioni di cui si è parlato forse andrebbero riviste, alla luce di ipotesi diverse di letteratura scientifica alternativa, che sono molto numerose.

  GIAN LUIGI GIGLI. Ringrazio tutti gli intervenuti per la copiosa messe di dati che ci hanno presentato. Io ho apprezzato anche alcune novità, che francamente mi sfuggivano, presentate dal professor Biggio, al quale vorrei porre una domanda su dati forse più vecchi di letteratura, ma che credo siano tuttora validi.
  Mi riferisco, in particolare, al depauperamento sinaptico e alle arborizzazioni dendritiche che riguardano il cervello a seguito dell'uso di sostanze; mi riferisco anche al nesso tra l'uso di sostanze e tali evenienze. In parte se ne è accennato a proposito della separazione tra memoria recente e pregressa. Mi domando se in questo segno di invecchiamento precoce cerebrale rientrino anche i fenomeni che stavo citando, ossia il depauperamento del patrimonio dei contatti sinaptici del cervello, l'atrofia delle regioni ippocampali e la riduzione delle arborizzazioni dendritiche.

  ANDREA CECCONI. Pongo alcune domande, le prima delle quali ai rappresentanti della Comunità Papa Giovanni XXIII e della Comunità di San Patrignano. Voi dicevate che tutti o quasi tutti i tossicodipendenti che avete in trattamento inizialmente usavano cannabis. Vorrei sapere se ci sono anche altri dati e se tutti usavano anche alcool o fumavano anche sigarette prima di usare cannabis. La correlazione cannabis-eroina potrebbe significare anche alcool-eroina o sigarette-alcool-cannabis e via elencando.
  Io ero infermiere e ho lavorato per molto tempo con i tossicodipendenti, molti dei quali avevano crisi d'astinenza da eroina, da cocaina, ma anche da anfetamine. Non mi è mai capitato di avere un soggetto dipendente da cannabis in crisi Pag. 20d'astinenza. Vorrei sapere in che cosa si manifesti questa crisi, se sia una crisi esclusivamente psicologica o anche puramente fisica, come può avvenire con l'uso delle altre sostanze.
  Vorrei rivolgere una domanda al professor Biggio rispetto all'espressione epigenetica che le sostanze causano. La provocano le droghe e l'alcol, ma vorrei sapere se questa espressione epigenetica sia data anche da altri fattori, come inquinamento, stress o qualche malattia particolare. Il cervello è ancora per noi un ambiente piuttosto complicato e, quindi, vorrei sapere se ci sia una correlazione effettiva o se ci sia un insieme di componenti che la manifestano.
  Infine, molti di voi hanno detto che le droghe, la cannabis in particolare, vanno a «slatentizzare» le psicosi. Io vorrei sapere se ci sono dati al riguardo. Io ho lavorato nel reparto di psichiatria ed effettivamente mi sono capitati soggetti anche con doppia diagnosi al primo esordio di psicosi. Tuttavia, individuare se siano pochi o molto numerosi fa la differenza, soprattutto se la droga «slatentizza» e, quindi, manifesta la psicosi o il disturbo di personalità. Vorrei sapere se ci sono studi su questo soggetto, per capire se il paziente, anche se non avesse assunto stupefacenti o non avesse qualche altra correlazione, avrebbe manifestato la malattia in ogni caso.

  TANCREDI TURCO. Mi rivolgo a tutti gli auditi, ma nello specifico al rappresentante della Comunità di San Patrignano e al professor Biggio. Sarei interessato ad avere un approfondimento sulle dichiarazioni di alcuni auditi che hanno sostenuto che l'uso di sostanza stupefacente, nello specifico marijuana o cannabis, porterebbe a una riduzione del quoziente intellettivo.

  ALESSANDRO PAGANO. Mi rivolgo ai rappresentanti della Società italiana di psichiatria. Sul web si leggono leggende metropolitane secondo le quali la cannabis ha anche finalità terapeutiche: poiché non mi pare di avere colto in nessun intervento questo tipo di sfumature, chiedo se magari si possa essere più precisi, in maniera tale da sgombrare a livello scientifico -questo è un consesso di alto livello – il campo da un equivoco. La cannabis ha finalità terapeutiche, come taluni sostengono e diffondono ?

  GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Io ho apprezzato molto ciò di cui si è parlato. Certo, ci sono contributi diversi nella letteratura scientifica e, quindi, è opportuno che si facciano confronti. C’è anche un impegno sociale da parte di tante comunità. Stamani, però, è stato tracciato uno spaccato che ho molto apprezzato.
  La mia domanda si correla a quanto da ultimo chiesto dal collega Pagano. In modo particolare il dottore Pompili ha sostenuto che una parte della marijuana, un principio attivo della cannabis, può avere una funzione terapeutica. Pertanto, dovrebbe essere sviluppato quel principio. Tutto questo deve essere ben utilizzato per evitare che si crei un clima che quantomeno alleggerisca un controllo sociale su questo utilizzo.
  Io non dico che si tratti di leggende metropolitane, ma mi pare che una certa stampa abbia accentuato un aspetto. Sì, quell'aspetto va studiato e approfondito, perché in alcune patologie può esserci un utilizzo farmacologico, ma in relazione a un solo principio attivo. Allargare il fronte, invece, è cosa diversa e deve portare a un ragionamento più complesso. Delle considerazioni che qui sono state svolte a me pare che tra noi dobbiamo tenere conto.

  ELENA CARNEVALI. Molto brevemente, la domanda riguarda sempre la questione dell'uso terapeutico della cannabis. Penso che tutti noi vorremmo che, anche da un punto di vista culturale, continuassimo a basarci sull'evidenza scientifica.
  Per esempio, penso al settore, che in parte conosco, delle lesioni vertebro-midollari, in particolare nelle condizioni di paraplegia e tetraplegia e di tono e di ipertono molto accentuate. Sembra che l'evidenza scientifica dimostri che esiste la possibilità – questa non mi sembra una Pag. 21leggenda metropolitana – che l'uso della cannabis possa indurre a una diminuzione del tono muscolare.
  A proposito di leggende metropolitane o meno, io credo che l'evidenza scientifica sia il faro che ci dovrebbe illuminare, se tali leggende esistono, ovviamente.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica. Vi prego di fornire risposte brevi. Chi lo desidera, poiché la materia è molto ampia, potrà integrare ulteriormente le sue risposte in forma scritta.

  LUIGI JANIRI, Vicepresidente Sezione speciale SIP dipendenze. Personalmente vorrei rispondere in merito alla differenza tra la cannabis e l'alcol. Indubbiamente l'alcol è in grado di determinare effetti nocivi sulla salute sia fisica, sia psichica. È un dato accertato che questo avvenga per dosi progressivamente crescenti di alcol e in un tempo molto più lungo rispetto alla cannabis.
  L'altra differenza importante rispetto alla cannabis risiede nel fatto che gli episodi acuti psicotici transitori di cui è responsabile la cannabis non si verificano con l'alcol: mentre un episodio psicotico transitorio si può verificare in una persona anche alla prima assunzione di cannabis, non si verifica in una prima assunzione di alcol.
  Un altro aspetto su cui volevo rispondere riguarda la questione relativa all'astinenza da cannabis. È vero che non esiste una sindrome da astinenza, anche se ultimamente è stata riconosciuta nel DSM V come tale. I dati farmacologici – certamente il professor Biggio lo può dire con più forza di me – ci indicano, però, che, se noi utilizziamo sistemi sperimentali, per esempio sugli animali, e diamo un antagonista della cannabis a un animale che ha avuto un'assunzione cronica di cannabis, provochiamo una crisi di astinenza.
  Il problema è la lunga emivita di eliminazione della cannabis, ragion per cui una persona che fuma una canna oggi impiega molto tempo per eliminarla, fino a 15-20 giorni. Questo è un «autoscalaggio» naturale ed è uno dei motivi per cui non si presenta la sindrome da astinenza.

  GIOVANNI BIGGIO, Ordinario di neuropsicofarmacologia presso l'Università di Cagliari e presidente Società italiana di neuropsicofarmacologia. Rispondo alle domande degli onorevoli Gigli e Cecconi.
  L'onorevole Gigli mi chiedeva quanto la cannabis possa modificare la struttura dei neuroni. Queste cose si conoscono in modo scientificamente inequivocabile: le immagini dei microscopi – parlo dei supermicroscopi – e le immagini del cosiddetto brain imaging, la risonanza magnetica in particolare, ci offrono quelle che io volgarmente chiamo «fotografie inequivocabili». La struttura della corteccia si modifica, l'ippocampo si modifica nel volume.
  Voi mi direte: l'ippocampo e la corteccia sono costituiti da miliardi di cellule. A quali cellule mi riferisco ? Qui entra in gioco la sperimentazione animale, che è cruciale, perché possiamo sacrificare le cavie e vedere con i microscopi come le sinapsi, laddove avvengono le comunicazioni tra cellule, e le spine dendritiche – che io chiamo le «antenne paraboliche» con cui le cellule comunicano fra di loro –, si modifichino proprio nella loro formazione. Si vede che compaiono e con le sostanze scompaiono.
  Le faccio un esempio. Il cervello dell'animale, pochi giorni prima del parto, si arricchisce di queste formazioni. Dopo il parto, tali formazioni si chiudono. Le sostanze chiudono questo processo.
  È stato menzionato il quoziente intellettivo: è il quoziente cognitivo che viene ridotto, ossia la capacità di interagire e di prendere una decisione corretta. Questo avviene nel lungo termine, perché vengono modificati a livello epigenetico i nostri geni.
  Lei ha accennato a una questione giusta: i nostri geni sono molto elastici da questo punto di vista. L'inquinamento, le sostanze, l'alcol li condizionano, ma questo avviene anche in positivo, con tutti i comportamenti e gli ambienti. Il cervello risponde a tutto, dalle carezze della mamma a un piccolo all'interazione e all'arricchimento sociale. Le sostanze vanno a inibire in modo devastante questi Pag. 22processi e ad alterare in modo negativo i geni. Noi oggi non siamo in grado, né a livello farmacologico, né con altri sistemi in modo mirato di correggere quest'alterazione.

  BARTOLOMEO BARBERIS, Responsabile comunità terapeutiche dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. È evidente che chi è passato a sostanze quali cocaina ed eroina ha iniziato con il tabacco e, in una percentuale a nostro riscontro minore, anche con l'alcol. Io non credo che sia questo il problema che fa la differenza.
  A me sembra che in ciò che è stato affermato – rispondo anche all'onorevole Amato – il problema non sia solo di tipo sanitario, non sia solo l'evidenza scientifica di tipo sanitario, ma sia anche un problema educativo e culturale.
  Evo Morales, il presidente della Bolivia, due anni fa a Vienna – c'ero anch'io – ha distribuito a tutti i presenti delle foglie di coca per lanciare una campagna, a mio avviso intelligente, in cui sosteneva che negare ai contadini del suo Paese, che da millenni masticano foglie di coca in una maniera precisa e limitata, la possibilità di effettuare una coltivazione delimitata in maniera precisa va contro la storia e contro l'intelligenza, perché questo fa parte del loro patrimonio culturale.
  In una realtà come quella italiana proibire l'alcol sarebbe una scelta, credo, sbagliata, anche se ritengo che l'alcol sia una sostanza pericolosissima, che va normata: occorre eliminare la pubblicità, ma non mi dilungo, perché non ho tempo. Grazie a Dio, io credo, invece, che non ci sia ancora nella cultura italiana la presenza dei derivati della cannabis, così come quella dell'alcol.
  Dal punto di vista educativo, quindi, perché ampliare i fattori di rischio per i nostri giovani solo perché noi vogliamo farci una canna ? Io dico no, perché, grazie a Dio, non fa ancora parte della nostra cultura, come popolo italiano, il fatto che la cannabis sia una sostanza che si può usare normalmente.
  Se, quindi, possiamo evitare di ampliare la gamma delle sostanze accettate culturalmente e legalmente, tanto meglio. Sappiamo che la legge crea cultura, ma perché dobbiamo farlo, tenendo conto che questo andrà a danno di numerosi giovani ?

