XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 16 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 14  COST. D'INIZIATIVA POPOLARE, C. 21  COST. VIGNALI, C. 148  COST. CAUSI, C. 178  COST. PISICCHIO, C. 180  COST. PISICCHIO, C. 243  COST. GIACHETTI, C. 284  COST. FRANCESCO SANNA, C. 398  COST. CAPARINI, C. 568  COST. LAFFRANCO, C. 579  COST. PALMIZIO, C. 580  COST. PALMIZIO, C. 581  COST. PALMIZIO, C. 839  COST. LA RUSSA, C. 939  COST. TONINELLI, C. 1439  COST. MIGLIORE, C. 1543  COST. GOVERNO, C. 1660  COST. BONAFEDE, C. 1925  COST. GIANCARLO GIORGETTI, C. 2051  COST. VALIANTE, C. 2147  COST. QUARANTA, C. 2221  COST. LACQUANITI, C. 2227  COST. CIVATI, C. 2293  COST. BOSSI, C. 2329  COST. LAURICELLA, C. 2338  COST. DADONE, C. 2378  COST. GIORGIS, C. 2402  COST. LA RUSSA, C. 2423  COST. RUBINATO, C. 2458  COST. MATTEO BRAGANTINI, C. 2462  COST. CIVATI E C. 2613  COST. GOVERNO, APPROVATO DAL SENATO, IN MATERIA DI REVISIONE DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE

Audizione di esperti e di rappresentanti dell'Associazione «Articolo 21»
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Marini Francesco Saverio , Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata ... 3 
Olivetti Marco , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma ... 5 
Giorgis Andrea (PD)  ... 8 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 8 
Lupo Nicola , Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma ... 8 
Fiano Emanuele (PD) , Relatore ... 10 
Lupo Nicola , Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma ... 10 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 11 
Zaccaria Roberto , già professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze ... 11 
Fulfaro Tommaso , Segretario dell'associazione «Articolo 21» ... 14 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14 
Fiano Emanuele (PD) , Relatore ... 14 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 15 
Giorgis Andrea (PD)  ... 15 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 16 
Lattuca Enzo (PD)  ... 16 
Lauricella Giuseppe (PD)  ... 17 
Quaranta Stefano (SEL)  ... 18 
Piccione Teresa (PD)  ... 19 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 19 
Marini Francesco Saverio , Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata ... 19 
Zaccaria Roberto , già Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze ... 21 
Lupo Nicola , Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma ... 23 
Olivetti Marco , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma ... 25 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 27 
Olivetti Marco , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma ... 27 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 27 
Olivetti Marco , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma ... 28 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 28 
Olivetti Marco , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma ... 28 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 28 
Olivetti Marco , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma ... 28 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 28 
Olivetti Marco , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma ... 28 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 28 
Lupo Nicola , Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma ... 29 
Zaccaria Roberto , già professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze ... 29 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 30

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 14.55.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di esperti e di rappresentanti dell'Associazione «Articolo 21»

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dei progetti di legge C. 14 Cost. d'iniziativa popolare, C. 21 Cost. Vignali, C. 148 Cost. Causi, C. 178 Cost. Pisicchio, C. 180 Cost. Pisicchio, C. 243 Cost. Giachetti, C. 284 Cost. Francesco Sanna, C. 398 Cost. Caparini, C. 568 Cost. Laffranco, C. 579 Cost. Palmizio, C. 580 Cost. Palmizio, C. 581 Cost. Palmizio, C. 839 Cost. La Russa, c. 939 Cost. Toninelli, C. 1439 Cost. Migliore, C. 1543 Cost. Governo, C. 1660 Cost. Bonafede, C. 1925 Cost. Giancarlo Giorgetti, C. 2051 Cost. Valiante, C. 2147 Cost. Quaranta, C. 2221 Cost. Lacquaniti, C. 2227 Cost. Civati, C. 2293 Cost. Bossi, C. 2329 Cost. Lauricella, C. 2338 Cost. Dadone, C. 2378 Cost. Giorgis, C. 2402 Cost. La Russa, C. 2423 Cost. Rubinato, C. 2458 Cost. Matteo Bragantini, C. 2462 Cost. Civati e C. 2613 Cost. Governo, approvato dal Senato, in materia di revisione della parte seconda della Costituzione, l'audizione di esperti e di rappresentanti dell'Associazione «Articolo 21».
  Ringrazio il Governo, nella persona del Sottosegretario Scalfarotto. Ringrazio i nostri ospiti della presenza e della loro disponibilità e do loro subito la parola, con un'avvertenza: abbiamo veramente poco tempo. La Commissione troverà poi eventualmente il modo di rivolgere le domande in un altro momento.
  Io comincerei con il professor Marini. Il tempo a disposizione per ciascun intervento è di circa 6 minuti.
  Se avete dei contributi scritti, chiedo che li facciate avere alla segreteria della Commissione. Se non li avete, ce li farete avere. Il contributo scritto è quello che consente di avere con più chiarezza il vostro pensiero rispetto alla necessaria rapidità dell'espressione in Commissione della vostra autorevole opinione.
  Do la parola al professor Marini, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Tor Vergata a Roma.

