XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 14 gennaio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 3  ED ABBINATI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA

Audizione di esperti.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Dogliani Mario , Professore ordinario di diritto costituzionale ... 3 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 6 
Morrone Andrea , Professore ordinario di diritto costituzionale ... 6 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 9 
Pinelli Cesare , Professore ordinario di diritto pubblico ... 9 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 11 
Pinelli Cesare , Professore ordinario di diritto pubblico ... 11 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 12 
Scaccia Gino , Professore ordinario di diritto ... 12 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 15 
Vassallo Salvatore , Professore ordinario di scienza politica e politica comparata ... 15 
Zanon Nicolò , Professore ordinario di diritto costituzionale ... 18 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 20 
Besostri Felice Carlo , Avvocato ... 20 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 24 
Bragantini Matteo (LNA)  ... 24 
Lattuca Enzo (PD)  ... 25 
Giorgis Andrea (PD)  ... 26 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 27 
Giorgis Andrea (PD)  ... 27 
D'Attorre Alfredo (PD)  ... 27 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 28 
Centemero Elena (FI-PdL)  ... 28 
Migliore Gennaro (SEL)  ... 29 
Balduzzi Renato (SCpI)  ... 30 
Lauricella Giuseppe (PD)  ... 30 
Nicoletti Michele (PD)  ... 31 
Bianconi Maurizio (FI-PdL)  ... 31 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 32 
Zanon Nicolò , Professore ordinario di diritto costituzionale ... 33 
Vassallo Salvatore , Professore ordinario di scienza politica e politica comparata ... 34 
Scaccia Gino , Professore ordinario di diritto pubblico ... 35 
Pinelli Cesare , Professore ordinario di diritto pubblico ... 36 
Morrone Andrea , Professore ordinario di diritto costituzionale ... 37 
Dogliani Mario , Professore ordinario di diritto costituzionale ... 38 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 38

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in relazione all'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dei progetti di legge recanti disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, l'audizione di esperti.
  Sono presenti Mario Dogliani, professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Torino; Andrea Morrone, professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Bologna; Cesare Pinelli, professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Roma la Sapienza; Gino Scaccia, professore ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Teramo; Salvatore Vassallo, nostro collega nella passata legislatura e professore ordinario di scienze politiche e politica comparata presso la facoltà di scienze politiche dell'università gli studi di Bologna; Nicolò Zanon, professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Milano. Comunico che l'avvocato Felice Carlo Besostri ha fatto sapere che non potrà essere presente prima delle 10.30.
  Ringrazio i nostri ospiti e osservo che la scelta della giornata odierna per lo svolgimento di queste audizioni ci consente in primissima battuta di avere dagli esperti presenti un commento che non voglio definire a caldo perché la riflessione giuridica a caldo non ha senso – la première idée est toujours la meilleure, si dice in gergo – ma importante sulle motivazioni della sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale.
  Darei subito la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della loro relazione, ma con un'avvertenza. Nelle audizioni svolte nella seduta di ieri abbiamo verificato che la parte più interessante e che più sta a cuore ai membri della Commissione è certamente il dibattito e le domande rivolte a capire, oltre a cosa bisogna sapere, cosa bisogna fare.
  Vi inviterei, allora, a concludere i vostri interventi – mi permetterò di essere attento su questo profilo – nell'ambito di 10 minuti.
  Comunico che il professor Vassallo e il professor Morrone hanno già consegnato dei contributi. Inviterei cortesemente anche gli altri esperti a farceli avere tempestivamente non soltanto perché scripta manent, come dicevo ieri, ma perché ovviamene la riflessione su un documento scritto, anche per coloro che non fossero presenti, contribuisce a una riflessione più approfondita.
  Do la parola per primo al professor Dogliani.

  MARIO DOGLIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Ho qualche imbarazzo a intervenire. Ho fatto parte Pag. 4della Commissione cosiddetta dei 35, nella quale abbiamo elaborato una presa di posizione sulla legge elettorale suggerendo un doppio turno, probabilmente di coalizione, con un primo turno proporzionale e un secondo di ballottaggio tra le due forze che avessero raggiunto il maggior numero di voti.
  Vorrei sottolineare che quella discussione è avvenuta all'ombra di una questione. Sembrava allora che fossero molto forti le spinte verso un'evoluzione della forma di Governo in senso semipresidenziale, e quindi, date le difficoltà che questa scelta radicale avrebbe comportato, nell'ambito della Commissione si è verificato un compromesso che tendesse a salvare, per coloro che l'hanno caldeggiato, il sistema parlamentare e, nello stesso tempo, concedesse – scusate la brutta parola – nel compromesso, seppure non esplicitamente trattato, ai fautori della diversa opzione semipresidenziale un momento elettorale nazionale in cui contrapporre i due schieramenti.
  Questa soluzione, a mio parere allora saggia, non pregiudicava del tutto l'estrema personalizzazione del secondo turno. È indubbio, infatti, che il secondo turno si sarebbe svolto alla luce delle personalità dei maggiori contendenti, ma questo non significa ancora un'investitura diretta e immediata del leader. Avviene, infatti, in molti Paesi con sistemi di partito robusti, sostanziosi, come in Germania o in Inghilterra, dove indubbiamente la competizione elettorale non si identifica con una contrapposizione tra persone e basta quanto con una contrapposizione tra due forze sociali insediate e portatrici di culture e programmi diversi.
  L'evoluzione di questa proposta, quindi, era rimessa alla capacità delle forze politiche. Dal punto di vista giuridico, quindi, si aveva una fase proporzionale con un momento di rispecchiamento, una fase decisoria affidata al corpo elettorale e non a una formuletta matematica, con la quale si indicava la forza che avrebbe dovuto guidare il Governo. Allo stesso tempo, si dava la possibilità che il sistema si evolvesse verso ipotesi di più marcata personalizzazione della leadership o verso posizioni equilibrate, in cui lo scontro rimaneva tra partiti.
  Quest'ambito di preoccupazioni, che giustamente aveva formato lo scenario nel quale abbiamo lavorato, è venuto meno. Per misteri italiani, nel giro di poco tempo cambia tutto. L'ipotesi presidenzialista forse vivrà ancora nella mente di qualcuno, ma non è più così presente sul campo e le carte si sono rimescolate. Peraltro, mi sembra che il nostro lavoro non abbia goduto di alcun interesse e considerazione da parte di nessuno.
  Oggi, quindi, da un lato, sento di difendere quella soluzione in base a questo ragionamento. A mio avviso, malgrado le acrobazie verbali di questa sentenza, non si può eludere un punto importante: è vero da un lato che il sistema costituzionale italiano non costituzionalizza il sistema proporzionale, ma la Corte, se è un giudice e deve comportarsi da tale, a un qualche principio costituzionale che funga da parametro deve agganciarsi, non può ragionare solo in termini di ragionevolezza. D'altra parte, ragionevolezza di chi ? per cosa ? tra cosa ? Serve, dunque, un parametro costituzionale obiettivo cui agganciarsi.
  Teniamo presente che neanche in Germania c’è stata la costituzionalizzazione del principio proporzionale, e anzi c'era un orientamento culturale fortemente contrario al principio proporzionale – la memoria di Weimar, fatti che conosciamo a memoria – e ciò nonostante la Corte tedesca è intervenuta più volte con sentenze molto puntuali su dettagli della legge elettorale per garantire la proporzionalità, per criticare, contestare elementi di disproporzionalità che, ad esempio, il sistema dei seggi in eccedenza introduceva e anche più a fondo e in modo più minuto.
  Come può accadere questo ? Non si poteva dedurre dalla Costituzione l'esplicita sanzione del principio proporzionale in quanto assente perché rifiutata; non si poteva evocare una formazione consuetudinaria o storica di una preferenza per il sistema proporzionale perché non c'era come è storicamente provato. Eppure la Pag. 5Corte tedesca ha ritenuto, in parte considerandolo più generale dell'ordinamento positivo che non innestato autonomamente, che il principio proporzionale fosse costituzionalizzato implicitamente e a cui attenersi.
  La nostra Corte continua a parlare di ragionevolezza, che però è un concetto sfuggente, scivoloso, difficilissimo da determinare. La verità è che, come almeno ritengo, implicitamente la Corte abbia pensato, anche se non affermato, soprattutto per quanto riguarda le norme di garanzia, che deve esserci una corrispondenza tra la dimensione delle maggioranze parlamentari e quella del consenso sociale. Questo è il punto.
  Diversamente, non si può parlare di disproporzionalità, di irragionevole compressione in assenza di un aggancio. Ritengo che quest'ultimo sia rappresentato proprio dal fatto che non si può, malgrado la libertà del legislatore di configurare il sistema elettorale, rompere il rapporto tra la consistenza delle maggioranze prescritte dalla Costituzione, in particolar modo nella materia degli organi di garanzia, e il consenso sociale implicitamente evocato da questo tipo di maggioranza.
  Se così è, al di là di questa sentenza, credo che prima o poi la giurisprudenza italiana seguirà la strada di quella tedesca, e quindi in qualche modo un principio, seppur tendenziale, di proporzionalità sarà ribadito come limite alla discrezionalità del legislatore. Mi rifiuto di pensare che tutto possa essere retto sul principio di ragionevolezza, anche se è molto di moda, anche se i nostri colleghi lo usano a larghe mani, ma – diciamoci la verità – il principio di ragionevolezza è certamente molto poco definito.
  Se così è, le possibilità distorsive o disproporzionali del legislatore sono limitate. Per farla breve, tutti sappiamo che il sistema spagnolo è fortemente disproporzionale, almeno in base alla nostra esperienza storica comparatistica, per cui bisognerebbe essere cauti. È sicuramente un sistema che punisce gravemente le forze intermedie di dimensione nazionale.
  Ritengo che il doppio turno, così come l'avevamo configurato, potrebbe sfuggire a questo tipo di critiche e presentare un'utilità se configurato in questo modo che, a mio avviso, potrebbe essere ragionevole in quest'ottica, in cui ripeto che tendenzialmente bisogna garantire una relativa proporzionalità tra l'esito delle elezioni in termini di voti e la distribuzione dei seggi: attribuire col metodo proporzionale un numero consistente di seggi; attribuire un premio di maggioranza in base a qualche algoritmo matematico, ciò che però ritengo meno desiderabile; attribuire un premio di maggioranza a seguito di un voto, quindi attribuire i seggi a seguito di voti e non di algoritmi.
  Il problema è l'ammontare di questo premio. È inutile, infatti, girarci attorno e criticare la legge vigente: se continua la retorica che la sera bisogna conoscere il risultato delle elezioni per assegnare un premio di maggioranza sufficiente a far vincere qualcuno. Mi pare che su questa discussione la stampa e la copertura mediatica abbia creato solo disastri.
  Se, di 10 partiti, ognuno ottiene circa il 10 per cento dei voti e la sera si vuole sapere chi ha vinto, a quello che ha preso una frazione decimale in più bisogna assegnare un premio che gli consenta di avere la maggioranza assoluta. Non credo sia questo ciò che vogliamo.
  Si potrebbe attribuire col secondo turno in ballottaggio un numero fisso di seggi, anche relativamente consistente, pari al 10 o al 15 per cento. In questo modo, non ci sarebbe la garanzia assoluta della maggioranza fatta nascere dalle urne, come si dice adesso, e ci sarebbe l'indicazione di un partito pivot che godrebbe di una legittimazione e anche di una facilitazione a gestire l'ineliminabile fase delle mediazioni.
  A mio avviso, un Parlamento non può ammettere che si affermi che bisogna formare il Governo nelle urne senza inciuci o senza intese. Un Parlamento che accetta che gli si dica questo si uccide da solo. Non è ammissibile assimilare all'inciucio o all'intesa la formazione di una maggioranza parlamentare.Pag. 6
  Un secondo turno, dunque, può essere molto utile per provocare una pronuncia del corpo elettorale di indirizzo, senza però che il premio sia tale da blindare una maggioranza che sappiamo tutti essere fragilissima. Siamo tutti consapevoli, infatti, che le maggioranze formate per conquistare la maggioranza elettorale sono fatte con riserva mentale di abbandonarla, per cui mi pare sia inutile perseguire su questa strada che non potrà dare risultati.
  Altro, invece, è aiutare la formazione di un partito leader che eserciti la sua sacrosanta funzione in Parlamento.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Dogliani per le chiare parole e indicazioni che ha fornito alla Commissione.
  Do ora la parola al professor Andrea Morrone, professore ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di giurisprudenza di Bologna, al quale rivolgo l'analoga e garbata, ma decisa, raccomandazione, di contenere i tempi del suo intervento.

