XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 15 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C.9, D'INIZIATIVA POPOLARE, ED ABB., RECANTI MODIFICHE ALLA LEGGE 5 FEBBRAIO 1992, N. 91, IN MATERIA DI CITTADINANZA

Audizione di esperti, di rappresentanti dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e del prefetto Mario Morcone, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Savino Mario , professore associato di diritto amministrativo ... 3 
Guzzetta Giovanni , professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico ... 4 
Lippolis Vincenzo , professore di diritto costituzionale italiano e comparato ... 5 
Marini Francesco Saverio , professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico ... 6 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 8 
Morcone Mario , capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ... 8 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 9 
Ponari Alessandra , coordinatrice dell'Ufficio dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza ... 9 
Scego Igiaba , esperta di dialogo tra le culture, dimensione della transculturalità e della migrazione ... 10 
Panella Carlo , giornalista ... 11 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 12 
Marazziti Mario (PI-CD)  ... 12 
Fabbri Marilena (PD)  ... 13 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 13 
Fabbri Marilena (PD)  ... 13 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti, di rappresentanti dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e del prefetto Mario Morcone, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in relazione all'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame delle proposte di legge c. 9, d'iniziativa popolare, ed abbinate, recanti modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza, l'audizione di esperti, di rappresentanti dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e del prefetto Mario Morcone, Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
  Ringrazio il Sottosegretario Scalfarotto, onnipresente – per fortuna – durante i nostri lavori.
  I tempi saranno rigorosamente di cinque minuti per ciascun audito. Come sapete bene per prassi costante, sono graditi i contributi scritti, che saranno il tessuto connettivo su cui i lavori della Commissione potranno innestarsi con maggiore profitto rispetto alla pur utilissima audizione.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro presenza e disponibilità, do volentieri la parola al professor Mario Savino, professore associato di diritto amministrativo presso l'Università della Tuscia di Viterbo, e a seguire tutti gli altri.

  MARIO SAVINO, professore associato di diritto amministrativo. Grazie presidente. Procederò rapidamente per punti.
  Il mio intervento è volto a evidenziare alcuni aspetti che mi paiono maggiormente critici nella legislazione vigente in materia di cittadinanza. Sono osservazioni che formulerò sulla base di una ricerca condotta da più università, che ho coordinato lo scorso anno, e che riguarda la disciplina della cittadinanza prevista in altri Paesi ad alto tasso di immigrazione, quali Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Svezia, Austria, Stati Uniti, Australia e Canada. L'obiettivo di questa ricerca era comparare tali legislazioni per cercare di capire come l'Italia potesse trarre spunto da esperienze più consolidate.
  I risultati possono essere condensati in tre punti critici, che riguardano ciascuna delle principali modalità di acquisizione della cittadinanza italiana e cioè ius sanguinis, naturalizzazione e ius soli. Do per scontata la disciplina di ciascuno di questi punti e vengo subito ai problemi.
  Un primo problema, poco rilevato, è quello dello ius sanguinis nella formulazione italiana, una formulazione abbastanza rara nella legislazione comparata perché lo ius sanguinis in Italia è illimitato, il che significa che la trasmissione della cittadinanza avviene senza limiti di tempo e di generazione.
  Negli altri ordinamenti ad alto tasso di immigrazione, ma in generale nel panorama comparato, è quasi un unicum. Ci Pag. 4sono poche altre eccezioni. Il problema che ne deriva è che lo Stato italiano perde il controllo, nella sostanza, della sua popolazione. In base a una stima recente ci sono circa 70 milioni di italiani virtuali o latenti che, avendo un avo italiano da qualche parte nel loro albero genealogico, potrebbero un domani o forse anche oggi riscoprire la propria cittadinanza.
  Il problema è che teoricamente raddoppierebbe il numero dei cittadini italiani. In pratica il problema non si pone in questi termini, ma dobbiamo tenere conto del fatto che, nell'attuale stato del diritto nazionale ed europeo, ci sono pochi disincentivi alla riscoperta delle nostre cittadinanze, perché per esempio non si fa più il servizio militare, e molti incentivi. Si è cittadini europei e quindi si ha accesso alla cittadinanza.
  Questa è una prima asimmetria o meglio stortura della nostra legislazione, che si giustifica per ragioni storiche. L'Italia tradizionalmente ha puntato sullo ius sanguinis in quanto Paese di emigrazione. Era previsto nel 1912 e l'abbiamo addirittura ampliato nel 1992, quando ormai da vent'anni la direzione dei flussi si era invertita.
  Quanto alla naturalizzazione, il nostro regime è problematico sotto due profili, alla luce del dato comparato. Il primo è la durata degli anni di residenza ovvero il periodo di permanenza regolare e continuativa in Italia. Il secondo è la sua applicazione amministrativa.
  Come probabilmente noto a tutti ed emerso anche da recenti fatti di giurisprudenza, ci sono tempi lunghissimi di attesa, che vanno ben oltre il già anomalo termine di 730 giorni previsto dalla legge per provvedere in materia di richieste di naturalizzazione. Ci sono casi che arrivano a sei anni. Dieci anni più sei. Il risultato è che l'Italia ha una naturalizzazione a ostacoli, che crea un evidente deficit di integrazione, testimoniato dal basso tasso di naturalizzazione.
  Terzo e ultimo problema è quello più noto dello ius soli. I nati in Italia da genitori stranieri acquistano la cittadinanza solo alla maggiore età, solo se dimostrano presenza regolare e continuativa, il che talora è molto problematico, e solo se richiedono la cittadinanza italiana entro un anno dal compimento della maggiore età.
  Da qui derivano due deficit. Il primo riguarda i minori, che sono ovviamente stranieri in patria fino alla maggiore età. Se questo dato riguarda ora 700.000 minori, secondo stime al 2065 si tratterà di una cifra compresa tra 6,4 e 8,6 milioni di giovani residenti in Italia.
  Il secondo deficit collegato all'assenza dello ius soli riguarda i neomaggiorenni, i quali in un caso su tre non riescono a ottenere la cittadinanza italiana o perché dimenticano di proporre l'istanza entro la finestra di un anno che si apre alla maggiore età o perché viene rigettata per assenza di uno dei requisiti. L'effetto della mancata acquisizione è che per rimanere in Italia hanno bisogno di un permesso di soggiorno e, in caso contrario, devono essere espulsi verso un Paese che non hanno mai visto.
  Sotto questo profilo ci sono esigenze notevoli di intervento sulla legislazione italiana. Nel quadro comparato ci sono indicazioni abbastanza univoche in tal senso. La soluzione da seguire non è lo ius soli puro, che è presente solo negli Stati Uniti per motivi di rigidità costituzionale, perché ha l'effetto distorsivo di incentivare l'immigrazione clandestina – vado negli Stati Uniti anche clandestinamente per partorire lì –, ma un meccanismo di ius soli temperato, che si ricolleghi alla residenza legale e a un certo numero di anni oscillante, a seconda dei casi, tra due e cinque.

