XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III-IV Camera e 3a-4a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Martedì 10 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 3 

Comunicazioni del Governo sull'evoluzione della partecipazione dell'Italia alla missione NATO in Afghanistan:
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 3 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 5 
Pinotti Roberta , Ministra della difesa ... 5 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 8 
Manciulli Andrea (PD)  ... 8 
Artini Massimo (Misto-AL)  ... 9 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 10 
Artini Massimo (Misto-AL)  ... 10 
Piras Michele (SI-SEL)  ... 10 
Santangelo Vincenzo  ... 11 
Minzolini Augusto  ... 12 
Fava Claudio (SI-SEL)  ... 13 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 13 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 14 
Gasparri Maurizio  ... 15 
Battista Lorenzo  ... 16 
Cicchitto Fabrizio (AP) , Presidente della III Commissione ... 16 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 18 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 18 
Pinotti Roberta , Ministra della difesa ... 18 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA IV COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO SAVERIO GAROFANI

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sull'evoluzione della partecipazione dell'Italia alla missione NATO in Afghanistan.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni reca comunicazioni del Governo: sull'evoluzione della partecipazione dell'Italia alla missione NATO in Afghanistan.
  Vi prego di prendere posto perché abbiamo un tempo piuttosto ristretto. Mi sembra il caso di cominciare senza ulteriori indugi.
  Ricordo che della seduta sarà redatto il resoconto stenografico, che sarà disponibile in tempi brevi. Saluto il Presidente Casini, che ci sta per raggiungere, e il Presidente Cicchitto. Do il benvenuto ai Ministri Gentiloni e Pinotti e a tutti i colleghi presenti del Senato e della Camera.
  Prima di dare la parola ai Ministri invito i Gruppi a far pervenire al più presto alla presidenza l'elenco di coloro che intendono intervenire, in modo da poter assicurare un ordinato svolgimento dei nostri lavori. Ricordo che il tempo che abbiamo a disposizione non è molto e che l'Assemblea della Camera riprenderà a votare alle 15. Pertanto, invito tutti a svolgere interventi il più possibile sintetici, in modo da lasciare il tempo ai Ministri anche per una replica.
  Senza ulteriori indugi do la parola al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Presidenti, colleghi, l'occasione di questa comunicazione sulla missione in Afghanistan, su cui poi entrerà più direttamente la Ministra della difesa, per quanto mi riguarda consiste nel fornire qualche aggiornamento sull'evoluzione della situazione generale in Afghanistan dal punto di vista politico-militare. Si tratta certamente di una situazione molto delicata, che ha portato, come sapete, il Governo afgano a rivolgere alla coalizione internazionale ulteriori richieste di prolungamento della missione Resolute Support, che, come sapete, è una missione no combat cominciata nel 2014, all'esaurirsi della precedente fase ISAF.
  Sulla base di questa situazione sapete anche che il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato alcune decisioni e che i diversi Paesi della coalizione – l'Italia è uno dei quattro Paesi che svolgono un ruolo, come si dice, di framework nation nell'ambito della coalizione, con gli Stati Uniti, la Germania e la Turchia – prenderanno le loro decisioni in diversi appuntamenti in sede multilaterale, tra cui quelli previsti nel mese di novembre e nel mese di dicembre alla NATO.
  Un segnale particolare della delicatezza della situazione è arrivato dalla presa, per Pag. 4quanto temporanea, della città di Kunduz da parte dei talebani e anche da episodi che attorno alla presa di Kunduz ci sono stati, come il tragico errore che ha portato al bombardamento dell'ospedale di Médecins sans frontières. Entrambi, in fondo, sono testimonianza di una situazione critica, in cui la presa di controllo da parte delle forze di sicurezza e delle forze militari afgane è in un contesto di grande delicatezza. Questa delicatezza è in parte collegata anche con il cambio della guardia che c’è stato al vertice dei talebani, con la scomparsa del mullah Omar, e con dinamiche maggiormente aggressive che a questa situazione sono state collegate.
  Il governo afgano sta lavorando su diversi fronti per cercare una stabilizzazione della situazione, in particolare su un programma di riforme interno in materia di governance dell'economia e di lotta alla corruzione, che hanno ottenuto primi risultati, indubbiamente, testimoniati dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale in genere, sulla strada della stabilizzazione, che non sarà una strada rapida, né facile, ma che certamente richiede un ulteriore impegno e sforzo che, ripeto, non è uno sforzo combat, ma è uno sforzo di sostegno.