  ANDREA MORRONE, Professore ordinario di diritto costituzionale. Sono portato a ritenere che l'invito a partecipare a queste audizioni mi è stato rivolto non soltanto in qualità di professore di diritto costituzionale, ma anche perché ho presieduto il Comitato che ha promosso il referendum per l'abrogazione della legge n. 270 del 2005.
  Ricordo che, nel 2011, 1.200.000 cittadini avevano espresso la volontà di eliminare la legge elettorale. Allora chiedemmo alla Corte costituzionale di dichiarare l'illegittimità della legge e la Corte rispose che non si poteva fare. Abbiamo aspettato due anni e mezzo perché accadesse, ma non è di questo che voglio parlare. Parlerò in seguito della sentenza brevemente.
  Ho consegnato un testo scritto, quindi potrete leggere gli svolgimenti più puntuali della mia introduzione. Partirò da un presupposto. Per la riforma della legge elettorale – mi rendo conto di affermare una banalità, che però spesso sfugge – occorre avere chiaro l'obiettivo che vogliamo perseguire. Dobbiamo abbandonare l'ingegneria costituzionale, ragionare sui modellini come se esistesse un modello perfetto. Dobbiamo dirci invece chiaramente cosa vogliamo per il futuro del nostro Paese, qual è il fine che intendiamo realizzare.
  Se andiamo a esaminare i modelli di Governo nel mondo occidentale, che guardiamo come esempio, le alternative sono soltanto due. È inutile stare a lambiccarsi troppo: l'alternativa è tra l'obiettivo di una democrazia consociativa e quello di una democrazia dell'alternanza. È intorno a questa scelta fondamentale che deve essere fornita la risposta intorno al modello elettorale. La legge elettorale è servente rispetto a uno di questi due obiettivi.
  Quella consociativa, come sappiamo tutti, è una democrazia con un sistema elettorale che necessariamente fotografa la realtà, e quindi assicura il massimo della rappresentanza, ma il minimo della stabilità del Governo, per cui l'alternanza non esiste.
  La democrazia dell'alternanza, invece, consente all'elettore di scegliere una maggioranza e un Governo. I sistemi elettorali realizzano l'obiettivo, certo non lo stesso giorno in cui si è votato, di consentire che l'elettore scelga una maggioranza, i rapporti di forza tra maggioranza e opposizione e un Governo di legislatura. Se questo Governo fa bene, potrà essere investito una seconda volta; se non fa bene – qui emerge il principio della responsabilità politica alla base dei sistemi democratici effettivi – lo condanna votando le forze politiche che prima erano all'opposizione. Questo è il valore dell'alternanza.
  Non voglio sottolineare quello che tutti sappiamo bene. Le democrazie dell'alternanza, europee, Germania, Spagna e Regno Unito, proprio perché ricorrono a questo modello, rispondono meglio alle domande della crisi economico-finanziaria. Un Paese come l'Italia è condannato a non crescere economicamente soprattutto perché ha un sistema politico bloccato, una democrazia consociativa. Secondo studi molto approfonditi, tra cui cito per tutti quelli di Enzo Cheli, l'alternanza incide sulla qualità della democrazia.Pag. 7
  A mio avviso, dobbiamo declinare il discorso intorno alla riforma elettorale tenendo conto di quelli che io considero due convitati e mezzo di pietra. Il primo è il dato politico. Invitavo, appunto, a dire di no all'ingegneria costituzionale e a badare alla realtà politica. Dobbiamo fare i conti con il quadro politico emerso dalle ultime elezioni. Siamo di fronte a un sistema politico in cui tre forze, sostanzialmente omogenee, rappresentano il 75 per cento dell'elettorato, per cui siamo in quello che i politologi definiscono un modello di tipo tripolare. Questo è un dato fondamentale. Il carattere tripolare del sistema politico con le altre forze che hanno una consistenza molto ridotta condiziona, infatti, notevolmente le scelte.
  Questo significa che non dobbiamo, ovviamente, limitarci a fotografare questo dato. A farlo, infatti, con la legge elettorale proporzionale, si corre il rischio di assicurare una rappresentanza politica, ma certamente nessuna governabilità, salvo le larghe intese per le prossime e future legislature.
  Oltre al carattere tripolare, bisogna tener conto della fluidità del dato politico. Non esistono più i partiti politici strutturati. La qualità di una democrazia, come sapete benissimo, si regge, soprattutto se parlamentare, sulla preesistenza di soggetti politici strutturati. I partiti politici del Novecento non esistono più. Il quadro politico si è reso molto fluido. Siamo in un contesto di crisi di fiducia, e quindi di legittimazione nei confronti della classe politica e delle istituzioni politiche, dato che non va sottovalutato.
  Un ulteriore dato è che in questo Paese va registrata – ciò di cui credo tutti siamo abbastanza consapevoli, chi più chi meno – una cultura diffusa e trasversale vocata al consociativismo, che impedisce anche trasversalmente in tutte le forze politiche la trasformazione, l'innovazione in questo Paese.
  Il secondo convitato di pietra è la struttura bicamerale del nostro Parlamento. Un Parlamento eguale e perfetto, come ci insegnavano i maestri di diritto costituzionale, non è affatto una virtù. Nessuna legge elettorale, e lo sottolineo, garantisce, nelle condizioni politiche date, in un sistema tripolare, che in entrambi i rami del Parlamento si possa avere la stessa maggioranza per governare. Capirete che la riforma costituzionale, soprattutto quella del bicameralismo perfetto, non può essere trascurata. Non aggiungerò altro, ma eventualmente potremo ritornarci.
  Il mezzo convitato di pietra è la sentenza della Corte costituzionale. Le motivazioni che abbiamo letto nel corso di questa notte trascorsa in bianco per il dovere di offrire un contributo nell'interesse della Repubblica e per dovere nei confronti delle istituzioni, di questa Commissione e della Camera delineano una sentenza che riduce fortemente la portata dirompente del comunicato stampa che ci era stato diffuso il 3 dicembre.
  La Corte costituzionale, infatti – qui sono in parziale disaccordo con quanto asseriva Mario Dogliani, ma nella lettura della sentenza, e quindi della Costituzione – dichiara l'illegittimità della legge elettorale perché prevede il premio di maggioranza senza soglia minima, non però in sé e per sé, ma in quanto collegato a un sistema proporzionale, che è la regola della legge n. 270 del 2005. La dichiara, inoltre, perché appunto il collegamento del premio a questo sistema elettorale proporzionale può portare gli esiti che abbiamo conosciuto dopo le ultime elezioni politiche, cioè che un partito del 25-28 per cento possa prendere il premio del 55 per cento, e cioè crei qui la disproporzionalità.
  Il presupposto, però, è la scelta proporzionale del modello di legge elettorale. Secondo la Corte, se si sceglie la legge elettorale proporzionale, non si può correggerla fino al punto di distorcerne gli effetti. È questa la questione fondamentale.
  La sentenza è fortemente legata alla legge Calderoli, al porcellum – passatemi questa espressione ormai in voga – ed è strettamente collegata al premio di maggioranza così come configurato, senza soglia Pag. 8perché collegato a una legge proporzionale e, soprattutto, perché crea degli effetti sproporzionati in uscita.
  Sul diritto all'eguaglianza del voto, la Corte richiama la giurisprudenza tedesca – a mio avviso a sproposito perché, appunto, quel sistema elettorale è un po’ diverso – ma lo fa nel principio. Nella ragione del richiamo vi è la premessa che il Parlamento ha scelto, con la legge Calderoli, un sistema che ha per regola fondamentale un proporzionale, poi corretto con premio di maggioranza.
  Ora, il voto di lista è illegittimo perché non consente all'elettore di scegliere, come abbiamo scritto e detto tutti in tutte le salse ed era abbastanza chiaro, ma non è illegittima in sé la lista bloccata. Non commettiamo quest'errore di lettura, non dico di interpretazione. Qui si tratta di usare i normali canoni della lettura dei testi scritti e non serve un giurista per leggere la motivazione; tra l'altro, la Corte lo afferma chiaramente. La lista bloccata è illegittima perché la legge Calderoli contiene un mix di disposizioni che generano una completa irrazionalità – la Corte non parla di irragionevolezza, ma di proporzionalità – dal punto di vista logico oltre che del buonsenso.
  Secondo la Corte, con la lista bloccata, così come previsto dalla legge Calderoli, si deve garantire all'elettore l'espressione «di una preferenza». La motivazione della Corte presenta punti di debolezza clamorosi, sconcertanti proprio relativamente al modo in cui ha costruito l'introduzione della preferenza. Siamo di fronte a una sentenza non di tipo additivo a rime obbligate, come si insegna, che cioè recupera togliendo una disposizione già esistente, ma a un'additiva che crea la disposizione. Anzitutto, è discutibile che nell'ordinamento vigente esista il voto di preferenza. Possiamo ritenere che esistesse certamente per l'elezione della Camera dei deputati, ma non c’è mai stato per l'elezione del Senato. È del tutto incomprensibile come la Corte sia riuscita a prevedere il voto di preferenza per il sistema elettorale del Senato.
  Tra l'altro, la Corte fa rivivere, si direbbe quasi con una reviviscenza postuma, disposizioni abrogate: quelle del 1993, addirittura l'esito del referendum del 1991 sulla preferenza unica, che ha esaurito ogni effetto, per sostenere che per via interpretativa gli elettori sapranno che alle prossime elezioni, se il Parlamento non farà nulla, potranno votare con un sistema proporzionale indicando sulla scheda, non si sa da chi composta, il nome di Tizio o di Caio.
  La Corte, però, fa il suo mestiere. Afferma che la legge è illegittima perché viola il principio democratico in quanto, se si sceglie un sistema proporzionale, non si può ridurre il valore della rappresentanza a discapito di quello della governabilità e così via; suggerisce – non poteva non farlo perché si era vincolata al fatto che, abrogando leggi elettorali, si doveva mantenere una normativa di risulta autoapplicativa – il proporzionale con voto di preferenza come sistema alternativo.
  L'aspetto importante, tuttavia, per cui ritengo che sia un parziale convitato di pietra, è che la Corte costituzionale, tolto il Porcellum in queste fattezze, lascia assolutamente libero il Parlamento di scegliere qualunque sistema elettorale. L'unico vincolo è nei confronti di un'eventuale riproposizione di questa legge elettorale.
  Si potrebbe obiettare che sia ammissibile un sistema elettorale proporzionale secondo il modello spagnolo. Sapete che il modello spagnolo, che non voglio riassumere, prevede liste corte di carattere provinciale, che assegnano mediamente dai 4 ai 5 seggi, salvo le grandi città. Questo ha un effetto certamente disproporzionale perché determina la bipolarizzazione del sistema, e quindi assegna ai due partiti maggioritari l'alternanza al Governo del Paese. Si potrebbe sostenere che questo sistema potrebbe impattare con la decisione della Corte. In realtà, non è così. Nella motivazione, infatti, la Corte lo esclude a chiare lettere. Non voglio aggiungere altro. Semmai, potremo approfondire questo passaggio.Pag. 9
  Ritengo assolutamente impraticabile la via di un sistema proporzionale con o senza il voto di preferenza. Questo aggraverebbe la disomogeneità e la frammentazione politica del nostro Paese. L'ingovernabilità sarebbe assoluta e ci condannerebbe alle larghe intese per non so quanto tempo.
  Non giudico attuale il modello tedesco, che presuppone un sistema politico e una Costituzione come quella tedesca. Non dobbiamo dimenticare che quel sistema funziona come un proporzionale perché è il secondo voto che condiziona il voto del collegio, e quindi la distribuzione avviene proporzionalmente. In un sistema politico così frammentato e tripolare come il nostro, quel modello elettorale non consentirebbe la governabilità.
  Ritengo poco praticabile il modello spagnolo perché, nel contesto tripolare, potrebbe non garantire a nessuno la maggioranza, neppure nella proposta avanzata dal segretario del Partito Democratico, che prevede l'assegnazione di un premio al 15 per cento. Per ottenere, infatti, il premio e avere la maggioranza assoluta, il primo partito dovrebbe raggiungere almeno la soglia del 35-36 per cento. Dobbiamo chiederci chi sia in grado oggi di farlo.
  A mio giudizio, l'alternativa è tra il doppio turno di coalizione e cito la proposta di Renzi perché mi sembra quella di maggiore attualità. Escluderei il dubbio manifestato da Pasquino, cioè che questo comporti necessariamente l'elezione diretta del Premier. Non è così. Il doppio turno di coalizione non implica una revisione costituzionale in questo senso. Semmai, si può pensare di ridurre la forbice: 55-45 anziché 60-40. Il problema è che le minoranze sono eccessivamente compresse.
  Mi convince, invece, e giudico più praticabile il Mattarellum, ma né così come era, per i limiti che quella legge presentava – secondo me, la crisi del bipolarismo all'italiana deriva dalla combinazione proporzionale-collegio uninominale ed era il proporzionale che condizionava, viziandolo, il collegio uninominale del Mattarellum – né coi ritocchi che ho visto presenti in alcuni progetti depositati in Commissione.
  Meglio, tra i ritocchi, mi convince l'uso del 25 per cento per i secondi migliori perdenti, com'era nella proposta del referendum del 1998, o il modello Senato, a unica scheda, che consente quindi collegamenti tra candidati e personalizza il voto.
  Mi convince molto di più l'idea del cosiddetto uovo di Barbera. So che il professor Barbera è stato ascoltato dalla Commissione ieri e ne avrà senz'altro parlato nella sua audizione. La proposta che avanzò nel 1995 si basava sull'idea di combinare il 75 per cento di collegi uninominali e distribuire il 25 per cento come un premio eventuale se nessuna forza politica con il 75 per cento dei collegi avesse raggiunto la maggioranza assoluta. In questo modo, si raggiungerebbe una maggioranza, e quindi si potrebbe sostenere un Governo con un 25 per cento flessibile come premio. Ciò che residua può essere attribuito come diritto di tribuna alle piccole forze politiche.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Morrone, per la chiarezza con cui ha espresso le sue posizioni.
  Trovo il suo contributo scritto, che invito i commissari a esaminare, lodevolmente già inglobante la motivazione della sentenza della Corte costituzionale.
  Cedo la parola al professor Pinelli, ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Roma La Sapienza.

  CESARE PINELLI, Professore ordinario di diritto pubblico. La sentenza n. 1 del 2014 presenta, a primissima lettura, due tensioni a mio giudizio molto forti.
  La prima riguarda il rapporto tra motivazione e dispositivo. In un altro contesto, molto probabilmente questa sarebbe stata una sentenza additiva di principio tanto per quanto riguarda il premio sia per quanto riguarda la preferenza. Non lo è stata.
  Si tratta di una caducazione relativamente al premio e di un'additiva che non Pag. 10è e non vuole essere di principio in riferimento alla preferenza. La Corte si richiama a meri inconvenienti che deriverebbero dal richiamo all'affermazione del principio o, meglio, della regola che è considerata di una preferenza unica cui si è richiamata in sentenze precedenti. Evidentemente, si tratta di assicurare l'autoapplicatività della sentenza, ossia di fare in modo che si disponga attualmente, a seguito della caducazione in parte qua della legge Calderoli, di un sistema elettorale per andare a votare.
  Se la lettura della motivazione poteva portare a ritenere uno che vive in un altro mondo, che potesse esserci un'additiva di principio tanto per l'uno quanto per l'altro aspetto, invece ci troviamo di fronte ad altri tipi di dispositivo perché c’è questa esigenza. La tensione, dunque, c’è, è molto forte, ma deriva da un contesto su cui non intendo neanche dire una parola perché è noto a tutti i presenti, e quindi vado avanti.
  Vi è, inoltre, anch'essa derivante da esigenze di contesto fortissime, la tensione tra il modo con cui la sentenza parte e quello in cui finisce, nella motivazione in questo caso.
  Parte con l'affermazione, che ci farà sicuramente molto discutere, di un diritto di voto del cittadino e dell'esistenza del rischio di zone franche nel giudizio di costituzionalità, che deriverebbero quindi dal fatto che il diritto di voto potrebbe non essere tutelato se la questione fosse dichiarata inammissibile; finisce, nella motivazione in questo caso, con un richiamo fortissimo alla continuità dello Stato.
  Tra questi elementi, evidentemente, esiste una tensione molto forte, ma anche qui tanto nell'uno quanto nell'altro caso, il richiamo è a situazioni di contesto in cui la Corte si trova a operare. Il richiamo al contesto mi porta a ritenere che, tra prudenza e giurisprudenza, le ragioni della prudenza siano state in questo caso molto forti. Credo che non possiamo ignorare la situazione in cui questa sentenza viene a calarsi. Cerco di guardare a questi elementi perché, altrimenti, è molto facile infierire e questa sentenza diventa un toro contro il quale si lanciano le banderillas. Nelle pagine di giurisprudenza costituzionale sarà facilissimo parlarne male, ma esistono queste esigenze.
  Credo, però, che in questa sede l'elemento più importante non sia né il primo tipo di tensione né il secondo, ma un altro elemento, molto presente nella sentenza e molto chiaro: l'affermazione, che si richiama alla Costituente, che non esiste un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale in quanto quest'ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico. La Corte si è tenuta fedele a questo criterio. Questo è il punto. Non ha dato alcuna preferenza a un sistema elettorale rispetto a un altro. Ha fatto, in questo senso, il suo mestiere. Sono d'accordo quindi con quanto osservava adesso il professor Morrone: non esiste la preclusione di un sistema elettorale. Bisogna però essere chiari: sostenere che non esiste alcuna preclusione significa che non esiste neanche alcuna opzione a favore.
  Nel passo relativo alle preferenze, si dice che la disciplina in esame non è comparabile con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, come il sistema tedesco, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, come quello spagnolo. Si parla anche di collegi nominali.
  Sono assolutamente d'accordo che il sistema attuale non sia comparabile a nessuno di questi sistemi. È giustissimo perché è stato assegnato un premio e oltre al premio irragionevole, come è noto, avevamo anche le liste bloccate in modo abnorme. È questa abnormità a essere stata sancita e non la regola che le liste bloccate in quanto tali fossero passibili di un giudizio di legittimità costituzionale e la legge relativa potesse essere annullata.
  Credo che, se muoveremo da queste premesse, e cioè che la Corte, da una parte, ha ritenuto necessario mantenersi fedele alla regola sempre enunciata che occorre comunque un sistema elettorale in Pag. 11vigore per votare in qualunque momento, per cui non è possibile procedere ad annullamenti che portino a esiti diversi da questa regola e, dall'altra, non ha espresso un'opzione a favore di un sistema elettorale particolare, è come se il Parlamento si trovasse di fronte a un tavolo sgombro e rispetto a cui può scegliere il sistema che preferisce.
  Qui passiamo allo stesso ordine di considerazioni che all'inizio formulavano il professor Dogliani e il professor Morrone, che giustamente hanno espresso delle opzioni. Credo che si debba anche tenere conto, se non mi sbaglio – correggetemi se sbaglio, ma questo è quanto ho letto sui giornali – del fatto che il testo base del vostro dibattito dovrebbe essere la proposta Nicoletti.

  PRESIDENTE. La Commissione non ha ancora adottato un testo base. Abbiamo deliberato di svolgere queste audizioni anche a tale fine.

  CESARE PINELLI, Professore ordinario di diritto pubblico. In ogni caso, sottolineerò un elemento che mi sembra significativo: la proposta di legge Nicoletti presenta significative affinità con quella formulata dalla Commissione per le riforme costituzionali. Prevede anch'essa un doppio turno di coalizione, mi pare che preveda una preferenza e vada oltre. Si occupa, cioè, anche del Senato, prevedendo per quel ramo del Parlamento non un sistema tipico come per la legge Calderoli, cioè che il premio vada assegnato su base regionale, ma che la base regionale vada intesa in riferimento al numero dei seggi che ciascuna regione deve avere secondo un'interpretazione dell'articolo 57 della Costituzione. Quest'articolo collega, cosa che, chissà perché, i Costituenti avevano scritto, – un collegamento ci sarà, mentre questo discorso, quando fu varata la legge Calderoli, fu totalmente ignorato – il primo comma con i successivi semplicemente. In questo modo, si arriva alla conclusione che la base regionale vada riferita al numero dei seggi spettanti a ciascuna regione e non al criterio di traduzione dei voti in seggi. È evidente che, se si parte da questo criterio, il discorso cambia completamente.
  Nella proposta Nicoletti, infatti, si prevede che il premio sia nazionale, dopodiché la ripartizione si riversa su base regionale in modo da ottenere, appunto, una ripartizione su base regionale. È una logica totalmente diversa e in questo senso vi è un'equiparazione tra Camera e Senato.
  So bene che questo discorso si lega molto strettamente al tema altrettanto caldo della riforma del Senato, evidentemente, e dei tempi diversi per una legge ordinaria come quella elettorale e per legge costituzionale necessaria per una riforma del Senato, e quindi di tutti i nascondimenti, riserve mentali, giochetti che si fanno in sede politica e non da oggi intorno a questo discorso, come in quest'anno diventa ancora più evidente. Tuttavia, questo è un elemento che va considerato.
  Penso che sistemi diversi da quello di un doppio turno di coalizione, secondo la proposta formulata dalla Commissione per le riforme costituzionali e ripresa, forse autonomamente – non ha importanza – dalla proposta Nicoletti, presentino nel contesto dato rischi fortissimi di incongruità rispetto agli obiettivi perseguiti.
  Sia il Mattarellum sia il sistema spagnolo non vanno visti in astratto, ma riferiti al contesto italiano, che presenta un localismo molto forte sotto il profilo della dislocazione delle forze politiche, per cui gli effetti di questi sistemi rischiano di non andare assolutamente nella direzione dell'ottenimento di una maggioranza.
  Aggiungo che, quando il ministro Quagliariello osserva che l'adozione di un sistema come il Mattarellum comporterebbe l'effetto di sommare il premio implicito dato dall'adozione di un sistema uninominale maggioritario con un premio esplicito dato dal premio nel resto, mi sembra che faccia un'affermazione assolutamente ragionevole.
  Questi elementi sono da considerare. Il caso è eventuale, ma in presenza di questa dislocazione delle forze politiche, con la Pag. 12disgregazione e il localismo italiani, non abbiamo assolutamente la certezza di raggiungere una maggioranza. Questo è il punto. Non stiamo discutendo in astratto delle soluzioni migliori tra proporzionale e maggioritario: dobbiamo guardare agli effetti. Questo è il problema.
  Dobbiamo individuare un sistema che garantisca la rappresentanza e in questo senso la sentenza è più che giustificabile e spiegabile. Allo stesso tempo, però, deve essere possibile dare vita – prescindendo dal discorso di chi governa l'indomani, che non mi interessa assolutamente – subito dopo le elezioni a una maggioranza parlamentare che sia, oltretutto, sufficientemente rappresentativa.
  Ritengo che, in un contesto disgregato come quello italiano, l'ipotesi di un doppio turno offra quella garanzia di democraticità. È l'elettorato che sceglie la maggioranza che viene premiata. Questo è il punto. I seggi non sono regalati dalla legge. Questa è la differenza.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Pinelli. Mi sembra che abbia espresso una preferenza per il doppio turno. Cedo la parola al professor Gino Scaccia, ordinario di diritto pubblico presso la facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Teramo.

