XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 15 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 14  COST. D'INIZIATIVA POPOLARE, C. 21  COST. VIGNALI, C. 148  COST. CAUSI, C. 178  COST. PISICCHIO, C. 180  COST. PISICCHIO, C. 243  COST. GIACHETTI, C. 284  COST. FRANCESCO SANNA, C. 398  COST. CAPARINI, C. 568  COST. LAFFRANCO, C. 579  COST. PALMIZIO, C. 580  COST. PALMIZIO, C. 581  COST. PALMIZIO, C. 839  COST. LA RUSSA, C. 939  COST. TONINELLI, C. 1439  COST. MIGLIORE, C. 1543  COST. GOVERNO, C. 1660  COST. BONAFEDE, C. 1925  COST. GIANCARLO GIORGETTI, C. 2051  COST. VALIANTE, C. 2147  COST. QUARANTA, C. 2221  COST. LACQUANITI, C. 2227  COST. CIVATI, C. 2293  COST. BOSSI, C. 2329  COST. LAURICELLA, C. 2338  COST. DADONE, C. 2378  COST. GIORGIS, C. 2402  COST. LA RUSSA, C. 2423  COST. RUBINATO, C. 2458  COST. MATTEO BRAGANTINI, C. 2462  COST. CIVATI E C. 2613  COST. GOVERNO, APPROVATO DAL SENATO, IN MATERIA DI REVISIONE DELLA PARTE SECONDA DELLA COSTITUZIONE

Seguito dell'audizione di esperti.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Azzariti Gaetano , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 3 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 5 
Azzariti Gaetano , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 6 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 6 
De Fiores Claudio , Professore straordinario di Diritto costituzionale presso la II Università degli Studi di Napoli ... 6 
Agostini Roberta , Presidente ... 9 
Giorgis Andrea (PD)  ... 9 
Quaranta Stefano (SEL)  ... 10 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 11 
Fiano Emanuele (PD) , Relatore ... 12 
Gelmini Mariastella (FI-PdL)  ... 13 
Mazziotti Di Celso Andrea (SCpI)  ... 14 
Agostini Roberta , Presidente ... 15 
Lippolis Vincenzo , Professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma ... 15 
Calderisi Giuseppe , Esperto della materia ... 17 
Lippolis Vincenzo , Professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma ... 19 
Calderisi Giuseppe , Esperto della materia ... 19 
Giorgis Andrea (PD)  ... 21 
Calderisi Giuseppe , Esperto della materia ... 21 
Giorgis Andrea (PD)  ... 21 
Calderisi Giuseppe , Esperto della materia ... 21 
Agostini Roberta , Presidente ... 21 
Giorgis Andrea (PD)  ... 21 
Agostini Roberta , Presidente ... 21 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 21 
Agostini Roberta , Presidente ... 21 
Calderisi Giuseppe , Esperto della materia ... 21 
De Fiores Claudio , Professore straordinario di Diritto costituzionale presso la II Università degli Studi di Napoli ... 22 
Azzariti Gaetano , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 24 
Agostini Roberta , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Seguito dell'audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in relazione all'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dei progetti di legge costituzionali C. 14 ed abbinati, recanti revisione della parte seconda della Costituzione, il seguito dell'audizione di esperti.
  Ricordo che nella seduta del 9 ottobre scorso, a causa della ristrettezza dei tempi, non sono stati svolti tutti gli interventi dei professori invitati a partecipare all'audizione.
  Pertanto la seduta prosegue oggi con le relazioni dei professori Azzariti e De Fiores che non avevano potuto svolgere il loro intervento nella predetta seduta. Al termine delle relazioni potranno intervenire i deputati che riterranno di porre dei quesiti a tutti gli esperti presenti a cui sarà data la parola per le relative repliche.
  Nel ringraziare i nostri ospiti della loro presenza e della loro disponibilità e ricordando che il tempo a disposizione è di circa 7-8 minuti e che l'intervento orale può essere integrato con una relazione scritta, do loro subito la parola, ad iniziare dal professor Azzariti.

  GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Grazie presidente per l'invito. Ringrazio anche la Commissione. Vorrei svolgere alcune rapide considerazioni sulla coerenza del modello prescelto, per soffermarmi poi su alcuni aspetti – pochi punti specifici, visto il tempo limitato a disposizione – particolarmente qualificanti della riforma.
  Per quanto riguarda il modello, la scelta compiuta dal Senato è assai impegnativa. Si è voluto adottare la particolare configurazione del «Senato delle autonomie», con il contestuale rigetto di altri modelli, come il «Senato delle garanzie» proposto dal senatore Chiti, ovvero il «Senato delle competenze« indicato dalla senatrice Cattaneo, mentre l'altra ipotesi più radicale, quella del monocameralismo, in realtà, non ha avuto grande considerazione.
  Io non discuterò, ovviamente, la scelta compiuta dal Senato, vorrei soffermarmi invece su alcune anomalie di sistema che potrebbero, ai miei occhi, indebolire il modello prescelto. Dico subito qual è, a mio avviso, il maggior punto di criticità.
  Com’è noto nel diritto comparato, la preferenza per il Senato delle autonomie è funzionale alla valorizzazione degli enti territoriali. È la configurazione tipica degli Stati federali. L'anomalia italiana è che si propone l'adozione di questo modello nel momento di più profonda crisi del regionalismo e non per invertire la rotta, rilanciando cioè le autonomie regionali, ma con l'esplicito proposito di assecondare un processo di riduzione del peso di questi enti.
  Quest'ultima è una constatazione fatta da tutti i commentatori, rivendicata dal Pag. 4Governo e dalla maggioranza. Rispetto alla modifica del 2001 l'attuale riforma ha un'impronta marcatamente statalista. Si prevede, infatti, una forte ricentralizzazione delle competenze, si limita la potestà legislativa concorrente e si reintroduce la clausola dell'interesse generale. Direi che questa scelta appare difficilmente compatibile con l'opzione del modello del Senato «autonomistico».
  D'altronde, sia la relazione governativa dell'originario disegno di legge, sia la sua relazione, onorevole Sisto, svolta introducendo la discussione del disegno di legge così come è giunto alla Camera, parlano esplicitamente di una rappresentanza regionale che funge da «contrappeso» – questo è il termine – al nuovo assetto di riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.
  A questa debolezza strutturale credo debbano ricollegarsi alcune ambiguità di formulazione del testo. Mi riferisco, in particolare, a quanto scritto nell'ipotizzata modifica dell'articolo 55, secondo la quale il Senato rappresenta le Istituzioni territoriali, e a quanto si stabilisce all'articolo 57, ove si afferma che i senatori sono rappresentativi delle Istituzioni territoriali.
  Il punto è il seguente: a rigore non si può parlare di rappresentanza istituzionale. Come è noto – la Germania è un modello in questo senso – perché si abbia rappresentanza istituzionale sono necessarie tre condizioni: la scelta dei senatori da parte del Governo locale, che li nomina e li revoca; il voto unitario di tutti i senatori di una stessa Regione, o Länder, il rispetto delle direttive impartite dai Governi locali. Solo in questo modo l'istituzione in quanto tale è rappresentata nell'organo senatoriale.
  Nel disegno di legge costituzionale, invece, si stabilisce l'elezione politica di secondo grado, da imputarsi ai consiglieri regionali, nonché si specifica che tale elezione deve avvenire con metodo proporzionale, al fine di garantire la rappresentanza delle opposizioni. Ebbene, questo meccanismo non può produrre una rappresentanza dell'ente. Determina, invece, un'altra condizione – legittima, ma diversa – ossia si pone a salvaguardia della rappresentanza del ceto politico locale o dei partiti nazionali nella loro conformazione territoriale.
  Viene, inoltre, conservato il divieto di mandato imperativo dei senatori e, quindi, questi non rappresentano l'ente, non sono istituzionalmente preposti alla rappresentanza dell'ente.
  Infine, essi non rappresenterebbero più neppure la nazione, secondo quanto previsto dalla proposta di modifica dell'articolo 55, ragion per cui finirebbero per rappresentare solo il ceto politico di appartenenza.
  Ritengo che questo non sarebbe un buon esito dal punto di vista degli stessi proponenti, se si dà credito – come dev'essere – alla relazione di accompagnamento del Governo che giustificava la scelta dell'elezione di secondo grado rilevando come l'elezione popolare diretta, inevitabilmente – questo il termine utilizzato – avrebbe trascinato con sé il rischio che i senatori si facessero portatori di istanze legate più alle forze politiche che alle Istituzioni di appartenenza.
  A mio avviso, questo nodo della natura della rappresentanza dei senatori e dell'organo può essere sciolto in due possibili modi. Quello più difficile, ma più coerente, sarebbe di adottare un effettivo sistema alla tedesca, affermando una reale rappresentanza istituzionale. Se così non dovesse essere, si dovrebbe allora abbandonare ogni illusione «autonomistica», modificando gli articoli che citavo prima, convenendo che la rappresentanza non è istituzionale, ma è una generica rappresentanza territoriale, come pure è scritto in altre costituzioni europee. In quest'ultima ipotesi si adotterebbe un modello senatoriale debole.
  Mi soffermo adesso su una delle modifiche più incisive del disegno di legge, che è il voto a data certa. È evidente, al di là di ogni considerazione di merito e di opportunità circa l'introduzione dell'istituto, che la possibilità attribuita al Governo di imporre una decisione entro sessanta giorni al Parlamento incide profondamente sugli equilibri costituzionali, Pag. 5rafforzando le prerogative del Governo. Questo mi sembra essere il dato da cui partire.
  Credo che abbia ben detto la Presidente della Camera Boldrini, quando ha rilevato che – cito – «l'esigenza di disporre di procedure e tempi certi potrà essere soddisfatta pienamente in modo equilibrato solo qualora non determini uno schiacciamento del ruolo del Parlamento, ma ne salvaguardi, invece, le prerogative». Queste le parole della Presidente Boldrini.
  Io penso che un rischio di schiacciamento ci sia, soprattutto vista la troppo generica formulazione adottata. Come sapete, escluse alcune ipotesi, come le leggi bicamerali, quelle elettorali e poco altro, il Governo può chiedere il voto a data certa semplicemente indicando che il disegno di legge è ritenuto essenziale per l'attuazione del suo programma.
  La formulazione è assai generica. Rimette sostanzialmente al Governo l'ampiezza del suo potere e non gli impedirà di far ritenere essenziale per l'attuazione del programma ogni disegno di legge, anche il più esoterico. La mia non è malizia: io credo che la vicenda dell'abuso della decretazione d'urgenza sia assai significativa, perché tutti i Governi, di qualunque colore politico, hanno sempre fornito un'interpretazione disinvolta dei pur più stringenti limiti della straordinaria necessità e urgenza di cui all'articolo sui decreti legge.
  Devo ricordare anche che ci sono state proposte anche nel passato più rigorose. Perlomeno, per esempio, la Commissione istituita dal Governo Letta proponeva di limitarne il numero al fine di ridurre la possibilità di abuso di questo strumento.
  Vorrei da ultimo sul punto anche sottolineare che rimettere al Governo la scelta su quale testo votare, se quello proposto o quello accolto, appare rischioso: tende a far venire meno ogni interesse del Governo a che sia il Parlamento ad approvare, entro i sessanta giorni prestabiliti, il disegno di legge. Può anzi favorire il disinteresse di maggioranza, inducendolo a ostacolare il Parlamento, visto che se quest'ultimo non riuscisse a decidere ne conseguirebbe un vantaggio per il Governo, assicurando l'approvazione della legge nel testo proposto, senza modifica alcuna.
  Telegraficamente mi esprimo ora su alcuni altri istituti.
  Per quanto riguarda l'iniziativa legislativa popolare, il problema non è tanto aver alzato a 150.000 le firme necessarie, quanto nel rinvio al Regolamento parlamentare delle garanzie d'esame e di deliberazione finale. Sarebbe meglio se fosse direttamente scritto in Costituzione un obbligo in tal senso. Ricordo, inoltre, che sono state formulate proposte molto più innovative in passato. In particolare quella, che vorrei richiamare non solo per memoria, ma con l'auspicio che possa essere ripresa, di tradurre l'iniziativa legislativa, qualora il Parlamento non si pronunci su di essa, in un referendum di natura propositiva.
  A proposito dei nuovi referendum che si vorrebbero introdurre, un cenno a quelli di indirizzo, nonché alle altre forme di consultazione delle formazioni sociali che pure sono state previste. Mi sembra che la formulazione adottata sia eccessivamente indeterminata per due ragioni. La prima è il rinvio alla legge costituzionale, che è un'indeterminatezza voluta. Quanto alla seconda ragione, mi sembra si debba riflettere con maggior attenzione all'utilità di questi strumenti. Voglio ricordare, in proposito, l'unico precedente di referendum di indirizzo, quello del 1989 sui poteri costituenti da attribuire al Parlamento europeo. È stato un referendum inutile e sostanzialmente una triste vicenda, Inviterei, dunque, a meglio specificare quali siano le conseguenze, se si vogliono introdurre strumenti di partecipazione non solo apparenti, ma realmente incisivi.
  L'ultima questione, che, se ho tempo, vorrei trattare, è l'elezione del Capo dello Stato. È stata citata da tanti. Voglio soltanto risottolinearla.

