XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 1 dicembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI E DEI SERVIZI COMUNALI

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 
De Girolamo Adolfo Teobaldo , Presidente di Sezione della Corte dei conti ... 3 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 
De Girolamo Adolfo Teobaldo , Presidente di Sezione della Corte dei conti ... 3 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 6 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 6 
Fabbri Marilena (PD)  ... 6 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 7 
De Girolamo Adolfo Teobaldo , Presidente di Sezione della Corte dei conti ... 7 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 8 
Ferone Rinieri , Consigliere della Corte dei conti ... 8 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 9 

Audizione di esperti:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 9 
Bassanini Carlo , Responsabile area PA di SCS Consulting ... 9 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 10 
Simonetta Massimo , Direttore Ancitel Lombardia Srl ... 10 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 13 
Simonetta Massimo , Direttore Ancitel Lombardia Srl ... 13 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 13 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 13 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 14 
Fabbri Marilena (PD)  ... 15 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 16 
Simonetta Massimo , Direttore Ancitel Lombardia Srl ... 16 
Bassanini Carlo , Responsabile area PA di SCS Consulting ... 17 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
  Do subito la parola al Presidente De Girolamo.

  ADOLFO TEOBALDO DE GIROLAMO, Presidente di Sezione della Corte dei conti. Buongiorno a tutti. Porto innanzitutto il saluto del Presidente Squitieri, che ha delegato me, insieme ad altri colleghi della Sezione autonomie che mi accompagnano, a rappresentare la Corte in questa audizione.
  Abbiamo predisposto e messo a disposizione della Commissione un documento che, partendo dal quadro ordinamentale delle gestioni associate di funzioni e servizi, riferisce sullo stato di attuazione della normativa per le unioni e funzioni, ne analizza taluni trend gestionali e finanziari, con raffronti con le gestioni individuali, fa cenno all'organizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, svolge talune valutazioni di sintesi che in parte riprendo in questa mia presentazione.
  Avverto che il documento ha un'appendice contenente una ricognizione dello stato di attuazione della riforma da parte delle regioni nella materia.

  PRESIDENTE. Solo una comunicazione: avverto che il documento è stato inviato a tutti per posta elettronica.