  GIOVANNI GUZZETTA, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. Sarò brevissimo, anche perché alcune cose sono già state dette.
  Essendo stato convocato come costituzionalista, la prima cosa che ho indagato è se nelle discipline che sono sottoposte al nostro esame ci siano profili di rilevanza costituzionale o dell'Unione europea.
  La mia conclusione è che non sussista nessun profilo di particolare rilevanza dal Pag. 5punto di vista dell'ortodossia costituzionale, atteso che la Costituzione cita il tema della cittadinanza solo a fini di tutela contro la privazione della stessa per ragioni politiche.
  La giurisprudenza costituzionale se n’è occupata solo in una sentenza di non fondatezza e in una di inammissibilità su questioni marginali. Nel diritto europeo, secondo me, la materia è invece più in movimento. È vero che il Trattato di Maastricht e la Dichiarazione n. 2 riconoscono la totale sovranità degli Stati nella determinazione delle condizioni di cittadinanza, ma c’è una giurisprudenza europea che dà qualche segnale di attenzione.
  In particolare c’è la sentenza Rottmann del 2010 in cui la Corte di giustizia segnala, a proposito della revoca della cittadinanza, l'esigenza che gli Stati che revocano la cittadinanza lo facciano rispettando i principi di proporzionalità. Non è quindi escluso che in futuro il tema venga attratto nella competenza europea e all'attenzione della giurisprudenza europea. D'altra parte è evidente che la scelta dei criteri di accesso alla cittadinanza ha un impatto sull'Unione europea e sull'attribuzione della cittadinanza europea, che come è noto segue quella nazionale.
  Mi vorrei concentrare su tre punti. In primo luogo a me sembra che, da un'analisi comparata della disciplina sulla cittadinanza, emerga ovunque che il regime della cittadinanza è frutto di una serie abbastanza ampia di condizioni. Si tratta di una pluralità di discipline, come del resto dimostra la nostra. Non esiste né un modello generalizzato né un criterio decisivo per ordinare la materia della cittadinanza.
  Questo dovrebbe indurci ad avere un atteggiamento estremamente pragmatico nelle scelte da compiere. Rilevo che il dibattito in Italia, soprattutto nel passato, è stato legato a profili più di tipo ideologico che pragmatico, ma in ogni ordinamento il regime della cittadinanza è frutto di una combinazione di ingredienti variamente graduati in relazione alle specifiche esigenze di politica della cittadinanza.
  Il secondo elemento che vorrei sottolineare emerge da alcuni indicatori statistici, e mi riferisco particolarmente alle ricerche dello European Union Democracy Observatory, che è un consorzio di istituti di ricerca capitanato dall'Istituto universitario europeo.
  È vero che la disciplina sulla cittadinanza in Italia è forse mediamente più restrittiva rispetto alla media europea, anche se non è così restrittiva rispetto a Paesi che hanno condizioni abbastanza simili al nostro dal punto di vista dei flussi migratori. Questo è senz'altro vero e sicuramente c’è una serie di punti sui quali si può intervenire.
  Risulta però evidente che il punto critico che differenzia fortemente l'Italia dagli altri Paesi riguarda l'implementazione amministrativa della legislazione sociale sulla cittadinanza. Il differenziale in termini di copertura amministrativa e di efficienza, come è stato detto anche prima, è il più rilevante.
  Il mio sommesso suggerimento è che, oltre ad applicarsi alla disciplina legislativa delle condizioni della cittadinanza, ci si applichi molto sui meccanismi di semplificazione delle procedure, come del resto è stato già fatto negli ultimi anni.
  L'ultimo dato che sembrerebbe emergere dalle ricerche più recenti è che la richiesta della cittadinanza italiana è finalizzata a una cittadinanza di passaggio. I dati statistici, che vi posso fornire, dicono che il tasso di persone che chiedono la cittadinanza per poi risiedere all'estero è piuttosto significativo o comunque più significativo che in altri ordinamenti.
  Le misure da approvare dovrebbero tenere conto di questo dato e cioè del fatto che la richiesta di cittadinanza è talvolta strumentale a ottenere vantaggi da spendere altrove.

