XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 25 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE POLITICHE IN MATERIA DI PARITÀ TRA DONNE E UOMINI

Audizione del presidente dell'ISTAT, Giorgio Alleva.
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3 
Alleva Giorgio , Presidente dell'ISTAT ... 3 
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 8 
Buratta Vittoria , responsabile della direzione centrale per le statistiche sociali ed il censimento della popolazione dell'Istat ... 8 
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 8 
Agostini Roberta (MDP)  ... 8 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 8 
Costantino Celeste (SI-SEL-POS)  ... 9 
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 9 
Alleva Giorgio , Presidente dell'ISTAT ... 9 
Buratta Vittoria , responsabile della direzione centrale per le statistiche sociali ed il censimento della popolazione dell'Istat ... 10 
Monducci Roberto , Direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT ... 10 
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'ISTAT, Giorgio Alleva.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle politiche in materia di parità tra uomini e donne, l'audizione del presidente dell'ISTAT, Giorgio Alleva, cui diamo il benvenuto.
  Avverto che, per lo svolgimento dell'audizione, la Commissione ha a disposizione complessivamente 45 minuti circa, quindi la relazione avrà una durata di una ventina di minuti, anche per lasciare spazio ai quesiti dei deputati e alle repliche.
  Ringrazio ancora il presidente Alleva e gli do subito la parola.

  GIORGIO ALLEVA, Presidente dell'ISTAT. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti.
  Da lungo tempo, l'ISTAT è impegnato nella produzione di statistiche di genere per tutti i fenomeni socio-economici rilevanti. Grande impegno è stato profuso dal nostro Istituto anche a livello internazionale per la stesura di linee guida sulla misurazione di fenomeni complessi, come la violenza sulle donne, e per la predisposizione di classificazioni adeguate, come quella sull'uso del tempo. Forte è l'impegno anche sul versante della misurazione degli indicatori per il monitoraggio degli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
  L'Agenda delinea uno stretto collegamento tra empowerment delle donne e sviluppo sostenibile e raccomanda, anche per la misurazione, un approccio per genere, generazione, territorio e origine etnica trasversale per tutti gli obiettivi fissati.
  Contestualmente a una produzione statistica che declina in maniera sistematica secondo il genere tutte le informazioni rilevanti, l'ISTAT ha recentemente avviato un progetto innovativo per rafforzare, valorizzare e aprire nuove dimensioni nella lettura di genere delle vicende sociali ed economiche del Paese.
  Tale progetto è imperniato sul pieno sfruttamento del sistema di indagini e fonti amministrative, secondo quanto perseguito dal nuovo assetto produttivo dell'ente. Il progetto fornirà supporto all'orientamento dei contenuti informativi da rilevare e produrrà contributi analitici e di ricerca attraverso la lettura integrata di aspetti sociali ed economici, micro e macro.
  Tenendo conto del programma dei lavori dell'indagine conoscitiva, in occasione di quest'audizione abbiamo selezionato un quadro informativo in grado di cogliere il processo di empowerment socio-economico delle donne nel nostro Paese e le criticità che lo caratterizzano.
  L'obiettivo è quello di fornire al decisore pubblico informazioni utili per l'individuazione e la costruzione di un sistema efficace di politiche di genere.
  Per quanto riguarda la violenza di genere, tema cruciale sulla cui misurazione l'ISTAT è stato precursore e innovatore, rimando alla Commissione i materiali depositati dall'ISTAT in occasione di una recente audizione presso la Commissione parlamentare Pag. 4 d'inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere istituita dal Senato della Repubblica.
  Nell'istruzione e nella formazione, le donne registrano risultati significativamente migliori di quelli degli uomini, con una tendenza nel tempo a un incremento delle loro performance relative.
  In Italia, nel 2016, la quota di popolazione tra i 25 e 64 anni di età con almeno un titolo di studio secondario superiore è ancora piuttosto contenuta, superando appena il 60 per cento, ed è di molto inferiore a quella media europea, che è pari a quasi il 77 per cento.
  Per questo indicatore, il divario di genere è comunque a favore delle donne, con un valore pari a 4,1 punti percentuali, e risulta in crescita negli anni. Nel 2004, l'indicatore assumeva un valore identico nei due generi.