  PRESIDENTE. Vorrei solo ricordare che il decreto-legge non prevede l'uso liberale della cannabis.

  GIUSEPPE MAMMANA, Presidente dell'Associazione italiana per le cure nelle dipendenze patologiche (ACUDIPA). Brevissimamente, poiché è stata citata più volte l'esigenza, mi sembra anche dall'onorevole Cecconi, di collegare il consumo di cannabis agli sviluppi psicotici della persona, preciso che lo studio che io ho citato, che è addirittura del 1969, è stato compiuto su 50.000 militari svedesi di leva, analizzati da ricercatori inglesi e svedesi. Questo lavoro documenta l'evidenza di un collegamento diretto tra consumo di cannabis e psicosi, escludendo l'esistenza di una sintomatologia prepsicotica slatentizzata dall'uso di cannabis.
  Questo punto è molto importante: la cannabis ha un potere psicogeno in sé. In sintesi, lo studio dimostra sperimentalmente che l'uso di marijuana durante l'adolescenza aumenta il rischio di schizofrenia in modo proporzionale alla dose e alla concentrazione della dose consumata.

  RICCARDO DE FACCI, Vicepresidente nazionale del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA). Svolgo un intervento flash come elemento di rilancio, per rispetto. Vorrei soltanto invitare all'attenzione verso quello che credo oggi sia stato un elemento significativo.
  Noi stavamo discutendo della conversione di un decreto-legge in legge. Io credo che la riflessione su come trattare, dopo ventiquattro anni, le sostanze stupefacenti in maniera diversa rispetto alla legge Jervolino-Vassalli coinvolga tutti. Quest'attenzione eccessiva, un po’ dal buco della serratura, legata alla cannabis, come CNCA, come comunità e come strutture, Pag. 23credo sia un altro segnale di come ideologicamente stiamo affrontando il tema.
  La netta percezione oggi è questa, ragion per cui vi invito all'apertura di un percorso di riflessione vera su questi temi, come altri dicevano. Io credo che bisognerebbe iniziare a ragionare non tanto di come vediamo i fenomeni dal buco della serratura, ma di come una serie di effetti delle sostanze e di ragionamenti di altro tipo possa in questo momento essere trattata dal punto di vista politico.
  In sostanza, io continuo a pensare che questo non sia un problema penale, ma sociosanitario ed educativo.

  MAURIZIO POMPILI, Responsabile del servizio per la prevenzione del suicidio presso l'Ospedale S. Andrea Sapienza Università di Roma. I princìpi attivi derivabili dalla cannabis sono diversi. Dei vari princìpi uno solo è potenzialmente terapeutico, il cannabidiolo. Gli altri sono da considerarsi stupefacenti. Quindi, il discorso non è: fumo la canna e sto meglio. Bisogna fare sempre una distinzione.
  Inoltre, la letteratura internazionale è univoca sul ruolo della cannabis sugli incidenti stradali. La letteratura nei vari Paesi del mondo riporta questo dato: i numeri sono abbastanza certi, elaborati non su casi individuali, ossia su sentenze di singoli casi, ma su coorti di soggetti che sono stati indagati. Si è visto che tali coorti erano alle prese con un uso o un abuso di cannabis rispetto a gruppi di controllo che non erano alle prese con l'utilizzo di questa sostanza.

  ANDREA CECCONI. Visto che ci stiamo accingendo a convertire in legge il decreto-legge in esame, che modifica fortemente il decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, Testo unico sugli stupefacenti, io ritengo che i tempi ristretti in cui si stanno svolgendo le audizioni non siano molto indicati. Secondo me, occorre un approfondimento maggiore, sempre tenendo in considerazione il fatto che il provvedimento deve essere trasmesso al Senato. Su questo ci stiamo, ma affrettarsi in questa discussione non mi sembra indicato, anche perché si modifica un testo unico e non una norma di transizione.

  PRESIDENTE. Onorevole Cecconi, questo è un discorso che svolgeremo in un altro momento. Innanzitutto le nostre tappe sono determinate dal fatto che il provvedimento deve andare in Aula il 14 aprile. Poi, però, prenderemo le nostre determinazioni. Oggi c’è stata una prima fase, che completeremo domani: non c’è stato nessuno strozzamento dei tempi, tantomeno del dibattito, né del numero delle audizioni, che mi sembrano molto corpose. I tempi dell'ulteriore dibattito e dell'approfondimento che dovrà esserci nella discussione parlamentare saranno poi valutati anche da tutti i gruppi.
  Do la parola, per la Federazione italiana degli operatori del Dipartimento e dei servizi delle dipendenze (FeDerSerD), al dottor Piero Fausto D'Egidio, presidente nazionale e direttore Ser.D Pescara.

  PIETRO FAUSTO D'EGIDIO, Presidente nazionale – direttore Ser.D Pescara della Federazione italiana degli operatori del Dipartimento e dei servizi delle dipendenze (FeDerSerD). Presidenti, onorevoli deputati, grazie per averci concesso questa opportunità. Il decreto-legge in esame ha un impatto molto grande sui servizi. Nel momento in cui è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la sentenza della Consulta, si ha la piena operatività della declaratoria di illegittimità della disciplina precedente, dettata dagli articoli 4-bis e 4-vicies ter. Noi avevamo grande difficoltà nell'interpretare come muoverci legalmente all'interno dei servizi per le dipendenze.
  Complessivamente, quindi, FeDerSerD esprime un giudizio molto positivo sulla tempestività con cui è stato approvato dal Consiglio dei ministri il decreto-legge, che interviene per affrontare le più urgenti problematiche e individuare le ricadute più importanti all'interno dei servizi per le dipendenze.
  Il decreto-legge non ripropone le due tabelle, più volte contestate, che ora diventano Pag. 24cinque, con una appositamente dedicata alla cannabis. Noi riteniamo che questo sia un passo avanti fondamentale per l'individuazione di un criterio di gravità differenziale tra le droghe e per trovare uno spazio di non punibilità per l'uso delle stesse.
  I presupposti contenuti in questo decreto-legge, inoltre, favoriscono una riflessione sulla revisione normativa in tema di droghe e di cura delle tossicodipendenze, valorizzano la rete di intervento e pongono al centro del sistema di cure il ruolo dei servizi per le dipendenze.
  Suggerirei alle Commissioni di cambiare sempre la perifrasi «servizi per le tossicodipendenze» in «servizi per le dipendenze», in quanto ormai da tanto tempo, nei nostri servizi, si curano non solo le patologie derivanti dall'uso di sostanze, ma anche, per esempio, il gioco d'azzardo patologico e le altre forme di dipendenza da stimoli, da situazioni o comportamenti. Questa è un'annotazione generale di cui inviterei a tener conto in tutta la lettura del provvedimento.
  Nel provvedimento, inoltre, vi sono le premesse necessarie per un lavoro costruttivo – l'ho sentito menzionare in qualche commento – per la riscrittura di una legge nuova, moderna, etica, efficace, capace di tenere conto delle evidenze scientifiche e della straordinaria esperienza degli operatori del sistema dei servizi e lontana da una strumentalizzazione ideologica e politica.
  Vogliamo individuare alcune piccole annotazioni tecniche al riguardo. Innanzitutto, si fa più volte riferimento, doverosamente, alla necessità, per il Ministero della salute, di sentire il parere del Consiglio superiore di sanità e della Presidenza del Consiglio dei ministri per il Dipartimento per le politiche antidroga. La nostra indicazione e la nostra speranza è che nel futuro l'attività del Dipartimento per le politiche antidroga non sia più ricondotta alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ma al Ministero della salute, al fine di avere un indirizzo più orientato alla prevenzione e alle cure.
  In terzo luogo, riguardo alla tabellazione, nella tabella 1, al punto 6, si indicano «i tetraidrocannabinoidi, i loro analoghi, le sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano a essi riconducibili per struttura chimica o per effetto farmacologico tossico». Noi pensiamo che questa dizione possa essere confusiva, in quanto si potrebbe far rientrare all'interno della fattispecie dei tetraidrocannabinoidi e, quindi, nella tabella 1 – ancorché nelle tabellazioni ciò non sia previsto –, la cannabis. Proponiamo, quindi, di sostituire questo punto con il seguente: «le sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano riconducibili per struttura chimica o per effetto farmacologico tossico al tetraidrocannabinolo».
  Al punto successivo, laddove si tratta ancora di piante capaci di produrre sostanze con effetti che danno tossicodipendenza o che sono psicotrope, si suggerisce di aggiungere alla fine «ad esclusione dei prodotti derivanti dalla cannabis».
  Laddove si dice, nella tabella 2, «la cannabis indica e i prodotti da essa ottenuti», noi vogliamo suggerire di cancellare la parola «indica». In realtà, non capiamo proprio perché sia stata inserita: la cannabis è presente sotto varie specie, tutte di uso comune nell'hashish, nella marijuana, nell'olio. Ci sono non solo le forme pure, come la sativa, l’indica, o la ruderalis, ma anche moltissimi incroci. Il suggerimento, dunque, è di eliminare dal testo la parola «indica».
  Esistono poi, per quanto riguarda le tabelle 3, una serie di dizioni che sono poco puntuali. Quando si dice, per esempio, «i barbiturici che hanno notevole capacità di indurre dipendenza», l'aggettivo «notevole» può riferirsi a qualcuno e non a qualcun altro. Suggeriamo di provvedere a correggere questo approccio.
  Lo stesso vale nel punto successivo, quando, rispetto alla tabella 4, si parla di «induzione di dipendenza psichica di intensità e gravità minori». Chi decide se l'intensità o gravità «minore» sia sufficiente per entrare in una tabella, invece che in un'altra. Suggeriamo anche qui di modificare l'espressione.Pag. 25
  Con riguardo ai medici che prescrivono i farmaci agonisti, soprattutto i medici di famiglia, e le farmacie, sapete che siamo arrivati ad avere una formulazione diversa, un approccio diverso rispetto alle prescrizioni e alle spedizioni in farmacia per quanto riguarda lo stesso farmaco quando è usato nella terapia del dolore, ancorché nelle patologie da dipendenza. Suggeriamo quindi di aggiungere al capitoletto 13 del decreto-legge Lorenzin, al punto 2, laddove si si dice «per i quali la ricetta può comprendere fino a due medicinali diversi tra loro e uno stesso medicinale con dosaggi differenti per una cura di durata non superiore a trenta giorni», l'espressione «anche in regime di convenzione». In questo modo noi andiamo a superare il conflitto che oggi esiste tra la norma e la convenzione, per cui il farmaco viene a essere a totale carico del sistema sanitario nazionale anche se prescritto in un'unica ricetta.
  Oggi un medico di famiglia che vuole prescrivere il farmaco a un suo paziente per una settimana a volte è costretto a scrivere cinque ricette contemporaneamente, con un aggravio di impegno per il medico e per il farmacista e con una maggiore possibilità di incorrere in errori, senza alcun motivo.
  Ancora, per sottolineare e rafforzare questo aspetto, al punto 4 dello stesso capitoletto 13, si suggerisce di aggiungere, laddove è scritto «per il trattamento di pazienti affetti da dolore severo», l'espressione «e da dipendenza da oppiacei».
  Arriviamo al punto 27 del decreto-legge Lorenzin, che prevede quali siano le istituzioni in grado di valutare i provvedimenti, le diagnosi e i piani terapeutici che comportano effetti giuridici importanti, quali le misure alternative, l'assunzione di oneri economici e così via. Il suggerimento è di indicare che – ove ci siano fattispecie di questo tipo, magari anche con oneri a carico del sistema sanitario nazionale, pur rimanendo la possibilità per il paziente di scegliere chi gli debba fare la diagnosi e il piano di cura –, il servizio pubblico, ove non sia stato esso stesso a fare la diagnosi per primo, debba validare la diagnosi, se fatta da un privato, perché è lo stato ad erogare le risorse.
  Andiamo al punto 28: ci sono due aspetti che a me sembrano veramente importanti da sottolineare e soprattutto da eliminare. Si dice che «il Servizio per le tossicodipendenze controlla l'attuazione del programma da parte del tossicodipendente». Noi pensiamo che la relazione terapeutica preveda un accompagnamento del paziente nella migliore effettuazione della cura, ma questo testo, che proponiamo di eliminare, definisce un ruolo fiscale improprio per una struttura di cura. Il nostro suggerimento è di eliminare questa breve frase.
  Per ultimo, al punto 29, capitoletto 8, si afferma «purché i dosaggi somministrati e la durata del trattamento abbiano l'esclusiva finalità clinico-terapeutica di avviare gli utenti a successivi programmi riabilitativi». A noi questo sembra proprio sbagliato. Proponiamo di sostituire l'espressione citata con la seguente: «che devono essere utilizzati in base alle buone pratiche cliniche e alle evidenze scientifiche con finalità terapeutica e riabilitativa, in integrazione con i più appropriati interventi psicosociali».
  Mi permetto di svolgere un ultimo commento brevissimo. Noi siamo di fronte, con il provvedimento in esame, a un passo avanti fondamentale per l'introduzione di un criterio di gravità differenziale tra le droghe e per l'individuazione di uno spazio di non punibilità per l'uso delle stesse (non parliamo di cannabis o altro).
  Fa piacere considerare che questo decreto-legge si muova in armonia con quanto da noi affermato e dimostrato in una recente audizione in Commissione giustizia alla Camera sui diversi pericoli e sulle diverse caratteristiche farmaco-cliniche delle droghe. Riterremmo auspicabile che di queste evidenze fosse consapevole a livello comunicativo anche il Dipartimento per le politiche antidroga, ora afferente alla Presidenza del Consiglio.

