XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 11 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME, AI SENSI DELL'ARTICOLO 143, COMMA 1, DEL REGOLAMENTO, DI TUTTI GLI ASPETTI RELATIVI AL FENOMENO DELLA DECRETAZIONE D'URGENZA

Audizione di esperti.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Cerrina Feroni Ginevra , Professoressa ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze ... 3 
Lupo Nicola , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma ... 5 
Uricchio Antonio Felice , Professore di diritto tributario presso l'Università di Bari ... 9 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 9 
Uricchio Antonio Felice , Professore di diritto tributario presso l'Università di Bari ... 9 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 11 
Lattuca Enzo (PD)  ... 11 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 12 
Lattuca Enzo (PD)  ... 12 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 12 
Buttiglione Rocco (AP)  ... 12 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 12 
Uricchio Antonio Felice , Professore di diritto tributario presso l'Università di Bari ... 12 
Lupo Nicola , Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma ... 12 
Cerrina Feroni Ginevra , Professoressa ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze ... 14 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di esperti. Saluto e ringrazio la professoressa Ginevra Cerrina Feroni, ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze, il professor Nicola Lupo, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma, e il professor Antonio Felice Uricchio, professore di diritto tributario presso l'Università di Bari nonché Rettore della medesima Università.
  Cedo la parola alla professoressa Ginevra Cerrina Feroni, pregandola di contenere l'intervento in un tempo non superiore agli 8-10 minuti.

  GINEVRA CERRINA FERONI, Professoressa ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze. Onorevole Presidente, onorevoli membri della Commissione, innanzitutto il mio grazie per l'invito a questa audizione. Poiché ho già consegnato un testo scritto per la seduta del 19 giugno scorso, alla quale non mi è stato possibile partecipare, procederò per punti e in maniera molto sintetica. Premetto fin d'ora che, anche per i tempi assegnati, non parlerò del fenomeno dell'abuso del decreto-legge che si è fatto nel nostro Paese, sia in termini qualitativi sia in termini quantitativi, fenomeno che rappresenta una delle maggiori distorsioni del nostro sistema politico-istituzionale. Sono dati ben noti, peraltro ampiamente illustrati nella relazione del Presidente della Commissione che ci è stata consegnata. Sotto questo profilo osservo peraltro che non ci viene in aiuto l'esperienza comparata, visto che all'estero non esiste il fenomeno della decretazione così come si è sviluppato da noi in Italia. Alcuni ordinamenti è pur vero prevedono l'istituto (ad esempio la Romania, la Danimarca, la Spagna), ma trattasi di utilizzo assai più contenuto e comunque reso meno fruibile dai numerosi paletti posti in Costituzione.
  Non parlerò neppure della copiosa giurisprudenza della Corte Costituzionale che con interventi censori è, a più riprese, intervenuta sul tema, così come dei ripetuti interventi del Capo dello Stato. Preferisco andare subito alla questione cruciale, ovvero la riscrittura dell'articolo 77 della Costituzione così come emerge nel disegno di legge costituzionale e in particolare soffermarmi sui limiti introdotti che sono poi quelli dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988. Dato che proprio ieri l'Assemblea della Camera ha votato e approvato il testo della riforma, le mie considerazioni sono su un testo che ha quindi già passato il vaglio del Parlamento; ciò nonostante mi permetto ugualmente di porre all'attenzione della Commissione alcune riflessioni.
  Prima considerazione: non si corregge l'abuso della decretazione d'urgenza intervenendo esclusivamente sull'articolo 77 Pag. 4della Costituzione, perché il problema dell'abuso riguarda non lo strumento in sé, ma l'uso distorto che ne è stato fatto.
  C’è dunque un problema politico di fondo dietro al fenomeno della decretazione d'urgenza, che è riconducibile a noti profili di sistema: la perdita di centralità del Parlamento, l'indebolimento del ruolo delle assemblee rappresentative, la complessità di un procedimento legislativo come quello previsto dall'attuale bicameralismo perfetto e la situazione di crisi economica che ha indubbiamente incentivato l'istituto. Si tratta quindi di un problema di sistema. Ora, a mio parere, costituzionalizzare, come è stato fatto nel disegno di legge in commento, tutta una serie di limiti al decreto-legge, ovvero quelli della legge n. 400 del 1988, per frenarne l'abuso pone un problema pregiudiziale, ovvero cosa intendiamo per Costituzione. Sono dell'idea che una Costituzione debba mantenere anche una sua identità ideale, un suo valore simbolico, debba insomma rappresentare una summa di princìpi e di regole davvero fondamentali. Invece costituzionalizzare una serie di limiti, che sono oggi previsti in una legge ordinaria, rischia di trasformare il testo costituzionale in un codice di procedura costituzionale. Qui si apre un problema molto delicato (che posso solo accennare), che è quello della tecnica di redazione delle leggi. Non soltanto l'articolo 77, ma anche l'articolo 70 con riguardo alle leggi bicamerali, ha moltissimi richiami ad altri articoli della Costituzione (ad esempio non c’è una precisa elencazione delle leggi bicamerali), con un conseguente problema di intelligibilità del testo. Mi rendo conto che ormai molti ordinamenti stanno andando nel senso di una sempre maggiore costituzionalizzazione, ma tuttavia il problema va posto. Vengo alla seconda considerazione: siamo sicuri che costituzionalizzare tutti questi limiti all'utilizzo del decreto-legge sia comunque positivo ? Io nutro qualche perplessità, perché a me sembra che attraverso questa costituzionalizzazione si venga ad irrigidire eccessivamente l'utilizzo del decreto-legge, con il paradosso che se