  FRANCESCO SAVERIO MARINI, Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata. Grazie, presidente. Grazie alla Commissione per l'invito. Ho un testo scritto, che lascerò oggi stesso. Oralmente mi limiterò solo ad alcuni punti.
  Innanzitutto mi occupo soltanto della parte relativa al Titolo V. Non vi è dubbio che la proposta in esame abbia l'obiettivo principale di migliorare e semplificare il quadro istituzionale. Questo si può evincere dalla definizione degli ambiti di competenza legislativa di Stato e Regioni, dove trovano opportuna specificazione, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, alcune materie. È il caso della previdenza sociale, nella quale viene espressamente inclusa la previdenza complementare integrativa, o dell'organizzazione amministrativa, nella quale si fanno rientrare Pag. 4le norme generali sul procedimento amministrativo e sul pubblico impiego.
  La novità di maggior rilievo consiste, tuttavia, nella soppressione dell'elenco delle competenze concorrenti, che vengono riassorbite nelle competenze esclusive dello Stato. Inoltre, per evitare una completa vanificazione delle competenze residuali, si individua un elenco, per quanto non tassativo, delle materie di competenza delle Regioni.
  In una prospettiva, infine, di diminuzione del contenzioso costituzionale e della conflittualità tra gli enti, si rende più flessibile la ripartizione introducendo la clausola dell'interesse nazionale, una sorta di clausola di supremazia, e dell'unità giuridica o economica.
  In via generale, va rilevato che nella proposta sembra potersi riscontrare una tendenza centralistica che si concilia perfettamente con il quadro complessivo della riforma. In tutto il disegno di revisione emerge, infatti, una finalità di semplificazione dell'impianto costituzionale. In questa prospettiva possono, per esempio, leggersi le proposte di trasformazione del Senato, di eliminazione delle Province, la norma sui disegni di legge a data fissa e la stessa coeva proposta di riforma elettorale.
  Vero è che nel disegno di legge costituzionale sono previste anche norme che rafforzano la posizione delle Regioni, dalla trasformazione dello stesso Senato in Camera rappresentativa degli enti territoriali alla norma che riempie di contenuto la competenza legislativa residuale, al potere statale di delegare le proprie competenze esclusive a favore delle Regioni, al potere di queste ultime, infine, di concorrere all'elezione, attraverso il nuovo Senato, dei giudici costituzionali. Sono tutte previsioni che non bilanciano l'incremento delle voci nell'elenco delle competenze esclusive statali, soprattutto l'introduzione della clausola di supremazia, ossia di attrazione delle competenze.
  Quest'ultima clausola, infatti, nella sua genericità – mirata a interesse nazionale e unità politica ed economica – sembra fondare un potere trasversale analogo a quello dei poteri impliciti di alcune esperienze federali, consentendo allo Stato centrale di intervenire ad nutum su qualsiasi ambito regionale, al di fuori di qualsiasi meccanismo collaborativo e, stante l'ampiezza dei presupposti, anche senza un efficace controllo di costituzionalità.
  Essa, cioè, rischia di privare le Regioni degli strumenti di garanzia che da sempre hanno caratterizzato sul piano funzionale e procedimentale il nostro sistema costituzionale di ripartizione delle competenze. In sostanza, la sensazione è che alla Regione rimanga ben poco e che quel poco che residua sia comunque privo di un'adeguata garanzia costituzionale.
  Rispetto, infatti, all'orientamento inaugurato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 303 del 2003, nella quale si era già introdotta la possibilità di una deroga agli elenchi costituzionali, nel progetto vengono meno i limiti sostanziali e procedimentali all'intervento statale sindacabili dalla Corte, ossia i limiti della sussidiarietà, della ragionevolezza e soprattutto dell'intesa tra lo Stato e le Regioni.
  Indipendentemente comunque dall'indirizzo politico di cui il disegno di legge costituzionale è espressione, che ovviamente si può condividere o meno, alcune previsioni suscitano già, da un punto di vista tecnico, alcune perplessità ed è auspicabile che siano modificate o perfezionate nel corso del procedimento di revisione. Mi limito a segnalare quattro aspetti.
  Il primo riguarda le leggi che incidono sulla competenza riservata alle Regioni. Lascia dubbiosi la disciplina dei limiti del procedimento, soprattutto se confrontata con quella relativa alla legge, di cui all'articolo 116 della Costituzione, che attribuisce alle Regioni ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
  Per queste ultime, infatti, si richiede l'approvazione da parte di entrambe le Camere, mentre per esercitare la clausola di supremazia è sufficiente l'approvazione della sola Camera dei deputati. A rigor di logica dovrebbe essere il contrario. L'attribuzione di un potere solitamente non richiede la previa intesa con l'interessato, Pag. 5mentre sarebbe opportuno coinvolgere le Regioni, qualora si intenda sottrarre loro delle competenze.
  Il secondo rilievo riguarda, invece, il disallineamento delle funzioni legislative rispetto a quelle amministrative. Questo è uno degli aspetti, a mio avviso, più critici e meno felici del vigente Titolo V e anche su questo la Corte Costituzionale è intervenuta, proprio attraverso il meccanismo della chiamata in sussidiarietà. Per la Corte, infatti, la chiamata in sussidiarietà delle funzioni amministrative attrae, per effetto del principio di legalità, anche la corrispondente competenza normativa.
  Il progetto di legge supera, attraverso la clausola dell'unità giuridica ed economica, il meccanismo introdotto dalla Corte e, in tal modo, paradossalmente, irrigidisce il disallineamento tra funzioni legislative e funzioni amministrative. Ciò potrebbe rendere complessa la copertura amministrativa delle riforme legislative. Si potrebbe allora pensare forse di reintrodurre proprio la regola del parallelismo prevista nella Costituzione del 1947.
  Il terzo aspetto critico attiene alle materie di competenza concorrente. La finalità perseguita dal Governo è quella, come ho accennato, di semplificare il quadro eliminando intrecci o sovrapposizioni di ambiti e materiali. Tuttavia, nel trasferire le voci dell'attuale terzo comma dell'articolo 117 all'elenco di competenza esclusiva statale, le materie sono state delimitate alle sole disposizioni generali e comuni. Sembra così riprodursi una concorrenza di competenze tra disposizioni generali e comuni dello Stato e norme di dettaglio delle Regioni che ricorda molto da vicino la vigente ripartizione prevista dall'articolo 117 della Costituzione.
  In altri termini, la limitazione alle disposizioni generali e comuni rischia di svuotare di contenuto l'eliminazione dell'elenco delle competenze concorrenti e ripropone le medesime problematiche interpretative che scaturiscono dalla pluralità degli elenchi di materia. Anzi, il rischio è che la nuova formulazione non soltanto non semplifichi, ma finisca per aggravare il contenzioso, se non altro perché introduce categorie sconosciute alla giurisprudenza costituzionale e che non hanno alcuna tradizione giuridica nel nostro ordinamento.
  Le aggettivazioni appaiono, infatti, ridondanti rispetto ai contenuti fisiologici della legislazione statale. La generalità è un contenuto ricorrente della normatività e il carattere comune, se riferito, come sembra, ai territori regionali, non introduce alcuna qualificazione, perché l'esercizio della competenza legislativa statale ha per definizione efficacia sull'intero territorio nazionale.
  Infine, insoddisfacente è la parte delle autonomie speciali. Il progetto di revisione si limita a prevedere, all'articolo 33, che le disposizioni non si applichino alle regioni a Statuto speciale sino all'adeguamento dei rispettivi Statuti.
  Non si può non rilevare come il disallineamento delle autonomie speciali diverrà ancora più marcato in caso di approvazione della riforma. Solo per le Regioni speciali, infatti, continueranno ad applicarsi, in un farraginoso incrocio di competenze, non solo gli Statuti speciali, ma anche, per effetto del rinvio contenuto nella legge costituzionale n. 3 del 2001, il vigente articolo 117 della Costituzione.
  Ciò significa che sopravvivranno in cinque Regioni le competenze concorrenti e che non si applicheranno ad esse le leggi destinate ad assicurare l'unità giuridica ed economica dell'intero Paese. Se si considera poi che il contenzioso costituzionale nasce prevalentemente dalle Regioni speciali, non si può escludere che l'effetto deflattivo non si realizzi affatto.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma. Grazie, presidente. Grazie alla Commissione per questo invito. Anch'io consegnerò un testo scritto e, quindi, limiterò le mie osservazioni a tre ordini di questioni. Farò un'osservazione introduttiva di carattere generale, formulerò qualche rilievo puntuale, quasi da correttore di bozze, un po’ puntuali, su alcuni aspetti specifici e porrò, infine, una questione Pag. 6sull'effettiva configurazione che potrebbe assumere il nuovo Senato.
  Quanto alla considerazione generale introduttiva, a mio avviso vi è, nel pur complesso e talvolta caotico e assai articolato dibattito sulla riforma delle Istituzioni che si svolge in Italia dalla fine degli anni Settanta ad oggi, un minimo comune denominatore che ha identificato, per ragioni diverse, due aree di intervento necessarie, che sono state anche abbastanza oggetto di sovrapposizione tra posizioni ideologiche e costituzionali diverse.
  La prima è quella del superamento del bicameralismo perfetto, esigenza ancora più forte negli ultimi anni, dopo il passaggio al sistema maggioritario, dal 1994 in poi, per il rischio di prodursi di maggioranze contrapposte tra loro. La seconda è la vecchia questione dell'esigenza di riconoscere alle Regioni una voce nel procedimento legislativo nazionale attraverso la regionalizzazione della seconda Camera. Attorno a questi due nodi si può dire che sia maturato un buon grado di consenso tra le forze politiche, almeno negli anni che vanno tra l'inizio degli anni Novanta e il 2012-2013. Vi sono poi, però, fuori da quest'area molti dissensi.
  A mio avviso, ed è la ragione per cui personalmente trovo condivisibile l'impianto del disegno di legge costituzionale approvato dal Senato, la riforma costituzionale fa proprie queste due esigenze e tenta di fornire delle risposte coerenti con queste domande.
  Io trovo che il testo sia apprezzabile anche per una cosa che la riforma costituzionale non fa: non si avventura a modificare direttamente la forma di governo. Pur incidendo su di essa in maniera molto profonda, lo fa per lo più in maniera indiretta, come conseguenza della riforma del bicameralismo, cosa di per sé inevitabile, e con qualche disposizione ulteriore, come quelle relative all'elezione del Presidente della Repubblica e alla corsia preferenziale.
  Naturalmente tutti sappiamo che vi è a lato, come diceva in un'audizione precedente il professor D'Andrea, la questione dell’Italicum. A me, però, sembra di poter dire che, quali che siano i nodi costituzionalmente rilevanti che vi sono in quella sede, questa riforma del Senato potrebbe funzionare con un sistema elettorale del tipo dell’Italicum o con un sistema elettorale completamente diverso, di tipo tedesco, oppure con uno dei tanti che sono stati proposti dalle forze politiche in questi anni e che, come tale, deve essere valutata, separando tale questione da quella dell’Italicum. Questa è la mia osservazione introduttiva.
  Passo ai rilievi sparsi su singole questioni. Io credo che questo lavoro abbia, soprattutto per le osservazioni che noi possiamo fare, un carattere tecnico, anche se è ovvio che ciascuna delle questioni che evocherò ha una sua densità politica. Non ci si può illudere che non sia così, trattandosi di disposizioni costituzionali.
  Il primo rilievo è sulla composizione del Senato. Anche ammettendo una composizione simile a quello delineato nel progetto di riforma, non sarebbe più semplice stabilire direttamente in Costituzione il numero di senatori spettanti alle Regioni, come fa la Costituzione belga, invece di creare quel meccanismo così elaborato di ripartizione dei seggi tra le Regioni e le Province autonome ?
  Enuncio le questioni. Mi scuso se non le posso motivare più di tanto. Le enuncio, in alcuni casi, semplicemente ponendo delle domande.
  La seconda questione riguarda la durata del mandato del Senato. Come è ovvio, scompare la legislatura del Senato e il mandato dei singoli senatori coinciderebbe con il mandato di origine, quello di Sindaco o di consigliere comunale. Non è, però, prevista la prorogatio del singolo senatore, con il rischio che, se l'interpretazione del testo che abbiamo davanti fosse simile a quella imposta dalla norma sui giudici costituzionali, cessato il mandato di origine, si determini una vacatio nella composizione del Senato fino a quando il Consiglio regionale competente non eleggerà il nuovo senatore, il che potrebbe avvenire con tempi fisiologici o potrebbe non avvenire con tempi fisiologici. Forse sarebbe bene prevedere la prorogatio.Pag. 7L'incarico cessa con il mandato di origine, ma il senatore rimane in carica fino a quando non viene eletto il successore.
  Il terzo rilievo si riferisce all'articolo 55, secondo comma, che introduce il principio dell'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini. Mi chiedo se sia sensato introdurre un concetto diverso da quelli di pari opportunità e di parità di accesso, che sono già previsti negli articoli 51 e 117, settimo comma. Questo è sicuramente un concetto più ambizioso di quello di parità di accesso e di pari opportunità, ma mi chiedo come sia traducibile giuridicamente.
  Osservo anche che il testo di riforma costituzionale introduce un controllo preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali e che, quindi, la Corte, nell'esame eventuale di una legge elettorale, dovrebbe giudicare anche se la legge in origine corrisponda al principio dell'equilibrio nella rappresentanza tra uomini e donne.
  Come quarto rilievo, premesso il consenso sulla scelta di rendere la posizione del Senato subordinata rispetto a quella della Camera nel procedimento legislativo, è opportuno rendere anche eventuale la partecipazione del Senato ? Un conto è che tale partecipazione sia subordinata, per cui Senato e Camera partecipano alla decisione, ma prevale la decisione della Camera. Questa è la regola generale dei sistemi bicamerali europei, mi pare. Qui, però, si prevede che l'intervento del Senato sia eventuale, cioè che eserciti solo il potere di richiamo, per il quale è previsto un quorum elevato, di un terzo. Non è poi tanto piccolo questo quorum.
  Mi chiedo se non si potrebbe ripensare questo aspetto, prevedendo semplicemente la prevalenza, nelle forme che il testo prevede, della Camera sul Senato – questo mi pare scontato in un bicameralismo differenziato – ma con il Senato che interviene di norma sempre, eventualmente non dicendo nulla, e dopo trenta giorni, si promulga la legge, come stabiliscono gli articoli che riguardano questa questione.
  Si prevede ancora la Commissione deliberante. Tuttavia, c’è il rischio che nel sistema così com’è una legge sia approvata dalla Camera in Commissione deliberante e poi non sia per nulla esaminata dal Senato. Io mi chiedo se questa sia una soluzione equilibrata. Una legge finora poteva essere approvata anche in due Commissioni deliberanti diverse da Camera e Senato, ma almeno c'erano due Camere e il più delle volte, se la sede deliberante veniva utilizzata in una Camera, ciò non accadeva nell'altra. Qui avremmo la deliberante in una Camera come possibilità, certo con tutte le garanzie per le minoranze che rimangono, ma senza esame da parte dell'altra Camera. Anche questo forse è un po’ troppo, io ritengo, pur condividendo l'ispirazione di fondo della riforma.
  Richiamo una questione che ha già sottolineato il professor Lippolis nelle audizioni precedenti: il rinvio presidenziale parziale delle leggi. Io mi permetto di esprimere un forte dissenso su questo procedimento, che apparentemente è di buonsenso. Si dice che in una legge molto complessa due o tre disposizioni presentano dei problemi e le altre, viceversa, no. Prevediamo, quindi, il potere presidenziale di rinviare solo quelle due o tre disposizioni.
  Va bene, ma il problema è quale sia la conseguenza di questa tecnica. Il rinvio parziale potrebbe corrispondere a una promulgazione parziale, per cui il Presidente della Repubblica promulga ciò che non rinvia. Facciamo attenzione, però, perché stiamo attribuendo al Presidente della Repubblica il potere di ritagliare le leggi, quando gli arriva un disegno di legge, e potenzialmente di riscriverle, togliendo quello che rinvia alle Camere e promulgando il resto. A me sembra che questo non sia coerente con la nostra forma di Governo parlamentare.
  Se, invece, intendiamo questo come un potere di rinvio parziale, a cui non corrisponde una promulgazione parziale, in fondo il meccanismo è simile a quello attuale e mi chiedo se abbia senso prevederlo espressamente.Pag. 8
  Salto le altre osservazioni puntuali che avevo appuntato e mi permetto di fare un'osservazione di fondo sul tipo di Senato che uscirebbe dalla riforma. Parto da una valutazione, per quel poco che può valere la mia modestissima opinione, di consenso rispetto a un Senato eletto indirettamente.
  Mi chiedo solo se abbiamo riflettuto abbastanza a fondo – nell’«abbiamo» ci siamo sia noi osservatori che voi operatori diretti – sul tipo di Senato che stiamo costruendo. Alcuni propongono, anche nelle audizioni, il mandato imperativo e il voto fisso per delegazione regionale. È un'idea interessante, anche se probabilmente eccessivamente rigida.
  Io, però, mi chiedo se si sia riflettuto sufficientemente a fondo sulle conseguenze che avrebbe questo tipo di Senato con doppi incarichi – il quale lavorerebbe sempre in caduta rispetto alla deliberazione della Camera e, quindi, avrebbe le sue attività, soprattutto legislative, concentrate a valle rispetto alla deliberazione dell'Assemblea di Montecitorio – e sulla trasformazione profonda che questo Senato conoscerebbe rispetto a quello precedente, che, secondo me, non sarebbe inferiore alla trasformazione che c’è stata quando siamo passati dal Senato di nomina regia al Senato repubblicano.
  Più che proporre un'idea alternativa su questo punto sottolineo l'esigenza di andare un po’ al di là anche dell'idea del Senato eletto direttamente o indirettamente e di indagare a fondo le conseguenze della scelta del Senato eletto indirettamente, perché cambia il modo di essere parlamentari, specialmente considerato che i senatori avrebbero un altro mandato.
  Mi scuso, presidente, per avere debordato.

  ANDREA GIORGIS. Chiedo di intervenire sull'ordine dei lavori.
  Noi ieri abbiamo svolto delle audizioni in maniera molto proficua perché abbiamo consentito ai nostri ospiti di esporre la loro riflessione e a noi di interloquire. Se i nostri ospiti consegnano il testo, noi non possiamo interloquire. Dovremmo riconvocarli la volta successiva e discutere del testo depositato.
  Le chiederei, quindi, di seguire l'esempio che abbiamo seguito ieri. Credo che siano altrettanto importanti le cose che ci stanno per dire gli auditi di oggi rispetto a quelle che abbiamo sentito ieri. Dovremmo consentire una piena esposizione a loro e un'interlocuzione a noi, altrimenti rischiamo di svolgere delle audizioni che non apportano quel contributo di cui noi, invece, abbiamo ritenuto di aver bisogno.
  Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Professor Giorgis, apprezzo il senso didattico del suo intervento e, da buon allievo, mi adeguo. Le faccio presente, però, che proprio l'economicità, il bonsai degli interventi, consente un dibattito più ampio. Lo sforzo è solo quello di pregare i nostri relatori di essere possibilmente asciutti nell'esposizione per consentire esattamente l'opposto di quello che lei mi rimproverava.
  Do la parola al professor Lupo.