  PRESIDENTE. Oggi abbiamo un po’ più di tempo e, quindi, si può essere un po’ più clementi.

Pag. 6

  GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Approfitto della bontà del presidente per dire qualcosa sull'elezione del Capo dello Stato. Mi esprimo brevemente, perché la questione è stato affrontata da molti ed è ben conosciuta da questa Commissione: c’è un pericolo di sbilanciamento a favore dell'unica Camera politica, la Camera dei deputati. Non è tanto il favor nei confronti della Camera che deve preoccupare, quanto le conseguenze d'ordine costituzionale che si rifletterebbero sul ruolo del Capo dello Stato. Il Presidente, nella nostra forma di Governo, è un organo di garanzia, che venga messo nella disponibilità dei Governi non è accettabile. E se si adotta – com’è nelle previsioni – un sistema elettorale non proporzionale il rischio di far coincidere maggioranza di Governo e maggioranza parlamentare è assai elevato. Questo punto è stato molto discusso e deve essere attentamente valutato.
  Visto che mi sono stati concessi ancora alcuni minuti, vorrei soffermarmi su un altro aspetto. Alcune disposizioni possono provocare un'incertezza sul piano applicativo e contraddire l'intenzione stessa del revisore costituzionale. Mi riferisco, in particolare, a quelle disposizioni generali o comuni ovvero a quelle disposizioni di principio a cui dovrebbe attenersi il legislatore statale in materia di sua competenza ai sensi dell'articolo 117.
  L'intenzione dichiarata dal revisore è, da un lato, l'eliminazione della legislazione concorrente e la semplificazione del riparto legislativo tra Stato e Regioni, dall'altro e parallelamente, porre fine – finalmente – all'alta conflittualità dinanzi alla Corte Costituzionale tra Stato ed enti territoriali. Temo che questi due obiettivi possano non essere conseguiti. Credo che con le due formulazioni richiamate sia assai probabile che si faccia risorgere sotto mentite, e quindi ambigue, spoglie la legislazione concorrente. L'altro e parallelo rischio è che si allarghino ulteriormente le ipotesi di potenziale conflittualità con la Corte, nonostante le buone intenzioni del revisore costituzionale. È facile prevedere infatti che i limiti della legislazione statale generale e comune o di quella di principio verranno alla fine in concreto definiti dalla Corte Costituzionale nel faticoso e diuturno lavoro di razionalizzazione di formulazioni generali.
  Ancora una battuta su un ultimo tema. Detto in breve: non capisco l'elezione da parte del Senato di due giudici costituzionali. Essa non mi sembra giustificata sistematicamente, perché i giudici costituzionali non rappresentano gli enti territoriali, né, tanto meno, i Consigli regionali. Devono garantire, invece, la superiore legalità costituzionale. Questo indurrebbe a sostenere che tutti i giudici costituzionali dovrebbero essere eletti dall'unica Camera politica, cioè dalla Camera dei deputati.

  PRESIDENTE. Bene. Sull'onda di questo problema di attualità notoria, ossia l'elezione dei giudici costituzionali, io do la parola al professor De Fiores, scusandomi con il professor De Fiores se mi devo allontanare. A parte la rassicurante presenza del collega Fiano come correlatore, la resocontazione integrale dell'audizione consentirà a me, in qualità di relatore, di poter avere diretta contezza dell'integrale dibattito.
  Sono poi soprattutto i contributi scritti – pregherei anche il professor Azzariti di farci avere il suo – che consentono anche a coloro che non sono stati presenti di avere un «bonsai» più sistematico degli interventi che, per ragioni di tempo, in Commissione non possono che essere «randomizzati» sul piano della metodica. In 7-8 minuti certamente non si può esprimere quello che un pensiero scritto con chiarezza riesce a offrire.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTA AGOSTINI

  CLAUDIO DE FIORES, Professore straordinario di Diritto costituzionale presso la II Università degli Studi di Napoli. Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione per avermi riservato l'onore di Pag. 7partecipare a un'audizione su un tema così rilevante, quale è quello della revisione costituzionale della seconda parte della nostra Carta.
  Mi sia consentito anzitutto partire da una premessa di fondo, che ritengo tuttavia indispensabile. È diffusa in larghi strati dell'opinione pubblica, ma questa convinzione è echeggiata anche fra di noi e fra i nostri colleghi nella scorsa audizione, che con questo progetto si sia posto fine, o quanto meno che si siano poste le condizioni per porre fine a una sorta di immobilismo istituzionale e a un vuoto delle riforme nel quale il Paese sarebbe precipitato da oltre trent'anni.
  Mi sia consentito di rilevare che così non è. Tutti noi sappiamo che alcune riforme sono state fatte. Il problema è un altro: si è trattato di riforme prevalentemente sbagliate, fatte male. È il caso della revisione del Titolo V nel 2001, rispetto alla quale opportunamente oggi il Parlamento si sta adoperando per porre rimedi, ma anche della legge elettorale. Certo, è normazione primaria, ma a tutti noi è evidente la rilevanza costituzionale che in un ordinamento assume la legge elettorale. Tale legge è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte con la sentenza n. 1 del 2014.
  Si tratta prevalentemente di riforme approvate da maggioranze di governo su input degli Esecutivi, a tappe forzate, comprimendo il più possibile il confronto parlamentare. Sia ben chiaro, questo non vuol dire che la Repubblica non abbia bisogno di riforme o che le revisioni costituzionali non portino mai a nulla di buono, ma piuttosto che le riforme dovrebbero essere perseguite nel rispetto del metodo e dello spirito dell'articolo 138.
  Dovrà, quindi, trattarsi di riforme il più possibile delimitate e circostanziate. D'altronde, è lo stesso procedimento di revisione, così come configurato, ad alludere a un confronto aperto, senza blindature, lungo. L'articolo 138 non prevede per la revisione costituzionale tempi massimi, ma solo tempi minimi.
  Il disegno di legge attualmente in discussione contraddice questo impianto, innanzitutto perché non si tratta di una riforma puntuale e circoscritta nei suoi contenuti, ma, anzi, di una riforma che coinvolge ambiti costituzionali particolarmente articolati e ampi, dalla forma di Stato alla forma di governo, dalle prerogative parlamentari alla decretazione d'urgenza, dall'iniziativa legislativa del Governo alla soppressione del CNEL.
  Tutto questo non può che avere delle ricadute anche sul piano dello svolgimento eventuale di un referendum costituzionale. In quel caso i cittadini si troveranno di fronte alla drastica alternativa se accettare tutto o respingere in blocco il progetto di revisione costituzionale, imprimendo così una torsione plebiscitaria al referendum costituzionale, torsione che è estranea alla sua logica e alla natura sia dell'articolo 138, sia, in modo particolare, del referendum costituzionale in esso previsto. Questo punto per quanto attiene ai profili formali.
  Per quanto concerne, invece, i profili di merito, vi è da dire che il progetto di legge del Governo, pur palesando in alcuni passaggi scarso rigore giuridico – penso al richiamo alle leggi di ratifica al posto delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali o ad alcune disposizioni, a mio giudizio, inutili, quali la revisione del potere di rinvio del Presidente della Repubblica – presenta aspetti condivisibili. Mi riferisco non solo all'opportuno superamento del bicameralismo perfetto e all'introduzione della fiducia monocamerale, ma anche all'esigenza espressa da questo progetto di correggere gran parte delle anomalie e delle distorsioni presenti nel Titolo V della Costituzione e, più in generale, all'aver posto una sorta di argine all'enfasi neofederalista che ci aveva pervaso negli anni passati.
  Di federale in questa riforma non vi è nulla. Il progetto parrebbe, anzi, intenzionato a favorire un vistoso riaccentramento delle funzioni a livello statale (disciplina giuridica del lavoro, ordinamento scolastico, tutela della salute) e anche le norme di contorno parrebbero ampiamente confermare questa impressione. Ricompare Pag. 8l'interesse nazionale e si rafforzano le competenze normative e il potere sostitutivo dello Stato.
  Ciò che, però, non si comprende è come questo processo di accentramento delle funzioni possa poi raccordarsi con la composizione del Senato, una composizione che pone al centro consiglieri regionali e Sindaci. La sconnessione tra la composizione e le funzioni non poteva essere più evidente. Cosa hanno a che fare consiglieri regionali e Sindaci con l'istituzione di una Camera che molto poco ha di territoriale e quale è il loro ruolo specifico all'interno di un Senato dotato di funzioni essenzialmente consultive e di un'azione normativa che non va al di là, salvo rare eccezioni, dell'approvazione di leggi costituzionali ?
  Siamo, a mio parere, di fronte a un bicameralismo informe, con un Senato fatto di consiglieri regionali e Sindaci, ma privo di gran parte delle competenze di un Senato territoriale, e con una Camera chiamata a rappresentare la nazione, salvo però poi prevedere nel testo che i cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti dovranno andare a far parte non della Camera, come saremmo indotti a ritenere, ma del Senato.
  A questo punto bisogna, allora, essere franchi. Se l'obiettivo prioritario del Governo era quello di liquidare il Senato, innanzitutto per esigenze di risparmio, come mi è parso di capire seguendo il dibattito politico, si sarebbe allora più coerentemente potuto procedere a una soluzione di tipo monocamerale, sulla scia dei modelli adottati da altre democrazie europee, dalla Danimarca al Portogallo, dalla Svezia alla Norvegia. Tutto sarebbe stato più coerente e più chiaro.
  Peraltro, l'esitazione del disegno di legge sul modello di Senato territoriale, rivela un’impasse reale. Questo disegno non poteva fare di più, e non lo dico polemicamente. Intendo dire che nelle attuali condizioni ostinarsi a inseguire un idealtipo di Senato territoriale non è per niente agevole, soprattutto se si considera l'impianto complessivo del disegno di revisione.
  Negli anni passati io stesso avevo auspicato l'istituzione di un Senato delle Regioni, proprio al fine di compensare gli effetti distorsivi prodotti dalla riforma del Titolo V, ossia soppressione dell'interesse nazionale, drastica limitazione dei poteri normativi dello Stato, debolezza degli istituti di raccordo.
  Oggi, però, quel Titolo V non c’è più. Oggi gli squilibri che investono il sistema sono di altra natura e riguardano, in particolare, a mio modo di vedere, i rischi di concentrazione del potere politico nelle mani dell'Esecutivo. Sono rischi dei quali è impregnata l'ipotesi di riforma della legge elettorale, ma che sono significativamente presenti anche nel testo di revisione costituzionale di cui stiamo discutendo.
  Mi riferisco, in particolare, all'ipotesi di introdurre in Costituzione una corsia preferenziale per i disegni di legge del Governo. Ne ha parlato ampiamente il collega Azzariti e, quindi, non mi soffermo su questo punto, se non per evidenziare che vi è il rischio che questo disegno di legge di revisione costituzionale produca un procedimento legislativo dominato dagli Esecutivi, semplificato nei tempi e blindato nei contenuti.
  Vengo, quindi, brevemente alle conclusioni. Lo schema delle riforme costituzionali deve essere, a mio giudizio, profondamente corretto, se si vuole provare a superare senza strappi, senza rotture, l'attuale condizione di impasse del sistema. Una coerente soluzione avrebbe potuto essere quella di definire le condizioni per la costituzione di un Senato delle garanzie, una Camera a composizione ridotta, ma legittimata a concorrere all'esercizio del potere normativo ogni qual volta si fosse trattato di legiferare su garanzie civili e politiche, sistema elettorale e revisione della Costituzione.
  Tutto questo al fine di sottrarre quantomeno i diritti, le garanzie e la democrazia politica e la Costituzione alle distorsioni del maggioritario e alla progressiva dilatazione dei poteri del Governo oggi in atto.
  Se questo è l'obiettivo da perseguire, è evidente che queste funzioni non possano Pag. 9essere affidate in ordine sparso a consiglieri regionali, Sindaci, senatori presidenziali. Per realizzare tali finalità è necessario, dal mio punto di vista, puntare su un Senato democraticamente legittimato e, in ragione anche delle sue funzioni di garanzia, eletto direttamente dai cittadini con un sistema proporzionale. Questo considerato anche che le esigenze di governabilità a fronte di un superamento del bicameralismo perfetto, riguarderebbero soltanto l'elezione per la Camera dei deputati, la Camera che esprime e che legittima l'indirizzo politico del Governo.