prima esso era l'ordinario strumento di legislazione, domani, se questa riforma andrà in porto in questi termini, di fatto l'utilizzo del decreto-legge sarà reso sostanzialmente impossibile. In altre parole, oggi il decreto-legge è l'ordinario strumento di legislazione, averlo invece costellato di così tanti limiti mi sembra un salto nel buio assai rischioso. Penso ad esempio alla disposizione per cui il decreto-legge deve introdurre soltanto misure di natura provvedimentale. Ebbene noi sappiamo che oggi in Italia con il decreto-legge si fanno riforme di natura regolatoria, talvolta anche di natura istituzionale (ad esempio la riforma Province). Passare quindi dall'abuso del decreto-legge ad una situazione di irrigidimento così intenso mi lascia un po’ perplessa. Entro velocemente nel merito di alcuni criteri che sono stati costituzionalizzati, come ad esempio il criterio della omogeneità. Siamo sicuri che sia opportuno inserirlo in Costituzione ? Cos’è l'omogeneità, ed omogeneità rispetto a cosa ? È un criterio per definizione sfuggente, molto difficile da chiarire nei suoi aspetti contenutistici e molto legato a motivi di opportunità politica. Anche il divieto di ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale mi lascia perplessa, perché costituzionalizzando questo limite andiamo ad una vera e propria pietrificazione della giurisprudenza costituzionale ad un dato momento storico. Perché impedire di utilizzare il decreto legge a fronte del mutato sentire sociale o del progresso della scienza e della tecnica ? Ricordo alla Commissione un caso del 2002, quando la Corte Costituzionale dichiarò costituzionalmente illegittima la legge della Regione Marche che aveva sospeso la «terapia elettroconvulsivante», cioè il cosiddetto elettroshock in relazione agli effetti collaterali di detta terapia. Il progresso della scienza e della tecnica potrebbe però portare alla scoperta di farmaci che non abbiano gli effetti collaterali dell'elettroshock. Perché allora non si potrebbe con decreto-legge fare tesoro di questo progresso della scienza e modificare Pag. 5la normativa con provvedimento d'urgenza ? Su questo punto nutro quindi qualche perplessità.
  Arrivo alle conclusioni per stare nei tempi. Quali correttivi potrebbero essere introdotti al disegno di legge sul punto ? Dando per assodato che la riforma della decretazione d'urgenza si innesta in un quadro complessivo di riforma costituzionale del bicameralismo perfetto, a mio giudizio la via preferibile è quella di agire sul procedimento legislativo, quindi vedo con grande favore l'inserimento nel testo costituzionale dell'articolo 72 della Costituzione dell'istituto del voto a data certa. Mi pare che questo strumento consenta al Governo di attuare con efficacia il proprio programma, e dunque la soluzione individuata, ovvero quella di combinare l'ordine del giorno prioritario e il voto bloccato modello francese, sia da leggersi con favore. Per quanto riguarda le preoccupazioni della Commissione (ho letto il resoconto stenografico del 19 giugno) in merito ad un eventuale abuso del voto a data certa, per cui si possa passare dall'abuso del decreto-legge all'abuso del voto a data certa, mi sembra che con gli interventi correttivi introdotti dagli emendamenti approvati dalla Camera questo rischio non si corra più. Innanzitutto perché non c’è un automatismo nell'utilizzo del voto a data certa, ma ci deve essere una previa deliberazione della Camera; inoltre molte materie sono state da esso escluse. Forse non sono stati introdotti dei limiti quantitativi, ovvero quante volte il Governo potrebbe usare il voto a data certa. Questo potrebbe essere valutato nei regolamenti parlamentari. Comunque i rischi paventati da alcuni membri della Commissione rispetto al possibile abuso di questo strumento sono, a mio parere, da considerarsi meno stringenti.
  Semmai il problema è un altro. Nel disegno di legge costituzionale viene adottato il modello francese, ovvero l’ordre du jour prioritaire e il vote bloqué. Tuttavia il sistema francese dopo la riforma costituzionale del 2008 è un sistema molto equilibrato perché, proprio per evitare un ruolo predominante del Governo sulla gestione dell'ordine del giorno del Parlamento, la Costituzione ha introdotto correttivi molto forti a favore delle opposizioni parlamentari. La sessione è divisa in quattro settimane, due per il Governo, che naturalmente può chiedere di discutere e di esaminare i progetti a cui tiene, e due settimane riservate alle opposizioni. Una settimana è addirittura intoccabile, perché vi si esercita il controllo parlamentare sull'operato del Governo e sulle sue politiche.
  Dal sistema francese dal quale abbiamo preso questo istituto, prendiamo anche gli strumenti in funzione di riequilibrio a disposizione delle minoranze parlamentari. Spero di essere stata chiara e rimango a disposizione per ulteriori domande. Vi ringrazio.

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma. Signor presidente, grazie mille per questo invito che mi onora molto e mi crea anche un qualche imbarazzo, lo confesso, perché parlare di decreti-legge ai componenti della Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati è un po’ come parlare del vostro pane quotidiano. Possiamo forse dirci esperti alla luce degli studi che abbiamo svolto, ma la pratica quotidiana la conoscete sicuramente meglio di noi.
  In un momento inoltre in cui avete appena licenziato un'importante riforma costituzionale, che va a incidere anche sull'articolo 77 della Costituzione, l'imbarazzo si accresce ulteriormente. A ciò si aggiunga che il titolo dell'indagine conoscitiva su «tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza» crea un'aspirazione alla completezza che ovviamente non può essere soddisfatta dal sottoscritto. Condivido peraltro la ratio che è alla base del titolo, perché è giusto vedere il tema del decreto-legge non isolandolo dalle altre tematiche. C’è un'esigenza di guardare al problema nel suo complesso e questo mi propongo di fare, tralasciando completamente il testo di riforma Pag. 6costituzionale, a parte forse un cenno alla fine.