  Da un lato, quindi, ci sono le riforme, dall'altro c’è il rapporto con i paesi vicini, che resta fondamentale per la stabilità dell'area. Devo dire che noi abbiamo sempre incoraggiato, e tuttora auspichiamo, una stabilizzazione e un miglioramento delle relazioni in particolare tra Afghanistan e Pakistan, che è un anello decisivo per questo futuro di stabilità. L'Afghanistan, com’è noto, è da secoli centrale nel grande gioco dell'area dell'Asia centrale. Basta vedere la sua posizione geografica. Mi ha colpito il fatto che nell'ultima Assemblea delle Nazioni Unite l'incontro dei ministri degli esteri sull'Afghanistan sia stato convocato, in modo abbastanza inconsueto, dal ministro degli esteri americano e dal ministro degli esteri cinese. Si tratta quasi di una prima assoluta di un vertice convocato da Stati Uniti e Cina in una dimensione regionale geopolitica, che ci testimonia come ci sia un interesse molto importante della partita afgana per l'insieme dell'area.
  Noi italiani, com’è noto, siamo impegnati non solo sul terreno militare, ma, per quanto mi riguarda come Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, anche con un impegno enorme in questi 13 anni: sono stati impegnati 820 milioni di euro, di cui una parte consistente a dono e un'altra in crediti di aiuto. Si tratta di un impegno che si concentra molto sul sostegno alla governance, sul tema della salute, sul tema dell'istruzione e dell’empowerment femminile in modo particolare. Sono stati ottenuti – io credo – dei risultati importanti. Adesso stiamo lavorando anche su altri settori, come le infrastrutture di trasporto. La sfida è quella di rafforzare la società civile, le istituzioni, il ruolo delle donne e la cultura e di contribuire a costruire un futuro per un Paese certamente molto tormentato.
  Il punto, a mio avviso, essenziale della valutazione che dobbiamo fare oggi nell'incontro delle quattro Commissioni – almeno questa è la valutazione del Governo – è che noi non ci troviamo di fronte soltanto agli ultimi capitoli di una storia che si prolunga ormai da 12-13 anni. Certamente ci troviamo di fronte a uno sforzo di stabilizzazione e di costruzione di pace che dura da molti anni, come, del resto, è, purtroppo, abituale. Se pensiamo alle nostre missioni, dal Kosovo al Libano, vediamo che la prospettiva di missioni che durano 10-15-20 anni è assolutamente, purtroppo, nella normalità.
  Nel caso dell'Afghanistan, però, credo che dobbiamo avere ben chiaro che non ci troviamo soltanto di fronte all'impegno di concludere nel modo migliore un'azione che si prolunga da 12 anni. Ci troviamo di fronte anche alla necessità di far fronte a una realtà, a una minaccia parzialmente nuova, perché si misura con le novità che negli ultimi mesi, nell'ultimo anno, negli ultimi due anni si sono configurate, in particolare da due punti di vista.
  Il primo è la crescita di Daesh, che in Afghanistan è molto significativa. Per il Pag. 5momento si è concentrato nell'utilizzo dell'Afghanistan come bacino di reclutamento per combattenti da impiegare nei teatri siriani e iracheni, ma nessuno può escludere che nei prossimi mesi o nel prossimo periodo ciò che finora Daesh in Afghanistan non ha fatto, cioè azioni contro il Governo o contro forze della coalizione, possa avvenire. Senz'altro c’è stata un'azione di reclutamento a Kabul e in diverse aree del Paese da parte di Daesh molto significativa, rilevata non solo da comunicati su Internet, ma anche dalle intelligence delle forze alleate sul terreno.
  Il secondo aspetto è quello legato al fenomeno migratorio. Dobbiamo considerare il fatto che l'Afghanistan è diventato il terzo paese di origine di migranti, dopo la Siria e l'Eritrea, verso l'Unione europea e che ha registrato, soprattutto in quest'anno, un incremento dell'80 per cento di flussi migratori rispetto all'anno scorso. Si tratta di flussi che, al contrario dello scorso anno, non interessano negli ultimi mesi più direttamente l'Italia. Il numero di rifugiati provenienti dall'Afghanistan che si è indirizzato verso l'Italia è diminuito negli ultimi mesi per via del prevalere della rotta balcanica. Dobbiamo considerare, però, il fatto che – lo ripeto – dopo siriani ed eritrei, gli afgani sono una componente crescente e determinante dei flussi migratori.