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma. Grazie, presidente, a lei e alla Commissione per questo graditissimo invito. So che il tempo parlamentare è un tempo prezioso e, quindi, davvero vi ringrazio.
  Confesso innanzitutto, in linea generale, una condivisione profonda e convinta dell'esigenza di riforma e, nel suo assetto fondamentale, del testo in discussione, soprattutto per quanto riguarda la revisione del bicameralismo paritario. Trovo che la mancata riforma del bicameralismo abbia fatto drammaticamente da «tappo» alle altre riforme costituzionali di cui il nostro Paese aveva bisogno e che l'averlo affrontato con decisione, come questo testo sta facendo, sia un merito indubbio.
  Aggiungo anche che l'effetto di un'eventuale mancata riforma, soprattutto dopo che questo testo è stato approvato in modo così sofferto dal Senato, sarebbe davvero difficilmente giustificabile oggi. Avrebbe un effetto di delegittimazione delle Istituzioni Pag. 9e contribuirebbe al cattivo funzionamento delle medesime. Lasciatemelo dire con una battuta: il ricorso ai decreti-legge omnibus e ai maxiemendamenti o alle questioni di fiducia è anche, in qualche misura figlio di questo bicameralismo e dei problemi che esso determina.
  Come seconda notazione di carattere complessivo, sottolineo che il testo in esame è in continuità sostanziale con i gruppi di lavoro che furono istituiti dal Presidente della Repubblica e con la linea prevalente nella Commissione sulle riforme costituzionali istituita dal precedente Governo. Anzi, per qualche aspetto ci sono quelli che considero dei piccoli miglioramenti, come il fatto che i senatori non siano eletti all'esterno ma all'interno dei Consigli regionali, secondo me migliorativo. Anche sul Titolo V, su cui non mi soffermo, trovo che, nel complesso, rispetto alle linee approvate dalla Commissione sulle riforme costituzionali, il testo sia leggermente migliore.
  In questa chiave ritengo che sia auspicabile che la Camera dei deputati non intervenga con modifiche radicali, né aggiunga troppa carne al fuoco. Sarebbe meglio porre attenzione forse sin da oggi alla fase attuativa della riforma, non dimenticandoci che non basta approvare una riforma costituzionale – l'esperienza del Titolo V dovrebbe avercelo insegnato – perché poi questa abbia effetto. È necessario che il percorso attuativo sia pensato e guidato sin dal momento in cui quella riforma si approva.
  In questa chiave mi preoccupa l'andamento della riforma del Regolamento della Camera, almeno stando all'ultimo resoconto della seduta della Giunta del Regolamento di martedì scorso. Credo che quello sia un percorso che è opportuno che accompagni il processo di riforma, per quanto possibile, perché mi appare assolutamente in linea con questo.
  Svolgo alcuni punti in modo molto sintetico, andando dal più piccolo al più grande, cioè da quello con minore impatto, nella chiave che dicevo prima, a quello con maggiore impatto.
  Inizio con il tema delle leggi bicamerali: mi pare siano da ridurre, soprattutto per porre rimedio ad alcuni emendamenti approvati a scrutinio segreto al Senato. Vi sono una serie di categorie poco delimitabili e, peraltro, c’è la pessima abitudine di introdurre rinvii interni al testo della Costituzione, il che, dal punto di vista sia della comprensibilità del testo, sia della precisione dello stesso, possibilmente va evitato. I rinvii interni vi possono essere nella legislazione, ma in Costituzione meno li si usa e meglio è.
  Come seconda questione, trovo molto mal scritta, al di là del merito condivisibile o meno, la norma sul limite di compenso ai consiglieri regionali dell'articolo 122, primo comma. Così come è scritta, non credo che sia neanche in grado di parametrare davvero il limite di compenso dei consiglieri regionali al Sindaco del capoluogo di ciascuna Regione. È scritta in modo tale da non conseguire neanche l'effetto voluto.
  Sempre per stare alle questioni già discusse in Senato, svolgo un cenno sull'elezione del Presidente della Repubblica da parte del Parlamento in seduta comune. Nel corso del dibattito in Assemblea al Senato si è discusso di un emendamento che prevedeva la partecipazione a questa procedura dei parlamentari europei eletti in Italia.
  Devo dire che mi ha sorpreso che questo emendamento sia stato respinto, anche e forse soprattutto sulla base di una considerazione tecnica e non politica. Testualmente, si è dubitato che la fonte costituzionale fosse idonea allo scopo perché «l'impiego di parlamentari europei – sto citando espressamente – sarebbe di carattere pattizio e, perciò, tale disposizione potrebbe essere in contrasto con i trattati».
  Confesso che il punto non mi convince. Ci sono anche altri ordinamenti – cito per tutti il Belgio e l'Irlanda – che prevedono forme di coinvolgimento nei procedimenti parlamentari dei parlamentari europei eletti in quei Paesi. Non credo che ci sia Pag. 10alcuna perplessità a che la norma costituzionale attribuisca funzioni ulteriori ai parlamentari europei eletti in Italia.
  Farei ora un cenno all'elezione dei giudici costituzionali. L'avevo già sostenuto nei mesi scorsi in modo un po’ provocatorio e le vicende di queste settimane mi stanno confermando in questa sensazione: perché non farli eleggere tutti e cinque dal Senato ? In fin dei conti, in Senato non c’è un chiaro cleavage tra maggioranza e opposizione, ma c’è la rappresentanza delle autonomie. È vero che con il nuovo Senato speriamo di togliere contenzioso Stato-Regioni alla Corte costituzionale, ma per quello che c’è, e la quota oggi è molto rilevante, ha senso che in seno alla Corte costituzionale ci sia una competenza da parte regionale.
  Passo alla corsia preferenziale con voto a data fissa. Credo che sia assolutamente condivisibile. Trovavo opportuna la previsione di qualche limite quantitativo, come era nel testo della Commissione riforme, limite eventualmente anche affidato ai Regolamenti parlamentari.
  Concordo appieno con quello che diceva il professor Olivetti un attimo fa riguardo la opportunità di riflettere sul mantenimento delle Commissioni in sede deliberante o legislativa. Badate che nel testo attuale l'approvazione delle leggi da parte delle Commissioni continuerebbe a essere possibile anche al Senato, il che mi sembra di dubbia opportunità.

  EMANUELE FIANO, Relatore. Mi scusi, professore. Può precisare quest'ultimo passaggio ?

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma. Le Commissioni in sede deliberante, per come è scritto attualmente l'articolo 72, quarto comma, del testo in discussione, mi sembrano essere possibili sia alla Camera, sia al Senato. Io le trovo discutibili in entrambi i rami del Parlamento, per le ragioni che diceva prima il professor Olivetti, nel senso che il procedimento legislativo sarebbe già molto semplificato, soprattutto col voto a data fissa. Trovo che questo sia un punto su cui riflettere.
  Vado avanti molto rapidamente, e me ne scuso. Poi, ovviamente, se c’è l'opportunità di rispondere a domande, lo farò molto volentieri.
  Trovo molto interessante la distinzione tra controllo del Governo in senso stretto, controllo parlamentare in senso stretto, e controllo valutazione o controllo in senso ampio presente all'interno del testo. Forse il concetto è un po’ troppo reiterato. Nell'articolo 55, quinto comma, si trovano i verbi «valuta», «verifica» e poi nuovamente «valuta», riferiti al Senato. Sono d'accordo, ma dal punto di vista lessicale forse si può sfumare un po’.
  La disciplina del referendum la trovo molto pasticciata per come è uscita dal Senato, in esito ad un iter molto faticoso. Parlo del referendum abrogativo in particolare.
  Passo ora alla presenza dei Presidenti delle Regioni in Senato. Essa mi pare invece consentita, almeno io leggo così l'articolo 63, secondo comma, del testo come riscritto dal disegno di legge in esame, che disciplina il contemporaneo esercizio di funzioni di governo regionali e locali con il mandato di senatore. Io preferivo, devo dire la verità, la soluzione iniziale, con la presenza obbligatoria dei Presidenti delle Regioni quali senatori.
  Aggiungo gli ultimi due punti, davvero flash. Trovo opportuna, come già altri hanno detto in altre audizioni, una procedimentalizzazione della clausola di garanzia di cui all'articolo 117, quarto comma, con una valorizzazione allo scopo del ruolo del Senato e del rapporto bilaterale con la singola Regione, quando si tratta di questione che riguardi la singola Regione.
  Infine, trovo molto opportuna l'introduzione di un ricorso preventivo alla Corte Costituzionale sulla legge elettorale. Forse mi pongo un po’ in contraddizione con quello che ho detto in merito a limitare l'oggetto. Mi domando, però: perché non estenderlo anche alle violazioni procedimentali ? Anche in questo caso, quando la Pag. 11Corte Costituzionale si esprime e riscontra vizi nel procedimento di formazione delle leggi, soprattutto ad anni di distanza, gli effetti del sindacato di costituzionalità finiscono per essere dirompenti, quasi quanto quelli dei giudici riferiti alla legge elettorale.
  Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Mi permetto di fare un'osservazione, ossia che la ristrettezza dei tempi era motivata dal fatto che alle 16 le votazioni del Parlamento in seduta comune iniziassero con la chiama dei deputati. Ho appreso, però, che si inizia dai senatori. Ci sarà, quindi, tempo anche per un secondo giro da parte dei nostri relatori, ove intendessero integrare quello che, magari per l'iniziale delimitazione del tempo fino alle 16, io ho dovuto necessariamente disciplinare in modo organico.
  Do la parola al professor Zaccaria. Come ripeto, le chiedo un intervento inizialmente breve, con la certezza che poi potrà riprendere più ampiamente la parola.

  ROBERTO ZACCARIA, già professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze. Io consegnerò, come tutti gli altri, un appunto e qualcosa di più lo dirò nel corso dell'intervento. Mi limito a commentare i titoli di questo piccolo appunto che consegno, precisando che farò considerazioni all'interno del sistema prescelto. Saranno considerazioni critiche, ma l'impalcatura dei princìpi che sono stati evidenziati e sostenuti non la metto in discussione. Non potrei, non avrei titolo per farlo, anche se con la legge costituzionale si può arrivare anche a individuare delle tendenze e dei princìpi nella Costituzione.
  Mi soffermerei soprattutto su quelle che a me paiono conseguenze discutibili dei princìpi posti, perché naturalmente queste possono essere forse più interessanti, in questa fase di seconda lettura alla Camera, e partirei da una considerazione molto elementare.
  Vorrei muovere alcuni rilievi di forma e di buona scrittura della Costituzione. La nostra Costituzione del 1948 ha uno stile esemplare, superbo, perché è molto sobria e asciutta. Questa scrittura è stata un po’ intaccata in passato e voglio citare due esempi.
  L'articolo 111 della Costituzione è stato un modo di scrivere la Costituzione non condivisibile, al di là del merito. Questo è un esempio negativo.
  Un esempio positivo, invece, è l'articolo 81, introdotto nella scorsa legislatura, perché quell'articolo contiene dei princìpi che sono stati declinati, con riferimento alla distribuzione tra norme costituzionali e norme di legge costituzionale, in maniera molto equilibrata. Naturalmente, poi ciascuno criticherà o approverà, ma io volevo sottolineare che è molto importante scrivere bene la Costituzione.
  Perché ? Voi avete notato che, confrontando in maniera molto superficiale il prodotto che viene dal Senato rispetto al testo vigente, c’è un aumento di contenuto. Io avevo calcolato che fosse del 30 per cento, ma mi hanno detto che è esattamente del 37 per cento. Non sempre è necessario scrivere tanto per dire le cose che si vogliono dire, come scelta politica.
  Ci sono alcuni articoli che proprio non obbediscono ai canoni di buona scrittura della Costituzione. Cito l'articolo 70 e l'articolo 72 insieme, con la descrizione dei procedimenti. Basta guardare la pubblicazione degli uffici della Camera a disposizione della Commissione per capire la complessità che ne scaturisce.
  Se uno legge l'articolo 117 della Costituzione, vede che è diventato una norma mostruosa, di ben 4.895 caratteri. È una cosa spaventosa. Al di là delle contraddizioni interne, cui accennerò rapidamente, è una norma assolutamente illeggibile.
  Se voi prendete l'articolo 55, come è già stato detto in quest'audizione, notate che, per definire l'organo più importante, si usano tre righe e, per definire quello meno importante, se ne usano quindici o diciassette.
  Su questo noi abbiamo fatto un seminario a Pisa. Io mi sono messo d'accordo e ho sottoscritto con il collega Fusaro, che ha idee molto diverse dalle mie, un emendamento Pag. 12molto semplice, che si potrebbe, secondo me, inserire. Esso dice semplicemente che «il Senato della Repubblica rappresenta le Istituzioni territoriali e concorre all'esercizio delle funzioni legislative, ispettive e di controllo secondo le disposizioni della Costituzione». Questo si scrive nella Costituzione. Poi, quando si tratta di parlare, si specifica. Non si può fare un articolo 55 scritto così.
  Se voi prendete l'articolo 37, quarto comma, sulle disposizioni consequenziali, vedete che si abroga una disposizione sostanziale dell'articolo 62 sulla convocazione straordinaria delle Camere, cosa che non si può fare in quella sede. Delle due l'una: questo si può modificare, ma non si può mettere come disposizione consequenziale.
  Inoltre, ci sono alcune norme diciamo «errate». Io qui le cito soltanto, le argomento, ma poi vi consegno anche un documento del professor Panizza che ha preso in considerazione tutti questi – chiamiamoli così – errori. Sono errori. Non li avete fatti voi, ma li potete correggere.
  Cito gli articoli 64, 70, 73, 75 e 85. Ci sono errori vistosissimi. Ho sentito che il collega Fusaro in audizione ha suggerito di non modificare molto il testo, perché poi torna al Senato. Io non mi permetterei di dire una cosa di questo genere. Non mi spetta. Dico soltanto, però, che ciò che non è modificato qui si consolida. Se voi avete fatto una riforma costituzionale che aspettavamo da trent'anni, rischiate di firmare una riforma costituzionale che resterà per più di trent'anni. Se è scritta male, secondo me, qualcuno ricorderà chi l'ha scritta. Io consiglio, quindi, vivamente di pensarci bene, ma qui ci sono professionalità che vi possono aiutare e voi stessi lo potete fare.
  Devo dire ora rapidamente alcune cose che riguardano l'impostazione, cioè i princìpi, a partire dal superamento del bicameralismo paritario.
  È tutto sacrosanto, ce lo diciamo fino alla noia, ma c’è un «però»: se si va troppo in là nella riduzione dei poteri dell'altra Camera e la si rende sostanzialmente un organismo inutile, il rischio è veramente molto pesante, perché si mette in discussione la prospettiva bicamerale, con tutte le garanzie che essa comporta, a parte le conseguenze sul procedimento legislativo e sugli ingorghi legislativi che una Camera inutile è in grado di produrre.
  Sulla gratuità degli incarichi non posso parlare, ma devo suggerirvi di evitare questa sorta di beffa che è diventata la nomina di senatore a sette anni. Io penso che queste persone che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nei campi sociale, scientifico, artistico e letterario, quando sentono che li si può cercare per nominarli senatori a sette anni, scapperanno via, si daranno per disperse. Immaginate voi queste personalità che vengono in un organismo in cui non sanno neanche bene cosa fare e che ci vengono gratuitamente. O li mettete alla Camera, il che ha senso, oppure non li inserite proprio.
  Per quanto riguarda il discorso del Senato delle autonomie, io condivido un po’ le cose che sono state dette qui e altrove: si fa il Senato delle autonomie nel momento in cui le autonomie vengono sostanzialmente quasi rase al suolo. Questo è un elemento che rappresenta un'altra perfidia. Per trent'anni noi abbiamo voluto la Camera delle Regioni e, quando si fa, le Regioni non hanno più competenze.
  La questione ancora più delicata, però, è che questo Senato, secondo me piuttosto debole – uso un eufemismo – è un Senato che ha un altissimo livello di specializzazione. Se voi leggete le cose che dovrà fare il Senato, al di là del fatto che abbia poco concorso alle leggi, vedrete che tutte le cose che sino a oggi dovevano fare le due Camere, come la verifica di impatto della regolamentazione e l'attuazione delle normative italiane e europee, sono difficilissime. Questa è materia da specialisti assoluti, ma la devono fare dei soggetti che lavorano a tempo parziale e che rischiano di non avere più neanche una struttura che lavori per loro.
  Io vi voglio invitare a non affidare al Senato compiti che poi non sarà in grado Pag. 13di svolgere. Tra i pochi che ha quelli che gli vengono consegnati sono difficilissimi.
  Aggiungo due titoli. Gli obiettivi meno evidenti sono più Governo e meno garanzie. Questi non sono obiettivi che sono stati messi fuori. La gratuità e le altre cose sì, ma questi no.
  Io ho sentito dire che non si tocca la forma di governo, salvo, come ha detto benissimo Olivetti, quello che è indispensabile. Mi domando, però, cosa succederà se, a bocce ferme, lasciando i decreti-legge e non toccando la disciplina delle deleghe legislative, che è una questione, nell'esperienza delle deleghe legislative senza criteri, o con criteri evanescenti, molto delicata, si sommerà a questi la corsia preferenziale a discrezione.
  La corsia preferenziale non è sottoposta ad alcun vincolo. Guardate che il peso del Governo in Parlamento diventa enorme.
  Poi ci sono le garanzie. Permettetemi, ma per il Presidente della Repubblica non basta portare a otto scrutini, ma bisogna cambiare anche il collegio. Questo mi pare evidente, altrimenti noi abbiamo una modifica molto facile di questi organi, che sono di garanzia.
  Quanto ai senatori che eleggono direttamente i membri della Corte, io ho dei dubbi sulla divisione tra Camera e Senato. Adesso sento il collega Lupo che propone addirittura di affidarli tutti e cinque al Senato. Si tratta di solo cento persone. Le maggioranze qualificate le fanno in un attimo. Si mettono d'accordo le Regioni e nominano i cinque giudici costituzionali. Così si snatura la Corte costituzionale.
  Consentitemi ora di dire una cosa sul procedimento legislativo in questo meccanismo che viene disegnato. Tutti pensano alla snellezza del procedimento legislativo. Questo è un principio declamato. Vi assicuro, però, che con questo meccanismo il procedimento sarà molto meno snello. Prima di tutto, la dimostrazione è molto semplice e quasi matematica: mettiamo che due Camere che lavorano in parallelo in un mese facciano dieci leggi ciascuna. Una fa dieci leggi, l'altra fa dieci leggi, poi le si incrociano e alla fine del mese hanno fatto venti leggi.
  Se voi procedete con un sistema monocamerale, a meno che non raddoppi il lavoro della Camera dei deputati, non avete la stessa produttività e, in più, avete la corsa a ostacoli rappresentata dai procedimenti estremamente complicati, su cui, se non si fanno bene, giudica la Corte costituzionale, perché sono norme messe in Costituzione.
  Inoltre, avete la corsia preferenziale. Quante corsie preferenziali ci saranno in un anno alla Camera dei deputati, oltre ai decreti e a tutto il resto ? Io vi assicuro, e sono pronto a fare una scommessa, che le leggi che si fanno ora non si faranno più. Se ne faranno molte meno e questo è un rischio, secondo me, molto grave. La snellezza, quindi, io non la vedo. Io vedo ingorghi e una difficoltà enorme.
  Chiudo sulla competenza esclusiva, proponendo solo una statistica. Prima la competenza esclusiva era su una trentina di materie. Adesso le abbiamo portate a sessanta. Non è una modifica di poco conto. Adesso le competenze si sono raddoppiate. Anche se fossero cinquanta, anziché trenta, sarebbe uguale. Quello che intendo è che si dice che si toglie la concorrente, mentre la concorrente di fatto resta, ma in una forma diversa. Osservo che ho sentito questa frase pronunciata, in un seminario a Pisa, dal professor De Siervo, che è stato presidente della Corte Costituzionale.
  Io vi pongo ora una domanda. Prima c'erano i princìpi delle leggi cornice, adesso ci sono le disposizioni generali e comuni, nonché l'interesse nazionale e i relativi princìpi. Queste cose non sono simili alla competenza concorrente ? Il professor Bassanini, in un seminario, ha detto chiaramente che la concorrente esce dalla porta e rientra dalla finestra.
  Io vi dico, e questa è l'ultima mia considerazione, che abbiamo fatto molte di queste cose con l'intento di ridurre il contenzioso costituzionale. Posso riferirvi che l'opinione prevalente tra i costituzionalisti è quella di ritenere che con questo Pag. 14apparato normativo costituzionale il contenzioso presso la Corte riprenderà abbondantemente, tra la valutazione del procedimento, il problema relativo alle competenze, nuove ed esclusive e cosiddette concorrenti, e il problema delle competenze regionali.
  Leggetevi l'articolo 117, terzo comma. Dopo aver attribuito allo Stato tutta una serie di competenze, l'articolo 117 terzo comma dice che le Regioni possono, con una sorta di funzionalizzazione, reintervenire in una serie di materie che sono state assegnate in competenza esclusiva. Sarà difficilissimo applicare le competenze regionali, che prima erano le altre. Prima era facile. Adesso non sono solo le altre, ma sono anche tutte quelle finalisticamente indicate nell'articolo 117.
  Io penso che veramente queste preoccupazioni all'interno dei princìpi fissati debbano sussistere. Grazie.