  ADOLFO TEOBALDO DE GIROLAMO, Presidente di Sezione della Corte dei conti. Vorrei premettere innanzitutto che il tema della valutazione, in termini di economie di spesa e di miglioramento qualitativo dei servizi, degli effetti delle misure normative tendenti a concentrare in un numero ridotto di soggetti istituzionali la gestione dei servizi essenziali e delle funzioni più importanti a livello locale, è da tempo oggetto di attenzione anche da parte della Sezione delle autonomie della Corte dei conti, nell'ambito dell'attività di referto sugli andamenti della finanza locale che è demandata all'istituto dall'articolo 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003.
  La Sezione, in occasione degli ultimi due referti sulla finanza territoriale fatti nel 2014 e nel 2015, ha avuto modo di osservare che i dati in sé farebbero propendere per una limitata rilevanza della costituzione delle unioni di comuni ai fini di un'efficace correzione degli andamenti della spesa corrente dei comuni. La Corte ha aggiunto anche che le reiterate proroghe dei termini entro cui attuare le gestioni associate obbligatorie, nonché la circostanza che il legislatore nazionale e le regioni hanno ripetutamente modificato e integrato la normativa, variando le funzioni Pag. 4associate, le soglie relative alla popolazione degli interessati e le modalità procedimentali, costituiscono un sintomo delle difficoltà registrate nella concreta attuazione del percorso istituzionale normativamente delineato.
  Questo necessiterebbe probabilmente di aggiustamenti rivolti a una maggiore semplificazione ed a più efficaci forme di incentivazione finanziaria, ad esempio da collegare al risultato concretamente conseguito in termini di risparmi di spesa, ovvero di un'approfondita analisi delle criticità e delle resistenze riscontrate alle politiche di associazionismo forzato.
  Sempre in questi due referti di qualche tempo fa, la Corte ha nel contempo richiamato l'attenzione sulla provvisorietà e la rivedibilità delle valutazioni, anche per la circostanza che alcuni degli esercizi considerati nei referti, sulla base dei certificati di conto consuntivo presentati al Ministero dell'interno, sono quelli nei quali ancora non vigeva l'obbligo di associare le funzioni fondamentali, per cui i dati potevano anche non riflettere i contenuti essenziali del fenomeno.
  Vogliamo avvertire, comunque, che i dati che abbiamo utilizzato per questo documento sono più recenti di quelli utilizzati in precedenza.
  Con riguardo al fenomeno in esame, va preso atto della nota circostanza che ci trova in un momento cruciale, in quanto il complesso normativo, che in particolare dal 2010 in poi ha dettato, non senza incertezze sui modi e tempi di realizzazione, la disciplina per l'esercizio associato di servizi e funzioni da parte dei comuni, si avvia alla piena operatività dal 1o gennaio 2016.
  Tuttavia, permangono da più parti notevoli resistenze e riserve, principalmente per una assunta inidoneità degli strumenti normativi considerati a realizzare le economie di scala avute di mira dalla riforma e per una inidoneità delle unioni di comuni a costituire modello di governance dei piccoli comuni. Si tratta invero di valutazioni che, in ogni caso, si fondano sull'osservazione di un fenomeno incompiuto, considerato che per le unioni solo il 30 per cento dei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti ha associato le funzioni fondamentali, benché si tratti di norme dirette ad assicurare il coordinamento della finanza pubblica e il contenimento delle spese per l'esercizio delle funzioni fondamentali. Lo prevede, in particolare, l'articolo 14, comma 25 del decreto-legge n. 78 del 2010.
  Più in dettaglio vogliamo evidenziare che su un universo di 8.059 comuni a livello nazionale nel 2014 le unioni risultano essere state 444, relative a 1.735 comuni con meno di 5.000 abitanti e a 535 comuni con più di 5.000 abitanti. Le fusioni sono state 24, relative a 57 comuni.
  Questa situazione determina di per sé un evidente deficit informativo che non consente di apprezzare appieno il livello di realizzazione della finalità di riordino e semplificazione perseguito dalla legge. Pur nella consapevolezza di ciò, resta ferma l'opportunità di verificare quali siano i risultati raggiunti dalle forme associazionistiche in esame. La valutazione appare, però, non agevole, come già osservato, per il contenuto numero degli enti coinvolti nei processi e per la limitatezza dei dati di cui si dispone. Ciò nondimeno, si possono proporre talune valutazioni sull'andamento della spesa gestita in forma associata dalle unioni e fusioni di comuni, tenendo però ben presenti l'approccio metodologico adottato nella rilevazione e la relativa significatività delle elaborazioni.
  Passiamo, quindi, a esaminare i dati finanziari per le unioni. Per l'analisi dei dati finanziari delle unioni, va premesso che la mutevolezza degli assetti ordinamentali e funzionali, sia per la composizione soggettiva delle unioni che per la tipologia delle funzioni svolte in associazione, non consente una stima in termini comparativi e in sede storica della spesa di tutti i comuni prima e dopo l'associazione di funzioni. La disamina della Corte ha riguardato pertanto le unioni di comuni che hanno inviato, per gli esercizi 2013 e 2014, i certificati di conto consuntivo acquisiti alla banca dati del Ministero dell'interno, Pag. 5e i comuni appartenenti alle individuate unioni che hanno parimenti provveduto all'adempimento.
  La terza condizione, per questo campione che abbiamo elaborato e sezionato, è che in questo biennio che abbiamo considerato ci deve essere stata la invarianza nella consistenza numerica delle unioni. In altre parole, non sono state considerate unioni senza questa condizione, proprio per avere una omogeneità del dato. Quindi, invarianza numerica delle unioni considerate.
  Con riguardo agli impegni d'esercizio, ovviamente per queste unioni campionate, si registra un incremento della spesa corrente nel 2014 rispetto al 2013 pari a 40,4 milioni, mentre per i singoli comuni che appartengono alle unioni del campione si registra un decremento della spesa corrente di 76,6 milioni di euro rispetto al 2013. In percentuale, abbiamo un aumento della spesa corrente delle unioni del 9 per cento, con un decremento delle spese correnti complessive per i singoli comuni del 3 per cento.
  Tendenzialmente tale andamento potrebbe essere coerente con le aspettative di risparmio collegate al fenomeno. Da un lato, infatti, si assiste a un aumento della spesa da parte delle unioni correlato all'incremento delle funzioni fondamentali che vengono associate; dall'altro, i comuni associati riducono la loro spesa corrente complessiva poiché, delegando le funzioni, contengono fino ad azzerarli i correlati impegni correnti. Tuttavia – questa è un'osservazione abbastanza importante – l'azzeramento della spesa per le funzioni associate non si è verificato per tutti i comuni interessati, in quanto, ove così fosse stato, la riduzione complessiva degli impegni avrebbe dovuto avere una consistenza più significativa di quella che abbiamo riscontrato.
  Il riferito incremento di spesa corrente registrato dalle unioni campionate nel biennio 2013-2014 riguarda in particolare le funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo, quelle relative all'istruzione pubblica nonché al settore sociale, al settore sportivo-ricreativo, alla cultura e ai beni culturali. In contrazione, invece, risulta la spesa per le funzioni di polizia locale nel campo dello sviluppo economico e nei servizi produttivi.
  Parallelamente, i comuni associati in unioni fanno registrare una riduzione della spesa per funzione. Per quanto riguarda i comuni con meno di 5.000 abitanti, destinatari dell'obbligo giuridico di gestire in forma associata le funzioni fondamentali, abbiamo rilevato soltanto riduzioni di spesa per alcune funzioni, per le quali invece l'esercizio associato avrebbe dovuto comportare l'azzeramento della gestione da parte dei singoli comuni. Quindi, abbiamo continuato ad avere dati di spesa per funzioni che in realtà avrebbero dovuto essere azzerati.
  Dalla ricognizione effettuata nel contesto, dai limiti già esposti e dalla rilevazione di andamenti non sempre univoci emerge chiaramente che una valutazione compiuta della reale consistenza delle economie di scala sarà possibile solo con l'avvio a regime della riforma programmata. Deve comunque aggiungersi che la rilevata incompiutezza della riforma, protrattasi finora per cinque anni, è anche elemento di vulnerabilità del significato delle analisi e delle valutazioni che la riguardano. È infatti da tener conto delle progressive diseconomie derivanti dalla duplicazione delle strutture tecniche, che spesso coesistono in attesa del completo accorpamento dei servizi, con dispersione dei benefici prefigurati.
  A risultati di più agevole interpretazione in termini di economicità sembra potersi pervenire per la spesa corrente delle fusioni che sono state oggetto d'analisi. Anche per queste si è selezionata solamente una parte delle fusioni di comuni perfezionate nel 2014, cioè 18 su 24, aggreganti 38 comuni, in base a un'elaborazione dei dati desunti dal sistema informativo della Corte SIRTEL diretta a consentire un confronto tra dati omogenei.
  Dagli elementi della gestione degli enti nati dalla fusione del 2014 è possibile rilevare un risparmio di spesa corrente in termini di impegni, sia pure nel ristretto ambito di analisi indicato e al netto degli Pag. 6incentivi ricevuti, pari a circa 10 milioni di euro rispetto alla spesa delle singole gestioni 2013. Siamo partiti, ripeto, da un dato di 18 fusioni aggreganti 38 comuni, con i limiti che abbiamo detto, e abbiamo riscontrato un risparmio di 10 milioni di euro.
  Alle difficoltà di valutazione in termini univoci dei risultati finanziari rilevabili per le unioni dei comuni in particolare, si aggiunge l'incertezza del quadro giuridico conseguente alla recente pronuncia della Corte costituzionale n. 50 del 2015. La Consulta ha dichiarato che le unioni di comuni, risolvendosi in forme istituzionali di associazioni tra comuni per l'esercizio congiunto di funzioni o servizi di loro competenza, non costituiscono, al di là della impropria definizione di cui al comma 4 dell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014, un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all'ente comune. Questo è un ulteriore elemento di complicazione, che ovviamente si dovrà tenere presente in futuro.
  Vorremmo anche osservare che la Corte costituzionale non ha toccato, invece, l'articolo 2 del Testo unico sugli enti locali che del pari ricomprende le unioni tra gli enti locali.
  Possiamo anche incidentalmente aggiungere che i principi affermati dalla Consulta potrebbero, in qualche modo, dare linfa alla tesi che considera le unioni come un passaggio intermedio verso il termine finale costituito dalle fusioni.
  Nel documento che vi abbiamo presentato, come ho già detto, si fa cenno anche alla disciplina funzionale della regolamentazione dei servizi pubblici locali in una visione allargata della governance dei livelli amministrativi locali, essendo i servizi in gran parte esternalizzabili, cioè gestiti dagli enti mediante società partecipate.
  In tale ambito, è appena il caso di sottolineare le potenzialità offerte dalla legge delega n. 124 del 2015 che, all'articolo 19, lettera d), prevede principi e criteri direttivi tesi al riordino dei servizi pubblici a rilevanza economica. In questa sede potrebbero essere risolte anche le antinomie tra i diversi poteri sostitutivi previsti in caso di inadempienza agli obblighi di istituzione degli enti di governo degli ATO e di omesso conferimento degli enti locali, che risultano ora attribuiti a una pluralità di organi diversi in mancanza di collegamento funzionale tra loro.
  L'occasione, infine, sarebbe propizia anche per rivedere i necessari raccordi tra principi generali e normativa di settore, con riferimento agli specifici ambiti di intervento idrico, trasporti e rifiuti che hanno un impatto notevole sulla gestione del territorio.
  Tutto quanto ho esposto sinteticamente è espresso in modo analitico e compiuto nel documento, con tabelle commentate sui fenomeni finanziari a cui ho fatto cenno. Se, dunque, si vuole approfondire, c’è un'analisi molto più completa e più dettagliata.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Successivamente valuteremo più attentamente i dati e le tabelle che brevemente ci avete esposto. A ogni modo, parlando delle unioni dei comuni, avete fatto una stima generale di tutti i comuni che avete preso in considerazione, valutando che c’è stato effettivamente un risparmio del 3 per cento, seppur ridotto rispetto a quello che ci si poteva aspettare dalla riforma. Vorrei, però, sapere se avete riscontrato delle differenze notevoli tra alcune unioni rispetto ad altre. Ci sono unioni che funzionano in maniera eccellente ed efficace e altre che, invece, non funzionano per niente oppure il dato è una mediana ?
  Siccome è fisiologico che qualcuno funzioni meglio di altri, il dato del 3 per cento è una mediana oppure c’è chi ha risparmiato molto di più, facendo un'unione più compiuta, e chi, invece, ha risparmiato poco o anche nulla ?