  PRESIDENTE. Ricordo che sono presenti anche il professor Giovanni Serpelloni, Pag. 26Capo Dipartimento politiche antidroga e, con lui, anche Gianluca Amico e Fiorella Calò, sempre del Dipartimento; la dottoressa Marcella Marletta, direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute; e il dottor Andrea De Gennaro, direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.
  Do la parola al professor Manes, penalista, che quindi parlerà degli aspetti pertinenti alla sua specializzazione.

  VITTORIO MANES, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Bologna. Onorevole presidente e onorevoli deputati, grazie per avermi convocato.
  Mi sembra che gli esiti della sentenza n. 32 del 2014 della Consulta siano piuttosto chiari, perlomeno nel loro impatto di fondo. Si tratta di una sentenza che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una parte significativa della riforma cosiddetta Fini-Giovanardi e che, visto che il vizio accertato è stato un vizio di carattere procedurale – su questa ipotesi tendenzialmente la dottrina non ha instaurato un particolare dibattito –, il risultato di questa decisione è stata la reviviscenza della precedente normativa, cioè la legge Jervolino-Vassalli, esito della consultazione referendaria del 1993.
  In linea teorica rimarrebbe intatto, e su questo mi pare che ci sia una convergenza assoluta, il modello di fondo fuoriuscito dalla consultazione referendaria del 1993, il modello italiano, che è quello che si ispira, come tutti sappiamo, a un proibizionismo temperato, cioè a una scelta proibizionistica in materia di droga, temperata però dalla distinzione tra attività a condotta penalmente rilevante di – lato sensu – spaccio e condotta, e attività a condotta amministrativamente rilevante, ancorché si tratti di sanzioni amministrative piuttosto graffianti e contundenti, concernente il consumo o la detenzione a uso personale.
  Tuttavia, l'esito di questa decisione sta fomentando una serie di problemi esegetici piuttosto delicati dal punto di vista tecnico-giuridico, al centro dei quali vorrei porre la questione cruciale, su cui ci si interroga, concernente la perdurante non punibilità, o meglio la rilevanza squisitamente amministrativa, del consumo personale.
  La domanda che ci si deve porre al riguardo è se l'attuale quadro normativo consenta ancora di distinguere tra condotte di detenzione e condotte assimilate alla detenzione di stupefacenti finalizzati allo spaccio – uso evidentemente un gergo atecnico – e condotte di detenzione finalizzate all'uso personale.
  Il problema comincia ad avere, in diverse voci dottrinali, una risposta negativa. Si ritiene, cioè, che questa distinzione non sia più così chiara, perché allo stato l'articolo 73, comma 1 del testo unico vigente, predica un margine applicativo fuori dalle ipotesi previste nell'articolo 75. L'articolo 73 è quello che disciplina le condotte penalmente rilevanti che hanno una finalità di spaccio, mentre l'articolo 75 disciplina le misure amministrative. Sostanzialmente, le due norme si rinviano a vicenda, salvo che il rinvio, in particolare, dell'articolo 75, comma 1, che richiamava il 73, comma 1-bis, come frutto della riforma Fini-Giovanardi, sembrerebbe un rinvio a vuoto. Di fatto oggi lo è, perché l'articolo 73, comma 1-bis, è stato «caducato» dalla decisione della Corte costituzionale.
  Questa questione è cruciale, come voi potete immaginare, perché le leggi sono applicate dai giudici, i quali possono interpretare la questione in modo del tutto diverso. Essendo scomparso qualsiasi riferimento testuale all'uso personale o non personale delle sostanze stupefacenti o psicotrope oggetto delle condotte di detenzione e delle condotte assimilate, sembrerebbe – ripeto, è una voce dottrinale – essere venuta meno la possibilità di differenziare le condizioni in presenza delle quali assoggettare le citate condotte a sanzione penale ovvero a mera sanzione amministrativa.
  Il problema, peraltro, è declinabile in tre sottoproblemi. Dal punto di vista esegetico, emerge innanzitutto una prima opzione Pag. 27interpretativa, che qui, per brevità, abbiamo denominato di «iperpenalizzazione»: è uno scenario in cui anche il consumo personale potrebbe, allo stato, in questa confusione di rinvii, assumere rilievo penale.
  Si tratta di una posizione già avanzata da una dottrina giovane, ma autorevole, secondo la quale, scomparso il comma 1-bis dell'articolo 73, è dunque venuta meno la limitazione della punibilità delle condotte concernenti quantitativi destinati a uso non esclusivamente personale, in costanza di un articolo 75 che nulla dice sulla finalità squisitamente personale. Le incriminazioni di cui al vigente articolo 73 – ripeto, questa è un'ipotesi ricostruttiva, ma non è del tutto peregrina – abbraccerebbero anche le condotte di detenzione finalizzate a un uso meramente personale della sostanza. Sarebbe così annichilito l'esito referendario.
  Illustro la seconda ipotesi ricostruttiva. Si danno, naturalmente, possibili letture alternative, ma le implicazioni potrebbero essere altrettanto dirompenti, perché si passa da uno scenario di iperpenalizzazione anche del consumo personale o della detenzione finalizzata a uso personale a una seconda lettura interpretativa che sostanzialmente avrebbe come risultato un effetto tabula rasa, ossia un effetto di liceizzazione dal punto di vista amministrativo e penale di tutte le condotte finalizzate all'uso personale, ma anche allo spaccio. Questo in ragione del fatto che non solo il rinvio dell'articolo 75 sarebbe oggi cieco, ma anche il rinvio dell'articolo 73, che contemporaneamente rinvia all'articolo 75, potrebbe non operare. L'effetto di questo doppio rinvio sarebbe, quindi, a vuoto e annullerebbe anche la portata precettiva dell'articolo 73.
  La terza ipotesi, che illustro rapidamente, potrebbe essere quella di una sovrapposizione e di una convergenza di una rilevanza penale e, contemporaneamente, amministrativa di tutte le condotte di detenzione di sostanze stupefacenti e psicotrope, ovviamente salva l'operatività di eventuali garanzie o di eventuali princìpi che disciplinano la convergenza di più fattispecie sul medesimo fatto (lex specialis, principio di specialità), oppure, soprattutto, del ne bis in idem sostanziale, cioè della garanzia di non essere puniti due volte per lo stesso fatto.
  Si può uscire dall’impasse interpretativa ? Qualcuno dice di sì e sostiene che si tratterebbe di leggere l'attuale rinvio dell'articolo 75 all'articolo 73 – devo usare ora il gergo tecnico dei penalisti – come rinvio recettizio: il rinvio dell'articolo 75 avrebbe comunque inglobato quella norma nunc et semper, nonostante l'abolizione, o meglio la caducazione, dovuta all'intervento della Corte costituzionale. A mio giudizio, però, questa è una tesi piuttosto fragile, che presta il fianco a diverse obiezioni: la prima è che si tratta di un rinvio interno, non a una norma esterna rispetto allo stesso corpus normativo, ma a una disposizione interna a un corpo normativo, e che è difficile ipotizzare che il rinvio fosse recettizio. In ogni caso mi sembrerebbe prevedibile un focolaio di notevole incertezza sul punto, che andrebbe scongiurato ed esorcizzato.
  Cosa si può fare, a fronte di queste incertezze ermeneutiche ? Occorrerebbe sfruttare l'occasione dalla conversione in legge del decreto-legge per fare chiarezza e per dire una parola più netta su questo punto. Ci sono, naturalmente, varie possibilità di intervento: sull'articolo 73, sull'articolo 75 o su entrambi. Forse l'ipotesi migliore, a mio giudizio la meno dolorosa, la meno problematica, è quella di intervenire in sede di conversione sull'articolo 75, comma 1, specificando con un inciso che quell'articolo si applica e che, dunque, si apre il ventaglio delle sanzioni amministrative per chi realizza quelle condotte per fare uso (esclusivamente) personale.
  Ho messo tra parentesi l'avverbio «esclusivamente» per una ragione molto semplice, che sembrerebbe un dettaglio. Non vorrei che sottolineare l'avverbio «esclusivamente» potesse rilanciare un dibattito e magari ridiscutere quella giurisprudenza, che mi sembra ormai piuttosto consolidata, che ha ritenuto compatibile con la finalità di uso personale anche il consumo di gruppo. Sottolineare «esclusivamente», Pag. 28con una formulazione diversa dalla precedente formulazione dell'articolo 73, che era in negativo, potrebbe rilanciare un dibattito su questo punto, che invece sembrerebbe sopito.
  Ci sono ulteriori profili problematici: ne segnalo tre, ma ce ne sarebbero moltissimi. Io ho fatto una sintesi perché il presidente mi ha chiesto di concentrarmi su questo, anche rinviando a un testo scritto che deposito per gli ulteriori problemi.
  Caducata la Fini-Giovanardi nella sua parte precettiva relativa agli articoli 4-bis e 4-vicies ter, scomparirebbe una differenziazione di trattamento per la condotta principale, o meglio riemergerebbe una differenziazione trattamentale tra droghe pesanti e droghe leggere per le condotte principali. Resterebbero, invece, insensibili a questa differenziazione tanto la fattispecie, una volta attenuante, oggi ormai reato autonomo, prevista dal comma 5, quanto il ventaglio delle sanzioni amministrative.
  Sul secondo e terzo problema torno dopo. Sul primo problema non è di poco momento ipotizzare che un reato che concerne le condotte ordinarie contempli una differenziazione sanzionatoria in ragione della diversa tipologia di sostanza stupefacente, mentre la fattispecie minore, quella concernente i fatti di lieve entità, sia cieca rispetto a questa differenziazione. Si potrebbe profilare evidentemente un vulnus di ragionevolezza nella sua cifratura costituzionale, che potrebbe dare adito a problemi. La Corte di Cassazione allo stato sembra averlo rigettato. Io non sono del tutto convinto che i problemi siano accantonabili.
  Meno problematico è forse non differenziare le sanzioni amministrative in ragione della tipologia di droga oggetto di consumo personale, ammesso e non concesso che si risolva il problema di partenza, perché la sanzione amministrativa ha una finalità di carattere preventivo e funge un po’ da ostacolo. Questa finalità non sembrerebbe esporre l'attuale quadro sanzionatorio a un'irragionevolezza irriducibile. Non è tanto incentrata sulla diversa lesività per la salute della sostanza, mentre è incentrata su una serie di misure di incapacitazione – alla guida per esempio – di carattere preventivo che potrebbero essere assolutamente equiparabili nei diversi casi di sostanza.
  Il terzo profilo è di non poco momento, soprattutto in questa cornice temporale in cui si sta discutendo pesantemente di sovraffollamento carcerario e di problemi di carattere deflattivo concernenti la situazione ormai invivibile delle carceri italiane. La sentenza ha colpito l'articolo 5-bis, cioè la disposizione introdotta dalla Fini-Giovanardi che aveva esteso il lavoro di pubblica utilità come sanzione sostitutiva rispetto a una sanzione detentiva che non fosse ritenuta suscettibile di sospensione condizionale. Successivamente, il legislatore è intervenuto introducendo il comma 5-ter, che ha ulteriormente generalizzato questa ipotesi anche per reati diversi da quelli dei fatti di lieve entità di cui al comma 5, ma ha perso ormai, anche in questo caso, il referente: il comma 5-ter rinvia al comma 5-bis, ma il comma 5-bis è stato caducato e, quindi, il comma 5-ter sembrerebbe cieco.
  Anche questo è un problema di non poco momento, perché potrebbe determinarsi, anzi verosimilmente si determina in concreto, l'inapplicabilità della disposizione di cui all'articolo 5-ter. Bisognerebbe ripensare, in sede di conversione, al ripristino dei presupposti applicativi, o attraverso la reintroduzione del comma 5-bis, o attraverso la riformulazione del comma 5-ter.
  La prima strada mi sembra forse la più doverosa, perché avrebbe un significato anche sul reclutamento della clientela del carcere e avrebbe carattere deflattivo: sarebbe quindi un risultato congeniale alla denuncia e alla violazione riconosciuta l'8 gennaio del 2013 dalla sentenza della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo, Torreggiani contro Italia.
  Il quarto e ultimo profilo, anche questo molto significativo, a mio avviso, è il fatto che la caducazione della legge Fini-Giovanardi ha determinato anche la caducazione di quel sistema di criteri che era Pag. 29stato introdotto per orientare la discrezionalità del giudice nel poter stabilire quando si tratti di un consumo o di una detenzione finalizzati all'uso personale e quando, invece, si tratti di un consumo o di una detenzione inclini o destinati allo spaccio.