  TOMMASO FULFARO, Segretario dell'associazione «Articolo 21». Dopo l'intervento fatto dal professor Roberto Zaccaria intervengo a nome dell'associazione «Articolo 21» per aderire totalmente a ciò che il professore ha proposto. La condivisione dell'associazione è realmente ufficiale, perché il professore ha precedentemente partecipato a delle riunioni con noi sul tema oggi presentato. Per serietà e interesse, riferisco che, se il professor Zaccaria avesse potuto ufficialmente intervenire anche per «Articolo 21», glielo avremmo chiesto e saremmo stati molto orgogliosi e felici per il suo consenso.
  Ringrazio comunque, a nome di «Articolo 21», la I Commissione per l'ufficialità della nostra presenza sulla materia costituzionale.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  EMANUELE FIANO, Relatore. Grazie, presidente. Ringrazio molto i docenti che oggi sono intervenuti a discutere con noi di alcuni nodi che ritengono significativi.
  Vorrei chiedere al professor Olivetti una precisazione sulla questione della natura del Senato, così come ci perviene dal testo approvato dal Senato. Lui si è, in particolare, soffermato – era l'ultimo punto della sua esposizione – sulla relazione tra la natura del Senato, così come viene iscritto nella legge di rappresentanza del Senato delle autonomie, di rappresentanza territoriale e la natura del mandato che ciascuno di quei senatori potrà esercitare e, quindi, anche la natura del voto che potrà esercitare.
  Il professor Olivetti ha citato anche alcune ipotesi che sono state espresse in altri ambiti e che riguardano, per esempio, la possibilità di prevedere un mandato imperativo per i senatori di rappresentanza territoriale, ovvero che il gruppo di quei senatori che rappresentano una determinata Regione abbia un'uniforme rappresentanza.
  Mi pare che il professor Olivetti abbia messo l'accento su una tematica oggettivamente reale. Credo che si descriva qui il problema di una Camera, certamente politica, di natura fiduciaria, che rimane – una Camera eminentemente politica, in cui la dialettica politica continuerà a sussistere tra le parti, tra maggioranze e minoranze – e di un altro ente, la cui natura non dovrebbe essere politica e nel quale, quindi, la dinamica tra maggioranze e minoranze dovrebbe vivere di altra forma. In particolare, mi interessa, sull'esercizio del voto da parte di quei senatori, capire meglio come si potrebbe risolvere il problema della rappresentanza.
  Mi pare poi che il professor Lupo abbia citato, a questo proposito, l'ipotesi, non negata dalla norma come è scritta fino a oggi, che di quella rappresentanza facciano parte i presidenti delle Regioni. Vorrei capire – collego le due domande e poi ho concluso, presidente – quando il professor Lupo ci dice che quella possibilità non è negata nella scrittura di oggi, se noi pervenissimo a un'articolazione della rappresentanza che contenesse sia Presidenti di Regione, che però non possono essere in numero maggiore a 20, sia rappresentanti dei Consigli regionali eletti Pag. 15a rappresentare le regioni nel Senato delle autonomie – con un sistema elettorale quale quello descritto dalla legge, ossia un sistema elettorale con liste, un sistema proporzionale e di natura politica per cui si vota su liste –, se questa commistione di caratteristiche di questa rappresentanza tra Presidenti, Sindaci e rappresentanze dei Consigli regionali potrebbe coesistere.
  A questo, ovviamente, è collegato il tema che aveva sollevato il professor Olivetti sulla modalità della espressione di voto dei senatori.

  DANILO TONINELLI. Cercherò di fare domande puntuali, senza valutazioni politiche sulla riforma.
  La prima domanda che vorrei porre, e che vorrei rivolgere a tutti gli esperti intervenuti, è se ritengano che questo Parlamento, in conseguenza della sentenza n. 1 della Corte Costituzionale del 2014, che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum per due punti fondamentali, abbia la legittimità per operare una riforma costituzionale, anzi una revisione tanto organica della Costituzione, anche se la lettura del dispositivo e delle motivazioni della sentenza sembrerebbe dire diversamente.
  La seconda domanda che pongo è relativa ai decreti-legge. Come ritenete voi che la specifica dei requisiti per l'utilizzo di questo strumento da parte del Governo, ossia l'omogeneità e tutto quello che sappiamo sul decreto-legge, requisiti già attualmente inseriti comunque nell'articolo 77, sia cambiata ? Che cosa cambierebbe il fatto di averli specificati, quando, in realtà, questi requisiti di fatto sono già presenti ? Poiché tutti dicono che la decretazione d'urgenza è un male di questo Paese, l'averla sostituita con un disegno di legge governativo a corsia preferenziale cosa cambierà rispetto all'abuso della decretazione d'urgenza ?
  L'ultima domanda che pongo è come pensate, se lo pensate, che la norma che inserisce il vaglio preventivo di costituzionalità da parte della Consulta per la legge elettorale possa essere applicata già a un'eventuale legge elettorale approvata e, quindi, entrata in vigore prima della riforma costituzionale. Vorrei capire se ci sia una possibilità di farla applicare con una norma transitoria o con un meccanismo di questo genere.

  ANDREA GIORGIS. Io ho solo una domanda, molto puntuale. Ho sentito le relazioni e mi sembra che ci abbiano fornito veramente degli spunti interessanti, nonché una tensione, un invito a valutare con molta prudenza e con molta attenzione tutti gli articoli che compongono questo testo. Sono d'accordo con chi ci ha richiamato alla responsabilità. Incombe su questa Camera un'enorme responsabilità nel consegnare al Paese una riforma che duri nel tempo e che funzioni bene.
  Passo alla domanda puntuale. Ho sentito dal professor Lupo, al quale vorrei porre la domanda, avanzare un suggerimento-provocazione, un'ipotesi, una suggestione, quella dell'elezione da parte del Senato di tutti e cinque i giudici della Corte, sulla base della seguente riflessione: poiché in Senato non c’è uno schema tra maggioranza e opposizione, potremmo consegnargli la competenza di eleggere i giudici.
  Questo è il punto. Effettivamente, se il Senato fosse il Senato che rappresenta le Istituzioni territoriali, allora dovrebbe essere composto da senatori che non si presentino come esponenti di forze politiche e come esponenti, quindi, di maggioranza o di minoranza, ma come esponenti dei territori e, quindi, rappresentanza istituzionale. Del resto, questo è ciò che viene detto anche nel testo della riforma. La riforma dice che il Senato rappresenta le Istituzioni territoriali.
  Da questo il professor Lupo trae la considerazione che, poiché il Senato rappresenta le Istituzioni territoriali, allora non c’è lo schema tra maggioranza e opposizione. Io vorrei chiedere, però, se rispetto a questa logica stringente sia coerente l'ipotesi di eleggere i senatori, da parte dei Consigli regionali, tra i consiglieri regionali con un voto che garantisca anche le minoranze.Pag. 16
  Io credo, ma magari mi sbaglio, che ci sia un po’ di tensione tra queste due logiche, ossia tra la logica della rappresentanza delle Istituzioni e la logica, invece, della rappresentanza politica della maggioranza e dell'opposizione. Se non ci fermiamo soltanto all'enucleazione e all'indicazione di quello che il Senato vorrebbe essere, ma guardiamo poi a come il Senato rischia di essere, secondo me c’è un'incoerenza.
  Chiederei se ho colto bene il concetto, se il professor Lupo condivide questa tensione e come sarebbe possibile risolverla. Naturalmente, noi abbiamo bisogno di fare in modo che il Senato sia davvero il Senato che rappresenta le Istituzioni territoriali. Come si può fare in modo che il Senato sia davvero rappresentante delle Istituzioni territoriali e non sia, invece, una Camera nella quale facciamo rientrare le dinamiche politiche tra maggioranza e opposizione attraverso i consiglieri regionali che vengono eletti, in quanto esponenti di forze politiche, e che abbia quindi la stessa legittimazione che è, invece, propria della prima Camera, cioè una legittimazione di tipo politico ?

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Io volevo chiedere agli esperti un'opinione rispetto a questo testo per quanto riguarda il tema delle autonomie locali, in particolar modo il tema dei Governi d'area vasta, il superamento delle Province e le Città metropolitane.
  Per quanto riguarda le aree vaste, sostanzialmente vengono citate come nuovo modello di cooperazione comunale con una regolamentazione in capo alle Regioni. Le Città metropolitane, invece, rimangono in Costituzione.
  Da questo punto di vista vorrei sapere se ritenete che quello che in Costituzione oggi si dice sia sufficiente per garantire un livello di organizzazione territoriale che non è un Comune, ma, in realtà, è un nuovo livello di governo di cooperazione fra i Comuni, che vedremo come si andrà a sviluppare con l'attuazione della legge n. 56 del 2014, con tutte le esigenze anche di metterla a punto.
  Mi domandavo se, secondo voi, sia sufficiente quello che è stato scritto – pochissimo o niente – o se non sarebbe opportuno, in questa fase di revisione costituzionale, puntualizzare meglio i rapporti tra Regioni e Città metropolitane, nella fattispecie.
  La seconda domanda riguarda, invece, le competenze e le materie che possono essere attribuite alle Regioni a Statuto ordinario nel momento in cui si trovano con il pareggio di bilancio. Vi chiedo se ritenete che quelle che in pratica sono possibili siano sufficienti.
  Io non condivido un punto: non è possibile che sia concessa alle Regioni ordinarie la possibilità di gestire la tutela della salute o il sostegno all'innovazione per i settori produttivi, per esempio. Quest'ultimo aspetto mi lascia particolarmente perplessa, perché fra le funzioni delle Città metropolitane in maniera precisa si dice che «promuovono e coordinano lo sviluppo economico e sociale, anche assicurando il sostegno e il supporto alle attività di economiche e di ricerca innovative».
  In questo momento noi stiamo guardando il Senato e le nuove funzioni della Camera, ma anche tutte quelle che rappresentavano la realizzazione delle autonomie locali. Si tratta di capire, anche con il vostro aiuto, come mettere meglio in coerenza questi livelli e i diversi livelli di governo.

