XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 29 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL PROGETTO DI LEGGE COSTITUZIONALE C. 2613-B  COST. APPROVATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO, MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DALLA CAMERA E NUOVAMENTE MODIFICATO, IN PRIMA DELIBERAZIONE, DAL SENATO RECANTE DISPOSIZIONI PER IL SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO PARITARIO, LA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI, IL CONTENIMENTO DEI COSTI DI FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI, LA SOPPRESSIONE DEL CNEL E LA REVISIONE DEL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Audizione di esperti.
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 
Ciolli Ines , professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 3 
Fiano Emanuele (PD)  ... 5 
Ciolli Ines , professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 5 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 5 
D'Amico Marilisa , professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 5 
Frosini Tommaso Edoardo , professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università di Napoli «Suor Orsola Benincasa ... 8 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 10 
Marini Francesco Saverio , professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «Tor Vergata» ... 10 
Pajno Simone , professore straordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Sassari ... 12 
Villone Massimo , professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» ... 15 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 17 
Quaranta Stefano (SEL)  ... 17 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 18 
Lauricella Giuseppe (PD)  ... 18 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 19 
Sanna Francesco (PD)  ... 19 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 20 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 20 
Villone Massimo , professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» ... 20 
Pajno Simone , professore straordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Sassari ... 21 
Marini Francesco Saverio , professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «Tor Vergata» ... 22 
Frosini Tommaso Edoardo , professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università di Napoli «Suor Orsola Benincasa» ... 23 
D'Amico Marilisa , professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 25 
Ciolli Ines , professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 27 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 29

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di esperti.
  Do la parola alla professoressa Ines Ciolli per lo svolgimento della sua relazione.

  INES CIOLLI, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Grazie, presidente. Vista l'esiguità dei tempi, vorrei concentrarmi sugli emendamenti che sono stati apportati dal Senato. In particolare, comincerò a ritroso, dall'articolo 39, comma 13, per poi soffermarmi via via, se ci sarà tempo, su tutto il resto.
  Per quanto riguarda l'articolo 39, comma 13, certamente le modifiche apportate dal Senato rendono più intellegibile la norma. Tuttavia, a mio avviso ci sono delle perplessità, perché le disposizioni di cui al capo IV (quindi, quelle del Titolo V) del presente disegno di legge costituzionale non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti, sulla base di intese con le medesime regioni e le province autonome.
  Ci sono altre cose di cui parlerò, ma in primo luogo la scelta di non applicare il nuovo Titolo V e di lasciare alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano il Titolo V del 2001, quello vigente, comporta, per esempio, che si applichi ancora a queste regioni la clausola di maggior favore.
  Di conseguenza, quello che aveva consolidato negli ultimi anni la Corte costituzionale, ossia una minore differenziazione tra le regioni a statuto speciale e le regioni a statuto ordinario, qui viene completamente ribaltato. La differenza aumenta vigorosamente.
  Peraltro, segnalo il fatto, che immagino sia già noto ai più, che la revisione dei rispettivi statuti dovrà avvenire con intese con le medesime regioni. Ciò significa che le regioni a statuto speciale, per poter modificare i loro statuti affinché si applichi il nuovo Titolo V che emergerà da questa riforma, dovranno procedere con un'intesa.
  Le regioni a statuto speciale godono, non solo della clausola di maggior favore, ma anche di statuti sicuramente dotati di maggiore autonomia rispetto alla disciplina delle regioni a statuto ordinario che scaturirà dalla riforma, che indebolirà particolarmente queste ultime. Chiaramente le regioni a statuto speciale non avranno alcuna intenzione di produrre intese per modificare lo statuto.
  Per quanto riguarda, invece, la parte modificata più intensamente dal Senato, quella relativa all'articolo 116, in cui, se ho ben capito, si afferma che non si applica il nuovo articolo ma il vecchio alle regioni Pag. 4a statuto speciale, c’è un altro elemento che vorrei mettere in evidenza e che secondo me è assai dirimente.
  Se si applica alle regioni a statuto speciale il vecchio articolo 116, comma 3, per esempio, il vincolo di bilancio – che è condizione richiesta nel nuovo articolo 116 della Costituzione per avere la differenziazione – non si applicherà alle regioni a statuto speciale.
  Sappiamo che molte di queste regioni speciali sono virtuose, però certamente in questo caso la disparità è molto importante. Considerando che non è detto che vi sarà la revisione degli statuti e, quindi, probabilmente si allontanerà il tempo in cui alle regioni a statuto speciale si potrà applicare il nuovo Titolo V, questo elemento mi sembra di particolare interesse.
  Inoltre, prevedendo questa intesa per la modifica degli statuti, si incide anche sulla formazione dello statuto stesso e, quindi, in qualche modo si prevede un procedimento aggravato rispetto all'articolo 138 della Costituzione per la modifica degli statuti speciali, inserendo una sorta di legge rinforzata.
  Nel caso dell'articolo 8 della Costituzione, che prevede un procedimento in cui l'intesa è con le altre confessioni religiose, si tratta di una legge rinforzata, che resta però una legge ordinaria. In questo caso, invece, si tratterebbe di una legge costituzionale rinforzata, perché, oltre all'articolo 138, si prevede un particolare procedimento, ossia l'intesa.
  Nel nuovo articolo 116 della Costituzione, semmai fosse applicato – questo riguarda le regioni a statuto ordinario – non ci sono state modifiche da parte del Senato, a parte l'aggiunta di due materie.
  La prima riguarda il commercio con l'estero, che la Corte costituzionale non ha mai considerato una materia di primaria importanza e che era una potestà concorrente. In questo caso, la modifica non comporta nessuna difficoltà.
  Tuttavia, il procedimento previsto dal nuovo articolo 116 della Costituzione nel progetto di riforma prevede, per esempio, la partecipazione degli enti locali, credo con un'intesa. Non è chiaro se l'intesa debba essere obbligatoria e vincolante oppure semplicemente obbligatoria (gli enti locali devono essere sentiti in qualche maniera).
  Queste considerazioni riguardano l'articolo 39, comma 13, che è stato modificato.
  L'altro elemento che è stato modificato è l'articolo 39, comma 11, che, letto in combinato disposto con il nuovo articolo 73 della Costituzione, è quello che riguarda il controllo preventivo delle leggi elettorali di Camera e Senato.
  Per quanto concerne l’Italicum, nella disposizione transitoria si comprende che esso potrà essere sottoposto al controllo di legittimità della Corte Costituzionale entro dieci giorni dall'entrata in vigore della riforma costituzionale. Questo significa che per quanto riguarda l’Italicum si può intervenire soltanto in questo momento specifico, ovvero dieci giorni dall'entrata in vigore della riforma.
  Il pericolo è che, attraverso l’Italicum, si cerchi successivamente di modificare ancora la legge, magari stravolgendola, pur di non produrre una nuova legge elettorale, perché in questo modo si aggirerebbe il controllo preventivo da parte della Corte.
  Sull’Italicum, dopo quel primo momento, non ci sarà più possibilità di intervenire. Questo significa che potrebbe essere utilizzato politicamente per modificare una legge elettorale fino a stravolgerla, senza poter intervenire successivamente. Questo è un altro elemento interessante.
  Per ciò che concerne le modifiche apportate riguardanti il Senato, certamente la menzione della funzione di raccordo tra Stato e regioni era auspicabile. La difficoltà è che ci si trova a operare una funzione di raccordo, finalmente con un Senato delle regioni, anche se non proprio di rappresentanza regionale, di fronte a delle istituzioni territoriali, le regioni, che sono molto deboli.
  L'emendamento all'articolo 55 secondo il quale il Senato valuta le politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni. Ciò ovviamente lascia intendere Pag. 5che c’è un sindacato ispettivo, ovvero una funzione di controllo da parte del Senato. Anche questo poteva essere auspicabile.
  Per quanto riguarda la modifica dell'articolo 57 della Costituzione, che recita «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi», secondo me, il nuovo testo potrebbe rappresentare un elemento chiave per un'elezione che è mediata, anche se non sarà mai diretta, ma dall'altra non chiarisce sul punto sul come questa dovrà avvenire concretamente. Pertanto, molto verrà demandato all'articolo 57, sesto comma, della Costituzione. In altre parole, tutto dipende da come verrà costruita e congegnata la legge elettorale del Senato.
  La modifica della composizione della Corte costituzionale è un tema col quale la dottrina si è più volte misurata. L'elezione dei due giudici costituzionali da parte del Senato afferma la loro connotazione territoriale e, quindi, regionale che da alcuni è invisa, ma dall'altra secondo me si tratta in qualche maniera di una valorizzazione del Senato. Pertanto, lo considero un aspetto positivo.
  Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti.

  EMANUELE FIANO. Mi perdoni, presidente. Professoressa Ciolli, lei ha parlato di modifica della composizione della Corte costituzionale ?

  INES CIOLLI, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. No, mi riferivo ai due giudici costituzionali eletti dal Senato.

  PRESIDENTE. Do la parola alla professoressa Marilisa D'Amico per lo svolgimento della sua relazione.