  GINO SCACCIA, Professore ordinario di diritto. Ringrazio il presidente e tutti i componenti della Commissione per quest'invito che mi onora e mi offre la possibilità di riflettere su uno dei passaggi istituzionali più delicati della storia repubblicana.
  La legge elettorale è terreno di dominio esclusivo della politica, perché solo chi è interno alla politica conosce, infatti, i rapporti di forza e gli obiettivi politici che si prefiggono le forze egemoni. Su questo terreno, quindi, l'apporto di un costituzionalista mi evoca il nietzschiano ospite sgradito.
  Cercherò allora di interpretare l'unico ruolo per il quale mi sento legittimato a fornire un'opzione e un'opinione tecniche, e in particolare cercherò di individuare gli spazi di agibilità giuridica e politica che risultano dalla sentenza della Corte n. 1 del 2014 ma anche dalla giurisprudenza costituzionale pregressa senza prendere posizione a favore dell'uno o dell'altro modello, ma indicando quali scelte tecniche sono possibili all'interno di questi modelli.
  Anzitutto, mi pare che si debba prendere atto del fatto che la sentenza ha rimesso in campo l'opzione proporzionalista. Quest'opzione è stata posta come base della trattativa politica o, meglio, come situazione di default nel caso di fallimento dell'accordo, e quindi del contrapporsi delle tre minoranze di blocco che attualmente popolano il nostro scenario politico-parlamentare.
  La Corte si è espressa in modo molto chiaro: per rendere operante questo sistema di proporzionale con preferenza unica apportando adesso i necessari piccoli aggiustamenti tecnici addirittura basterebbe una fonte regolamentare.
  In questo modo ci viene riproposto un sistema che coincide con quello che fu oggetto di abrogazione referendaria nel 1993 con un esito plebiscitario. A distanza di così tanti anni e del rinnovarsi di sei Parlamenti, non esiste tuttavia alcun divieto giuridico di rintrodurre la disciplina che fu allora oggetto di abrogazione referendaria. Lo riprova a contrario la sentenza n. 199 del 2012, con la quale la Corte ha affermato bensì il divieto del legislatore di reintrodurre una norma abrogata in via referendaria, ma soltanto perché questa norma era stata reintrodotta ventitré giorni dopo la sua abrogazione, non venti anni dopo. Ragionando in termini puramente tecnico-formali, quindi, non esiste alcun ostacolo a riprodurre questo sistema elettorale e a farlo vigere, ancorché esso singolarmente, come titolano i giornali, ci riporti alla «Prima Repubblica».
  Non vedo nemmeno, in questo concordando con Andrea Morrone e con Cesare Pinelli e non, invece, con il professor Dogliani, un'estensione di questo giudizio Pag. 13che la Corte svolge in termini di disproporzione, di distorsione del voto a sistemi diversi dal proporzionale.
  Qui mi permetterete una piccola notazione di ordine didascalico. A mio giudizio, nel ragionamento svolto dalla Corte, il modello proporzionale genera nell'elettore l'aspettativa che la ripartizione dei seggi parlamentari sia corrispondente alla scelta elettorale effettiva, cioè che i meccanismi di distorsione del voto non alterino completamente il risultato in termini di seggi perché in questo caso sarebbe contraddetta la scelta fondamentale sottesa all'opzione proporzionalista, che è in favore della rappresentatività e solo subordinatamente della governabilità.
  Tuttavia, una qualche distorsione del voto esiste in varia misura in tutti i sistemi elettorali, anche nel proporzionale puro attraverso il meccanismo dei maggiori resti dei quozienti interni. In alcuni casi, questa sproporzione può essere così elevata che alla maggioranza dei voti non corrisponde quella dei seggi. Abbiamo sperimentato già con le elezioni inglesi del 1974 quando prevalsero per i voti i conservatori, 37,8 per cento contro il 37,1 dei laburisti, mentre prevalsero in seggi i laburisti.
  Questi meccanismi, quindi, di sovrarappresentazione del voto non sono in sé illegittimi. Mentre, però, nei sistemi maggioritari «fanno parte del gioco», sono accettati come tali dagli elettori, nei quali generano l'aspettativa di una qualche disproporzione che si può spingere anche al punto in cui si spinse nelle elezioni inglesi perché questo sistema privilegia l'istanza di governabilità su quella di rappresentanza democratica, solo all'interno dei sistemi proporzionali quei meccanismi distorsivi non possono sacrificare in modo eccessivo la rappresentanza sulla governabilità. Non può essere tradito l'affidamento dell'elettore nella scelta fondamentale compiuta dal sistema.
  A questo punto, il problema è il seguente: se si sceglie di intervenire sul proporzionale correggendolo e facendo venire meno i vizi che la Corte ha rilevato nella sentenza n. 1 del 2014, qual è la soglia ragionevole sulla quale è possibile collocare il conseguimento del premio di maggioranza ?
  Nella determinazione di questa soglia credo che dovremmo tener conto di un limite di «memoria storica», e di un limite di ordine logico. Il limite storico ci deriva dalla legge Acerbo del 1923, che assegnava due terzi dei seggi alla lista che raggiunga il 25 per cento dei suffragi e dalla cosiddetta legge truffa, che permetteva a chi raggiungeva la soglia del 50 per cento di ottenere il 65 per cento dei seggi, e quindi approssimandosi alla maggioranza di approvazione delle leggi di revisione costituzionale senza referendum che, come è noto, è del 66 per cento, i due terzi dei voti.
  Il primo è un limite, appunto, di carattere storico, che ci consiglia di non ripetere quell'esperienza visti gli esiti nefasti ai quali ha condotto. Il secondo, invece, deriva appunto dal principio di non distorsione del voto o, meglio, dal grado di distorsione del voto che si può considerare compatibile con l'opzione di fondo in favore di una formula proporzionale con l'aspettativa razionale che questa scelta genera nell'elettore.
  A mio parere, la soglia dovrebbe essere collocata tra il 40 e il 45 per cento, in modo da assegnare come premio di maggioranza, a seconda dei risultati della coalizione vincente, al massimo il 15 per cento dei voti. In questo modo, il coefficiente di sovrarappresentazione del voto di chi ha votato per il partito vincitore oscillerebbe tra il 10 e il 30 per cento, ovvero il risultato del voto di un elettore varrebbe 1,3 rispetto a uno di chi ha votato per il partito che non ha ottenuto il premio di maggioranza. Ricordo che questo rapporto di rappresentazione nelle ultime elezioni è stato pari circa al 90 per cento.
  La Corte con la sentenza n. 1 del 2014 non ha creato soltanto un precedente dal punto di vista del merito, ma anche dal punto di vista della procedura. Avendo aperto l'accesso al giudizio di costituzionalità anche sulle leggi elettorali attraverso un sostanziale ricorso diretto, sia pure «mascherato» da azione di accertamento, Pag. 14non possiamo escludere, anzi possiamo esser certi che un analogo accesso sarà consentito in futuro.
  Sarebbe, quindi, opportuno oggi ponderare attentamente la giurisprudenza costituzionale e le indicazioni fornite per evitare tra 2 o 3 anni di trovarci davanti a un comitato civico che impugna la legge elettorale, che la porta davanti alla Corte costituzionale, la quale di nuovo dovrà esercitare il suo scrutinio di proporzionalità o di ragionevolezza sulla legge.
  Provo, quindi, a individuare alcuni elementi o possibili fattori che potrebbero, a mio avviso, scongiurare un esito negativo di questo giudizio di proporzionalità. Se si assegna un grado di premio di maggioranza che si colloca nella cifra che ho prima indicato, il coefficiente di sovrarappresentazione è, come ripeto, al massimo di 1,3 rispetto a 1, ipotesi che sarebbe molto improbabile che la Corte possa dichiarare illegittima. Dovrebbe smentire tutta la sua giurisprudenza, secondo la quale l'eguaglianza del voto va valutata al momento di espressione del voto e una distorsione è possibile in termini di risultato. Anche all'interno del sistema proporzionale, il paradigma che individua è il 30 per cento, non il 100 per cento della sovrarappresentazione.
  Ovviamente, i problemi sorgerebbero se nel primo turno le forze coalizzate non raggiungessero questa soglia. Qui è evidente che si crea il problema, del quale discutevamo prima con il collega Vassallo, che lo illustrerà nel suo intervento, del sistema bicamerale. Dovremo assicurare, cioè, che in tutti e due i rami del Parlamento si presentino le medesime coalizioni al secondo turno, altrimenti assegneremo un premio di maggioranza frutto di un patchwork irrazionale e imprevedibile.
  Su questo, ovviamente, va studiato un congegno tecnico che impedisca la disomogeneità delle coalizioni che si presentano al secondo turno, altrimenti riprodurremo gli stessi vizi del meccanismo precedente.
  Vado al passaggio ulteriore. Questi meccanismi distorsivi possono essere, invece, significativamente più forti se si sceglie di abbandonare il sistema proporzionale e di collocarsi all'interno di un sistema tendenzialmente maggioritario. Questo non deriva dall'esercizio da parte mia di arti divinatorie, che mi sono sconosciute, ma proprio dalla ricognizione della giurisprudenza costituzionale.
  Già con la sentenza n. 107 del 1996, la Corte aveva positivamente scrutinato il premio di maggioranza del 60 per cento di governabilità assegnato dalla legge elettorale comunale. Con una sentenza precedente, la n. 429 del 1995, la Corte aveva riconosciuto legittimo o, meglio, non illegittimo il meccanismo per il quale una lista, se si coalizza, prende più seggi di una lista che consegue più voti ma non si è coalizzata. Anche questa è una distorsione del principio di uguaglianza del voto, ma la Corte ritiene che, collocata all'interno di un sistema che favoriva la governabilità rispetto all'istanza di rappresentatività, questo meccanismo non comportasse una violazione dell'articolo 48 della Costituzione, quindi una violazione costituzionale.
  Se si decide di intervenire in senso correttivo sul sistema proporzionale attuale modificando i due elementi che la Corte ha ritenuto in contrasto con la Costituzione, e cioè le liste bloccate e «lunghe» che impediscono la conoscibilità dei candidati e premio di maggioranza senza una ragionevole soglia di accesso, sarà necessario modificare anche la distribuzione regionale del premio al Senato. Non è di ostacolo a un'attribuzione del premio in sede nazionale l'articolo 57 della Costituzione nella parte in cui statuisce che il Senato è eletto a base regionale. Questa formula è stata male interpretata e va letta, invece in connessione sistematica con il terzo comma, secondo cui «Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a sette, il Molise ne ha due e la Valle d'Aosta uno».
  Dalla previsione di un numero minimo di senatori per tutte le Regioni indipendentemente dalla loro popolazione si desumere che non c’è in tutto il territorio nazionale il medesimo rapporto rappresentativo. Un elettore della Valle d'Aosta Pag. 15esprime con 80.000 voti, un senatore; un elettore della Lombardia ha bisogno del doppio. Questo meccanismo fa sì che si debba tener conto di tutte le regioni, indipendentemente dalla loro popolazione, assicurando un certo numero di senatori a tutte le regioni indipendentemente dal rapporto rappresentativo. Non abbiamo ostacoli per intervenire, anche con un premio nazionale, sul Senato, sia pure garantendo la ripartizione regionale. È ovvio che dovrebbe essere rappresentativo di tutte le regioni e che il listone non potrebbe essere formato tutto da laziali, lombardi o siciliani e così via.
  Vengo alle possibilità per la terza strada: lista bloccata da inserire in un sistema come, ad esempio, la legge Mattarella, che prevedeva comunque per la quota proporzionale una lista chiusa. La Corte non ha dichiarato l'illegittimità in sé della lista bloccata, ma ha dichiarato l'illegittimità della previsione della lista bloccata come unico meccanismo di espressione del voto.
  Questo vuol dire che tutte le altre combinazioni che prevedano quote variabili di blocco nell'espressione complessiva del voto non sono state in principio dichiarate illegittime dalla Corte. Siccome la Germania prevede un blocco del 50 per cento e la Corte ha fatto espresso riferimento al sistema tedesco considerandolo non illegittimo, un meccanismo che si volesse introdurre con lista bloccata al 50 sarebbe certamente non illegittimo, a meno che la Corte non voglia smentire se stessa.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Scaccia per il suo intervento che è stato tra i più chiari. Do la parola al professor Salvatore Vassallo, ricordando che nella passata legislatura sono stato relatore di progetti di legge, tra cui uno proprio a prima firma del collega Vassallo, di cui non siamo riusciti a concludere l'esame, sui percorsi «privilegiati» per le famiglie che avessero titolo ad adottare un bambino. Ci siamo battuti tanto, ma ahimè siamo stati interrotti sul più bello, come qualche volta capita.