  ENZO LATTUCA. Sollevo un paio di questioni, innanzitutto sul Titolo V. Mi fa piacere che il professor Lupo abbia citato l'esigenza stringente di dare un procedimento tassativo all'utilizzo della clausola di supremazia da parte dello Stato nei confronti delle Regioni.
  Io credo che il procedimento che noi abbiamo, a mio modo di vedere, il compito di individuare non possa prescindere dal coinvolgimento del Senato stesso, altrimenti non si spiegherebbe come si vogliano coinvolgere le Regioni nell’iter legislativo a monte e non a valle, magari con i conflitti e il coinvolgimento della Corte Costituzionale.Pag. 17
  Parallelamente a questo, chiedo se i professori che sono qui oggi ritengono che si possa studiare una clausola che faccia da contraltare a quella di supremazia, una clausola di sussidiarietà, con cui lo Stato, anche in questo caso con il coinvolgimento del Senato, possa, all'inverso, riconoscere, rispetto a particolari temi o a particolari esigenze, anche in maniera limitata nel tempo, delle funzioni ulteriori a quelle che verranno previste dall'articolo 117 alle Regioni, o comunque un coinvolgimento più diretto delle Regioni rispetto alla disciplina di alcuni temi.
  L'altra domanda riguarda, invece, il cosiddetto procedimento di approvazione delle proposte di legge del Governo a data fissa e/o a contenuto bloccato, in base all'interpretazione che si attribuisce al testo uscito dal Senato qualche mese fa.
  Io ritengo che si debba anche tenere presente ciò che sta avvenendo in sede di riforma del Regolamento della Camera. In particolar modo, il professor Lupo, che so aver approfondito molto nei suoi studi il tema del diritto parlamentare, prima citava questo procedimento a data fissa senza rilevare una criticità che, a mio modo di vedere, esiste.
  Da una parte, si va verso una Costituzione che riconosce al Governo, senza alcun limite e, quindi, con arbitrarietà – non c’è altro termine – di proporre la votazione di un provvedimento a data fissa per un numero illimitato di volte. Le limitazioni riguardano solo alcune materie o tipologie di leggi che sicuramente non possono vedere questo procedimento.
  Dall'altra parte, nel Regolamento della Camera si pensa di introdurre una procedura d'urgenza, questa sì contingentata nel numero delle volte in cui può essere attivata, con la quale la maggioranza possa garantire particolare celerità all'approvazione di alcuni provvedimenti.
  Io ritengo che, se, da un lato, questo aiuta certamente a non utilizzare più la decretazione d'urgenza fuori dai limiti che la Costituzione prevede, e che è difficile dire che vengano rispettati, dall'altra ponga in maniera illimitata una posizione di supremazia del Governo nei confronti del Parlamento rispetto al potere legislativo che inverte totalmente quello che è il rapporto naturale di una Repubblica parlamentare.
  Se questo sarà il futuro dei rapporti tra Parlamento e Governo, io credo che sia da escludere – già è difficile farlo oggi – che in una legislatura possa essere approvata, anzi che ci sia anche solo il tempo per discuterla e approvarla, una legge che non sia di iniziativa del Governo e che non sia calendarizzata come provvedimento con votazione a data fissa.
  Non credo che questo intervento sia compatibile, anzi, forse rappresenta un cambiamento della forma di governo molto più impattante di altri, opportuni, come quello, per esempio, di aggiungere revoca a nomina all'articolo che prevede la formazione del Governo, che invece non comporterebbero questo capovolgimento degli equilibri costituzionali.

  GIUSEPPE LAURICELLA. Grazie, intanto, ai nostri ospiti per i contributi, che ritengo importanti. Non vorrei che passasse, almeno per quanto mi riguarda, l'idea che noi dobbiamo, a questo punto, prendere in toto per buono tutto il lavoro fatto dal Senato, senza dover mettere neanche una virgola in questo testo, che, invece, da quello che emerge dai suggerimenti che oggi noi abbiamo ascoltato, io penso debba essere quantomeno raffinato nei suoi contorni.
  Non c’è dubbio che le parole d'ordine in questo procedimento che noi stiamo proponendo rinviino a una sostanziale spending review costituzionale, che mal si adatta, secondo me, al processo di revisione della Costituzione. Non si può pensare di dover ragionare in termini di risparmio quando si parla della struttura portante del sistema di uno Stato e del suo ordinamento.
  Dall'altro lato, questo è un potenziamento, forse a questo punto eccessivo, ma non di centralità del potere esecutivo. Forse è anche di più: è uno sbilanciamento del potere esecutivo sugli altri poteri.
  Sotto questo punto di vista mi chiedo, e chiedo, per esempio, condividendo molte Pag. 18delle osservazioni fatte, nello specifico degli argomenti, dal professor Olivetti, nonché dal professor Zaccaria, qualora il Senato non dovesse avere – voglio ancora tenere aperta una porta – i poteri adeguati a diventare una Camera, al di là del tipo di composizione – alla quale io faccio meno attenzione rispetto alle funzioni e ai poteri che devono essere assegnati al Senato –, invece di fare una riforma «ipocrita», perché non pensiamo direttamente al monocameralismo ? Ci togliamo il pensiero, risparmiamo molto denaro e risolviamo il problema. Facciamo un monocameralismo attribuendo a quel punto i giusti equilibri tra i poteri dello Stato.
  È una domanda provocatoria. Io ho fatto anche uno studio in materia, ma non per questo ci sono affezionato. Oggi mi viene da pensare questo. A questo punto, non prendiamoci in giro: o facciamo un Senato che abbia delle funzioni di contrappeso anche rispetto ai poteri della Camera, che, peraltro, vi invito a chiarire anche sotto il punto di vista della legge elettorale, oppure facciamo il monocameralismo.
  Faccio un'altra provocazione: se domani, anzi oggi, poiché oggi la discussione della legge elettorale è al Senato, al Senato viene reintrodotto, per esempio, l'articolo 2, che noi abbiamo stralciato dall'approvazione – sto parlando del sistema elettorale per il Senato – come la mettiamo, dal punto di vista della corrispondenza e del coordinamento tra quello che noi stiamo andando a discutere, ovvero un bicameralismo differenziato in cui la Camera non è più elettiva e una legge elettorale (sto facendo un paradosso, non credo che avverrà mai una cosa di questo tipo) che ripropone il sistema elettorale per il Senato ?
  È giusto o non è giusto – questa è l'altra domanda – che noi non possiamo ragionare in termini di costruzione del sistema del bicameralismo se non guardiamo anche l'aspetto di come si andranno a formare effettivamente il Senato e la legge elettorale della Camera ? Se la legge elettorale della Camera sarà, come oggi, l’Italiacum, ossia con piccoli collegi a liste bloccate, siamo completamente al disarmo del sistema parlamentare. Il Parlamento non esiste più, diventa un organo ratificatore delle scelte del Governo, che, a sua volta, dipende dalle scelte dell'Unione europea, tanto per fare un collegamento banale.
  Questi sono alcuni accorgimenti che mi avete sollecitato con le vostre osservazioni e che chiedo se abbiano una ragion d'essere, visto il tipo di impianto che si sta sviluppando.
  Aggiungo un'ultima considerazione sulla nomina dei giudici della Corte costituzionale, sempre in ragione del fatto che, per evitare degli squilibri, con quella Camera che andremo a costruire, la Camera dei deputati, senza il Senato elettivo e con questa proporzione, allo stato dei fatti delle cose, le Camere eleggeranno e nomineranno i giudici della Corte costituzionale, ma anche il Presidente della Repubblica e il Consiglio superiore della Magistratura.
  È di garanzia un impianto di questo tipo, anche dal punto di vista delle nomine che devono sempre essere fatte sui vari poteri dello Stato, oppure non è più di garanzia ? Pensiamo, per esempio, a come si fa negli Stati Uniti e affidiamo questo potere solo al Presidente della Repubblica. Facciamo nominare tutti da lui.
  Questo, ovviamente, non è il mio pensiero. Vi ho lanciato due o tre provocazioni per capire se voi siete dell'ordine di idee che questa riforma sia già pronta per essere varata e che, quindi, noi non dobbiamo mettervi mano, oppure se occorre fare delle riflessioni profonde, avendo i tempi anche per poterle fare.

  STEFANO QUARANTA. Io trovo l'ultimo intervento che mi ha preceduto tutt'altro che provocatorio e, invece, molto interessante. La mia preoccupazione è che noi stiamo andando verso un monocameralismo di fatto, con un Esecutivo forte e senza i contrappesi necessari che in altri sistemi sono previsti. Trovo che questo sia un punto, in effetti, da indagare con grande serietà.Pag. 19
  Pongo tre questioni. La prima è quella dell'elezione del Senato. Vorrei capire e vorrei discutere perché sarebbe contraddittorio pensare a un'elezione diretta, magari su listini regionali, e, contestualmente, alle elezioni regionali dei senatori, che avrebbero, a mio giudizio, il vantaggio di rappresentare comunque l'ente. Sarebbero, infatti, contestuali ed esprimerebbero le stesse maggioranze. Avremmo dei soggetti che si dedicano esclusivamente al mestiere di senatore e che non devono fare dell'altro.
  Poi c’è il tema della legittimazione. Più noi sosteniamo che il Senato è un soggetto debole, che esercita funzioni di controllo nei confronti della Camera, più io credo nella chiarezza delle funzioni. Io non penso che l'elezione indiretta comporti una «concorrenza» tra senatore e deputato. Se i poteri e le funzioni sono chiari, non c’è una concorrenza, ma forse c’è una legittimazione più forte, che consente almeno di avere un contrappeso di soggetti che rappresentano davvero le loro Istituzioni.
  La seconda questione riguarda il tema delle garanzie. Io penso che sia, anche in questo caso, giusto che la discussione che stiamo facendo sulla riforma debba essere contestuale al ragionamento sul rafforzamento dell'Esecutivo e del sistema elettorale di cui stiamo parlando, anche perché è lo stesso Governo che ha sempre detto che le due cose stavano insieme e che il tutto si vedeva in un disegno organico.
  A me sembra che sia un po’ sottovalutata la questione dell'elezione del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale. Tenendo insieme questi diversi piani, a me pare che il Presidente della Repubblica diventi sempre meno soggetto di garanzia e potenzialmente sempre più soggetto politico, dai risvolti anche simili a una figura che fa parte dell'Esecutivo, sia per il procedimento legislativo e per le questioni che venivano ricordate prima, sia perché probabilmente è eletto da una maggioranza e non è più il frutto di un compromesso tra maggioranza e opposizione per via del meccanismo che è stato scelto.
  La stessa cosa vale per la Corte Costituzionale. Io penso che la Corte Costituzionale debba davvero essere l'organismo che tutela le garanzie. Francamente anche su questo punto mi porrei il tema del collegio che elegge la Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica. In merito chiederei un approfondimento.
  L'ultima questione riguarda i referendum, che sono stati citati, ma in maniera un po’ veloce. Anche su questo punto io ho l'impressione che, mentre si penalizza sempre di più la democrazia diretta e si rafforza l'Esecutivo, il che vale anche per le leggi di iniziativa popolare, non solo per il referendum, si tiri fuori una norma che io trovo curiosa.
  Vi chiedo: il quorum può essere modificato dal numero di firme che si raccoglie per un quesito referendario ? Questo tanto più che i referendum dovrebbero essere strumenti nelle mani delle minoranze. Parliamo di referendum abrogativo. Io non capisco che senso abbia questa differenza sul numero di firme raccolte e sull'esito rispetto a quorum.