  MARILISA D'AMICO, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Grazie, presidente. Anch'io nella mia illustrazione mi limiterò, come richiesto, ai punti specifici che sono stati oggetto di modifica da parte del Senato.
  Comunque, ho consegnato alla Commissione un testo scritto, che trasmetterò nei prossimi giorni in versione definitiva. Ci sono due o tre aspetti che vorrei ancora approfondire. Nella prima parte ci sono le osservazioni puntuali che ci avete richiesto. Inoltre, ho lasciato alcune osservazioni generali sul testo, perché chiaramente in questa approvazione la Camera si pronuncerà in modo definitivo e volevo che alcuni punti specifici rimanessero alla vostra attenzione.
  Prima di concentrarmi sui punti specifici, vorrei confermare il mio apprezzamento per questa riforma della Costituzione, che avevo già espresso durante un'audizione precedente.
  Infatti, il bicameralismo paritario è stato un difetto del nostro sistema. Questa riforma, sia pure con degli aspetti specifici che possono essere oggetto di critica tecnica, ha la specificità, come ha ricordato il Presidente Napolitano, «di ristabilire piena funzionalità e dignità dell'istituzione parlamentare, rinnovandone l'assetto bicamerale, in modo da garantire la stabilità dell'azione di governo con adeguata capacità deliberativa».
  La riforma di alcuni punti, anche fra noi tecnici, era auspicata da decenni. È chiaro che andando al dunque ci sono aspetti più tecnici e più specifici da criticare, ma nel complesso io sono partita da questa posizione anche nella scorsa audizione.
  Io non inizierò a ritroso, quindi tratterò per ultimi gli aspetti che ha sottolineato molto bene la professoressa Ciolli.
  Io partirei dalle funzioni del Senato. In particolare, come la professoressa ha sottolineato, nel testo del Senato, al nuovo articolo 55, comma 5, della Costituzione ritorna la funzione di raccordo fra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Il Senato valuta le politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni, verifica l'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori e infine concorre a esprimere pareri.
  Vediamo che la scelta del Senato è quella di reintrodurre alcune norme che erano state eliminate dalla Camera dei deputati e in particolare una piena competenza Pag. 6del Senato anche in relazione al rapporto con l'Unione europea, che viene affidato, non solo in fase ascendente, ma anche in fase discendente. La nuova assemblea senatoriale verificherà l'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori.
  Questo, a mio avviso, è un aspetto molto positivo, se si vuole valorizzare il fatto di creare una seconda Camera differenziata, in modo che le autonomie si confrontino nella Camera e non solamente sui propri territori. Io penso che questa competenza specifica sul rapporto dell'Italia con l'Unione europea sia veramente importante, a cominciare dal modo in cui si gestiscono i finanziamenti e dal modo in cui alcune materie particolarmente rilevanti vengono trattate diversamente, per i limiti di alcune regioni e per alcune differenze fra le regioni stesse.
  Ci sono settori strategici per il nostro rapporto con l'Unione europea, dall'innovazione all'agricoltura. Occorre fare in modo che questa nuova seconda Camera possa svolgere pienamente funzioni di raccordo essenziali sotto questi profili.
  Passo al secondo aspetto. Sarò telegrafica, rimandando per gli ulteriori approfondimenti al testo scritto.
  Sul nuovo meccanismo di elezione dei senatori mi ero già espressa nella scorsa audizione. Ho sempre detto – l'ho anche scritto in alcuni articoli scientifici – che, considerando il modo in cui si delinea questa seconda Camera, mi sembra opportuna e necessaria un'elezione di secondo grado da parte dei senatori per due motivi.
  Un motivo è che noi vogliamo fare di questa seconda Camera una Camera delle regioni. L'altro motivo, che forse è il più importante, è che questa seconda Camera non sarebbe una camera politica, cioè non darebbe la fiducia al Governo.
  Prevedere un'elezione diretta dei senatori, togliendo a questa seconda Camera, eletta direttamente dai cittadini, la possibilità del rapporto fiduciario con il Governo sarebbe un controsenso e soprattutto creerebbe problemi politici.
  C’è stata una mediazione tra due esigenze. La prima era quella di lasciare un'elezione di secondo livello del Senato. Dall'altra parte, c'era chi diceva che devono essere i cittadini a esprimersi per una serie di motivi.
  Questa mediazione, cioè il fatto che l'elezione dovrà avvenire «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi», a mio avviso è una buona mediazione, perché dà a queste elezioni una specificità legata alle singole regioni. Non abbiamo una seconda elezione a livello nazionale.
  Tuttavia, i problemi ci sono. Infatti, come ha già sottolineato benissimo la professoressa Ciolli, la scelta di fatto è rimessa alle modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma del nuovo articolo 57. Ciò dipende dalla legge che avremo.
  In base all'accentuazione di alcuni aspetti, si potrà avere un'elezione diretta vestita, oppure mantenere le caratteristiche di un'elezione di secondo grado, sia pure con una partecipazione più attiva, rimarcando in Costituzione che l’imprinting viene dal basso, ovvero sono i cittadini che scelgono i rappresentanti e non i consiglieri regionali nel loro orticello.
  Pertanto, sarà molto importante capire se si prevedranno liste separate contenenti i nomi dei candidati senatori oppure un sistema che rimetta ai cittadini l'indicazione di una rosa di nomi, nell'ambito della quale il consiglio dovrà decidere, o ancora se si stabilirà che solo coloro che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze avranno accesso alla carica senatoriale. Si tratta di opzioni molto diverse, che ovviamente porteranno verso l'una o l'altra direzione.
  A mio avviso, bisognerà comunque vedere l'effetto politico di questo rapporto diretto con una Camera che non è una Camera politica e ha una sua specificità.
  Dal tenore letterale della disposizione, secondo cui «la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri Pag. 7in occasione del rinnovo dei medesimi organi», la norma approvata dal Senato sembra collegare alle scelte degli elettori solo i senatori consiglieri e non i senatori sindaci.
  Forse questo aspetto potrebbe essere problematico, perché potrebbe derivarne un organo composto da senatori legittimati in modo differente e potenzialmente con un peso politico diverso.
  Il terzo punto specifico è il regionalismo differenziato. Condivido assolutamente le osservazioni della professoressa Ciolli dal punto di vista dell'esclusione delle regioni a statuto speciale. È un aspetto che noi tecnici abbiamo sottolineato fin dall'inizio del cammino di questa riforma e che è sicuramente problematico, perché crea tutti i problemi che ha già illustrato la professoressa.
  Io vorrei soffermarmi su un ulteriore aspetto. In primo luogo, è importante il rafforzamento dell'articolo 116, terzo comma, cioè la possibilità che regioni che vogliono essere più autonome e che possono farcela da sole chiedano speciali condizioni di autonomia.
  Infatti, dal mio punto di vista, il fallimento della riforma del 2001 deriva dal fatto di aver immaginato di imporre dall'alto una camicia uguale per tutti. L'articolo 116, terzo comma, non si è attivato, perché le regioni non l'hanno fatto (dunque, è anche colpa di alcune regioni).
  Questa camicia omogenea ha determinato il fatto che alcune regioni ce l'hanno fatta e altre no. La riforma non ha portato gli effetti dovuti, ma anzi ci ha riportato a una ricentralizzazione di alcune funzioni, come succede in questa riforma costituzionale.
  Pertanto, è importante l'idea di dire che, mentre si ricentralizza, dall'altro lato si consente a regioni che possono e vogliono farcela di avere una propria sfera di autonomia. Io spero che in Italia questo meccanismo si metta in moto.
  L'aspetto che vorrei sottolineare riguarda la possibilità di autonomia differenziata sulle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali. È evidente che nessuno mette in discussione i livelli essenziali di assistenza, cioè il nostro Stato sociale.
  Tuttavia, occorre fare attenzione, perché questo regionalismo in materia di salute in questo momento incide pesantemente sulla natura del nostro Stato sociale e tocca direttamente i diritti dei cittadini.
  Pertanto, nel momento in cui si concede la possibilità di avere un'autonomia totale sulle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, si tratterà di vigilare per non consentire che all'interno delle stesse regioni si operino differenze che incidano sul nucleo dei diritti sociali.
  Ieri c’è stata una bella sentenza del tribunale amministrativo regionale della Lombardia, che ha dichiarato illegittima la delibera della Lombardia con cui si poneva il trattamento per la fecondazione assistita di tipo eterologo in capo ai cittadini, a differenza di ciò che avviene in tutte le altre regioni.
  Nell'ambito dei propri poteri organizzativi e di ragionamento sulle politiche, alcune regioni potrebbero fare scelte di questo tipo. Io richiamo a una particolare attenzione sulla problematicità delle ricadute di questa autonomia.
  L'ultimo punto, che ha già toccato la professoressa Ciolli, concerne l'elezione dei giudici della Corte costituzionale, cioè il nuovo articolo 135 della Costituzione.
  Opportunamente si dice che ci saranno tre giudici eletti dalla Camera dei deputati e due eletti dal Senato della Repubblica. Questa previsione è opportuna, perché l'elezione da parte di un Parlamento in seduta comune, dove i senatori hanno un peso numerico molto minore rispetto ai deputati, avrebbe creato squilibri, soprattutto con l'attuale sistema elettorale, l’Italicum, con cui c’è un forte premio di maggioranza. Avremmo avuto una situazione in cui la maggior parte dei giudici costituzionali avrebbero potuto essere di una parte.
  Secondo me, ci sono due aspetti positivi di questa scelta. Il primo è legato alla figura del giudice costituzionale. Io spero – lo dico a titolo personale – che la sensibilità del nuovo Senato delle autonomie Pag. 8specializzi in qualche modo i nuovi giudici costituzionali, in modo che questi siano anche rappresentanti degli aspetti relativi alle autonomie.
  A me sembra che la Corte costituzionale, da sempre, anche in quest'ultima fase, non abbia una grandissima sensibilità per alcune istanze regionaliste e che ci siano degli squilibri forti nella giurisprudenza costituzionale, anche a livello di processo costituzionale. Il giudice che sarà inevitabilmente mandato dalle autonomie potrà far valere questa istanza importante.
  Questo tipo di impostazione consentirebbe anche di superare l’impasse in cui voi vi trovate in questo momento, per cui il Parlamento tutto insieme non è ancora riuscito a esprimere i giudici costituzionali che mancano. Ovviamente tutto questo potrebbe in qualche modo semplificare la procedura.