  Pertanto, questa è non solo l'ultima fase di una storia cominciata dopo l'11 settembre. C’è anche la necessità, con la presenza militare, oltre che economica, italiana di una presenza di sostegno e di assistenza alle forze locali e non di combattimento, per garantire il presidio di un teatro che oggi costituisce anche, per taluni versi, una minaccia di tipo nuovo rispetto al passato e che quindi ci impone – adesso ce lo dirà il Ministro Pinotti – uno sforzo ulteriore anche direi per fronteggiare le nuove minacce e per portare a termine un lavoro che veramente è stato enorme in questi 11 anni, che è costato anche in termini di sacrifici di vite umane e che ha ottenuto dei risultati. Quello che a me piace di più ricordare è il fatto che ci sono 3 milioni e mezzo di bambine nel sistema di istruzione in Afghanistan, il che nell'Afghanistan dei talebani era completamente impensabile. Questo è uno dei risultati della presenza internazionale della coalizione in quel teatro, ed è uno dei motivi per cui, sia pure con le caratteristiche che sappiamo, noi proponiamo che il nostro impegno si prolunghi anche l'anno prossimo.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro Gentiloni.
  Do la parola alla Ministra Pinotti.

  ROBERTA PINOTTI, Ministra della difesa. Io mi permetto di cominciare salutando i presidenti e i colleghi per interpretare l'augurio che immagino possa venire da tutti voi. Quest'oggi c’è stato, proprio poco fa, un incidente su un elicottero dell'Esercito nella zona vicino a Rimini. Le cause sono ancora da accertare, ma, in fase di decollo, è caduto. Un militare è gravemente ferito e gli altri tre sono feriti. Lo volevo ricordare perché noi parliamo delle missioni, ma a volte anche l'addestramento, purtroppo, comporta dei pericoli. Penso che possiamo fare insieme gli auguri perché questi feriti possano riprendersi presto.
  Come diceva il Ministro Gentiloni, l'Alleanza atlantica, la missione NATO, la missione ISAF si è conclusa alla fine del 2014. In quel momento le autorità afgane, concordando un nuovo SOFA, hanno chiesto di mantenere ancora una presenza, con compiti diversi; una presenza ridotta, con compiti non più di una missione che interviene direttamente per quello che riguarda il contrasto, ma di una missione di addestramento. Questa è la missione di Resolute Support, che è quella attualmente in corso. Questa missione ha quindi una partecipazione molto ridotta rispetto alla partecipazione ISAF. Parlo per l'Italia. L'Italia ha raggiunto anche addirittura 4.200 militari nella missione, nel corso di questi anni. La missione di Resolute Support vedeva una media un po’ superiore ai 500 uomini, che ora abbiamo leggermente incrementato di circa 200 persone – siamo intorno alle 800 – perché abbiamo dovuto Pag. 6sostituire la forza spagnola. Si trattava di una forza che contava più di 500 militari, che noi abbiamo sostituito con 200 perché, in realtà, la forza comprendeva una force protection dell'aeroporto, la protezione intorno alla città di Herat e altri elementi. Noi, avendo già la parte logistica, abbiamo potuto sostituire con 200 persone un contingente più numeroso, mantenendo però completamente le misure di sicurezza necessarie per il nostro contingente.
  Secondo la pianificazione che era prevista per Resolute Support da parte degli alleati, ci sono state due informazioni alle Commissioni, sia il 17 dicembre sia il 19 marzo. Ricordate che la programmazione era inizialmente diversa da quella che oggi noi veniamo a presentarvi. La prima prevedeva che a partire da gennaio 2015 fino a quest'autunno ci fosse una presenza internazionale in differenti aree del Paese per dare assistenza ai corpi d'armata, cioè alle grandi unità operative dell'Esercito. Nella seconda parte, dall'autunno in poi, si immaginava una concentrazione delle forze a Kabul come forza di sostegno al comando centrale, quindi non più sui territori.
  Le due informative, le discussioni che abbiamo fatto con le Commissioni parlamentari erano proprio per spiegare che questa fase, cioè la fase del rientro su Kabul, non coincideva con una fase di resa in sicurezza del territorio che era stato assegnato. Di fatto noi vi avevamo informato che quel ripiegamento che avrebbe dovuto avvenire a partire dalla fine dell'estate, in realtà, si era modificato e che mantenevamo il contingente che avevamo a Herat.