  Anche nel Mezzogiorno, dove la quota di popolazione con un medio-alto livello di istruzione è di molto inferiore rispetto a quanto si osserva nel centro-nord, si registra un gap di genere a favore delle donne.
  Il ruolo dell'istruzione, della formazione e delle competenze è ancor più importante quando si guarda in particolare alle giovani generazioni. Le donne hanno un più basso tasso di abbandono scolastico precoce nella quasi totalità dei Paesi europei e l'Italia registra un differenziale di genere tra i più pronunciati.
  La quota di donne che hanno raggiunto un livello di istruzione terziario è molto più elevata rispetto a quella degli uomini e supera il 30 per cento, mentre per gli uomini non arriva al 20 per cento.
  Il differenziale di genere a favore delle giovani, pari a 12,6 punti percentuali, è stato peraltro in forte crescita negli anni e, soltanto nel 2004, era di 5,6 punti percentuali.
  Il divario di genere è di entità superiore rispetto al valore medio dell'Unione europea e a quello di altri grandi Paesi europei, quali Germania, Francia e Regno Unito. Si mantiene, però, un differenziale negativo tra la quota di donne laureate in Italia e la rispettiva quota nell'Unione europea.
  Nel 2015, la quota di donne italiane laureate in discipline tecnico-scientifiche è molto simile alla quota media dell'Unione europea, mentre la percentuale di uomini che in Italia ha conseguito un titolo di studio nelle analoghe discipline è molto più contenuta rispetto alla media dell'Unione europea.
  Il livello di istruzione gioca un ruolo importante nell'aumentare la presenza dei giovani nel mercato del lavoro. Sarà, infatti, molto differente il tasso di occupazione a seconda che i giovani escano dagli studi con, al più, un titolo secondario inferiore piuttosto che un titolo secondario superiore o raggiungano anche il titolo terziario.
  L'Unione europea ha adottato un indicatore sulla transizione scuola-lavoro, costituito dalla quota di diplomati e laureati tra i 20 e 34 anni occupati, tra coloro che hanno concluso il percorso di istruzione e formazione da non più di tre anni.
  L'Italia nel 2016 presenta un valore pari a 45,6 per cento per i diplomati e al 61,3 per cento per i laureati e registra un fortissimo svantaggio occupazionale rispetto alla media dei Paesi dell'Unione europea, dove le quote raggiungono rispettivamente il 72,8 e l'82,9 per cento.
  Nella gran parte dei Paesi europei, i tassi di occupazione all'uscita dagli studi mostrano un differenziale di genere a sfavore delle donne a prescindere dal livello di istruzione. In Italia, il gap di genere per i laureati è di entità simile a quello medio europeo, mentre per i diplomati lo svantaggio femminile in termini occupazionali è molto più accentuato.
  Solo il 38,7 per cento delle giovani donne diplomate da non più di tre anni è occupato, contro un 50,8 per cento di uomini.
  Nell'interpretazione di questi risultati, gioca un ruolo fondamentale la non partecipazione al mondo del lavoro delle donne per difficoltà di conciliazione tra carichi di cura familiari e carichi di lavoro, di cui si dirà più avanti.
  Le analisi appena presentate ben rappresentano lo scarso utilizzo del capitale umano in Italia particolarmente marcato per la componente femminile. Pag. 5
  Le giovani donne hanno livelli di istruzione notevolmente più elevati rispetto ai loro pari uomini. Tuttavia, si registrano grandi differenziali a loro sfavore nei tassi di occupazione all'uscita degli studi.
  L'indagine sull'inserimento professionale dei laureati mostra anche come, per le donne, sia più complesso trovare una collocazione sul mercato del lavoro adeguata al percorso d'istruzione seguito.
  Le laureate di primo livello occupate a quattro anni dal conseguimento del titolo svolgono una professione consona al loro livello di istruzione nel 67 per cento dei casi. Nel caso dei laureati di primo livello, la stessa percentuale supera il 79 per cento.