  TOMMASO EDOARDO FROSINI, professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università di Napoli «Suor Orsola Benincasa. Ringrazio il presidente e la Commissione per questo ulteriore invito. Infatti, il Parlamento, sia presso la Commissione del Senato sia presso questa Commissione, ha già avuto modo di sentire la mia opinione, che quindi è consegnata agli atti parlamentari dei resoconti.
  Pertanto, mi soffermerò soltanto sulle criticità che voglio evidenziare riguardo agli emendamenti che il Senato ha apportato al testo di revisione costituzionale.
  In particolare, inizierei con la norma che riguarda l'elezione dei senatori. Capisco che ci sono stati motivi di ordine politico. Abbiamo seguito tutti sui giornali la dialettica tra elezione diretta ed elezione indiretta.
  La formula dell'emendamento della presidente della Commissione affari costituzionali del Senato presuppone che i senatori verranno eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri».
  In primo luogo, dubito su questa conformità, perché è un termine piuttosto scivoloso. Che cosa vuol dire «conformità» ? In che modo debbono essere conformi ? Qual è la logica che sovrintende a questa ricomposizione del rapporto fra i consiglieri che andranno a fare i senatori e gli elettori, che avranno avuto modo di designare i consiglieri regionali, i quali potranno essere eletti ? Ci sarà una rosa più piccola di aspiranti senatori che verranno eletti dal consiglio regionale ?
  Francamente, ho l'impressione che questa intuizione, che ha una sua ragione nel dirimere quel conflitto che c’è stato in Senato riguardo alla scelta tra elezione diretta ed elezione indiretta, complichi un po’ le cose per difficoltà applicative. Sarà la legge a regolare meglio questo profilo. Fatto sta che in Costituzione ci sarà questo rinvio alle scelte espresse dagli elettori.
  A proposito dell'elezione dei senatori e della legge elettorale, vorrei evidenziare un passaggio che prende spunto anche dagli emendamenti approvati dal Senato: il giudizio preventivo di costituzionalità della legge elettorale.
  Sul punto mi sono già espresso. Io sono critico sul fatto che la Corte debba esprimersi prima che la legge venga applicata, per una serie di ragioni sulle quali non mi dilungo.
  In primo luogo, la legge elettorale diventerebbe una legge speciale, perché sarebbe l'unica legge sottoposta al giudizio in via preventiva. Pertanto, verrebbe ipervalorizzata anche sul piano del sistema delle fonti, perché sarebbe la sola legge approvata dal Parlamento che potrebbe essere demandata in via preventiva alla Corte. Ciò vuol dire che questa legge porterebbe con sé un patrimonio di forza tale da essere considerata diversa rispetto alle altre.
  Confesso che già questo non mi persuade, perché le leggi sono tutte uguali. Perché la legge elettorale deve godere della prerogativa di essere sottoposta, solo lei, al giudizio preventivo della Corte ? In tal caso, lo si dovrebbe fare per tutte le leggi, come nel sistema francese, ora in parte rivisto, dove c’è il Conseil constitutionnel che giudica in via preventiva sulle leggi.
  A proposito dell'emendamento che è stato inserito in sede di Senato, c’è anche la sottoponibilità della legge elettorale del Pag. 9Senato alla Corte costituzionale. Francamente ci vedo un po’ di contraddizione: se il Senato è rappresentativo degli enti territoriali e non ha rappresentanza organo politico, perché i senatori vengono eletti dai consigli regionali nell'ambito dei consiglieri regionali, allora non ha molto senso sottoporre a giudizio di costituzionalità la legge elettorale, che consente di scegliere due senatori per ogni regione.
  Per giunta, evidenzio il fatto che la Costituzione, nella norma che il Parlamento si accinge ad approvare, presuppone la formula elettorale proporzionale per l'elezione dei senatori. C’è un vincolo. Cosa dovrebbe essere chiamata a fare la Corte rispetto a una formula elettorale costituzionalizzata, qual è quella proporzionale ?
  La Corte potrà semmai sindacare sulla legge elettorale della Camera, laddove violi una serie di princìpi derivanti dalla famosa sentenza n. 1 del 2014 della Corte stessa. Invece, nel caso del Senato i margini di apprezzamento sono limitatissimi, visto che vi è una costituzionalizzazione della formula elettorale e che i senatori eletti sono due per ogni regione.
  Io sono contrario al giudizio preventivo, per le ragioni che ho rapidamente esposto e sulle quali, peraltro, nelle precedenti audizioni mi ero più lungamente soffermato. Inoltre, ritengo che sia un non-senso sottoporre in via preventiva anche la legge elettorale del Senato, per i motivi che ho provato molto rapidamente a chiarire.
  C’è un altro aspetto, sempre relativo al Senato, che mi sfugge, perché non c’è in Costituzione, ma lo si può ricavare in via analogica: quale sarà l'età dei senatori ? Nell'attuale Costituzione ancora vigente è prevista una differenziazione fra elettorato attivo e passivo, e i senatori devono avere almeno 40 anni per essere eletti.
  In questo testo, invece, non si capisce. Ciò vuol dire, in via analogica, che tutti saranno equiparati all'elezione dei deputati, cioè 25 anni per essere eletti e 18 per eleggere. Tuttavia, non c’è certezza. È venuto meno un riferimento anagrafico all'elettorato passivo, che prima era presente per il Senato. È vero che il Senato non è più la Camera di riflessione (un tempo si diceva che i quarantenni fossero quelli maggiormente sensibili). Questo è un passaggio che evidenzio rispetto agli emendamenti.
  L'altro aspetto che vorrei evidenziare a questa Commissione è quello dell'elezione dei giudici costituzionali. Anch'io avevo sostenuto che si sarebbe mortificato un po’ il Senato, composto da soli cento senatori di fronte a 630 deputati, nel Parlamento in seduta comune per l'elezione dei giudici costituzionali. Infatti, i senatori non avrebbero avuto parte in causa, visto che un pacchetto di cento senatori non sarebbe stato in grado di interagire rispetto a una scelta molto più consistente da parte di 630 deputati.
  Non ritiro quello che ho sostenuto, perché in fondo questa diversificazione è giusta. Tuttavia, voglio evidenziare due cose.
  In primo luogo, per il Consiglio superiore della magistratura non si è fatto altrettanto. Non so se è stata una dimenticanza o se piuttosto si è voluto mantenere lo status quo.
  La ratio della decisione è stata che, visto che il Senato è composto da soli cento senatori e, quindi, non avrebbe capacità di incidenza nella scelta dei giudici costituzionali, gli si attribuiscono due giudici. Invece, per il Consiglio superiore della magistratura si è mantenuta l'elezione da parte del Parlamento in seduta comune. In quel caso, i senatori, che sono cento, non avranno la capacità di incidenza che ci si preoccupava venisse meno nel caso della scelta dei giudici costituzionali.
  Questo è un problema che pongo. Effettivamente c’è un'asimmetria: il Consiglio superiore della magistratura viene scelto dal Parlamento in seduta comune, con solo cento senatori, che chissà come proveranno a dire la loro, mentre i giudici costituzionali verranno scelti in una quota riservata ai senatori nella misura di due.
  Chi mi ha preceduto, se ho compreso bene il suo pensiero, ha auspicato che i giudici siano anche rappresentativi delle autonomie territoriali. Io invece mi auguro Pag. 10che non sia così, perché penso che un giudice costituzionale debba fare il custode della Costituzione, altrimenti si dovrebbe portare dietro anche il Gruppo parlamentare che lo ha designato. Non dovrebbe andare lì a rappresentare le autonomie territoriali, ma dovrebbe avere quella giusta sensibilità rispetto alla nuova Carta costituzionale, che valorizza ampiamente il ruolo delle autonomie territoriali.
  A questo proposito, mi piacerebbe che un domani il regolamento parlamentare del Senato e, semmai, anche quello della Camera prevedessero, per la scelta dei giudici costituzionali, che hanno un compito determinante e fondamentale per il funzionamento delle nostre istituzioni, un'ipotesi all'americana con le audizioni.
  Le regioni potrebbero proporre una rosa di nomi da sottoporre in audizione presso le Commissioni affari costituzionali del Senato e della Camera.
  Il Parlamento ne elegge tre, facendo una sintesi fra i desiderata dei Gruppi parlamentari, sulla base di una dialettica. Invece, non riesco a immaginare sulla base di cosa le regioni possano selezionare i due giudici costituzionali. Lo farebbero sulla base di accordi fra regioni numericamente più forti o territorialmente più forti ?
  Forse sarebbe il caso di introdurre un metodo da sempre adottato dalla Corte suprema americana, che consiste nelle audizioni dei candidati. In questo caso, i candidati dovrebbero essere fatti conoscere all'opinione pubblica e poi eventualmente valutati, sulla base della loro competenza e preparazione, dalle Commissioni parlamentari, prima di sottoporli al voto dell'Aula.
  C’è un'ultima criticità. Su questo la Camera non può tornare, perché il Senato non è intervenuto a modificare, ma lascio comunque una riflessione.
  Questa sarà la Costituzione di domani o dopodomani, se passerà il voto referendario. Tuttavia, la Costituzione è suscettibile di una sorta di manutenzione. Queste norme nel diritto vivente hanno una loro capacità espansiva. Semmai, preoccupiamoci fin d'ora di come correggere quelle eventuali distorsioni che potrebbero emergere dall'applicazione di queste norme.
  Per quanto concerne il vincolo di mandato per i senatori, io francamente dubito che ci possa essere un divieto di mandato imperativo, se veramente crediamo che i senatori debbano rappresentare le istituzioni territoriali, come dice il futuro testo costituzionale, laddove venisse approvato. Infatti, si fa una distinzione: il nuovo articolo della futura Costituzione stabilisce che i deputati rappresentano la nazione, mentre i senatori rappresentano le istituzioni territoriali.
  Pertanto, si pone il problema del divieto di mandato imperativo, che invece permane anche per i senatori.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Francesco Saverio Marini per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO SAVERIO MARINI, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «Tor Vergata». Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito. È sempre un grande onore venire auditi dalla I Commissione.
  In questo caso, diversamente da altre volte, l'invito è una fonte di obbligazione a oggetto inesistente, perché il Senato in verità ha cambiato poco. Le modifiche, aldilà della sicura rilevanza politica, da un punto di vista giuridico sono poca cosa.
  Almeno a mio avviso, quel poco che è stato cambiato, non solo non è valso a risolvere gli aspetti più problematici che la dottrina aveva evidenziato, ma in fondo introduce soluzioni che sono peggiorative del testo rispetto alle finalità che si volevano perseguire con la riforma.
  Mi soffermerò solo sui temi relativi alle funzioni della seconda Camera e alla regola dell'elezione di secondo grado «in conformità alle scelte espresse dagli elettori». Per quanto riguarda il resto, accennerò solo ai meccanismi di nomina dei giudici costituzionali e alle regioni speciali.
  Cominciando dalle funzioni del Senato, preciso subito che, pur con qualche variazione stilistica, il testo del nuovo articolo Pag. 1155 della Costituzione conserva più o meno intatto il nucleo di funzioni già disegnato nel corso dell'iter parlamentare. Viene aggiunta la funzione di valutare, e non solo di concorrere a valutare, le politiche pubbliche, l'attività delle pubbliche amministrazioni e l'impatto delle politiche europee.
  Innanzitutto, la modifica conferma il tentativo velleitario di ottenere la botte piena e la moglie ubriaca, ovvero di superare il bicameralismo perfetto lasciando inalterato il peso istituzionale della seconda Camera.
  L'intento primario della riforma, come è noto, è quello di escludere il Senato dal circuito fiduciario e di ridurne drasticamente il peso nel procedimento legislativo.
  Questo depotenziamento è giustificato dalla trasformazione del ruolo del Senato quale assemblea rappresentativa degli enti territoriali, senonché tale trasformazione non equivale certamente a una piena compensazione. Infatti, la modifica federalista del Senato si accompagna a un riassetto fortemente centralistico della forma di Stato e, dunque, a una fisiologica marginalizzazione del suo ruolo.
  Ebbene, proprio per sopperire a questo rischio, che dovrebbe invece considerarsi fisiologico rispetto all'obiettivo perseguito dalla riforma, il Governo e soprattutto il Parlamento hanno sentito il bisogno di compensare in qualche modo il Senato.
  Ciò è avvenuto tanto incrementando la quantità e la qualità delle leggi bicamerali, che attualmente sono decisamente troppe, visto che la forma di governo rimane parlamentare e che il Senato non partecipa al circuito fiduciario, quanto affastellano tutta una serie di funzioni assai eterogenee in capo all'organo.
  Con riguardo a tale ultimo profilo, è evidente che la prospettiva risarcitoria in cui anche il Senato in terza lettura ha operato rischia di produrre più danni che benefici, rompendo la razionalità dell'originario progetto di riforma rispetto allo scopo perseguito.
  Evidentemente il problema, però, non si limita alla coerenza. Infatti, la valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni e la verifica delle leggi dello Stato e dell'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori sono funzioni assai evanescenti, difficili da perimetrare e ancor più da esercitare.
  Io ho qualche difficoltà a capire che cosa cambi concretamente rispetto al testo precedente e in quali atti si traduca, ad esempio, la valutazione delle politiche pubbliche.
  Quanto poi alla valutazione dell'attività delle pubbliche amministrazioni, non si vede come tale funzione possa essere svolta da un'assemblea legislativa, per di più sprovvista, data anche la recisione del vincolo fiduciario, degli strumenti per far valere le eventuali criticità che possano emergere da questa valutazione.
  I problemi così delineati non fanno che aumentare ove li si metta in relazione con la peculiare composizione dell'organo. Lascia infatti perplessi la pretesa che siffatti compiti possano essere assolti da delegati dei consigli regionali o da sindaci.
  A considerarle in modo estensivo, le nuove funzioni richiederebbero un cospicuo rafforzamento in termini di personale e di risorse delle strutture a disposizione del Senato. Senza un apparato tecnico adeguato e capillare sul territorio, tutte le aspirazioni che muovono il legislatore costituzionale non potranno che rimanere lettera morta, non diversamente da quanto in fondo è avvenuto con l'analisi d'impatto della regolazione (AIR) e la valutazione d'impatto della regolazione (VIR), sulla cui efficacia e utilità fondatamente si dubita.
  Un rafforzamento di tale proporzione, a ben vedere, farebbe di nuovo lievitare quei costi della politica che la riforma pretende di abbattere. Questo sarebbe un ulteriore profilo di incoerenza.
  Passo al secondo tema, cioè alla previsione in base alla quale i senatori sono eletti «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri», in occasione dell'elezione dei consigli regionali o delle province autonome.
  Indipendentemente dalla giustiziabilità di tale parametro – condivido le osservazioni del collega Frosini sulla difficoltà di Pag. 12capire che cosa si intenda per conformità – la modifica appare comunque contraddittoria.
  Innanzitutto, se l'intento dichiarato della riforma è quello di riconfigurare il Senato come Camera rappresentativa degli enti territoriali, si darebbe dovuto introdurre, come accade nel Bundesrat tedesco e come consigliava larga parte della dottrina – l'abbiamo sentito dal collega Frosini – il vincolo di mandato per i delegati regionali, piuttosto che reintrodurre una sorta di elezione su base regionale.
  L'obiettivo che si è perseguito è stato invece quello di rafforzare la legittimazione dei senatori, sempre al fine di incrementarne il peso istituzionale. Ancora una volta, la prospettiva compensativa ha finito per compromettere la razionalità del modello.
  In secondo luogo, con la modifica si è introdotta un'incoerenza interna, atteso che la regola della designazione in conformità alle scelte degli elettori non vale per i sindaci.
  Rispetto a un organo che ha già una composizione fortemente disomogenea, al quale partecipano rappresentanti di enti territoriali (regioni e comuni) con funzioni molto diverse e dove per di più vi è una componente presidenziale (non si sa bene a quale titolo), si introduce un ulteriore fattore di disomogeneità. Infatti, i delegati regionali avranno una diretta legittimazione democratica rispetto alla loro partecipazione al Senato, mentre i sindaci non ce l'avranno.
  Peraltro, se si accetta la premessa che al Senato i comuni debbano essere rappresentati, non si vede perché i loro rappresentanti in Senato, non solo non debbano essere scelti dai cittadini, come accade per i consiglieri regionali, ma nemmeno dai comuni stessi, bensì dai consiglieri regionali.
  Da ultimo, vengo in modo telegrafico ai temi dell'elezione dei giudici costituzionali e delle regioni speciali.
  Quanto al primo tema, la modifica apportata dal Senato, che rappresenta un contro-emendamento rispetto a quanto era stato deliberato dalla Camera, va letta come contrappeso alla torsione senz'altro neo-centralistica impressa dalla riforma ai rapporti tra Stato e regioni, con l'eliminazione delle competenze concorrenti, della clausola di salvaguardia e tutto il resto.
  Come è chiaro, però, si tratta di un correttivo ben modesto. Infatti, le regioni riusciranno a incidere attraverso il Senato al massimo sulla nomina di due membri su quindici della Corte costituzionale, ed è impensabile che ciò possa influire sull'indirizzo giurisprudenziale storicamente centralistico della Corte.
  Infine, quanto alle regioni speciali, mi limito a rilevare – invierò un testo più ampio e dettagliato – che il testo costituzionale è molto confuso e che il contributo del Senato purtroppo è stato quello di incrementare il livello di complessità.
  Se ci sarà modo e maniera di rimetterci le mani, probabilmente semplificare la situazione delle regioni speciali sarebbe opportuno.