  MARILENA FABBRI. Ringrazio il presidente della relazione dettagliata che studieremo perché, effettivamente, un obiettivo Pag. 7dell'indagine conoscitiva era di poter avere dei dati aggregati per verificare delle intuizioni o dei pregiudizi rispetto al tema del riordino istituzionale e delle unioni e fusioni. Sotto questo aspetto, è importante verificare qual è stato il ritorno di questa operazione, anche in termini economici.
  Chiedo, dunque, una conferma rispetto alla relazione che è stata svolta. In primo luogo, si è riscontrato un risparmio di spesa sia dall'operazione delle unioni sia, in particolare, delle fusioni, se pensiamo che su 18 fusioni abbiamo avuto 10 milioni di risparmio da razionalizzazione in 2 anni. In realtà, sappiamo, però, che il risparmio dovrebbe essere valutato in un periodo più lungo perché normalmente nel primo anno è probabile che non ci sia una razionalizzazione, ma persino un costo aggiuntivo legato alla possibilità della coesistenza di strutture che poi devono fondersi e riorganizzarsi. Questo dimostra, perciò, che ci possono essere ulteriori margini.
  Se non ho capito male, rispetto alle attese, dal punto di vista economico, può avere giocato negativamente un quadro normativo sempre in evoluzione, quindi le proroghe, ma anche le norme che si accavallano, si sovrappongono e si integrano in tempi molto ristretti. Dall'altra parte, c’è, invece, la questione della provvisorietà, cioè il fatto che dall'unione si può tornare indietro. Ecco, non so se la provvisorietà a cui vi riferite è legata a questo aspetto o a un altro ragionamento.
  Del resto, questo punto ci è stato già sollevato perché dalla fusione si può, sì, sempre tornare indietro, ma è molto più complesso perché si tratta di una scelta per la vita. Per le unioni, invece, ci hanno effettivamente segnalato da alcuni territori che si realizzano, ma poi, soprattutto nel cambio di amministrazioni, sono rimesse in discussione, a prescindere dal colore politico, perché proprio il succedersi delle amministrazioni rimette in considerazione e fa ripartire il ragionamento rispetto all'opportunità o meno della scelta. Questo può, ovviamente, determinare delle diseconomie proprio a causa della scelta di accorpare e poi disaccorpare degli uffici in poco tempo.
  Mi chiedo, quindi, se questa provvisorietà non sia alla base del fatto che avete notato, su alcuni servizi, non l'azzeramento dei costi, ma solo una riduzione. Anche questo può essere, infatti, sintomo di una scelta non fatta o non ancora maturata fino in fondo. Mi riferisco, in particolare, al fatto di mantenere, sui servizi dati in gestione associata o sulle funzioni accorpate, un presidio all'interno del comune che controlla quello che fa l'unione per conto del comune. Questo è un know how che rimane all'interno dell'ente, nel caso in cui si decide di tornare indietro e riprendersi le funzioni.
  Mi domando – ripeto – se questa provvisorietà, cioè la possibilità di rientrare rispetto a una scelta, sia un incentivo perché rimane una decisione volontaria dalla quale si può anche tornare indietro, a meno che non si sia sotto i 5.000 abitanti, caso nel quale gli enti vi sono obbligati. Inoltre, proprio per quelli sotto i 5.000 abitanti o altro, nel momento in cui si va a ridefinire l'ambito ottimale di unione, mi chiedo se non sia opportuno prevedere che una volta fatta la scelta non si possa tornare indietro. Insomma, se nella fase iniziale di maturazione della scelta può essere un elemento di deterrenza, questo rimane un punto di favore, soprattutto per quanto riguarda le conseguenze economico-finanziarie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Presidente De Girolamo per la replica.

  ADOLFO TEOBALDO DE GIROLAMO, Presidente di Sezione della Corte dei conti. Per la prima parte, accenno soltanto al fatto che le nostre analisi – come ho già detto e come risulta meglio anche dalla nostra relazione – si basano su un sistema informativo che abbiamo assestato da poco. Pertanto, non abbiamo raffronti tra unioni svolti in modo significativo. Il collega completerà meglio questo aspetto, che dipende dal fatto che abbiamo un sistema che stiamo adeguando e completando Pag. 8adesso, per cui a breve avremo analisi più compiute. Comunque, il collega – ripeto – dirà meglio cosa abbiamo fatto.
  Circa quanto diceva la dottoressa, penso che possiamo concordare totalmente. Noi vogliamo, infatti, mettere in luce l'instabilità delle unioni, che possono cambiare di anno in anno, per cui nelle nostre analisi abbiamo considerato solo quelle unioni che non erano cambiate numericamente, altrimenti dal punto di vista metodologico non c'era omogeneità del dato.
  Abbiamo, quindi, parlato di provvisorietà proprio per questa instabilità. È evidente, però, che se questa venisse meno, il dato potrebbe essere ancora più significativo e si potrebbero fare analisi anche per un periodo più lungo.
  È indubbio quello che lei diceva per il primo periodo, ovvero che sconta i costi iniziali. Un biennio è, dunque, limitato per un'analisi del tutto accettabile.
  Peraltro, abbiamo sempre espresso queste riserve. Questo è solo un primo tentativo di razionalizzazione delle analisi che stiamo facendo. Auspichiamo, quindi, di fare molto di più anche nella prossima relazione che presenteremo al Parlamento.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al consigliere Ferone.

  RINIERI FERONE, Consigliere della Corte dei conti. Rispondo prima all'onorevole Cecconi. Nella nostra relazione abbiamo una tabella, a pagina 17, dove c’è l'analisi che il presidente De Girolamo ha esposto poco fa, articolata per regioni. Naturalmente, i dati esposti hanno gli stessi limiti che abbiamo indicato in termini generali, quindi non diamo interpretazioni o giudizi sulla variazione tra una regione e l'altra, ma il dato secco, con le variazioni percentuali.
  È ovvio che, guardandoli, sembra che certi dati sul risparmio emergano di più in certi ambiti regionali anziché in altri. Tuttavia, per poter dare un giudizio conclusivo occorreva fare un'analisi gestionale bilancio per bilancio e rendiconto per rendiconto per capire bene in che termini il fenomeno è stato vissuto e applicato in ciascun ambito regionale.
  Onorevole Fabbri, circa il problema della provvisorietà, abbiamo accennato a due fatti importanti che rendono difficile capire se le unioni di comuni siano o meno una strada giusta per la semplificazione amministrativa.
  Come primo dato, abbiamo detto che è un fenomeno incompiuto. Per fare una valutazione occorre, invece, che il fenomeno sia compiuto, dopodiché si va a vedere come sono andate le cose. Viceversa, nel caso di un fenomeno la cui realizzazione si è limitata al 30 per cento, è ovvio che si può dire poco. Stupisce, del resto, il fatto che si tratta di una riforma che veniva ascritta anche a norme di coordinamento della finanza pubblica ed era presentata – dico «era» perché sono trascorsi già 5 anni – come un adempimento di carattere obbligatorio. Probabilmente, è mancata una fase di monitoraggio che poteva accogliere per tempo il successo o meno di questa iniziativa di semplificazione.
  La provvisorietà a cui lei accennava è la complicazione di questo fenomeno. Da un lato, abbiamo poca informazione; dall'altro, la provvisorietà che riguarda l'aspetto sia soggettivo sia oggettivo, quindi la mutevolezza sia della composizione di queste unioni, sia delle funzioni che vengono loro associate, rende veramente difficile capire in che termini questa semplificazione possa funzionare o meno. Abbiamo fatto un'analisi nel livello di massima aggregazione possibile proprio perché era l'unico che consentiva di azzardare una valutazione più o meno più attendibile.
  La mutevolezza è, dunque, una complicazione nella complicazione. Infatti, la ragione dell'obbligatorietà di associare funzioni per i piccoli comuni è che sono enti che hanno pochissimo personale (due o tre dipendenti), quindi se delle 12 funzioni se ne associano 3 o 4 non è possibile dividere la risorsa di personale per tra unione e comune di origine. Infatti, visto che non sono associate tutte le funzioni, nel comune di origine la risorsa di personale deve presidiare nel vero senso della Pag. 9parola, cioè deve lavorare, dunque rappresenta una spesa. Inoltre, anche nelle unioni che gestiscono una parte delle funzioni c’è necessità di spendere, quindi viene meno la possibilità di ridurre i costi fissi di gestione (per intenderci, i fitti, le bollette dei consumi di energia elettrica e così via).
  Insomma, si tratta di una semplificazione che o va a regime o non ha significato. La nostra indicazione sulle fragilità di questa riforma va, pertanto, in questo senso. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti del contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali, l'audizione di esperti. Sono presenti il dottor Carlo Bassanini, responsabile area PA di SCS Consulting, e il dottor Massimo Simonetta, direttore Ancitel Lombardia srl.
  Do subito la parola al dottor Bassanini.