  Questi criteri non operano più, così come non opera il rinvio alle famigerate tabelle, che poi furono raddoppiate. Il TAR annullò poi questo provvedimento dell'allora Ministro Turco. Tutto ciò non opera più e, quindi, riemerge quello che fu un problema storico nell'applicazione giurisprudenziale del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ossia una grave indeterminatezza nella decisione tra finalità personale, rilevante solo sul piano amministrativo, e finalità non personale, che apre, come sapete, a una risposta penale estremamente severa, se non draconiana.
  Il rischio, quindi, è che si riproduca un grave effetto di sentencing disparity, come la chiamano i colleghi americani, cioè una gravissima disarmonia nell'applicazione delle disposizioni legali. Anche in questo caso bisognerebbe forse riflettere su un'eventuale reintroduzione di questi criteri.
  Anch'io non ero un fautore del superamento dei limiti tabellari, che peraltro è stato fortemente relativizzato dalla giurisprudenza, ma tutta un'altra serie di criteri di carattere oggettivo che hanno ormai avuto un'elaborazione giurisprudenziale che li ha stabilizzati potrebbe essere recuperata.
  Io non sono convinto, come dicevano i giuspositivisti del secolo scorso, che basti un tratto di penna del legislatore per consegnare al macero intere biblioteche. Molto spesso il sistema ha un suo feedback e, quindi, un effetto di retroazione. L'applicazione giurisprudenziale potrebbe in questo caso essere recuperata. Vi ringrazio per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, professore, per la sintesi e per le problematiche che sono state rappresentate.
  Do la parola al dottor Giovanni Serpelloni, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  GIOVANNI SERPELLONI, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. Buongiorno a tutti. Ringrazio il presidente e tutti voi per l'attenzione che ci volete dedicare.
  In pochi minuti io vorrei sollevare e centrare una questione. Ho sentito tutti gli interventi precedenti e, quindi, ho tagliato tutte quelle che possono essere delle duplicazioni, ma vorrei farvi presente l'evoluzione tossicologica della cannabis che c’è stata in questi anni e che varrebbe la pena di tenere in considerazione, perché si potrebbero aprire delle ipotesi di soluzione relativamente a una nuova tabellazione delle sostanze stupefacenti.
  La proposta è l'inclusione differenziata di una cannabis geneticamente modificata e dei suoi derivati ad alto contenuto di principio attivo. Questo tipo di distinzione permetterebbe di distinguere le cosiddette cannabis naturali, in relazione alle quali normalmente si parla di cannabis, e i derivati sintetici, come le resine – la cannabis normalmente ha il 2,5 per cento di principio attivo, mentre l'hashish, che è la resina di prima estrazione, può arrivare fino al 10-12 per cento – da quelle cannabis ad alto contenuto di THC (chiamiamole per comodità super-cannabis, ma è una questione di tipo comunicativo), che superano il 12 per cento.
  Queste potrebbero essere inserite in quanto sostanze estremamente più potenti. Sono 10-15 volte più forti. Abbiamo dei problemi a quantificarle a volte, perché arrivano fino al 38 per cento con alcune resine che sono arrivate fino al 60,6 per cento.
  Vi faccio un esempio per farvi capire. Una bottiglia di birra ha il 4 per cento di principio attivo, che è alcol. Se voi prendete quel contenuto di alcol e lo portate al 60 per cento, avete una sostanza completamente diversa, nel momento in cui viene introdotta nel corpo.Pag. 30
  Questa è una riflessione tecnico-scientifica che io vorrei fare con voi. Quello che si potrebbe proporre è di prevedere che non ci sia alcuna conseguenza penale per il consumatore – ci sarebbero solo sanzioni amministrative – che consumi una cannabis, una super-cannabis o una cannabis naturale (nessuno deve creare problemi in termini penali per questo), mentre chi spaccia queste cose probabilmente, ma me lo direte voi, potrebbe avere delle condotte diverse anche in termini di gravità del danno che ne consegue.
  Vi farò vedere anche un'altra cosa, ossia che la maggior parte della cannabis viene spacciata alle persone minorenni. Il 75 per cento delle persone sotto i 17 anni usa cannabis e se la procura su Internet.
  La fotografia che c’è sul testo che vi ho portato e che vi lascerò agli atti, in cui abbiamo censito tutte le varie piante di cannabis che vengono prodotte, vi mostra come la cannabis naturale, abbia dato poi origine, con tutta una serie di mutazioni, di metodi di coltivazione e di trasformazioni genetiche, a una serie di ibridi che sono addirittura difficilmente riconoscibili. Ci sono delle specialità che vanno ad agire sul DNA di queste piante, con tutta una serie di altre tecniche in cui non entro, e che fanno passare dal 2,5 al 60 per cento il THC.
  La riflessione è questa. Quando si parla di cannabis, ormai noi siamo abituati a capire che ci sono sostanze diverse in base al fenotipo, al genotipo e alla quantità di THC. Questa è una meta-analisi molto importante, che fa vedere dal 1970 al 2010 quanto è andato aumentando il fenomeno. Ora siamo al 38 per cento, più o meno, con le varie percentuali di principio attivo nei prodotti sequestrati. C’è stato un costante aumento, dovuto alla produzione e alla richiesta del mercato di sostanze sempre più forti, perché è questo che chiede il cliente.
  Come vengono prodotte queste sostanze ? Io credo che voi non abbiate mai visto queste cose. Questi sono materiali in vendita su Internet, che qualsiasi persona può comprare. Sono foto che abbiamo preso da lì. Si possono creare in casa delle serre che sono in grado di far aumentare di dieci volte un seme normale di cannabis.
  Queste sono varie altre attrezzature, sempre acquistabili in Internet da qualsiasi persona. Le piante vengono messe in questi cilindri, vengono praticamente alimentate con dei sistemi ventilati e la pianta produce molto più principio. È una pianta che viene violentata, chiaramente. Ci sono addirittura armadi che vengono messi in casa, camuffati come se fossero dei normali armadi.
  Questa diapositiva vi mostra quello che abbiamo visto dal 2010 al 2013 in Italia. La precedente era una dispositiva che riguardava tutta Italia, ma anche un po’ l'Europa. Questa, invece, riguarda l'Italia. Questi sono tutti i prodotti, foglie, fiori, infiorescenze varie, resine e oli. Quelli che stanno sotto il 5 per cento sono indicati nella colonnina verde chiaro. Tutto il resto di ciò che è stato sequestrato – sono dati del sistema d'allerta – ha percentuali crescenti, di cui la mediana è il 23 per cento e la massima arriva al 66 per cento.
  Se andiamo a distinguere fra le piante e, quindi, solo fra la vegetazione, vedete che ci sono piante che arrivano da una mediana del 16 per cento a una del 39 per cento. Portare una pianta dal 2,5 al 39-40 per cento è una violenza inaudita in termini di fitoproduzione.
  Queste, invece, sono le percentuali che circolano per quanto riguarda le resine e gli oli. Sono resine che possono arrivare, come avete visto, al massimo al 60 per cento. Sono prodotti che vengono utilizzati.
  Noi ci dobbiamo chiedere, in termini molto pragmatici, se l'aumento di questi princìpi attivi crei o non crei poi il problema sanitario, visto attraverso un macroindicatore che considera quanti trattamenti sono stati chiesti nel tempo. Se voi guardate il 1993, questo è stato l'anno – si tratta di uno studio molto importante – in cui abbiamo cominciato a vedere la linea rossa, che rappresenta la media della potenza, che va su e che qui non arrivava neanche a tanto, perché arrivava al 12 per cento. Era seguita Pag. 31dalla linea nera tratteggiata con i puntini bianchi, che indicano le richieste di trattamento per intossicazione da marijuana. Oltre il 10-12 per cento questa sostanza comincia a far sentire se stessa all'interno delle società che la usano, per la richiesta di trattamento che c’è.
  Si pensa sempre, e ho sentito anche qui oggi delle considerazioni che io credo potremmo discutere e anche contestare in termini scientifici, che la cannabis sia una droga che non fa sentire, da un punto di vista clinico, i suoi effetti.
  Guardate – questi sono dati del 2011, gli ultimi disponibili del Ministero della salute – quante persone sono state ricoverate. La percentuale di ricovero, in condizioni di emergenza, nella popolazione generale va dall'1 agli 80 anni. Praticamente il 16 per cento di ricoveri per le sostanze stupefacenti è dovuto a cannabis nel 2011. Ora siamo oltre il 25-26 per cento, probabilmente. Se andiamo a vedere questi dati prendendo la classe dei minorenni, vediamo che la percentuale arriva al 44 per cento. Una droga cosiddetta leggera non fa andare in pronto soccorso le persone. Questo è anche un dato europeo, non è solo un dato italiano.
  Che cosa è successo ? Guardate un altro dato che vi farà, spero, riflettere su questa questione. Negli ultimi anni, dal 2008 in poi, c’è stato nella popolazione generale un calo dei consumi, che è stato certificato non solo dall'indagine che fa il mio dipartimento, ma anche dal CNR e dall'Istituto Mario Negri con le acque reflue.
  Se, però, andiamo a vedere che cosa è successo nella popolazione tra i 15-19 anni, vedete che per la cannabis dal 2010, nonostante il trend generale sia la diminuzione dei consumi, abbiamo un incremento. Perché ? Le morti sono calate, a conferma che sono calati i consumi. Negli anni Duemila c'erano mille morti all'anno di overdose, adesso siamo a 313, con dati aggiornati al 2013.
  Questo perché si è creata su Internet una marea di questi siti, che noi stiamo tracciando tutti. Ne abbiamo chiusi oltre mille ormai – poi si riaprono, chiaramente, ma la lotta è costante – anche con l'aiuto del DCSA, che parlerà dopo di me. Quelli che vedete sono quelli con consegna gratis. Qualsiasi persona adolescente può comprare questi semi, questi prodotti e farsi le sue coltivazioni ad alto THC.
  Guardate questo grafico. Questo è lo spaccato dal 2008. La linea verde è la percentuale di uso di cannabis almeno una volta nella vita. L'ultimo dato che vedete in alto, l'ho elaborato l'altro giorno, è quello del 2014. C'era un calo fino al 2010. Da lì in poi è cominciata un'attività promozionale che noi abbiamo mappato. Tutte quelle righe gialle, rosse e blu vi mostrano quanto sia presente la pressione di marketing in Internet, che è il mezzo usato dagli adolescenti. Questa è la conseguenza. Tale marketing ha portato dal 2011 al 2014 a quasi 9 punti percentuali in più. La cannabis è l'unica droga che sta crescendo in termini concreti, con quel tipo di percentuale di principio attivo.
  Come vi dicevo, la cannabis è anche la droga più utilizzata dai minorenni. Il 71 per cento delle droghe utilizzate è rappresentato dalla cannabis. Prima ci si è anche chiesti: queste sostanze danno o no dei problemi anche nel lungo termine ? Questo è uno studio della Nuova Zelanda su 1.000 persone seguite da quando sono nate fino a 38 anni. È stato fatta la determinazione del quoziente intellettivo, che è stato citato prima. Io vi ho portato lo studio, che poi vi lascio tutto, chiaramente.
  Quello che si vede è un po’ difficile da leggere, ma ve lo interpreto io: se si usa cannabis prima dei 18 anni, si ha un calo del quoziente intellettivo a 38 anni fino a 8 punti. Perdere 8 punti in una popolazione giovanile vuol dire perdere una potenzialità cognitiva, anche di creatività e di intelletto, che una popolazione qualsiasi non si può assolutamente permettere, perché poi, al di là delle questioni sanitarie, non saremo competitivi con altre popolazioni che, per esempio, non usano cannabis e non perdono questa percentuale. Già abbiamo il problema dell'Alzheimer, se ci mettiamo anche queste cose sopra, peggioriamo la situazione. Questi sono studi consolidati e solidissimi.Pag. 32
  Io mi fermerei qui. Se volete, ho delle immagini per farvi vedere – noi facciamo studi di neuroimaging – esattamente che cosa fa la cannabis nella corteccia cerebrale e nella sostanza bianca, ma il mio tempo è scaduto.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Serpelloni.
  Do la parola alla dottoressa Marcella Marletta, direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute, da cui abbiamo avuto anche un documento.