  VINCENZO LIPPOLIS, professore di diritto costituzionale italiano e comparato. Il primo punto che vorrei sottolineare è che le leggi sulla cittadinanza rispondono non ad astratte teorie giuridiche sull'universalità dei diritti, ma a esigenze politiche, come è stato già accennato, a visioni Pag. 6ideologiche e culturali, secondo gli interessi e le visioni degli Stati.
  Non esistono leggi sulla cittadinanza che adottino un unico criterio, ma leggi che adottano una combinazione di criteri. La contrapposizione che c’è stata nel dibattito italiano tra ius sanguinis e ius soli è spesso stata agitata in maniera assolutamente ideologica. Lo ius soli, sia pure in forma limitata, esiste già nella legge italiana. È l'articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992. Si tratta semmai di lavorare su quella norma per rendere meno rigida l'ipotesi che prevede, per chi è nato in Italia, una ininterrotta permanenza fino al compimento della maggiore età.
  All'opera di riforma c’è la necessità di combinare i vari criteri. La legge attuale è criticabile perché è difensiva rispetto all'allargamento della cittadinanza a stranieri residenti ed espansiva riguardo agli italiani di sangue, indipendentemente dal rapporto che hanno con il nostro Paese. Su questi due elementi si può operare.
  È stato già richiamato prima l'elemento del sangue e quindi la trasmissione della cittadinanza a persone che non hanno alcun rapporto concreto con il nostro Paese. Si dovrebbe cercare invece di premiare coloro che con il nostro Paese hanno un rapporto concreto di residenza e di operatività all'interno dei nostri confini.
  Vorrei segnalare che la cittadinanza ormai si riduce ai diritti elettorali, ai diritti politici e al passaporto. Anche il discorso sui minori, a mio avviso, dovrebbe essere considerato alla luce del fatto che i diritti elettorali non si possono esercitare fino alla maggiore età. Mi appare meno drammatico il fatto che un minore possa non avere la cittadinanza italiana fino al raggiungimento della maggiore età, visto che di tutti gli altri diritti lo straniero in Italia ne usufruisce.
  Il punto è che la cittadinanza, anche storicamente, nasce intorno a un nucleo non solo di diritti, ma di doveri, soprattutto il dovere di fedeltà allo Stato e alla nazione. La Rivoluzione francese forgia l'istituto moderno della cittadinanza intorno alla figura del cittadino in armi. Senza risalire indietro a queste visioni perché, come detto, oggi esistono gli eserciti professionali, è necessario che chi vuole acquistare la cittadinanza desideri aderire a un destino comune perché questo è il significato dell'essere cittadino.
  È necessario, nel combinare i vari elementi – non c’è il tempo per entrare nei dettagli, ma alcuni sono stati accennati –, che prima della concessione della cittadinanza siano verificati percorsi di integrazione e che non vi siano automatismi, a mio avviso, di nessun genere.
  Si dovrebbe prevedere quello che è stato definito ius scholae o ius culturae, cioè sul fatto che chi acquista la cittadinanza abbia una formazione in Italia. Io assimilerei ai nati in Italia anche coloro che arrivano in Italia nell'età prescolare. Per la naturalizzazione un elemento che valorizzerei è quello della titolarità del permesso di soggiorno di lungo periodo.
  Mi fermo qui, concordando con tutto quanto è stato già detto sulle lungaggini amministrative. È un punto che va risolto. Bisognerebbe stabilire che a una certa data si diventa cittadini non in modo automatico, ma evitando ulteriori lungaggini amministrative. Rinvio ad una memoria scritta lo sviluppo più organico delle mie opinioni che ho dovuto concentrare al fine di rispettare i tempi assegnati dal presidente.