  CARLO BASSANINI, Responsabile area PA di SCS Consulting. Svolgerò una breve relazione che si concentra sulle forme associative delle funzioni dei comuni, con un focus particolare sulle unioni dei comuni che appaiono essere, ad oggi, la forma più diffusa. Naturalmente, queste osservazioni sono il frutto di un'attività sul campo di assistenza ai comuni.
  Partendo dallo stato dell'arte, si può osservare come – negli ultimi tre anni – le unioni di comuni siano aumentate. Nel 2012 parlavamo di 370 unioni circa; oggi ne abbiamo più di 440, quindi si tratta di un fenomeno che, dal punto di vista quantitativo, è aumentato di circa 70 unità.
  In realtà, all'interno di queste 70 unità, ci sono casi che derivano dal fatto che un paio di regioni hanno legiferato e hanno trasformato comunità montane o forzato la costituzione di unioni di comuni. Ci sono, quindi, 11 regioni che hanno visto, in questi tre anni, l'aumento del numero di unioni di comuni.
  Al di là dell'aspetto di natura quantitativa, il numero di cittadini che oggi risiede in unione è piuttosto elevato, anche se all'interno delle regioni vi sono situazioni molto eterogenee sia dal punto di vista dimensionale, sia da quello del numero degli enti che costituiscono un'unione.
  Mettere insieme più enti complica notevolmente il processo di associazione delle funzioni. Oltre agli aspetti di natura quantitativa, ovvero numero e cittadini, è, pertanto, molto importante osservare il livello di operatività delle unioni. Qui, tuttavia, la situazione si complica.
  Sarebbe, infatti, necessario entrare nel merito di tutti gli statuti delle nuove unioni di comuni, ma non lo abbiamo potuto fare. Abbiamo, però, osservato come il livello di spesa delle unioni di comuni sia abbastanza limitato, quindi il numero, ma soprattutto la profondità delle funzioni che sono state associate è piuttosto ristretta.
  In sostanza, in questi anni c’è stato un approccio piuttosto adempimentale alle unioni di comuni; sono molti meno i casi che hanno, invece, approcciato questo strumento in maniera veramente profonda, come occasione di innovazione e di aggregazione istituzionale.
  È possibile osservare che in questi anni le unioni di comuni e le fusioni sono frutto di un processo abbastanza spontaneo, nel senso che si sono tesi ad aggregare dei territori che hanno dei sistemi locali del lavoro uniformi, quindi flussi di lavoratori che già erano all'interno dei comuni facenti parte dell'unione, piuttosto che distretti industriali con sistemi produttivi uniformi. Tale aspetto sostiene, dunque, ancora di più questo elemento di spontaneità.
  Le unioni sono state effettuate maggiormente dove c'erano più incentivi perché sono stati visti come una modalità per sopperire ai tagli che gli enti hanno subito in questi anni. Questa è, dunque, una leva Pag. 10molto importante, ancorché non abbia agito sul livello di profondità delle funzioni che sono state associate.
  Assistiamo, tuttavia, a normative regionali piuttosto difformi nell'impostazione tecnica, quindi degli strumenti che utilizzano, ma anche nell'incentivazione. Questo è stato uno degli effetti che ha frenato il fenomeno dell'unione di comuni e dell'associazione delle funzioni in generale.
  Gli altri fattori di resistenza – come potete immaginare – sono un campanilismo che da secoli pone comuni limitrofi in una condizioni di competizione più che di collaborazione interistituzionale; il timore di un processo di incorporazione da parte degli enti di minore dimensione nei confronti di quelli di maggiore grandezza; la difficile situazione finanziaria di alcuni comuni, che pone quelli limitrofi nella paura di socializzare la difficile situazione finanziaria e debitoria che alcuni si portano dietro.
  Vi è, poi, appunto un processo legislativo regionale che, nella maggior parte dei casi, è postumo al 2010, in pochi altri anche precedente, ma comunque con un impulso non sempre deciso allo stesso modo.
  Passiamo, dunque, agli elementi utili per dare impulso. Innanzitutto, sarebbe necessario sicuramente un processo top-down, ancorché sia giusto che ciascuna regione trovi i propri percorsi. Tuttavia, vanno fissati degli obiettivi che possono anche seguire degli elementi di criteri soglia, quindi ambiti territoriali, demografia minima, funzioni da associare e così via.
  Inoltre, secondo noi, ha più senso associare, in prima battuta, funzioni che facciano funzionare in maniera organica la macchina (pensiamo a processi come l'ICT, dunque la parte informatica, o gli affari generali) e poi, in una logica incrementale, funzioni che pongono i servizi al cittadino, che possano avere anche degli effetti positivi sugli enti limitrofi.
  È interessante anche il tema degli enti aggregatori, quindi di maggiori dimensioni che possono mettere in comune know how, competenze ed esperienze nei confronti di comuni limitrofi di minore dimensione.
  Vi sono, inoltre, strumenti che avrebbe senso adottare, come il Piano strategico, in termini di sviluppo della struttura organizzativa dell'unione. Abbiamo osservato interessanti casi di presenza di direttore generale a capo della struttura, che potrebbe essere scelto all'interno del personale degli enti che sono in unione e che è un forte elemento aggregatore della struttura organizzativa stessa.
  Da ultimo, uno degli aspetti più importanti riguarda gli incentivi economici. Molto spesso, infatti, assistiamo a incentivi economici insufficienti per affrontare un processo di aggregazione di enti. Questo probabilmente è l'elemento di investimento più importante.
  Abbiamo osservato anche casi di disincentivi economici nel momento in cui alcuni enti decidono di non attuare un percorso profondo di unione. Questi disincentivi dovrebbero passare eventualmente per il tema dei tagli. Infatti, se un ente decide di rimanere da solo dovrebbe anche dimostrare di poter portare avanti un processo di efficientamento che gli consenta di sostenere i tagli.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola al dottor Simonetta.