  Vorrei muovere dall'elemento che conoscete meglio di me, cioè un uso assai intenso dello strumento, a prescindere dal colore dei Governi, dal grado di consenso parlamentare più o meno ampio di cui essi godono, dalla natura più o meno tecnica e più o meno politica dei Governi. Abbiamo il dato di un uso intensissimo dello strumento, e d'altro canto avete a disposizione il Rapporto sullo stato della legislazione che dedica, da anni specifica attenzione, anche critica, alle tendenze in essere riguardo ai decreti-legge.
  A questo elemento ne aggiungerei un secondo di carattere più teorico: ormai l'assetto dell'istituto e del rapporto tra decreto-legge e legge di conversione è stato oggetto di letture molto diverse in dottrina, come è naturale, ma anche tra gli organi costituzionali, il che forse non è così naturale.
  C’è stata una fase in cui la Camera dei deputati e il Presidente della Repubblica avevano adottato una certa lettura del rapporto tra decreto-legge e legge di conversione, e il Senato della Repubblica e la Corte Costituzionale un'altra. Da questo punto di vista oggi siamo arrivati a un inquadramento sostanzialmente condiviso e in particolare la Corte Costituzionale ha rivisto la sua giurisprudenza, grazie alle sentenze nn. 22 del 2012 e 32 del 2014, le quali hanno proposto un'interpretazione della legge di conversione come una legge a contenuto tipico e a competenza limitata, e hanno insistito sul valore del requisito dell'omogeneità tanto del decreto-legge quanto della legge di conversione.
  In che misura questa configurazione corrisponda effettivamente alle tendenze e trovi riscontro nella prassi più recente è un discorso diverso. Probabilmente la difficoltà deriva anche dal fatto che i decreti-legge nascono eterogenei e che si registrano una serie di rilevanti spinte sistemiche in questo senso. Un decreto-legge eterogeneo rispecchia al tempo stesso l'eterogeneità delle coalizioni di Governo che abbiamo avuto e continuiamo ad avere, e altresì la frammentazione dell'indirizzo politico all'interno del Governo: un Governo che ragiona molto per Ministeri e sulla base delle logiche prevalenti in ciascuno di essi.
  Ecco allora che, come sapete meglio di me, paradossalmente un decreto-legge eterogeneo cammina più veloce, in quanto un decreto-legge mirato, che abbia alle proprie spalle un unico ministro di riferimento e un singolo contenuto normativo rischia di non partire affatto, di procedere più lentamente e di non arrivare alla conversione. Un decreto-legge contenente invece disposizioni che stanno a cuore a più ministri, a più forze politiche della coalizione ha evidentemente un iter accelerato sia in sede governativa, sia in sede parlamentare.
  Queste sono logiche che conoscete e praticate, e in qualche misura anche il maxiemendamento con questione di fiducia risponde alla medesima logica: non è un caso che, come risulta dai dati dell'ultimo Rapporto sulla legislazione, l'uso della questione di fiducia sui maxiemendamenti sia particolarmente frequente in sede di conversione dei decreti-legge.
  Segnalo in proposito, come una sorta di aggiornamento rispetto al dossier del Servizio studi predisposto con riferimento a questa indagine, una recente sentenza della Corte Costituzionale, la n. 251 del 2014, nella quale, pur non facendo parte della ratio decidendi della sentenza, alla fine della motivazione compaiono poche righe dedicate appunto alla posizione della questione di fiducia su maxiemendamenti in sede di conversione dei decreti-legge e la si qualifica come «prassi», quindi non come consuetudine, e si dice che è una «problematica prassi».
  Questo mi pare un segnale abbastanza chiaro, sia pure molto sintetico e non parte della ratio decidendi della sentenza, di come la Corte abbia attenzionato il fenomeno e abbia rivisto profondamente la propria giurisprudenza in materia di omogeneità del decreto-legge rispetto alla sentenza n. 391 del 1995. Il che forse apre uno spiraglio di un ripensamento di tale Pag. 7pronuncia anche nelle affermazioni dedicate alla questione di fiducia sui maxiemendamenti.
  Segnalo un ulteriore e ultimo collegamento con la giurisprudenza costituzionale. In una recente sentenza che probabilmente avete visto per altri profili, quella sulla cosiddetta Robin Tax, la n. 10 del 2015, per la prima volta in modo così esplicito la Corte agisce sugli effetti retroattivi di una sua sentenza di accoglimento, stabilendo che questa non ha effetti retroattivi, in quanto, se li avesse, darebbe origine a una situazione ancor più incostituzionale di quella originaria. Questo strumento a mio avviso potrebbe preludere a una maggiore attenzione da parte della Corte ai vizi formali della legge, perché la ragione per cui la Corte è stata sin qui molto attenta a non dichiarare un vizio formale è che l'effetto caducante derivante dall'accoglimento di un vizio formale sarebbe troppo importante. Immaginate cosa significherebbe giudicare oggi incostituzionale una legge delega di alcuni anni or sono, perché ad esempio non approvata seguendo il procedimento ordinario.
  Se invece la Corte può agire in casi eccezionali, a certe condizioni, sulla retroattività dei propri effetti, questo rende più praticabile, a mio avviso, un controllo sui vizi formali. Si tratta di un punto nodale su cui una qualche attenzione ci potrebbe essere.
  D'altro canto, il contesto è quello di un procedimento legislativo ordinario – lasciatemelo dire in modo franco – che non ha superato le «colonne d'Ercole» della transizione del sistema politico-istituzionale.
  Il procedimento legislativo in Italia ha funzionato fino al 1992: da allora in poi il procedimento legislativo sostanzialmente non è stato più percorribile. Comprensibilmente lo strumento della decretazione d'urgenza ha funzionato da sostituto, prima con la reiterazione e poi senza, e credo che nessuno possa dire seriamente che sia colpa solo del Governo, che sia un abuso tutto e solo governativo: quello che si è creato è un procedimento che vede compartecipi Governo e Parlamento ed entrambi corresponsabili dei contenuti normativi adottati in esito a questo procedimento.