  La distribuzione per professione è, invece, più bilanciata nel caso dei laureati di secondo livello, per i quali si considera adeguata una professione dirigenziale e imprenditoriale o di elevata specializzazione. In questo caso, le giovani laureate distano meno di due punti percentuali dai colleghi di sesso maschile.
  Negli ultimi quarant'anni, si è assistito a una crescita costante dell'occupazione femminile, interrotta soltanto dai periodi di crisi. Dal 1977, anno di inizio della serie storica, il tasso di occupazione è, infatti, passato dal 33,5 per cento al 48,1 per cento.
  Con l'inizio della recente crisi, il tasso di occupazione femminile è sceso ed è rimasto per sette anni al di sotto del picco del 2008. Soltanto nel secondo trimestre del 2016, l'indicatore riprende a crescere e torna superiore ai livelli pre-crisi.
  La doppia crisi sperimentata nel periodo 2009-2013 ha molto ridimensionato un processo di lungo periodo. Negli ultimi nove anni, la crescita del tasso di occupazione femminile è stata di 1,6 punti percentuali, in confronto ai 6,5 punti dei nove anni precedenti.
  Complessivamente il gap di genere del tasso di occupazione è sceso, dagli oltre 40 punti del secondo trimestre del 1977, ai 18 punti del secondo trimestre 2017.
  La diminuzione del divario è, tuttavia, dovuta anche al calo del tasso per gli uomini, soprattutto negli anni della crisi.
  Nonostante i progressi, il nostro Paese non è riuscito a recuperare il ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Nel 2016, il divario nei tassi di occupazione per l'Italia risulta di oltre 13 punti superiore rispetto alla media europea, collocando il nostro Paese al penultimo posto, seguito solo dalla Grecia.
  Più fattori concorrono a spiegare il costante aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro, dai cambiamenti culturali all'aumento del livello di istruzione, al processo di terziarizzazione dell'economia, all'aumento delle occupate straniere nei servizi alle famiglie e, negli ultimi anni, anche all'inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione.
  Tuttavia, nonostante il generale miglioramento del tasso di occupazione femminile permangono profonde differenze sul territorio riguardo alla partecipazione delle donne al mondo del lavoro.
  L'analisi di lungo periodo evidenzia, infatti, un costante ampliamento dei divari territoriali. Tra il secondo trimestre del 1977 e il secondo trimestre del 2017, il tasso di occupazione delle donne residenti nelle regioni meridionali è cresciuto meno di sette punti contro gli oltre venti delle altre ripartizioni, raddoppiando la distanza tra nord e Mezzogiorno.
  Un ruolo determinante nell'accesso delle donne al mondo del lavoro è svolto dal livello di istruzione. Il tasso di occupazione delle laureate è pari a circa il 76 per cento ed è quasi due volte e mezzo quello delle donne con al massimo la licenza media, che non raggiunge il 30 per cento.
  Il livello di istruzione è ancor più determinante nel Mezzogiorno, dove la quota di donne che lavorano supera il 64 per cento tra le laureate e non raggiunge il 18 per cento tra le donne con basso titolo di studio.
  Durante la crisi, l'occupazione femminile è stata sostenuta dalle professioni a bassa qualifica, in particolare badanti e collaboratrici domestiche, mentre la crescita degli ultimi quattro anni si contraddistingue per un aumento delle professioni qualificate.
  Nel secondo trimestre del 2017, le occupate nelle professioni intellettuali superano il 19 per cento del totale e la crescita Pag. 6rispetto allo stesso periodo del 2013 è di circa 200.000 occupate, tra cui spiccano le insegnanti nella scuola secondaria.
  Cresce anche il grande gruppo delle professioni nelle attività commerciali e nei servizi e il gruppo delle professioni tecniche, in particolare le professioni infermieristiche.
  Nei servizi alle famiglie, circa nove occupati su dieci sono donne e, nell'istruzione, oltre tre quarti. Nella sanità, l'incidenza della componente femminile riguarda circa il 70 per cento degli occupati nel comparto.
  Le donne imprenditrici sono quasi 700.000 e rappresentano il 26 per cento del totale degli imprenditori. Circa un terzo delle imprenditrici è titolare di imprese con dipendenti, mentre il resto è composto da lavoratrici in proprio, una quota del tutto simile a quanto avviene per gli uomini.