  SALVATORE VASSALLO, Professore ordinario di scienza politica e politica comparata. Cercherò di stare nel tempo e di prendere per buono l'impegno che la Commissione e la Camera dei deputati hanno preso di portare in Aula il 27 di questo mese un testo compiuto. Parlerò molto meno dei miei colleghi della sentenza della Corte, avendone anche meno titolo, comunque avendo loro già esposto la questione. Mi limiterò ad aggiungere in premessa che dal mio punto di vista, ma naturalmente si può argomentare meglio, la sentenza è giuridicamente abnorme e anche internamente irragionevole per un aspetto che qui è stato citato.
  Uno degli argomenti che la Corte ha usato sin dall'inizio è quello dell'eccessiva disproporzionalità, ma a mio avviso si può osservare che è internamente ragionevole. Giustamente, infatti, non potendo la Corte dichiarare incostituzionale o antidemocratico il sistema adottato dalla più antica democrazia europea, cioè la Gran Bretagna, e non potendo dichiarare incostituzionale perché irragionevole quello utilizzato in un'altra antica democrazia, cioè la Francia, ovviamente si contraddice.
  Nel 2005, in Gran Bretagna, il Partito laburista con il 35 per cento dei voti ha ottenuto il 55 per cento dei seggi, come è capitato nel 2010, a parti invertite, anche se in quel caso i conservatori non sono arrivati sopra la soglia del 50 per cento. Il discorso è rivolto anche ai doppio-turnisti. In Francia, capitano sistematicamente situazioni molto simili. Nel 1981, i socialisti al primo turno hanno preso il 37 per cento dei voti e il 54 al secondo. Nel 1993, i candidati dei due principali partiti di centrodestra avevano ottenuto il 40 per cento dei voti, abbastanza, ma con un numero assoluto di voti di poco superiore a quello ottenuto al primo turno. Al secondo, hanno ottenuto l'80 per cento dei deputati perché i sistemi elettorali sono fatti così, non rispondono a una logica giuridica.
  Sono sistemi molto importanti. Non sono un puro meccanismo neutrale proprio perché sono pensati non solo per distorcere, in alcuni casi deliberatamente, il rapporto tra voti e seggi, ma soprattutto Pag. 16per influire sulle scelte consapevoli dei partiti dei singoli candidati e degli elettori. In questo modo, sono pensati per contribuire a strutturare nel corso del tempo l'assetto del sistema politico, la sua capacità di rappresentare i cittadini a decidere per loro conto.
  I sistemi elettorali influiscono soprattutto su tre dimensioni: attraverso la posizione implicita o esplicita di una soglia, riducono la frammentazione; attraverso un vantaggio dato in forma implicita o esplicita alla forza politica che ha più voti o è vincente, consentono la formazione di una maggioranza parlamentare coesa e che governi la legislatura e in questo modo stimolano, suscitano, sollecitano la bipolarizzazione e l'alternanza e possono distribuire in maniera diversa il potere di scegliere i candidati.
  Da questo punto di vista, gli scienziati politici elaborano di continuo sistemi elettorali in cui non si trova il buono da una parte e il cattivo dall'altra, ma estremi opposti, tutti e due da evitare. Sistemi iperproporzionali producono troppa frammentazione e scarsa governabilità; sistemi ipermaggioritari rischiano, come è capitato nel caso dell'Italia del 2013, di dare una maggioranza sterminata, peraltro inutile, a causa di un sistema bicamerale, a una forza politica che ha preso qualche migliaio di più di voti della seconda.
  Si possono anche generare, dal punto di vista della scelta dei singoli candidati, sistemi ipercentralizzati, in cui tutto è nelle mani dei partiti, o sistemi iperpersonalistici, in cui la competizione tra candidati dello stesso partito il giorno del voto è tale per cui i partiti si sfasciano e la rappresentanza non è così virtuosa.
  Siamo passati, in Italia, da un sistema iperproporzionale e iperpersonalistico nella Prima Repubblica, attraverso la legge Mattarella, a un sistema ipermaggioritario e ipercentralizzato con il Porcellum. La Corte costituzionale si è presa la briga di farci ritornare esattamente al punto di partenza, cioè a uno dei due estremi che dovremmo evitare.
  La Corte ha compiuto un atto a mio avviso giuridicamente abnorme e irragionevole, ma dobbiamo tenerne conto e guardare avanti. Secondo il lato positivo delle motivazioni, bontà loro, sostanzialmente tutti i sistemi di cui si sta discutendo sono costituzionalmente legittimi. Penso che si debba discutere dei tre modelli proposti dal segretario del principale partito parlamentare, che peraltro le altre forze politiche hanno dichiarato di fatto di voler discutere.
  Penso che siano tutti e tre non solo costituzionalmente corretti – passano alla prova della Corte, come ci hanno dimostrato i nostri colleghi costituzionalisti – ma anche che vadano nella direzione giusta, che tutti apparentemente quelli che hanno accettato di discutere dimostrano di condividere. Il sistema elettorale deve promuovere la formazione, attraverso le scelte degli elettori, di maggioranze politicamente coese che verosimilmente possono tenere in piedi Governi di legislatura.
  Aggiungerò solo, se può essere d'aiuto alla discussione della Commissione, alcune considerazioni su ciascuno di questi. Penso che il doppio turno cosiddetto di coalizione non sia, anzitutto, nemmeno un lontano parente del doppio turno di collegio francese, tanto per intenderci. Spero che nel dibattito anche in Commissione non si mischino capre e cavoli evocando l'idea che il doppio turno di coalizione sia un parente del doppio turno francese. È tutt'altra cosa.
  A me sembra impraticabile quello nazionale di coalizione, al contrario di quanto sarebbe il doppio turno di collegio, in presenza di bicameralismo perfetto. Verrebbe a esporsi al rischio che al secondo turno, nel quale si deve decidere tutto, ci siano due coppie di sfidanti diversi per Camera e Senato o che vincano due forze politiche diverse a Camera e Senato e non si sa poi come approvare e attribuire il premio, salvo la soluzione che dimostra la radicale irragionevolezza di questo metodo, cioè della combinazione del sistema proporzionale con il premio.
  A quel punto, l'alternativa sarebbe che il risultato del voto può decidere non solo chi vince o chi perde, ma anche la natura del sistema elettorale. Se, infatti, per caso Pag. 17la stessa forza politica non vince alla Camera e al Senato, ci si trova di fronte all'alternativa diabolica tra assegnare due maggioranze diverse alla Camera e al Senato o non assegnarne nessuna e prendere un sistema perfettamente proporzionale, esattamente uno degli esiti che vorremmo scongiurare.
  Questo sistema ha altri difetti, su cui non mi addentro, indipendenti dall'esistenza del bicameralismo. Il principale è, come ho sottolineato, che si continua a mantenere due incentivi totalmente contraddittori nei confronti degli elettori, quello proporzionale e quello che dovrebbe, invece, spingere alla formazione di maggioranze.
  Il sistema spagnolo sarebbe in se stesso molto appropriato, ma nella realtà attuale della politica italiana insufficiente. Al contrario di quanto qualcuno sostiene, infatti, non è così distorsivo, cioè non produce necessariamente una grande differenza tra percentuale di voti e di seggi. Ha solo l'effetto di un'elevata soglia di esclusione per quelli sotto la soglia, ma questo significa che chi è sopra la soglia e la misura, nel caso dei collegi plurinominali di cui si parla, media tra il 5 e il 6, è il 12 per cento. Collegio per collegio, quindi, non prende seggi nessun partito che abbia meno del 12 per cento.
  Per tutti quelli, però, che superano la soglia, la distribuzione è sostanzialmente proporzionale, per cui il sistema spagnolo santifica l'esistenza di un Parlamento con tre forze politiche a rischio che anche il premio non sia sufficiente a portare una delle tre alla maggioranza assoluta dei seggi.
  Vi è, inoltre, l'aggravante che, siccome annienta tutte le forze intermedie, toglie di mezzo i potenziali junior partner, alleati minori di una coalizione. Anche l'idea, quindi, che il premio serva a stabilire il partito pivot evocata dal collega Dogliani non serve più perché il pivot c’è, ma ci sono sempre altre due forze politiche tendenzialmente poco inclini al negoziato con cui questa forza politica dovrebbe accordarsi.
  Per questo, penso che, tra metodi tutti costituzionalmente legittimi e che hanno una loro ratio molto chiara, l'unico modo è tornare alla legge Mattarella che, oltre alla legittimità politico-simbolica data dal fatto che si tratta di una legge a cui hanno dato il loro consenso milioni di cittadini con il referendum del 1993, è una legge mista a base uninominale, alla quale si può ragionevolmente applicare un premio di misura variabile ed eventuale, come ha evocato anche il collega Morrone.
  Anche qualora, infatti, non esistessero le condizioni per attribuire il premio, rimarrebbe comunque in piedi, al di sotto di questo premio non assegnato, una legge elettorale che dà un incentivo alla bipolarizzazione. Questa produce un premio implicito, e quindi spinge le forze politiche e gli elettori ad aggregarsi intorno a forze politiche di una certa grandezza che possono avere l'aspirazione di governare.
  Nel documento che ho depositato, ho presentato anche delle elaborazioni. Ho il piacere di ringraziare il Servizio studi della Camera, che ha fornito i dati 2013 riaggregati nei collegi Mattarella 1993. Ho potuto anche provare a capire, sulla base della realtà attuale, quali sarebbero gli effetti. A me sembra che un modello come quello sia particolarmente appropriato. Si dimostra con i dati che ho presentato che consentirebbe, laddove vincesse il centrosinistra, di avere una maggioranza chiara, lo stesso laddove vincesse il centrodestra. Laddove Grillo sfondasse, sarebbe possibile una maggioranza chiara a suo vantaggio. Nell'eventualità che non ci siano le condizioni per assegnare il premio a causa di una sostanziale parità – non entro nelle tecnicalità, ma ho specificato quali sono le condizioni a cui mi sembra ragionevole che il premio scatti – se ne prende atto, ma comunque il Parlamento non è frammentato.
  L'altra virtù politica della legge Mattarella, oltre a evocare una legge legittimata da un largo consenso popolare, è che, anche qualora non si riuscisse ad arrivare a miglioramenti nel senso di una maggiore garanzia della governabilità, come quelli che ho citato, la pura e semplice legge Pag. 18Mattarella per il Senato senza lo scorporo è una legge elettorale che induce l'aggregazione delle forze politiche, consente alle persone di scegliere i candidati nei collegi nominali, può forse a certe condizioni anche produrre una maggioranza senza bisogno dell'artificio – dobbiamo ammetterlo – del premio associato a una legge a base maggioritaria.
  Dal punto di vista della pratica parlamentare, ha anche l'ulteriore pregio che richiede un intervento legislativo che, basandosi su reviviscenza e rinvii, può facilmente portare a una legge pienamente applicabile con pochi commi. Basta, infatti, far rivivere i collegi della legge Mattarella, anche così come aveva fatto il Governo, tenendo conto che sono imprecisi ma si possono ugualmente usare in prima applicazione. È, dunque, una legge che non solo ha una sua solidità di sistema politico, ma è anche, dal punto di vista tecnico legislativo, facile da praticare.

  NICOLÒ ZANON, Professore ordinario di diritto costituzionale. Ringrazio il presidente e la Commissione di quest'invito e vado subito a una premessa di carattere generale. Faccio fatica, interpretando il ruolo che uno studioso di diritto costituzionale dovrebbe giocare in questa sede, a indicare delle preferenze per un sistema anziché per un altro. Siccome, però, allo stesso modo di Mario Dogliani e di Cesare Pinelli, ho fatto parte della Commissione dei 35, rinvio a quanto illustrato da Mario Dogliani in quella Commissione.
  Alla fine delle nostre discussioni e sulla base di un accordo culturale generale, abbiamo espresso una preferenza per un certo tipo di sistema elettorale, che possiamo definire doppio turno di coalizione, unitamente anche a una considerazione di fondo che mi sentirei di ribadire molto brevemente, ma senza soffermarmici troppo poiché ho capito che forse non è la temperie più adatta.
  Ritenevamo – personalmente, continuo a ritenere – che un certo tipo di sistema elettorale vada di pari passo e sia omogeneo a un certo tipo di forma di Governo e, soprattutto, a una riforma fondamentale del bicameralismo. Quest'ultima a me continua a sembrare una scelta fondamentale proprio dal punto di vista della dignità dell'organo parlamentare nella società italiana, a maggior ragione oggi.
  La legge elettorale, appunto, serve a eleggere il Parlamento, luogo della rappresentanza nazionale. In un momento di forte crisi e di delegittimazione dalla politica, secondo me sarebbe fondamentale dare un segnale di recupero della dignità e centralità del Parlamento anche sotto il profilo delle riforme istituzionali.
  Chiudo subito la parentesi e vengo all'impostazione che pensavo di imprimere a questo brevissimo intervento, anche se molto in realtà è già stato osservato. Cercherò di mettermi in rapporto dialettico con alcune considerazioni che ho sentito.
  Mi scuserete se alcune affermazioni saranno un po’ tranchant, ma per stare nei tempi le motiverò forse troppo poco, rinviando al testo scritto che mi impegno a presentare. La prima affermazione di carattere generale è che non sono così sicuro che, dopo la sentenza della Corte costituzionale, il legislatore disponga di tutta questa libertà – passatemi l'espressione – di giocare con i premi, cioè di intervenire con normative che artificialmente modificano il risultato, la corrispondenza e la rappresentatività tra consenso espresso in voti e seggi attribuiti a un'Assemblea parlamentare.
  Illustrerò in proposito tre ragioni fondamentali: una premessa generale culturale, che mi pare di cogliere nella sentenza; una ragione procedurale; una ragione di sostanza e di merito. La premessa generale culturale che mi sembra di aver percepito leggendo la sentenza, che devo confessare di aver letto tre volte. Alla prima lettura, non mi è piaciuta; alla seconda, ho cominciato a capirla; credo di aver percepito alla terza, senza giudicare, il clima culturale che, quanto meno, emerge da alcuni passaggi fondamentali della motivazione.
  L'ispirazione culturale fondamentale che pervade quella sentenza – c’è poco da fare – è di tipo proporzionalistico. Forse Pag. 19questo dipende in modo decisivo dai parametri costituzionali utilizzati. In particolare, saluto con favore la nuova giovinezza dell'articolo 67 della Costituzione, evocato anche in funzione antipartitica, ma in cui il riferimento alla rappresentanza nazionale scivola impercettibilmente verso l'idea di rappresentatività fotografica, e l'articolo 48, comma secondo, che fa riferimento all'eguaglianza del voto, non a caso anche richiamata attraverso un riferimento alla sentenza più recente del Bundesverfassungsgericht come eguaglianza in uscita. In seguito, farò qualche riferimento più preciso.
  Ciò è a prescindere dal carattere che la normativa di risulta ha inevitabilmente, trattandosi di legge costituzionalmente necessaria, che non può mancare, che dà vita a un proporzionale quasi puro o puro con una preferenza. Resta che l'ispirazione generale fondamentale è questa e credo che ciò non sia indifferente.
  Da questo punto di vista, mi ritrovo nelle affermazioni di Mario Dogliani. Credo che l'ispirazione culturale sia quella.
  Una ragione di carattere procedurale mi porta a essere molto preoccupato di affermare una totale libertà del legislatore di intervenire con libertà sui premi, relativa alla parte della sentenza sull'ammissibilità. Questa è davvero, a mio avviso, una parte molto debole.
  Ero profondamente convinto che la questione fosse inammissibile, tra l'altro in autorevolissima compagnia, non perché la questione non fosse rilevante, come anzi era al massimo grado proprio perché il petitum del giudizio principale e quello della questione di costituzionalità di fronte alla Corte coincidevano. In questo caso, la rilevanza c’è per definizione. Il problema è che mancava, a mio modo di vedere, l'incidentalità, quindi si trattava a mio avviso di un ricorso diretto mascherato.
  In ogni caso, la Corte, sostanzialmente rinviando le motivazioni della Cassazione, su questo punto è liberale. Ovviamente, esiste anche una ragione profonda di psicologia costituzionale e di interesse ad avere le questioni, di slargare una via di accesso fondamentale. Come, però, qualcuno ha già osservato, mi pare il collega Gino Scaccia, da qui in avanti le questioni di costituzionalità sulle leggi elettorali potranno essere molto più difficilmente rigettate in limine da una Corte costituzionale, anche tenendo conto della notevole fantasia giuridica di cui fa sfoggio la nostra magistratura ordinaria e amministrativa e considerando anche l'abilità dei nostri difensori, che sanno identificare le ragioni opportune per farsi dare ragione.
  Ecco, dunque, la premessa di carattere generale, la premessa procedurale, il motivo di sostanza per il quale credo serva molta prudenza nel ragionare di sistemi che introducono di nuovo premi, e quindi distorsioni tra il consenso espresso in termini di voti e seggi attribuiti a un'Assemblea parlamentare.
  Il premio alla Camera salta per le ragioni previste e annunciate, cioè perché la sua attribuzione non è subordinata al raggiungimento di una soglia minima in voti. Sottolineerei proprio il riferimento ai voti. Il problema sembra essere proprio un rapporto di rappresentatività, rapporto tra consenso reale e seggi assegnati. La distorsione di questo rapporto ha limiti forti.
  È vero che non sono condannati i meccanismi premiali in se stessi e, anzi, secondo la Corte l'esigenza di governabilità del Paese è un bene costituzionalmente rilevante e meritevole di tutela, ma non può essere perseguìto con strumenti sproporzionati che sacrificano del tutto altri beni rilevanti come l'uguaglianza del voto.
  A me pare, però, importante, come già osservavo, quel riferimento alla sentenza del Bundesverfassungsgericht sull'uguaglianza del voto. A mio avviso, si tratta di una citazione molto pesante, secondo la quale in ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali pure non è costituzionalizzata la formula elettorale, la Corte ha espressamente riconosciuto che, se adottata la logica proporzionale – naturalmente, è presente questo caveat – anche solo parzialmente, essa genera nell'elettore la legittima aspettativa che non si determini uno squilibrio sugli effetti del Pag. 20voto, cioè una diseguale valutazione del peso del voto in uscita ai fini dell'attribuzione dei seggi, uno squilibrio che non sia necessario a evitare un pregiudizio per la funzionalità dell'organo parlamentare.
  A me pare che questo tipo di valutazione sia particolarmente pesante e indichi un disvalore di fondo culturalmente inteso per ogni meccanismo che in modo eccessivo differenzia il peso e l'efficacia del voto. Non esprimo un giudizio, ma la Corte lo dice molto chiaramente. La citazione va molto oltre l'affermazione rassicurante della dichiarazione di incostituzionalità del premio solo per la mancanza della soglia minima. Va inevitabilmente osservato.
  Naturalmente, il concetto di distorsione merita qualche attenzione. Esiste una distorsione naturale, propria di ogni sistema elettorale, come la Corte lo riconosce. Il collega Vassallo citava esempi chiarissimi di sistemi elettorali certamente democratici, di grandi democrazie occidentali, in cui l'effetto distorsivo è del tutto evidente. Nei sistemi maggioritari più diffusi, la maggioranza assoluta dei seggi si guadagna con percentuali proporzionalmente calcolate di voti di solito molto inferiori.
  Detto altrimenti, ci sono premi impliciti o naturali evidenti nei sistemi maggioritari, anche in alcuni proporzionali. Sul caso spagnolo, l'effetto distorsivo, se volete il premio implicito naturale, può essere forte. Appunto, nel caso spagnolo, grazie al meccanismo D'Hondt, al mancato recupero nazionale dei resti (circoscrizioni piccole, 4 o 5 seggi ciascuna) senza recupero nazionale, di fatto uno sbarramento del 15 per cento – possiamo dire così più o meno ? – che è comunque un elemento distorsivo rispetto alla fotografia del consenso reale dei voti.
  Nel dibattito politico, tra le proposte c’è quest'idea di adottare uno spagnolo o anche il Mattarellum, ma di correggere entrambi con premi di maggioranza ulteriori, quindi di natura artificiale. Mi preoccupa che ci si proponga di intervenire su sistemi che già naturalmente contengono premi impliciti o forme di distorsione largamente intese – so che lo sbarramento di fatto è una cosa diversa concettualmente, ma l'effetto finale mi sembra il medesimo – aggiungendo loro premi di natura artificiale.
  Mi permetto di osservare, unico aspetto su cui ho maturato un relativo convincimento in un insieme su cui tutto può essere discusso, che non sono certo che la sentenza della Corte, così come secondo la motivazione, non costituisca un problema per questo tipo di prospettive. Sarei molto cauto in questa direzione. Ho la sensazione – non esprimo un giudizio, che non mi compete vista la veste in cui sono presente in questa sede – che questa motivazione ponga un problema a tutti coloro che si ingegnano di correggere ulteriormente sistemi che già presentano effetti distorsivi dal loro punto di vista.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il professor Zanon anche per la franchezza della critica nei confronti dell'attesa sentenza dalla Corte costituzionale.
  Cedo la parola all'avvocato Besostri.