  FRANCESCO SAVERIO MARINI, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico. È già stato rilevato dal professore Guzzetta come la Costituzione, in verità, non dica nulla. Rinvio, per un discorso più organico, al testo scritto.
  Il fatto che la Costituzione dica poco o nulla consente al legislatore ampia discrezionalità. I progetti di legge, quindi, non sollevano perplessità di ordine costituzionale, sotto questo profilo. Ampia discrezionalità non vuol dire, però, che non vengano a rilievo questo o quel valore costituzionale.
  Ad esempio, la sostanziale conservazione da parte dei progetti di legge del criterio del cosiddetto ius sanguinis sembra confermare o rafforzare un collegamento Pag. 7tra popolo e istituto familiare e nella stessa direzione si muovono quei progetti di legge che tendono, in diversa misura, a facilitare, rispetto alla disciplina attuale, l'acquisto della cittadinanza per via matrimoniale o per effetto dell'adozione.
  In ogni caso, questi progetti di legge tendono in prevalenza a semplificare l'accesso alla cittadinanza. L'idea sottostante è che l'estensione dei diritti politici potrebbe agevolare l'inserimento in una comunità politica e nei correlati meccanismi decisionali di una serie di soggetti, che non si vedrebbero più a quel punto come meri destinatari passivi di norme etero-prodotte, alle quali non partecipano.
  I progetti di legge tendono a introdurre i criteri del già citato ius culturae e dello ius domicilii, subordinando l'acquisto della cittadinanza all'accertamento del livello di integrazione linguistica e sociale oltre che alla permanenza, per un certo periodo di tempo, sul territorio italiano.
  In particolare, il criterio dello ius culturae si traduce nella scelta di collegare l'acquisto della cittadinanza alla frequenza o al completamento di un corso di istruzione. Così facendo si fa passare il riconoscimento dello status per il banco di prova del sistema educativo ed è una scelta questa, a mio avviso apprezzabile, in quanto la scuola in fondo rappresenta un laboratorio dell'integrazione.
  Un caveat però va posto rispetto alle forme di verifica del livello di integrazione e di formazione. Prevedendo forme burocratiche eccessivamente rapide o seriali, come la sottoposizione a test scritti o a esami, il rischio è quello di affidare l'ingresso di un soggetto nella comunità politica a una sorta di esamificio con tutti i connessi e noti vizi.
  Il criterio dello ius domicilii è invece introdotto come parametro specifico per l'attribuzione della cittadinanza a beneficio dei soggetti che, stabilitisi in Italia dall'infanzia, vi siano rimasti fino alla maggiore età. Va rilevato come su questi due criteri puntino con forza le normative adottate in altri ordinamenti europei, cioè Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna.
  Questi sono i lati positivi. Elenco rapidamente alcuni aspetti controversi. Un primo aspetto da considerare è quello degli oneri finanziari. All'ampliamento del numero di cittadini corrisponde, almeno sotto alcuni profili, un ampliamento della platea dei titolari dei diritti sociali e delle prestazioni assistenziali. Bisogna fare attenzione che la riforma non sacrifichi le situazioni dei cittadini che attualmente godono di tali diritti.
  In questa prospettiva, una regolazione più aperta dell'acquisto della cittadinanza, comunque attenta all'esigenza della finanza pubblica, potrebbe opportunamente contemplare, tra i requisiti da possedersi da parte del candidato al momento della richiesta, la sussistenza di un profilo lavorativo e reddituale. È una soluzione che, ad esempio, è stata utilizzata nell'ordinamento tedesco con la legge sulla cittadinanza del 2007.
  Occorre poi fare attenzione al fatto che il favor per l'estensione non si traduca in un qualche incentivo all'immigrazione clandestina. Alcuni progetti, ad esempio, prevedono il conseguimento della cittadinanza italiana indipendentemente dal carattere regolare dell'ingresso nel territorio. Inoltre, poiché il piano interno costituzionale e legislativo non può essere oggi considerato disgiunto dall'ordinamento dell'Unione europea, potrebbe suscitare qualche perplessità l'assenza nei progetti di legge di adeguate previsioni che tengano conto di questo fattore e che favoriscano o promuovano un'azione di coordinamento tra gli Stati membri dell'Unione in materia di cittadinanza.
  Vista comunque la politicità dei presupposti e delle condizioni per l'acquisto della cittadinanza, sembra auspicabile anche l'introduzione di forme differenziate o attenuate di cittadinanza. Come dimostra il precedente del decreto legislativo n. 197 del 1996, che ha consentito la partecipazione all'elezione comunale anche ai cittadini di altri Stati dell'Unione europea, si deve ritenere nella disponibilità del legislatore Pag. 8la possibilità di configurare e modulare uno status giuridico intermedio tra quello di cittadino e quello di straniero o apolide.
  A chi appartenga a tale situazione giuridica intermedia potrebbero essere riconosciuti, in ipotesi, soltanto alcuni diritti e attribuzioni che spettano al cittadino e non allo straniero, anche come tappa di avvicinamento all'ottenimento della cittadinanza piena.
  Un modello normativo che sembra coniugare i due aspetti, garantendo una congrua e sostenibile regolazione dei fenomeni migratori, è il sistema a punti inglese, che potrebbe essere di modello per il sistema italiano.

  PRESIDENTE. Grazie. Prima di dare la parola al prefetto Mario Morcone, capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, saluto il prefetto Angelo Di Caprio, direttore presso la Direzione Centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze, che lo accompagna.
  Prego, prefetto Morcone.

  MARIO MORCONE, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Starò nei cinque minuti assegnatimi, anche perché le tre questioni che vorremmo porre sono state già ben illustrate da chi ci ha preceduto. Concordiamo pienamente con il professor Savino e con gli altri esperti intervenuti.
  Il primo punto riguarda il minore nato in Italia o il minore arrivato in Italia. A noi sembra che, pur rispettando l'autonomia del Parlamento, si possa trovare una soluzione compatibile con un percorso scolastico o con un tempo di permanenza in Italia, fermo restando che probabilmente bisognerà immaginare, qualora il Parlamento acceda a questa scelta, anche la possibilità che al compimento del diciottesimo anno di età il soggetto rinunci alla cittadinanza. È evidente che al diciottesimo anno di età deve essere data la possibilità di scegliere. Nella relazione scritta tutto questo è indicato in modo più dettagliato di come lo sto esponendo oralmente.
  Per quanto riguarda naturalizzazione, faccio presente che noi siamo al fondo della classifica rispetto ad altri Paesi europei. Dieci anni sono oggettivamente troppi. Riteniamo che si possa ripensare il periodo di permanenza tra i sei e gli otto anni. Il riferimento al permesso per soggiornanti di lungo periodo è certamente centrato. Sosteniamo anche l'opportunità di mantenere il concetto di concessione della cittadinanza per naturalizzazione. Essendo una scelta che coinvolge una serie di interessi e decisioni complesse, anche attinenti alla sicurezza nazionale, riteniamo che, almeno per la naturalizzazione, la concessione debba rimanere.
  La terza questione, anche questa già accennata dal professor Savino, riguarda la legge del 1912. Senza alcuna diplomazia dico che non si può più consentire di chiedere la cittadinanza italiana per andare negli Stati Uniti con un passaporto ottenuto più semplicemente di quanto avverrebbe in base al requisito di appartenenza al Paese di nascita. È nostra opinione che bisognerebbe rivedere la legge in profondità. Naturalmente il Parlamento deciderà come crede, ma sinceramente abbiamo dato uno spazio fuori misura a questo tipo di situazioni, ingenerate da corrette decisioni della Corte costituzionale.
  Gli ultimi secondi li riservo alle giuste osservazioni fatte sulle lungaggini amministrative. L'Ufficio della cittadinanza non solo è oppresso da un procedimento amministrativo farraginoso e complesso che, nonostante gli sforzi sull'innovazione tecnologica, sull'informatizzazione e sulla dematerializzazione, ripropone costantemente una corsa senza traguardo.
  L'impegno dell'Ufficio a incrementare costantemente la produzione di provvedimenti che concedono o attribuiscono la cittadinanza si contrappone a un aumento delle richieste, che vanifica ogni sforzo compiuto. Dalle 30.000 richieste del 2006, siamo passati alle 101.000 del 2014. Nel primo semestre del 2015 sono arrivate 67.822 richieste. Se questo è il trend, il totale per il 2015 sarà di 130.000 richieste Pag. 9di cittadinanza. È chiaro che in queste condizioni il traguardo non si raggiungerà mai.
  Abbiamo cercato di accelerare il procedimento amministrativo attraverso un'intensa attività di razionalizzazione e di semplificazione. Sono state fornite alle prefetture indicazioni sulla decertificazione. Sono stati attivati i collegamenti con le banche dati, con il casellario centrale, con l'Agenzia delle entrate. Abbiamo avuto anche risultati incoraggianti. Dal 1o maggio è attiva la domanda on-line, ma anche questo non ha fatto altro che far crescere le domande di cittadinanza e l'obiettivo diventa ogni giorno più difficile da raggiungere.
  Mi fermo qui. Il resto è commentato nella breve relazione scritta che consegno alla Presidenza. Resta un grande problema, a mio avviso. Una riflessione approfondita dovrebbe porre sulla bilancia due interessi contrapposti: il concetto di concessione, che l'Ufficio ritiene importante mantenere nel contesto di discrezionalità che la Repubblica deve conservare nel conferire lo status civitatis, e forme di decentralizzazione istruttoria, che senza dubbio aiuterebbero ad accelerare i provvedimenti, realizzando tempi di rilascio o di diniego più europei.
  Dolorosamente, alleghiamo anche i dati attuali dell'arretrato in materia di cittadinanza.