  SIMONE PAJNO, professore straordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Sassari. Ringrazio il presidente e tutti voi per questa opportunità che mi avete offerto.
  Il Senato, come i colleghi che mi hanno preceduto hanno ricordato, ha modificato una serie di disposizioni che intervengono in vari aspetti della riforma.
  La riforma è caratterizzata fondamentalmente da modifiche sulla composizione del Senato, modifiche sulle funzioni e modifiche sul riparto della funzione legislativa tra Stato e regioni. Sono tre aspetti che si tengono insieme.
  In dottrina e anche a livello politico c’è stato un dibattito sul merito di queste scelte, però certamente non si può negare che queste scelte prendano una direzione piuttosto chiara per le regioni ordinarie.
  In questa sede io vorrei concentrarmi, col permesso della Commissione, sulla strada che questa riforma fa imboccare alle regioni speciali, soprattutto a seguito delle ulteriori modifiche che sono avvenute in Senato sull'articolo 39, comma 13, che le riguarda.Pag. 13
  Da un lato, mi pare che il dibattito pubblico abbia un po’ trascurato questo aspetto, che invece è dirimente. Dall'altro, mi sembra che la strada che si sta aprendo per le regioni speciali diverga radicalmente da quella che la riforma impone al regionalismo ordinario. Ritengo che questo sia un punto sul quale soffermarsi.
  A questo riguardo, il punto su cui io vorrei richiamare la vostra attenzione è quello già evidenziato dal professor Marini poc'anzi. Il diritto costituzionale delle regioni speciali è già caotico. Oggi è veramente difficile rispondere alla domanda: «Quando si applica una norma alle regioni speciali ?» Spesso la risposta è: «Non lo so, vedremo cosa ci dirà la Corte costituzionale». C’è una forte incertezza applicativa del diritto costituzionale a oggi vigente per le regioni speciali.
  La riforma in discussione, quanto a questo aspetto, rischia di peggiorare sensibilmente questo stato di cose già deprecabile.
  A questo riguardo, mi limito a segnalare alcuni aspetti sui quali, a mio modo di vedere, c’è ancora tempo e margine per fare chiarezza.
  Il primo aspetto concerne il regime transitorio. Quanto dura il regime transitorio ? C’è scritto che durerà fino alla revisione degli statuti. Basta una sola modifica statutaria per far cessare il regime transitorio, oppure c’è necessità di una revisione completa ? Probabilmente la modifica di una norma non basta, ma quante parti dello statuto dovranno essere modificate ? La cessazione del regime transitorio è un punto su cui ci si dovrebbe interrogare.
  È prevista l'intesa. Questo apre problemi sistematici, su cui proverò a soffermarmi. Poc'anzi la collega Ciolli ha detto qualcosa in merito. L'intesa deve avvenire tra esecutivi oppure devono essere coinvolte le assemblee ? Ci sarebbe da discutere e da precisare anche questo.
  Vorrei richiamare l'attenzione sulla circostanza che la modifica degli statuti speciali è già stata regolata specificamente dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, che ha previsto, oltre al parere del consiglio regionale, l'impossibilità di procedere al referendum nazionale sulla legge di revisione statutaria.
  A questo riguardo vorrei notare due cose. La prima è che bisognerebbe in qualche modo coordinare la previsione dell'intesa presente in questa disposizione con la previsione del parere del consiglio regionale presente nella legge costituzionale n. 2 del 2001, che ha modificato le norme dei singoli statuti.
  La seconda cosa che vorrei evidenziare è che la riforma costituzionale del 2001, che ha operato nel senso che ricordavo, ha introdotto una nuova fonte nel diritto del nostro ordinamento costituzionale.
  C’è stato un dibattito in dottrina che, pur non essendo attuale, perché non ci sono stati significativi interventi di riforma, non si può dire cessato; è sopito, ma non è concluso. Questa legge di revisione statutaria è una legge costituzionale a competenza specifica, oppure è una fonte del diritto sovralegislativa, ma subcostituzionale ? In quest'ultimo caso ammetterebbe sempre l'intervento di una legge costituzionale «ordinaria» col referendum sulle regioni speciali. C’è stato un dibattito, che non è chiuso. C’è dissenso in dottrina su questo punto.
  Varrebbe la pena di chiarire se questa disposizione, prevedendo l'intesa, intenda innestarsi sulla procedura della legge costituzionale n. 2 del 2001 senza referendum nazionale o sulla procedura dell'articolo 138 della Costituzione con referendum nazionale. Al momento, non lo sappiamo. Questo sarà sicuramente fonte di incertezza, a mio modo di vedere.
  Un'altra questione è la seguente: la disposizione in esame lascia in vita la clausola di adeguamento automatico, la clausola di maggior favore della legge costituzionale n. 3 del 2001 per le modifiche allora accadute ?
  Anche su questo c’è già stato un dibattito in dottrina. Le prime versioni di questa disposizione hanno suscitato parecchi punti interrogativi.
  Il mio personale punto di vista, dovendo interpretare questa disposizione, è che la risposta deve essere affermativa, Pag. 14cioè questa disposizione, così com’è, si limita a circoscrivere dal punto di vista territoriale l'ambito di applicazione delle nuove norme costituzionali, lasciando esente dall'applicazione delle nuove norme quella parte del territorio nazionale che corrisponde alle regione speciali.
  Ciò vuol dire che le regioni speciali continueranno a dovere e potere esercitare le funzioni sulle materie nuove che la legge costituzionale n. 3 del 2001 ha loro assegnato: professioni; protezione civile; tutela della salute; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; commercio; trasporto pubblico locale; formazione professionale.
  Possiamo aggiungere anche il sistema dei rifiuti, che è un aspetto molto importante. Ci sono le norme statali in materia di ambiente, che però si innestano su competenze delle regioni ordinarie in materia di servizi pubblici locali, che si estendono, tramite la clausola dell'articolo 10, anche alle regioni speciali.
  Stando così le cose, all'indomani dell'entrata in vigore di questo testo costituzionale sarebbero contemporaneamente vigenti due diversi Titoli V della Costituzione – perdonatemi l'espressione inelegante – per due parti del territorio nazionale: il nuovissimo Titolo V derivante da questa riforma costituzionale per le regioni ordinarie e il Titolo V del 2001, per le parti più favorevoli rispetto agli statuti, per le regioni speciali.
  Peraltro, il testo costituzionale sarebbe composto nel Titolo V di almeno quattro categorie di norme quanto al regime di applicazione alle regioni speciali.
  La prima categoria è quella delle norme residue dell'originario Titolo V del 1947, che si continuano ad applicare alle regioni speciali. Si tratta fondamentalmente dell'articolo 132, primo comma. Non credo ci sia molto altro.
  La seconda categoria sono le norme introdotte nel 2001, che si applicano alle regioni speciali col regime giuridico della clausola di adeguamento automatico, che tanti problemi ha creato nella sua concreta applicazione fino a oggi.
  La terza categoria è quella delle norme introdotte con la legge costituzionale n. 1 del 2012, che invece senz'altro si applicano anche alle regioni speciali, come ha chiarito subito la Corte costituzionale e come del resto risulta da alcune disposizioni della legge costituzionale del 2012.
  Infine, ci sarebbero le norme introdotte per effetto di questa legge costituzionale, che non si applicano fino alla revisione degli statuti.
  Ci sono quattro diversi tipi di norma costituzionale, con quattro diversi regimi giuridici circa la loro applicazione alle regioni speciali. Spesso queste norme si innestano l'una sull'altra in uno stesso articolo.
  Pertanto, mi permetto di richiamare l'attenzione di tutti noi sul testo che consegniamo alla vigenza.
  Passiamo ad alcune questioni connesse al rapporto tra specialità e principio unitario. La prima modifica che ha approvato il Senato su questo testo consiste nell'aver trasformato l'adeguamento degli statuti speciali alla revisione.
  Come si ricava anche dai lavori parlamentari, dietro a questo c’è l'idea di essere più liberi nel momento in cui si rivedono gli statuti speciali e di non essere vincolati a un modello preconfezionato, ossia a uno standard di relazioni tra Stato ed enti territoriali.
  Occorre fare attenzione: questo sarebbe un assoluto inedito nella storia repubblicana. Sicuramente questa sarebbe un'idea difforme rispetto al modello dei costituenti. L'idea di fondo era che c’è un modello unitario con princìpi comuni a tutti di rapporti tra Stato ed enti territoriali, all'interno del quale le regioni speciali si muovono, con forme e condizioni particolari di autonomia.
  È per questo che fino al 2001 il Titolo V della Costituzione originario rappresentava la norma generale da applicare anche alle regioni speciali, ove non derogata dagli statuti. Era il cappello che comprendeva tutti, salvo deroga.
  Questo meccanismo si rompe nel 2001, quando cambiano i princìpi di sistema. Nell'articolo 10 della legge costituzionale Pag. 15n. 3 del 2001 si è inserita la parola «adeguamento» e si è affermato che gli statuti, all'epoca distonici, dovevano andare in quella direzione.
  A mio modo di vedere, la distonia, che ancora oggi permane tra i princìpi di sistema del vigente Titolo V e i princìpi di sistema cui rispondono gli statuti speciali, è una delle principali ragioni della confusione normativa che c’è.
  Riporto un solo esempio: negli statuti speciali c’è ancora il modello dell'interesse nazionale, che configura la preminenza politica dell'indirizzo politico statale su quello delle regioni. Per le regioni ordinarie a oggi è vigente il principio di sussidiarietà, che esclude la preminenza politica dell'indirizzo politico dello Stato su quello delle regioni. C’è una forte distonia.
  La domanda che ci dobbiamo porre, a mio modo di vedere, è la seguente: vogliamo che regioni speciali e regioni ordinarie siano parte di uno stesso sistema di relazioni tra enti territoriali, pur con delle importanti differenziazioni, oppure no ?
  Se la risposta è positiva, secondo me, dobbiamo perseguire la logica dell'adeguamento al di là della parola.
  La questione più significativa che, a mio modo di vedere, rischia di suscitare questo nuovo testo costituzionale in quest'ambito è quella legata ai poteri sostitutivi. In breve, non si sa se e in che termini i poteri sostitutivi potranno essere esercitati anche nei confronti delle regioni speciali.
  Su questo punto, il rinvio all'intesa per la redazione dei futuri statuti potrebbe determinare la conseguenza che i poteri sostitutivi si continuino a esercitare soltanto ove previsti dalle norme di attuazione, con zone grigie anche di grande importanza.
  A mio modo di vedere, una strada che si potrebbe seguire è quella di non toccare il riferimento alla revisione anziché all'adeguamento che è stato inserito in Senato, evidenziando, però, nell'articolo 39, comma 13, che la revisione degli statuti, d'intesa, dovrà comunque rispettare alcuni aspetti essenziali del diritto comune delle autonomie territoriali.
  Ad esempio, non potrà negare – i miei sono solo suggerimenti – la competenza statale in materia di livelli essenziali delle prestazioni, coordinamento della finanza pubblica e concorrenza. Non potrà negare i poteri sostitutivi statali nei confronti delle regioni speciali in relazione a questi aspetti così importanti.