  D'interesse è l'analisi del contributo che le donne apportano alla nuova imprenditoria. È donna circa il 28 per cento dei nuovi imprenditori con dipendenti, quota che sale al 30 per cento tra i lavoratori in proprio.
  Di queste, quasi la metà si colloca nei settori dei servizi, sia tecnologici che di mercato ad alta conoscenza, contro il 39 per cento dei neoimprenditori uomini. Tra gli imprenditori con dipendenti, la differenza di genere nei settori ad alta intensità di capitale è praticamente nulla.
  Le nuove imprenditrici sono un po’ più giovani rispetto ai neoimprenditori e anche più istruite, soprattutto perché maggiormente inserite in comparti dei servizi dove l'istruzione è un requisito necessario per entrare nel mondo imprenditoriale.
  I divari nella partecipazione al mondo del lavoro possono essere letti anche alla luce delle disparità nella condivisione dei carichi familiari. Persiste, infatti, la tradizionale asimmetria nella ripartizione del lavoro familiare: le donne tra i 25 e i 44 anni svolgono il 67 per cento del totale del carico di lavoro familiare della coppia, una quota in leggera diminuzione rispetto alla precedente rilevazione.
  Per analizzare il legame tra carichi familiari e occupazione, è utile osservare come il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni scenda da oltre l'80 per cento delle donne che vivono da sole al 70 per cento di quelle che vivono in coppia senza figli, per arrivare al 55 per cento delle madri.
  Ogni 100 occupate senza figli si contano 76 madri lavoratrici con bambini piccoli. Nel 2016, questo rapporto, dopo il miglioramento degli ultimi cinque anni, è diminuito di 1,8 punti percentuali.
  Il livello di istruzione ha un forte impatto nella mancata partecipazione delle donne con responsabilità familiari. Infatti, il gap rispetto alle donne senza figli si riduce al crescere del titolo di studio. Si delinea un quadro molto eterogeneo sul territorio con un tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni che varia da un minimo di circa il 22 per cento delle madri del Mezzogiorno con basso titolo di studio a un massimo di quasi il 93 per cento delle donne laureate che vivono da sole al centro.
  Le donne sono inoltre svantaggiate nella qualità del lavoro. Nella media del 2016, sono leggermente più elevate rispetto a quelle degli uomini la quota di occupate a termine da almeno cinque anni, l'incidenza delle dipendenti con bassa paga e le occupate con un livello di istruzione più elevato di quello maggiormente richiesto per il lavoro svolto, ma soprattutto la quota di occupate in part-time involontario è quasi il triplo di quella degli uomini.
  Particolarmente critica è la condizione delle donne straniere, per le quali lo svantaggio in termini di qualità del lavoro risulta notevolmente amplificato.
  Alcuni segnali positivi emergono sul fronte della presenza femminile nei luoghi decisionali politici, in aumento costante, anno dopo anno.
  Le elezioni 2013 hanno portato la quota di elette nel Parlamento italiano dal 20,3 per cento della precedente legislatura al 30,7 per cento dell'attuale. Anche nelle elezioni per il Parlamento europeo del maggio 2014 la tendenza all'aumento della quota di donne elette è stata netta.
  Molto più arretrata la situazione delle donne elette nei consigli regionali, che, nel Pag. 72015, rappresentano soltanto il 18 per cento. Le donne sindaco sono 1.081 e amministrano soltanto il 13,5 per cento del totale dei comuni e una popolazione pari a poco più del 15 per cento della totale.
  Un aspetto emerso con chiarezza grazie ai dati raccolti dal Censimento permanente delle istituzioni pubbliche è la limitatissima presenza femminile negli organi di vertice delle istituzioni, che non raggiunge il 15 per cento.
  Continua ad aumentare a ritmo sostenuto, invece, la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, anche grazie agli interventi normativi in materia, per cui, nel 2017, sarà superata la quota del 30 per cento.
  Diversa e variegata è, invece, la rappresentanza femminile negli organi decisionali, quali: il Garante per la protezione dei dati personali (tre componenti donna su quattro); l'Autorità garante della concorrenza e del mercato; il Consiglio superiore della magistratura; la Consob (una donna su quattro componenti); la Corte costituzionale (tre componenti donne).