  PRESIDENTE. Grazie, prefetto, anche per la sintesi.
  Do ora la parola alla dottoressa Alessandra Ponari, coordinatrice dell'Ufficio dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, accompagnata dalla dottoressa Stefania Pizzolla, coordinatrice dell'Area diritti.

  ALESSANDRA PONARI, coordinatrice dell'Ufficio dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza. L'Autorità garante per l'infanzia, come sapete, si occupa prevalentemente della tutela dei diritti delle persone di minore età. La valutazione che oggi viene condotta in questa sede non può prescindere da una riflessione anche sul nucleo familiare di appartenenza, considerato che la famiglia rappresenta l'ambito elettivo di crescita del minorenne.
  Anch'io rinviando l'approfondimento al testo scritto che lascerò alla Presidenza, mi limito a concentrare l'intervento su alcuni elementi che l'Autorità, nella prospettiva di garanzia e tutela dell'interesse superiore del minorenne, considera imprescindibili e ineludibili anche all'interno di un testo di legge che auspichiamo il Parlamento possa portare il più presto possibile a conclusione.
  Passando in rassegna questi elementi, parto da una prima indicazione di carattere generale. L'Autorità è un'autorità di garanzia che deve assicurare istituzionalmente pari diritti a tutti i minorenni che si trovano sul nostro territorio, siano essi italiani, siano essi di origine straniera nati in Italia oppure nati all'estero e arrivati in Italia, come si diceva, nei primi anni di vita.
  Una prima indicazione generale è che il testo di legge dovrebbe rimuovere ogni tipo di elemento discriminatorio della situazione in cui versano i minorenni di origine straniera in Italia, che in molti casi, sia se arrivati in Italia da piccoli sia, a maggior ragione, se nati in Italia, crescono frequentando le scuole con i coetanei italiani. Devono quindi avere pari diritti anche nel senso del percorso di cittadinanza.
  Mi soffermerò non sulle singole proposte di legge, ma sugli elementi che riteniamo essenziale siano contenuti nel testo che verrà portata in Aula. In primo luogo mi concentro su ius soli, ius domicilii e ius culturae. L'Autorità condivide tutte le proposte di legge che contengono ipotesi di ampliamento dell'acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio dello Stato.
  Come detto da coloro che mi hanno preceduto, lo ius soli, inteso non tanto come luogo di nascita quanto come luogo di radicamento, di integrazione e di crescita, basato sul legame della persona con il territorio, è ormai un principio legislativo accolto in tutti gli ordinamenti dei principali Stati europei.Pag. 10
  A maggior ragione guardiamo con favore alle proposte che mirano ad ampliare il diritto di cittadinanza per ius soli del minorenne, così come alle ipotesi che prevedono una valorizzazione, più che del luogo di nascita o di integrazione, della permanenza sul territorio in base allo ius domicilii.
  Devo invece fare una precisazione sullo ius scholae o culturae, a seconda della denominazione che è stata utilizzata nelle varie proposte. Si è detto che certamente la scuola è un luogo – forse il primo – di integrazione e su questo non ci sono dubbi. Se è vero che il percorso scolastico e di formazione va tenuto in considerazione come elemento sintomatico del livello di integrazione e inclusione nella nostra società, l'Autorità non ritiene però che l'istruzione debba essere considerata, in quanto tale, un requisito per l'accesso alla cittadinanza.
  Il motivo è molto semplice. L'istruzione è un diritto fondamentale, che va garantito a tutti. Non possiamo quindi fare di un diritto fondamentale, che va assicurato, un requisito o un prerequisito per l'accesso alla cittadinanza. Auspichiamo pertanto che le varie fattispecie vengano ben chiarite nel testo che verrà portata in Aula.
  Infine anch'io mi soffermo su tre aspetti procedurali, che riguardano la posizione del minore nel procedimento di richiesta della cittadinanza. Il primo è l'ascolto. L'ascolto del minorenne deve essere tenuto in debita considerazione, soprattutto nell'ipotesi in cui il procedimento venga attivato dai genitori o dagli esercenti la responsabilità genitoriale.
  Le ragioni sono presto dette. L'ascolto del minore va sempre garantito se è capace di discernimento e dai 14 anni in su, come ci insegna la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, oltre che la normativa interna e internazionale che applichiamo. Soprattutto, si tratta di una questione troppo importante per la vita del minorenne perché non sia tenuta in considerazione la sua opinione personale.
  Il minorenne – è un aspetto che non ho trovato nelle proposte –, se considerato in quanto tale nella sua posizione autonoma rispetto ai genitori, può in alcuni casi trovarsi in situazioni di conflitto di interessi con essi. Pensiamo al figlio di genitori di Paesi terzi che vogliono rimanere fedeli alla loro cultura. Il minorenne che vuole invece diventare italiano potrebbe trovarsi in contrasto e avere la necessità che un rappresentante autonomo – possiamo chiamarlo curatore speciale – lo assista nella richiesta di cittadinanza.
  Rinvio al contributo scritto per ulteriori approfondimenti.