  MASSIMO VILLONE, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II». Grazie, presidente. Io credo che sappiamo bene tutti che questa proposta di riforma va all'approvazione senza alcuna modifica, così com’è, buona o cattiva che sia.
  Infatti, se si cambia anche solo una virgola, non è più realizzabile lo scenario che si è già delineato: chiusura del procedimento di formazione di questa legge costituzionale verso marzo o aprile e voto referendario intorno all'autunno dell'anno prossimo.
  Non credo che Renzi voglia farci votare il referendum a Natale. Mi sentirei di escluderlo, o perlomeno di sconsigliarglielo.
  Pertanto, noi oggi parliamo per la storia o, più modestamente, nello scenario del prossimo certo referendum. Stiamo mettendo a verbale gli argomenti per il voto referendario, né più né meno.
  Dunque, cosa possiamo dire ? Come è stato già segnalato, in realtà le modifiche introdotte dal Senato non sono particolarmente significative, salvo che per limitati punti. Possiamo cercare di coglierli in modo sintetico, articolo per articolo.
  Sull'articolo 55 c’è qualche piccola modifica, ma di per sé questa è una norma manifesto, che non ha grande significato, perché le funzioni hanno un senso in relazione a com’è composto l'organo di cui si discute.
  Pensare che ci sia un'assemblea di consiglieri regionali e di sindaci che sia davvero in grado di valutare le politiche pubbliche e di fare da raccordo ambizioso, come qui viene definito, praticamente tra Pag. 16tutti i livelli istituzionali è un esercizio di libertà, ma non è una razionale analisi di quello che probabilmente si prospetta.
  Con il fatto di cambiare l'espressione «concorre a valutare» con il termine «valuta» cosa si vuole suggerire ? Si vuole indicare che sia una funzione esclusiva ? Ciò è palesemente impossibile. Dunque, perché si è cambiato ? Chi lo sa, è una di quelle cose che succedono nel procedimento di formazione delle leggi. Pertanto, la modifica dell'articolo 55 non è molto significativa o non lo è per nulla.
  Sull'articolo 57 c’è, poi, la vexata quaestio. Come sappiamo, l'attenzione si è concentrata sulla questione dell'elezione diretta, con risultati francamente difficili perfino da spiegare.
  Come diceva il collega Frosini, la parola «conformità» è già di per sé di difficile lettura. Significa «uguale a», «non difforme da», «compatibile con», «non incompatibile con» ? È evidente che l'uso della parola crea già una difficoltà sistematica di ricostruzione, che poi si tradurrà nella legge da fare. Purtroppo, quindi, non stiamo discutendo di cose astratte.
  Si parla di conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri, che si dovrebbero riflettere sulla scelta dei senatori. Tuttavia, in ogni regione noi eleggiamo 50 o 60 consiglieri. Trarre da questo delle scelte è complicato. Tradurle nella selezione di un numero di senatori, che è un decimo di quelli che eleggiamo, non so che cosa voglia dire. Spiegatemi come si fa. Io eleggo 50-60 consiglieri, ne spremo delle scelte, come se si trattasse di una spremuta di arancia, e le metto nel bicchiere dei senatori, che sono quattro o cinque. Che cosa significa ? Già questa è un'impossibilità.
  Aggiungiamo che non si può dire che c’è il vincolo proporzionale per Costituzione, come qualcuno prima citava. Potrebbe sembrare una soluzione semplice: io prendo la proporzione che c’è fra i 50-60 e la traduco da quell'altra parte. Il problema è che tutte le regioni sono ormai versate in un sistema maggioritario, per cui c’è una forte discrasia fra il numero dei consiglieri e i voti espressi dagli elettori. Nemmeno da questo punto di vista funziona.
  Dunque, cosa dirà questa legge di cui al sesto comma, che viene salvificamente richiamata nell'articolo 57 ? Io sono curiosissimo di vederla, perché certamente ci insegnerà qualcosa.
  Anche l'articolo 116 è un punto delicato. Peraltro, io credo di ricordare che l'intento originario del Governo fosse, meritoriamente, quello di cancellare l'articolo 116, ma forse è stato abbandonato per strada. Il sottosegretario Scalfarotto ce lo potrà ricordare. Adesso, invece, si è ampliato l'articolo 116. Le buone intenzioni purtroppo non sempre raggiungono il traguardo.
  Ora tale nuova norma ci pone qualche problema in più, con il richiamo alla lettera m). La formula che si adotta, se non sbaglio, è: «limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali». Notate che questa non è un'ulteriore forma e condizione particolare di autonomia per le politiche sociali, bensì per le disposizioni generali e comuni. Non è la stessa cosa, perché si tratta di un ampliamento dell'autonomia normativa.
  Sorge una domanda. Supponiamo che lo Stato pensi di fare una legge sulla social card – cito una cosa che abbiamo già visto – e che una certa regione dica che per lei la social card non va bene. Io devo leggere la lettera m) nel senso che ciò sia possibile.
  Vediamo che l'articolo 116 trascina con sé le risorse. Quello che non si dice mai è che l'aumento delle funzioni comporta l'aumento del drenaggio sulle risorse pubbliche. C’è una regione che ha di più e ce n’è un'altra che ha di meno. Questo ha un senso ben preciso, che è un senso di discriminazione territoriale.
  Io la considero una cosa pericolosa. In un momento di crisi e di crescente divaricazione nel Paese, queste cose possono far male. Io penso che qui ci sia un peggioramento secco rispetto all'avvio di questa proposta.
  Ciò vale anche per quanto riguarda il commercio con l'estero. Io credo che qui siamo tutti grandi viaggiatori. Io ho girato Pag. 17un po’ per il mondo e non ho mai visto da nessuna parte, per esempio, un ufficio commerciale della California, settima potenza mondiale, ma ho trovato gli uffici dell'Abruzzo.
  Mi pareva di avere capito che in questo Paese si fosse giunti alla conclusione che fosse opportuno smetterla con la dissennata politica delle presenze regionali estere – la regione Lombardia a un certo punto aveva 119 sedi di rappresentanza all'estero, ma non so se ce le abbia tuttora – e fare un passo indietro. Infatti, si è visto che quello che vende è il brand Italia, non il brand Abruzzo. Forse una, due o tre regioni d'Italia potrebbero vendere i brand.
  Invece, qui vedo che il commercio con l'estero è rientrato nella speciale autonomia. Questa è una richiesta forte delle regioni, che è stato un errore accettare. È una cosa alla quale il ceto politico regionale tiene molto, perché è una questione d'immagine molto importante. Non è per caso che è entrata la lettera q) nell'articolo 116.
  Arriviamo a un breve commento sui giudici della Corte costituzionale. Tutte le argomentazioni che sono state fatte qui sul numero relativo di Camera e di Senato sono giuste, ma io mi chiedo perché un'assemblea di consiglieri e di sindaci dovrebbe avere la legittimazione a eleggere i giudici di costituzionalità.
  Voglio ricordare un classico del pensiero federalista, che probabilmente qualcuno farebbe bene a leggere, che si intitola «The safeguards of federalism» (Le garanzie del federalismo). L'autore è Wechsler. Uno dei punti di questo passaggio nodale nel pensiero federalista degli anni 1960 del secolo scorso era dove si collocasse nel sistema delle istituzioni la tutela del federalismo.
  Una delle questioni era se la corte suprema dovesse essere una delle safeguard del federalismo. La risposta era negativa. Secondo l'assunto generalmente accettato nel pensiero federalista, il giudice di costituzionalità deve essere un'istituzione nazionale e le safeguard devono essere nel livello politico-istituzionale, cioè nel congresso. Questo è in fondo ciò che si è cercato di fare con questa riforma per quanto riguarda il Senato.
  Noi, che studiamo poco, leggiamo anche meno, ma siamo sempre oltre, abbiamo fatto il Senato e abbiamo fatto anche dei giudici costituzionali, per così dire, regionalizzati.
  Io non riesco proprio a essere d'accordo con questa riforma. Voi sapete cosa ne penso in generale. Qualcuno conosce già il mio pensiero su questo dopolavoro con il laticlavio che è diventato il Senato. L'ho messo agli atti e non mi ripeterò.
  Ci rivedremo tutti al referendum, perché, come dicevo, io escludo che si faranno modifiche. Ci rivedremo tra circa un anno e vedremo il popolo italiano cosa ne pensa.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO QUARANTA. Siccome il tempo è breve, stando allo spirito dell'ultimo intervento del professor Villone, io vi chiederei una valutazione finale sul complesso, perché sappiamo tutti che non siamo chiamati a giudicare le modifiche che sono state fatte al Senato e che questo sarà il testo definitivo.
  Io, nel chiedervi un giudizio sulla coerenza generale di questa riforma, richiamo solo tre fatti, per brevità.
  In primo luogo, stiamo istituendo il Senato delle regioni o delle autonomie, senza nessuna riflessione su come hanno funzionato le regioni, peraltro togliendo poteri a queste ultime. Conosciamo il tema della legislazione concorrente, che peraltro non c'entra nulla con tutto il contenzioso costituzionale, che, come sappiamo, riguarda più propriamente le materie di competenza esclusiva dello Stato.
  Il secondo punto è relativo alla composizione di questo Senato. Noi, in nome della semplificazione, stiamo costituendo un Senato composto da cinque figure diverse: i senatori a vita; i senatori di diritto; i senatori nominati per sette anni a titolo gratuito e volontario; i consiglieri Pag. 18regionali – non i presidenti delle regioni – eletti non si sa bene come; e i sindaci, che non sono nemmeno eletti da un'assemblea di sindaci, ma dai consiglieri regionali.
  Io credo che sia abbastanza ignoto a tutti che frutti possa portare la composizione di questo Senato. Penso però che questo dovrebbe essere un elemento di riflessione.
  Peraltro, c’è una disparità incredibile di numeri tra le regioni, che non c’è in nessun sistema di tipo regionale o federale, con senatori probabilmente eletti anche a diciotto anni. Infatti, se valgono le regole in vigore per i sindaci o per i consiglieri regionali, con questa legge si potrebbe diventare senatore a diciotto anni. Questo è un altro tema.
  Il terzo elemento, secondo me, è quello fondamentale. Da un lato, noi abbiamo un Senato che di fatto non ha né poteri di veto né poteri esclusivi sulle materie che dovrebbero essergli proprie, cioè quelle relative al federalismo, al regionalismo e alle autonomie. Dall'altro, pur non essendo eletto direttamente, il Senato può modificare la Carta costituzionale. Francamente, io credo che questo sia un elemento sconcertante.
  Io non so se aspettavamo questa riforma da trenta anni, come dice la professoressa, da settanta, come dice il ministro Boschi, oppure dai tempi di Cavour (ormai l’escalation mi sembra infinita). Tuttavia, io mi chiedo se non sarebbe stato più semplice creare un sistema monocamerale, magari accompagnato da una Conferenza Stato-regioni, ovviamente con un sistema elettorale congruo, piuttosto che mettere in campo questa specie di ibrido che non si capisce bene cosa sia.

  DANILO TONINELLI. Innanzitutto, ringrazio gli esperti che abbiamo audito oggi.
  Pongo una domanda puntuale al professor Villone. L'elezione dei nuovi senatori viene considerata un'elezione indiretta. Se fosse indiretta, a questo punto, potremmo definire indiretta anche l'elezione del Presidente della Repubblica. L'espressione «elezione indiretta» sta in piedi ?
  Rivolgo una domanda a tutti. Il fatto che il nuovo Senato intervenga con un bicameralismo paritario, alla stregua della Camera, sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale non significa che 51 persone, che sicuramente non hanno il tempo e magari non hanno una competenza spiccata, hanno un potere troppo ampio sulle materie e sulle regole fondamentali del nostro vivere civile ?
  Si afferma che entro dieci giorni dall'entrata in vigore della riforma costituzionale un quarto dei deputati e un terzo dei senatori possa impugnare la legge elettorale. Ciò significa, a nostro parere, che, se da lì in poi il Parlamento approvasse un'altra legge elettorale, questa non sarebbe più impugnabile di fronte alla Corte, quindi rimarrebbe un vuoto.
  Infine, all'interno del testo c’è una forte contraddizione di contenuto e letterale. Al comma 6 dell'articolo 39 si stabilisce che la legge elettorale del Senato deve essere approvata entro sei mesi dall'instaurazione delle nuove Camere. Al comma 11 dello stesso articolo (norme di coordinamento) si parla invece di sei mesi dall'entrata in vigore della riforma costituzionale. È normale che in un testo costituzionale, seppure in una norma transitoria, ci sia una contraddizione formale come questa ?

  GIUSEPPE LAURICELLA. Io parto dalla premessa che sono convinto della riflessione che sto per proporre, però mi rivolgo a voi per avere un supporto oppure per essere smentito.
  Riprendo in parte un passaggio già avanzato dall'onorevole Quaranta. In fase di approvazione del testo alla Camera, in Commissione era passato un emendamento che riguardava i senatori a vita, seguendo la logica del carattere territoriale del Senato.
  Avendo il Senato una rappresentanza delle istituzioni territoriali, si era pensato di eliminare i senatori a vita, che mi pare non abbiano nulla a che vedere con la tipologia di organo che noi stiamo definendo. Pag. 19L'emendamento era stato approvato in Commissione. In Aula invece è stata reintrodotta questa anomalia che riguarda i senatori a vita.
  Faccio presente che io salverei gli ex Presidenti della Repubblica per una questione di rispetto della carica istituzionale, ma trasferendoli semmai alla Camera anziché al Senato.
  C’è un altro punto che ho cercato di sollevare. Essendo alla Camera, non potevo incidere su questo passaggio al Senato. Ovviamente si trattava di una proposta in qualche modo dirompente.
  Nella norma transitoria è previsto che, in attesa della messa a regime del sistema, appena entrerà in vigore la Costituzione, i senatori verranno espressi dagli stessi consigli regionali che oggi sono in carica.
  Faccio presente che, così come sono stati articolati il sistema e la norma transitoria, giocoforza, andremo a regime fra cinque o sei anni. Infatti, se consideriamo che alcuni consigli sono stati formati quest'anno (per esempio quello della Liguria), per una questione di tempo, ci vorranno minimo cinque anni.
  Io avevo fatto una proposta, tenendo conto dell'eccezionalità del passaggio. Noi stiamo trasformando il sistema bicamerale – non entriamo nel merito dell'opportunità di farlo monocamerale o meno – stiamo articolando in maniera diversa le competenze e abbiamo modificato tante parti. Si tratta o non si tratta di un passaggio importante ed eccezionale nella vita repubblicana ? Sicuramente sì.
  Allora, non sarebbe stato più coerente, per mettere a regime il sistema, prevedere nella fase transitoria, per esempio, una norma che dicesse che, sciolte le Camere, si sciolgono i consigli regionali e si va a regime con la legge che si andrà a formare (vedremo in che modo, perché lì si aprirà un'altra querelle) ?
  La mia impressione è che l'unico modo per mettere a regime il sistema sarebbe stato quello di prevedere in fase transitoria l'azzeramento del sistema, sia a livello nazionale sia a livello regionale, lasciando da parte ovviamente tutti i ragionamenti di tipo politico, le opportunità e gli interessi.
  Dal punto di vista oggettivo, è questo o no l'unico modo per mettere a regime il sistema ? Ovviamente lascio a voi ogni considerazione.