  MARCELLA MARLETTA, Direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute. Grazie, presidente. Buongiorno, onorevoli deputati. Io ho lasciato una nota. Come ulteriore chiarimento, vorrei sapere se oggi si parla esclusivamente della parte relativa agli stupefacenti o anche della seconda parte del decreto relativa agli off label.

  PRESIDENTE. Il dibattito è aperto su tutto. Lei ha dato la disponibilità oggi. Parli di quello che la riguarda.

  MARCELLA MARLETTA, Direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute. Vado a esporre già in premessa che il provvedimento si compone di queste due parti. La prima è finalizzata a colmare il vuoto normativo che si è venuto a creare con la sentenza della Corte costituzionale sulla legge Fini-Giovanardi, con i problemi relativi agli stupefacenti che ha generato in un tempo che definire breve è dire poco. La seconda è finalizzata a dare una soluzione al problema relativo al corretto utilizzo dei farmaci off label, dei quali mediaticamente tutti conoscete la portata e l'impatto.
  In questa prima parte del decreto possiamo dire che la sentenza della Corte costituzionale, di cui avete parlato tutta la mattina, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle modifiche apportate al decreto del Presidente della Repubblica n. 309, che chiamiamo testo unico.
  A seguito di ciò hanno ripreso applicazione gli articoli del testo unico nella versione precedente alle citate modifiche, con particolare riferimento al sistema sanzionatorio riportato all'articolo 73 e alle tabelle degli stupefacenti e ai criteri riportati dagli articoli 13 e 14.
  In questo momento mi preme sottolineare che la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi esclusivamente per motivi procedurali, determinando automaticamente la cancellazione dell'intera disciplina amministrativa diretta a regolare, tra l'altro, anche la detenzione e la dispensazione dei farmaci a base di stupefacenti, nonché di quelli utilizzati per la terapia del dolore. L'impatto non è stato soltanto sugli stupefacenti, ma anche sull'attività dei professionisti sanitari e dei pazienti bisognosi di cure.
  Tenendo a mente che, in conformità con le convenzioni internazionali sugli stupefacenti, il testo unico regolamenta anche il sistema autorizzativo e di controllo delle sostanze impiegate nella ricerca e nella sperimentazione dell'uso di medicinali a base di stupefacenti da impiegare nella terapia, il ripristino della norma nella precedente stesura senza alcun intervento normativo – questo è il motivo per cui abbiamo dovuto fare un intervento – avrebbe causato l'annullamento di tutti gli interventi che negli ultimi otto anni sono stati effettuati.
  Tali interventi sono quelli relativi alla produzione, distribuzione e dispensazione dei medicinali, alla modalità di controllo delle sostanze dal punto di vista medico e farmaceutico al fine del corretto impiego in terapia, ma anche, il che per noi è particolarmente importante, alla sottoposizione al controllo di numerose nuove sostanze psicoattive a seguito di nuove acquisizioni scientifiche nel rispetto delle convenzioni internazionali. Parliamo delle droghe sintetiche, delle smart drug e di tutte quelle droghe che noi abbiamo messo sotto controllo proprio negli ultimi otto Pag. 33anni, con la vacanza o la caducazione di quelle parti di decreto che ci mettevano in difficoltà rispetto a questo tipo di applicazione.
  In particolare, per quanto riguarda, per esempio, le cure palliative, vogliamo ricordare la legge n. 38 del 2010, che ha dettato disposizioni sulle cure palliative e sulla terapia del dolore, semplificando la prescrizione dei medicinali per tali usi e i circa trenta decreti applicativi del testo unico che hanno seguito quel periodo, relativi ai modelli di prescrizione, che così vengono a cambiare, alle modalità di consegna dei medicinali negli stati di dipendenza, al trasporto dei medicinali a seguito dei viaggiatori, alla dose massima abituale, soglia per l'accesso alle comunità terapeutiche, al controllo della movimentazione dei medicinali con modalità elettroniche, oltre che all'impiego di terapie dei medicinali di origine vegetale a base di cannabis autorizzati dall'AIFA con indicazione nella riduzione degli spasmi muscolari. Parliamo di sclerosi multipla.
  Poiché il sistema sanzionatorio è strettamente collegato alla distribuzione delle sostanze nelle tabelle allegate al testo unico, abbiamo necessariamente ritenuto indispensabile questo intervento normativo mirato a ripristinare completamente le quattro tabelle, passando da due a quattro, per tornare a rendere applicabile quella norma sanzionatoria che è stata la caducazione per motivi della sentenza della Corte costituzionale.
  Abbiamo, quindi, dovuto ripristinare in maniera completa le quattro tabelle vigenti alla data di entrata in vigore della norma dichiarata illegittima per collegarle alle sanzioni indicate dall'articolo 73, il quale prevede sanzioni, come abbiamo già sentito dire prima, diverse e maggiori per gli illeciti relativi alle sostanze incluse nelle tabelle 1 e 3 e sanzioni minori per gli illeciti relativi alle sostanze incluse nelle tabelle 2 e 4, con differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti.
  Il decreto-legge n. 36 del 20 marzo ha consentito, quindi, di ripristinare, da un lato, le quattro tabelle con le sanzioni tornate in vigore e, dall'altro, tutte le modalità di prescrizione, dispensazione e gestione dei medicinali stupefacenti per non creare disagi alla popolazione, in particolare gli ammalati che in fase terminale o comunque con gravi patologie necessitano della terapia del dolore.
  Inoltre, al fine di conservare inalterato il sistema autorizzativo di controllo internazionale dei medicinali a base di sostanze stupefacenti e consentire, quindi, la prosecuzione della terapia in atto, con riferimento soprattutto alla terapia del dolore e al trattamento degli stati di dipendenza, l'intervento normativo ha previsto l'istituzione di un'ulteriore tabella, la quinta, definita «tabella dei medicinali», che contenesse tutti i medicinali di corrente impiego terapeutico, del tutto simile nel contenuto e nella suddivisione in cinque sezioni – a, b, c, d ed e – alla ex tabella 1 annullata a seguito della citata sentenza della Corte.
  Il dispositivo ha, altresì, consentito di conservare sotto controllo tutte le nuove sostanze psicoattive che sono comparse sul mercato illecito negli ultimi anni e che si sono rivelate responsabili dei numerosi decessi dei consumatori in Italia e in Europa.
  A commento di questa prima parte possiamo, quindi, affermare che l'intervento proposto dal Ministro Lorenzin si sia reso necessario e urgente per permettere di diradare quelle nebbie che da qualche giorno si erano addensate sull'attività di migliaia di operatori sanitari e pazienti in una materia sulla quale non è possibile non avere certezza disciplinatoria.
  Per ciò che riguarda, invece, le sanzioni per i reati concernenti le sostanze stupefacenti, queste non potranno che essere assunte dal ministero competente e dal Parlamento.
  Questo aspetto riguarda la prima parte. Passo alla seconda parte, quella delle norme sugli off label. Naturalmente, mi rifaccio alle vicende relative ai farmaci Avastin e Lucentis, che ha reso necessaria anche in questo caso una serie di iniziative e di rivisitazioni della disciplina degli off Pag. 34label al fine di tamponare e risolvere una questione che ha avuto ampio riflesso in queste ultime settimane.
  Tra le iniziative che vi riporto ci sono le indicazioni del Ministro Lorenzin proprio alla mia direzione generale affinché venissero richiesti ad AIFA aggiornamenti costanti sui dati in ordine all'uso e agli effetti del farmaco Avastin pervenuti tramite la rete nazionale di farmacovigilanza, ivi compresi i dati provenienti dagli altri Paesi comunitari.
  C’è poi la decisione di investire della questione il Consiglio superiore di sanità, che si esprimerà a breve – abbiamo già fatto una riunione e ne avremo un'altra tra qualche settimana – quale massimo organo di consulenza in materia sanitaria, affinché possa fornire un giudizio tecnico in merito al rapporto efficacia-sicurezza del medicinale Avastin, posto in relazione al Lucentis, sulla base di tutti i dati disponibili e tenendo conto della posizione espressa al riguardo dall'AIFA, ma anche ascoltando le società scientifiche e i maggiori esperti che hanno manifestato diversi orientamenti. Le audizioni saranno tra un paio di settimane.
  A questa importante iniziativa si affianca a pieno merito il provvedimento in esame nel quale vengono dettate misure dirette a favorire l'impiego di medicinali meno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale, dunque gli off label.
  Questa materia relativa ai farmaci off label è disciplinata dall'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 536 del 1996, convertito con la legge n. 648 del 1996, la quale prevede che, qualora non esista una valida alternativa terapeutica, siano erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale i medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa rispetto a quella autorizzata inseriti in un apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla CTS (Commissione tecnico-scientifica) dell'AIFA, conformemente a procedure e criteri adottati dalla stessa.
  I medicinali contenuti in questo elenco devono possedere le seguenti caratteristiche: essere medicinali innovativi, la cui commercializzazione è autorizzata all'estero e non sul territorio nazionale, o essere medicinali sottoposti a sperimentazione clinica e comunque essere medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa rispetto a quella autorizzata.
  La richiesta di inserimento di un farmaco nella lista può avvenire su iniziativa della stessa CTS o tramite la richiesta da parte di associazioni, società scientifiche, aziende sanitarie, università. Per richiedere l'inserimento è necessario che uno di questi enti faccia pervenire alla CTS dell'AIFA una documentazione articolata, nella quale viene dimostrata la gravità della patologia, l'assenza di valide alternative terapeutiche, la descrizione del piano terapeutico proposto, i dati indicativi del costo del trattamento mensile o per ciclo di terapia per paziente, l'autorizzazione del medicinale in Italia o all'estero e tutta la documentazione scientifica con i relativi dati clinici.
  Nel corso di questi ultimi anni ci sono stati diversi tentativi di ridefinire questa materia. L'ultimo è stato quello del decreto Balduzzi del 2012, poi non approvato in Parlamento.
  Il Ministro Lorenzin, anche alla luce dei fatti avvenuti recentemente, ha deciso di ritornare sulla materia cercando di eliminare o di limare i problemi che si erano verificati in ambito parlamentare nel corso della discussione del precedente provvedimento.
  In particolare, con il comma 4-bis, previsto dall'articolo 3 del decreto-legge, viene introdotta la possibilità da parte dell'AIFA, nel caso in cui l'autorizzazione all'ammissione in commercio non comprenda un'indicazione terapeutica per il cui utilizzo sussiste un superiore e motivato interesse pubblico connesso alla tutela della salute, di procedere alla registrazione di questa indicazione. La registrazione deve avvenire nei limiti delle disponibilità presenti nella porzione del fondo alimentato dal contributo del 5 per cento delle spese promozionali autocertificate versato dalle aziende farmaceutiche destinato alla realizzazione di ricerche sull'uso di farmaci, in particolare di sperimentazioni Pag. 35cliniche tese a dimostrare il valore terapeutico aggiunto, nonché sui farmaci orfani, anche attraverso bandi rivolti agli IRCCS, alle università o alla regione.
  La possibilità di effettuare questa registrazione per interesse pubblico richiede la cessione a titolo gratuito al nostro ministero di ogni diritto sull'indicazione terapeutica. Nel caso in cui l'azienda titolare dell'AIC si opponga a questa registrazione senza motivazione, l'AIFA provvede a darne adeguata informativa sul proprio sito istituzionale.
  Ancora, con il comma 4-ter vogliamo consentire l'utilizzo off label sin dall'avvio della registrazione e anche in presenza di alternativa terapeutica, inserendo il medicinale nell'elenco ex articolo 1, comma 4 in via provvisoria, pertanto accordando l'erogazione del farmaco a carico del Servizio sanitario nazionale.
  L'inserimento della suddetta lista può avvenire solo a condizione che la CTS dell'AIFA giudichi il farmaco sicuro ed efficace, con riferimento all'indicazione terapeutica di interesse pubblico, tenendo conto dei risultati delle sperimentazioni, nonché dell'onerosità del farmaco.
  Infine, con il 4-quater prevediamo che il suddetto inserimento provvisorio, nelle more della sperimentazione clinica avviata sul farmaco, diventi definitivo all'esito delle valutazioni della CTS.
  La proposta normativa in esame si segnala per essere non solo rispettosa del parametro dell'esistenza di studi di secondo livello a tutela della salute dei pazienti, ma anche della tutela brevettuale da parte delle aziende.
  La normativa, in conclusione, favorendo l'impiego di farmaci meno onerosi senza pregiudizio per l'efficacia e la sicurezza degli stessi, garantisce, da un lato, un più ampio accesso alle cure, dall'altro, un'ulteriore razionalizzazione della spesa farmaceutica, con effetti positivi in termini di risparmi per il Servizio sanitario nazionale.
  Ho lasciato la nota. Ho ascoltato anche gli interventi precedenti, ragion per cui, se c’è qualche riflessione che volete far pervenire al ministero, siamo pronti a valutarla.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Il suo scritto è già a disposizione dei colleghi.
  Concludiamo le audizioni. Do la parola al dottor Andrea De Gennaro, direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno.