  Passo a quello che stiamo facendo a Herat. In questo momento noi abbiamo ancora, ovviamente, una presenza nel comando centrale a Kabul, ma abbiamo lasciato a Herat il nostro principale contingente. Che cosa si sta facendo adesso a Herat ? In alcuni articoli e anche in alcune interrogazioni la domanda è: ma stanno chiusi nel fortino ? No, i nostri militari non stanno chiusi nel fortino. Fanno quello che presuppone una missione di addestramento. Ogni giorno hanno dagli 8 ai 10 moduli, che partono e vanno a domicilio: o vanno presso le sedi dei comandi delle principali unità della regione, il comando 207o del corpo d'armata, oppure presso i comandi delle forze di polizia. Partono e vanno ad addestrare nei luoghi in cui ci sono i militari o le forze di polizia afgana. Altri, quelli che stanno nella base, a volte addestrano anche nella base, a seconda delle esigenze che ci sono sul terreno.
  Ci sono poi corsi di formazione e di pianificazione congiunta fra le Forze armate di polizia, seminari sul ciclo operativo delle Forze armate e conferenze sulla conduzione delle attività di polizia giudiziaria. Si tratta di un'attività molto ampia sul tema della sicurezza.
  Insieme al lavoro importante che fa la cooperazione, che è stato illustrato dal Ministro Gentiloni, i nostri uomini individuano anche esigenze che possono nascere direttamente sul terreno. Per esempio, mi raccontavano, nell'ultimo collegamento che abbiamo avuto con i nostri comandanti a Herat, che in questo momento ci sono quattro maestri artigiani della Confartigianato di Udine che stanno svolgendo dei corsi di avviamento professionale a favore di circa 60 civili afgani. Ovviamente, lo possono fare in sicurezza perché sono collegati al nostro contingente.
  Oltre a domandarci che cosa fanno attualmente, la domanda è anche se in tutti questi anni possiamo dire che siano stati ottenuti dei risultati. Questo sforzo, così elevato in termini di risorse, anche umane, oltre che economiche – non dimentichiamo mai i caduti che abbiamo lasciato in Afghanistan – ha prodotto dei risultati ? Io credo che questa sia una domanda giusta da porsi nelle Commissioni parlamentari che devono discutere rispetto a questo tema. Ho chiesto un po’ di dati ai nostri contingenti per capire che cosa si è mosso nella società afgana in questi anni. Ovviamente, vi riporto i dati sulla provincia di Herat, quella di nostra competenza. Loro mi raccontavano, proprio nel collegamento che abbiamo fatto il 4 novembre, che a Herat sono presenti 900 scuole primarie e secondarie avanzate, con Pag. 7oltre 9 mila iscritti. L'alfabetizzazione a Herat riporta un tasso del 43 per cento per gli uomini e del 28 per cento per le donne, al terzo posto fra le città afgane. Ci sono un'università pubblica con 15 mila iscritti e altre 9 università private con un totale di 6 mila iscritti. Le donne sono il 40 per cento degli studenti universitari. Il lavoro che sta facendo la cooperazione di sostegno all’empowerment delle donne evidentemente porta questi frutti. Il maggior numero di iscritti sono – ve lo dico per curiosità, se vi interessa – a medicina, ingegneria, economia, legge e scienze politiche.
  Aggiungo un dato di insieme, che però, secondo me, rende un po’ il clima di quello che sta avvenendo a Herat. Quando abbiamo fatto questo collegamento, mi hanno raccontato che quest'anno, per il terzo anno consecutivo, si è svolto a Herat un festival della cinematografia femminile. Ve lo dico perché mi ha colpito, al di là dei numeri, questo elemento poiché comunque, è rinata la vita culturale a Herat e addirittura c’è un festival che è già alla terza edizione.
  Si tratta di un progresso che io ritengo molto importante, considerando il punto di partenza. Non sottaciamo, però, il fatto che questo non è una garanzia di stabilità di successo per quello che riguarda il tema di sicurezza che stiamo oggi mettendo a fuoco. È una cautela quella che inserisco, che non vuol essere uno scetticismo, ma non vuole sottacere anche gli elementi di difficoltà che sono ancora presenti. Si tratta, peraltro, di elementi che noi avevamo già anche un po’ preventivato. Eravamo consapevoli, infatti – parlo del nostro contingente militare – che i talebani non avrebbero perso tempo e che avrebbero, soprattutto con questa ipotesi di scadenza della missione, ingaggiato le forze afgane per farle collassare proprio nel momento in cui avrebbero dovuto partire le truppe dell'Alleanza.