  PRESIDENTE. Io vorrei fare soltanto due considerazioni. In relazione ai commenti che sono stati fatti sul regionalismo differenziato e alle problematiche che sono state sollevate, mi ricollego al quesito posto dal professor Pajno sulla natura e sulla gerarchia delle fonti.
  È chiaro che un elemento importante è stabilire cosa si possa fare in proposito nelle leggi costituzionali relative agli statuti. Siccome noi dovremo rivedere gli statuti – alcuni sono già in corso di revisione anticipata rispetto alla riforma – è evidente che in una situazione nella quale, almeno auspicabilmente, il Parlamento dovrebbe lavorare in maniera coerente, alcuni dei temi che sono stati posti dovrebbero poter essere risolti intervenendo attraverso gli statuti.
  Magari non è la soluzione più corretta o più precisa da un certo punto di vista, ma potrebbe essere un modo per gestire le incertezze che sono state discusse. Mi interessa capire, passando per il tema della natura della fonte, se è possibile gestire a livello normativo quelle problematiche, quando si interverrà sugli statuti.
  In relazione al Senato e all'elezione dei giudici della Corte, c’è stato un dibattito fra chi sostiene il giudice generalista – se così si può dire – e chi sostiene il giudice autonomista. Qualcuno affermava che è bene che il giudice della Corte abbia una sua diretta investitura dal Senato delle autonomie, perché possa comprenderne meglio le istanze. Qualcun altro ha detto, invece, che il ruolo deve essere generale.
  Siccome non tutti sono intervenuti su questo tema, mi interessa conoscere la vostra valutazione e sapere se ci sono esperienze di questo tipo da altre parti. Sappiamo benissimo come è nata la norma nei vari passaggi e, quindi, mi interessa capire se esistono esperienze in questo ambito.

  FRANCESCO SANNA. Aggiungo alla sua prima domanda una mia, in riferimento Pag. 20a quello che ci ha detto il professor Pajno.
  Le riferisco una piccolissima volontà del legislatore di revisione costituzionale. Quando io ho votato quella norma circa la fase transitoria di applicazione dei princìpi della riforma alle regioni speciali, ho immaginato di sostenere la tesi per cui con la parola «revisione» degli statuti speciali, in riferimento al nuovo sistema di revisione complessiva che noi sottoponiamo all'intesa tra lo Stato e le regioni speciali, ci si riferisse a quel procedimento.
  La revisione degli statuti non è una qualunque revisione degli statuti ai sensi delle norme contenute negli statuti speciali, che sono oggetto anche di un'analisi di iter legislativo parlamentare. Ne ricordo almeno due, di cui io sono relatore, peraltro in questa Commissione.
  Mi chiedo se questa volontà del legislatore possa essere in qualche modo recepita in un'interpretazione scientifica. Quando ci riferiamo al periodo transitorio e parliamo di revisione, intendiamo un periodo che si determina nel tempo in cui Stato e regioni speciali addivengono al meccanismo di revisione mediante intesa, previsto dalle disposizioni della riforma. Vorrei un suo parere su questo.

  DANILO TONINELLI. presidente, se è possibile, nelle risposte farei il giro al contrario, per rispetto di quegli auditi che hanno aspettato il proprio turno. Valuti lei, presidente.

  PRESIDENTE. Non credo che ci siano problemi, anche perché abbiamo tempo. Allora, partiamo dal professor Villone.

  MASSIMO VILLONE, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II». Grazie, presidente. Parto dalla prima domanda sull'elezione diretta o indiretta. Onorevole Toninelli, in realtà, noi non dobbiamo astrattamente preferire l'elezione diretta a quella indiretta. Dipende da cosa vogliamo fare e da quale obiettivo ci poniamo.
  Nel caso di un'assemblea rappresentativa, personalmente sono convinto che l'esperienza comparata ci dica che il risultato migliore è dato dall'elezione diretta, perché solo la scelta dell'elettore garantisce la rappresentatività.
  Ovviamente, il discorso è diverso quando si tratta di organi che non hanno funzioni di questo tipo, ma sono organi di garanzia, come un Capo dello Stato, che può diventare un'altra cosa se c’è un'elezione diretta.
  Pertanto, la risposta alla sua domanda è che dipende da ciò che si vuole fare. Tutte le scelte possono essere fatte bene o male. Il problema è che qui abbiamo una scelta fatta male, come hanno detto anche altri colleghi. Se lo dicessi solo io, mi si potrebbe obiettare che io sono contrario a prescindere. Meno male che qualcun altro lo dice.
  Questo modello di selezione dei senatori che si è scelto è sbilenco ed è sbagliato proprio alla radice. Si dice che i senatori rappresentano l'istituzione regionale, però la scelta è affidata ai consiglieri regionali. Voi avete ben chiaro come si elegge un consiglio regionale ? Un consiglio regionale si elegge con liste a preferenza unica. Ciò significa che è una battaglia mostruosamente sanguinosa. Vuol dire che nessun partito governa più.
  La conseguenza è che ogni consigliere regionale è ferocemente attaccato al suo territorio e alla sua constituency e non rappresenterà mai la regione. L'unica persona che rappresenta veramente l'istituzione regione è il presidente, perché quest'ultimo ha davvero su di sé la legittimazione e anche il peso, mentre i consiglieri non ce l'hanno. Pensare che i consiglieri in tutto questo si trasformino in rappresentanti dell'istituzione è una cosa che suscita perfino ilarità.
  Peraltro, i consiglieri vanno a scegliere quelli che – loro sì – rappresentano l'istituzione, che sono i sindaci. Ovviamente non sceglieranno mai il sindaco della grande città, ma sceglieranno i sindaci dei piccoli comuni nella propria constituency. Questo sarà l'esito del meccanismo che si è messo in piedi.Pag. 21
  Voi su questo Senato volete caricare la revisione della Costituzione, come giustamente diceva l'onorevole Quaranta ? Scherziamo ? Si faranno le barricate, perché questo sistema non ha nessuna razionalità intrinseca. Noi possiamo fare quello che ci pare, però le scelte devono avere una razionalità. Il problema di questa proposta è che non ne ha. Per questo è inaccettabile, non per i singoli tecnicismi.
  Io sono d'accordo con l'onorevole Quaranta: la revisione della Costituzione è molto pericolosa, perché non si può assolutamente prevedere quale equilibrio esprimerà questo Senato, quale prassi farà crescere e come troverà la sua stabilità di istituzione.
  A proposito della legge elettorale, mi è stato chiesto se il fatto che ci sia il giudizio preventivo non possa essere un ostacolo per il dopo. Io non penso. Mi pare che lo dicesse il collega Frosini: questa è una sorta di rottura che noi inseriamo nel nostro sistema, che certamente può creare un problema.
  Infatti, quando la Corte valuterà questa legge elettorale, lo farà, come si dice tecnicamente, ex ante e in astratto, cioè non vedrà la legge nel suo funzionamento concreto. Invece lo scopo è avere un meccanismo in via incidentale come adesso.
  Noi avremo un meccanismo in via incidentale, con quest'unica eccezione, che però sarà lì a fare da precedente. Quando la Corte avrà deciso in un certo modo sulla legge, potrà eventualmente tornarci, ma avrà la sua giurisprudenza, formata in un contesto che non è quello del funzionamento del sistema elettorale. Questo è un problema.
  L'onorevole Toninelli coglie un punto. Non c’è un problema formale, ma c’è un problema sostanziale di funzionamento del sistema. Non c’è una preclusione, ma comunque un'influenza indebita ci sarà di sicuro.
  Cosa dire sui senatori a vita ? Si era proposto di fare i deputati a vita, poi, non so perché, sono tornati i senatori a vita. Forse c’è qualche senatore a vita che pensa che è più bello chiamarsi senatore piuttosto che deputato. Non c’è nessuna ragione specifica per cui si debba scegliere in questo modo. Per la verità, non c’è nessuna ragione specifica di averli in assoluto. Infatti, ci sono molti Paesi che non conoscono affatto i senatori a vita.
  Sul fatto che questo sia un passaggio cruciale dell'esperienza repubblicana, come diceva l'onorevole Lauricella, non c’è dubbio alcuno. Ha ragione: probabilmente il modo in cui è stata portata a compimento questa riforma è di per sé un elemento negativo.
  Tuttavia, lei sa che andare allo scioglimento in simultanea dei consigli regionali non esiste nemmeno nella più selvaggia delle fantasie. Togliamocelo dalla testa. È molto più semplice sciogliere le camere che venti consigli regionali, proprio per la ragione che ricordavo prima: i consiglieri regionali hanno speso fiumi di soldi e hanno perso litri di sangue in una campagna elettorale durissima, che peraltro deputati e senatori non hanno mai fatto, perché sono arrivati per nomina.
  Voi non sapete di cosa si tratti. Quelli che fanno veramente la battaglia con il pugnale fra i denti sono i consiglieri regionali e i consiglieri comunali, non i parlamentari. È difficile pensare che quei signori rinuncino al proprio mandato in simultanea in tutto il Paese, come direbbero gli inglesi, per il greater good (il bene comune). Se avessimo questo Paese, probabilmente non avremmo tanti problemi.

  SIMONE PAJNO, professore straordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Sassari. I temi sollevati sono tantissimi. Proverò a ritagliarmi un iter all'interno di questi temi: giudizio finale sul complesso, composizione del Senato e nessun potere di veto sulle politiche.
  La relazione introduttiva al disegno di legge costituzionale del Governo ci dice che si vuol fare un'operazione che io personalmente mi sentirei di condividere in pieno: facciamo un trade-off tra competenze e partecipazione, togliendo un po’ di competenze alle regioni e facendole partecipare al procedimento legislativo. In Pag. 22tal modo si saldano indirizzi politici statali e regionali e si evita il contenzioso.
  Questa riforma, a mio modo di vedere, realizza benissimo l'obiettivo di diminuire le competenze. Tuttavia, non realizza con la stessa coerenza e determinazione l'altra parte del piano. Francamente, non si può dire che le regioni partecipino alla funzione legislativa nel sistema che viene delineato.
  Faccio la prova del nove: perché mai un presidente di regione non dovrebbe impugnare una legge regionale, per il solo fatto che è stata approvata anche dal Senato ? Magari, per accidente, l'indirizzo politico espresso dal Senato corrisponde all'indirizzo politico della maggior parte delle regioni. Tuttavia, questa è solo una possibilità.
  La ragione è quella che i miei colleghi hanno evidenziato prima: la mancanza del voto di delegazione e la permanenza del libero mandato. Questo è un tassello che sarebbe stato, a mio modo di vedere, indispensabile per realizzare l'obiettivo della relazione introduttiva al disegno di legge costituzionale, che io personalmente considero molto interessante e auspicabile.
  Sul versante delle funzioni, il professor Marini affermava che probabilmente le competenze affidate alla legge bicamerale sono troppe. Probabilmente è vero, ma forse non sono quelle giuste. Sulle materie di grande interesse per le politiche regionali – ad esempio le politiche del territorio e il coordinamento della finanza pubblica – il Senato sostanzialmente «non vede palla», cioè può chiedere di intervenire, ma naturalmente con il voto a maggioranza assoluta l'indirizzo politico della Camera prevale.
  Da questo punto di vista, a mio modo di vedere, la relazione fa delle promesse molto interessanti, che però non sono mantenute appieno dal testo.
  L'altra prova del nove che noi dobbiamo fare da questo punto di vista è: ci serve ancora la Conferenza Stato-regioni, dopo questa riforma costituzionale ? Secondo me, se la risposta è positiva, l'obiettivo della riforma non è pienamente raggiunto. Questo è il mio punto di vista.
  Passo alle questioni specifiche sull'articolo 39, comma 13, per non rubare troppo spazio ai colleghi. Cosa si può fare con le leggi di revisione degli statuti ? A mio modo di vedere, se questo testo entrasse in vigore, l'unico limite alle leggi di revisione statutaria sarebbe quello dei princìpi supremi dell'ordinamento costituzionale e del principio unitario, naturalmente per chi crede ai limiti assoluti della revisione costituzionale. La Corte costituzionale ci ha detto che ci sono, però quello del giudizio di legittimità costituzionale di leggi costituzionali è un territorio inesplorato.
  Per questo, sia muovendoci nell'ottica della legge costituzionale a competenza riservata sia muovendoci nell'ottica della fonte subcostituzionale, riagganciandoci alle legge costituzionale n. 2 del 2001, sarebbe comunque opportuno circoscrivere nella norma transitoria le linee che in occasione della revisione statutaria non possono essere varcate. In assenza di un'esplicitazione di tali linee, temo che sia difficile desumerle dal principio unitario di cui all'articolo 5 della Costituzione.
  Sulla questione della revisione e della durata del periodo transitorio, io comprendo che l'intento della norma transitoria sia quello di dire che il periodo transitorio finisce quando si provvede al complessivo riassetto dalla posizione costituzionale della singola regione speciale.
  Il fatto è che con questa disposizione, ove entrasse in vigore, da domani sarebbero possibili revisioni degli statuti circoscritte ad alcune parti e adottate d'intesa. Non sarebbero auspicabili e magari non ci saranno. Tuttavia, ove si verificasse una revisione parziale, circoscritta a uno, due, tre, cinque o dieci articoli di uno statuto speciale, preceduta da un'intesa, noi ci troveremmo a chiederci: «È finito o no il periodo transitorio ?» Questo è un rischio, che mi permetto di segnalarvi.