  Le donne rimangono, invece, sottorappresentate tra gli ambasciatori (una donna su dieci) e non sono presenti tra i componenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  Minor accesso alle figure apicali, maggiore diffusione di lavori part-time e carriere discontinue sono fattori determinanti, assieme a una diversa struttura per età, dei differenziali di genere nei redditi da lavoro percepiti e, successivamente, nei livelli di prestazioni pensionistiche.
  Sul tema delle pensioni, nel documento che lasciamo agli atti, troverete un aggiornamento sintetico dei dati presentati dall'ISTAT in una precedente audizione presso la Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera in merito alle disparità di genere nei trattamenti pensionistici.
  In Italia, nel 2015, poco più del 43 per cento delle donne percepisce un reddito da lavoro dipendente o autonomo rispetto al 62 per cento dei maschi. Questa quota è più bassa al sud, dove il divario con gli uomini è più alto.
  Nel 2015, il reddito guadagnato dalle donne è, in media, del 24 per cento inferiore a quello dei maschi ed è di 14.482 euro rispetto a 19.110. Tale differenza è diminuita dal 2008, quando era del 28 per cento.
  Il divario tra i maschi e le femmine è più basso per i redditi dei dipendenti: il 22 per cento contro il 30 per cento nel caso di occupazione autonoma nel 2015. Il divario diminuisce al crescere del titolo di studio.
  Nel 2016, l'incidenza assoluta della povertà tra le famiglie con una donna come persona di riferimento è del 6,1 per cento, un valore in crescita rispetto al 5,4 per cento del 2014.
  I corrispondenti indicatori tra le famiglie con un uomo come persona di riferimento sono del 6,4 per cento nel 2016 e del 5,9 per cento nel 2014.
  L'85 per cento delle famiglie monoparentali in condizioni di povertà assoluta ha come persona di riferimento una donna. Per questa tipologia familiare, l'incidenza di povertà assoluta risulta in crescita, passando dal 6,7 per cento del 2015 all'8,1 per cento del 2016.
  Peggiori condizioni sono osservate generalmente tra le famiglie con almeno un figlio minore e tra le famiglie che hanno come persona di riferimento una madre single con almeno un figlio minore. In questo caso, l'incidenza assoluta della povertà era del 10,7 per cento e l'intensità era del 14,9 per cento.
  Più di una donna straniera su quattro è in condizioni di povertà assoluta, un dato in crescita rispetto al 2014.
  In conclusione, vorrei fare un breve accenno alle prospettive per le statistiche di genere.
  Nell'ambito del progetto innovativo cui ho accennato inizialmente, l'ISTAT si sta impegnando in particolare nello sviluppo delle statistiche di genere in ambito economico.
  Ciò sta avvenendo almeno su due fronti: elaborazione di analisi sulle imprese volte a capire le differenze tra imprese a conduzione maschile e femminile nei diversi settori, per quanto riguarda i risultati, la competitività e le radici delle differenze, e Pag. 8valutazione dell’input di lavoro che permetta, pur non entrando nella stima del PIL, di misurare il valore economico dell'enorme numero di ore di lavoro non retribuito prodotto dalle donne.

  PRESIDENTE. Grazie. Vorrei fare una domanda perché, forse, non ho colto un punto in modo chiaro.
  Nella parte relativa ai titoli di studio, si diceva che la quota di laureati è pari al 13,5 e che il dato è molto inferiore a quello europeo, mentre mi era parso di capire che nel divario di genere fosse migliore la situazione italiana rispetto a quella della media europea.
  Vorrei capire esattamente qual è il dato e mi interessa capire se per le materie scientifiche il dato è superiore, cosa che è rilevante.

  VITTORIA BURATTA, responsabile della direzione centrale per le statistiche sociali ed il censimento della popolazione dell'Istat. In realtà, questi due dati non sono in contraddizione: il divario in Italia a favore delle donne è molto alto ed è più favorevole di quello europeo, però il livello raggiunto nei tassi di conseguimento dei titoli dalle donne italiane è comunque molto più basso di quello europeo.