  PRESIDENTE. Grazie, professor De Fiores.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA GIORGIS. Grazie, presidente. Grazie ai nostri ospiti per le relazioni svolte. Vorrei porre alcune domande, a partire da considerazioni che ho ascoltato, in particolare, da ultimo dal professor Azzariti – preciso subito che le condivido nel loro impianto e nel loro contenuto – relative alla possibile contraddizione tra il modello di un Senato dei territori, un Senato delle Regioni, un Senato, come dice l'articolo 55, rappresentativo delle Istituzioni territoriali e il sistema di legittimazione dei senatori.
  Poiché condivido questa osservazione e vedo anch'io questa tensione, questa contraddizione, vorrei sapere se – oltre naturalmente alla soluzione più semplice e lineare, che sarebbe quella di seguire il modello tedesco in tutti i suoi profili e, quindi, prevedere che i senatori siano espressione degli Esecutivi – vi siano, a vostro giudizio, delle possibili soluzioni che riescano a tenere insieme il carattere elettivo con il carattere di rappresentanti delle Istituzioni territoriali.
  Penso a quelle che sono state già avanzate nel corso delle altre audizioni. Penso, per esempio, all'ipotesi del cosiddetto voto bloccato, che prevede di vincolare i rappresentanti regionali a pronunciarsi, come avviene in Germania, in maniera uniforme e poi di esplicitare che non vi è, per quanto riguarda i senatori, libertà di mandato. Si tratterebbe, quindi, di prevedere espressamente un vincolo di mandato.
  Certamente bisognerebbe immaginare anche qualche altro istituto per scongiurare il rischio che il Senato ripeta una dinamica politica di rappresentanza di interessi generali e di visioni della Cosa pubblica che mal si concilia con un Senato dei territori. Questo è un punto obiettivamente decisivo.
  Diversamente, avremmo una Camera rappresentativa degli interessi generali, o meglio, una Camera chiamata a svolgere una funzione di integrazione politica sulla base di un pluralismo politico generale di tipo tradizionale e una Camera chiamata a svolgere una funzione di integrazione politica di un pluralismo territoriale che è, al tempo stesso, però, anche un pluralismo politico. Ci sarebbero due dinamiche di legittimazione tra di loro potenzialmente in tensione.
  Da questo punto di vista, chiederei se ci sono dei suggerimenti per cercare progressivamente di risolvere questa tensione, questa contraddizione, che anche a me sembra essere uno degli aspetti più urgenti.
  La seconda domanda attiene, invece, al procedimento legislativo e all'introduzione in Costituzione del cosiddetto istituto del voto bloccato. Io credo che si debbano fare due sottoconsiderazioni, che chiederei se sono condivise dai nostri ospiti.
  In primo luogo, bisogna distinguere tra voto bloccato e voto a data certa. Un conto è attribuire al Governo la certezza dei tempi, un conto è attribuire al Governo la disponibilità del contenuto. C’è una profonda differenza.
  Nel secondo caso, a me parrebbe di riscontrare una sostanziale, anche se non formale, modificazione della forma di governo parlamentare. Se il Governo diventa dominus senza alcun limite di atti, se potenzialmente tutte le iniziative del Governo potrebbero essere portate all'attenzione della Camera secondo questa procedura, non solo in relazione alla certezza dei tempi, ma anche in relazione al contenuto, Pag. 10a me parrebbe consumarsi una sostanziale fuoriuscita dalla forma di governo parlamentare. Vorrei sapere se questo giudizio è condiviso.
  L'altro aspetto è quale sia la sedes materiae più appropriata per disciplinare il voto bloccato. Anzi, il voto bloccato io lo escluderei, in quanto difficilmente compatibile con la forma di governo parlamentare. Considererei perlomeno il cosiddetto voto a data certa. Occorre prevedere una corsia accelerata nella quale si consente ad alcuni disegni di legge del Governo, particolarmente importanti, di essere portati al voto entro una data certa e anche molto rapida.
  Qual è la sedes materiae nella quale è ragionevole, anche sulla base dell'esperienza comparata, disciplinare questo istituto ? Questo mi sembra un altro aspetto molto rilevante.
  Passo all'ultima domanda. Noi abbiamo chiesto ai nostri ospiti di pronunciarsi sul contenuto del testo approvato al Senato in prima lettura. Io, però, chiederei loro di pronunciarsi anche eventualmente su integrazioni che andrebbero fatte. Mi domando, cioè, se non sia opportuno, proprio per dare coerenza e omogeneità alla riforma costituzionale, estendere la riforma costituzionale anche ad altre parti che oggi non sono state incluse.
  Penso alle dimensioni delle Regioni, per esempio. Questo è un tema molto delicato. È difficile immaginare un Senato delle Regioni nel quale le Regioni continuino ad avere questa conformazione. Oppure ci sono altri temi, quali la composizione della Camera dei deputati, anch'esso un tema strettamente collegato con il superamento del bicameralismo, o quanto loro volessero suggerire, ripeto, per portare a coerenza e a maggiore solidità il percorso delle riforme costituzionali.

  STEFANO QUARANTA. L'occasione è troppo ghiotta per non porre alcune questioni, anche perché i due interventi sono stati molto interessanti e stimolanti e hanno posto molte questioni in maniera problematica e, io credo, in modo corretto.
  La prima domanda riguarda il ragionamento sul regionalismo. Lasciamo perdere il fatto che in nome di una presunta efficienza si chieda ai Sindaci di fare i senatori e la stessa cosa ai consiglieri regionali. Lasciamo anche perdere il fatto che, mentre si istituisce il Senato delle autonomie, si tolgono competenze alle Regioni. Tutto questo, però, si basa sul fatto che le Regioni vengono fotografate così come sono oggi. Io credo che si stia facendo una riforma della Costituzione elevando il livello regionale a Senato della Repubblica senza che ci sia stata una riflessione seria su come abbiano funzionato le Regioni in questi anni, dall'applicazione della riforma.
  Io vi chiederei, da questo punto di vista, un'opinione. Lo ricordava anche il collega Giorgis nell'ultima parte del suo intervento. Noi vorremmo provare a strutturare una forma di regionalismo cooperativo, come veniva ricordato nella scorsa audizione, senza tenere conto, però, delle differenze enormi che ci sono oggi da una Regione all'altra, dal punto di vista delle dimensioni e della capacità di offrire servizi. Eppure le Regioni continuano ad avere delle competenze importanti per il welfare del nostro Paese.
  Ovviamente, a questo tema è collegato anche il ragionamento sulla legittimazione. Io continuo a non capire perché il fatto che il Senato non debba dare la fiducia debba andare di pari passo con la non elettività del Senato stesso, in particolare se si trattasse di senatori eletti contestualmente ai Consigli regionali. Anche laddove il ruolo del Senato fosse fondamentalmente di controllo rispetto all'attività della Camera, io non capisco perché quest'attività di controllo, chiara nei suoi contorni, non debba essere fortemente legittimata dal voto popolare.
  La seconda questione, invece, riguarda il referendum. Anche qui non mi risulta chiaro e non capisco bene perché il quorum dovrebbe essere determinato sulla base della raccolta delle firme. Questa è una questione che, secondo me, dovrebbe funzionare, da un certo punto di vista, quasi al contrario. Il referendum dovrebbe Pag. 11essere un'arma in mano alle minoranze. Sostanzialmente, invece, qui si dice che più firme si raccolgono in prima battuta, più il quorum è vantaggioso per chi ha raccolto le firme. O andiamo davvero verso un sistema che ha un carattere plebiscitario, e allora questo sta insieme a tutto il resto, oppure questa mi sembra un'incongruenza.
  Delle garanzie è stato detto, ma mi piacerebbe avere ancora un'opinione. L'elezione del Presidente della Repubblica, anche parallelamente alla legge elettorale che si sta facendo, secondo me, ci fa correre un grosso rischio: che questa non sia più una figura di garanzia, ma una figura chiaramente di parte e non frutto di un compromesso virtuoso tra maggioranze e minoranze. Si tratta di una figura che tenderà ad avere anche un ruolo sempre più esecutivo, perché frutto, probabilmente, di una scelta di maggioranza. Vorrei capire in merito quali possono essere le eventuali contromisure.
  La stessa cosa si diceva sulla Corte Costituzionale. Francamente, io non riesco a capire che senso abbia che una parte sia eletta dalla Camera e una parte dal Senato. Io pensavo che potesse esserci o un'elezione della Camera, oppure un'elezione, anche in questo caso, contestuale di Camera e Senato. Diversamente non si capisce. Anche in questo caso il ruolo di garanzia rischia di essere sminuito dal fatto che il Senato che rappresenta le autonomie ne elegga una parte.
  Infine, pongo un'ultima questione. Io, a differenza di quanto hanno detto alcuni oratori la scorsa volta, non penso che qui si debba ragionare solo come se ormai il lavoro l'avesse fatto il Senato e noi dovessimo fare dei piccoli aggiustamenti. Poiché, secondo me, questo impianto non convince per nulla e siamo alla seconda lettura, penso sia assolutamente legittimo mettere in discussione tutto.
  Sollevo una questione che riguarda il percorso. Noi stiamo parlando di una revisione molto importante della Carta costituzionale, che riguarda moltissimi aspetti, praticamente tutta la seconda parte della Carta costituzionale. Mi chiedo: è l'articolo 138 lo strumento giusto ? Un punto veniva accennato e, infatti, io l'ho ripreso, perché era uno spunto interessante di una relazione: i cittadini saranno chiamati – questo è stato detto, c’è stato un impegno politico da parte del Governo – a ratificare le scelte o a bocciarle con un referendum. Ci ritroveremo, però, a doverci esprimere su tantissime questioni diverse fra loro, che riguardano la forma di governo, il Titolo V e il Senato. Io capisco che dividere in tanti quesiti possa avere la controindicazione di perdere di vista l'organicità della riforma. Capisco anche, però, che sia difficile esprimersi con una risposta secca, quando le questioni sono tantissime.
  Mi chiedo, dunque: è l'articolo 138 lo strumento giusto, o forse, quando si parla di ragionamenti così ampi, gli strumenti dovrebbero essere altri, come avere un clima costituente, un'Assemblea costituente ? Stiamo parlando di modificare profondamente tutta la seconda parte della Costituzione.