  FELICE CARLO BESOSTRI, Avvocato. Ringrazio il presidente della Commissione che mi ha offerto quest'opportunità e il gruppo di SEL che mi ha indicato come esperto.
  Ho consegnato una memoria scritta, che dovrò in parte modificare perché consegnata prima di conoscere l'esito della sentenza sul nostro ricorso, anche se, obiettivamente, quella sentenza risponde ai contenuti del ricorso.
  Spero proprio che queste audizioni servano a licenziare un testo di legge elettorale che non costringa i cittadini elettori a impugnarlo per contrasto della Costituzione, che affida la sovranità al popolo con l'unico limite del rispetto della Costituzione. In una democrazia parlamentare rappresentativa, la partecipazione alle elezioni è la massima espressione della volontà popolare.
  È nell'interesse di tutti evitare il ripetersi di un'odissea giudiziaria, che in alcuni momenti è stato un vero e proprio calvario (quando ritorneremo in Cassazione, saremo al decimo passaggio davanti Pag. 21a una Corte in questi cinque anni), come quello che ha condotto la Corte costituzionale ad annullare in parte qua disposizioni significative dei testi unici per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica introdotte con la legge n. 270 del 2005.
  Da avvocato ricorrente, ho discusso il 21 marzo 2013 il ricorso in Cassazione, nell'ambito della quale è stata emessa l'ordinanza 12060 dello scorso anno, che ha dato avvio al giudizio di costituzionalità. Insieme con gli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani, ho illustrato le ragioni di incostituzionalità nella seduta del 3 dicembre 2013 davanti alla Corte costituzionale.
  Avrei avuto piacere di poter leggere con calma, prima di quest'audizione, le motivazioni di una sentenza che, a parte noi e il professor Augusto Cerri, ha sorpreso tanti illustri costituzionalisti di diversa formazione e orientamento.
  Colpisce, anzitutto, e deve essere chiaro che adesso abbiamo una legge elettorale applicabile dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, anche se esistono problemi che dovrebbero essere risolti in corso di reintroduzione del premio di maggioranza. Si tratta del problema della distribuzione dei seggi una volta assegnato il premio di maggioranza, come sollevato nella Giunta delle elezioni della Camera dei deputati nella seduta n. 1 del 3 luglio nell'audizione del presidente dell'Ufficio elettorale centrale, dottor Giuseppe Salmè e oggetto del conflitto di attribuzione promosso dalla regione Friuli-Venezia Giulia. La legge di risulta conseguente all'annullamento parziale, dovrebbe unificare la soglia di accesso di Camera e Senato, a mio avviso responsabile, più della regionalizzazione del premio, dell'esistenza di maggioranza diversificate nelle due Camere.
  Ritengo che nel corso delle audizioni, perlomeno mi atterrò a questa linea, i costituzionalisti o i politologi non debbano illustrare i meriti del loro sistema elettorale preferito. Per me, non ha alcun senso. Secondo l'insegnamento del mio indimenticato e indimenticabile maestro, il professor Paolo Biscaretti di Ruffia, non sono le norme giuridiche in astratto a definire il funzionamento delle istituzioni e delle leggi elettorali, ma il loro concreto esercizio da parte dei soggetti politici, sia che si tratti dei partiti politici ex articolo 49 della Costituzione o delle formazioni sociali menzionate dall'articolo 2, ovvero dei singoli cittadini nell'esercizio del loro diritto di voto, articolo 48, e di candidatura, articolo 51.
  Un sistema elettorale che funziona benissimo in un determinato Paese con una determinata cultura politica può essere disastroso se importato in un altro contesto. Un esempio per tutti è la forma di Governo presidenziale degli Stati Uniti, imitata in molti Paesi latinoamericani.
  Per essere certi che un sistema istituzionale o elettorale straniero funzioni da noi, bisognerebbe contestualmente importare i soggetti politici e gli elettori di quel Paese o, perlomeno, la loro mentalità, cosa assolutamente impossibile. Lo stesso succede per i trapianti di organi: è più importante accertare l'esistenza di eventuali reazioni di rigetto che l'assoluta idoneità dell'organo da trapiantare.
  Un sistema elettorale maggioritario o collegi uninominali senza ballottaggio funzionano in un sistema bipartitico in assenza di partiti a forte impianto regionale. Non è un caso che in Gran Bretagna esista un Governo di coalizione. Il successo dello Scottish National Party, il partito nazionalista scozzese, ha privato il Labour Party di una delle sue roccaforti tradizionali: in Scozia, il Labour Party eleggeva infatti quasi tutti i parlamentari.
  Un sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali e ballottaggio eventuale produce chiare maggioranze se le triangolari sono un'eccezione, come nelle elezioni del 2012 dell'Assemblea Nazionale francese, quando sono state appena 46 su 577 collegi, quindi poco meno dell'8 per cento.
  In base alle elezioni italiane del 2013, le triangolari potrebbero essere la regola e in alcune province pedemontane dell'Italia settentrionale non si possono escludere competizioni quadrangolari. In tale contesto, è da escludere che la sera dello Pag. 22scrutinio si possa sapere chi governerà il Paese, una pretesa che non garantiscono né i sistemi elettorali fortemente maggioritari, come il britannico, o le forme di Governo presidenziali o semipresidenziali, neppure chi abbia vinto le elezioni.
  È mia opinione, piuttosto, che debbano essere evidenziati i requisiti minimi di costituzionalità di una legge elettorale e quali siano gli istituti necessari, quali che siano i sistemi elettorali prescelti. Dalle discrezionalità del legislatore, con limite la Costituzione, deve essere rispettata, ma non è questo un limite della Costituzione, ma è la prassi che avrebbe escluso dal controllo di costituzionalità proprio le leggi elettorali insieme con un abnorme interpretazione giurisprudenziale dell'articolo 66 della Costituzione. Mi sembra che la sentenza della Corte superi quella che era obiettivamente una difformità in uno Stato di diritto democratico rappresentativo, dove proprio le leggi elettorali erano sottratte a ogni controllo di costituzionalità.
  Il più grande politologo di tutti i tempi, anche se misconosciuto sotto questo aspetto, è monsieur de La Palice, che avrebbe affermato, se mai si fosse occupato della questione, che chi non è candidato non può essere eletto quale che sia il sistema elettorale.
  Finora, si è prestata troppo poca attenzione alle operazioni elettorali preparatorie, ma ci si è concentrati sulla traduzione di voti in seggi, mentre le operazioni elettorali preparatorie, la prima delle quali è la procedura di scelta dei candidati, sono altrettanto importanti. Se non si darà attuazione all'articolo 49 della Costituzione con una legge sui partiti politici, qualunque scelta sarà di poca trasparenza e di concentrazione del potere di scelta nelle mani di una ristretta oligarchia.
  Tale concentrazione ha raggiunto il suo vertice con le liste bloccate in circoscrizioni molto estese, coincidenti di norma con la regione, sempre per il Senato, e per la Camera con eccezione di alcune regioni con 2 circoscrizioni, Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia, e una sola con 3, la mia Lombardia.
  Nella mia regione, le liste bloccate dei senatori comprendevano 49 candidati; nelle circoscrizioni Lombardia 1 e 2, una quarantina di candidati alla Camera ciascuno. In tale contesto, non è nemmeno garantita la conoscibilità dei candidati, e quindi il rispetto di un voto personale oltre che libero per gli elettori e il rispetto dell'articolo 51 della Costituzione per i candidati, specialmente se donne, in assenza di previsione di alternanza obbligatoria di genere nelle liste bloccate.
  I fautori delle liste bloccate, perché ostili al voto di preferenza individuale, sperano che le obiezioni della Corte costituzionale possano cadere a fronte di liste bloccate corte e citano gli esempi di Spagna e Germania. In Germania, tra l'altro, alla fine la ripartizione è proporzionale, perciò non rappresenta tanto un buon esempio.
  Sono convinto che le liste bloccate corte superino il problema della conoscenza dei candidati, ma non quello della loro scelta, come presuppone una lettura dell'articolo 48 della Costituzione secondo la giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht tedesco dell'espressione di voto diretto dell'articolo 38 della Grundgesetz, la loro Carta costituzionale.
  Questa citazione è importante non solo perché la giurisprudenza della Corte costituzionale federale tedesca è stata ampiamente illustrata nei nostri ricorsi, ma perché introduce anche per il futuro un'attenzione particolare sulla giurisprudenza della Corte costituzionale federale tedesca, che pone dubbi anche sulle questioni dei premi di maggioranza quando devono essere ripartiti con effetti anche sulle circoscrizioni diverse da quelle dove si sono prodotti i comportamenti elettorali che hanno dato origine al premio di maggioranza.
  Noto soltanto, sul lungo o sul corto, che con la sentenza della Corte sono state annullate tutte le liste bloccate, comprese quelle delle regioni con il numero minimo di 7 previsto dall'articolo 57, comma terzo, della Costituzione.
  Un problema di coerenza del legislatore si pone con la riesumazione delle province Pag. 23come circoscrizioni elettorali se si vuole importare, sia pure con modifiche, il modello spagnolo senza ricorrere a contorsioni proprie di un torero nelle figure più complicate, dove la muleta è rappresentata dall'abolizione o accorpamento delle province.
  In presenza di una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, la lunghezza della lista bloccata corta perde, a mio avviso, importanza. Per essere più netti, l'attuazione di una legge sui partiti politici è un presupposto per ogni riforma elettorale. Dove ci sono leggi sui partiti politici, la scelta è pubblica e trasparente ed è compiuta con largo anticipo rispetto alla data di svolgimento delle elezioni dell'inizio della stessa campagna elettorale.
  Si consente, così, un controllo dell'opinione pubblica sulle candidature, il tempo per proporre impugnazioni davanti a un giudice e, da ultimo, a un candidato non noto al grande pubblico e con limitate risorse di farsi conoscere, un effetto non secondario di estensione dell'uguaglianza dei cittadini nell'accesso alle cariche elettive.
  Da noi, le liste si completano all'ultimo momento o, addirittura, come nelle ultime regionali del Lazio, sono cambiate nel tragitto dalla sede di partito all'ufficio elettorale. Se si organizzano delle primarie, queste devono essere regolate per legge, e cioè con una platea di elettori predefinita e una regolamentazione dei costi e dei mezzi di propaganda. È contraddittorio che ci si opponga al voto di preferenza per le possibili distorsioni e si lascino le cosiddette primarie in una zona d'ombra. Teoricamente, non solo nelle elezioni politiche nazionali, le spese dei candidati hanno un tetto di spesa, del tutto assenti nelle primarie fai da te. Queste nostre primarie non rispettano i canoni di quei Paesi come gli Stati Uniti d'America, che le primarie hanno inventato.
  Altra questione importante è il riequilibrio di genere ai sensi dell'articolo 51 della Costituzione.
  Richiamo l'attenzione, visto che la Commissione è competente, sul fatto che nella prossima legge elettorale europea è caduta la previsione quanto meno di una proporzione tra le candidature. La legge precedente è scaduta con le elezioni del 2009. Nel decreto-legge Milleproroghe, forse, si potrà introdurre, in sede di conversione, qualche misura da questo punto di vista.
  Mentre la questione di genere è facilmente risolvibile in un sistema di liste bloccate perché, imponendo l'alternanza di genere obbligatorio, si ha il perfezionamento dell'articolo 51 della Costituzione, ci sono, invece, dei problemi nel caso del voto di preferenza. Si può introdurre quello della doppia preferenza di genere. La più grossa difficoltà di rispettare l'articolo 51 della Costituzione nasce quando siamo nel caso dei collegi uninominali. Esiste anche la proposta della doppia candidatura, ma allora i collegi uninominali diventerebbero binominali e sorgerebbe il problema se la coppia è vincolante: nel caso che vinca, porta via tutti due seggi, o non è vincolante. Nel caso che non sia vincolante, ricordo l'esperienza pessima del sistema binominale del Senato cileno, che appunto portava di fatto non alla formazione di una maggioranza, ma a due partiti quasi della stessa forza.
  Altro punto fondamentale è rappresentato, quale che sia il sistema elettorale prescelto, dagli istituti dei ricorsi amministrativi e delle impugnazioni giurisdizionali. L'attuale sistema dei ricorsi alle Commissioni o uffici elettorali va riformato. Secondo le indicazioni della Commissione di Venezia, occorre introdurre un controllo giurisdizionale in ultima istanza, direi sulla stessa proclamazione degli eletti, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, se resta, come auspico, un organo rappresentativo elettivo.
  In ogni caso, è necessario un controllo giurisdizionale sulle operazioni elettorali preparatorie, in particolare sull'ammissibilità delle liste dei candidati. Deve cessare lo scandalo che, sulle operazioni elettorali preparatorie, la competenza sia della Giunta delle elezioni dopo lo svolgimento delle stesse. I commissari delle Giunte delle elezioni sono in evidente conflitto di Pag. 24interesse, come è stato reso evidente nelle loro decisioni del 17 giugno 2009 per la Camera e del 3 novembre 2009 su un ricorso del signor Franco Ragusa relative alla legge elettorale. Hanno ritenuto, infatti, che la legge elettorale fosse perfettamente costituzionale e mi sembra, perciò, che si siano da questo punto di vista sbagliati.
  Non si tratta di inventare nulla, ma di dare attuazione alla norma già esistente dell'articolo 44, comma secondo, lettera d), della legge n. 69 del 2009, con cui si è riformato il processo amministrativo e che, stranamente e in violazione dell'articolo 76 della Costituzione, non ha avuto attuazione nel decreto legislativo n. 104 del 2010.

  PRESIDENTE. Ringraziamo l'avvocato Besostri e prenderemo ulteriori spunti dalla sua relazione scritta.
  Sospendo brevemente la seduta fino alle 12.20. Riprenderemo con gli interventi dei colleghi che vorranno porre domande o formulare osservazioni.

  La seduta, sospesa alle 12.05 riprende alle 12.30.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Pregherei i colleghi che interverranno di limitarsi alle domande. Ricordo infatti che questa non è la sede per porre questioni di principio legate all'appartenenza politica, ma solo, sulla scorta di quanto è stato riferito oggi dai nostri esperti, per chiedere puntualizzazioni utili per la prosecuzione dei nostri lavori. In questa chiave, invito tutti coloro che interverranno ad essere sintetici.

  MATTEO BRAGANTINI. Leggo testualmente il seguente inciso della Corte costituzionale: «Esse, inoltre, delineerebbero un meccanismo premiale manifestamente irragionevole il quale, da un lato, incentivando il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al premio, si porrebbe in contraddizione con l'esigenza di assicurare la governabilità, stante la possibilità che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga, o uno o più partiti che ne facevano parte, ne escano; dall'altro, provocherebbe una alterazione degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio sarebbe in grado di eleggere gli organi di garanzia che, tra l'altro, restano in carica per un tempo più lungo della legislatura».
  Sottolineo che anche il Mattarellum prevede delle coalizioni e gli stessi partiti possono scindersi, dunque non riesco a capire la ragione di quest'inciso. Vorrei conoscere in merito il parere dei costituzionalisti presenti all'audizione odierna.
  La Corte, inoltre afferma che il sistema premiale della maggioranza al Senato sarebbe in contrasto con la governabilità in quanto potrebbe creare una maggioranza differenziata tra Camera e Senato. Anche questa mi sembra una dichiarazione abbastanza strana. Già nella Costituzione, all'articolo 48, si prevede un elettorato attivo differente tra Camera e Senato e, addirittura, all'inizio si prevedeva una durata differente per le due Camere; si voleva quindi far sì che ci fosse una maggioranza così ampia per poter governare. È probabile, dunque, finché ci saranno il bicameralismo perfetto e un elettorato attivo differente, la possibilità che Camera e Senato abbiano una maggioranza differente.
  Inoltre, la Corte afferma che deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4, commi 2 e 59, del decreto presidenziale n. 361 del 1957, nonché dell'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 533 del 1993 nella parte in cui non consente all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati al fine di determinarne l'elezione. Questo significa che, se si ricorresse nuovamente al Mattarellum, la seconda scheda della Camera non potrebbe essere a liste bloccate, ma dovrebbe esserci la preferenza o il mio è un semplice scrupolo ? Presumo che la lettura possa essere solo questa. È la parte vigente che hanno dichiarato incostituzionale, ma vorrei sentire il vostro parere.Pag. 25
  Infine, secondo alcuni di voi, il premio di maggioranza si potrebbe reinserire, ma solo se una delle coalizioni supera il 40 per cento: questa percentuale è considerata dai voti o già è spuntata dei voti dei partiti delle coalizioni che non hanno superato lo sbarramento ? Questo, ovviamente, crea un ulteriore ragionamento e valutazione.