  Il divario è più ampio da noi ed è più favorevole soprattutto per il fatto che gli uomini che conseguono titoli più elevati si attestano a un livello molto più basso, ma, rispetto al valore europeo, comunque il tasso di conseguimento di titoli alti per le donne è molto più basso, così com'è per gli uomini.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROBERTA AGOSTINI. Intanto ringrazio il professor Alleva per la sua relazione.
  Il quadro che ci prospetta è in linea con le analisi degli ultimi anni sulla partecipazione delle donne al mondo del lavoro, ma anche allo studio e al mondo scolastico. C'è un dato costante nelle analisi che ci vengono prospettate in questi anni: c'è un aumento della partecipazione delle donne al mondo della scuola per livelli di istruzione, ma c'è anche un problema perché, anche se si vede un innalzamento costante della partecipazione delle donne al mondo del lavoro, comunque tale partecipazione non raggiunge i livelli europei e le vede in una posizione marginale e subordinata nel mondo del lavoro. C'è un dato costante degli ultimi anni che emerge dalle statistiche che l'ISTAT ci propone almeno dall'inizio degli anni Duemila, per cui si può parlare anche di una tendenza abbastanza consolidata.
  Vorrei fare una domanda in merito. Innanzitutto, vorrei saper qual è il paragone con gli altri Paesi europei. Noi abbiamo uno svantaggio storico rispetto agli altri Paesi europei, soprattutto quelli del nord Europa, però vorrei capire se quest'andamento si verifica anche in altri Paesi che hanno subìto una crisi paragonabile a quella dell'Italia.
  Mi interessa molto avere qualche anticipazione rispetto ai progetti futuri dell'ISTAT.
  Nella relazione si parla di tre grandi settori di intervento che io credo siano molto interessanti, soprattutto riguardo al tema della misurazione del valore economico del numero di ore di lavoro non retribuito prodotto dalle donne, quindi le chiedo se c'è qualche anticipazione rispetto all'indagine che avete in cantiere.
  Una terza questione riguarda la partecipazione delle donne ai ruoli apicali.
  Vorrei sapere se avete una mappatura precisa perché appunto il 70 per cento nelle professioni mediche e sanitarie è costituito da donne e nelle università c'è una femminilizzazione sempre maggiore, però, per esempio, le posizioni apicali sono sempre e in misura costante occupate dagli uomini.
  Le chiedo se c'è una mappatura precisa della presenza delle donne ai vertici delle professioni di alcuni settori, che, anche se sono femminilizzati, comunque vedono una predominanza maschile nei vertici.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Grazie, presidente Alleva. In questa relazione si fa riferimento a percentuali Pag. 9paragonandole con quelle di altri Paesi europei, per cui sarebbe interessante capire se, rispetto alle modalità di accesso al mercato del lavoro legate al titolo di studio, ma anche e soprattutto all'obbligo scolastico, queste percentuali tengano conto delle diversità nella regolamentazione italiana.
  Ho seguito, anche se non puntualmente, un pezzo di un dibattito in cui emergeva che le percentuali reali, se paragonate a quelle di altri Paesi, sono comunque inferiori per quanto riguarda l'Italia. Mi interessa capire se le percentuali sono paragonate a parametri uguali o si tiene conto delle realtà. Lo chiedo perché in Italia si accede al lavoro a quindici anni, ma in altri Paesi si va a lavorare a diciotto anni e, da questo punto di vista, mi interessa capire questo passaggio.

  CELESTE COSTANTINO. Anch'io ringrazio per il lavoro che ci avete presentato. A me sembra che questo sia un quadro desolante che conoscevamo già, ma sentirlo e vederlo strutturato in questa maniera fa sempre un certo effetto. Mi sembra chiaro da quello che ho ascoltato che il ritardo rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea sia evidente. Poi, ascolteremo in che forme, in che tempi e con quali gradualità questo si presenti, però è evidente che siamo gli ultimi in classifica.
  Per quanto riguarda l'occupazione, a me interessa capire il motivo per cui, ancora oggi, viene riconosciuta come motivazione dell'assenza di occupazione delle donne un problema legato al tema della conciliazione famiglia e lavoro.