  Nella seconda parte del mio intervento vorrei sostenere una tesi che in qualche modo va in controtendenza. Spesso siamo abituati a considerare i decreti-legge come strumenti indispensabili per assicurare una decisione tempestiva e questa esigenza è particolarmente presente in tempi di crisi economica. Come esempio di analisi comparata si può prendere in considerazione il caso della Spagna dove i decreti-legge erano stati pochissimi prima della crisi e dopo la crisi, invece, sono esplosi.
  La mia tesi tuttavia è volta a sostenere che i decreti-legge in realtà assicurano un'apparenza di decisione, buona solo per soddisfare le esigenze più pressanti, le pressioni mediatiche, non per affrontare e sciogliere i nodi sostanziali dell'ordinamento. La decisione è spesso istruita male e l'istruttoria viene svolta tutta in seno al Governo, senza avere tempo e modo di procedere a consultazione dei soggetti interessati, delle Regioni e via dicendo.
  Entra immediatamente in vigore (immediatamente per modo di dire, perché il Rapporto sulla legislazione ci fornisce i dati del tempo intercorrente tra delibera del Consiglio dei ministri e pubblicazione in Gazzetta ufficiale) ma comunque in forma provvisoria, in quanto viene rimeditata in Parlamento in sede di conversione e spesso anche successivamente, magari a breve distanza; inoltre rinvia frequentemente a ulteriori atti di attuazione ed esecuzione, quindi ad efficacia differita, difficili da adottare.
  Anche l’iter parlamentare del disegno di legge di conversione è un iter che potremmo definire schizofrenico, fortemente asimmetrico tra Camera e Senato, a seconda del ramo del Parlamento in cui viene presentato per primo. Spesso i decreti-legge, soprattutto quelli omnibus, vengono affidati a Commissioni trasversali, la principale delle quali, insieme alla Commissione bilancio, è quella in cui abbiamo l'onore di sedere in questo momento. Si Pag. 8concludono spesso con la posizione della questione di fiducia, che rende difficile identificare le responsabilità dei soggetti e le decisioni assunte sia in aggiunta, sia in soppressione, e ricostruire perché una norma di un decreto-legge sia stata espunta dal testo diventa così spesso impossibile.
  A supporto di questa tesi ho trovato interessante un rapporto della Commissione europea del 2014. Voi immaginereste la Commissione europea come un supporter dei decreti-legge e in un rapporto sulla competitività dell'Italia ci si aspetterebbe di leggere che sono uno strumento indispensabile e che se non ci fossero bisognerebbe inventarli.
  Persino la Commissione europea, invece, in un rapporto del settembre 2014 sulla competitività dell'Italia dice testualmente, (traducendo dall'inglese): «i decreti legge non sembrano adatti per porre in essere riforme strutturali ambiziose, poiché contengono disposizioni che regolano materie molto diverse e in nome dell'urgenza non richiedono valutazioni d'impatto». C’è quindi una valutazione critica persino della Commissione europea sulla capacità di questo strumento di conseguire gli effetti trasformativi dell'ordinamento. Queste ragioni dovrebbero spingere, soprattutto a riforma costituzionale ormai definita nelle sue linee di fondo, a tornare a ragionare (il mio è un punto di vista tecnico, la valutazione politica la farete voi) sulle riforme dei regolamenti parlamentari, sia della Camera dei deputati sia del «nuovo» Senato, e a ragionarci in due tempi: da un lato un tempo medio di una riforma complessiva e coordinata con il nuovo Senato, con un testo da far entrare in vigore assieme alla riforma costituzionale – e qui gli spazi di innovazione mi sembrano stratosferici e fanno paura a uno studioso e a maggior ragione a chi in Parlamento opera da politico e da tecnico, perché la sfida di attuare le norme che avete approvato è molto complessa e al tempo stesso decisiva – ma da un altro lato ragionerei anche sin da subito di una riforma in via transitoria dei regolamenti parlamentari.
  Questa dovrebbe auspicabilmente muoversi nella medesima direzione indicata dalla riforma costituzionale, ma con interventi più mirati e – lasciatemi dire – condivisi, nella logica di misure che entrino in vigore da subito e che resistano anche all'ipotesi di un eventuale esito negativo del referendum costituzionale sulla riforma, quindi destinate a operare nell'immediato e a resistere in caso di mancata approvazione della revisione costituzionale.
  I temi da affrontare sono tanti, dalla riduzione delle Commissioni permanenti ai disegni di legge a data fissa, al potenziamento del controllo, all'adeguamento del Trattato di Lisbona, al potenziamento dei rapporti con le Regioni, ma non è questa la sede per parlarne.
  Chiudo esprimendo la sensazione che il grado di criticità che deriva dai decreti-legge sia tale che la mia priorità dal punto di vista tecnico sarebbe recuperare a tutti costi il procedimento legislativo, anche ove ciò comportasse una drastica semplificazione del procedimento legislativo ordinario, perché il quadro attuale è nettamente sbilanciato e insoddisfacente dal punto di vista sia degli equilibri politici e amministrativi, sia del prodotto legislativo.
  Capisco l'esigenza, nel voto a data fissa, di prevedere alcuni elementi di riequilibrio che sono stati introdotti nel testo, ma questo mi pare un punto assolutamente cruciale. Il procedimento legislativo non può essere quello attuale: è vero che sia la riforma costituzionale sia la riforma elettorale sono per definizione provvedimenti delicati e controversi specie nel contesto attuale, però lo spettacolo dato dalle Camere in queste settimane non è stato dei migliori e le procedure parlamentari non adeguate al maggioritario, almeno a stare alla lettera dei regolamenti, hanno dovuto reggere uno stress elevatissimo, che deve essere invece affrontato quotidianamente, e senza originare forme reiterate di ostruzionismo e di contestazione da parte delle opposizioni.
  Per fare questo c’è bisogno di regole scritte, stabili e adeguate al maggioritario, cosa che purtroppo non abbiamo mai avuto in questo Parlamento. Grazie.