  ENZO LATTUCA. Le mie domande saranno rivolte a tutti gli esperti e a nessuno in particolare. Stando alla caratterizzazione tripolare del nostro sistema politico, come si può ritenere che non sia necessariamente un doppio turno lo strumento per arrivare alla concretizzazione della democrazia dell'alternanza, sempre che questo sia l'obiettivo essendoci tre poli ?
  Aggiungo una considerazione. Si fa e si è fatto riferimento sia oggi sia nell'audizione di ieri al rischio che il sistema a doppio turno impiantato sul bicameralismo dia maggioranze diverse o, addirittura, ballottaggi con formazioni politiche diverse a confronto. Mi spavento se percepisco che i nostri interlocutori ritengano infondata la possibilità che in questa legislatura vi sia il superamento del bicameralismo perfetto. Bisognerebbe, infatti, ricordare che, ad esempio, anche all'interno della lettera del segretario del Partito Democratico con l'indicazione dei tre modelli, spesso citata in questa audizione, c’è l'indicazione anche del proseguimento di quel percorso che faceva parte delle indicazioni della Commissione dei 35 e che, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, nessuno ha detto di voler archiviare.
  Sottolineo e chiedo conferma che anche il Mattarellum con correzione premiale può portare a questo problema in un turno unico. Se penso, però, alle elezioni dal 1994 a oggi, in diverse occasioni sia con il Mattarellum sia con la legge elettorale dichiarata incostituzionale dalla Corte si è arrivati a una diversa attribuzione dei seggi con partito prevalente o coalizione prevalente diversa tra Camera e Senato o a una incoerenza tra il partito che si vedeva attribuiti più seggi e quello che aveva attribuiti più voti tra Camera e Senato.
  Mi sembra che sia un rischio diffuso ineliminabile senza affrontare il tema del bicameralismo e che col premio sul Mattarellum si potrebbe verificare la situazione per cui alla Camera il premio è assegnato a una coalizione e al Senato a un'altra. Non vedo soluzioni a questo rischio teorico.
  Quanto alle liste bloccate, mi pare che la sentenza della Corte sia abbastanza chiara su questo punto e siano condivisibili le osservazioni dei professori qui auditi. Mi pare eccessiva la demonizzazione delle preferenze, che però si sente ripetere. Vorrei ricordare che per il consiglio comunale, per il consiglio regionale, o per i membri italiani del Parlamento europeo, nel nostro ordinamento, i sistemi di elezioni prevedono preferenze.
  Non ritengo che sia questa la panacea di tutti i mali o l'unico modo per garantire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, ma non mi pare nemmeno coerente escludere a priori questo tipo di strumento, consapevoli anche delle conseguenze e delle cautele che bisogna considerare.
  Ho una domanda da porre sui collegi nominali. In tema di tutela di genere, nelle audizioni ieri abbiamo sentito due ipotesi, semplificando, una a coppia fissa, l'altra a coppia aperta, sinceramente entrambe abbastanza mostruose. Mi chiedo se non esistano alternative meno mostruose sempre nell'ambito della monogamia.
  Una mia perplessità riguarda, sin dall'inizio, il comunicato della Corte – non lo definisco neanche dispositivo: ora la sentenza è il giudizio di incostituzionalità rispetto ai premi regionali del Senato. Essendo, infatti, la dimensione delle circoscrizioni regionali del Senato una sottodimensione rispetto a quello nazionale, quindi alla composizione interna del Senato, ciò che avviene nella singola circoscrizione del Senato è ciò che avviene in un collegio, anzi temperato dal punto di vista proporzionale. Certi voti, infatti, portano seggi e certi voti non lo fanno e il Pag. 26risultato complessivo è quasi proporzionale. Basta vedere la composizione del Senato.
  Anche qui dobbiamo deciderci: o cerchiamo un sistema che ci porti ad avere la maggioranza, e quindi che crei selezione, ma in un contesto tripolare non può che essere un doppio turno, altrimenti ci troviamo con premi abnormi, o dobbiamo accettare il principio che il sistema che scegliamo con un contesto tripolare può avere un effetto tutt'altro che premiale per una maggioranza, ma addirittura portare a un risultato strettamente proporzionale.

  ANDREA GIORGIS. Vorrei tornare su un aspetto che i nostri ospiti hanno in parte già affrontato perché mi sembra uno di quelli che sarebbe interessante cercare di chiarire.
  È indubbio che le sentenze della Corte costituzionale, come ogni sentenza, possano essere criticate, si può aderire all'argomentazione oppure se ne possono mettere in evidenza aporie, limiti, contraddizioni varie. Fa parte del naturale discutere di ogni decisione della Corte.
  Tuttavia, lasciando da parte le considerazioni critiche che si possono e che ho sentito svolgere e che in parte mi sembrano molto condivisibili, vorrei soffermarmi sul tentativo di definire al meglio, per quanto possibile, il contenuto prescrittivo della decisione della Corte.
  Sarebbe interessante se l'insieme degli studiosi presenti oggi in sede di audizione convenisse almeno su qualche punto. Chiedo, a questo proposito, se nella motivazione la Corte, al di là di tutte le critiche che si possono avanzare o le contraddizioni che si possono scorgere, non dica almeno una cosa chiara, che è poi la ratio decidendi che sostiene tutto l'impianto. Per cinque volte in poco più di una pagina e mezza al considerato in diritto, punto 3.1, troviamo richiamato il principio di uguaglianza. Si afferma che, in tal modo, si può verificare in concreto una torsione tra voti espressi di attribuzione dei seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da compromettere la compatibilità con il principio di uguaglianza del voto. Poche righe sotto, si ripete che tale giudizio deve svolgersi in relazione alla proporzionalità dei mezzi prescelti tenendo conto dei limiti a un'eccessiva violazione del principio di uguaglianza.
  In maniera esplicita, si parla poi di un'eccessiva divaricazione tra la composizione dell'organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di Governo parlamentare, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione.
  In maniera ancora più esplicita, si fa riferimento alla determinazione del premio come a un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione basato sul principio fondamentale di uguaglianza del voto.
  A me pare difficile, lasciando da parte le pur, in alcuni casi, fondate critiche alle argomentazioni della Corte, che essa giustifichi un dispositivo di accoglimento sulla base del principio costituzionale secondo cui deve esserci una qualche relazione tra il principio di uguaglianza del voto in entrata e quello in uscita. Credo che da qui non si possa uscire, ma vorrei che questo fosse un punto fermo.
  La forza e l'efficacia delle argomentazioni scientifiche dipende anche dal fatto che ci sia una qualche convergenza di analisi. È evidente che se ci sono, su questo punto, le opinioni più diverse, saranno tutte ugualmente legittime, ma la capacità di persuasione e di orientamento si ridurrà in maniera significativa. Può anche darsi che non ci sia questa condivisione, ma vorrei sentire in maniera esplicita questa diversa lettura della sentenza della Corte. Mi sembra che confermi questa mia interpretazione il fatto che, quando la Corte analizza il problema della preferenza, si premura di precisare che la lista breve o il collegio uninominale non violano il principio secondo il quale all'elettore deve essere consentito di esercitare una qualche scelta sul candidato.Pag. 27
  Il punto, però, è che l'eventuale profilo di illegittimità di un sistema elettorale puramente ed esclusivamente imperniato su collegi uninominali non deriva, come è abbastanza evidente dalla motivazione della Corte, dal problema relativo alla scelta del candidato, che pure da un punto di vista logico si potrebbe sollevare. Se il tema costituzionalmente rilevante è, infatti, la scelta tra più candidati, col collegio uninominale non c’è proprio nessuna scelta, c’è persino solo un candidato, quindi è un po’ difficile sostenere che soddisfa il principio.
  Poniamo, però, che ciò che conta non sia tanto lo scegliere ma il conoscere: al di là della forza o della debolezza dell'argomentazione della Corte, il tema dell'eventuale sistema integralmente a collegio uninominale è che, se l'effetto disproporzionalizzante fosse superiore a quello della legge dichiarata illegittima, non si può non dubitare della sua legittimità.
  Un collegio uninominale che determinasse, nel contesto dato – la valutazione è sempre in concreto – il 100 per cento dei seggi a una forza politica che ottiene il 23-24 per cento, non solleverebbe forse qualche profilo di illegittimità ?
  A me non interessa, in questo caso, passare dall'argomentazione fattuale all'argomentazione di merito, alla desiderabilità, alla ragionevolezza dell'argomentazione della Corte. Vorrei che qui, però, ci si soffermasse per qualche minuto su ciò che la Corte ha asserito. Si potranno poi criticare le affermazioni della Corte, definirle assurde e che, portate alle logiche conseguenze, determinerebbero l'illegittimità del sistema inglese, ma almeno su questo conveniamo da un punto di vista di argomentazione scientifica. Si aprirà poi il tema dell'argomentazione politica e il Parlamento sarà anche libero di non tenere conto delle indicazioni della Corte quando queste gli appaiano del tutto irragionevoli.

  PRESIDENTE. Il quesito, quindi, è se vi sia convergenza su questi punti. Così credo di aver compreso.

  ANDREA GIORGIS. Sì, su questa lettura circa il principio di uguaglianza.

  ALFREDO D'ATTORRE. Naturalmente, credo siano possibili diverse valutazioni – ne abbiamo sentite di molto autorevoli da parte dei professori intervenuti – nel merito del giudizio della Corte costituzionale.
  È evidente che, però, ci troviamo di fronte a un fatto: che questo giudizio sana un vulnus molto grave protrattosi per un tempo lungo e restituisce al Paese una legge elettorale conforme a parametri di costituzionalità e anche pienamente democratica.
  Da tre legislature il Parlamento si era posto l'obiettivo di superare questa normativa senza riuscirci. Da ieri sera, siamo di nuovo nella condizione in cui esiste una normativa elettorale autoapplicativa, che naturalmente molti di noi, me compreso, possono ritenere non adeguata alle esigenze del Paese in questo momento, ma che è pienamente conforme ai canoni di costituzionalità e che può piacere o meno, ma è pienamente democratica.
  È difficile sostenere, infatti, che un sistema proporzionale con scelta del candidato da parte dell'elettore col voto di preferenza non corrisponda a criteri di democraticità. Il primo punto su cui chiederei conferma ai docenti, quindi, è che ci troviamo nella situazione per cui la Corte ci ha offerto la possibilità di una legge elettorale di salvaguardia che consente di andare al voto. Volendo, basta un atto amministrativo e siamo in condizione, con una normativa pienamente legittima, di andare al voto anche di qui a settanta giorni se si determinassero le condizioni politiche. Diversamente, essendo il Parlamento eletto comunque pienamente legittimo dal punto di vista giuridico e costituzionale, come in maniera inequivoca la Corte ha chiarito, si può proseguire la legislatura e vedere se nel prosieguo di questa, anche fino alla sua scadenza naturale, il Parlamento è nella condizione di approvare una nuova normativa.
  È, quindi, un giudizio che riapre il campo a una pluralità di possibilità e ci toglie dalla condizione molto grave, sostanzialmente, di avere una legge elettorale che impediva di restituire la parola ai cittadini.Pag. 28
  La seconda questione che vorrei porre riguarda il premio di maggioranza anticipata dal collega Giorgis. A me pare di capire, dalla lettura, che è evidente che il fatto che la Corte ci abbia restituito un sistema elettorale proporzionale non implica il divieto per il Parlamento di scegliere sistemi elettorali maggioritari. La natura della trasformazione del voto dei cittadini in un esito maggioritario in termini di seggi parlamentari mi pare, però, perimetrata in maniera non così ampia come talvolta dalle prime ricostruzioni della stampa stamattina si sia provato a rappresentare.
  Credo che le considerazioni contenute nella sentenza e richiamate da ultimo dal collega Giorgis pongano seri dubbi su meccanismi elettorali che dovessero aggiungere a un meccanismo di base già maggioritario e disproporzionale un ulteriore pesante effetto maggioritario. Evidentemente, se aggiungiamo a un meccanismo di base maggioritario un ulteriore effetto premiante maggioritario, quell'assoluta non corrispondenza tra il voto dei cittadini e la traduzione in seggi – esattamente l'aspetto qui censurato non soltanto, come ho sentito dire, perché la base del sistema è proporzionale, ma per argomentazioni più ampie – si riproporrebbe allo stesso modo.
  La terza considerazione riguarda il metodo di scelta dei candidati. Da un lato, è evidente che il riferimento anche a normative straniere in cui sono presenti listini corti, bloccati, di candidati. Credo, però, che l'insistenza con cui la Corte nella sentenza ha sottolineato che il fatto che l'interezza dei parlamentari fosse eletta attraverso il sistema dei listini bloccati – anche su questo chiedo un parere – dovrebbe forse indurci a meccanismi che sicuramente non muovano da quella demonizzazione, ad esempio, delle preferenze che ho ascoltato qui oggi e nelle audizioni di ieri e che in ogni caso evitino una situazione per cui l'intera rappresentanza parlamentare sia scelta attraverso un meccanismo che esclude sia i collegi uninominali sia le preferenze.

  DANILO TONINELLI. Ringrazio tutti gli ospiti. Il mio non sarà semplicemente un intervento fine a se stesso.
  Sulla base dell'irragionevolezza che la Corte ha dichiarato esserci, per cui ha indicato l'incostituzionalità del premio di maggioranza, vorrei chiedere a tutti, in particolare al professor Morrone e al professor Dogliani, se un doppio turno di coalizione presenta profili di incostituzionalità.
  Va precisato che si parte dalla considerazione che una seconda votazione garantirebbe un 50 per cento più uno dei voti, ma che questo rappresenterebbe una posizione minoritaria, anche di un partito che possa aver raggiunto il 20-25 per cento, quindi creando di fatto un'irragionevolezza, una distorsione eccessiva del voto dell'elettore.
  Ritenete, inoltre, che i premi di maggioranza, sulla base dei quali purtroppo sentiamo sempre più le forze politiche convergere nonostante la sentenza della Corte, creino frammentazione politica ?
  La terza domanda è in merito alle preferenze: ritenete che il modello svizzero o australiano possano eliminare quelle criticità evidenti e sostanziali che le preferenze possono dare ?

  ELENA CENTEMERO. Anch'io sarò brevissima, senza formulare ulteriori considerazioni rispetto a quanto abbiamo sentito oggi dai diversi colleghi. Mi soffermerò su due aspetti particolari.
  Mi permetto di segnalare al collega del Partito Democratico che forse, più che di tutela di genere, si dovrebbe parlare di equilibrio di genere. Ieri, abbiamo ascoltato molto sinteticamente la professoressa Maria Elisa D'Amico, che ci ha offerto una prospettiva da questo punto di vista. Anche a me interessa capire, ma soprattutto in relazione alla legge elettorale Mattarella e al sistema spagnolo, quale possa essere un metodo che ci consenta, appunto, quest'equilibrio di genere.
  Un aspetto molto rilevante che non è stato affrontato e su cui so che il professor Morrone ha una specifica competenza, ma chiedo anche a tutti gli altri, riguarda la Pag. 29circoscrizione Estero. Per abolire la circoscrizione Estero, come nell'indicazione contenuta nel documento dei saggi, serve una riforma costituzionale e non credo che questo possa, perlomeno allo stato attuale, avvenire, considerando appunto che la posizione dei saggi valuta oggettivamente la rappresentatività degli italiani all'estero anche attraverso i Comites e la CGIE, e quindi dà vita a questa soluzione.
  Nello stato attuale, tuttavia, la rappresentanza degli italiani all'estero è anche ottenuta attraverso il sistema elettorale, che è appunto proporzionale con circoscrizione molto ampie con il voto di preferenza: da questo punto di vista, quale potrebbe essere una strada da percorrere anche per uniformare, se è necessario, rispetto al sistema di voto adottato per le circoscrizioni italiane ?

  GENNARO MIGLIORE. Formulerò delle domande molto tecniche e precise. Tra l'altro, ripeterò anche alcune domande rivolte ieri e alle quali non ho ricevuto risposta.
  Non mi interessa fare in questa sede una discussione generale, ma che le autorevoli persone presenti possano chiarire le mie perplessità. Nel caso in cui si dovesse tornare a un sistema basato sulla legge Mattarella, è indispensabile allo stato rivedere le circoscrizioni ? È un dato necessario o può essere rimandato ? Per me, è importante saperlo rispetto al dibattito politico nel quale ci troviamo.
  In secondo luogo, sempre nel caso in cui si tornasse al sistema basato sul recupero della legge Mattarella – ricordo che sono stato il primo a presentare una proposta di legge in tale direzione in questa legislatura – il meccanismo di equilibrio di genere può essere legato a un conteggio complessivo dei collegi ?
  Visto, infatti, che tutti i collegi sono collegati tra di loro essendo espressione di uno stesso contrassegno, si può dare indicazione come legislatore che, per esempio, in una legge sia prevista una norma antidiscriminatoria sul numero complessivo dei collegi, ad esempio 50 e 50, che è quella che preferirei ? Su 475 collegi, non meno di 230 dovrebbero essere attribuiti a un genere piuttosto che all'altro, così cercando di rispondere alle esigenze di implementazione dell'equilibrio di genere.
  Premesso che il collega Giorgis dal mio punto di vista ha posto una domanda fondamentale, che precede le mie banali osservazioni tecniche, accogliendo la sua premessa, nel caso in cui ci fosse, in un modello del tipo basato sulla legge Mattarella, un ulteriore premio di maggioranza o di governabilità, come lo chiamerei, sarebbe fatto scattare, visto che ci deve essere una soglia minima per attivarlo, sulla base della percentuale dei voti raccolti dalle liste o su quella del numero di mandati diretti conseguiti ? Questo serve anche a spiegare quale potrebbe essere la tendenza ad attribuire questo premio di maggioranza sulla base delle considerazioni del professor Morrone, che parlava, come il professor Barbera ieri, di premio flessibile.
  Chiedo, inoltre, se sia logico, nel caso di un sistema maggioritario basato sulla legge Mattarella uninominale e che, eventualmente, sia anche possibile un premio di governabilità, introdurre uno sbarramento per la residua quota di tribuna. Se è, infatti, di tribuna e c’è anche il 4-5 per cento di sbarramento, mi farebbe piacere capire quanti sbarramenti deve superare l'elettore in quanto tale per vedersi rappresentato nel Parlamento. Se residuassero 60-70 deputati, ovviamente ci sarebbe uno sbarramento automatico sull'1,5 per cento circa che potrebbe essere attribuito, ovviamente depurato da quelli che hanno già conseguito il premio di maggioranza. Se il premio di governabilità, infatti, si somma anche alla quota di tribuna, sarebbe irragionevole. Mi piacerebbe, allora, sapere se con un doppio sistema maggioritario ritenete che sia utile chiarire in premessa che non c’è più la necessità, sul piano della governabilità, dello sbarramento che, come ricordo a me stesso, nella legge Mattarella originale esisteva proprio per ridurre l'impatto dello scorporo, e quindi per segnalare ulteriori altri problemi. Se, però, esiste un premio di governabilità, Pag. 30veramente considero del tutto irragionevole anche uno sbarramento d'accesso.