  TERESA PICCIONE. Intanto ringrazio tutti i nostri relatori per i contributi che ci hanno suggerito. Alcune delle perplessità, pur condividendo gli obiettivi della necessità di una riforma, mi trovano vicina, come l’iter legislativo, il fatto che ci sarebbe questa corsia preferenziale, che, a mio avviso, è già abbastanza presente nella decretazione d'urgenza a cui si fa ricorso oggi, e qualche altra questione.
  La mia domanda, però, è un'altra e riguarda il ruolo che in questa rivisitazione mantengono le Regioni a Statuto speciale e se questo ruolo dentro questo movimento di nuova centralizzazione sia giustificabile, se mantenga l'assetto attuale con il suo profilo o se, invece, può essere un elemento di disequilibrio all'interno di questa nuova costruzione costituzionale.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  FRANCESCO SAVERIO MARINI, Professore ordinario di Istituzioni di diritto Pag. 20pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata. Fornisco risposte immediate.
  Sul problema della legittimità dei parlamentari ritengo che i parlamentari, ovviamente, siano nell'esercizio delle loro funzioni e che, quindi, esercitino tutti i poteri legittimamente, anche quello di revisione costituzionale.
  Quanto ai decreti-legge, è stato chiesto se la norma cambia specificando i limiti che sono già previsti nella legge n. 400 del 1988. Ovviamente, cambia poco, nel senso che la giurisprudenza costituzionale ormai li considera limiti alla decretazione d'urgenza. Spesso, però, si inserisce nella Costituzione il portato della legislazione o della giurisprudenza costituzionale e, quindi, il fatto non mi sorprende più di tanto.
  Diverso è, invece, il problema della differenza tra la decretazione d'urgenza e i disegni di legge con corsia preferenziale, perché il decreto-legge produce effetti, mentre il disegno di legge no. Secondo me, questo è un cambio rilevante.
  Per quanto riguarda il vaglio preventivo sulle leggi elettorali, penso che non ci siano spazi per introdurre il vaglio preventivo prima della riforma costituzionale. Proprio giuridicamente non vedo come sia realizzabile questo effetto, se non approvando addirittura prima una legge costituzionale temporanea.
  Quello che, invece, mi chiedo è se non si possa estendere il vaglio preventivo anche alle altre leggi elettorali. Qui è previsto solo per Senato e Camera. Non vedo perché non estenderlo anche alle altre competizioni elettorali, comprese quelle regionali o europee.
  Peraltro, secondo me, il vaglio preventivo andrebbe pensato forse diversamente. In questo testo avviene su ricorso. Forse, a questo punto, se si segue la strada del vaglio preventivo, si potrebbe farlo senza ricorso. Sarebbe più sensato rispetto all'obiettivo.
  Per quanto riguarda l'elezione dei giudici da parte del Senato, la proposta del professor Lupo a me, invece, sembra piuttosto ragionevole. Certamente il problema di evitare le dinamiche politiche nel Senato è difficile da prevedere, soprattutto in presenza di partiti di massa. In mancanza di partiti regionali è facile che si possano riprodurre in Senato le stesse dinamiche di maggioranza e opposizione che ci sono alla Camera dei deputati.
  Il problema dell'area vasta sicuramente c’è. È soltanto accennato nella Costituzione, ma in fondo è rimesso alla legislazione e, quindi, c’è il rischio che poi a livello legislativo vengano introdotti nuovi enti territoriali che non hanno fondamento costituzionale. Forse una specificazione su Città metropolitane e aree vaste sarebbe opportuna.
  Rispetto alla clausola di supremazia, come ho già detto nel mio intervento, condivido quello che è stato osservato. Secondo me, il procedimento va rafforzato. Inoltre, vanno introdotti dei limiti, tra cui quello della sussidiarietà, non soltanto come contraltare, ma anche come limite alla clausola di supremazia, il che consentirebbe anche un controllo su questa clausola di supremazia della Corte costituzionale, che attualmente, invece, sarebbe ovviamente impossibile.
  Per quanto riguarda la provocazione, o non provocazione, del monocameralismo o dell'elezione diretta, certamente rispetto alle attuali funzioni del Senato il monocameralismo potrebbe essere un'ipotesi. Non penso che ci siano forse le condizioni politiche, ma di questo ovviamente siete maggiormente a conoscenza voi parlamentari.
  Relativamente al problema di assicurare le garanzie nell'elezione dei giudici costituzionali, io credo che il problema sia forse addirittura sopravvalutato, nel senso che poi i giudici costituzionali la garanzia la ottengono non solo per le modalità di elezione, ma anche in relazione a tutta una serie di ulteriori norme che assicurano tale garanzia nell'esercizio delle funzioni e, secondo me, peraltro, nella storia della Corte è stata pienamente garantita.
  Infine, relativamente ai referendum, condivido l'osservazione. Probabilmente il collegamento tra firme e quorum andrebbe ripensato.

Pag. 21

  ROBERTO ZACCARIA, già Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze. Presidente, grazie. Prima di tutto una precisazione. Quando io parlavo di raddoppio delle competenze, mi riferivo alle competenze statali, che sono raddoppiate rispetto a quelle esistenti, ovviamente non a quelle regionali, altrimenti tutta l'impalcatura del discorso non stava in piedi. Vi ho invitato a controllare, ma mi pare che quella tendenza sia chiara.
  Non è una domanda rivolta a me e, quindi, vado rapidamente sulla presenza dei Presidenti delle Regioni. Devo dire che nella XV legislatura il problema fu affrontato in maniera esplicita, perché nella XV legislatura si adottò un modello di elezione indiretta a presenza dei Consigli regionali e si escluse la presenza dei presidenti delle Regioni. È una scelta opinabile, naturalmente.
  Quanto al fatto che oggi l'esclusione non sia pacifica, io penso che il collega Lupo abbia approfondito questo argomento. Tuttavia, se si dovesse prevedere la presenza, proprio perché allora fu esclusa, se oggi la si dovesse prevedere esplicitamente, poiché inciderebbe molto sulla natura di questo organismo, io penso che bisognerebbe dirlo in maniera esplicita e non arrivarci in via interpretativa.
  Sulla legittimità del Parlamento so che alcuni colleghi hanno un'opinione diversa. Io, però, ritengo che la Corte Costituzionale non arrivi a mettere in discussione la legittimità del Parlamento di intervenire sulla riforma costituzionale. Non si può certamente pesare la riforma se si modifica un articolo o se si modificano cinque articoli. Del resto, l'attività del Parlamento ha una visione globale e, quindi, dal mio punto di vista, il Parlamento, se vuole procedere, può farlo in piena legittimità.
  Anch'io sono d'accordo con il collega Marini che il vaglio preventivo non sia facilmente estensibile a leggi precedenti, sia pure con disposizioni transitorie. Vorrei dire, però, che le disposizioni transitorie finali io le ho criticate perché sono per me un apparato eccessivo. Non mi permetterei di arrivare a questo tipo di risultato.
  Sul discorso relativo ai giudici, anche in quel caso la domanda è stata rivolta al professor Lupo. Io ho detto, e lo ripeto con serenità, ma con grande fermezza, che lo considererei un salto nel buio. Al di là del fatto che noi dovremmo prevedere che cosa sarà il Senato futuro, se sarà a composizione politica o soltanto istituzionale, io credo che proprio i meccanismi di elezione siano tali da far pensare che poi i partiti abbiano il loro peso.
  Sul fatto quindi di dare cinque giudici al Senato veramente vi consiglio di procedere con grande cautela, perché la Corte Costituzionale è uno degli snodi fondamentali del nostro sistema. Ha funzionato e ha funzionato egregiamente in tutti questi anni. Noi sappiamo che cos’è, ma rischieremmo di non sapere che cosa si vada a determinare. Io, quindi, userei molta cautela. Il collega Lupo ha svolto certamente delle riflessioni molto accurate, ma da questo punto di vista io credo che si farebbe un salto nel buio.
  Per quanto riguarda la clausola di sussidiarietà, io ho detto che preferisco una formula come quella a cui si è fatto riferimento, da congegnare in maniera opportuna, piuttosto che l'attuale articolo 117. Non vorrei aver sbagliato nel citare il terzo comma, ma il terzo comma – io lo so, perché ho letto il dibattito al Senato – è stato ritenuto da alcuni un modo per potenziare il ruolo delle Regioni.
  Vi invito comunque a provare a leggere questa norma difficilissima. È una norma certamente di segno opposto rispetto a quello che è stabilito nei commi precedenti, perché tende, con un criterio di funzionalizzazione, ripeto, finalistico, a riattribuire alle Regioni competenze in ambiti materiali che sopra sembrano essere riservate allo Stato.
  Io penso che sia meglio lavorare su un'ipotesi, alla quale si faceva riferimento, che prefiguri un meccanismo diverso per le Regioni in relazione alle loro competenze. Io penso che su alcune di quelle che sono indicate nel testo come disposizioni Pag. 22comuni e generali bisognerebbe veramente riflettere meglio a chi vadano, se allo Stato o alle Regioni, e che tipo di ripartizione si configuri.
  La clausola a cui si è fatto riferimento a me, però, parrebbe un percorso interessante e migliore dell'articolo. Io lo vedrei come alternativo rispetto a questa, che io giudico una pessima formulazione.
  Quanto alla corsia preferenziale, io ne ho già parlato e in più di un intervento se ne è parlato successivamente. Anche su questo nella XV legislatura era stato pensato un disegno di questo tipo, ma è sul meccanismo, sulla combinazione che io invito a riflettere, combinazione che risulta dal mantenimento dei decreti-legge, sia pure circondati di maggiori prudenze e, quindi, si potrebbe dire, quantitativamente ridotti.
  Oggi il problema dei decreti-legge non è tanto nel numero, come voi sapete meglio di me, quanto nel peso, nella quantità delle disposizioni che sono messe nei decreti. Io dicevo spesso che non bisogna contarli e non bisogna pesarli. Tuttavia, se mettete insieme i decreti-legge, che continuano a esistere, la delega, che continua a esistere, con tutte le deviazioni che il sistema della delega ha registrato in questi anni e di cui ho parlato prima, e questa corsia preferenziale, inviterei veramente a riflettere se questa corsia preferenziale non sposti il potere di formazione dell'ordine del giorno. Una delle più gelose prerogative delle Camere è formare il proprio ordine del giorno. In questo modo il Governo si impadronisce dell'ordine del giorno della Camera, perché indica ciò che ritiene essenziale per il programma di governo e può chiederlo quante volte vuole. Almeno prevediamo la modica quantità, come si diceva con riferimento ad altre questioni, cioè diciamo che se ne possono fare un determinato numero.
  Sembra una battuta, ma pensate realmente se il Governo lo chiedesse su dieci provvedimenti legislativi. I mesi sono dodici. Se divido per sei, vuol dire che si sposta il potere di formare l'ordine del giorno, che, secondo me, non è una cosa di poco conto.
  Onorevole Lauricella, più che risponderle con le mie parole, le riferisco che nel seminario che noi abbiamo fatto tra i costituzionalisti toscani il professor Cheli, che è una persona molto autorevole e che condivide abbastanza questo impianto di riforma, ha detto che se il Senato che ne scaturisce è quello che noi ora leggiamo – così ha detto il professor Cheli e io sottoscrivo le sue parole – sarebbe meglio un sistema monocamerale. Un bicameralista convinto, essendo Cheli una specie di decano dei costituzionalisti italiani, dice, quindi: «Guardate che ci sono dei pericoli».
  Io poi, però, aggiungo che il monocameralismo, con il discorso che ho fatto prima sull'ingorgo legislativo, determina problemi. Vi assicuro che io non so come garantire la stessa produttività che hanno oggi le Camere, perché la terza lettura, nonostante quello che dicono in tanti in maniera superficiale, è rarissima. A volte si rallenta la seconda per motivi vari, ma la terza lettura è rara. Statisticamente, la produttività del Parlamento con un monocameralismo sarebbe certamente fortemente ipotecata e forse ridotta.
  Quanto al discorso del Parlamento in seduta comune, che rimane, è un organismo che diventa più fragile. Per l'elezione dei giudici la mia idea era che fosse meglio portarla in Parlamento in seduta comune comunque, ma questo vale anche per il Presidente della Repubblica e per il Consiglio superiore della magistratura. È un organismo che è fragile in questo modo, perché ha una struttura che è prevalentemente Camera. È un Parlamento in seduta comune un po’ per modo di dire.
  Sul referendum mi pare che siamo d'accordo che si coniughino due cose che non stanno in piedi. L'opinione di molti è che decida il Parlamento se vuole raccogliere le firme a un dato livello e, quindi, alzare la soglia e poi stabilire il quorum in relazione a questo, ma la doppia corsia che si incrocia è, secondo la mia opinione, molto discutibile.
  La questione delle Regioni a Statuto speciale credo sia disarmonica quanto meno e poi c’è quell'intesa. È chiaro che Pag. 23ci sono altri casi di intesa, ma gli Statuti speciali sono materia del Parlamento, di legge costituzionale. Se si mette di mezzo un'intesa, praticamente si conferisce un potere assoluto all'organismo che deve co-decidere.
  Secondo me, quindi, le Regioni a Statuto speciale in questo sistema sono una sorta di vicenda piuttosto disarmonica, io direi anomala, e certamente poco giustificabile dal punto di vista del costituzionalista. Naturalmente, però, questa è anche questione politica.