  DANILO TONINELLI. Anch'io ringrazio gli auditi, i contenuti dei cui interventi condividiamo. Abbiamo trovato già parte delle risposte nei contenuti specifici di alcuni passaggi della riforma costituzionale, su cui non porrò quindi delle domande. Faccio, invece, alcune riflessioni che diventano altre domande.
  In primo luogo, sul metodo noi riteniamo – e vi chiediamo, a questo punto, se anche voi lo ritenete – un metodo incostituzionale quello che si sta portando avanti, prima di tutto perché una modifica tanto ampia e organica della Costituzione viene fatta con un'iniziativa governativa. Questo quanto meno porta a una violazione dello spirito della modifica degli interventi sulla Costituzione.
  Inoltre, riteniamo che la Costituzione stessa abbia un impianto che porta necessariamente a un'esclusiva modifica puntuale della stessa. Lo stesso referendum è un referendum in quanto quesito, come un prendere o lasciare. Non può essere fatto come un prendere o lasciare di un voto di fiducia su un decreto eterogeneo, in cui Pag. 12può esserci all'interno un contenuto condivisibile affiancato da molti altri contenuti, invece, all'opposto, non condivisibili.
  Di conseguenza, come, purtroppo, è già avvenuto non molti anni fa, il rischio è che ci troveremo di fronte a un referendum che chiederà al cittadino di acconsentire, accettare e approvare la modifica della legge della Costituzione secondo la legge costituzionale, cioè violando, a nostro parere, fortemente il significato dell'articolo 138.
  Noi riteniamo che la Costituzione fissi i limiti dei poteri e che non abbia sovrani, ma che il sovrano sia la Costituzione stessa. Se noi pensiamo all'impianto di questa riforma e l'abbiniamo a quella della legge elettorale, vediamo come vengano contemporaneamente modificate la forma di Stato, come rapporto tra governanti e governati, e la forma di governo, andando a modificare totalmente l'assetto dei poteri, in violazione della Costituzione, a scapito del parlamentarismo, che peraltro già di fatto oggi non esiste più, perché questo Parlamento è stato sostanzialmente abbattuto da leggi elettorali nettamente maggioritarie.
  Ciò mi porta a dire – e a chiedervi se siete d'accordo – che, laddove venisse meno questo bicameralismo paritario, mi pare di tutta evidenza che l'unica Camera non possa essere eletta se non con un proporzionale puro con un limite di sbarramento molto basso.
  Vi pongo anche un'altra questione, che è frutto di un question time che in questi giorni ho avuto con il Ministro. Io ho chiesto semplicemente al Ministro di spiegare una frase detta al Senato, con la quale il Ministro Boschi garantiva un referendum confermativo comunque, quando l'articolo 138 dice diversamente. Il ministro ha risposto: «Faremo mancare i voti, laddove la maggioranza, nel momento del voto, capirà che si possono raggiungere o superare i due terzi».
  Io vi chiedo di interpretare – noi l'abbiamo interpretato, ma non è questo il mio compito in questo momento – il significato di queste parole e soprattutto gli effetti di un fatto di questo tipo, cioè di far mancare da parte dei parlamentari di maggioranza il voto per scavalcare il Parlamento, portando la questione direttamente ai cittadini.
  Faccio una domanda che vuole essere appositamente provocatoria: se un'altra forza politica di opposizione votasse la riforma, che fate voi della maggioranza, che l'avete proposta ? Ci votate contro ? Questo è il paradosso a cui si può arrivare.
  Un altro punto che voglio affrontare, ma che voi avete già, a mio parere, sostanzialmente affrontato, è quello dell'enorme contraddizione che esiste all'interno della riforma. Si tratta di un impianto che non sta in piedi e che avrà effetti totalmente negativi, molto peggiori addirittura, o comunque simili a quelli che ha avuto la riforma del Titolo V nel 2001 come conflittualità costituzionale.
  Penso alla contrapposizione e al contrasto tra la centralizzazione dei poteri e la creazione di una Camera delle autonomie nella quale le autonomie non ci sono, nella quale viene tolto a questa seconda Camera, a differenza di quanto avviene nel Bundesrat, un vero e proprio potere legislativo. Oltre ad avere il Bundesrat potere legislativo, nella Costituzione tedesca, mi sembra all'articolo 79, si dice chiaramente che è immodificabile la parte che permette alla seconda Camera di modificare le parti di competenza legislativa territoriale dei Länder.
  Nel disegno di legge di riforma si propone di creare un Senato delle autonomie, quando in realtà queste autonomie innanzitutto hanno una nomina politica e sono portatrici di interessi politici e non territoriali. Di conseguenza, esse addirittura non solo portano una funzionalità, ma portano anche a bloccare i lavori parlamentari, perché ci sono istanze politiche e non istanze come possono essere quelle del territorio.
  Avrei molte altre domande, ma ovviamente non posso che fermarmi qui.

  EMANUELE FIANO, Relatore. Io volevo riferirmi a un punto che è stato sollevato sia dai nostri auditi, che ringrazio, sia dall'onorevole Giorgis, che riguarda la natura Pag. 13del Senato delle autonomie così come ci perviene nel testo giunto dal Senato.
  In particolare, il punto verte sulla natura della rappresentanza di coloro che nel testo diverranno senatori in rappresentanza territoriale. Come è noto, non è stato scelto il modello del Bundesrat, il modello tedesco di rappresentanza dei Governi locali. L'onorevole Giorgis, con grande autorevolezza, proponeva un modello di rappresentanza che poi si traducesse nel voto dei rappresentanti delle singole autonomie territoriali, in un voto bloccato di rappresentanza.
  Ovviamente, capisco questa ipotesi, perché tende a tradurre nella modalità di voto dei rappresentanti la differenza tra una Camera politica, quella che rimane l'unica Camera fiduciaria, e la seconda Camera, che, dovendo avere natura diversa, di rappresentanza dell'autonomia territoriale, si differenzia anche nella modalità e nella libertà di mandato dei singoli rappresentanti.
  Su questo tema anch'io vorrei sentire i due professori che abbiamo audito. Mi permetto, però, di osservare che la sottolineatura che faceva l'onorevole Giorgis, in particolare in riferimento a quanto diceva il professor De Fiores, debba collegarsi anche con la modalità di elezione di quei rappresentanti.
  In realtà, la modalità di elezione di quei rappresentanti all'interno del loro Consiglio regionale – lascio, per il momento, da parte l'elezione di un Sindaco – è una modalità politica. Loro hanno una rappresentanza territoriale, ma la modalità della loro elezione avviene attraverso un voto che può essere nelle loro Assemblee un voto politico. Chiederei, quindi, su questo punto un chiarimento o comunque un'opinione.
  Vorrei anche riprendere una questione – mi permetto di interloquire perché l'onorevole Quaranta ha fatto una domanda – che riguarda il tema del regionalismo e della ricentralizzazione di competenze che è qui affrontato.
  Io suggerisco sempre, ovviamente nella legittimità delle opinioni che è giusto che qui si esprimano, peraltro senza dimenticare che noi tocchiamo una materia sensibile come lo scheletro della nostra struttura costituzionale, di non dimenticare, però, la pregnanza del comma terzo dell'articolo 116 così come ci perviene dal Senato, ossia la possibile ripresa di autonomia legislativa su alcune materie da parte delle Regioni in virtù di un possibile pareggio di bilancio, che è, secondo me, il discrimine del regionalismo differenziato.
  Esiste nel testo che ci perviene dal Senato uno spessore di autonomia regionale che rende modificabile la nuova ripartizione di materie tra il centro e la periferia in virtù di una virtuosità di bilancio, tema che fino a oggi non esisteva nel nostro Paese. Esistevano o il precedente assetto costituzionale, o la materia così come è stata disciplinata dalla riforma del Titolo V, bene o male, a seconda dei pareri che vogliamo esprimere, e dalla concorrenzialità di alcune materie.
  Qui il disegno assume il taglio netto sulla materia concorrente, cioè l'abolisce nel testo del Senato. Abolisce una parte del testo della riforma del Titolo V e riassegna competenze, certamente con una prevalenza di riassegnazione al centro di alcune materie, ma dice anche che, se esiste una virtuosità di bilancio, alcune di tali materie possono essere riassegnate in modo diverso.
  Non mi dilungo su questo perché non è un dibattito tra di noi, ma nella domanda dell'onorevole Quaranta, secondo me, manca quella parte, che è un tema che io considero un'ottima soluzione, ossia la parte del comma terzo dell'articolo 116.

  MARIASTELLA GELMINI. Io vorrei toccare di nuovo il tema della riforma del Titolo V, perché è una delle questioni centrali del provvedimento in oggetto. Credo che sia una riforma che muove da una necessità di forte semplificazione nell'attribuzione delle competenze e anche di forte riduzione del contenzioso che si è creato a seguito di un lungo elenco di materie concorrenti.
  Tralascio per un attimo le anomalie da alcuni punti di vista sottolineate rispetto alla nascita di un Senato delle autonomie Pag. 14proprio nel momento in cui si va, invece, verso un provvedimento di impronta più centralista, che tende a ridurre il peso delle autonomie e delle Regioni.
  Vorrei esplorare, invece, e poter chiedere a voi una verifica sull'efficacia dell'obiettivo che il provvedimento si propone. A me pare che non solo da parte degli operatori del diritto, da parte degli amministratori, ma anche da parte dei cittadini muova una richiesta forte di semplificazione e di chiarezza rispetto alle competenze e alle responsabilità. Ho colto, però, anche nella relazione dell'altro giorno di Calderisi una preoccupazione circa l'efficacia.
  Calderisi diceva che con la modalità con cui nell'articolo 117 si va a definire, non tanto con la clausola di supremazia, quanto con una definizione piuttosto generica, delle competenze in capo a livello statale, il provvedimento sembrava non essere nelle condizioni di raggiungere quanto meno l'obiettivo di una definizione delle responsabilità e, quindi, di una riduzione del contenzioso.
  La mia domanda è: siamo in grado di individuare una soluzione alternativa nella fase emendativa che porti, forse attraverso una semplificazione dei procedimenti legislativi, come diceva Calderisi, e una definizione di una divisione più netta delle competenze, piuttosto che attraverso una valenza più circoscritta, a un'efficacia più circoscritta della clausola di supremazia ?
  Se arrivassimo a valle di questo provvedimento, che reca un'impostazione diversa, dopo anni di federalismo, di suddivisione delle competenze e di delega delle competenze agli enti locali, cambiando l'impostazione – si può discutere poi se ciò sia giusto o sbagliato – ma poi non raggiungessimo l'obiettivo di fornire una normativa più chiara e netta sulle competenze e sulle responsabilità, io credo che questa sarebbe un'occasione perduta.
  Ho colto le critiche, ma non ho colto quali possono essere le soluzioni. Vorrei una puntualizzazione al riguardo.

  ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Parto da una considerazione. Io credo che quello che ho sentito da parte del collega Toninelli vada un po’ oltre la nozione di costituzionale e incostituzionale, almeno come fino ad oggi riconosciuta dalla Corte Costituzionale. Le modifiche alla legge elettorale, come la modifica alla stessa seconda parte della Costituzione, se fatta in conformità con la Costituzione, e non in violazione dei princìpi fondamentali, non credo possano mai arrivare a determinare una lesione dei princìpi costituzionali.
  In questo momento si è detto che ci può essere uno sbilanciamento, che si può avere una situazione per la quale magari i poteri dell'Esecutivo e della maggioranza che lo sostiene risultino eccessivi. Si può discutere di questo, ma credo che parlare di incostituzionalità in relazione a una nuova struttura e a un nuovo assetto, come quelli previsti dalla riforma, sia una definizione circolare, che io non condivido. Questa è solo una mia considerazione.
  Vorrei tornare, invece, sul tema che ha appena toccato l'onorevole Gelmini, cioè sull'articolo 117. In tutto il dibattito che si è svolto al Senato ci si è concentrati quasi solo sul dubbio se il Senato dovesse essere elettivo o meno e su temi di questo tipo. L'articolo 117 è stato la «Cenerentola» della discussione ed è, invece, io credo, il centro della riforma dal punto di vista degli obiettivi immediati. I danni che hanno provocato le ultime riforme sono stati gravissimi. La confusione normativa è massima. Quando si parla di burocrazia in Italia, in realtà si parla moltissime volte di sovrapposizione di competenze assolutamente incomprensibili tra Stato, Regioni e deleghe alle Province, o ad altre situazioni di questo tipo, che hanno creato una confusione spaventosa.
  In questo senso si è detto più volte che il Senato dovrebbe avere un ruolo di camera di compensazione dei conflitti. Si è detto in molti casi che il Senato delle Regioni e delle autonomie debba servire ad avere un ruolo di soluzione delle controversie, o comunque di discussione dei temi per risolvere quei contenziosi che sono arrivati tanto spesso alla Corte Costituzionale.Pag. 15
  A me sembra che il disegno di legge sia piuttosto carente proprio in questo senso. Da un lato, si eliminano le materie di legislazione concorrente, dall'altro le si sostituisce con quelle nozioni di princìpi generali e comuni tratte dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, che non sempre sono del tutto chiari.
  La mia domanda principale è se il mero ricorso a quei termini possa essere sufficiente perché la Corte abbia un'interpretazione quanto meno in linea con la propria giurisprudenza precedente, senza dover ricominciare a rielaborare le nozioni. Magari si potrà incidere sulla clausola di sussidiarietà e sui princìpi di leale collaborazione. Ho sentito dire e letto nei dossier che uno degli effetti della riforma sarebbe quello di far venire meno, in alcuni casi, il principio di leale collaborazione. Su questo vorrei chiedere un parere specifico.
  Mi domando, quindi, se non esistano soluzioni che possano coinvolgere il Senato nel procedimento legislativo a livello statale, a parte la clausola di supremazia, per facilitare la soluzione di questo tipo di situazioni.
  Si è proposto all'inizio, quando è partito il percorso, di creare un Senato delle autonomie che consentirà di ridurre il contenzioso. Come questo avvenga con questo disegno di legge a me non è per niente chiaro. In realtà, non ho trovato degli elementi che aiutino nella soluzione.
  Vorrei, quindi, per riassumere, chiedere, anche sulla base di altre esperienze, se la nuova riformulazione dell'articolo 117, con quelle nozioni generali e princìpi comuni e simili, sia idonea di per sé a semplificare il lavoro della Corte Costituzionale o anche delle stesse amministrazioni nel decidere dove legiferare.
  Il secondo tema è se esistano soluzioni ipotizzate, o che si possono immaginare, per coinvolgere il Senato in via anticipata quando lo Stato interviene, per evitare controversie su questo tipo di argomenti. È chiaro che sarebbe più facile se il Senato rappresentasse i Governi delle Regioni, per ovvi motivi. Pensare, però, a delle soluzioni potrebbe servire per evitare che la Corte sia inondata di nuovo dai ricorsi sull'interpretazione dei princìpi comuni e delle nozioni simili.

  PRESIDENTE. Io ho esaurito gli iscritti a parlare. Se non ci sono ulteriori questioni e non ci sono problemi, ricomincerei per le domande dal professor Lippolis e dal dottor Calderisi, e poi dai professori De Fiores e Azzariti.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  VINCENZO LIPPOLIS, Professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma. Gli argomenti che sono stati posti sono tantissimi. Cercherò di rispondere molto sinteticamente.
  La prima questione è quella del metodo. Secondo me, il metodo è corretto. Non c’è dubbio che con l'articolo 138 si possa fare una riforma di questo genere. Il limite è quello accennato dall'onorevole Mazziotti. Quello che non può fare una riforma costituzionale è ledere un principio fondamentale della nostra Costituzione. A me non pare che in questo testo di riforma ci sia la lesione di princìpi fondamentali della nostra Carta costituzionale.
  Per altro verso, ricordo che, quando si è cercato – si veda la Commissione bicamerale D'Alema e la legge che si è cercato poi di approvare anche in questa legislatura – di immaginare percorsi diversi per riforme organiche, questi procedimenti sono stati accusati di essere incostituzionali. Alla fine una maniera per riformare la nostra Costituzione bisognerà pure trovarla, oppure diciamo che è intoccabile e chiudiamo lì il discorso. A me pare che siamo nei limiti della Costituzione con questo metodo di revisione costituzionale.
  L'onorevole Toninelli ha accennato al fatto che vengano modificate la forma di Stato e la forma di Governo e che venga stravolto il principio di rappresentanza. Il problema della rappresentanza, a mio avviso, non va scaricato tutto su un Senato di questo genere, ma va esaminato in relazione alla legge elettorale. Pag. 16
  La rappresentatività del Parlamento non è minore perché c’è una seconda Camera eletta in via indiretta da Consigli regionali e composta di consiglieri regionali e Sindaci. Il diritto comparato ci offre esempi del genere. Anzi, il bicameralismo funziona tendenzialmente in questo modo, con la seconda Camera rappresentativa degli enti territoriali e con minori poteri rispetto alla prima. Il problema della rappresentanza non è tanto un problema di architettura del bicameralismo, quanto, al limite, un problema di legge elettorale. Questo, però, è un tema in cui non voglio entrare, altrimenti apriamo un altro capitolo, che è meglio oggi non toccare. Forse ci sarà occasione in futuro.
  Per quanto riguarda la questione della formazione del Senato, io inviterei a non idealizzare troppo i singoli modelli di paesi stranieri. Non è vero che il modello tedesco o un altro modello non si possano ibridare. Il diritto comparato si studia non per copiare puramente e semplicemente, ma per cercare di avere degli spunti e delle idee per risolvere con proprie idee la propria situazione istituzionale.
  Io non mi ancorerei all'idea della rappresentanza istituzionale degli enti territoriali nella seconda Camera si realizza solo con il modello tedesco che vede il Bundesrat composto di delegazioni dei governi dei Länder e il voto è dei singoli Land, mentre il modello del disegno di legge, con l'elezione dei senatori da parte dei consigli regionali, produce divisioni politiche, Nessuno, se non un ingenuo, può pensare che non ci siano questioni politiche dietro i voti dei Länder. Anche nel Bundesrat vi è una divisione politica perché i Länder esprimono una rappresentanza politica. Ci sono i Länder socialdemocratici e i Länder cristiano-democratici. Vi sono stati anni in cui si è parlato, anche rispetto alla situazione tedesca di governo consociativo perché vi era un Bundesrat di un colore diverso dal Bundestag. Il Bundersrat, cioè, faceva da contrappeso politico alla maggioranza del Bundestag.
  Io non starei a disquisire su rappresentanza istituzionale, su una rappresentanza dei territori o su una rappresentanza delle collettività per agganciarmi a un modello prefissato. Peraltro, il modello previsto nella riforma non nasce dal nulla. In Austria, per esempio, sono i Parlamenti dei Länder austriaci che eleggono i membri del Senato.
  Che cosa si vuole, quindi, con questo Senato ? Si vuole cercare di far sentire la voce delle Istituzioni territoriali e di anticipare e prevenire possibili conflitti.
  C'era un punto nell'intervento dell'onorevole Mazziotti il quale chiedeva soluzioni un po’ più radicali per eliminare i conflitti. Il disegno di legge è ispirato al principio che la Camera politica, sentendo la voce delle Regioni e dei Comuni espressa dal Senato, trovi soluzioni equilibrate che evitino successivi conflitti. Questo è il modello a cui si ispira la riforma. Che possa funzionare poi nessuno lo può dire, a mio avviso, in questo momento.
  Certo, ci possono essere soluzioni più radicali. Si può ipotizzare che se il Senato, rappresentativo degli enti territoriali, ha espresso il proprio «sì» a una certa legge, le Regioni non la possano impugnare di fronte alla Corte costituzionale. La butto lì, è un'ipotesi che può essere giudicata, e che forse è, eccessiva rispetto ai diritti costituzionali delle Regioni, ma che conferirebbe maggior peso al nuovo Senato.
  In questo senso un elemento che ho sottolineato nella scorsa seduta è che è decisiva la presenza di diritto, all'interno del Senato, dei presidenti delle Giunte regionali. Altrimenti corriamo veramente il rischio che questo sia un organo poco utile.
  Cerco adesso di raccogliere le altre domande. Svolgo una considerazione sulla cosiddetta corsia preferenziale. Voi condividete l'attuale situazione del Parlamento ? Sentite che il Parlamento è mortificato o no ? Io ho vissuto in questo palazzo, ho lavorato in questo palazzo per trent'anni, ero un consigliere della Camera e poi ho avuto un'altra esperienza dalla parte governativa, ai rapporti col Parlamento. Io ritengo che raramente il Parlamento abbia attraversato un periodo di reale mortificazione come in questi ultimi anni. Lo dico guardando la situazione in maniera Pag. 17oggettiva. L'attuale situazione, con gli strumenti che si sono creati nella pratica, cioè il maxiemendamento, la questione di fiducia e via discorrendo – adesso non rifacciamo la storia – espropria il Parlamento di ogni possibilità di dibattito.
  Ho vissuto personalmente situazioni in cui il maxiemendamento che conteneva norme del tutto nuove veniva presentato la mattina e doveva essere poi votato entro la sera, eliminando qualsiasi possibilità non solo di incidere sul testo, ma anche di avere un confronto politico che fosse costruttivo. Di fronte alla situazione attuale, a mio avviso, non voglio dire che qualsiasi altra situazione sia migliore, ma sicuramente l'ipotesi prevista nel testo del disegno di legge di riforma fa chiarezza.
  Vorrei ricordare, peraltro, che essa è tanto poco eversiva da ricalcare, mi pare – se non parola per parola, quasi – il testo previsto dalla Commissione bicamerale D'Alema. Il tema delle corsie preferenziali per i disegni di legge governativi risale al 1982, al decalogo Spadolini. È un problema ormai storico del nostro parlamentarismo.
  Un'altra questione è il voto bloccato. Un conto è chiedere il voto bloccato, come in Francia, all'inizio della discussione, cioè stabilire che il Governo dica subito: «Si vota così su questo testo». Lì la discussione è bloccata. Un altro conto è, come nel testo in esame, il fatto che il Governo blocchi il testo decorso un termine che consente un reale dibattito e la possibilità di votare emendamenti.
  Il problema, a mio avviso, è quello di avere un dibattito parlamentare in cui ci sia la concentrazione sulle questioni essenziali e vitali e non la dispersione in centinaia di emendamenti, un dibattito in cui emergano le responsabilità e le posizioni del Governo e dell'opposizione e che poi, a un certo punto, questo dibattito abbia una conclusione. Alla fine, se il Parlamento non decide, serve a ben poco.
  Quanto alla norma sulla corsia preferenziale, ritengo che possa essere utile a uscire da una situazione che valuto peggiore, che è quella risultante dall'assenza di regole precise e da una prassi che ha fornito al Governo strumenti che comprimono ancora di più le prerogative del Parlamento.
  Per quanto riguarda poi l'elezione dei giudici della Corte costituzionale, condivido del tutto il fatto che i giudici della Corte costituzionale non possono essere la «voce delle regioni». Devono essere sempre la «voce della Repubblica». La divisione dell'elezione tra Camera e Senato mi sembra che possa ingenerare un grande equivoco.
  Per quanto riguarda l'elezione del Presidente della Repubblica, ho un'idea particolare. Nel testo scritto che ho trasmesso alla Presidenza l'ho indicata e la riprendo qui, con tutti gli interrogativi che essa può comportare. Si può riprendere l'idea di un costituente, Tosato, secondo la quale, dopo un dato numero di votazioni a maggioranza qualificata, se il Parlamento non riesce a eleggere il Presidente della Repubblica, si consulta il corpo elettorale e si va a un'elezione diretta del Presidente della Repubblica. In questo modo il Presidente della Repubblica è legittimato o da un voto parlamentare a maggioranza ampia, oppure dal voto popolare.
  Sul referendum anch'io ritengo incongrua la distinzione degli effetti sulla base del numero delle firme. Non vedo alcun collegamento tra numero di firme raccolte e quorum per la loro approvazione.
  Mi fermo qui, anche per non togliere spazio ai colleghi.