  MASSIMO SIMONETTA, Direttore Ancitel Lombardia Srl. Buongiorno. Sono Massimo Simonetta, direttore di Ancitel Lombardia, società operativa di ANCI Lombardia. In sostanza, noi attuiamo le strategie che l'associazione determina su vari temi.
  Sono, però, qui non come direttore di Ancitel Lombardia, ma come persona che dal lontano 1999 ha seguito i diversi percorsi di associazione; prima una ventina di unioni e poi le fusioni. In particolare, ho realizzato 13 studi di fattibilità sulle fusioni negli ultimi due anni. Inoltre, ho partecipato a processi di convenzionamento, di rapporto con la regione, di orientamento, discussione e negoziazione con le regioni sui sistemi di incentivazione.Pag. 11
  La mia esperienza è relativa, in particolare, alla Lombardia. Questo è importante perché ho una visione lombarda, anche se conosco, per contatti personali e per la letteratura, ciò che avviene in altre regioni, in particolare in Emilia-Romagna.
  Nel tempo che gentilmente mi state dedicando, e di ciò vi ringrazio, ho individuato cinque tesi – spero di arrivare fino all'ultima – che sintetizzano quello che in questo momento rappresenta il sentiment diffuso nei comuni, soprattutto piccoli, che nasce dalla necessità di rispondere a un obbligo. Da parte dello Stato, c’è il sentiment di disattendere o attendere alle proprie responsabilità nel continuare in questa dimensione; nelle regioni, invece, si avverte la notevole difficoltà a gestire l'obbligo.
  Per la stragrande maggioranza dei casi, le regioni hanno mantenuto un approccio difensivo, ma in questo momento cercano di rilanciarsi anche in termini di prospettive, in funzione della diminuzione delle competenze che su questo tema, con tutta probabilità, verrà determinata dalla modifica della Costituzione, che assegna sostanzialmente allo Stato la disciplina delle gestioni associate.
  Non ultimo, esistono delle posizioni dell'Associazione dei comuni che vanno in direzione di un'attenuazione dei vincoli e degli obblighi statali.
  Detto questo, comincio con la prima tesi, che dice quasi un'ovvietà per molti di quelli che lavorano nei comuni e che cercano di attivare processi di cambiamento. Tuttavia, non lo è, visto che spesso amministratori e altre istanze locali mettono in discussione il fatto che in questo momento i percorsi di aggregazione sono uno strumento fondamentale per affrontare il probabile declino dei piccoli comuni.
  Che in questo momento i piccoli comuni (ma spesso anche i grandi) siano in una condizione particolarmente difficile è un dato di fatto. Ho un elenco delle criticità che troverete nello scritto. È evidente che i piccoli comuni non abbiano né le risorse, né le competenze per poter affrontare il cambiamento necessario, se non attraverso forme di diminuzione della qualità e della quantità dei servizi. Chi pensa di bastare a se stesso, soprattutto nei piccoli comuni, ma anche dei grandi, non ha altra arma che ridurre la propria proattività, ovvero la propria capacità di essere sentinella, ascolto, elaboratore ed attuatore di politiche che seguono i fabbisogni. Questi cambiano con una velocità che tutti noi conosciamo bene, visto che tutti abbiamo un telefonino, strumento che ha cambiato la dimensione spazio-temporale.
  Ecco, già questo fa capire che il famoso vecchietto che non può ricevere il certificato perché non ha l’app fra dieci anni non ci sarà più, come non ci sarà più nemmeno la carta d'identità o i certificati.
  Insomma, in questo momento pensare al cambiamento significa assumere una prospettiva di lungo periodo. Venerdì ho un incontro nel quale andremo a chiedere ai ragazzi delle scuole superiori della provincia di Cremona come vedono il comune nel 2030, cioè fra due mandati e mezzo.
  Alla fine della stagione degli anni Duemila, una stagione di incentivazione e di volontarietà e a fronte della stagione dell'obbligatorietà e di un ruolo complessivo delle regioni che è cominciata nel 2010, in questo momento stiamo decidendo cosa fare perché lasciare che lo cose si aggiustino da sole significa che i comuni sono delegittimati nella loro funzione storica di ascolto e di risposta. Siamo in un momento importante. I primi 10 anni sono passati; dal 2010 sono passati altri 5 anni, per cui a questo punto chi ha la responsabilità deve prendere una decisione (poi vi dirò anche quale penso debba essere).
  La prima tesi, dunque, è l'aggregazione come risposta al probabile declino soprattutto dei piccoli comuni che non hanno le capacità di rispondere da soli alle nuove esigenze che nascono nei loro territori.
  La seconda tesi riguarda, invece, l'obbligo statale per l'esercizio associato delle funzioni. Non vi dico nulla perché avete già audito diverse associazioni, quindi do per scontato tutti quei contributi. Ebbene, chi confidava in una rapida risoluzione del problema – ricordate che i primi periodi Pag. 12previsti erano di un anno o addirittura sei mesi – è rimasto disilluso. Chi non lo pensava, invece, ha semplicemente visto confermata un'ipotesi fatta tempo addietro.
  Come ho detto, questo obbligo viene dopo 10 anni di volontarietà, di incentivazione e di possibilità per i comuni di definire aggregazioni su funzioni scelte localmente. Dal 2010, si parla, invece, di obbligo, non più di volontarietà, non solo di funzioni selezionate localmente, ma di tutte le funzioni, con incentivazioni non mirate rispetto a questo obiettivo. Infatti, le incentivazioni statali sono rimaste stabilmente sui piccoli comuni, come negli anni Duemila, ma le regioni non hanno modificato la modalità, incentivando genericamente le unioni dei comuni, ma non accompagnando, attraverso appunto le incentivazioni, questo processo, che si è scontrato con una serie di criticità.
  Innanzitutto, vi è stata la mancanza di esperienza e capacità degli amministratori; vi sono poi stati atteggiamenti dilatori da parte dello Stato, che ha continuamente allungato i tempi, senza intervenire dal punto di vista normativo in relazione alle motivazioni del mancato adempimento dell'obbligo. Le azioni regionali non hanno, inoltre, accompagnato i comuni. A ciò si è aggiunta una limitata propensione degli amministratori a ripensare il loro ruolo.
  In questa sede non vorrei essere troppo brutale o concreto, ma andare in piazza la domenica mattina e essere riverito e salutato come sindaco è un obiettivo di vita per tante persone. Quindi, il fatto che l'aspettativa di ruolo sia fondamentale per gli amministratori determina un'inerzia su questo versante perché vuol dire entrare in gioco con altri amministratori ed essere messi nella condizione di dover ridiscutere un obiettivo di vita e una cultura.
  Questo si manifesta nelle aggregazioni e nelle convenzioni, ma soprattutto nelle unioni e in modo determinante nelle fusioni di comuni. Infatti, generalmente chi è più contrario alle unioni e alle fusioni sono i vicesindaci, non i sindaci, che, invece, spesso sono favorevoli per poter fare ulteriori mandati. Questa, però, è bassa cucina.
  Un'ultima criticità è data dal fatto che la legislazione nazionale ha agito lavorando su un insieme indistinto di funzioni e non legato, in relazione alle aggregazioni, ai processi reali. Per esempio, se i rifiuti sono gestiti secondo norme che impongono in alcune regioni addirittura provincializzazioni; se nei servizi sociali con l'esperienza della legge n. 328 del 2000, con l'aziendalizzazione e i consorzi si sono determinate forme diverse di aggregazione, perché non riprendere ciò in ambito normativo e andare più chirurgicamente a individuare le funzioni da aggregare in modo obbligatorio secondo unione e convenzione e lavorare, invece, in termini settoriali su ciò che è legato ai servizi pubblici locali ?
  Le funzioni obbligatorie dovrebbero essere quelle che puntano a mettere insieme le strutture, il che significa che da due comuni ne facciamo uno dal punto di vista organizzativo, dopodiché possiamo lasciarne tanti dal punto di vista dell'indirizzo politico-amministrativo. In sostanza, il cambiamento non è fare uno statuto di un'unione di comuni.
  Uno degli indicatori per capire se le unioni funzionano o meno, che dovrebbe essere scolpito nella pietra, è vedere quanto personale è rimasto nei comuni perché nel momento in cui si integrano le strutture – come chi ha un po’ di esperienza in questo settore sa – si ottengono economie di scala, specializzazione, miglioramento dei servizi e capacità di andare verso l'innovazione.
  Insomma, si crea un percorso virtuoso che gli amministratori che hanno realizzato questo cambiamento vedono anche in termini di scoperta perché chi ha cominciato questo processo, alla fine, ha detto di non aver mai pensato di poter arrivare ad avere tante risorse. Si innesca, infatti, un circuito di esplorazione delle opportunità che senza strutture organizzative non può essere attuato. Questo vale per i piccoli, ma anche per i grandi comuni, come per le città metropolitane.Pag. 13
  Dobbiamo, quindi, legare l'indirizzo politico-amministrativo alle strutture. Dove non c’è questo legame il rischio è definire politiche di carta, non andare verso logiche di utilizzo profondo e articolato di tutte le opportunità che sono dentro i processi di aggregazione.
  So che il tempo a disposizione sta per esaurirsi, quindi vado al sodo. Poi leggerete le cinque tesi. Vi dico due ultime cose, per poi chiudere.
  Parlandoci chiaro, sta emergendo una tendenza che in considerazione del fatto che i comuni non si sono aggregati con l'obbligatorietà, ritiene che si debbano realizzare percorsi di pianificazione – direi un piano quinquennale – per mettere insieme le cose razionalmente, in modo che il riordino sia pensato.
  Ora, chi ha in mente questa strategia ha come corollario una questione apparentemente banale: bisogna abolire, in un modo o nell'altro, l'obbligatorietà. Peraltro, ho già letto dei documenti in proposito; per giunta, domani immagino ci siano le regioni.
  Allora, il risultato di questa costruzione – si spera ancora mentale – è che alla fine si cancella ciò che può essere il motore di queste pianificazioni. Infatti, se non abbiamo un motore della pianificazione, questa è carta che non canta neppure.
  Un modello fortemente voluto anche dalle associazioni propone di costruire, a livello provinciale, delle assemblee dei sindaci, con il prefetto e i rappresentanti delle province, che definiscono gli ambiti adeguati. Questo, però, vuol dire semplicemente che fra cinque o dieci anni saremo ancora qui a discutere del declino, ma i comuni a quel punto saranno sicuramente già declinati.
  Credo che l'orientamento corretto in questo momento sia magari di ridurre il numero di funzioni a quelle più interne, lavorare a una logica di aggregazione verticale sui servizi pubblici locali, mantenere l'obbligo e avviare un certo discorso con le regioni, e io dico anche con lo Stato, che a questo punto deve prendere atto che le regioni hanno fallito il loro compito di articolazione, di accompagnamento e sviluppo di questi processi.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Tranne l'Emilia-Romagna.