  IGIABA SCEGO, esperta di dialogo tra le culture, dimensione della transculturalità e della migrazione. Più che essere esperta sono una figlia di migranti appartenente alle cosiddette seconde generazioni. Non farò un intervento giuridico perché non è di mia competenza. Dieci anni fa, insieme alle mie colleghe Ingy Mubiayi, Gabriella Kuruvilla e Laila Wadia, ho scritto un libro dal titolo Pecore nere, edito da Laterza, che parlava del non avere la cittadinanza e di essere, come dice anche il rapper Amir, stranieri nella propria nazione.
  Questo succedeva dieci anni fa. I nostri racconti sono stati citati dal precedente Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma in dieci anni non è cambiato molto. Penso sia ora che il nostro Parlamento legiferi in particolare sullo ius soli, perché stiamo creando «stranieri», persone che sono italiane ma non hanno una prova di questo loro stato. Secondo me è importante legiferare e prevedere uno ius soli temperato, che tenga conto del percorso di vita della persona oltre che della nascita.
  Invece non sarei molto d'accordo sullo ius culturae. A renderci italiani è la lingua, l'aria che respiriamo, il nostro patrimonio culturale, ma legare la nostra italianità soltanto a un percorso scolastico credo sia riduttivo di ciò che significa essere italiani.
  Inoltre vorrei ricordare che questa «non legge» sulla cittadinanza, questa legge che non abbiamo è da considerare anche a livello di emozioni e di vita. Non Pag. 11stiamo parlando di persone inermi, ma di persone che vivono, amano, adorano questo Paese e a volte lo criticano.
  Vorrei citare soltanto tre casi. Il primo è quello di Sumaiyah Abdul Kader, che ha subito e sofferto le lungaggini burocratiche. Aveva giurato come italiana, ma la cittadinanza le è stata tolta per un cavillo burocratico perché la residenza non era stata registrata nella stessa città e quindi era saltato il requisito della residenza continuativa. Ci ha messo dodici anni a ritrovare la cittadinanza italiana e questo credo che sia un problema molto grande.
  Amin Nour è italiano a tutti gli effetti. È più romano di me, però è nato in Somalia ed è arrivato qui a due anni. Per la mancata cittadinanza, lui che fa l'attore, non ha potuto girare un film con Spike Lee e deve fare tutta la trafila che farebbe un ragazzo che sbarca a Lampedusa. Anche questo mi sembra un grosso paradosso.
  L'ultimo caso è quello di Samira. Samira, padre egiziano e madre filippina, è morta senza la cittadinanza italiana ed è sepolta nelle Filippine. Non conosceva né il tagalog né l'arabo egiziano. Era una figlia di questa Italia, che l'Italia non ha seppellito. Penso che questa legge si debba fare soprattutto per questi ragazzi.
  Dico un'ultima cosa che riguarda anche i nostri genitori. La cittadinanza deve essere data anche a chi risiede da 10 o 15 anni in questo Paese perché i nuclei familiari altrimenti si rompono. Ve lo dico io perché nella mia famiglia io, mio padre, mio fratello e successivamente mia madre siamo diventati italiani. L'altro mio fratello no e quindi era straniero anche dentro casa.
  Penso che una legge debba seguire il cambiamento antropologico e non debba essere ideologica. Non si può dare per scontata l'ideologia dei figli dei migranti. Non sono né tutti di sinistra né tutti di destra né tutti di centro. In realtà non bisogna dare per scontato chi è il nuovo cittadino.
  Noi partecipiamo alla costruzione di questo Paese. Quest'anno sono molto contenta perché ho scritto un romanzo che finalmente è targato narrativa italiana e non narrativa migrante. Questo è molto importante anche per l'Italia. La cittadinanza è sì per noi, ma anche per l'Italia, che entra finalmente in un ambito legato ai diritti dell'Europa.