  ANDREA DE GENNARO, Direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. Io mi soffermerò rapidamente, perché il tempo corre veloce, su alcuni aspetti relativi soprattutto alla parte sanzionatoria e di acquisizione della prova. Sono argomenti che ha già trattato con grande precisione il professor Manes, in parte, ma non completamente.
  Partiamo dall'aspetto sanzionatorio. La sentenza ci riporta, come è stato più volte sottolineato, a una situazione in cui esistono due diverse coppie di tabelle e due diverse sanzioni conseguenti alla vendita, importazione, detenzione per uso non personale e cessione di sostanze stupefacenti. Con riferimento alla cannabis, la sanzione ritorna a essere quella da 1 a 6 anni.
  Qual è il problema ? Intanto c’è una questione di carattere generale e di coordinamento tra le norme: se diamo un'occhiata al resto della parte sanzionatoria del decreto del Presidente della Repubblica n. 309, sia in termini di sanzione penale, per esempio al comma 5 dell'articolo 73, che è stato richiamato, sia in termini di sanzioni amministrative, all'articolo 75, che è stato a sua volta richiamato, ma anche all'articolo 79, che riguarda l'agevolazione all'uso di sostanze stupefacenti, e all'articolo 82, che concerne l'indizione al reato di persona minore, tra tutte queste norme l'unica che oggi abbia di nuovo una ripartizione in due, con una pena più grave per le droghe cosiddette pesanti e una meno grave per le droghe cosiddette leggere, rimane il comma 1 dell'articolo 73.Pag. 36
  Se questo lo misuriamo in particolare con il comma 5, emerge una questione che, a nostro avviso, è ancora più significativa. Il comma 1 riguarda e sanziona l'importazione, la vendita, la distribuzione e la produzione – quello che chiamiamo normalmente traffico e spaccio – ossia situazioni criminali di un determinato rilievo, medio-alto oltre che alto. Per il traffico più importante poi subentra l'aggravante dell'articolo 80.
  Rimaniamo su un traffico medio. La pena è da 1 a 6 anni. Per i fatti di lieve entità, quelli che vanno a salvaguardare o a riguardare, almeno questo sembra essere lo spirito della norma, coloro i quali sono anche consumatori, ossia sono anche tossicodipendenti, la pena è da 1 a 5 anni. Ci sembra sproporzionata. Su questo bisognerebbe intervenire, in un senso o in un altro. Questa, ovviamente, è una questione che riguarda non noi tecnici, ma il Parlamento, ma in un senso o in un altro noi riteniamo che si debba intervenire per limare questa sproporzione così grande.
  Dal punto di vista di prova della detenzione illecita, questione che riguarda più direttamente le forze di polizia, con la quantità massima detenibile, che era stata individuata nella Fini-Giovanardi, il compito, il lavoro, l'attività degli operatori su strada, che rappresentano il problema di impatto primo e principale per quanto ci riguarda, era non dico facilitato, ma reso sicuramente più oggettivo. Infatti, la soglia della quantità massima detenibile consentiva innanzitutto di avere la certezza del momento in cui si verteva nel settore del criminale e, quindi, in quello dei reati e del momento in cui si rimaneva nell'ambito amministrativo.
  Non solo, il calcolo, che è stato certificato dalla Cassazione a Sezioni unite, con una sentenza del 24 maggio 2012, per l'applicazione dell'aggravante dell'articolo 80 è un calcolo basato su 2.000 volte la quantità massima detenibile. Calcolando un principio attivo del 5 per cento, che, come sentivamo dall'intervento molto interessante e puntuale del professor Serpelloni, non è più ormai un quantitativo alto, il limite per l'inserimento e l'attivazione dell'articolo 80 e, quindi, dell'aggravante è di 20 chili di cannabis o di hashish. È una quantità importante.
  Ritorno al parallelismo con il comma 5 dell'articolo 73: altro è un corriere che viene intercettato con 15 chili di cannabis – siamo sotto la soglia dei 20 chili e, quindi, nel comma 1 dell'articolo 73 – altro è la piccola cessione.
  Vado rapidamente, perché ho capito che il tempo è poco. Cerco, però, di toccare un po’ tutti gli aspetti, possibilmente in modo chiaro.
  Un altro punto che noi riteniamo di porre all'attenzione è quello, sempre conseguente allo sdoppiamento della sanzione nell'articolo 73, comma 1, di un ritorno – credetemi, la fattispecie capita con una frequenza piuttosto alta – alla necessità di una doppia incriminazione, in molti casi. Mi riferisco a chi viene trovato in possesso di un quantitativo non per uso personale di cocaina e hashish o cannabis. Con le due sanzioni differenti scatta un meccanismo – è sempre accaduto così nella giurisprudenza costante prima della Fini-Giovanardi – di continuazione nel reato. Questo significa che alla fine l'aspetto sanzionatorio viene aumentato fino al triplo. Si corre, quindi, il rischio di comminare una pena ancora maggiore, che forse anche in questo caso andrebbe un po’ tarata.
  Da ultimo ci sono le condotte illecite riguardanti i medicinali. Con l'intervento della sentenza si modifica l'aspetto sanzionatorio delle condotte illecite relative, per esempio, al possesso di medicinali facenti parte della famiglia degli oppiacei – penso alla morfina – senza la ricetta, senza l'autorizzazione.
  La Fini-Giovanardi prevedeva un'attenuazione dell'aspetto sanzionatorio di un terzo. Oggi questo non c’è più. Ciò significa, per esemplificare, che, se io sto portando un medicinale di questo tipo a un mio familiare, il quale lo può assumere come cura palliativa, ma non ho fatto in tempo ad andare dal medico per farmi fare la ricetta, il farmacista mi conosce e me la dà lo stesso perché il giorno dopo gli porto la ricetta. Nel frattempo, però, se Pag. 37vengo fermato su strada da una pattuglia, la pena per me è da 8 a 20 anni. Forse anche in questo caso l'idea di ritornare alla formulazione che c'era nella Fini-Giovanardi è un auspicio.
  Io avrei finito. Gli aspetti erano questi. Spero di essere stato chiaro e ringrazio tutti.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Vorrei fare una domanda al Capo del Dipartimento politiche antidroga. Io e un esponente del PD l'abbiamo chiamata a venire in quest'audizione. Dai suoi interventi precedenti, sempre qui in Parlamento, sapevo benissimo che sarebbe venuto a parlarci di cannabis e non tanto del provvedimento in generale. Era una cosa che mi aspettavo.
  Devo dire anche che la prima slide che ci ha proposto, che non c’è nella memoria, tra l'altro, mi ha lasciato a bocca aperta. Francamente, da lei quella slide non me l'aspettavo, perché proponeva un segno di attenuazione delle sanzioni che da lei non mi aspettavo.
  Entrando nel merito di quello che le voglio chiedere, vorrei affrontare i dati. Il vostro omologo europeo, l'EMCDDA, fornisce dei dati anche in merito alla media di THC rinvenuta nella cannabis che è intorno all'8 per cento, mentre lei mi pare ci abbia portato dei dati in cui in Italia questa media è molto più elevata. Voglio sapere se esista una grande distinzione tra il dato europeo e il dato italiano, oppure se c’è un'elaborazione differente dei dati.
  Sempre entrando nella vostra relazione al Parlamento, è vero che in Italia i soggetti che fumano effettivamente molto, quelli che fanno un'assunzione di cannabis notevole, sono i ragazzi in età scolare, dai 15 ai 20 anni. Vorrei sapere, invece, qual è il dato degli assuntori in età post-scolare, degli adulti o medio-adulti, se la questione si riduce moltissimo e, quindi, se gli assuntori sono una quantità piccola, oppure se il livello è molto elevato.
  Lei ci ha anche fatto vedere lo studio in merito alla riduzione del quoziente intellettivo e ci ha posto il dato in merito ai ragazzi sotto i 17 anni che facevano un'assunzione giornaliera di cannabis e che a 38 anni avevano un quoziente intellettivo inferiore. La seconda parte dello studio parlava, invece, degli assuntori abituali dopo questa età. Vorrei sapere se dopo i 38 anni c’è una riduzione equivalente oppure inferiore, oppure se questa riduzione non c’è.