  GIUSEPPE CALDERISI, Esperto della materia. Preliminarmente, poiché l'altra volta, per motivi di tempo, sono stato costretto, come tutti gli altri colleghi, ad un'esposizione molto sintetica nella quale ho dedicato poco tempo agli aspetti positivi della riforma cercando invece di indicare alcuni degli aspetti che, a mio avviso, richiedono un miglioramento del testo, voglio sgombrare il campo da ogni equivoco. Il testo scritto che ho lasciato alla Commissione non credo lasci margini di dubbio: ritengo che l'impianto generale della riforma sia assolutamente legittimo, assolutamente costituzionale e da me anche condiviso.Pag. 18
  Anche il fatto che si sia partiti da un testo del Governo non comporta alcun problema; oltretutto il Senato ha ampiamente modificato il testo del Governo. Ho già sottolineato nel mio intervento della scorsa seduta come, oltre a miglioramenti sulla composizione e sulle competenze del Senato, siano state inserite molteplici modifiche ad articoli della Costituzione che hanno, nel complesso, rafforzato enormemente il sistema delle garanzie costituzionali.
  Ricordo che il Presidente della Repubblica, dopo l'approvazione del Senato, avvenuta l'8 agosto, ha sottolineato questo passaggio. Le modifiche all'articolo 64, che impone ai Regolamenti parlamentari di tutelare le garanzie delle minoranze, le modifiche all'articolo 71, sulle leggi di iniziativa popolare e sulla previsione dei referendum di indirizzo e propositivi, quelle all'articolo 73, sul giudizio di legittimità costituzionale delle leggi elettorali delle Camere, quelle all'articolo 74, sulla facoltà del Presidente della Repubblica di rinviare parzialmente le leggi approvate dal Parlamento, quelle all'articolo 75 sull'abbassamento del quorum strutturale per il referendum abrogativo, quelle all'articolo 77 con forti limitazioni alla decretazione d'urgenza e poi anche la modifica all'articolo 83 sull'elezione del Presidente della Repubblica a maggioranza assoluta solo all'ottavo scrutinio, (che non esclude eventualmente possibili altre modifiche sull'ampliamento del Collegio di elezione), rappresentano, a mio avviso, elementi che vanno a incrementare e a rafforzare in maniera molto significativa le garanzie complessive del sistema.
  Detto questo, condivido quasi tutto quello che ha detto il professor Lippolis salvo l'ultimo punto, su cui dissento, e, quindi, cercherò di non ripetere le stesse considerazioni.
  Voglio sottolineare un aspetto: riforma del bicameralismo e del Titolo V sono due facce della stessa medaglia. La riforma ha un impianto complessivo unitario perché le due cose stanno insieme.
  Il difetto della riforma del Titolo V del 2001 è che essa volendo realizzare proprio un riparto delle autonomie in chiave cooperativa, non prevedeva la sede della cooperazione, la sede di raccordo tra Stato e autonomie. Inoltre il riparto delle competenze del Titolo V era sbilanciato e non appropriato. La riforma adesso pone ampiamente rimedio a quegli errori, ma va considerato che qualunque riparto di materie, anche il migliore che si possa pensare in via teorica, presenta sempre degli ambiti di incertezza e di discrezionalità, che però possono e devono essere risolti in sede politica. Le modifiche del 2001, invece, avevano rimesso di fatto la scelta alla Corte Costituzionale, proprio perché mancava la sede di raccordo. Adesso la sede di raccordo, con la riforma del bicameralismo, viene finalmente prevista.
  Anche l'idea di tenere un referendum per parti separate sulla riforma del bicameralismo e su quella del Titolo V, a mio avviso, ha poco senso, perché si tratta di due riforme inscindibili. Il disegno è unitario. Si tratta di pronunciarsi da parte dell'elettore se accettare o meno una riforma che ha una sua logica di fondo unitaria.
  Sul Senato non ripeto ciò che ha già detto il professor Lippolis in merito ai problemi che sono stati posti sulla rappresentanza. Aggiungo che le critiche mosse al cosiddetto doppio mestiere dei senatori, che contestualmente rimangono consiglieri regionali o Sindaci, sono ampiamente infondate. Proprio per svolgere le funzioni di raccordo, è opportuno e necessario che i senatori svolgano il «doppio mestiere». Si può svolgere quella funzione di raccordo se si è contestualmente, oltre che senatori, anche consiglieri e, quindi, ancora rappresentanti degli enti territoriali.
  Non si segue il modello tedesco della rappresentanza degli Esecutivi non perché non sia legittimo, (ancorché il nostro non sia un Paese federale, bisogna considerare anche questo). Tuttavia, non credo sia meno legittima e meno valida la scelta che è stata fatta dal Senato. Piuttosto, a mio avviso, il punto di criticità sta nell'assenza, come membri di diritto, dei presidenti di Regione nel Senato.Pag. 19
  Il presidente della Giunta, in base all'articolo 121, comma quarto della Costituzione, rappresenta la Regione. Se il Senato rappresenta gli enti territoriali, come si può pensare di non prevedere come membri di diritto i presidenti delle Giunte, che rappresentano, per Costituzione stessa, le Regioni e che sono titolari, per esempio, della decisione di impugnare una legge statale davanti alla Corte Costituzionale ?
  Se vogliamo far funzionare questa Camera come Camera di raccordo, dobbiamo far sì che i presidenti delle Giunte regionali siano responsabilizzati rispetto alle decisioni del Senato.
  Pertanto, anche senza arrivare all'ipotesi del professor Lippolis di prevedere che non si possa ricorrere alla Corte qualora il Senato abbia espresso il suo consenso su una legge...

  VINCENZO LIPPOLIS, Professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma. Era un'ipotesi del tutto estemporanea.

  GIUSEPPE CALDERISI, Esperto della materia. Per carità, è un'ipotesi che ha una sua logica, ma ritengo che non si possa sottrarre il diritto di impugnare una legge a una singola Regione, se vengono lesi gli interessi e le competenze della specifica Regione.
  Il problema, però, va risolto in sede politica e non giurisdizionale. Nessuno può pensare che d'improvviso il contenzioso sparisca del tutto. Si tratta di capire come riportarlo a un livello fisiologico e il livello fisiologico si raggiunge dando spazio alla politica attraverso la sede di raccordo. Ad esempio le valutazioni sull'adeguatezza sono di natura prettamente politica. Nel sistema vigente – caratterizzato dal riparto rigido delle competenze e della mancanza di una sede di raccordo – le abbiamo invece rimesse alla Corte Costituzionale. Vanno riportate in una sede politico-parlamentare, che è il Senato della Repubblica, di rappresentanza delle Istituzioni territoriali. Questo mi sembra il cuore della riforma, ed è condivisibile. Il problema è far funzionare bene il sistema.
  Per quanto riguarda il procedimento legislativo inviterei la Commissione a riflettere attentamente e ad apportare i miglioramenti necessari per renderlo più semplice. Si dice sempre che bisogna semplificare il nostro sistema istituzionale. Allora non complichiamolo, semplifichiamolo. In base al testo approvato dal Senato, sono possibili ben cinque diversi procedimenti legislativi, quello ordinario, quello per le leggi bicamerali paritarie, quello cosiddetto rinforzato, quello per i disegni di legge di bilancio e poi abbiamo la decretazione d'urgenza, sulla quale non si capisce se ci sia un unico altro procedimento o se ce ne siano altri tre, a seconda delle materie per cui il decreto-legge potrebbe richiedere il procedimento bicamerale paritario, ordinario o cosiddetto rinforzato. Cinque o addirittura sette-otto tipi di procedimenti legislativi mi sembrano davvero eccessivi, è una questione su cui riflettere e su cui occorre assolutamente tentare di semplificare il testo della riforma.
  Del problema del voto bloccato ha già parlato il professor Lippolis. Quello che è stato qui previsto non è il voto bloccato, ma innanzitutto il voto a data certa. Il voto bloccato articolo per articolo scatta qualora, e solo qualora, non vengano rispettati i tempi, che debbano essere assunti valutando la complessità del provvedimento. Devono essere, quindi, tempi congrui con il limite massimo di sessanta giorni dalla richiesta del Governo. Bisogna far sì che i Regolamenti – non può farlo certo il testo costituzionale – facciano poi in modo che quel tempo sia effettivamente dedicato all'esame delle questioni importanti, come diceva il professor Lippolis, e che non ci si disperda, per esempio, su ordini del giorno che valgono quello che valgono. Occorre concentrarsi sulle questioni essenziali.
  A questo fine – questo lo possono fare i Regolamenti parlamentari – bisogna capire come segmentare la discussione in modo che, una volta previsto anche il Pag. 20divieto di maxiemendamenti, ci sia un tempo congruo, ma definito per ciascun articolo. In questo modo il ricorso al voto bloccato non dovrebbe realizzarsi praticamente mai perché i tempi vengono rispettati. Ma come estrema ratio è necessario prevedere il ricorso al voto bloccato. Rispetto alla situazione odierna, mi sembrerebbe una soluzione di gran lunga più positiva.
  Mi soffermo un attimo sul problema del Titolo V. Nel mio intervento scritto ho definito la riforma «ottima» e lo confermo. Ciò non di meno, tenterei di migliorarne alcuni aspetti. La ripartizione fra competenze statali e competenze regionali è effettuata in una serie di casi attraverso la formula delle «disposizioni generali e comuni» di spettanza statale; mi sembra un punto su cui tornare un attimo sopra, a parte l'uso del termine «disposizioni», che non mi sembra il migliore per un testo costituzionale. La disposizione è l'espressione linguistica, ma il contenuto sono le norme.
  Consiglierei di ricorrere il meno possibile a questa formulazione e sciogliere i nodi del riparto delle competenze almeno in alcuni casi. Per esempio, sulla materia del lavoro si parla di semplificazione. Riflettiamo un attimo: avere, sia pure per alcuni ambiti, legislazioni differenti da Regione a Regione incoraggia gli investimenti ? Forse no. Forse è un bene portare tutta la materia del lavoro alla competenza dello Stato. Magari in altri casi può essere più ragionevole aumentare l'ambito di competenza delle Regioni.
  Occorre una riflessione da parte della Commissione per sciogliere questi nodi. Poi, ripeto, non esiste una ripartizione delle materie perfetta, perché è proprio l'esistenza della sede di raccordo che può consentire di decidere in concreto chi fa che cosa. Per questo è ottimo il Titolo V, perché prevede criteri flessibili. Io non parlerei solo di materie, ma anche di funzioni, perché alcune di quelle che vengono chiamate materie non sono materie. La tutela della concorrenza, ad esempio, non è una materia.
  Solo nel momento in cui si esamina una disciplina di settore si può stabilire in concreto chi fa che cosa e se sia bene che esista per quel settore una sola legge nazionale che magari ben tutela l'interesse e le prerogative delle Regioni, o se ci sia bisogno, e in quali ambiti, di legislazioni differenziate.
  La riforma del Titolo V è positiva per diverse ragioni: oltre alla flessibilità alla soppressione delle materie concorrenti, riportandone alcune allo Stato e altre alle Regioni, alla clausola di supremazia statale e alla possibilità di delegare materie statali alle regioni, anche con l'articolo 116, comma terzo, c’è anche un altro aspetto che va sottolineato: non si dice solo che alle Regioni spetta tutto quello che non è affidato allo Stato, ma si specificano anche alcune competenze proprie delle Regioni. Penso che questo sia un fatto importante. Per la prima volta forse, attraverso un'indicazione finalistica delle competenze, si tenta di assegnare alle Regioni un ruolo. Ne hanno discusso anche nella Commissione dei 35 costituzionalisti ed esperti. In particolare, il testo della riforma richiama le osservazioni del professor Barbera, il quale aveva tentato di configurare l'ambito specifico di competenza delle Regioni come distretti industriali e aree produttive.
  È chiaro che questo ruolo comporta la necessità, ma non in questa sede – qui non lo farei – di rivedere l'ambito territoriale delle nostre Regioni. Se il compito delle Regioni deve essere quello di concorrere al PIL nazionale attraverso lo sviluppo del proprio territorio regionale, la specificità del proprio territorio e la vocazione del proprio territorio, si tratta di un ruolo della Regione molto più significativo rispetto a quello dell'assistenza sanitaria.
  A mio avviso, la riforma realizza un buon bilanciamento, perché è vero che una serie di competenze viene riportata allo Stato e che c’è la clausola di supremazia statale, ma attenzione: in luogo della Conferenza Stato-regioni e del Palazzo della Stamperia, le Regioni hanno Pag. 21Palazzo Madama, per poter far sentire alta e forte la propria voce. Ritengo si tratti di un ottimo bilanciamento.
  Tendenzialmente, a mio avviso, è giusto che le Regioni non abbiano eccessivi poteri di blocco e di veto, perché la decisione finale deve spettare alla Camera politica, ma non penso che la voce delle Regioni sia una voce di cui non si possa non tener conto, nel momento in cui è espressa, ripeto, in una Camera come Palazzo Madama.