  CARLO PANELLA, giornalista. Conoscete il mio rispetto per le istituzioni e per il Parlamento italiano e quindi capirete che, quando vi dico che state legiferando non conoscendo la realtà, dico una cosa motivata.
  Il dibattito sulla cittadinanza in Italia prescinde dalla conoscenza, soprattutto da parte del Parlamento, dei dati di fatto. L'unico atto di governo, anche se non ufficiale, di cui dispongo è l'inchiesta sull'immigrazione commissionata nel 2008 dal Ministro dell'interno Giuliano Amato. Nella parte che riguarda le domande poste agli immigrati, la risposta è che solo il 23 per cento progetta di vivere in Italia tutta la vita. Nel 2007 era il 26 per cento. Il 75 per cento o non sceglie – ma essendo una scelta binaria può essere spalmato sulle due opzioni – oppure sceglie di tornare in patria quando può, quando ha accumulato redditi e via dicendo.
  C’è anche un dato omogeneo nella domanda che riguarda l'obiettivo che il Governo italiano dovrebbe porsi nei confronti degli immigrati. Il 53,2 per cento risponde: convivenza pacifica, mantenendo le rispettive culture.
  Questi dati, di cui non siete a conoscenza e su cui legiferate, corrispondono peraltro a una interessantissima ricerca della Konrad Adenauer Stiftung che, essendo la Germania un Paese, quanto meno statisticamente, più serio dell'Italia, fa riferimento al riscontro capitario e non numerico degli immigrati, cioè 36,5 milioni tra il 1952 e il 2007. Questa ricerca registra due dati fondamentali. Su 36,5 milioni di ingressi capitari, le uscite sono 26,5 milioni e, dato fondamentale da un punto di vista scientifico ma anche sociale e politico, la permanenza media – 36,5 milioni in 55 anni sono cifre rilevanti dal punto di vista statistico – è di 17 anni. Questo è fondamentale perché ci indica Pag. 12quanto l'immigrato impiega per risparmiare e ritornare in patria ad aprire una propria attività o a fare qualsiasi altra cosa.
  Sono esperto di emigrazione. Ho pubblicato un libro nel lontano 1974 e ho vissuto a lungo in Germania. Vi assicuro che il mercato del lavoro tedesco è, se non identico, assolutamente simile per tutte le sue caratteristiche a quell'italiano. Non ha un retaggio imperialistico alle spalle. Incomincia negli anni Sessanta. Ha una enorme componente europea. Si spalma in tutti i settori, servizi inclusi.
  Voglio farvi una proposta, siccome sapete che sono arrogante e affermativo. Sospendete, in nome di Dio, la legislazione e come Commissione e come Parlamento fate un'inchiesta sull'immigrazione. È inutile dibattere – ed è stato dibattuto così sui giornali e, secondo me, anche in Parlamento – come se il fenomeno migratorio fosse lo stesso dell'America del 1905 a Coney Island. Non è più quello. C’è un'enorme fenomeno rotatorio.
  Io vi suggerisco due rapidissime possibilità che spostano di pochi mesi il fatto che possiate legiferare. Io non sono né a favore né contro lo ius soli. Ho le idee molto confuse al riguardo. L'importante è che voi possiate legiferare sapendo qual è, innanzitutto, la volontà degli immigrati. Quindi vi suggerisco di reiterare un'inchiesta che riesca a raccogliere i pareri dell'intera componente dei 5 milioni di immigrati che stanno in Italia.
  La seconda cosa che vi suggerisco, e che ho già esperito a suo tempo, è ordinare all'INAIL, poiché avete il potere di farlo, di applicare dei semplicissimi algoritmi ai propri archivi – ne parlai alcuni anni fa con le due signore che si occupano dell'ufficio statistico e mi hanno detto che è possibilissimo – in modo da sapere, quanto meno andando indietro di otto o dieci anni, quello che è successo capitariamente agli immigrati. L'INAIL registra non ad horas ma a minuto quello che succede all'immigrazione regolare. Se un soggetto è uscito dal mercato del lavoro italiano e non è più rientrato, l'INAIL lo segnala. Se è passato da Viggiù a Catania, l'INAIL lo segnala perché è un lavoratore regolare.
  L'elemento non è secondario, è inutile che lo dica, in una situazione in cui – ed è questo che più mi preoccupa – il terreno dell'immigrazione e della sua regolamentazione è diventato elemento fondamentale nella scelta del voto non soltanto in Italia, ma in tutta Europa.
  In Germania si legifera sullo ius soli o non sullo ius soli avendo un organismo che dal 1952 fa queste statistiche. Noi abbiamo – come sa chiunque lavori, come ho lavorato spesso io, con il Ministero del lavoro e con i temi dell'immigrazione – un sistema di rilevazione statistica assolutamente approssimativo, nel senso che l'unico dato certo è quello che ci dà l'INAIL sul numero di immigrati che lavorano in quel giorno, in quel periodo e via dicendo.
  Tutti gli altri dati che si rifanno a registrazioni anagrafiche sono assolutamente inattendibili per una ragione molto semplice. Le liste anagrafiche non vengono riviste e aggiornate dai comuni per la ragione banale che gli immigrati non votano e il costo dell'aggiornamento della lista anagrafica non viene affrontato dai comuni, che risparmiano su questo.
  Chiudo con questo appello perché credo sia indispensabile, di fronte a un tema così complicato. Vi ricordo che in America ci sono i kangaroo baby perché lo ius soli porta a queste complicazioni e in questo momento è un tema che ha un'enorme rilevanza politica. Siccome è semplicissimo dotarsi nel giro di pochi mesi di una conoscenza del reale e deliberare conoscendo la realtà, io credo che questa sarebbe una scelta saggia e appropriata.
  Vi consegno naturalmente copia del materiale.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIO MARAZZITI. Voglio ringraziare tutti voi e portare a conoscenza degli Pag. 13auditi, oltre che di noi stessi, che stiamo lavorando a un testo di legge dove si parla di ius soli temperato e possibilità di diritto all'acquisizione della cittadinanza attraverso lo ius culturae.
  Ho apprezzato quello che la nostra scrittrice italiana ci ha suggerito e ho condiviso tutto, tranne questo dettaglio. Secondo me, è giusta l'osservazione di non subordinare un diritto – recepirei questa indicazione come importante – al fatto di avere studiato. Tuttavia, essendo l'Italia nata da questo volontarismo – l'Italia è nata su un'idea e su una volontà –, è la cultura italiana che crea l'italianità. Credo quindi che sia un'indicazione da non lasciar cadere.
  Circa l'indagine suggerita dall'amico e collega Panella, lui dice che non sappiamo nulla, ma sa che quella stessa inchiesta la presentammo insieme. Pertanto almeno uno dei componenti di questo Parlamento conosce le cose di cui parla. Io credo che dobbiamo ascoltare con interesse quello che ci dice, ma l'Italia può e deve dotarsi di questo strumento, che è parzialmente indipendente dalla volontà di rimanere o di andare via.
  Il fatto di rimanere o andare via può essere legato a una molteplicità di fattori, in anni diversi, alla difficoltà di rimanere o di non rimanere, al riconoscimento o al non riconoscimento. In ogni caso, la cittadinanza non viene appiccicata addosso alle persone – questa è l'indicazione che io raccoglierei da lui e penso quindi che sia d'accordo – indipendentemente dalla loro volontà. Si matura un diritto che scatta nel momento in cui lo si chiede. Non viene dato contro la volontà.
  Da ultimo, sono interessanti le osservazioni di Panella sul lavoro e l'INAIL, ma è anche vero che stiamo parlando di qualcosa che non si lega solo alla fattispecie del lavoro, che è ciò che ha creato il problema e limitato fino adesso l'integrazione degli immigrati nel nostro Paese.