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma. Grazie di tutte queste sollecitazioni, alle quali, ovviamente, posso rispondere solo in minima parte in modo esaustivo.
  Mi soffermerei innanzitutto sul nodo della natura del Senato, che è stato toccato sia dall'onorevole Fiano, sia dall'onorevole Giorgis, presupponendo – lo dico in risposta alla provocazione dell'onorevole Lauricella – l'utilità del bicameralismo in sé. E lo dico anche rispetto al cenno che faceva il professor Zaccaria nella sua introduzione.
  Il bicameralismo paritario funzionava bene e consentiva di economizzare il tempo quando c'era un sistema di partiti, per cui le due Camere andavano nella stessa direzione, e c'era un sistema elettorale proporzionale in entrambi i rami del Parlamento. Oggi direi che questo quadro è profondamente cambiato. Sostenere oggi che il bicameralismo paritario consenta di risparmiare tempo e che sia più simmetrico quanto al procedimento legislativo lo trovo un po’ difficile.
  Credo, invece, che abbia senso mantenere il bicameralismo in Italia, come in tutte le grandi democrazie al di sopra di un dato numero di cittadini, a patto che il Senato sia in grado di rappresentare, come è stato detto giustamente, anche le Istituzioni territoriali. Questa è la scelta fatta dal disegno di legge in esame.
  Il problema è la coesistenza, nel nuovo Senato, di diversi tipi di rappresentanza. Lo dico in termini di coesistenza di due cleavage diversi. C’è un cleavage politico, che continua a esserci, anche se meno forte rispetto a quello della Camera dei deputati, ragion per cui la dinamica maggioranza-opposizione non me la sento di dire che non ci sia, ma non è sicuramente la dinamica dominante come nella Camera politica.
  Accanto a questo cleavage coesiste un cleavage territoriale, se volete un po’ come nel Parlamento europeo, in cui coesistono un cleavage politico e la provenienza, tramite le elezioni, da un dato Stato membro, che ha una sua influenza nelle posizioni che vengono espresse dai parlamentari europei.
  È molto difficile oggi prefigurare quali saranno le dinamiche reali nel Senato, ma dobbiamo immaginarci una Camera, a mio avviso, in cui questi due cleavage coesistano e in cui quindi, la distinzione in gruppi e, a maggior ragione, la divisione maggioranza-opposizione siano più attenuate rispetto a quanto accada nella Camera dei deputati.
  Se è così, in questa chiave io mi permettevo anche di risollevare la questione della presenza in Senato dei Presidenti di Regione. Può benissimo applicarsi l'articolo 63 della Costituzione come riscritto, anzi, sono più preciso: il Regolamento stabilisce in quali casi l'elezione o la nomina delle cariche negli organi del Senato possano essere limitate in ragione dell'esercizio di funzioni di governo regionali o locali. Se si dice questo in Costituzione, si presuppone che magari attraverso una convenzione costituzionale tra le regioni, tutti i Consigli regionali decidano di farsi rappresentare anche e anzitutto dai loro presidenti.
  A mio avviso, si tratta di una soluzione possibile, in base a questo testo. Vi invitavo a riflettere su un punto – è stato un punto, peraltro, cambiato rispetto al disegno di legge governativo nel corso dell’iter del Senato – ossia se non fosse opportuno abbinare alla rappresentanza indiretta con l'elezione in Consiglio regionale anche la presenza obbligatoria dei Presidenti delle Regioni.Pag. 24
  Avrebbe degli svantaggi, ed è chiaro che ci troveremmo davanti a rappresentanze diverse per tipologia, ma sarebbe una spinta nella direzione di privilegiare il cleavage territoriale rispetto a quello politico. Avrebbe anche un altro vantaggio, a mio avviso, significativo, che sarebbe quello di responsabilizzare gli Esecutivi regionali e le Regioni, anche ai fini di ridurre il contenzioso e di valorizzare i procedimenti mediante i quali far valere la clausola di supremazia o di sussidiarietà.
  Questi procedimenti funzionano nel momento in cui c’è la voce delle Regioni. Se si vuole che ci sia la voce delle Regioni in Senato, la presenza e il voto esplicito trasparente dei Presidenti delle Regioni, a mio avviso, facilitano questo processo.
  Questo era il tipo di ragionamento che facevo, con tutte le incognite del caso. Lungi da me voler dare certezze in proposito. Si tratta di un tentativo, chiaramente, innovativo, con tutte le difficoltà del caso.
  Svolgo un cenno alle tante domande sul tema delle garanzie, in particolare delle funzioni elettive. È chiaro che un'elezione affidata al Parlamento in seduta comune, con 630 membri da una parte e 100 dall'altra, finisca per andare a vantaggio del cleavage politico (qui il discorso si lega soprattutto alla legge elettorale, evidentemente) e per perdere alcune delle valenze garantistiche che probabilmente in origine poteva avere. D'altro canto, rialzare il quorum ha tutti gli inconvenienti del caso.
  Io perciò mi permettevo, in primo luogo, di accennare all'opportunità di tornare sull'elezione del Presidente della Repubblica inserendo i parlamentari europei eletti in Italia, e, in secondo luogo, lanciavo questa provocazione sull'elezione dei giudici costituzionali da parte del Senato.
  Volevo, però, in coerenza con l'approccio che ho cercato di illustrare all'inizio, che ci domandassimo se sia opportuno che tre su cinque giudici siano l'espressione di una Camera politica che deciderà a maggioranza. Se si fanno eleggere tutti e cinque i giudici da una Camera che come il nuovo Senato ha, invece, un cleavage territoriale dominante e una dinamica maggioranza-opposizione meno schiacciata, a mio avviso, accentuiamo il versante garantistico.
  Sul referendum concordo con l'osservazione dell'onorevole Quaranta. È uno dei punti su cui mettere mano assolutamente. L'abbinamento tra il quorum e le firme, a mio avviso, non ha un fondamento razionale.
  Chiuderei solamente sui vari spunti che ci sono stati su decreti-legge, procedimento legislativo e voto a data fissa. Ribadisco e preciso un punto che ho svolto molto fugacemente, e me ne scuso.
  A mio avviso, è opportuno stabilire un limite quantitativo al ricorso al voto a data fissa, in conformità a quello che è stato indicato dalla Commissione riforme e a quello che c’è anche nella riforma del Regolamento della Camera, per il testo che ho visto. È opportuno che ci sia qualche limitazione all'uso di questo strumento, che è uno strumento sicuramente forte.
  Lungi da me, peraltro, sostenere che nella forma di governo parlamentare la legislazione debba essere tutta parlamentare e rinnegare il ruolo che il Governo deve avere di Comitato direttivo nel processo di formazione della legislazione parlamentare. Questo, a mio avviso, è un po’ un retaggio che ci portiamo appresso per la storia italiana, perché abbiamo avuto la conventio ad excludendum, con le Camere che hanno continuato a svolgere l'attività legislativa spesso indipendentemente dall'indirizzo governativo.
  Credo che questo ruolo del Governo nel procedimento legislativo vada riconosciuto, ma non nelle forme attuali, perché attualmente questa predominanza del Governo sul Parlamento è assicurata con strumenti squilibrati, privi di contrappesi. La situazione attuale non è sicuramente ideale dal punto di vista della funzionalità del procedimento legislativo. Credo che voi la viviate molto più di quanto non la possa vivere io dall'esterno.
  Davanti a questa situazione ha senso, allora, prevedere sia degli strumenti volti a consentire al Governo di esercitare in modo fisiologico il suo potere di guida dell'attività legislativa, ma anche dei limiti Pag. 25e dei bilanciamenti. In questa chiave mi permettevo anche di ragionare, sempre con il beneficio di inventario, sulla possibilità di aumentare le forme di ricorsi, da parte di minoranze parlamentari, preventivi alla Corte Costituzionale, anche al di là del caso previsto per le leggi elettorali, per esempio per vizi relativi al procedimento.
  In questa logica sottolineavo l'importanza di procedere in parallelo a riforme dei Regolamenti parlamentari e alla riforma costituzionale, ricordando, peraltro – questo non l'avevo detto all'inizio e chiudo davvero – che in alcune parti la riforma del Regolamento della Camera serve ancora per attuare la legge costituzionale n. 1 del 2012. Abbiamo ad esempio le funzioni di controllo parlamentare sulla finanza pubblica la cui disciplina risiede nell'articolo 5 della legge costituzionale del 2012 che demandava ai Regolamenti parlamentari e che a tutt'oggi costituiscono una norma costituzionale inattuata.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma. Molte grazie, presidente. Grazie per tutti gli spunti e anche le domande che hanno arricchito la prospettiva nella quale ci troviamo. Vorrei raccogliere le mie osservazioni attorno a tre nodi.
  Il primo è la difficoltà di ragionare su questa riforma sia per quel che riguarda, per esempio, la forma di governo e la corsia preferenziale, sia per quel che riguarda il riparto di competenze. Un conto è se noi pensiamo di intervenire sul testo, un altro è se noi pensiamo di intervenire sulla realtà costituzionale.
  Se interveniamo sul testo, secondo me, è assolutamente necessaria la corsia preferenziale ed è necessario rimettere a posto il riparto di competenze. Se interveniamo sulla realtà, cioè sulla giurisprudenza della Corte Costituzionale, dobbiamo tenere presente che essa ha sostanzialmente svuotato tutte le garanzie dell'autonomia regionale, e che la realtà politica conosce la questione di fiducia, che – vi ricordo – non è scritta in Costituzione, e i maxiemendamenti, che probabilmente sono incostituzionali. L'uso del decreto-legge è un'altra cosa. Occorre tenere presente queste due prospettive.
  Forse la costituzionalizzazione della corsia preferenziale, di cui si parla da trent'anni, va fatta. Le indicazioni volte a limarla devono però tenere conto di queste distorsioni che si sono accumulate negli anni.
  Io mi chiedo se, dopo la disposizione sulla corsia preferenziale, sia ancora implicita nel nostro sistema la questione di fiducia, che ha già dentro di sé il voto bloccato, ma è implicita. Non è vero che la Costituzione non preveda da nessuna parte la questione di fiducia; essa è stata desunta dall'articolo 94 e vi è stato inserito il voto bloccato, che è dunque parte già oggi di tale procedura. Io mi chiedo se, una volta introdotta una corsia preferenziale come quella delineata nella riforma che stiamo analizzando, non si potrebbe giungere alla conclusione che la questione di fiducia come la conosciamo oggi non è più compatibile con la Costituzione. È un'interpretazione possibile, che però credo nessuno sosterrà nella realtà. Questo comunque è un nodo aperto.
  Il secondo punto riguarda quello che dicevano soprattutto gli onorevoli Fiano e Giorgis sulla natura del Senato. In realtà, che cos’è la rappresentanza territoriale ? A mio avviso, la rappresentanza territoriale è comunque una rappresentanza politica, perché è una rappresentanza degli interessi generali, ma l'aggregazione non avviene su scala nazionale, bensì su scala regionale.
  Nelle seconde Camere che hanno rappresentanza territoriale c’è sempre il rischio di quella che io chiamerei la cattura politico-partitica, che avviene anche nel Bundesrat tedesco, dove, come è noto, i membri della seconda Camera sono direttamente i Governi regionali, ma non è mai una cattura completa. Rimane, ed è più possibile che rimanga, l'elemento territoriale se l'elezione non è diretta.
  Premesso che anche con una Camera eletta indirettamente non avremo mai solo Pag. 26rappresentanza di interessi territoriali, ma anche qualche forma di rappresentanza politica, la possibilità che con una Camera eletta indirettamente siano rappresentate anche le istituzioni territoriali è maggiore. Se si vuole questo, l'impianto della riforma dovrebbe essere difeso.
  Io faccio fatica a situarmi fuori da questo impianto. Mi riferisco a quello che diceva l'onorevole Lauricella sul monocameralismo. A mio avviso, una delle ragioni per cui è più apprezzabile questa riforma è che ha un confine, tutto sommato, chiaro. Poi può debordare, come lo stracchino che rischia di uscire dal pacchetto, ma ha un suo perimetro e sarebbe bene che si restasse a quello, cioè che non si pensasse di voler fare troppo con questa riforma. Piuttosto è meglio contenere l'intervento riformatore nei limiti che si sono finora delineati l'intervento, che in questi termini, a mio modestissimo avviso, è necessario.
  Con tutti i suoi limiti, io preferirei questo testo, che abbiamo davanti a noi, così com’è, con i difetti che ho detto, al testo costituzionale vigente, perché sblocca due problemi che sono in corso da trent'anni e che vanno sbloccati. Non lo fa in maniera perfetta e sarebbe importante farlo meglio, ma sicuramente dal punto di vista metodologico non allargherei il discorso con altri obiettivi, che pure possono essere anche molto sensati.
  Con questo criterio, per esempio, la mia idea è che si dovrebbe del tutto escludere il discorso sui referendum e lasciare le cose così come stanno, perché è un'altra questione. Si può fare un'altra legge costituzionale su questo tema.
  Aggiungo una micro-parentesi sull'elezione del Presidente della Repubblica. Suggerirei di prendere in considerazione il sistema tedesco, che risolverebbe buona parte dei problemi che abbiamo. In Germania il Presidente della Repubblica è eletto da un numero uguale di parlamentari e di consiglieri regionali, deputati dei Länder, l'equivalente dei nostri consiglieri regionali, eletti per l'occasione solo per quel voto dai Parlamenti regionali.
  Qual è la conseguenza di ciò ? Poiché non sono pochi, come nel sistema di elezione attuale o nel sistema che risulterebbe dalla riforma, ma sono tanti quanti sono i deputati, essi possono anche cambiare la maggioranza. È successo, mi pare, nel 1979 e nel 1994 che il Presidente della Repubblica sia stato eletto all'interno dell'opposizione perché l'opposizione aveva la maggioranza nei Parlamenti regionali.
  Basta guardare com’è la Costituzione tedesca. Si può prendere ispirazione da essa. Sbloccherebbe un poco la questione dell'elezione del Presidente della Repubblica.
  Infine, c’è il terzo nodo. Alla fine il rischio che si corre nel ragionare sulle funzioni di questo Senato sta tra il troppo e il troppo poco. È una banalità piuttosto sconcertante. C’è il rischio di un Senato eletto indirettamente, che abbia troppi poteri e che, quindi, blocchi il processo decisionale, oppure di un Senato inutile. Come dice l'onorevole Lauricella, allora passiamo al monocameralismo.
  Secondo me, in questo testo si è, nel complesso, in una posizione equilibrata. Se c’è un punto sul quale io insisterei, ma l'hanno già detto quasi tutti i colleghi e lo diceva l'onorevole Lattuca, è che la clausola di supremazia va corretta.
  Che cos’è la clausola di supremazia ? È evidente: è una deroga al riparto di competenze. L'articolo 117 dice, con norme che potranno essere perfette o imperfette e che non sappiamo quanto serviranno, che alcune cose le fa lo Stato e altre le fanno le Regioni. Con questo articolo 117, quarto comma, si dice che, esercitando la clausola di supremazia, si può, nonostante questo riparto, intervenire comunque con legge statale.
  In un sistema che ha un Senato delle autonomie, secondo me, serve il consenso del Senato per questa deroga al riparto di competenze, altrimenti abbiamo già la centralizzazione che prima è stata descritta e, quindi, molte materie sono rispostate alla competenza dello Stato. Se si introduce la possibilità di derogare al riparto di competenze, quello è il criterio.Pag. 27
  Infine, richiamo l'attenzione sulla formulazione dell'articolo 77. Io condivido – rispondo alla domanda dell'onorevole Toninelli – l'idea di portare a livello costituzionale i criteri che sono nella legge n. 400 del 1988. Quello che, invece, non mi sembra ben chiaro è il modo in cui è disciplinato nell'articolo 77 l'esame dei disegni di legge di conversione da parte della Camera. Sembrerebbe che si attivi un doppio esame simultaneo. Se voi guardate come è scritto, non è molto chiaro. Quanto meno, se quello è l'intento, bisognerebbe dirlo meglio.