Pag. 9

  ANTONIO FELICE URICCHIO, Professore di diritto tributario presso l'Università di Bari. Grazie innanzitutto dell'invito. Affronterò il tema del decreto-legge in ambito tributario-finanziario.

  PRESIDENTE. Le siamo grati, è un contributo di cui si avverte la necessità.

  ANTONIO FELICE URICCHIO, Professore di diritto tributario presso l'Università di Bari. Saluto tutti i componenti della Commissione. L'utilizzo dei decreti-legge in materia tributaria è particolarmente spinto nel nostro ordinamento e anche il rapporto presentato ci offre dei dati statistici significativi.
  Va però riportato sia all'interno di un contesto europeo, dove trova una limitata applicazione in materia, ma anche con riferimento a quei limiti che sono stati immaginati sin dai lavori preparatori della nostra Carta Costituzionale del 1948 e poi anche nelle fasi successive in cui si discusse di modifica del testo costituzionale e poi ancora con l'adozione dello Statuto del contribuente. Come evidenziava la collega Cerrina Feroni, l'utilizzo dei decreti-legge in altri ordinamenti è circoscritto, lo è ancor di più con riferimento alla materia fiscale, dove addirittura con norme costituzionali viene impedito (penso anche alla vicina Grecia).
  In alcuni casi l'utilizzo in materia fiscale è completamente vietato, in altri è circoscritto con norme costituzionali (penso anche al Belgio), quindi in altri Paesi trova vincoli ben precisi. Di questo si discusse anche nell'Assemblea Costituente, quando fu avanzata la proposta di limitare l'utilizzo dei decreti-legge in materia tributaria ai soli decreti «catenaccio», cioè quelli che potevano aumentare aliquote e tariffe, e tutto questo per esigenze finanziarie assolutamente imprevedibili, tali da poter dare origine, qualora si fossero utilizzati i tempi del normale iter parlamentare, a speculazioni o ad altri fenomeni ingiustificati e intollerabili.
  L'esperienza di questi anni ci insegna come l'utilizzo del decreto-legge sia stato molto ricorrente in materia tributaria e spesso norme tributarie siano state collocate all'interno di decreti-legge che avevano anche ambiti completamente diversi e lontani dalla materia.
  È noto che la Corte Costituzionale in alcuni casi è intervenuta anche richiamando i legislatori al concetto di omogeneità del testo, che oggi torna anche nella riforma costituzionale in corso, ma è intervenuta con riferimento anche ad altri profili, che oggi forse si impongono e che consentono di individuare dei limiti applicativi.
  Il concetto di esigenze finanziarie imprevedibili è uno degli aspetti che emerge anche nella recente sentenza, la n. 10 del 2015, della Corte Costituzionale, e che trova, dopo la novella costituzionale degli articoli nn. 81, 97 e 119 della Costituzione, le norme che hanno recepito il fiscal compact, anche un ulteriore significato.
  Cerco di entrare nel vivo della problematica anche per evidenziare quali possano essere le linee evolutive di una lettura delle norme costituzionali in materia. I requisiti previsti nell'articolo 77 della Costituzione, vale a dire «casi straordinari di necessità e di urgenza», evocano anche esigenze di natura finanziaria, perché le esigenze di carattere finanziario possono talvolta configurarsi come straordinarie e quindi tali da configurare i presupposti che il nostro articolo 77 della Costituzione prevede.
  In alcuni casi la Corte Costituzionale ha valorizzato esigenze finanziarie di carattere imprevedibile. È accaduto ad esempio all'indomani dell'adesione dell'Italia al Trattato di Maastricht, quando si è trattato di verificare la legittimità costituzionale dell'imposta straordinaria sui depositi bancari.
  Esiste però un limite fra esigenze finanziare imprevedibili ed esigenze finanziarie. Che il fisco abbia bisogno di risorse è fin troppo evidente, in quanto servono a finanziare le spese, però ci sono risorse che possono essere configurate come necessarie in funzione di esigenze non prevedibili e risorse che invece Pag. 10sono naturalmente prevedibili, perché destinate al finanziamento della spesa pubblica ordinaria.
  In questo rapporto che evoca anche un altro principio fondamentale, quello dell'affidamento e della prevedibilità del prelievo, c’è lo spartiacque fra il decreto-legge che può essere anche consentito e ammesso in materia tributaria e quello che invece non lo è per carenza dei presupposti legittimanti il suo utilizzo, appunto quelli di cui all'articolo 77 della Costituzione.
  La riforma costituzionale però ci offre oggi un nuovo scenario: nel momento in cui richiama l'utilizzo dei decreti-legge per quelle norme di carattere provvedimentale, ci fa comprendere come si possa tornare alla lettura data dalla stessa Assemblea Costituente, cioè un utilizzo dei decreti-legge per intervenire su materie come manovra sulle aliquote e tariffe, cioè quelle che incidono direttamente sul gettito e che possono essere – queste sì – giustificate da esigenze finanziarie di natura imprevedibile.
  Peraltro, già una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la n. 1088 del 2001, avvertiva questa prospettiva di utilizzo dello strumento della decretazione d'urgenza, facendo riferimento a emergenze valutarie e tributarie.
  In questa prospettiva si muove anche lo Statuto del contribuente, la legge 27 luglio 2000, n. 212, norma che ha natura di legge ordinaria, ma è anche dotata di un criterio di fissità previsto dall'articolo 1 e che rende (qui gli amici costituzionalisti potranno correggermi) rinforzata questa legge dello Stato, una legge che quindi si autoqualifica come espressione dei princìpi generali dell'ordinamento e che non può essere modificata se non da una legge ordinaria.
  L'articolo 4 dello Statuto del contribuente, la citata legge n. 212 del 2000, prevede che attraverso decreti-legge non si possano istituire nuovi tributi (in passato questo è accaduto e talvolta accade ancora) e soprattutto non si possano definire in senso ampliativo le categorie soggettive dei tributi, non si possa estendere la soggettività ad altri soggetti.