  FRANCESCO SAVERIO MARINI, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Roma «Tor Vergata». Cercherò di rispondere rapidamente. Per ciò che concerne una Pag. 23valutazione del testo nel suo complesso, mi sono espresso anche criticamente in altre occasioni.
  In particolare, condivido alcune delle considerazioni che sono state fatte. Penso che la parte più debole sia proprio quella inerente alle ripartizione di competenze tra Stato e regioni. Per quanto concerne l'eliminazione della competenza concorrente, non era certamente quello il problema alla base del contenzioso. La clausola di supremazia è introdotta in modo molto approssimativo, senza un procedimento che ne dia garanzia. C’è il problema del vincolo di delegazione.
  I problemi effettivamente sono molteplici e certamente non sono compensati dall'introduzione di questa seconda Camera, che presenta una serie di problematiche. Una sintesi delle critiche sarebbe molto difficile in questa sede.
  Condivido – l'ho già detto, peraltro, parlando della riforma del Senato – che la composizione del Senato è totalmente disomogenea. Se ci fosse spazio per un ripensamento, sarebbe opportuno farlo.
  Come ha affermato il collega Villone, è un problema sicuramente esistente quello della composizione disomogenea del Senato e della presenza dei senatori a vita, che non hanno senso rispetto alle funzioni che sono attribuite al Senato.
  Mi scandalizza meno, invece, il fatto che il Senato partecipi alla revisione costituzionale. In molti Stati federali le regioni o i loro rappresentanti nella seconda Camera partecipano alla revisione costituzionale, pur non essendo eletti direttamente. Non la trovo una norma strana, almeno rispetto alle esperienze comparate.
  Quanto all'impugnazione della legge elettorale, effettivamente la norma transitoria non è scritta in modo corretto, presenta dei margini di problematicità e andrebbe effettivamente corretta, almeno col coordinamento formale.
  Non trovo strano che ci sia una valutazione ex ante e in astratto da parte della Corte, perché in fondo, nel momento in cui la Corte di cassazione ha sollevato la questione e la Corte costituzionale l'ha ritenuta ammissibile, alla fine ha ammesso la possibilità che si svolga un giudizio ex ante e in astratto. Le impugnazioni dell’Italicum, di cui si è sentito parlare in questi giorni, in fondo produrranno lo stesso effetto, sebbene da parte dei cittadini e non da parte dei parlamentari.
  Quanto all'idea di sciogliere camere e consigli regionali, certamente sarebbe un'idea di pulizia, ma non so quanti margini di praticabilità ci siano da un punto di vista politico.
  Ci è stato chiesto se il problema delle regioni speciali possa essere risolto attraverso gli statuti speciali. Penso che la risposta sia certamente affermativa, nel senso che rivedendo gli statuti si può risolvere tutto questo intreccio assurdo di norme costituzionali sulle regioni speciali.
  Il problema è che questo era previsto anche nel 2001. Siamo nel 2015, sono passati quattordici anni, e non mi pare che siano stati modifichi tanti statuti. Temo che non verranno modificati nemmeno in futuro, considerato che ci deve essere l'intesa con le regioni speciali, che hanno pretese abbastanza forti. Volesse il cielo che si modifichino e si rivedano gli statuti, ma non so se questo si realizzerà. Pertanto, i problemi ci saranno e saranno risolti dalla Corte costituzionale, spesso con decisioni caso per caso.
  Quanto ai giudici nominati da rappresentanti delle regioni, ci sono esperienze federali in cui questo accade. Ad esempio, in Germania la metà dei giudici costituzionali viene eletta dal Bundesrat, che è rappresentativo degli enti territoriali. Questa non mi sembra una cosa strana. Al massimo si può discutere sul numero, ma per quanto riguarda la titolarità non mi pare una stranezza.

  TOMMASO EDOARDO FROSINI, professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università di Napoli «Suor Orsola Benincasa». Mi scuso, ma dopo l'intervento dovrò andar via. Rispondo molto rapidamente.
  Parto dalla battuta dell'onorevole Quaranta riguardo al fatto che della riforma del Senato si discute dai tempi di Cavour. È vero, alla fine del secolo XIX ci fu un Pag. 24tentativo famoso di riforma del Senato, che poi fallì. Il relatore era Giorgio Arcoleo, un costituzionalista.
  Quel tentativo venne sintetizzato in una battuta, che vorrei usare oggi, per fare intendere qual è stata la finalità che ha indotto, secondo me, il legislatore costituzionale a cercare di salvare un po’ le competenze del Senato. Verso la fine del 1800 Luigi Palma, un famoso costituzionalista, scrisse un bellissimo saggio intitolato «Gli invalidi della Costituzione».
  Io credo che evitare che i senatori diventino gli invalidi della Costituzione e che il Senato diventi un organo quasi inutile sia stata una preoccupazione del legislatore costituzionale. Da qui si sono costruite intorno una serie di competenze modeste, ma finalizzate a dare comunque una rappresentatività di tipo istituzionale al Senato nell'assetto costituzionale. Io credo che sia questa la motivazione principale.
  Se andiamo a vedere i singoli aspetti, credo che la dottrina prevalente sarebbe stata favorevole a un'ipotesi di eliminazione del Senato. Tuttavia, bisogna fare i conti con la realpolitik e con le dinamiche di funzionamento del sistema politico. Francamente, immaginare una scelta così radicale, visto che, come è noto, la riforma passa anche attraverso il voto del Senato, era difficile.
  Secondo me, per la paura di fare dei senatori degli invalidi della Costituzione, si è cercato in qualche misura di consentire al Senato di avere comunque una sua presenza.
  Tuttavia, se devo dare un giudizio di tipo complessivo sulla riforma, a mio avviso, il fatto di aver tolto il rapporto fiduciario è un punto davvero centrale, che consente di fatto il monocameralismo, perché il rapporto del Governo sarà solo con la Camera dei deputati.
  Provo a rispondere da comparatista alla domanda del presidente, in maniera molto veloce. Come accennava prima Francesco Marini, in Germania i giudici costituzionali vengono eletti per metà dal Bundestag e per l'altra metà dal Bundesrat, per un totale di sedici membri.
  Tuttavia, ci sono tante e tali particolarità e differenze tra la Bundesverfassungsgericht e la nostra Corte costituzionale che la comparazione è difficilmente sviluppabile su basi di similitudine, ma è piuttosto su basi di differenza.
  Ne cito una fra le tante: i giudici costituzionali tedeschi scadono dal loro mandato al compimento del sessantottesimo anno di età, cioè dopo i 68 anni non possono essere più giudici costituzionali. La nostra Corte costituzionale, fatti salvi i giudici recentemente nominati, sarebbe tutta casa, se funzionasse questa norma che esiste nel tribunale costituzionale federale.
  Inoltre, non credo che i giudici eletti dal Bundesrat abbiano una loro derivazione di tipo regionale, ovvero dai lander, in quanto vi è un'apposita commissione che provvede a indicarli.
  La Spagna, altro Paese a regionalismo differenziato, prevede dodici giudici nel Tribunal costitucional, di cui quattro eletti dal Congresso, quattro dal Senato, due dal Governo e due dal Consiglio generale del potere giudiziario. C’è una diversificazione che consente un pluralismo della rappresentanza all'interno di quell'organo.
  Infine, come è noto, negli Stati Uniti d'America la nomina di nove giudici, ovvero di otto più il presidente, è demandata alla scelta del Presidente degli Stati Uniti e sono nominati a vita, a differenza di ciò che avviene del modello tedesco. Naturalmente, però – ecco perché mi ero azzardato a fare quell'ipotesi di modifica del regolamento – la loro nomina deve essere vagliata dal Senato, attraverso delle audizioni.
  Conosciamo casi di potenziali giudici in procinto di essere nominati dal Presidente degli Stati Uniti e poi bocciati. C’è un caso famoso: si era scoperto che un candidato giudice ai tempi in cui frequentava il college universitario fumò della marijuana, e il Senato non vagliò la sua nomina, in quanto sostenne che non sarebbe mai stato neutrale nel momento in cui fosse arrivato alla Corte suprema un problema di legittimità relativo a una legge sulle droghe leggere.Pag. 25
  Chiudo rispondendo all'onorevole Lauricella. Noi tutti avremmo auspicato questa soluzione, una sorta di radicalità nella scelta: far decadere tutti e partire da zero.
  Voglio ricordare, a titolo di memoria istituzionale, che la famosa riforma del 2005, poi bocciata dal referendum, prevedeva per l'entrata in vigore del Senato uno sviluppo temporale e non aveva una sua immediatezza. All'epoca, come ricorderete, c'era l'elezione contestuale fra consiglio regionale e senatori, ed era stato pensato, nelle norme transitorie e finali, che questa andasse a regime dopo un certo numero di anni, proprio per favorire l'uniformità, senza arrivare alla proposta dell'onorevole Lauricella di far decadere tutti, in modo da partire insieme in un blocco comune.