  RENATO BALDUZZI. Vorrei porre due domande ai nostri ospiti. La prima è pro domo mea, in qualche modo, pro domo civica: come si può valutare quella proposta di cui sono primo firmatario, che tende a mescolare l'aspetto del maggioritario uninominale per il 50 per cento dei seggi, legge Mattarella, con una ripartizione proporzionale in presenza di un premio di maggioranza con una soglia elevata e con la caratteristica proprio di evitare l'inconveniente, anche oggi appalesato, di assegnare il premio di maggioranza a quella lista o a quella coalizione che abbia avuto in entrambe le Camere il superamento della soglia o far passare al ballottaggio le due liste o coalizioni che abbiano avuto il maggior numero di seggi nell'una e nell'altra Camera e sommando i risultati di Camera e Senato ?
  Questo, dal nostro punto di vista, evidentemente è un modo per combinare bipolarismo, governabilità e rappresentanza e farebbe piacere un parere dei nostri ospiti, che hanno dimostrato di prendere molto sul serio la nostra audizione.
  La seconda domanda velocissima è in ordine alla sentenza della Corte. Nella parte finale soprattutto, qual è la vostra valutazione per la scelta della Corte, sulla base del precedente della nota sentenza del 1993, di non usare lo strumento dell'illegittimità consequenziale ex articolo 27 della legge n. 87, che avrebbe forse assegnato una maggiore certezza del diritto in ordine a quei problemi della normativa di risulta ?

  GIUSEPPE LAURICELLA. Procederei a una brevissima premessa. Per me, la Corte ci ha dato una risposta, un risultato per quanto riguarda la legge elettorale autoapplicativa. Si dice che la legge può essere applicata già fin da domani, per cui il problema o il vulnus che si era creato con la legge Calderoli è stato risolto. Le forze politiche non troveranno un'altra formula perché una legge elettorale che ha risolto il problema esiste. Direi, quindi, che questa è una prima considerazione di base.
  Il punto 4 della sentenza dichiara sostanzialmente l'incostituzionalità della modalità del premio attribuito al Senato. Se si introducessero domani premi ragionevoli, in che modo si potrebbe consentire il premio per il Senato, riportando la coerenza richiesta dalla Corte e per evitare che si formino, data l'attribuzione come è stata attualmente prevista dalla legge Calderoli, una su base nazionale e una su base regionale ? Vorrei sapere, credo in linea con la domanda del collega Balduzzi, come potremmo riportare coerenza.
  Al punto 5.1, invece, della sentenza, la Corte motiva l'incostituzionalità della lista bloccata lunga perché non garantirebbe la conoscibilità dei candidati o del candidato. A parte le considerazioni dell'avvocato Besostri sulla lesione del diritto di scelta anche nel caso di liste bloccate, sulle quali sono d'accordo, in ordine alla coartazione della libertà di scelta degli elettori, le considerazioni della Corte sono valide solo per le liste bloccate lunghe o possiamo dire che lo sono anche in generale per le liste bloccate dato che, come sappiamo, sono decise dai partiti ?
  Dobbiamo poi ragionare in maniera anche concreta sugli effetti applicativi in Italia, poiché sono cose ben diverse guardare alle liste bloccate o ai collegi uninominali all'estero, e il basarsi invece sull'esperienza di come siano stati applicati questi strumenti nel nostro contesto. Fino a oggi, non abbiamo sperimentato, se non ognuno a casa propria se ha voluto farlo in maniera volontaria, strumenti di preselezione affidati a una consultazione aperta, ma liste formate, come nel caso di liste bloccate fino ad oggi, dai partiti. Se rimane questo il sistema, secondo me, lunghe o corte poco cambia.
  Le stesse argomentazioni che la Corte riporta per le liste lunghe bloccate, per le stesse ragioni che esponevo perché non possono essere riferite anche ai collegi uninominali, visto come sono stati usati ? Vi invito a una risposta non sul piano teorico e di principio. Capiamo bene, infatti, Pag. 31il punto di vista dei parametri di riferimento, ma vi invito a una risposta sull'esperienza del nostro Paese anche con il Mattarellum, che vi ricordo prevedeva liste e collegi «sicuri» e collegi meno sicuri e collegi sicuramente persi. Queste tre categorie di collegi finiscono per dare a quel sistema gli stessi effetti di una lista bloccata. Alla fine, infatti, i partiti scelgono chi mandare nei collegi sicuri, chi in quelli intermedi e chi in quelli che vanno «eliminati».
  Desidero una risposta sul piano pratico dell'esperienza e del nostro modello, a meno che non suggeriate di introdurre correttivi o, comunque, strumenti che in premessa possano garantire un'autonomia e uno svincolo dalle determinazioni delle segreterie dei partiti. Diversamente, mi pare che gli effetti siano gli stessi.

  MICHELE NICOLETTI. Ringrazio i nostri ospiti per le analisi che ci sono state offerte.
  Anzitutto, mi associo alla richiesta del collega Giorgis sul chiarimento attorno all'uguaglianza del voto in entrata e in uscita, punto cruciale della questione. Mentre sull'uguaglianza in entrata mi sembra che sia inoppugnabile la sentenza della Corte – non vedo nessuna contraddizione con i collegi uninominali perché lì è evidente che ogni voto ha un'uguale possibilità di determinazione – sull'uguaglianza in uscita, francamente, leggendo la sentenza della Corte, vedo il riferimento solo alla giurisprudenza costituzionale tedesca, laddove sia stato assunto un sistema di tipo proporzionale che produce determinate aspettative. Siccome il punto è fondamentale, quindi, vorrei un conforto dai nostri ospiti.
  Quanto alla questione legata al doppio turno di lista o di coalizione, di cui sono stato anche promotore, siamo perfettamente d'accordo che il sistema, applicato al bicameralismo perfetto, pone dei problemi, anche se in sede di Commissione Bozzi, Ruffilli, Andreatta e Pasquino lo proposero in un contesto di bicameralismo in cui anche il Senato dava il voto di fiducia. Stiamo parlando, però, del contesto attuale, in cui D'Alimonte, noi, Violante e la Commissione dei saggi lo abbiamo strettamente legato politicamente al superamento del bicameralismo perfetto, per cui ha senso, in presenza di un patto politico, per togliere la fiducia al Senato.
  Giustamente, però, siccome si chiede la legge elettorale subito, è ovvio che bisogna avanzare una proposta di legge con una sua logica. Rispetto a questa, sono del parere che possa darsi il caso di principio di due maggioranze, un ballottaggio con attori diversi; tuttavia, mi pare caso rarissimo e, comunque, se dovesse verificarsi, la proposta di legge di cui sono primo firmatario consente un ballottaggio anche con attori diversi, che produrrebbero naturalmente maggioranze diverse da una parte e dall'altra e null'altro che quello che abbiamo adesso, cioè una larga intesa, che non vogliamo avere, ma che nessun sistema elettorale, a meno che non superi la fiducia al Senato, può evitare al cento per cento di produrre.
  Sugli argomenti della funzionalità, però, il professor Dogliani, se ho ben capito, sosteneva che non si capisce la ragione per cui dobbiamo far votare le coalizioni prima agli elettori. Non so se ho ben inteso. In sessanta anni, abbiamo avuto solo Governi di coalizione e acquisizione della commissione Bozzi mi pareva che fosse il diritto per i cittadini di decidere o meno sull'indirizzo politico, e quindi anche sulla coalizione, fatto salvo il caso di emergenza delle larghe intese.
  Sulla funzionalità, penso che il Mattarellum non abbia diminuito la frammentazione della forza politica, come dimostra la composizione dei gruppi parlamentari in quelle legislature. Si può discutere. Temo, invece, del Mattarellum una forte territorializzazione, laddove invece il doppio turno di lista o di coalizione su una Camera sola non solo si innesta sul modello istituzionale di rafforzamento del Premier, ma anche rafforza la funzione di unificazione nazionale dei partiti, che in un Paese come l'Italia non va male.

  MAURIZIO BIANCONI. Ho una domanda breve. Il collega Giorgis ha condotto Pag. 32un ragionamento molto filante e conseguente in ordine alla non esistenza possibile di proporzionalità tra il voto in entrata e il voto in uscita con il sistema uninominale, sostenendo che anche col 20-23 per cento dei voti si potrebbe ottenere la maggioranza assoluta dei seggi.
  Mi pare che quest'osservazione vada un po’ definita, condividendola in pieno. Più che un'eguaglianza tra voti in entrata e in uscita, mi pare che la Corte voglia significare una ragionevole corresponsione tra voto espresso e rappresentanza conseguita. Questo è il punto vero. Se è eccessiva la discrasia della rappresentanza rispetto al voto, le cose non vanno bene. È un concetto un po’ più definito forse, ma che esprime grossomodo la stessa idea.
  Allora, non si tratta soltanto l'ipotesi di una – chiedo sempre – percentuale bassa. Siccome, però, quando si pensa la norma astratta, bisogna definire tutte le possibili evenienze, poniamo quella che, sui 400 collegi, una forza vinca di un voto solo e prenda 400 seggi e chi perde di un voto non ne prende neanche uno. Mi pare che qui la sproporzione tra voto e rappresentanza sia palmare, anche se potenzialmente corretta da un 25 per cento di proporzionale. Con 400 voti di meno, infatti, non 20.000, si ottengono zero seggi. Se è vero che la ragionevole corresponsione tra voti di rappresentanza è uno dei punti della Corte, mi pare che sotto questo profilo l'uninominale non possa essere perseguìto in nessuna sua forma.
  Inoltre, come nessuno evidenzia, se deve esserci una ragionevole corresponsione tra voto e rappresentanza, anche chi ottiene più voti governa e chi ne ottiene meno sta all'opposizione. Con l'uninominale è possibilissimo, frequentissimo che chi prende meno voti prenda più seggi e governi. La sola irragionevolezza della potenzialità che una minoranza governi pone assolutamente fuori dal nostro discorso della legge elettorale i collegi uninominali.
  Aggiungo che le leggi elettorali di un'altra epoca geologica, tra la Prima Repubblica e la Terza, quella che sta per venire, cioè all'inizio della cosiddetta Seconda Repubblica, tutti auspicavano che fosse preminente, rispetto al principio di proporzionalità tra voto e rappresentanza, il principio di governabilità e si sosteneva che chi prendeva un voto in più prendeva tutto.
  Oggi siamo ritornati alla Prima Repubblica. Non vale più il criterio di governabilità e ritorna quello di proporzionalità. Può piacere o meno. Siccome, però, la Corte è Vangelo, ci atteniamo al Vangelo che abbiamo atteso e diciamo che da oggi sarà un proporzionale come vi piace, a liste lunghe, corte, spagnole, svedesi, induiste: risaremo – scusatemi l'espressione – al «troiaio» che abbiamo lasciato 25 anni fa.

  PRESIDENTE. È un neologismo, che perdoniamo al collega Bianconi, così vivace nella sua identità ideologica assolutamente leale.
  Vorrei porre, a mia volta, due domande semplicissime ai nostri esperti. Il professor Vassallo si è lungamente trattenuto sul costante parallelismo tra una legge elettorale italiana e una serie di effetti desunti da leggi elettorali di altri Paesi. Ho l'impressione che la sentenza dalla Corte prenda, in qualche modo, le distanze da questo modo di ragionare in qualche passaggio, richiamando con molta chiarezza l'attenzione sull'inopportunità di desumere valutazioni di costituzionalità – uso un termine ampio – dall'esperienza straniera.
  Volevo chiedere se questo costante riferimento a esperienze di altri Paesi possa davvero essere, al di là del piacere di ascoltare una dotta discussione di diritto comparato, un parametro utile per orientare i lavori parlamentari o costituisca semplicemente un riscontro culturale di cui tenere conto, ma che non può mai essere determinante per l'esperienza specifica del nostro Paese.
  La seconda domanda prende le mosse da un'osservazione del collega Giorgis. Il diritto di scelta nei confronti di un unico candidato – collegio uninominale per intenderci, – rispetto alla scelta su liste di più soggetti ma corte: secondo voi, questa differenziazione è più in linea con la decisione e le motivazioni della Corte Pag. 33costituzionale ? Quando la Corte costituzionale espressamente fa riferimento alla compatibilità costituzionale di short list rispetto alla valutazione della scure che si è abbattuta sul Porcellum, ritenete che questo sia un invito che la Corte ritiene più compatibile rispetto al voto singolo che, come qualcuno ha rilevato, apparterrebbe al modello residuale o residuato di seguito alla necessità dell'autoapplicazione che la sentenza deve comunque mantenere ?
  Corollario di questa domanda, nell'ambito dei tre sistemi di cui stiamo discutendo, in qualche modo l'approccio della Corte costituzionale nei confronti del Mattarellum, magari non modificato, manifesta una certa predilezione o questa predilezione è soltanto frutto di una lettura superficiale ? Ritenete che la sentenza appoggi in qualche modo, anche subliminale, un modello dei tre rispetto a un altro e sia collocabile in un alveo di maggiore vicinanza a uno dei tre rispetto agli altri ?
  Do la parola ai nostri ospiti per la loro replica.

  NICOLÒ ZANON, Professore ordinario di diritto costituzionale. Non riuscirò, ovviamente, a rispondere a tutte le domande. Più volte, però, è tornata la questione posta dall'onorevole Giorgis, che credo meriti di essere sottolineata. Vorrei cavarmela con una battuta. Prima ho osservato in modo forse più elegante che, siccome i parametri richiamati, articoli 67, 48 e 3 della Costituzione, evocano culture proporzionalistiche, ma forse – lo ribadisco – è la Costituzione ad avere un impianto proporzionalistico di fondo. C’è poco da fare.
  Beninteso, sponsorizzo ogni tentativo in senso maggioritario, sono sempre stato a favore della governabilità, delle scelte chiare, delle decisioni, anche del profilo della decisione, della responsabilità che ne consegue, dell'alternanza, ma ci confrontiamo con una Costituzione che ha un impianto proporzionale perché esce da una storia ben nota. A ogni tentativo più o meno riuscito, più o meno intelligente di andare oltre, è nell'ordine delle cose che una Corte costituzionale chiamata a garantire la Costituzione esistente reagisca in questo modo. Non ho nessun dubbio.
  Vi dicevo che ho letto e riletto la sentenza e alla fine mi sono convinto che la sua impostazione culturale fondamentale è di tipo proporzionale. Questo non significa condividerla o criticarla ma, nella logica che sottolineava l'onorevole Andrea Giorgis, prendere atto del contenuto prescrittivo.
  Dal mio punto di vista pratico, quindi, per quel che poteva servire, l'unico convincimento che ribadisco qui è che da questa sentenza esce un caveat molto chiaro sull'utilizzo eccessivo di meccanismi premiali, che magari si innestano su sistemi elettorali che presentano già aspetti distorsivi di varia natura. Se ciò non piace, si cambi la Costituzione. Per carità, la revisione dalla Costituzione è un grande tema, che non vorrei evocare qui, ma è nelle cose. Prenderne atto significa essere seri.
  Sentivo evocare, mi pare dall'onorevole Bragantini, un problema di effetti e di differenze di maggioranza tra una Camera e l'altra. Mi preme osservare che, effettivamente, nessuno dei tre sistemi elettorali oggetto di discussione oggi può garantirci – mi pare sia stato il collega Andrea Morrone a evidenziarlo – che non ci siano maggioranze diversificate, ma pensiamo al Mattarellum.
  Sociologicamente, analisi sull'elettorato dimostrano come quello giovane preferisca, per esempio, o abbia preferito nelle ultime elezioni molto più un determinato partito, Movimento 5 Stelle, mentre al Senato quest'aspetto generazionale non è presente.
  Se applicassimo, senza aver modificato l'impianto costituzionale bicamerale perfetto, di nuovo un Mattarellum, modificato o meno, credo che ci esporremmo fortemente e di nuovo al rischio di maggioranze diverse. Da questo punto di vista, quindi, torna a mio avviso l'esigenza – sarà fuori moda ormai, ma era di moda poco tempo fa, ma prendiamo atto, appunto, della velocità dei cambiamenti – del tema di responsabilità nei confronti Pag. 34del Paese e delle istituzioni della modifica del sistema bicamerale quanto meno.
  Rinunciamo pure a tutti gli altri tentativi di intervento sulla forma di Governo, sulla seconda parte, ma almeno sul sistema bicamerale rendiamoci conto, rendetevi conto voi che ne avete la responsabilità come legislatori, di quanto sia fondamentale chiudere con quest'esperienza. Diversamente, qualunque sistema elettorale si scelga, temo che il problema del Governo, non della governabilità, resterà a lungo eluso.