  ANDREA GIORGIS. Vorrei fare solo una domanda su un punto molto interessante. Vorrei solo chiedere al dottor Calderisi e al professor Lippolis, in modo telegrafico – poi, se vogliono, rispondono anche gli altri nostri ospiti – se, a loro giudizio, l'articolo 12 non introdurrebbe il voto bloccato. Questo è un problema interpretativo enorme.

  GIUSEPPE CALDERISI, Esperto della materia. È semplicemente l’extrema ratio, l'ultima conseguenza.

  ANDREA GIORGIS. Io vorrei capire qual è l'interpretazione che loro danno su questo tema. Non è possibile immaginare – chiedo scusa – che sia previsto, come recita l'articolo 12, che il Governo possa chiedere di deliberare un disegno di legge indicato come essenziale in via accelerata e che questo provvedimento sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro sessanta giorni.
  Se questa è una norma cogente, quando un Governo considera una proposta particolarmente qualificante proprio in diritto politico, deve essere messa in votazione entro sessanta giorni. Come si può immaginare che ci sia una subordinata ? Questo è il punto.
  Chiedo scusa, ma, se deve essere messa in votazione entro sessanta giorni, i Regolamenti devono prevedere tempi di discussione, di contingentamento...

  GIUSEPPE CALDERISI, Esperto della materia. Se va in Aula il quarantesimo giorno, ci sono venti giorni d'Aula, tanto per dire.

  PRESIDENTE. Vi prego, non facciamo una discussione, altrimenti non si capisce più niente.

  ANDREA GIORGIS. Come si può immaginare l'ipotesi che non vengano rispettati questi termini, che, secondo me, non sono ordinatori, ma perentori e che, quindi, si arrivi al caso in cui il Governo possa ottenere che venga posto in votazione il testo da esso proposto e non quello accolto ?
  Delle due l'una: o c’è una formulazione tecnicamente inapplicabile e c’è un'aporia di scrittura, oppure non riesco a capire come si possa interpretare quest'ultimo periodo dell'ultimo comma dell'articolo 12 come un'ipotesi successiva. Significa che i termini non sono perentori, se si mette in conto che il testo non venga portato alla votazione entro sessanta giorni. È solo un problema di interpretazione.

  PRESIDENTE. Va bene. Il collega Giorgis ha ulteriormente esplicitato alcune questioni che aveva già posto nella domanda.
  Il collega Toninelli ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori.

  DANILO TONINELLI. Intervengo sull'ordine dei lavori. Pur rispettando il collega Giorgis nell'aver ribadito il suo concetto, osservo che il collega Giorgis deve anche rispettare i colleghi che hanno fatto domande che ritengono altrettanto puntuali ed importanti, permettendo nei pochi minuti a disposizione anche agli altri di rispondere. La sua domanda, collega Giorgis, era già stata posta.

  PRESIDENTE. Certamente ha ragione il collega Toninelli. Tuttavia, abbiamo qualche minuto in più in questa seduta per approfondire alcune questioni e, quindi, abbiamo un po’ approfittato dei tempi più rilassati che in altre occasioni.
  Chiederei di concludere il suo intervento al dottor Calderisi.

  GIUSEPPE CALDERISI, Esperto della materia. Ho ascoltato l'onorevole Giorgis. Pag. 22A me sembra che il testo ponga il voto bloccato come extrema ratio nel caso in cui non si riesca a concludere l’iter nei tempi che sono prefissati.
  I sessanta giorni rappresentano – non casualmente, credo – la scelta di un tempo uguale a quello della decretazione d'urgenza. Nel momento in cui si limita la decretazione d'urgenza, si vuole creare uno strumento alternativo di pari durata. Nella situazione di bicameralismo modificato credo che questo sia un tempo congruo per poter esaminare da parte dell'Aula i provvedimenti, esaminare e votare gli articoli uno per uno senza ricorrere al voto bloccato. Se il Governo chiede il voto entro sessanta giorni, i tempi decorrono dalla richiesta, non dalla presentazione del disegno di legge. Saranno poi i Regolamenti parlamentari a disciplinare ulteriormente questa fattispecie. Non è vero che questa fattispecie non richieda l'intervento dei Regolamenti parlamentari.
  Il voto bloccato è un’extrema ratio da applicare solo qualora il Regolamento sia carente e consenta di utilizzare tutto il tempo, mettiamo venti giorni d'Aula, per discutere sull'articolo 1 di un provvedimento che ha, per esempio, 20 articoli. Se il testo viene esaminato nel merito e se viene prevista una discussione approfondita articolo per articolo, si giunge al voto finale nei tempi previsti senza necessità di ricorrere al voto bloccato, che – ripeto – è un’extrema ratio.

  CLAUDIO DE FIORES, Professore straordinario di Diritto costituzionale presso la II Università degli Studi di Napoli. Io partirei dalla domanda dell'onorevole Giorgis, che ci chiede se sia possibile individuare un'ipotesi alternativa, una modalità per uscire fuori dalla contraddizione di questo modello di Senato territoriale, così come è configurato.
  Io ho l'impressione che il modello di un Senato territoriale sia difficilmente emendabile. O perseguiamo il modello tedesco, oppure dobbiamo provare a definire le condizioni per la costruzione di un altro modello di Senato. Le condizioni di un Senato di impianto federale sul modello tedesco sono quelle già individuate, ossia la partecipazione dei Governi regionali al Senato, il voto unitario, il vincolo di mandato, a cui si aggiunge, però, anche un sistema di federalismo cooperativo. Sono tutte condizioni eluse, che di fatto contribuiscono ad alimentare la confusione di questo modello.
  Un modello confuso, per venire incontro anche alla domanda dell'onorevole Gelmini, è un modello di per sé inefficace.
  L'onorevole Fiano poneva la questione della configurabilità di un voto da parte dei Consigli inteso come voto politico. Gli elementi di contraddizione, però, rimangono tutti, perché abbiamo una distorsione di tipo maggioritario anche per quanto riguarda l'elezione dei consiglieri e all'interno di questo sistema non viene nemmeno rispettato un vincolo di coerenza. È possibile, infatti, che il vertice degli Esecutivi, il presidente della Giunta, possa essere escluso dal Senato, come ipotizzava anche il collega Lippolis.
  Sul voto bloccato si possono dire tante cose. Anch'io ritengo che l'interpretazione da dare a quella disposizione sia quanto meno affine a quella proposta dall'onorevole Giorgis in questa sede. Nel disegno di legge si parla esattamente di testo proposto o accolto dal Governo da porre in votazione senza modifiche.
  Ho l'impressione anche che il tentativo sia quello non di rafforzare il potere di un Governo troppo debole oggi, a fronte di un Parlamento forte, ma semmai quello di costituzionalizzare le distorsioni che in via di fatto e attraverso l'abuso della decretazione d'urgenza e il ricorso sistematico al voto di fiducia si sono venuti configurando già in questa fase. Si tratta, come ho già detto, di un'ipotesi che tende a rendere il Governo il vero e proprio dominus del procedimento legislativo.
  Quanto all'ipotesi avanzata dall'onorevole Mazziotti nella sua domanda circa la idoneità delle riforme a violare la Costituzione, è vero che il procedimento di revisione costituzionale introduce ius novum. Però è anche vero che esistono dei limiti formali da rispettare, e anche dei limiti sostanziali, perché è chiaro che i Pag. 23princìpi supremi, da una parte, e l'assetto dei diritti, dall'altra, non possano essere compromessi nemmeno da un procedimento di revisione costituzionale.
  A ridosso della vicenda contingente c’è un'altra questione che, secondo me, non possiamo eludere: la legittimazione di questo Parlamento a procedere alla revisione costituzionale all'indomani della sentenza n. 1 del 2014. Da quella pronuncia emerge un vulnus, quello della legge elettorale illegittima che questo Parlamento è chiamato a sanare per poi procedere al rinnovo della rappresentanza. Non mi sembra che questo Parlamento sia nelle condizioni, leggendo la sentenza della Corte Costituzionale, di procedere a una revisione così ampia della seconda parte della Costituzione. Si tratta di un punto che non può essere eluso attraverso la retorica del mandato popolare a fare le riforme. O questo è previsto in procedimenti di revisione costituzionale, o altrimenti non esiste. Questa pretesa è infondata.
  Esistono dei procedimenti di revisione costituzionale che prevedono una legittimazione del corpo elettorale anche alle riforme costituzionali – ad esempio in alcuni ordinamenti del Nord Europa – ma tutto questo avviene nel rispetto di procedure costituzionalmente codificate. Si vota in prima lettura un progetto di revisione costituzionale, si procede allo scioglimento del Parlamento e dal voto si desume poi se ci sia stato o meno un mandato per procedere alle riforme. Espedienti politici o altre soluzioni che possano compensare questa condizione non esistono oggi nel nostro ordinamento.
  Passando alla domanda dell'onorevole Quaranta, anch'io sono convinto che siamo in questa fase perché scontiamo un deficit di riflessione sul regionalismo nella Costituzione italiana e su quelli che sono stati i suoi sviluppi. Così come è vero che nel disegno di legge si comprimono, da una parte, le forme e le condizioni della rappresentanza politica e si creano, dall'altra, intralci anche all'altro canale, che è quello della cosiddetta democrazia diretta; si aumenta il numero di firme per l'iniziativa legislativa popolare e si crea una sfasatura procedimentale per quanto riguarda l'iniziativa referendaria.
  Tornando alla domanda dell'onorevole Quaranta non c’è dubbio, infine, che le distorsioni delle dinamiche maggioritarie si riflettono anche sugli istituti di garanzia, e in particolare sul Presidente della Repubblica, che rischia di divenire sempre meno un garante della Costituzione, dal momento che disporrebbe di un mandato che, in un certo senso, gli proviene direttamente dalle maggioranze di governo, secondo le ipotesi che sono oggi all'esame del Parlamento.
  Chiudo brevemente sulla domanda dell'onorevole Toninelli relativa all'iniziativa legislativa del Governo come fattispecie di illegittimità del disegno di legge di revisione. Non è proprio così. Sul piano formale il Governo dispone dell'iniziativa legislativa. E non c’è una distinzione in Costituzione tra le leggi di iniziativa ordinaria e le leggi di iniziativa costituzionale. Le perplessità io le ho con riferimento al fatto che la riforma costituzionale sia divenuta, sin dal discorso di insediamento del Presidente del Consiglio, parte integrante dell'indirizzo politico. Questo è un altro aspetto, che però non si pone in termini formali e non compromette l'iniziativa legislativa, anche se resta un elemento di distorsione.
  Anche per quanto riguarda l'ipotesi avanzata dal Ministro Boschi sul referendum «comunque», anche a costo di far mancare dei voti, ho delle riserve. Io penso che, quando si procede a una revisione della Costituzione, bisogna evitare che questa diventi preda di schermaglie di tipo tattico.
  La natura del referendum costituzionale, dal mio punto di vista, resta quella di un referendum oppositivo. Evitiamo quindi di cadere in schermaglie di questo tipo, sia quando si propone di far mancare i voti, sia quando si dice, allo stesso modo, strumentalmente, che questi voti potrebbero essere compensati dall'opposizione.
  Io ritengo che, quando si procede a una revisione della Costituzione, si debba procedere Pag. 24nel modo più coerente possibile con lo spirito e la logica dell'articolo 138.