  MASSIMO SIMONETTA, Direttore Ancitel Lombardia Srl. Infatti, dico sempre a esclusione di alcune importanti eccezioni, come anche il Trentino, la provincia di Trento, se vogliamo mettere le medaglie.
  Cerchiamo di andare nella direzione di sviluppare il cambiamento – questa è un'altra tesi a cui tengo semplicemente ad accennare – che è anche figlio dell'accompagnamento e della messa in rete delle esperienze. Mettere in rete le esperienze non è costruire un sito, ma pensare a delle forme di coinvolgimento e alla valorizzazione delle persone, in modo che appunto la rete delle persone, soprattutto, e delle istituzioni produca conoscenza, coinvolgimento e motivazione. Questo può essere un grande impegno dello Stato e delle regioni, condizione fondamentale per far uscire i comuni dall'atomismo, dall'impossibilità di cambiare per mancanza di capacità.

  PRESIDENTE. Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Le cose dette sono state molto interessanti. Mi ha molto colpito quello che diceva Bassanini, che s'intreccia un po’ col dibattito attuale. In questo momento, la richiesta da parte degli enti locali è quella di prorogare, attraverso la legge di stabilità, la scadenza del 31 dicembre 2015 per l'obbligo della gestione associata da parte dei comuni e di cominciare a discutere del tema della costituzione delle aree omogenee.
  Anzitutto, unendo i due interventi – su questo chiedo anche un vostro parere – è interessante il fatto, che come richiamato, è necessario che tra gli enti aggregatori ce ne sia uno più forte che faccia da capofila. In realtà, a costituire le unioni che conosco Pag. 14sono tutti comuni fragili. Il dottor Simonetta ha ricordato la fragilità degli amministratori nel gestire un processo così complesso se non si tratta di una finta ma della rilettura di un sistema di relazioni e di politiche. A questo punto, relativamente al modello che entrambi avete delineato, sia pur con alcune differenze, mi viene spontaneo chiedermi se non sarebbe molto più facile identificare le aree omogenee con gli attuali distretti socio-sanitari, e penso alla legge n. 328 del 2000. I comuni ci lavorano già da un sacco di anni. In questo caso, si separerebbe la gestione dei servizi, quindi gli ambiti territoriali per la gestione dei servizi, che hanno un altro tipo di percorso, dalle funzioni proprie dei comuni, obbligandoli a gestire alcune funzioni in maniera associata.
  I rappresentanti della Corte dei conti hanno detto nell'audizione appena conclusa che in Italia, su 8.000 comuni, in pratica solo il 30 per cento si è aggregato attraverso unioni o fusioni, queste ultime quasi inesistenti, e parlavano di un «fallimento» dopo tutto questo tempo. Rimangono fuori tutti quelli un po’ più grandi, di per sé non funzionali rispetto alle gestioni, ma che debbono obbligatoriamente gestirne insieme alcune.
  Il tema è caldo. A questo punto, infatti, quello delle aree omogenee presentato dall'ANCI sicuramente non sarà affrontato con la stabilità, ma subito dopo: qual è il modello allora, oggi, per la vostra esperienza, per fare presto, non perdere tempo, non prorogare, andare avanti, ma cogliendo le esigenze di tenere assieme comuni grandi e piccoli ? Bisogna tenere assieme il territorio se si pensa a un piano strategico, deve esserci un'unitarietà delle azioni.
  Da una parte, c’è l'esigenza di far funzionare un nuovo modello di cooperazione tra i comuni; dall'altra, a breve dovrebbe arrivare il decreto legislativo Madia in applicazione all'articolo 19 della legge di riforma, quella sulla gestione dei servizi pubblici locali, sui nuovi modelli di gestione: forse dovremmo tenere insieme le due cose ?