  MARILISA D'AMICO, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Vi ringrazio per tutte queste vostre domande e sollecitazioni molto importanti.
  Parto anch'io da una valutazione complessiva, nell'ambito della quale cercherò di rispondere ad alcune domande. Peraltro, alcune questioni sono già state toccate dai miei colleghi.
  Nel mio intervento dicevo che se ne sta parlando da 30 anni. Ovviamente non mi riferivo a questa riforma. Ebbene, uno degli aspetti del funzionamento, non dovuti probabilmente a come la Costituzione è stata scritta, ma a come la Costituzione è stata concretamente sviluppata, è stato il progressivo svuotamento di centralità del Parlamento.
  Tale svuotamento colpisce soprattutto la sua funzione essenziale, ossia quella legislativa, a fronte di una Carta costituzionale che, per come è scritta, apparentemente non darebbe una serie di poteri al Governo che, invece, quest'ultimo si è pian piano preso, in via di prassi, con istituti come quello della fiducia. Questi istituti, una volta che si sono instaurati in via di prassi, sono stati poi codificati, ma nel pensiero originario dei costituenti non c'erano.
  Nell'ultimo quindicennio abbiamo una forma di governo e un funzionamento concreto dell'istituzione parlamentare in cui di fatto il Parlamento è molto esautorato. Ci sono stati alcuni istituti e alcuni comportamenti del Presidente della Repubblica che hanno indotto la dottrina a parlare addirittura di un presidenzialismo di fatto. Ci sono una serie di poteri che il Governo ha, per cui di fatto noi assistiamo a una funzione normativa preponderante del Governo stesso.
  Ci sarebbero state molte opzioni, non solo relative al superamento del bicameralismo paritario.
  Voi avete ragione quando vi chiedete perché non sia stato scelto il monocameralismo con la conferenza Stato-regioni. Personalmente era l'idea che mi piaceva di più, prescindendo dalla riforma che si è concretamente instaurata qui. Ci sono una serie di condizionamenti e di aspetti, sia scientifici che della realtà concreta, che non hanno portato fin dall'inizio a quella soluzione.
  Alcuni costituzionalisti – cito tra tutti Zagrebelski – da tempi non sospetti parlano di monocameralismo. Quelli che parlano di monocameralismo adesso fino a qualche anno fa parlavano di una riforma del sistema bicamerale e non mettevano in dubbio il bicameralismo.
  Ci sarebbero state molte opzioni. Per esempio, alcuni, prendendo atto dei poteri forti del Presidente della Repubblica e della necessità di riconnettere i cittadini alla democrazia e all'esercizio della democrazia in senso pieno, che va oltre all'elezione dei rappresentanti in Parlamento, si chiedevano perché non si partisse addirittura da una riforma in senso presidenziale.
  Speriamo che i difetti di questo disegno di legge che sono stati evidenziati possano essere superati, soprattutto in via interpretativa e secondo me anche dall'interpretazione che ha sempre fatto la Corte costituzionale rispetto alle riforme costituzionali. Pensiamo a come la Corte ha interpretato la riforma costituzionale del 2001, che in fondo non è quello che è scritto, ma è quello che ci dice negli anni la Corte costituzionale.Pag. 26
  Io penso che la previsione di due Camere differenziate e di una Camera che si arriva a configurare come Camera delle autonomie sia un po'una scommessa. Ci sono una serie di aspetti problematici, ma è una scommessa pensare che quei consiglieri regionali e quei sindaci, una volta investiti del compito di rappresentanza di problemi generali su cui confrontarsi con le diverse realtà dell'Italia, possano fare di questa seconda Camera una Camera importante.
  Sarò anche velleitaria, ma la nostra generazione si sente dire da chi è più anziano che c’è il problema del Sud, a cui non pensa nessuno. L'idea di avere un'istanza centrale in cui ci si confronta, si discutono problemi comuni e si sviluppano prospettive comuni – pensiamo, per esempio, alle competenze del Senato in relazione al rapporto con l'Europa – è sicuramente una scommessa.
  Potrebbe anche essere una cosa molto negativa. Potrebbero venire tutti a tirare per la giacchetta i parlamentari della Camera dei deputati per farsi fare le leggi o piuttosto porre il veto sulle leggi che non piacciono per il loro particolare. Io spero che non sarà così.
  Un altro aspetto importante della riforma per quanto mi concerne è che noi avremo una Camera politica in cui la maggioranza dirà quali leggi fa e per quali leggi è stata investita, e avrà la possibilità di farle. È chiaro che il Senato ha un ruolo minore, potrà rivedere o meno, ma avrà la possibilità di fare le leggi e anche la responsabilità.
  Infatti, è ovvio che il bicameralismo paritario fa sì che su certe leggi più sensibili una decisione del Parlamento non ci sia o comunque sia molto lenta. Pensiamo a quello che si sta facendo sulle unioni civili.
  Il fatto che il Parlamento non riesca a fare le leggi che deve fare su questi temi sensibili scarica su altri poteri, in particolare sui giudici, una serie di compiti che i giudici secondo me non possono avere. Naturalmente tutto questo si riflette sui diritti dei cittadini.
  Questa è la mia opinione in generale. Mi sembrava importante riaffermarla. Un altro aspetto che io considero molto positivo della riforma è il fatto che abbia curato con attenzione alcuni profili delle attività del Governo in Parlamento, cercando – vedremo se ci riuscirà – di ricondurre all'originaria limitazione dei poteri normativi del Governo, fortemente voluta dai costituenti.
  Una serie di cose che sono scritte oggi nell'articolo 77 sarebbero in re ipsa. Hanno tentato di scrivere una legge ordinaria, la legge n. 400 del 1988, ma di fatto questo non è servito a niente, perché in questo sistema, con il bicameralismo paritario e l'appesantimento del lavoro legislativo, il Governo ha dovuto necessariamente prendersi quello spazio.
  Sono completamente d'accordo sulla centralizzazione di alcune materie e con il discorso del professor Pajno relativo alla scommessa di togliere alcune materie alle regioni e di dare nello stesso tempo il Senato delle autonomie, puntando più sulla partecipazione a livello centrale che su uno spezzettamento di materie importanti.
  Ci sono alcuni aspetti che io ho sottolineato nella mia precedente audizione. Mi sembra che nel testo che consegno vengano riportati. Nelle competenze esclusive delle regioni si fa riferimento alle disposizioni generali, cosa che potrebbe innestare di nuovo un meccanismo conflittuale, che ci sarà senz'altro.
  Io credo che sicuramente su questa riforma, come è stato per quella del 2001, ci sarà necessariamente una sorta di supervisione nei fatti, attraverso i ricorsi dello Stato e delle regioni sulle rispettive competenze.
  Detto questo, si spera che l'eliminazione della competenza concorrente possa essere un elemento di chiarificazione.
  Anche secondo me, nelle norme transitorie si sarebbe potuto prevedere che decadono tutti i consiglieri regionali. È un passaggio epocale, e forse si sarebbe potuto fare, ma indubbiamente è molto difficile da immaginare.Pag. 27
  Credo che quasi tutti noi siamo d'accordo sull'aspetto dell'esclusione delle regioni a statuto speciale e sul fatto che in tal modo si creano realtà territoriali che hanno diversi pesi.
  Diciamo la verità: nell'opinione pubblica la specializzazione di alcune regioni ha avuto delle ragioni storiche ma oggi non si giustifica più, soprattutto quando ci sono differenze di trattamento da regione a regione.
  Pertanto, bisognerà vedere fino a che punto, non intervenendo la revisione degli statuti, ci potranno essere di nuovo problemi di costituzionalità davanti alla Corte costituzionale in relazione alla violazione del principio supremo di uguaglianza fra regione e regione.
  Infine, vorrei chiarire l'accenno che ho fatto alla composizione della Corte costituzionale. Mai mi sarei permessa di dire che un giudice costituzionale che arriva rappresenta qualcosa. Il giudice costituzionale si stacca da tutto quello che fa prima.
  Tuttavia, i simboli sono un aspetto importante della nostra Costituzione, e il fatto che il Senato dell'autonomie esprima due personalità alla Corte costituzionale, a mio avviso, rafforza simbolicamente il principio autonomistico.

  INES CIOLLI, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Parto da una valutazione complessiva sotto il profilo formale. Qui c’è una modifica ingente di diverse parti della Costituzione. Il rischio ovviamente è quello di svilire la Carta costituzionale. È vero che questa riforma l'aspettavamo da trenta anni, ma c'erano già state una riforma piuttosto congrua nel 2001 e un'altra nel 2012.
  Rivedere parti diverse e ingenti della Costituzione ovviamente rende molto difficile tenere un filo rosso, poiché a volte manca una logica interna.
  Non solo la revisione del Titolo V, lascia perplessi ma anche quella dei rapporti tra le Camere che si verranno a costituire sono completamente nuovi, perché c’è tra di esse una distinzione per materie. Ciò significa che una gran parte della riforma verrà rinviata all'interpretazione della Corte costituzionale.
  Pertanto, se uno degli intenti era quello di contenere il contenzioso costituzionale, io credo che questo sia invece un punto critico della riforma.
  Non mi riferisco soltanto al Titolo V – sarebbe quasi troppo facile – ma anche al fatto nel nuovo articolo 70, penultimo comma, della Costituzione si parla di un'intesa tra i presidenti delle Camere per quanto riguarda eventuali questioni sulle rispettive competenze e questa intesa potrebbe non funzionare. Io mi auguro che la mediazione politica funzioni, ma, se non dovesse funzionare, non c’è una clausola di chiusura del sistema tale per cui non si arrivi a un’impasse.
  Certamente avere eliminato la potestà legislativa concorrente significa che in questa continua rincorsa a un nuovo modello di regionalismo in Italia non si è colta l'occasione per affermare definitivamente un regionalismo di tipo cooperativo, che veda proprio nella competenza concorrente la possibilità di integrare lo Stato con le regioni. Questi, secondo me, sono alcuni dei punti critici.
  Per quanto riguarda invece il Senato, la scelta tra il monocameralismo o un Senato forgiato in maniera diversa dipende anche dal contesto della forma di Stato e della forma di governo.
  In questo contesto, in presenza dell’Italicum che dà la possibilità alla Camera dei deputati di raggiungere una maggioranza molto importante, la funzione di contrappeso del Senato potrebbe rivelarsi molto utile.
  Certamente la costruzione di questo Senato nelle funzioni e nel sistema elettorale lascia molto perplessi, perché non vi è una corrispondenza, per esempio, tra il tipo di funzioni che svolge e la rappresentatività che esso ha.
  Perché non è stato possibile un vero Senato delle regioni, che era la cosa sulla quale la dottrina era forse un po'più concorde ?
  L'estrazione dei senatori è molto diversa, come è stato messo in evidenza da Pag. 28quasi tutti i colleghi. Inserire, per esempio, i senatori a vita e gli ex presidenti della Repubblica nel Senato ne fa una Camera di senatori eletti e di diritto talmente scombinata per cui una reale rappresentatività vera dei territori non ci sarà.
  Peraltro, l'elezione da parte dei consigli regionali fa sì che la seconda Camera si trasformi prontamente in una Camera di stampo politico, un po’ più debole.
  Per quanto riguarda il procedimento di revisione costituzionale, secondo me, è bene che, così come avviene in quasi tutti i modelli di tipo comparato, il Senato partecipi alla revisione, perché ciò gli permette di avere in qualche modo un potere di contrappeso rispetto alla Camera bassa.
  Questo succede anche in Francia, dove vi è un sistema non dissimile da quello prospettato dalla riforma, ma secondo me meglio congegnato per quanto riguarda l'elezione dei senatori. Ricordiamoci che l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione in Francia non ha avuto seguito e poi il vincolo di bilancio è stato introdotto con legge organica, proprio grazie al veto del Senato, il quale ha bloccato la revisione costituzionale e ha svolto pienamente la sua funzione di contrappeso.
  Per quanto riguarda il modo in cui il Senato poteva essere congegnato, un'elezione indiretta, come sosteneva il professor Villone, non era necessariamente da escludersi, purché fosse corredata da un divieto di mandato imperativo, sulla base di un modello più simile a quello del Bundesrat tedesco. Il Bundesrat ha funzionato così bene che si è intervenuti con una riforma nel 2006 per indebolirlo.
  Io su questo ho scritto anche una monografia. La rappresentanza territoriale non è una rappresentanza a sé o una rappresentanza degli interessi, ma è una forma di rappresentanza politica specifica sui territori.
  Questo Senato, se fosse stato congegnato come una vera e propria Camera delle regioni, avrebbe avuto una chance in più.
  In questo preciso momento storico, io non avrei scelto un monocameralismo. Non sono contraria, ma non lo farei in questo preciso contesto.
  Per quanto riguarda le minori competenze del Senato e la maggiore partecipazione delle regioni, quest'ultime ne escono fortemente indebolite, il che non è necessariamente negativo per certi aspetti. Abbiamo visto in alcune funzioni che forse erano state calate dall'alto, come la potestà legislativa concorrente in materia sanitaria, quali siano state le conseguenze.
  Tuttavia, era molto positivo che si potesse intervenire con una potestà concorrente, quella che è stata eliminata. Adesso una rigida separazione delle materie e, quindi, una rigida separazione delle funzioni tra lo Stato e le regioni manca di un meccanismo di raccordo.
  Probabilmente proprio la menzione delle disposizioni generali e comuni che spettano allo Stato creerà un notevole contenzioso, perché non sappiamo se queste corrispondono a una potestà legislativa concorrente travestita, ossia se lo Stato continuerà a disciplinare una materia con princìpi fondamentali che le regioni dovranno integrare. Peraltro, i princìpi fondamentali dal punto di vista tecnico sono diversi dalle disposizioni generali e comuni, come ci ha detto la Corte costituzionale.
  Comunque, se lo Stato creerà una sorta di cornice entro la quale le regioni si potranno muovere, non si capisce quale sia il limite massimo dell'espansione della potestà legislativa statale e quale sia lo spazio residuo delle regioni e se sia uno spazio corrispondente.
  Infatti, abbiamo una potestà legislativa regionale residuale, come nel Titolo V vigente, in base alla quale tutte le materie che non sono specificate come appartenenti allo Stato dovrebbero essere di competenza delle regioni. Dall'altro lato, però, abbiamo un piccolo catalogo che, guarda caso, corrisponde, non sempre precisamente, proprio a quello delle disposizioni generali e comuni, fatta eccezione forse Pag. 29per la sicurezza alimentare. È molto probabile che su questo il contenzioso aumenterà.
  Secondo me, se si fosse subito contemplata la revisione degli statuti speciali, probabilmente molti dei problemi si sarebbero potuti contenere. Mi riferisco a tutte quelle difficoltà che troviamo nelle regioni a statuto speciale e che ben ha esplicitato il professor Pajno.
  Ad esempio, ci si chiede se sia vigente il Titolo V del 2001 e se prevale il coordinamento della finanza pubblica come potestà legislativa statale, come del resto ha già specificato la Corte Costituzionale. Infatti, il coordinamento della finanza pubblica è stato scritto tra le competenze statali nel catalogo della riforma. Anche la legge costituzionale n. 1 del 2012 sicuramente deve essere applicata alle regioni a statuto speciale.
  Se si fosse operata una revisione previa degli statuti, come si sta provvedendo a fare adesso, forse avremmo avuto una maggiore chiarezza.
  Faccio notare, inoltre, che è vero che, come diceva la professoressa D'Amico, il potere del Governo è stato più attentamente disciplinato almeno per quanto riguarda l'uso delle fonti quali il decreto-legge, però nel testo della riforma si prevede una clausola di supremazia, nella quale l'iniziativa è specificamente del Governo.
  Mi permetto di dire che poche volte è stato evidenziato che, se passasse questa riforma, come immagino accadrà, nella Costituzione noi ci troveremmo di fronte a una doppia clausola di supremazia: quella prevista dall'articolo 117, comma 4, ma anche quella prevista dall'articolo 120, comma 2, della Costituzione in merito ai poteri sostitutivi da parte dello Stato nei confronti delle regioni che hanno avuto dei disavanzi eccessivi.
  Questo mi riporta all'idea che uno degli elementi fondamentali di questa riforma è stato il contenimento dei costi. Una riforma costituzionale è una cosa solenne. Che questo fosse uno degli scopi mi lascia piuttosto perplessa.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.55.