  SALVATORE VASSALLO, Professore ordinario di scienza politica e politica comparata. Molti dei quesiti posti riguardo all'interpretazione della sentenza della Corte confermano, a mio avviso – naturalmente, si tratta di una mia opinione – che la sentenza è, oltre che giuridicamente abnorme, internamente irragionevole o contraddittoria.
  Questo spiega perché in alcuni aspetti è impossibile fornire una risposta precisa ai quesiti posti riguardo alle implicazioni che si dovrebbero trarre dalla sentenza. La sentenza, ad esempio, essendo partita dall'idea che la distorsione non può essere troppo grande, avrebbe dovuto concludere che sono sulla base di questo stesso principio incostituzionali, almeno dal punto di vista della Costituzione italiana, non si sa bene da quale norma scritta, i sistemi applicati in Gran Bretagna e in Francia. Per uscire da questo vincolo, inventa che il caso del Porcellum sarebbe incostituzionale perché dà a vedere agli elettori di trattarsi di un sistema proporzionale e poi distorce il rapporto tra voti e seggi. In realtà, il Porcellum dichiara perfettamente agli elettori di essere un sistema maggioritario, per cui quest'argomento non esiste, è inconsistente, è solo un modo per giustificare una scelta che, probabilmente, ha altri motivi di irragionevolezza, ma non di carattere costituzionale o di principio.
  Allo stesso modo, la Corte, sulla base di buonsenso, ma non fondato costituzionalmente, sostiene che le lunghe liste bloccate non vanno bene, ma poi si rende conto che non può asserire che il sistema spagnolo è incostituzionale, e quindi giudica positivamente le liste corte. Se, però, le liste fossero di 12,13, 15, 16, 17 candidati sarebbero costituzionali o incostituzionali ai sensi della sentenza della Corte ? Non può dirlo nessuno, appunto, perché queste decisioni, sia riguardo alla disproporzionalità riguardo alla lunghezza delle liste, sono basate su argomenti che non hanno natura giuridica costituzionale e forse non hanno neanche fondamento.
  Il quesito che il legislatore si dovrebbe porre riguarda la misura in cui si può tener conto dell'invito di non esagerare con i premi a mio parere sulla base di due semplici principi: se si chiama premio di maggioranza, non può essere assegnato se non al fine di produrre una maggioranza e un Governo di legislatura, e quindi non può essere assegnato senza una medesima forza politica in regime di bicameralismo perfetto che abbia la maggioranza relativa almeno dei voti sia alla Camera sia al Senato; in secondo luogo, secondo la Corte, non può essere di dimensione smisurata, e quindi deve essere assegnato solo se la forza politica in questione ha già acquisito una quantità di consenso e di seggi tale per cui il premio non deve essere smisurato per consentire il raggiungimento dell'obiettivo.
  La mia ipotesi, anche rispondendo alla domanda precisa dell'onorevole Migliore, è che, se si parte dalla legge Mattarella, il principio di assegnazione del premio è il seguente: la medesima forza politica ha la maggioranza assoluta dei voti alla Camera e al Senato e ha già ottenuto almeno il 40 per cento dei mandati diretti. Questo significa che il premio non è necessariamente di misura abnorme, ma a mio avviso deve essere assegnato solo fino a poco più della maggioranza assoluta dei seggi. La forza politica, infatti, deve poter conseguire altri seggi, ma su basi proporzionali, al netto dello scorporo, in modo che l'ampiezza della maggioranza sia in qualche modo correlata con la quantità di voti ricevuti, per cui è una maggioranza variabile che va dal 51 al 50 per cento e così via. Addirittura, questo avrebbe un Pag. 35effetto potenzialmente riduttivo dell'impatto maggioritario dei collegi, ma su questo non mi soffermerò.
  Quanto all'equilibrio di genere, devo ammettere che, effettivamente, la legge Mattarella, così come qualsiasi sistema basato sui collegi nominali, non è in grado di offrire garanzie. Forse si potrebbe ragionare sulla modalità di attribuzione dei seggi a compensazione proporzionale o quelli del premio. È difficile sostenere che i mandati diretti possano prevedere il vincolo rigido per cui da un certo collegio deve uscire un uomo o una donna, ma sulla componente ulteriore, cioè sul 25 per cento che può essere usato come premio o come diritto di tribuna, forse si può.
  Infine, sono abbastanza convinto che non sia necessario modificare i collegi della legge Mattarella. Già nel 2005, quando si posero tutti e due i problemi che oggi esisterebbero, cioè quello della modifica della struttura demografica e del mancato perfetto rapporto 25/75 per effetto dei seggi che vanno nella circoscrizione Estero, questo problema esisteva, prima che si modificasse la legge Mattarella con la legge Calderoli. Il Governo varò un decreto con il quale prevedeva che, a meno che non si fosse riusciti prima nella revisione dei collegi, sarebbero stati usati quegli stessi del 1993 per la prima elezione successiva all'emanazione del decreto. È certo, quindi, che i collegi della legge Mattarella possono reggere anche laddove si dovesse verificare che non sono perfettamente coerenti con le proporzioni stabilite dalla legge stessa.

  GINO SCACCIA, Professore ordinario di diritto pubblico. Su alcune questioni, mi associo alle ultime risposte formulate dal collega Vassallo all'onorevole Migliore.
  Credo, invece, che la questione dell'affermazione generale da parte della Corte di un principio di uguaglianza del voto, che eliminerebbe ogni possibilità di distorsione sproporzionata anche all'interno di sistemi che accettano questa distorsione sproporzionata per definizione, vada inquadrata in un'ottica magari minimalista, ma aderente al testo che stiamo leggendo, che non è una dichiarazione politica, ma una sentenza pronunciata nei limiti dell'impugnazione.
  Era impugnata una legge elettorale proporzionale, invocati parametri che si attagliavano a questa particolare fattispecie e la Corte ha giudicato all'interno di essa. Ricavarne un limite generale circa il ritorno a sistemi di carattere fortemente distorsivo, come sono i sistemi maggioritari per loro natura, a me francamente pare eccessivo, soprattutto se consideriamo che la Corte, sugli stessi parametri costituzionali, ha già giudicato in passato sistemi fortemente distorsivi, come la legge elettorale comunale e quella regionale, ritenendoli legittimi.
  Ora, o la Corte si è completamente contraddetta e ha affermato adesso un principio di proporzionalismo implicito nel nostro sistema costituzionale, che non vedo se non come dato di costituzione materiale, non come di costituzione formale sul quale fondare un parametro di costituzionalità, o dobbiamo assumere che la Corte abbia giudicato parlando del sistema proporzionale che stava esaminando, non esprimendo una preferenza per questo sistema né per sistemi diversi. Rispondo quindi al presidente Sisto che non mi pare che la Corte abbia espresso una preferenza sulla legge Mattarella. Possiamo ragionare se la legge Mattarella abbia posto in un equilibrio ragionevole o in un dosaggio ragionevole le due contrapposte esigenze di governabilità e di rappresentatività. È una valutazione che possiamo compiere, ma non è la Corte ad averci dato il sigillo della preferenza costituzionale o del favor costituzionale per la legge Mattarella.
  Anche in relazione alle liste bloccate, dinanzi a un'impugnazione in cui le si dice che è illegittimo aver previsto che la totalità dei seggi siano assegnati con lista bloccata, come avrebbe potuto pronunciarsi la Corte ? Lo ha fatto nel senso di scegliere almeno uno, di esprimere almeno una preferenza in un sistema che contempla la lista bloccata come meccanismo di assegnazione totale.Pag. 36
  Se questo si associa a un altro meccanismo di voto, come quello appunto della legge Mattarella, per esempio, uninominale, che assicura la personalità del voto – scelgo quel candidato, e quindi non posso sostenere di non conoscerlo e che non sia assicurata, stando alla logica della Corte, la personalità del voto, che è diretto – la contestazione era che il voto si risolvesse in un voto indiretto, votandosi per i partiti e non per il candidato.
  Se, però, il meccanismo di scelta è per 75 per cento, per il 50 maggioritario e l'altro 50 con lista bloccata, non escludo che la Corte possa considerare perfettamente legittime anche liste bloccate di 20 senatori, 20 deputati senza nessuna preferenza. Non è un imperativo costituzionale che ogni listino debba prevedere l'espressione della preferenza.
  Peraltro, per spiegare quanto sia controversa la materia, la sentenza Saccomanno della Corte europea dei diritti dell'uomo aveva ritenuto le nostre liste bloccate perfettamente compatibili coi princìpi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Sotto questo profilo, quindi, la stessa decisione della Corte va inquadrata proprio nel contesto specifico del sistema italiano e di un modello unico nel quale l'intera assegnazione dei seggi avveniva su questa base.

  CESARE PINELLI, Professore ordinario di diritto pubblico. Rispondendo al quesito dell'onorevole Giorgis, faccio notare che la Corte ritiene che la formazione di un'adeguata maggioranza parlamentare allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo decisionale costituisce, senz'altro, un obiettivo costituzionalmente legittimo.
  Se consideriamo quest'affermazione nel contesto della sentenza e delle frasi successive, ci accorgiamo che l'affermazione che la rappresentatività dell'Assemblea parlamentare, la corrispondenza tra composizione dell'organo di rappresentanza politica e la volontà dei cittadini, si riferisce al rovesciamento della ratio della formula elettorale prescelta dalla legge del 2005, di tipo proporzionale.
  Non abbiamo, quindi, a mio giudizio, la possibilità di asserire che l'affermazione del principio di eguaglianza del voto debba considerarsi talmente intrinseca a un sistema elettorale da impedire il ricorso ad altri. Oltretutto, diversamente, la Corte avrebbe contraddetto la formulazione da cui ha esordito e quella che ulteriormente impiega in altri passi della sentenza. In questo, ci sarebbe una contraddizione assoluta.
  Quanto, in particolare, a ciò che ha osservato, un po’ rompendo le righe come costituzionalisti, il collega Nicolò Zanon a proposito della sussistenza in Costituzione di un principio proporzionalista, sono sempre stato convinto della tesi, peraltro diffusa, quindi non mia, che è verissimo che i costituenti, nel momento in cui scrissero la Costituzione, presupponevano un sistema proporzionale, che è una cosa molto diversa. Presupporre un sistema proporzionale portò a ritenere numerosi deputati costituzionalisti, all'indomani dell'approvazione della legge Mattarella, che fosse necessario rivedere in particolare quelle norme costituzionali relative alla revisione costituzionale dell'elezione degli organi costituzionali di garanzia che presupponevano il sistema proporzionale.
  Questo è molto diverso dall'associare il sistema proporzionale all'eguaglianza del voto in modo praticamente da ritenere che si tratti di principio supremo sottratto a revisione costituzionale. Quello di uguaglianza del voto, secondo l'affermazione più volte ribadita, che è ben nota e tutti, del tribunale costituzionale tedesco nelle recenti sentenze sull'Unione europea, è un principio supremo. Dobbiamo allora sostenere che il sistema proporzionale è un principio supremo ? Cerchiamo di guardare le cose un po’ con attenzione, soprattutto alla sentenza della Corte.
  È curioso, infine, l'obiezione mossa ai sostenitori del doppio turno di coalizione, secondo cui solo questa formula produrrebbe un esito diverso tra Camera e Senato, significa che solo questa formula ha la possibilità di dare vita a una maggioranza parlamentare ? Le altre forse non ce Pag. 37la fanno. Non lo so. Mi sembra abbastanza bizzarro questo modo di ragionare. Il discorso è un altro.
  Anche per altri modelli, evidentemente, vale per lo meno la differenza di età tra Camera e Senato, quindi il problema dovrebbe esserci per tutti. Guarda caso, c’è solo per il doppio turno di coalizione. Mi pare curioso. Allora, evidentemente questo discorso va combinato, come rilevo solo perché è notissimo, col problema di riformare il Senato, tema che dovrebbe riguardare allo stesso modo le varie scelte da compiere in tema di riforma elettorale.

  ANDREA MORRONE, Professore ordinario di diritto costituzionale. Sul Mattarellum eliminerei senz'altro la soglia di sbarramento per garantire meglio il diritto di tribuna.
  Sulla democrazia paritaria, sono per la piena validità di una norma che imponga ai partiti al 50 per cento uomini e donne sia, ovviamente, nelle liste sia nei collegi. Non esiste nessun divieto e la Corte, se dà uno schiaffo in questa sentenza, lo dà ai partiti dichiarando che sono privi di attribuzioni costituzionali. L'unico che ha attribuzioni costituzionali, infatti, è il cittadino sovrano.
  Sul voto all'estero, la Costituzione resterà ferma. Bisogna garantire pienamente lo svolgimento di questo diritto. Nella mia relazione scritta avanzo alcune proposte per correggere le storture del voto per corrispondenza, ma il modello italiano è stato recuperato anche dalla Francia, che era modello in Europa e dagli altri Paesi. Alienarci questa possibilità rappresenterebbe un vulnus al principio del voto eguale nelle medesime condizioni per tutti i cittadini. L'eguaglianza non può servire soltanto per chi è qui, ma per tutti coloro che sono cittadini italiani.
  Vengo alle tre questioni più rilevanti tra quelle poste. Ritengo che la sentenza si rivolga soltanto al Porcellum – passatemi questa volgare espressione – non possiamo esagerare. Capisco che, nel vuoto e nella crisi della politica, ci si attacchi alle istituzioni di garanzia come all'oro colato, all'oracolo di Delfi, ma non esageriamo.
  Siamo arrivati a un sistema giuristocratico anche e soprattutto per la debolezza della politica, ma questa dovrebbe riappropriarsi del proprio ruolo. La sentenza si riferisce solo al Porcellum, ma secondo la Corte, se c’è il proporzionale, deve esserci una rappresentanza adeguata. Questo, però, non deve andare a discapito della governabilità. Se i valori fondamentali sono rappresentanza e governabilità, come funziona un Paese che rappresenta soltanto e non è in grado di esprimere dei Governi ? Questo è il punto fondamentale sul quale dobbiamo interrogarci: rappresentanza e governabilità hanno lo stesso peso.
  Sulle preferenze ho letto la proposta del Movimento 5 Stelle, che giudico anche interessante, ma avanzo un quesito che pone il problema del voto di preferenza. Quest'ultimo, come ho documentato nella relazione, favorisce, come è provato da indagini empiriche – basta guardare la storia italiana – gruppi organizzati territorialmente, cioè delle minoranze, per non parlare del voto di scambio cui dà adito questo tipo di selezione. Il voto con la cancellazione del voto è un voto di preferenza al cubo perché rafforza, attraverso il potere di ricatto, la capacità organizzativa delle minoranze organizzate di cacciar via – passatemi ancora quest'espressione – i candidati più esposti da tutti i punti di vista.
  Vengo alla questione più importante dell'eguaglianza del voto. Non credo che ci sia chiesto di riscrivere il diritto costituzionale, ma tutti sanno, anche i costituzionalisti presenti, che l'eguaglianza del voto è soltanto in entrata costituzionalmente perché le Costituzioni come la nostra devono garantire le uguali chance, non certamente l'eguaglianza in uscita. Bisognerebbe leggere adeguatamente la sentenza della Corte costituzionale tedesca per capire che questo principio è chiaramente espresso, ma attenzione a usare la categoria della costituzione materiale. La nostra Costituzione nasce sì per un certo assetto politico, un certo rapporto di forza. Se, però, rileviamo che quest'assetto politico, cioè quella costituzione materiale non Pag. 38esiste più, dovremmo fare come fece qualcuno nel discorso dell'Ascensione, interrogato sulla vigenza dello Statuto Albertino; vale a dire che sulla vigenza della Costituzione repubblicana dovremmo affermare che siamo di fronte al Santo Sepolcro, ormai vuoto perché non c’è più nessuno.
  Attenzione a usare le categorie della costituzione materiale. Il venir meno del sistema politico strutturato che ha fatto nascere la Repubblica porta con sé anche la Costituzione. Dobbiamo, allora, cercare il modo di restituire alla Costituzione la sua funzione di governare una comunità politica attraverso il tempo, quindi adeguandola ai contesti.

  MARIO DOGLIANI, Professore ordinario di diritto costituzionale. Bisogna avere piena consapevolezza del mutare dei tempi e della storia. Prima è stato fatto un riferimento al modo di concepire il bicameralismo: ricordiamo che, innanzitutto, il bicameralismo fu introdotto con due durate diverse per le due Camere perché era ricercata la comunicazione da parte del corpo elettorale allo Stato, agli organi rappresentativi delle trasformazioni sopravvenute. Siamo passati da una situazione in cui la differenza era ricercata sul piano politico, non più di status personale, ma voluta, a un piano in cui questo ci sembra il massimo del disastro.
  Vorrei rispondere alla questione cruciale. Nella sentenza, tante cose non vanno. Sulla questione del voto dato ai partiti anziché ai candidati, Kelsen si sta rigirando nella tomba. Come è ben noto, teorizzava il passaggio ormai intervenuto. In ogni caso, qui siamo divisi tra noi. Alcuni ritengono che la sentenza parli solo del sistema elettorale vigente e che, quindi, tutte le argomentazioni siano da rapportare a un giudizio di razionalità interna; altri ritengono che ci sia qualcosa di più.
  Questo qualcosa di più è intrinseco al concetto di rappresentanza: è la rappresentanza eletta che deve avere un rapporto, un nesso, un collegamento, una rispondenza rispetto alla situazione socio-politica. Propendo per questa seconda tesi. Non credo che la sentenza possa essere letta solo come una disamina delle contraddizioni interne a un sistema che si autoproclama proporzionale. D'altro canto, il collega Vassallo ha ragione: è vero fino a un certo punto che il sistema si autoproclama proporzionale perché fa capire benissimo che ci sarà un esito maggioritario secco nella sua complessiva applicazione. È un incipit proporzionale.
  Propendo per la seconda tesi perché penso che siamo tutti figli del vecchio principio medievale, quod omnes tangit, ab omnibus comprobetur, per cui l'organo rappresentativo legislativo che produce le leggi che toccano tutti deve fare in modo che queste siano percepite come una sorta di autonormazione. Lo sostiene Kelsen quando spiega cosa sia la democrazia: una sorta di autonormazione, di esercizio di autonomia. Da questo punto di vista, sono d'accordo con il collega Nicolò Zanon e, come rilevavo all'inizio, non si può strappare troppo e sostenere che il concetto di rappresentanza regge qualunque sistema.
  Per rispondere a Giorgis, dico che questo secondo me è il dictum della Corte.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri esperti. Noi siamo stati molto lieti di ascoltare, soprattutto in tempi così rapidi, una riflessione su una sentenza che per noi era la condicio sine qua non per raggiungere un risultato, che adesso potremo raggiungere. Con l'aiuto di queste audizioni, lo raggiungeremo sicuramente con maggiore consapevolezza.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.55.