  Considerando che altri dati ISTAT ci dicono che oggi si fanno meno figli e che le donne li fanno in età adulta e, in media, intorno ai 35 anni, mi chiedo come mai ancora oggi sia questa la ragione supportata per la mancanza di occupazione, quindi vorrei un approfondimento in merito.
  C'è un altro dato che vorrei sottolineare, anche se questo attiene più al nostro lavoro che al vostro. Giustamente, avete sottolineato che in Parlamento c'è stata una presenza maggiore di donne e che, invece, nei consigli regionali il trend è completamente diverso.
  La motivazione è evidente: nei consigli regionali ci sono le preferenze, mentre in Parlamento c'è stata una legge elettorale che ha messo i partiti nelle condizioni di imporre le presenze femminili nel Parlamento.
  Tuttavia, è interessante notare come in questi cinque anni le donne presenti nelle istituzioni non abbiano fatto la differenza sulle politiche delle donne, anche perché, considerato il dato che ci avete presentato, mi sembra che il trend non sia assolutamente migliorato.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Alleva per la replica.

  GIORGIO ALLEVA, Presidente dell'ISTAT. Prima di dare la parola ai miei colleghi per alcune questioni specifiche, vorrei dire che l'onorevole Agostini ha colto un dato importante: se consideriamo il livello di partecipazione al mercato del lavoro e il livello di istruzione, c'è un forte ritardo rispetto alla situazione negli altri Paesi europei e questo vale per gli uomini e per le donne.
  Nei confronti degli altri Paesi europei, c'è anche un gap di genere forte. Tuttavia, la dinamica ci dice che c'è una crescita nei livelli d'istruzione e una crescita della partecipazione al mercato del lavoro delle donne.
  In questo caso, il tema riguarda l'intensità della crescita della partecipazione delle donne, che è, tuttavia, ridotta e che è inferiore rispetto a quella che c'era prima della crisi, quindi riguarda anche il tempo necessario per immaginare un allineamento rispetto ai livelli dei nostri partner europei. Si tratta di una situazione, comunque, in movimento in una direzione positiva: c'è un trend positivo nella partecipazione alle donne, ma siamo ancora sotto il 50 per cento.
  C'è un'altra osservazione di carattere generale: sottolineiamo sempre quanto sia importante l'istruzione come fattore protettivo dell'occupazione e come probabilità di trovare lavoro e così via.
  Potrebbe essere una contraddizione il fatto che in Italia da tanti anni abbiamo tassi di istruzione superiori per le donne, sia per i Pag. 10diplomi che per le lauree, e una posizione differente a favore degli uomini per il mercato del lavoro, però ci teniamo a sottolineare, come abbiamo messo in evidenza in quest'audizione, che, tra le laureate, i tassi di occupazione sono molto più elevati rispetto a quelli delle non laureate e che quelle differenze di genere sono ben più ridotte nel caso di titoli di studio superiori.
  C'è anche un elemento positivo esercitato dall'età: in un quadro evolutivo in cui si studia di più, dobbiamo immaginare giovani generazioni che avranno dei gap minori di quelli delle generazioni precedenti, ma il problema riguarda la dinamica e la velocità di questi processi perché siamo nella giusta direzione, però questo è molto insufficiente per allinearci.
  Sulla questione della mappatura delle posizioni delle donne nelle imprese e nelle istituzioni, come anche sul progetto di stima del valore economico generato dall'attività di lavoro delle donne non retribuita, chiederei a Vittoria Buratta o a Roberto Monducci di rispondere, come anche sulle altre questioni sollevate dall'onorevole Costantino e sulla questione specifica di confronto internazionale posta dall'onorevole Gasparini.

  VITTORIA BURATTA, responsabile della direzione centrale per le statistiche sociali ed il censimento della popolazione dell'Istat. Per quanto riguarda i quesiti posti dall'onorevole Gasparini, posso rispondere che questi sono dati europei, che nascono in un quadro di comparabilità. Ci sono regolamenti europei che stabiliscono le soglie di età, quindi il range, in modo che i dati siano utilizzabili per i confronti tra i Paesi europei.