  La missione Resolute Support, proprio per questo, cioè per evitare che la missione finisca senza aver lasciato il terreno in sicurezza, prevede dei momenti di verifica, che sono proprio nella programmazione della missione, in modo da valutare i diversi sviluppi della situazione e assumere le decisioni sulla base delle esigenze sul terreno.
  Un'esigenza nuova, non preventivabile quando è stata ipotizzata Resolute Support, è quella che riportava il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Effettivamente ci sono segnalazioni di infiltrazioni dell'ISIS, o del Daesh, come più correttamente lo chiama il Ministro Gentiloni, vicino ai confini, ma anche all'interno del territorio afgano, con tentativi di dialogo con Al-Qaeda. Immaginare che una strategia terroristica possa diventare complessiva fa parte delle segnalazioni che noi abbiamo. Questo è un elemento di rischio nuovo, non prevedibile quando era stata ipotizzata la missione.
  Questa ripresa delle azioni insurrezionali si è registrata in pochi mesi in molti distretti afgani e praticamente in ogni regione del Paese. Ricordava anche, il Ministro Gentiloni, che Kunduz, che è al nord, è rimasta per alcuni giorni sotto il parziale controllo dei talebani. Noi ne abbiamo parlato per il drammatico episodio dell'ospedale di Médecins sans frontières, ma c’è anche questo tema, che è stato abbastanza uno choc per l'Afghanistan. I talebani si erano infiltrati nel tessuto urbano, avevano attaccato da dentro la città e avevano eluso la protezione esterna. C’è stato un momento di grande preoccupazione. La regione ovest, dove operiamo noi, è rimasta – anche in questa fase – la più sicura dell'Afghanistan, ma anche qui non sono mancati attacchi, anche se di portata minore.
  Abbiamo, però, registrato una tenuta delle forze di sicurezza afgane, che sotto alcuni aspetti potevamo anche non aspettarci, in questa misura. Vi riporto un altro elemento che mi ha molto colpito nel collegamento che ho fatto rispetto ai dati. Il tasso di perdite sfiora una media di 650 uomini al mese per quello che riguarda le truppe afgane. Fra gennaio e ottobre ci sono stati 6.500 morti e 11.800 feriti. Nonostante ciò, nessuna unità ha ceduto la propria coerenza organica, pur perdendo, in taluni casi, anche il 50 per cento del Pag. 8proprio personale. Questo per dire che non è stata una formazione inutile e che non abbiamo avuto truppe che se ne sono scappate a gambe levate. La lotta è dura. Queste unità hanno dimostrato anche grande tenacia, forte motivazione, consapevolezza della loro funzione e capacità di combattimento. Non è un esercito afgano incapace di reggere il confronto, il fatto è che c’è una battaglia molto dura in corso.
  Per il numero delle perdite, quindi, c’è la necessità di procedere alla ricostituzione e al riequipaggiamento delle unità a livello di battaglione, sotto l'egida degli advisor della NATO, proprio per sostituire quelli che sono morti. Abbiamo dei contingenti che devono essere riformati proprio perché, purtroppo, sono deceduti o sono stati feriti i combattenti. Si tratta di un'evoluzione e di una necessità nate sul campo, non di una trasformazione di Resolute Support. Di fatto si tratta della continuazione per le condizioni che si sono create. Ribadisco che non si tratta di una partecipazione diretta ai combattimenti, come avveniva invece nella missione ISAF, che era una missione diversa, in cui il contrasto al terrorismo veniva fatto anche con la partecipazione diretta nella stabilizzazione del territorio.
  Per quanto riguarda le ipotesi che stiamo facendo, non c’è una necessità di incrementare le capacità attuali di assistenza. Voi avete in discussione il decreto-legge sulla proroga delle missioni internazionali. Troverete dei numeri più alti, ma sono motivati dalla sostituzione del contingente spagnolo, che è andato via. Rispetto anche alla prospettiva futura non pensiamo a numeri più alti di quelli su cui state discutendo in questo momento alla Camera. La valutazione è che sia necessario proseguire quanto si sta già facendo. Quindi, ora noi non pensiamo sia utile procedere a un'ulteriore diminuzione, perché questo lavoro di assistenza ai corpi d'armata afgani schierati nelle diverse parti del Paese è necessario per ricostituire le unità operative.