  MARILENA FABBRI. Voglio anch'io ringraziare gli ospiti di oggi perché sicuramente le loro considerazioni saranno utili a me e alla co-relatrice, la collega Calabria, per scrivere un testo unificato, traendo spunto dalle più di venti proposte che sono state depositate.
  Come diceva il collega Marazziti, ius soli temperato e ius culturae sono due ipotesi di acquisizione della cittadinanza italiana presenti nelle diverse proposte che sono state depositate e sulle quali lavoreremo, così come ci occuperemo del miglioramento delle procedure per l'acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione.
  Trovo interessante il tema della riduzione dello ius sanguinis, che non è presente nelle proposte di legge. Anzi, lì vengono riproposte fattispecie per consentire a chi ha acquisito la cittadinanza non a causa di volontà, ma per legislazioni nazionali e internazionali, di richiederla. C’è una tendenza ad aprire, mentre il ragionamento che ho sentito oggi è volto a porsi il tema della circolarità dei cittadini perché abbiamo alle porte 70 milioni di potenziali italiani che potrebbero rivendicare il rientro in Italia o perlomeno l'ottenimento della cittadinanza italiana per muoversi diversamente nel resto del mondo. Anche questo è un tema di riflessione che noi relatrici non ci eravamo poste e che eventualmente potremo prendere in considerazione, come anche l'ipotesi di tenere in ascolto il minore che ha compiuto i 14 anni, contenuta nella proposta di legge del collega Marazziti.
  Mi dispiace che il Prefetto Morcone sia dovuto andare via perché volevo porre un tema alla sua attenzione.

  PRESIDENTE. Il prefetto Angelo Di Caprio è però ancora presente.

  MARILENA FABBRI. Pongo a lui questa suggestione e sfida sul tema delle procedure.
  La possibilità di alleggerire la procedura anche delegando, prevedendo che l'istruttoria possa essere svolta anche in uffici diversi del Ministero dell'interno, tenendo conto delle fattispecie per cui si acquista la cittadinanza, è un tema che avevamo tenuto presente. Pensavamo a una delega più nell'atto finale, ma potrebbe Pag. 14effettivamente essere estesa anche alla fase istruttoria, da regolamentare in fase successiva.
  Mi chiedevo però, sapendo che i tempi sono uno dei problemi più forti nel rilascio delle concessioni per naturalizzazione, se si potesse introdurre il concetto di silenzio-assenso. So perfettamente qual è la posizione del Consiglio di Stato, ma vorrei che si potesse ragionare prima di dire un no secco.
  Io penso che un silenzio-assenso legato alla possibilità di annullare la procedura qualora in fase successiva si venga a conoscenza di elementi che, se conosciuti al momento della concessione, avrebbero determinato il rigetto potrebbe, invece, dare tempi certi a migliaia di persone che aspettano dieci anni più cinque o anche sei, prima di avere una risposta.
  Consentirebbe inoltre al Ministero e alle istituzioni di continuare a fare le proprie indagini sui temi più spinosi, tenendo tempi sospensivi ed eventualmente avendo a disposizione, ad esempio, cinque anni per rivedere il provvedimento, qualora questo si sia basato su elementi falsi o non conosciuti al momento della concessione. È un istituto previsto, ad esempio, nella legislazione tedesca, che prevede la revoca o la perdita della cittadinanza.
  So che è un tema abbastanza spinoso, ma potrebbe anche questo essere previsto non per tutte le fattispecie di acquisizione della cittadinanza, ma ad esempio solo nei casi di naturalizzazione, dove le clausole ostative sono un elemento importante nella valutazione della domanda e nell'esercizio della discrezionalità da parte delle istituzioni italiane.

  PRESIDENTE. Poiché non ci sono altri interventi, faccio qualche rapidissima considerazione anch'io su ius scholae o ius culturae. È vero che la cittadinanza è un diritto, ma bisogna vedere per chi. È un diritto che si matura a seguito di un certo presupposto. Il punto credo che sia proprio questo. Ogni diritto ha dei presupposti per essere maturato. Non c’è un diritto che assolutamente spetta a tutti. Credo che un contemperamento lo si possa e lo si debba trovare. Non c’è un diritto assoluto e non c’è un diritto negato. Una via di mezzo, che possa consentire una sorta di compenetrazione tra diritto alla cittadinanza e sensibilità alla cittadinanza, mi sembra un'esigenza da non trascurare.
  Essere cittadini non è soltanto un documento anagrafico, ma una partecipazione culturale, personale e di anima a una nazione e per nazione si intende, come sappiamo, non un confine geografico, ma un comune sentire caratterizzato da genesi, origini, storia e, in qualche maniera, quotidianità della condivisione. Queste due cose messe insieme potrebbero portare a una cittadinanza vera e non a una cittadinanza soltanto formale.
  Ringrazio gli esperti, che sono sempre molto graditi ma in questo caso particolarmente perché il tema è di importanza fondamentale anche per l'immagine del nostro Paese.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.