  PRESIDENTE. Non ci sono altre domande, ma ci sarebbe una mia domanda, che a questo punto farei al professor Manes, ma la questione è stata posta anche dal dottor De Gennaro. Mi interesserebbe approfondirla meglio, se possibile.
  In pratica, voi avete riportato entrambi la problematica che deriva dal fatto che non esiste più un riferimento certo alla quantità massima detenibile. Avete posto due profili diversi, uno dei quali era una preoccupazione per gli operatori della polizia giudiziaria. Vorrei capire se ci sono dei suggerimenti per superare l’impasse.

  PIERPAOLO VARGIU, Presidente della XII Commissione. Io vorrei fare una domanda alla dottoressa Marletta relativa alla parte sugli off label: qual è il motivo per cui il ministero ha pensato che l'inserimento degli off label fosse subordinato all'inizio di una sperimentazione da parte di AIFA sull'uso off label ? Non era pensabile che fosse più semplice una mera acquisizione di dossier e, quindi, una possibilità di distribuire gli off label attraverso il Sistema sanitario nazionale, inserendoli in una sorta di lista speciale di off label nazionale che potesse essere fornita alle ASL, sostanzialmente mutuando il meccanismo che già oggi le ASL utilizzano in tutta Italia per gli off label ?

  GIOVANNI SERPELLONI, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. La prima diapositiva si trova nel testo, alla fine nel testo. Quello era il preambolo che giustificava la mia impostazione. Nel testo Pag. 38scritto si trova il tema sviluppato alla fine. Si spiega, sia nell'introduzione, sia alla fine, quello che noi pensavamo, cioè una differenziazione delle sanzioni o delle pene per gli spacciatori e per i trafficanti.
  Chiaramente, ripeto, come ho sottolineato, credo che per il consumatore che usa un tipo o un altro di cannabis non ci sia alcun tipo di valenza penale. Lo trova comunque scritto ed è esattamente quello che ho detto. Nella diapositiva ho dovuto riassumerlo in poche righe. Vi lasciamo anche le diapositive, comunque.
  Passo alla seconda domanda dell'onorevole Cecconi. Non so perché si sia sorpreso, perché questa posizione noi l'abbiamo da sei anni, almeno da un punto di vista tecnico. Da un punto di vista politico, può essere stata interpretata o vissuta in varie maniere.
  Noi la troviamo giusta, nel senso che pensiamo che, se uno fornisce delle sostanze a minor tenore di tossicità e di neurotossicità, in particolare per quanto mi riguarda, potrebbe avere, ma ce lo diranno gli esperti in senso giuridico, una condotta meno rilevante, visto che procura meno danni rispetto a quello che potrebbe. Si può discutere su questo.
  Il tema è emerso anche durante la discussione: fornire una cannabis all'1,5 per cento di principio attivo a una persona vulnerabile vuol dire fare più male che non dare a una persona non vulnerabile una cannabis al 10 per cento, perché c’è la variabile individuale di reazione e di sensibilizzazione cerebrale. In proposito ci sono numerosi studi fatti anche sugli animali, oltre che sugli umani che dimostrano questo. Ripeto, un conto sono le evidenze scientifiche, un altro sono le scelte politiche, che vi lascio, perché sono tutte vostre.
  Sul discorso dell'EMCDDA, i dati che fornisce sono normalmente almeno di due o tre anni prima. Adesso non so se faccia riferimento all'ultimo del 2013, ma vedrà, se va a vedere la data, che i dati che vi ho fornito io sono del 2013.
  I dati rilevati da noi sono molto precisi, perché per ciascuno abbiamo una scheda di rilevamento, che è dal sistema nazionale di allerta. Quando vengono identificati i casi o sequestrati i quantitativi, vengono fatti questi esami. Gli esami sono svolti in laboratori certificati e poi hanno valenze anche giuridiche, perché vanno in tribunale. Questi dati noi li raccogliamo e li dividiamo come avete visto. Quella è una scheda di sintesi, ma ci sono le tabelle per ogni singola sostanza.
  Sono comunque dati che trova anche, se va a vedere oltre l'EMCDDA, che è un po’ in ritardo su queste cose, nella letteratura scientifica. Se lei usa PubMed, per esempio – io ho fatto una revisione prima di venire qui – trova più o meno queste informazioni, che sono un po’ più aggiornate forse. Le trova relative al Giappone, all'Olanda, agli Stati Uniti. Le percentuali delle sostanze da cannabis sono ormai arrivate al 38 e anche al 40 per cento. Sto parlando della pianta, altrimenti possiamo arrivare molto oltre.
  Quanto alla relazione al Parlamento e agli assuntori, la cifra che vi ho fatto vedere è intorno al 20 per cento. Purtroppo, io non ho una memoria visiva su questo tema, ma negli adulti questa cifra cala più o meno della metà. La cannabis è la sostanza prediletta dagli adolescenti, fino ai 25 anni. Dopodiché, questa prevalenza, che noi stimiamo con vari metodi, cala. L'indicatore cui si può fare riferimento è se la si sia usata almeno una volta nell'ultimo anno.
  Tale tendenza è in calo da tre o quattro anni. I dati sono convergenti, sia i nostri, con l'indagine che facciamo, che si chiama GPS (General Population Survey), fatta su circa 25-35.000 soggetti – è una grossa survey – sia quelli del CNR. Noi abbiamo dati al 2014 e loro hanno dati al 2012. Comunque i trend sono praticamente uguali.
  Noi abbiamo ricontrollato questi trend nella popolazione generale nelle acque reflue, cioè nelle acque di 18 città italiane. Le confermo – ha fatto lo studio l'Istituto Mario Negri – che queste tre droghe principali, eroina, cocaina e cannabis, sono in calo.
  Non so se sono stato esaustivo, ma comunque sono qui e le posso rispondere. Le faccio vedere un'ultima cosa, perché è Pag. 39riportata nelle diapositive, che poi vi lascio, se possono essere utili, che riguarda la domanda sul quoziente intellettivo.
  Nella parte di sinistra – la proietto, così la vedete meglio – è indicato l'uso prima dei 18 anni. È lì che si ha il problema principale di calo del QI. Lo studio è andato a vedere anche se ci fosse un utilizzo frequente o infrequente, ossia se l'uso avveniva meno di una volta alla settimana o più volte alla settimana.
  L'uso infrequente è la prima colonna sulla sinistra. Vedete che c’è un calo, che è significativo, perché la probabilità è dell'0,03, mentre, per quanto riguarda l'uso frequente, il calo è ancora maggiore. La perdita è visibile sulla sinistra, dove c’è scritto «use after age 18». In questo caso il problema non si è posto.
  Non ci sono differenze che dimostrino il calo. Questo è facilmente spiegabile anche da un punto di vista neuroscientifico. Io non vi ho fatto vedere queste cose, ma ne approfitto adesso solo per un aspetto. Vedete la linea di maturazione cerebrale dai 5 ai 20 anni. Il cervello chiude la sua maturazione corticale intorno ai 20-21, a volte anche verso i 24 anni. Noi abbiamo colorato questo di blu. Ci basiamo su uno studio fatto negli Stati Uniti. Se noi immettiamo droghe, alcol e psicofarmaci, o comunque sostanze psicoattive, in questa età, questa maturazione non avviene esattamente come dovrebbe avvenire e si verificano delle condizioni, come vi ha detto bene prima il professor Biggio, che sono permanenti. Il cervello compensa, ma dopo vent'anni riproduce il deficit neurocognitivo. Questo è il senso.

  DANIELE FARINA. Dottor Serpelloni, nella giornata di ieri io ho presentato un'interrogazione – lei sa che è la terza – nei confronti dell'operato del Dipartimento. Due interrogazioni originavano da articoli giornalistici, questa è assai più complicata. Si tratta di un'interrogazione in cui, dati alla mano, si evidenziano la duplicazione, nell'ambito dell'operatività del Dipartimento, di alcune indagini e di lavori già consolidati, nonché alcune metodologie di affidamento a soggetti di carattere non pubblico, ma privato, tra cui il Consorzio CUEIM, che è incaricato di fornirci buona parte dei dati, o alcuni dei dati che abbiamo qui visto.
  Alla fine lei replicherà, ma nell'interrogazione si fa riferimento ad articoli de La Repubblica sulla presunta manipolazione dei dati sui consumi e sul fatto di attribuire valore scientifico a considerazioni che con la medicina non hanno niente a che fare.
  Io credo che su molte delle cose che abbiamo osservato avremo modo certamente di discutere. Immagino e spero che questa interrogazione, molto dettagliata peraltro, avrà risposta dai ministri competenti. Mi faccio semplicemente pregio di dire che le problematiche che noi abbiamo di fronte appartengono a una fase nuova, a un pensiero nuovo, a politiche nuove, a livello europeo e soprattutto a livello internazionale e mondiale.
  Quello che non ho apprezzato – mi rivolgo a lei perché ravviso in lei il terminale di molti degli interventi che abbiamo sentito oggi – è la difesa strenua di alcune convinzioni, alcune scientifiche, altre assai meno. Secondo me, questo non è un buon servizio al legislatore e non è un buon servizio neanche a quei cittadini che hanno fatto di questi umili deputati rappresentanti della Repubblica.
  Io credo che, avremo, lo ripeto, modo di approfondire in qualunque sede sia possibile il lavoro che il Dipartimento ha fatto in questi anni, ma quello che credo siamo chiamati a fare oggi è produrre una modesta e moderata innovazione che la Corte costituzionale si è già incaricata di segnalarci come nostro ritardo specifico.
  Chiudo perché alcuni dei problemi che sono stati sollevati, soprattutto per le materie di competenza della Commissione giustizia – sulle altre mi ritengo certamente meno competente – sono problemi, questi sì, urgenti, che avrebbero avuto bisogno di un decreto e per i quali abbiamo sollecitato il ministro anche in più occasioni. Da questi temi dipende, infatti, la vita di tante persone, nonché circa un terzo, o forse qualcosa in più, della popolazione attualmente detenuta nelle carceri Pag. 40italiane. Di questi soggetti 8.000 avrebbero la possibilità di fare un incidente di esecuzione della pena presso il giudice dell'esecuzione, ma in questo momento di confusione normativa non si capisce ancora che fine faranno.
  Io non so se questo decreto sarà l'occasione perché salgano a bordo una serie di questioni che la Commissione giustizia della Camera discute da sei o sette mesi. Noi abbiamo fatto quattro o cinque mesi di audizioni. Chiaramente restringere in due giorni le audizioni, alcune tra l'altro già effettuate, non è un buon modo, ma io credo che non sia neanche un buon modo, e questo è un po’ il cuore delle questioni, ripetere sempre le stesse considerazioni «discutibili» – uso questo eufemismo tra virgolette – senza capire che esistono tempi in cui alcune cose succedono, l'orizzonte legislativo si modifica, la società cambia e forse ci si aspetta anche qualche risposta non particolarmente radicale, ma un po’ più evoluta, sia dai suoi rappresentanti, sia da coloro che dovrebbero essere gli occhi, la voce e i terminali scientifici di questi rappresentanti, i quali hanno i limiti delle loro competenze.

  PRESIDENTE. Onorevole, lei di solito non abusa, però poniamo domande. Poi faremo gli interventi. C’è un'altra domanda dell'onorevole Ermini. Dopodiché, devono ancora rispondere De Gennaro e Manes.