  Lo Statuto del contribuente è una norma ordinaria, che però ha questa clausola di fissità, che probabilmente, anche sul piano della lettura che ne è stata data nella prima fase applicativa, è condizionante rispetto alla produzione normativa futura, sia attraverso gli strumenti della legislazione ordinaria che attraverso l'utilizzo dei decreti-legge.
  Pur non implicando questi limiti anche un effetto invalidante sotto il profilo della costituzionalità delle norme, perché si tratta di una legge ordinaria, possono concorrere alla definizione della lettura dei requisiti previsti anche dal nuovo articolo 77 della Costituzione. Non ricorrono casi straordinari di necessità e urgenza quando occorre immaginare un nuovo tributo, che deve basarsi sul consenso, come richiede l'articolo 23 della nostra Costituzione.
  Anche il professor Lupo evocava questo scenario nel momento in cui, richiamando l'indicazione dell'Unione europea, evidenziava come la mancanza di consenso e la carenza di una partecipazione nell’iter formativo del decreto-legge costituiscano indubbiamente un vulnus pesante.
  Nel momento in cui con la riforma costituzionale si individuano gli strumenti della decretazione d'urgenza confinandoli ad ambiti più circoscritti, evitando questo fenomeno deteriore dei decreti-legge omnibus, all'interno del quale sono collocate norme tributarie sparse, o nel momento in cui si richiamano le leggi provvedimento che hanno un impatto anche di carattere finanziario, si può probabilmente individuare anche una chiave di lettura dei requisiti legittimanti il decreto, vale a dire i casi straordinari di necessità e urgenza, cioè appunto esigenze finanziarie imprevedibili, che come tali possono trovare origine in situazioni particolarmente gravi.
  La limitazione è quindi nel presupposto rispetto all'utilizzo del decreto-legge. In questa prospettiva anche il principio di equilibrio finanziario, che la Pag. 11sentenza n. 10 del 2015 evoca per inibire l'effetto retroattivo della sentenza della Corte Costituzionale, può trovare una sua collocazione, risponde a una finalità forte perché si colloca all'interno di un'esigenza finanziaria spinta, che paralizza questo effetto delle sentenze della Corte Costituzionale; si tratta di un tema sicuramente delicato.
  Dalla lettura dei testi delle origini, cioè dell'Assemblea Costituente, ma soprattutto dall'evoluzione normativa e da ultimo anche dalla riforma costituzionale in corso di discussione la limitazione all'uso del decreto-legge in materia fiscale è una conseguenza inevitabile nel momento in cui i requisiti attualmente previsti vengono intesi secondo il loro significato più autentico, cioè di circoscrivere l'utilizzo di decreti-legge in materia tributaria ai casi e alle situazioni imprevedibili sotto il profilo delle esigenze finanziarie, e giammai per istituire tributi, definire l'assetto di quelli esistenti o anche ampliarne le fattispecie in senso sia soggettivo che oggettivo.

  PRESIDENTE. Lei, professore, ritengo che dica «giammai» per accelerare percorsi normativi che potrebbero essere diversi, un po’ come l'articolo 700 del Codice di procedura civile.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ENZO LATTUCA. Una considerazione veloce da sottoporre ai nostri esperti. L'articolo 77 della Costituzione definisce indubbiamente il decreto-legge come una corsia di emergenza rispetto al procedimento ordinario e, come evidenziato dal professor Lupo, il fatto che negli ultimi vent'anni il procedimento ordinario non sia stato nella maggior parte dei casi in grado di rispondere alle esigenze delle mutate condizioni politiche ha fatto sì che questa corsia di emergenza venisse percorsa non solo dai mezzi di emergenza, ma anche da mezzi ordinari che ne hanno approfittato.
  È ovvio che la riforma della seconda parte della Costituzione cerca di agire soprattutto sul procedimento ordinario, che viene comunque condizionato dal superamento del bicameralismo paritario che oggi è la caratteristica principale del nostro procedimento, e viene ancora una volta agevolato dall'articolo 12 del testo della riforma, che prevede i procedimenti a data fissa su presentazione dei disegni di legge governativi.
  Di fronte a queste soluzioni, sulle quali credo che i regolamenti parlamentari debbano mettere ancora qualche paletto e qualche limite procedurale per evitare che dall'abuso della decretazione d'urgenza si passi all'abuso dell'utilizzo della corsia preferenziale per il Governo, al netto di queste modifiche che agiscono sul procedimento ordinario trovo che la decretazione d'urgenza debba tornare nell'alveo della straordinarietà e della vera urgenza.
  Sono quindi rimasto perplesso nell'ascoltare le considerazioni della professoressa Cerrina Feroni, perché non capisco come si possa avere un sistema che da un lato agevola molto e comprime l'iniziativa parlamentare nel procedimento ordinario, e dall'altro consente grande margine sull'utilizzo della decretazione d'urgenza, mentre concordo con la considerazione generale secondo cui in questa riforma della seconda parte della Costituzione noi passiamo dalla summa di disposizioni generali al concreto, triste constatazione di cui tutti siamo consapevoli.
  Una domanda specifica riguarda l'articolo 16 del testo della riforma che riscrive l'articolo 77 della Costituzione, nel quale si fa esplicito divieto di emanazione di decreti-legge in materia elettorale, «con l'esclusione della disciplina dell'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni». Questa è la definizione che abbiamo introdotto in questa Commissione.
  Vorrei chiedere il parere dei nostri esperti sulla portata di questa esclusione del divieto di decretazione in materia elettorale.

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  PRESIDENTE. Mi corre l'obbligo di dire che quando abbiamo affrontato questo tema in Commissione abbiamo legato la parola «organizzazione» anche allo svolgimento delle elezioni. Se vuole rileggere questo passaggio...

  ENZO LATTUCA. «Disciplina dell'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni».