  Nella documentazione che vi è stata fornita, sottolineo che c'è un ricchissimo allegato statistico, con molti più dati di quelli che abbiamo riportato nel testo, che vanno anche più in profondità, e credo che quest'allegato sia molto utile per la Commissione, ma, laddove abbiate altre esigenze, siamo a disposizione.
  Per quanto riguarda la conciliazione lavoro-famiglia e la domanda «tutto sommato, se si fanno meno figli, può ancora contare molto questo fattore?», posso rispondere che il fattore conta moltissimo per le donne meno dotate di risorse, quali cultura e istruzione elevate.
  Come diceva il presidente, sul divario e sulle difficoltà di conciliazione abbiamo altre fonti, cioè, al di là dell'osservare i tassi di occupazione di queste donne e i loro titoli di studio, abbiamo fatto indagini anche sull'uso del tempo della popolazione, quindi di uomini e donne, e anche su quanto questa conciliazione abbia influito sulle scelte riproduttive.
  Dalle indagini emerge un quadro in cui le donne con risorse più elevate sono molto più protette, per cui questo fattore agisce molto meno, mentre, nel caso delle donne con meno risorse nel Mezzogiorno, questo fattore ancora conta molto.
  Nello squilibrio sull'accesso al mercato del lavoro, la difficoltà nel conciliare carichi di famiglia e carichi di lavoro evidentemente è un deterrente nelle condizioni in cui lavoro sia retribuito di meno perché chiaramente, essendoci una forte associazione tra titolo di studio più alto e reddito percepito e qualità del lavoro, una donna che entra nel mercato del lavoro con un titolo di studio più alto è meno incentivata ad abbandonare il lavoro in presenza della necessità di acquisire risorse esterne per gestire la famiglia. Le donne con una posizione più bassa che devono scegliere se rinunciare al loro reddito, che comunque è più basso, per dover magari sostenere il costo di un aiuto, chiaramente si trovano in una condizione svantaggiata.
  C'è anche da dire che comunque queste donne sono più fragili in un rapporto e in un'interlocuzione con i datori di lavoro e con il mondo del lavoro, quindi è vero che siamo in presenza di una fecondità calante, che gli ultimi dati peraltro hanno ancora ulteriormente aggiornato al ribasso, come si è visto anche nelle prospettive e nelle previsioni che abbiamo fatto per la popolazione, però queste difficoltà continuano ad agire laddove le donne sono più deboli.

  ROBERTO MONDUCCI, Direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT. Per quanto riguarda il valore economico della produzione familiare, ci sono attività abbastanza avanzate per la quantificazione. Pag. 11
  In un report sulle casalinghe, che abbiamo diffuso a luglio di quest'anno e di cui, tra l'altro, alcuni risultati sono riportati nella relazione, c'è una quantificazione per tipologia molto accurata.
  A questo punto, il tema è riportare queste misurazioni nel contesto delle stime di contabilità nazionale. Non si vuole inserire questo tipo di stima all'interno della stima del PIL e questo è escluso dal SEC perché il Sistema europeo dei conti nazionali e regionali fa riferimento ad attività che passano attraverso transazioni monetarie, però si possono costruire conti satellite e quantificazioni, sfruttando sia le indagini che abbiamo e i risultati che vi abbiamo fatto vedere sull'ammontare delle ore di produzione familiare, che sono abbastanza importanti, sia il passaggio attraverso metodologie di contabilità nazionale per quantificare il valore economico. In questo caso, si può mutuare dalla contabilità nazionale una metodologia con dei criteri per attribuire a queste ore lavorate e non retribuite un valore economico.
  Le attività sono in corso e penso che entro non molto avremo qualche informazione collaterale. Poi, chiaramente spetterà agli utilizzatori e ai policy maker valutare come utilizzare queste informazioni, però le attività sono abbastanza avanzate.

  PRESIDENTE. Non essendoci altri interventi, ringraziamo il presidente dell'Istat, Giorgio Alleva, la responsabile della direzione centrale per le statistiche sociali ed il censimento della popolazione dell'Istat, Vittoria Buratta, e il direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'Istat, Roberto Monducci, per il loro intervento.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.