  DAVID ERMINI. Sarò velocissimo. Chiedo scusa per il ritardo, ma c’è una cosa che mi interessa particolarmente. Noi siamo in Commissione riunite giustizia e affari sociali, ragion per cui dobbiamo vedere la questione sotto un aspetto globale. Non entro in diatribe scientifiche sul fatto che la cannabis faccia più o meno male dell’ecstasy o degli altri prodotti sintetici. Dico soltanto che a me interessano i ragazzi che per la cessione di poca roba finiscono in galera e che, secondo me, si rovinano definitivamente.
  Chiedo ai nostri interlocutori: la galera per queste persone fa veramente bene ? Quando una persona che ha ceduto uno spinello o qualche spinello si trova in prigione, voi avete dei dati scientifici e tecnici per poterci dire se dopo il trascorso in prigione questa persona esca dal mondo della droga ? Oppure, invece, ci sono dei dati che ci indicano che, una volta stati in prigione, i ragazzi più giovani magari riescano in modo più difficile a uscire dal mondo della droga ? A me interessano principalmente loro.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  VITTORIO MANES, Professore di diritto penale presso l'Università degli studi di Bologna. Presidente, la sua domanda concerne il ruolo delle tabelle, se ho ben capito, cioè che fine faccia attualmente il compito di indirizzare la distinzione tra consumo o detenzione a finalità squisitamente personale e detenzione finalizzata, invece, allo spaccio.
  Il sistema delle tabelle oggi non opera più, o almeno non opera più in seno a quella distinzione, perché il comma 1-bis, lettera a) di quell'articolo 73 è stato caducato dalla sentenza della Corte. Questo significa che rivive il vecchio sistema, che non stabiliva dei criteri.
  I criteri che erano stati adottati dall'articolo 73, comma 1-bis, cioè il superamento, ancorché con una funzione indicativa e relativizzata dalla giurisprudenza, dei limiti tabellari, le modalità di presentazione della sostanza – per esempio, il fatto che il soggetto fermato dalle autorità di polizia o di pubblica sicurezza avesse la sostanza divisa in bustine, in dosi pronte per il dettaglio – e le altre circostanze dell'azione (erano questi tre i criteri introdotti dalla lettera a) di quell'articolo) oggi non operano più.
  Verosimilmente, lo scenario potrà essere quello di un recepimento inerziale di una giurisprudenza che ormai si è consolidata sulla base di quei criteri e che ha stabilito una determinata prassi per distinguere tra detenzione a fini personali e detenzione a fini di spaccio.
  È anche vero, però, che l'esperienza non solo precedente, ma soprattutto precedente, Pag. 41dimostra che c’è una grande sperequazione e disparità tra tribunali nel ritenere una medesima condotta rientrante nella costellazione dello spaccio o, viceversa, nella finalità personale. Questo è un primo dato su cui meditare, ovviamente chiarendo quel problema a monte di cui dicevo prima.
  Quanto all'onorevole Ermini, se posso dire una parola di ciò che penso su un problema che effettivamente avverto anch'io, e in modo particolarmente sollecito, sono convinto di condividere la sua preoccupazione e non credo che il carcere sia, soprattutto per i fenomeni di cui lei parla, una via di uscita da un problema come quello della droga. Credo anzi che molto spesso il trattamento repressivo e soprattutto punitivo, cioè di carattere penale, possa essere criminogeno, ossia possa attrarre il soggetto in una spirale ulteriore di degenerazione criminale.
  Questo, naturalmente, implica considerazioni ben più complessive, ma mi sembra che l'esperienza più recente di taluni Paesi, dove il fenomeno del traffico di stupefacenti è percepito con un tasso di allarme persino maggiore che da noi, vada nel senso di una messa in discussione anche dell'utilizzo della sanzione penale come unico strumento di contrasto, o forse come principale strumento di contrasto.
  La mia impressione è che quella distinzione di base sulla quale sono state costruite le politiche proibizionistiche – questo non significa voler abbracciare un antiproibizionismo, una liberalizzazione o una politica di liceizzazione; assolutamente non vorrei essere frainteso, sto dicendo un'altra cosa – cioè la distinzione tra consumatore e spacciatore, con questi due tipi criminologici, probabilmente oggi non sia più attuale.
  Ci sono moltissime figure – questo forse ce lo potrà confermare il dottor Serpelloni – che si autofinanziano il consumo personale con piccolo spaccio. Criminalizzandoli, si criminalizzano le stesse vittime di un sistema e probabilmente si dovrebbe cercare di reperire strumenti di contrasto e di soluzione sul piano delle politiche sociali – lo sottolineo, visto che qui stiamo parlando anche alla Commissione affari sociali – di taglio diverso.

  ANDREA DE GENNARO, Direttore centrale del Servizio antidroga del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno. Presidente, io rispondo con grande semplicità alla sua domanda. La nostra idea è quella che – mi associo a quanto ha detto in apertura il professor Manes – la quantità massima detenibile vada reinserita nella norma, ovviamente non di per sé, ma insieme agli altri elementi che già c'erano, ossia il confezionamento, la ripartizione in dosi e la presenza di una quantità di sostanza da taglio che dia la possibilità di definire quel possesso come un possesso indirizzato verso la vendita e non all'uso personale.
  Questo consentirebbe di dare un'oggettivizzazione alla condotta e di fornire un grande aiuto sia agli operatori di polizia, sia, in una seconda fase, al giudice nella decisione.

  MARCELLA MARLETTA, Direttore generale dei dispositivi medici, del servizio farmaceutico e della sicurezza delle cure del Ministero della salute. Io rispondo in questo momento sugli off label. Naturalmente, la risposta non è semplice, perché il caso stesso non è semplice. Noi ci siamo trovati di fronte, oltre alla necessaria valutazione sulla sicurezza e, quindi, alla necessità di rispettare il diritto incomprimibile alla salute all'articolo 32, a due leggi che ci ponevano giuridicamente dei problemi.
  Da un lato, sicuramente la legge finanziaria del 2007, l'articolo 1, comma 796, lettera z) della legge n. 296 del 2006, specifica che non è possibile usare un farmaco off label, cioè fuori dalle sue indicazioni, quando sia già disponibile in commercio un farmaco con quelle indicazioni terapeutiche. Ovviamente questa norma non nasceva dal caso degli off label così come è successo, ma nasceva senz'altro dalla necessità di evitare che fossero utilizzati farmaci costosi ancora dopo una registrazione di un'indicazione terapeutica in particolare. Questo è un tipo di problema.Pag. 42
  L'altro problema nasce anch'esso da un'altra finanziaria, quella del 2008. Parliamo della legge n. 244 del 2007, articolo 1, comma 349. Mi richiamo a questa seconda legge finanziaria perché, in verità, il decreto n. 648 prevedeva esclusivamente che potessero essere erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale i medicinali sottoposti a sperimentazione clinica e quelli da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata. Con la finanziaria del 2008, articolo 1, comma 349, si parla, invece, del fatto che, ai fini delle decisioni da assumere ai sensi dell'articolo 1 del decreto n. 648 che ho appena citato, è necessario lavorare sui dati disponibili delle sperimentazioni cliniche già concluse almeno di fase seconda.
  Questi due aspetti ci ponevano giuridicamente di fronte a un problema di applicabilità della norma, laddove per l'Avastin non è stato mai condotto dall'azienda per quella indicazione terapeutica uno studio clinico e, quindi, non siamo arrivati allo studio clinico in fase seconda. Contemporaneamente, con l'altra legge – il comma z), per capirsi – abbiamo avuto il problema di dover accettare l'utilizzo del farmaco, pur più costoso, ma con l'indicazione terapeutica specifica, a fronte del fatto che l'altro non l'avesse.
  Giuridicamente è sembrata la soluzione più veloce quella di poter fare un'ulteriore norma nella quale l'accesso dei pazienti alle cure venisse reso possibile da un provvisorio inserimento nel decreto n. 648 e, quindi, da una possibilità di iniziare quegli studi dei quali stiamo parlando per superare, da un lato, il problema della finanziaria del 2007 e, dall'altro, quello della finanziaria del 2008, ossia degli studi conclusi di fase seconda.
  In questo caso con la norma in questione, permettendo studi fatti su fondi dell'AIFA, si potrà far accedere provvisoriamente al decreto n. 648 il farmaco off label e poi successivamente, una volta che ci saremo assicurati – più che altro noi guardiamo adesso all'aspetto della sicurezza – col Consiglio, inserirlo definitivamente, nel momento in cui ci saranno sufficienti dati sperimentali per andare avanti.
  Questo è stato l’iter al momento, almeno per andare step by step su quello che il ministero ha fatto a seguito della questione Avastin e Lucentis.

  GIOVANNI SERPELLONI, Capo Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri. Rispondo brevemente all'onorevole Farina. Noi rispondiamo sempre alle interrogazioni per iscritto. Negli ultimi sei anni ne abbiamo ricevute parecchie e abbiamo anche risposto su questi argomenti.
  Quello che non posso accettare è di adombrare la duplicazione o addirittura la manipolazione dei dati. I dati sono sotto gli occhi di tutti. Noi possiamo fornire, come abbiamo sempre fatto, anche i microdati e i database, che possono essere controllati nei minimi particolari.
  Non so che cosa si intenda con «duplicazione dei dati». Comunque, aspetteremo la sua interrogazione e le risponderemo, come abbiamo sempre fatto, perché lei ne ha presentate diverse.
  Il CUEIM è un consorzio universitario che ci aiuta su determinate analisi. Noi facciamo queste survey, che vi ho fornito in sintesi, sulla base della normativa vigente, la quale dispone che dobbiamo farle annualmente, qualcuna anche biannualmente, per fornire la relazione al Parlamento.
  I costi sono sotto trasparenza totale. Da sempre noi pubblichiamo i progetti, i costi e i fornitori nel sito e, quindi, mi sento molto tranquillo.
  Non mi piace – lo devo dire a pelle, in termini emotivi – quando qualcuno in queste sedi adombra questioni di manipolazione di dati, al punto tale che io stesso sugli articoli che sono comparsi, come quello che lei citava de La Repubblica, poi ripreso da altri giornali, ho parlato con l'Avvocatura di Stato. È stata formalizzata dall'Avvocatura di Stato una serie di denunce verso questi responsabili, perché è oggettivo e provabile il fatto che le cose che sono state dette non sono vere.Pag. 43
  Lo deciderà un tribunale, ma la mia opinione, visto che ho fornito questi dati all'Avvocatura di Stato e l'Avvocatura di Stato ha provveduto a fare questa denuncia, è che le cose che sono state dette – lo dico qui pubblicamente e a lei direttamente – non siano vere. Vada a leggere anche gli atti che sono venuti fuori. Anche loro hanno riconosciuto di aver sbagliato su certe cose.
  Detto questo, io l'ho anche invitata personalmente, tempo fa, con una lettera – non so se l'abbia ricevuta – a venire in Dipartimento a vedere esattamente con i propri occhi, con le proprie mani e con i suoi esperti come si lavora e come vengono generati i dati. Il Dipartimento è una struttura assolutamente aperta. Ripeto, noi siamo disponibili, come sempre, a fornire addirittura i microdati.
  Voglio dire una cosa a chi ha chiesto se la galera faccia bene o no. In termini molto semplici, la galera per i tossicodipendenti fa male. Ci sono studi che lo dimostrano. Il Dipartimento, in tempi non sospetti, sei anni fa, ha scritto documenti addirittura internazionali, divulgati anche con le Nazioni Unite, in cui ha sostenuto che sia necessario che le persone tossicodipendenti escano dal carcere, o addirittura che non entrino neanche nel carcere. I dati che vi possiamo fornire sono molto semplici: chi fa i percorsi alternativi, sia dall'interno del carcere, con il vecchio articolo 94, sia provenienti da libertà, presenta indici di outcome, cioè di esito positivo del trattamento, che vanno dal 45 al 75 per cento di guarigione, di positività.
  La risposta è questa, dunque: il carcere può criminalizzare una persona, ma, attenzione, stiamo parlando di persone tossicodipendenti che hanno un comportamento recidivante che deve essere poi sostenuto. Non basta dire: esci dal carcere e stop. No, ci sono dei percorsi terapeutici e di sostegno per il soggetto e la sua famiglia.

  PRESIDENTE. L'importante è che questi percorsi poi ci siano. Abbiamo saputo e sappiamo, infatti, che gli affidamenti in prova al servizio terapeutico, purtroppo, perché i soldi prendono altre strade, non vengono attuati. Le carceri sono piene di tossicodipendenti. Questo è un problema che noi ci siamo posti e che dobbiamo assolutamente risolvere.
  Vi ringrazio molto, anche per la pazienza. Grazie ai colleghi e grazie al presidente Vargiu.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.