  PRESIDENTE. Professor Olivetti, visto che lei ha introdotto un tema in modo più specifico, posso rivolgerle una domanda ? Si è fatta – lei avrà seguito il dibattito – tanta polemica sul problema della differenza, con questa strutturazione del Senato, fra materie di cui si occupa questo tipo di Senato ed elezione di secondo grado, o indiretta. Ci si è chiesti, in altri termini, se sia davvero compatibile un senatore consigliere regionale che poi va al Senato e si occupa di materie come le leggi elettorali e costituzionali e i trattati dell'Unione europea.
  Il fatto che il consigliere regionale venga eletto come tale, ma poi confluisca al Senato e si occupi di queste questioni o addirittura che abbia dei poteri di intervento anche di un determinato rilievo, non rende questo un Senato solo di serie B. È di serie B e qualche volta di serie A, tant’è che questo viene definito un bicameralismo imperfetto.
  Io le chiedo se davvero possa ritenersi soddisfacente un ruolo tanto delicato affidato a soggetti che hanno una legittimazione soltanto come consiglieri regionali. Questo è un problema che io vorrei chiarire una volta per tutte. Voi siete gli esperti e potete fornirci qualche chiarimento sul punto.
  A me sembra che questo sia uno dei problemi che rimangono sullo sfondo di questo provvedimento. Viene eletto un consigliere regionale, il consigliere regionale va al Senato e si occupa di materie che sono proprie, invece, di parlamentari oggi eletti direttamente dal popolo.
  Io vorrei chiederle, proprio perché lei ha affrontato questo tema adesso, dicendo che quella proposta è una soluzione che risolve un problema ma che si può fare meglio, quale sia il suo parere sul punto e se questa caratura, questa investitura regionale sia sufficiente a giustificare poi, con quel tipo di meccanismo che la riforma propone, un intervento non sempre di serie B nello chassis istituzionale di questo Paese.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma. Grazie, presidente. Io credo che la risposta possa essere positiva, e lo dico non tanto sulla base di un'ipotetica capacità predittiva, che ovviamente non ho, quanto sulla base di qualche riferimento di diritto comparato.
  Esistono Senati di questo tipo, in cui i membri della seconda Camera derivano dalle Camere territoriali. Quello austriaco è quello più famoso, quello statunitense lo era alle origini e quello svizzero lo è stato anche per un certo periodo; lo è una parte di quello spagnolo. Di per sé non vedo questa difficoltà, forse perché, per cultura, sono profondamente regionalista e, quindi, convinto che la rappresentanza regionale in astratto non sia una rappresentanza minore e che venga convogliata verso questa dinamica nazionale.
  Inoltre, richiamerei un aspetto di cui discussero anche alcuni di noi nella Commissione riforme nominata dal Governo Letta...

  PRESIDENTE. Se mi consente soltanto un piccolo intervento, non perché questo possa diventare un dibattito, ma perché si tratta di un tema interessante, premetto che io condivido il suo parere sul fatto che questa è una riforma che può essere, come lei dice, con un'espressione regionale, «stracchino». Io la chiamerei, però, con un'espressione un po’ più scientifica, «amebica», nel senso che, appena la si Pag. 28divide, si moltiplica. Se ne creano altre. A me sembra più un'ameba che uno stracchino. Il parallelo è un po’ batteriologico e gliene chiedo scusa, ma siamo più o meno nell'area della tutela degli alimenti.
  A parte questo, io credo che il riferimento al diritto comparato sia una questione che qualche volta succede con troppa frequenza. Io non credo che si possa dire che, poiché altri Paesi fanno delle scelte, questo legittima nel nostro sistema una scelta analoga. Se fosse così, basterebbe che chi arriva per primo poi legittimasse tutti gli altri.
  Io vorrei, invece, capire se, sulla scorta del nostro attuale impianto costituzionale e soprattutto con la differenza che esiste fra il mandato al consigliere regionale e il mandato nell'ambito del Senato con materie diverse da quelle delle Regioni – mi rivolgo anche agli altri interventori, che, se sono interessati, pregherei di intervenire – vi sia o non vi sia una cesura fra la rappresentanza e il mandato.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma. Il richiamo al diritto comparato spesso viene fatto a sproposito proprio perché sembra una mera decorazione o un dato esotico. Il mio era il tentativo di evocare degli ordinamenti simili al nostro, che, pur essendo federali, sono di un federalismo non molto dissimile da un regionalismo ben strutturato. Piuttosto qui il problema è che, come è stato detto da alcuni, questa riforma sembra comprimere troppo alcune competenze regionali e, quindi, al limite, la contraddizione sta lì.
  Ripeto, io credo che non ci sia problema in astratto. Del resto, già Mortati propose in Assemblea costituente una rappresentanza che, in quel caso, in parte derivasse dai Consigli regionali. Non vedo la difficoltà teorica.

  PRESIDENTE. Io eleggo un consigliere regionale, che non si deve occupare, in quanto consigliere regionale di trattati dell'Unione europea. Non so se mi sono spiegato.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma. Oggi le Regioni interagiscono continuamente anche con l'Unione europea.

  PRESIDENTE. Non certamente come se ne occuperà il Senato.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma. Il problema è come produciamo l'unità nazionale in questo ordinamento. Siamo sicuri che l'unità nazionale la produciamo solo attraverso un Parlamento nazionale, o possiamo produrre l'unità anche per aggregazione, se le Regioni non hanno solo la funzione di essere qualcosa di separato, ma anche una parte del tutto che converge a produrre unità in una maniera diversa ?
  Mi rendo conto che il ragionamento rischia di essere un po’ fumoso, ma dietro c’è un bel pezzo della teoria del federalismo e dello Stato regionale. Ci chiediamo, cioè, se la produzione di unità nazionale debba avvenire soltanto attraverso un Parlamento nazionale o se non possa avvenire anche attraverso la responsabilizzazione per l'unità delle sue componenti, che sono soprattutto le Regioni e anche le autonomie locali.

  PRESIDENTE. Bisogna dirlo ai cittadini, secondo me, quando li eleggono. Magari eleggere contestualmente consiglieri regionali e senatori potrebbe essere una soluzione.
  Chiedo scusa se sono intervenuto, ma il dibattito è molto interessante.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso la Libera Università Maria Ss. Assunta (LUMSA) di Roma. Io la ringrazio.

  PRESIDENTE. Professore, sono io che la ringrazio, perché questo è un chiarimento che per me rimaneva sempre un po’ carente. Anche nel dibattito al Senato ho visto che non c’è stato, secondo me.Pag. 29
  Do la parola al professor Lupo e poi al professor Zaccaria.

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli (LUISS) di Roma. Confesso di essere molto d'accordo con le cose dette dal professor Olivetti. Io non vedo controindicazioni. Come diceva il presidente, però, bisogna saperlo prima. È chiaro che i prossimi consiglieri regionali, nel momento in cui questa riforma entrerà in vigore, avranno nello zaino la possibilità di diventare senatori. Speriamo che questo porti anche a un miglioramento qualitativo della rappresentanza regionale.
  Sinceramente, anche vista la legge elettorale che è stata vigente fino a un anno orsono, non credo che la rappresentanza politica nazionale abbia questa differenza qualitativa così netta rispetto alla rappresentanza regionale. Si tratterebbe di rappresentanti doppiamente eletti, perché sarebbero eletti dai cittadini della Regione nel loro Consiglio regionale e sarebbero eletti dal Consiglio regionale a rappresentare quel Consiglio a livello statale.
  Porrei, in conclusione, una domanda provocatoria. Mi scuso di questo, ma la questione sollevata dal presidente era talmente stimolante che l'ho voluta cogliere. Potendo voi scegliere, a regime, entrata in vigore la riforma, tra diventare uno dei 630 deputati legati da un vincolo maggioranza-opposizione molto forte, come abbiamo visto, o essere prima consiglieri regionali e poi senatori, che cosa scegliereste ? Direi che l'alternativa si pone ai componenti di un'Assemblea di 100 membri.
  Non mi pare, quindi, che il Senato sia depotenziato. Anzi, ha un senso e avrebbe un ruolo proprio, sulla scorta di quello che diceva il presidente.

  ROBERTO ZACCARIA, già professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Firenze. Tornando ancora al discorso dell'elezione indiretta, l'ho già detto in un'audizione al Senato: tale organo aveva una libertà limitata. Ho ricordato anche qui che nella XV legislatura l'unica esperienza che è stata fatta di un modello di riforma costituzionale prevedeva un meccanismo di elezione indiretta, sul modello del sistema austriaco, sostanzialmente, che è quello che si avvicina di più.
  Devo dire, peraltro, che le competenze che allora venivano attribuite al Senato erano assai più vaste. Assomigliavano un po’ a quello schema di cui parlava il professor Olivetti nel primo intervento. Si trattava, cioè, di un potere minore, ma piuttosto generalizzato, con riferimento alla produzione legislativa.
  Io devo fare due osservazioni. La questione che ha posto ora il professor Lupo della doppia legittimazione è straordinaria. Negli ultimi tempi noi abbiamo assistito, mi pare, alla formazione delle Province con questa doppia elezione e i cittadini italiani lo ignorano totalmente. Non mi pare che queste persone vadano in giro per strada pensando di avere una doppia legittimazione. Sono eletti indirettamente e basta. Naturalmente, sappiamo che cosa vuol dire elezione indiretta. Che valgano il doppio, mi pare un po’ forte.
  Quello che dice il professor Olivetti è un po’, secondo il mio punto di vista, forte. Lui, giustamente e saggiamente, dice che più che dirvi cosa succederà può dirvi quello che succede altrove. Questa è, secondo me, una sorta di utopia e di sublimazione di quello che può essere il regionalismo nel mondo. Preciso, però, che su quello che succede negli altri Paesi non discuto, ma che noi dobbiamo guardare quello che stiamo facendo noi.
  Immaginiamo questi consiglieri regionali, che a me risulta continuino a fare i consiglieri regionali nella loro giornata lavorativa o settimana lavorativa. Verranno un paio di giorni a Roma e si avvarranno, peraltro, di una struttura che non sarà neanche più specializzata come l'attuale Senato. Il disegno di unificazione delle strutture e il ruolo unico che viene distinto mi fa pensare che avranno un minore supporto specifico per le loro funzioni. Questo, però, è un discorso complicato.Pag. 30
  Io vi invito a leggere non tanto l'esercizio della funzione legislativa – naturalmente, bisogna stare bene attenti – che è propriamente una funzione legislativa. Voi citate sempre la Costituzione, ma sappiamo che la Costituzione non si modifica tutti i giorni. Può capitare in una legislatura una volta o due di modificare la Costituzione. Quello che conta, però, è che negli altri casi si stia bene attenti, perché i richiami della doppia lettura richiedono una tempestività. Voi sapete quali sono i lavori parlamentari: uno deve stare lì. Probabilmente, se questa fosse stata una funzione attribuita all'Ufficio di presidenza, non ci sarebbero problemi, ma fare questi richiami e avere le maggioranze non è una questione semplice. Si può pensare comunque che si organizzino.
  Io vi invito proprio a leggere la parte dell'articolo 55 che vi ho citato già prima. Lascio anche gli articoli 29 e 32 della Costituzione, sui quali non si capisce granché cosa vogliano dire, combinati alle altre questioni. Nell'articolo 55 si legge che il Senato «esercita funzioni di raccordo tra l'Unione europea, lo Stato e gli enti costitutivi della Repubblica».
  Io domando ai parlamentari qui presenti quanto, con riferimento a questo tipo di funzioni che oggi avete, siete consapevoli di esercitarle e se ritenete che sia una cosa facile.
  Proseguendo il testo dice: «partecipa alle decisioni dirette, alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea». A parte il fatto che qui la legge di delegazione già prevede l'attuazione con altri strumenti, si aggiunge che valuta l'impatto – attenzione, questo fa tremare i polsi – delle politiche dell'Unione europea e anche di quelle nazionali. È quella che si chiama VIR, che non è mai stata fatta nel nostro Paese e che potrebbe essere fatta.
  Presidente, io voglio sottolineare un punto. Per alcune questioni abbiamo meno partecipazione alla funzione legislativa – c’è un'attività di leggi costituzionali, lo sappiamo – ma poi, con riferimento a tutte queste cose che sono scritte nel testo in esame, voi credete che delle persone, con rispetto parlando, «a mezzo servizio» o «a doppio impiego», come preferite, riuscirebbero a occuparsi di questioni simili, che richiedono una specializzazione elevatissima e difficilissima ? Non a caso, il Parlamento attuale non se ne occupa. Io capisco che uno psicologicamente potrebbe dire: «Noi non le facciamo, facciamole fare a loro». Ho la sensazione, però, che queste cose non le faranno.
  La risposta alla sua domanda è questa: noi costruiamo un organismo che non è il Senato austriaco, gli assomiglia, ma potrebbe essere un organismo che fa fatica a esercitare queste funzioni per motivi personali e di struttura di assistenza. Se questo è, ecco perché qualcuno dice che si rischia di avere un Senato debole. È per questi motivi.
  Io mi rendo conto che qui gioca poco il costituzionalista e gioca un po’ anche l'astrologo e che, quindi, naturalmente bisogna saper leggere nel futuro.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri esperti e ringrazio la pazienza dei commissari con le loro domande. Vedo il collega Giorgis rincuorato. Abbiamo avuto un dibattito, mi sembra, soddisfacente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.