  ANDREA CECCONI. Riprendo anche un po’ il discorso della collega Gasparini. Io non sono dell'Emilia-Romagna, ma delle Marche, per cui ho esperienza di questa regione e in particolare della zona centro-meridionale, che ho seguito un po’ di più. I piccoli comuni sono molto restii alle unioni con comuni più grandi. Il problema è proprio che unirsi a un comune più grande comporta, ovviamente, per quello più piccolo una perdita politico-decisionale. Se sono tutti piccoli, tutti valgono la loro fetta; se ci sono molti piccoli con uno molto grande, quest'ultimo ha certe possibilità. Questo frena sicuramente il percorso.
  Anch'io sono d'accordo che la questione dell'obbligatorietà debba rimanere, ma forse non com’è stata fino adesso. Se, infatti, non ha funzionato fino adesso, è probabile che possa non funzionare anche dopo.
  Esistono già le aree ottimali. Alcune regioni sono più avanti, altre più indietro. Con la sanità si fa da tempo, molte regioni hanno i loro ambiti sociali, magari anche troppi, ma li hanno. Sui bacini idrici, per i rifiuti si può fare sicuramente qualcosa in più dal punto di vista legislativo, come per i trasporti e per altro.
  Non trovo che la proposta dell'ANCI così com’è possa essere completamente sostenibile. A mio avviso, invece, quello che è stato contestato, cioè il fatto che si debbano fare scelte ragionate, può essere un fallimento. Penso che le scelte debbano essere ragionate, ma con una buona quota di obbligatorietà. Le unioni dei comuni così come le ho conosciute – è questa la mia domanda – hanno statuti francamente spesso ridicoli, che non stanno neanche in piedi da soli, fatti veramente male. Non hanno ricevuto sostegno da parte del Ministro dell'interno all'epoca, ma neanche di recente. Unioni di comuni anche molto vecchie, di cinque, dieci, quindici anni, hanno inserito nello statuto una serie di servizi da delegare all'unione, molti dei quali però non sono stati neanche erogati.
  La mia sensazione è dunque che molte delle unioni costituite per il passato o di Pag. 15quelle che si stanno costituendo adesso, di corsa, nell'ultimo periodo, siano piuttosto sollecitate dagli sgravi che lo Stato offre sul patto di stabilità o dai contributi aggiuntivi. Quelle fatte bene funzionano, e siamo tutti d'accordo che sono state ben fatte, ma l'esistenza di molte e la nascita di molte altre dipendono solo dall'intenzione di mettere i soldi in tasca per realizzare qualche struttura qua e là, ma non per far funzionare insieme dei servizi.
  Un altro tema su cui si sta discutendo, e lo sta facendo anche l'ANCI, è quello di aumentare gli sgravi per più anni sul patto di stabilità o addirittura dare più soldi nel decennio alle unioni: credo che ciò sia deleterio nel percorso che stiamo facendo e vorrei conoscere un vostro parere. Ritengo che erogare incentivi piuttosto sostanziosi in un periodo in cui i tagli statali sono stati ingenti e le difficoltà dei comuni importanti spinga i comuni a prendere i soldi di corsa, poi quello che si riesce si fa, ma l'importante è che intanto vi si mettano le mani sopra, si mettano a posto bilanci magari un po’ zoppicanti, si riesca a sistemare un po’ qualcosa, e alla fine dell'unione «chi se ne frega».
  Trovo anche che le dieci funzioni previste dalla legge Delrio siano state un errore. Sono state troppe. È stato assurdo non metterne insieme alcune, come l'informatica, che dovrebbe essere non d'ambito provinciale, ma regionale, se non nazionale. Bisogna sicuramente che alcune funzioni siano svolte in ambiti grossi o anche molto grossi, perché costringere tutti a tutto mi sembra sia stato un errore.

  MARILENA FABBRI. Vorrei fare anch'io alcune considerazioni. Anzitutto, mi chiedo se dalla vostra osservazione si potrebbe ritenere che forse, per migliorare i processi di gestione associata, non sia necessario distinguere tra unioni che io ho chiamate di primo e di secondo livello. Secondo me, infatti, le unioni non sono tutte uguali. Alcune sono finalizzate alla fusione. È più probabile che unioni sotto i 5.000, sotto i 10.000 abitanti aumentino i costi anziché fare realizzare economie.
  La Corte dei conti ci faceva notare che le unioni dei comuni piccoli potrebbero forse rimanere con un obbligo molto forte, anche su tutte le dieci funzioni, perché la finalità è quella di portare a una reale integrazione e fusione dei comuni; d'altro canto, unioni di maggiori dimensioni diventano ambiti strategici gestionali, e non servono necessariamente fusioni di comuni, ma effettivamente una razionalizzazione degli strumenti di gestione. Forse in quel caso varrebbe la pena non chiamare in questione tutte le funzioni, ma a crescere, mettendo insieme prima quelle strategiche di back-office e poi quelle sui servizi o altro.
  Nella mia esperienza, però, i comuni normalmente sono proprio più restii a dismettere le funzioni di back-office, in particolare le ragionerie, i tributi, il personale e gli uffici tecnici, in quanto sono il cuore dell'ente e sono quelli nei quali, una volta dismessi, difficilmente si riesce a tornare indietro. Sarebbero, invece, quelli che potrebbero maggiormente creare quella capacità creativa e di innovazione necessarie.
  Inoltre, mi sembra di aver capito che, nel totale delle criticità di questo processo che si è avviato con maggiore spinta negli ultimi dieci anni, sia mancata in maniera forte, sintetizzando, una regia da parte dello Stato. Sarebbe forse necessario chiarire l'obiettivo finale del riordino e mettere in piedi una regia molto forte da parte dello Stato attraverso un osservatorio, un monitoraggio, un accompagnamento del processo, mi verrebbe da dire forse anche un lavoro motivazionale verso gli amministratori di superamento delle paura e dei pregiudizi rispetto a processi di integrazione e fusione.
  Oltretutto, gli amministratori rimangono al massimo dieci anni e poi vanno via, quindi è anche un atteggiamento egoistico quello di non pensare all'eventuale migliore organizzazione funzionale dell'ente in prospettiva per bisogni e qualità dei servizi rispetto al destino personale.
  Mi sembra di capire che un'altra criticità rilevante sia quella relativa agli incentivi economici o normativi. Oggi, le Pag. 16leggi prevedono anche aspetti normativi di favore nei confronti di chi va verso l'unione o la fusione, che però vanno legati a degli obiettivi e alla verifica di quelli raggiunti. Non si tratta, quindi, solo di obiettivi sulla carta, ma di andare a verificare il raggiungimento di certi obblighi e i risultati ottenuti. Dovrebbe essere messo in piedi da parte dello Stato un sistema un po’ più complesso di quello che c’è stato fino adesso, che ha visto semplicemente la definizione di norme senza l'implementazione di una struttura all'interno di un ministero individuato come competente per accompagnare il processo.
  Mi verrebbe anche da dire che un elemento di criticità è il fatto che di questo tema sono competenti più ministeri, dal Ministro dell'interno a quello per gli affari regionali, a quello per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al MEF, che decide sempre come e quando si spendono le risorse.
  Vi chiederei un maggiore approfondimento su questi aspetti. È necessaria una regia più forte, un accompagnamento reale sul campo da parte dello Stato per questo processo di riordino ? A mio avviso, sono misure strategiche per dare qualità, essere competitivi rispetto ai territori europei e non solo, rispetto al comune di fianco a noi, ma anche per garantire la stessa qualità o quantità di servizi cui oggi abbiamo abituato soprattutto alcuni territori. Il rischio è, appunto, la non sostenibilità economica del sistema, oltre che magari l'incapacità del personale, delle risorse umane di rimanere al passo col continuo cambiamento normativo e con la complessità a cui richiamiamo continuamente a confrontarsi.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai nostri ospiti per una replica che, purtroppo, dovrà essere rapida, perché siamo andati molto oltre il tempo massimo a nostra disposizione.