  PRESIDENTE. È la parola «organizzazione» che fa da catalizzatore delle altre due specificazioni: volevo chiarirlo per evitare equivoci o infingimenti. Ogni parola è costata qualche stilla di sangue cerebrale. Il collega Fiano, in qualità di relatore, ricorderà come ci siamo impegnati su questo punto, per individuare una soluzione che non desse adito a equivoci.
  Ribadisco l'invito a concentrare le domande.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, presidente. Tenterò di attenermi religiosamente alle sue istruzioni. Il professor Lupo ha detto che il sistema ha funzionato fino al 1992. Perché ha smesso di funzionare dopo il 1992 ? Faccio due ipotesi. La prima è che il sistema 1976-1992 è fatto per funzionare con il consenso di maggioranza e opposizione ed è incompatibile con il bipolarismo.
  L'altra ipotesi è che abbiamo un drammatico aumento della produzione legislativa. Ferrara diceva che la legge era una norma generale e astratta e il provvedimento amministrativo era puntuale e concreto. Abbiamo molte leggi puntuali e concrete, e quando aumenta la richiesta di legificazione, essendo comunque ridotte le capacità di legificazione, il Governo deve ricorrere ai decreti d'urgenza per riuscire a realizzare il suo programma. Non dovremmo legare questo al problema non sufficientemente considerato della delegificazione.
  Seconda domanda. Lei, professor Lupo, ha accennato al tema dei regolamenti, ha fatto alcuni esempi, ma non crede che se ci fosse un accordo interistituzionale Camera e Senato che decidesse che i provvedimenti che arrivano da una Camera nell'altra vanno direttamente in Commissione redigente, salvo che una quota sufficientemente elevata di membri della Commissione o di membri dell'Assemblea chieda il contrario, questo potrebbe avere un forte impatto sul decongestionamento ? Delegificazione da un lato, e dall'altro l'uso dello strumento del regolamento. La mia posizione personale è che, se avessimo fatto una buona riforma regolamentare, forse non avremmo avuto bisogno di una riforma costituzionale.
  Ci sarebbero molte cose da dire, ma mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la loro replica.

  ANTONIO FELICE URICCHIO, Professore di diritto tributario presso l'Università di Bari. Credo che le domande riguardino maggiormente i miei colleghi, ma mi ha molto interessato la domanda dell'onorevole Buttiglione che ha riguardato la fase temporale fino al 1992 e dopo il 1992.
  È evidente che nel rapporto fra legislazione ordinaria e decretazione d'urgenza si innestano anche altri temi sullo sfondo, come il Parlamento forte e il Governo debole: cosa produce più decreti-legge ? Può darsi che un Governo forte imponga un utilizzo spinto del decreto-legge oppure al contrario un Governo debole che non riesce a utilizzare gli strumenti della produzione normativa ordinaria e ricorre allo strumento del decreto-legge. Forse questa seconda tesi è quella che meglio si adatta a scenari più complessivi.
  Resta il tema forte della delegificazione e di un utilizzo sempre più spinto di leggi provvedimento, che intervengono anche con riferimento ad ambiti che potrebbero essere devoluti alla produzione normativa secondaria, e credo che questa sia anche la linea sulla quale necessariamente muoversi anche nel prossimo futuro.

  NICOLA LUPO, Professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma. Grazie delle domande. Pag. 13Rispetto alla considerazione dell'onorevole Lattuca sono d'accordo, la linea è quella che individuava e personalmente mi vede anche favorevole a limitare la decretazione d'urgenza, quindi su questo punto non aggiungerei nulla.
  Sul tema invece della formulazione che consente l'interventi dei decreti-legge per disciplinare l'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni, vista da lontano (confesso di non aver seguito tutti i dibattiti) questa precisazione nel testo modificato dell'articolo 77 della Costituzione mi sembra una manifestazione di realpolitik: nel senso che nel momento in cui si è trattato di andare a recuperare i vecchi limiti della legge n. 400 del 1988 si è preso atto del fatto che in materia elettorale erano stati emanati in passato alcuni decreti-legge e immagino che la valutazione politica sia stata positiva, nel senso che tutto sommato è stato considerato positivamente che con decreti-legge si sia potuto spostare la data di qualche adempimento preelettorale o affrontare questioni similari, vale a dire piccoli aspetti incidenti sull'organizzazione del procedimento elettorale che ha avuto senso fare con decreto-legge.
  L'ipotesi formulata da alcuni illustri colleghi e spalleggiata in qualche sede istituzionale di una legge elettorale approvata con decreto-legge a me pareva una cosa delirante sul piano del sistema, e credo che questa norma vada in questo senso, nel momento in cui cerca di individuare alcuni margini di ammissibilità di un intervento con decretazione d'urgenza in materia elettorale e lo fa con grande accortezza, quindi personalmente lo trovo un punto di equilibrio assolutamente sensato.
  Per quanto mi riguarda, onorevole Buttiglione, non nascondo l'importanza della delegificazione, un tema a cui mi sono dedicato abbastanza a lungo, però ho la sensazione che non sia quello il nodo e che la risposta risieda più nella prima ipotesi che lei avanzava: nel senso che il procedimento legislativo in Italia all'indomani della Costituente si è strutturato secondo certi equilibri, ai sensi dei quali la legislazione per andare avanti aveva bisogno di un ampio consenso. Questo ampio consenso si aveva anzitutto in Commissione in sede deliberante e si poteva avere anche per effetto (aggiungerei qui un elemento rispetto all'ipotesi avanzata dall'onorevole Buttiglione) della disponibilità della risorsa finanziaria. Non a caso il 1992 è anche l'anno del trattato di Maastricht. Finché c'era la risorsa finanziaria, la sede legislativa si poteva «comprare», perché non si aveva alcun problema ad approvare qualche emendamento settoriale in più con un margine di risorsa finanziaria disponibile.