  GAETANO AZZARITI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Mi atterrò rigorosamente alle domande e risponderò in modo molto rapido.
  Vorrei, però, prima fare una premessa. Noi stiamo riflettendo su una possibile revisione costituzionale. È opportuno ricordare allora che quando si mettono le mani sulla Costituzione, la naturale propensione all'elasticità della politica, che deve ricercare il compromesso, ha uno spazio più limitato, perché prendiamo in considerazione princìpi e valori.
  È per questo che, quando ragioniamo sulle riforme costituzionali, ahimè – o forse per fortuna – dobbiamo essere più rigorosi, anche nell'adozione dei modelli di riferimento. Ecco perché ho teso a sottolineare la necessità di rispettare la coerenza di modelli e di riflettere sulle conseguenze che ne discendono, non in astratto, ma in concreto, ad evitare che questi modelli, se mal conformati, possano produrre effetti degenerati.
  «Degenerati» non è una espressione casuale. Ricordate Aristotele ? Aristotele, che se ne intendeva, diceva che quando si definiscono nuovi equilibri tra i poteri, il rischio maggiore è che la scelta possa degenerare, non per volontà del legislatore, ma perché non si è prestata la dovuta attenzione al modello nel momento della scelta di sistema. Questa è la ragione per la quale abbiamo parlato di modelli e richiamata l'attenzione sulla necessaria coerenza.
  Vengo alla domanda dell'onorevole Giorgis, che ha colto uno dei punti essenziali: bisogna capre qual è il principio di legittimazione del Senato. Nel disegno di legge ora in discussione sono molteplici i princìpi di legittimazione, perché la composizione è proposta da soggetti diversi: Sindaci, senatori nominati dal Capo dello Stato e consiglieri regionali. Non che non siano possibili legittimazioni plurali, una composizione ibrida, ma certamente una simile scelta comporta una legittimazione minore, ridotta, frammentata, al limite confusa ovvero contraddittoria.
  Personalmente apprezzo molto la solidità del sistema tedesco, sebbene non voglia affatto sostenere che sia l'unico modello possibile. Deve ammettersi, in ogni caso, che tra le ragioni di forza di quel sistema v’è anche che esso esprime un principio di legittimazione coerente e unitario.
  Se noi poi consideriamo il dibattito politico che si è sviluppato in questi mesi sul Senato potremmo dire così: dalla proposta originaria del Presidente del Consiglio dei ministri, che era orientato a definire un Senato dei Sindaci è iniziato un percorso che si è progressivamente avvicinato al modello del Senato delle autonomie.
  Si potrebbe allora pensare di proseguire in questa evoluzione e di abbracciare sino in fondo, più rigorosamente di quanto non sia adesso, il sistema tedesco.
  Non si vuole fare così ? Bene. Non è detto che esso sia il migliore dei modelli possibili. Anzi, personalmente, pur apprezzando la configurazione parlamentare dello Stato federale tedesco, ritengo – mi si permetta di dirlo incidentalmente – che la scelta più limpida e rigorosa per porre fine, nel nostro paese, al sistema del bicameralismo imperfetto sia la scelta monocamerale.
  Realisticamente non mi sembra, ahimè, che ci sia lo spazio politico per un'opzione di questo tipo, ma se dovessi esprimere una preferenza tra i diversi modelli riterrei che il sistema migliore oggi in Italia sarebbe un sistema monocamerale, accompagnato da un sistema elettorale proporzionale, pensando eventualmente ad una limitata diminuzione del numero dei parlamentari che possa ridurre la frammentazione politica e aumentare il prestigio dell'organo della rappresentanza.
  Non vado oltre, perché mi rendo conto che la riflessione politica oggi è un'altra e allora mi limito ad invitare al rigore nella scelta dei modelli.
  Ha ragione l'onorevole Quaranta quando dice che bisogna ripensare il regionalismo. Io sono assolutamente convinto Pag. 25che questo sia vero. Leggo, però, che c’è un'urgenza di decidere. Di questa fretta non discuto.
  Mi limito a constatare che l'urgenza di decidere non credo debba essere del tutto scissa dall'approfondimento razionale. Anzi, l'urgenza di decidere potrebbe essere un'occasione per fare qualche passo in più anche su temi di fondo. Si dice che sono trent'anni che si discute di riforme e di regioni. È vero, ma ciò non vuol dire che nel momento della decisione non si debba guardare e riflettere proprio a questa vasta esperienza cumulata e non si debbano considerare le proposte che sono state formulate in tema di nuovo regionalismo.
  Parliamo ad esempio della formulazione di un nuovo articolo 117. Io non semplifico la questione. L'articolo 117 ha sempre rappresentato uno dei più grandi rompicapo della scienza giuridica, di quella costituzionalistica in particolare, nonché un problema politico irrisolto nei rapporti tra Stato e Regione. In tutte le sue versioni, quella originaria, quella formulata nel 2001, quella attualmente proposta, le diverse definizioni costituzionale relativa al riparto legislativo tra Stato e regioni sono state criticate e sono criticabili. Non posso ora esaminare aspetti specifici, ma i miei colleghi molte esemplificazioni e perplessità le hanno indicate.
  Mi limiterò a rilevare che si dovrebbe fare uno sforzo ulteriore di semplificazione del sistema proposta dall'attuale articolo 117. Così com’è ora formulato risulta troppo complicato e non può ben funzionare. Le considerazioni precedentemente svolte sull'indeterminatezza delle disposizioni generali e comuni vanno intese anche nella prospettiva di una semplificazione necessaria. Mi ricollego qui ad un'osservazione dell'onorevole Mazziotti circa l'intenzione del legislatore di semplificare e ridurre il conflitto di fronte alla Corte costituzionale. Questo è un proponimento assai lodevole, voluto esplicitamente dall'attuale maggioranza.
  Suggerisco allora: ripartiamo dal lavoro che ha fatto la Corte Costituzionale, che, come voi sapete, anche con qualche esondazione, dicendo anche troppo, ha faticato molto per dare un volto razionale e un certo equilibrio alla riforma del 2001. Il rischio che io pavento è che invece, si finisca per ridurre di molto l'esperienza della Corte e che si ricominci daccapo. Non mi sembra in effetti che ci si sia preoccupati molto della sistematizzazione della Corte costituzionale nelle riscrittura dell'articolo 117. Il rischio è quello, se non di ricominciare daccapo, di riattivare il contenzioso.
  Così è per le due formulazioni che sono state individuate, ossia disposizioni generali comuni o disposizioni di principio. La mia impressione è che tali formulazioni non risolveranno granché. Sono sintesi verbali che devono essere riempite di contenuto. Se non sarà il Parlamento a chiarire e specificare, lasciando questa troppo generica formulazione, sarà la Corte Costituzionale a farlo, aprendo una fase di rinnovata forte conflittualità.
  Sul voto bloccato voglio aggiungere due cose. In primo luogo, sempre l'onorevole Giorgis ci chiedeva quale sia la sede propria per introdurre una simile misura. Io credo che la sede propria sia quella dei Regolamenti parlamentari.
  Non fosse altro perché nei Regolamenti parlamentari – tutti lo dicono e così deve essere – dovrebbe essere anche previsto uno statuto all'opposizione. È chiaro che le corsie privilegiate per gli atti del Governo potrebbero rappresentare un fattore di bilanciamento allo statuto dell'opposizione. Le corsie privilegiate sono materia da Regolamento parlamentare. E il voto a data certa rappresenta, in realtà, una forma estrema di corsia privilegiata. Aggiungo che non ritengo si debba semplicemente trasferire nel Regolamento parlamentare quello che è stato adesso scritto in Costituzione, cioè il voto bloccato senza limiti sostanziali, perché è comunque troppo. Certamente, invece, si può ragionare su come il Governo possa avere una corsia privilegiata e anche tempi certi per alcuni suoi provvedimenti a fronte di garanzie fornite alle minoranze parlamentari.
  Per quanto riguarda la querelle alla quale abbiamo assistito sull'assimilabilità Pag. 26del voto bloccato al voto a data certa la risolverei dando sostanzialmente ragione al collega Giorgis. Mi permetto di chiamarlo collega perché, oltre a essere deputato, l'onorevole Giorgis è anche un raffinato costituzionalista, come sapete.
  Il voto a data certa è, in effetti, una forma mascherata di voto bloccato. Si concedono, cioè, sessanta giorni al Parlamento, ma è evidente che trascorso tale periodo v’è un obbligo di votare il provvedimento del Governo.
  Ed è facile – l'ho già accennato nel mio intervento introduttivo – far perdere sessanta giorni al Parlamento. È facile soprattutto per la maggioranza di governo. Realisticamente deve riconoscersi che con tale istituto si mette nelle mani del Governo una sorta di decretazione d'urgenza, senza neppure quel limite di straordinaria necessità e urgenza previsto per i decreti-legge. Il che non rappresenta un buon risultato, neppure dal punto di vista di un Governo che avesse voglia di ricercare un rapporto per quanto dinamico pur sempre rispettoso dell'autonomia del Parlamento.
  Con riferimento alla domanda sull'articolo 138 e sugli allargamenti ulteriori della riforma costituzionale manifesto le mie perplessità. Personalmente tremo ogni volta che sento parlare di Assemblea costituente. Abbiamo già tante difficoltà a parlare di revisione costituzionale che non mi sembra opportuno porre oggi la questione dell'Assemblea costituente.
  Sono d'accordo con l'onorevole Quaranta sul referendum. Anche in questo caso conta il rigore dei princìpi. Capisco la contrattazione politica, perché il doppio quorum è frutto di una contrattazione politica, ma sul referendum sarebbe opportuno giungere a formulare una scelta univoca. Si fissi un unico quorum, in base ad un criterio, e nel rispetto di un valore. La domanda da porsi è se – e fino a che punto – si voglia favorire l'espressione diretta della volontà popolare mediante lo strumento del referendum. Questa è la scelta che deve fare il Parlamento.
  Mi fermo qui. Credo di aver tralasciato altre pure importanti osservazioni, ma ragioni di tempo mi impongono di terminare. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per la loro disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.