  MASSIMO SIMONETTA, Direttore Ancitel Lombardia Srl. Arrivo subito «nel piatto», cioè alla questione delle unioni di comuni e all'incentivazione. In Lombardia, abbiamo coniato e usiamo l'espressione «unioni di carta» per la stragrande maggioranza delle unioni, ossia unioni che, nell'ambito dei sistemi di incentivazione nazionale e regionale, come delle bisce – per usare una metafora – sono riuscite a ottenere dei vantaggi economici. Non ne citerò, perché non abbiamo tempo, ma posso assicurarvi che esempi eclatanti e valutazioni complessive lo dimostrano.
  «Unione di carta» non significa, però, spesa pubblica buttata al vento, ma nella stragrande maggioranza dei casi incentivazione, passata la spesa corrente, per fornire servizi ai piccoli comuni. Questo è un passaggio interessante. C’è stato chi ha lamentato di non vedere cambiamenti, ma unioni deboli, pur essendosi spese molti soldi: i soldi che, però, arrivano alle unioni consentono al piccolo comune di avere l'agente di polizia locale. Le incentivazioni spesso sono servite, quindi, non per essere investite in innovazione, ma per rendere più omogenei i territori dal punto di vista dei servizi.
  Vengo a un'altra questione. È evidente, come troverete anche nella relazione, che se si sommano le spese dei comuni a quelle delle unioni di comuni, c’è un aumento di spesa. La Corte dei conti direbbe che si spende di più. Immagino l'abbia detto, o forse no, ma comunque effettivamente si spende di più, perché arriva un incentivo.
  Il punto, però, è che le unioni che funzionano (quelle che hanno messo insieme le strutture) nello stesso tempo raggiungono livelli di efficienza molto alti, molto più alti rispetto ai piccoli comuni. Dove vanno a finire, quindi, le risorse risparmiate nei processi ? Semplicemente a erogare servizi o – questo è molto più evidente nelle fusioni – nella riduzione della pressione fiscale.
  Tutte e due dicono la verità: è vero che si spende di più, ma allo stesso tempo è vero anche che chi mette insieme strutture e gestisce bene le unioni dall'efficienza trae risorse che può reinvestire o di cui può servirsi per abbassare la pressione fiscale. Ovviamente, in questo caso è certo che gli incentivi non vanno a ridurre la Pag. 17spesa pubblica di per sé. Chi pensa di fare quest'operazione non coglierà mai un risultato positivo.
  Purtroppo, non ho il tempo per toccare altre questioni. Ribadisco che la pianificazione, il riordino pensato a regia regionale e provinciale, è frutto di percorsi che hanno la loro misura nel motore del cambiamento a livello di aree ristrette. Non possiamo pensare a certi processi, perché ne abbiamo già fatti per quindici anni, non perché sia io a dirlo. I distretti sociali non hanno prodotto tante gestioni associate, ma aziende – questo sì – o consorzi, che però non garantiscono un legame strettissimo a livello di indirizzo politico-amministrativo. Fanno un altro mestiere, cioè quello di produrre servizi, ma anche qui sarebbe necessario un ragionamento.
  Quanto alla questione dei piccoli comuni che contano di meno, nelle unioni di comuni così come si sono determinate dagli anni Duemila è assolutamente vero il contrario. Nell'ambito di un'unione, il piccolo comune ha una capacità di negoziazione e possibilità di decisioni su temi neanche pensabili nella propria realtà, infinitamente migliori, qualitativamente più interessanti che non in una dimensione ristretta. Nelle unioni così come le abbiamo viste c’è, quindi, una situazione assolutamente inversa. È evidente che si conta meno da una parte, ma di più da un'altra. Per esempio, conto di più nell'indirizzare un servizio che arriva e di meno se si devono scegliere le lampadine, che magari sceglierà qualcun altro.
  Accenno a un'ultima questione, perché credo sia interessante ragionarci. Ho coniato l'espressione «città micropolitane» per dire che in molte realtà una città, un comune di ampie dimensioni ha intorno a sé comuni di piccola dimensione. Ovviamente, nel momento in cui strategicamente vuole andare verso i piccoli, il comune di grande dimensione ha una serie di criticità da gestire: il personale, i dirigenti che non vogliono portarsi a casa problemi, i comuni intorno che pensano di perdere sovranità.
  Credo, però, che pensare forme di incentivazione che consentano al comune capofila di essere spinto a fare e offrano garanzie ai comuni all'intorno sia una strada percorribile proprio per andare nella direzione di costruire delle pianificazioni di area vasta interessanti ed efficaci.

  CARLO BASSANINI, Responsabile area PA di SCS Consulting. Sarò abbastanza telegrafico.
  Mi sembra che i temi siano stati trattati più o meno tutti. Credo che la sfida sia creare unioni di comuni funzionanti e realmente operative. In questo, effettivamente, si è stati forse nel percorso un po’ timidi. Credo che gli strumenti di cui abbiamo parlato in questi minuti siano quelli validi da attuare, che gli incentivi siano importanti. Per creare un nuovo ente ci sono dei costi di start up e di avvio della nuova struttura, ma l'importante è che questi siano sostenuti per creare una struttura funzionante. Le funzioni di back-office devono essere incentivate, così come tutto il funzionamento della macchina amministrativa. Puntare in tutte le realtà a mettere insieme tutte e dieci le funzioni è probabilmente troppo impegnativo.
  Credo che la regia dello Stato e, in questo senso, anche un coordinamento con le regioni sia assolutamente essenziale. Non devono esserci, da questo punto di vista, delle scorciatoie se questa è la strada stabilita. Di conseguenza, credo che il tema della regia, nelle modalità che poi possono essere da voi identificate, sia assolutamente fondamentale.
  Mi fa piacere che anche il collega Simonetta riconosca l'importanza del tema dei comuni di grandi dimensioni. Credetemi, è vero che c’è una grande paura dei piccoli a mettersi insieme, ma è anche vero che sotto il profilo operativo questo facilita molto la nascita di un'unione funzionante. A mio avviso, l'incentivazione da parte del grande e anche da parte dei piccoli a mettersi insieme al grande è un elemento non obbligatorio, ma utile.Pag. 18
  Un'ultima battuta riguarda gli ambiti. Da tecnico, personalmente mi appassionerebbe molto definire diversi ambiti nel senso dell'efficienza su diverse scale di servizio. Gli ambiti socio-sanitari presentano una serie di aspetti positivi per alcuni servizi, ma ritengo che la discussione sulla definizione degli ambiti rischi di portare via tanto tempo e che si debba lavorare prima alla realizzazione di unioni che funzionino, che scarichino a terra tutto il loro potenziale non solo in termini di efficienza – si pensa già all'efficienza – ma, come diceva bene il dottor Simonetta, anche di sfruttamento di tutte le potenzialità. In questo momento i piccoli, ma credetemi anche in medi comuni italiani, fanno veramente molta fatica a cogliere tutte le opportunità dei progetti europei o altro a disposizione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri ospiti.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.