  Nel momento in cui il sistema politico è cambiato in maniera drastica, la risorsa finanziaria non è stata più disponibile, ma è diventata un vincolo, è venuto meno sostanzialmente il voto segreto, altro elemento essenziale ai fini dell'equilibrio del sistema, e quel procedimento non ha più funzionato.
  Consentitemi di dire che qui c’è una responsabilità delle Camere, che non hanno avuto la capacità di delineare, nei loro regolamenti, un procedimento legislativo adeguato al nuovo sistema. Tutto sommato, il sistema dei decreti-legge era accettabile, seppur con le sue deformazioni, in quanto consentiva e consente ancora al Parlamento di emendare, di intervenire, di rivedere il testo in sede di conversione: non emargina il Parlamento, ma, come ho cercato di affermare in estrema sintesi, produce una serie di «frutti avvelenati», di effetti negativi sulla capacità del sistema istituzionale di fornire risposte efficaci ed efficienti.
  Considero quindi positivamente un tentativo di rivedere i regolamenti parlamentari in modo da muoversi in coerenza con la riforma costituzionale in itinere e anticipandone alcuni nodi, perché è vero, come diceva l'onorevole Lattuca, che ci sono molti nodi aperti. Non dimentichiamo che la riforma del Titolo V aveva alcune pecche iniziali, ma molti dei problemi derivanti dalla riforma del Titolo V derivano da un'attuazione poco attenta; invece il processo di attuazione della riforma Pag. 14costituzionale dovrebbe partire già da oggi, all'indomani del suo voto da parte della Camera, quello cioè che ha avuto luogo ieri.
  Una volta che la doppia deliberazione conforme c’è sull'80-90 per cento del testo, credo che su quel testo si possa cominciare a ragionare e per ampliare il consenso introdurre delle norme coerenti, che siano comunque in grado di assicurare una transizione verso una riforma che sia positiva e non traumatica. Grazie.

  GINEVRA CERRINA FERONI, Professoressa ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze. Ringrazio l'onorevole Lattuca di questa sollecitazione, che mi consente di approfondire alcuni aspetti. Mi rendo conto di essere in controtendenza rispetto alla sterminata letteratura giuridica che ha visto positivamente la costituzionalizzazione della legge n. 400 del 1988. Partirei da una considerazione: in una forma di Governo parlamentare che funzioni il Governo deve contare su degli strumenti per attuare la propria politica. In questi anni lo strumento è stato in larga parte il decreto-legge e ciò ha determinato non soltanto una deviazione (è una delle maggiori distorsioni del nostro sistema costituzionale), ma, come è stato ben detto anche da altri colleghi nella precedente audizione del 19 giugno, l'abuso del decreto-legge determina una situazione di incertezza complessiva nel sistema, incertezza per i giudici, incertezza per l'amministrazione, incertezza per i privati, incertezza per gli operatori che intendono investire nel nostro Paese, quindi certamente c’è bisogno di affrontare questo problema della decretazione d'urgenza. La considerazione che faccio è la seguente: si può veramente passare dal tutto al nulla  ? Non sarà un vero e proprio salto nel buio passare da un utilizzo del decreto-legge che per quantità e qualità appare assolutamente anomalo nel panorama contemporaneo ad un non utilizzo, considerato che attraverso i limiti della legge n. 400 del 1988 che vengono costituzionalizzati si rende sostanzialmente impossibile l'istituto ? Mi sembra un passaggio molto rischioso. Cito soltanto l'esempio della Costituzione spagnola, che ha irreggimentato notevolmente il decreto-legge, per cui poi è stato il Tribunale costituzionale di volta in volta ad andare a spiegare se una materia fosse esclusa o meno dal decreto-legge, e con un'opera di interpretazione del testo molto complessa si è poi arrivati a una situazione di certezza, ma ci sono voluti anni.
  Sdrammatizzerei inoltre il tema della decretazione d'urgenza e della necessità di introdurre limiti, perché questo disegno di legge costituzionale ha previsto un intervento organico, che incide sul procedimento legislativo nel suo complesso. Si cambiano le regole fondamentali, si cambia il bicameralismo perfetto, si cambiano i tipi di legislazione, si cambia il ruolo del Senato nell'ambito della legislazione, si introduce il voto a data certa, quindi la riforma del decreto-legge si inserisce in un contesto molto più organico e quindi non vedo questo rischio. Da costituzional-comparatista che ama le Costituzioni anche per il loro valore simbolico ed evocativo, irrigidire (per certi aspetti è inevitabile) così tanto una Costituzione, facendola diventare un organico e coerente codice di procedure costituzionali, le fa perdere la natura di Legge Fondamentale. Ecco perché ritengo che all'abuso della decretazione d'urgenza si possa rimediare non rendendo impossibile l'utilizzo del decreto ma operando sul procedimento legislativo, quindi il voto a data certa, ma anche ripensando il progetto di riforma in esame dando maggiore spazio alle opposizioni parlamentari. E quando dico dare maggiore spazio alle opposizioni parlamentari non mi riferisco solo alla introduzione di qualche regola nei regolamenti parlamentari. Se adottiamo il modello francese, adottiamolo in toto, poiché gli strumenti a favore delle opposizioni parlamentari dovrebbero essere introdotti in Costituzione, non limitandosi ad un mero richiamo allo Statuto delle opposizioni da farsi con regolamento. Nel momento in Pag. 15cui si va a riscrivere un testo come questo, si potrebbe riflettere sulla possibilità di dare in Costituzione maggiori poteri alle opposizioni, così come nel modello francese, nel modello spagnolo, nel modello tedesco. Per quanto riguarda l'aspetto della legge elettorale sono completamente d'accordo con il professor Lupo e non aggiungo altro. È una questione di realpolitik e credo che consentire flessibilità e margine di manovra evitando di irrigidire così tanto in tema di legge elettorale sia una ragionevole soluzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.