  Che cosa succederebbe altrimenti, se decidessimo di non continuare ? L'ipotesi più probabile è che le forze degli afgani si concentrerebbero nelle zone urbane, lasciando scoperte tutte le zone rurali, mentre invece è stata la grande fatica di questi anni riuscire a uscire dalle città per mettere in sicurezza anche le zone rurali.
  Nei prossimi giorni, come diceva il Ministro Gentiloni, i principali membri della coalizione decideranno formalmente l'entità del loro impegno. Questa per noi è la prima discussione importante che facciamo in Parlamento. Come avete inteso dalle parole del Ministro Gentiloni e dalle mie e come anche avete già inteso nelle parole del Presidente del Consiglio, la nostra intenzione è quella di proseguire con questo impegno già assunto e quindi di continuarlo.
  Peraltro, lasciare in sicurezza il territorio fa parte dell’italian style delle Forze armate. Lo ricordo perché questo avvenne anche quando ci fu la decisione politica, con il Governo Prodi e il Ministro Parisi, di ritirarsi dalla guerra in Iraq, in quanto non si era condivisa quella guerra. Fu una decisione annunciata già nell'aprile e decisa poi definitivamente a giugno, ma conclusa in dicembre, dopo sei mesi, perché anche in quella situazione, pur avendo assunto quella decisione, si lasciò il territorio in sicurezza e si consegnò al governatore della zona una condizione di territorio che fosse sicura.
  Questo è il quadro delle valutazioni. Mi è sembrato interessante portare in Commissione anche i dati e le considerazioni fatte dai nostri comandanti sia a Kabul sia a Herat, che mi hanno fornito i dati numerici e anche gli elementi di clima che io ho cercato di trasmettere in questa mia relazione.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministra Pinotti.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire, ricordando a tutti che il nostro termine è alle 15, perché ricomincerà la seduta dell'Assemblea della Camera, con votazioni, ragion per cui raccomando a tutti la massima sintesi, con 3-4 minuti per ogni intervento.

  ANDREA MANCIULLI. Entrambi i Ministri hanno, a mio avviso, focalizzato la Pag. 9natura del problema. Io credo che si debba condividere la decisione che è stata presa. Voglio solo soffermarmi su alcuni aspetti, cercando di dire che il dipanarsi degli eventi, purtroppo, presenta anche dei tratti di novità, soprattutto negli ultimi due anni.
  Il percorso che la NATO aveva immaginato, anche di accompagnamento delle forze afgane – questo è il nodo di tutte le nuove missioni – è un percorso che aveva una sua linearità. È evidente che questa linearità a un certo punto si è interrotta. Si è interrotta non soltanto per vicende endogene afgane, ma anche perché nel movimento jihadista è emersa in maniera dirompente la novità di Daesh.
  Veniva detto bene: bisogna ricordare, per usare qualche parola in più, che Daesh ha deciso centralmente di destinare alla vicenda della riapertura del fronte AfPak una vera e propria wilayat. Daesh è organizzato in wilayat, province sostanzialmente autonome, che hanno un governatore, un capo militare. È stato costituito in grande stile il gruppo Khorasan, che si occupa esattamente di riaprire il fronte Afghanistan-Pakistan, cosa che ha generato diverse conseguenze.
  A mio avviso, dal punto di vista politico questo è il cuore delle preoccupazioni che in qualche maniera ci devono spingere a fare la cosa che dobbiamo fare, che non è combattere direttamente, ma è soprattutto garantire che le forze afgane abbiano il livello adeguato a fronteggiare una situazione nuova e più complicata.
  La vicenda di Kunduz City, purtroppo, sta lì ad accendere molte spie per quanto riguarda la tenuta. In Afghanistan sostanzialmente ogni anno c’è una campagna di combattimenti – così si chiama; sembra ironico, ma non lo è – che si apre in primavera e si chiude in autunno. L'esito di queste campagne in questi anni è stato altalenante. L'ultima è stata la più sanguinosa, la più corredata di attentati da una parte all'altra al confine montagnoso fra Afghanistan e Pakistan e anche quella che più di altre ha messo in luce che, con una pressione concentrata, le forze afgane hanno ancora bisogno del nostro supporto, soprattutto del supporto di aiuto alla comprensione dei fenomeni e anche di addestramento.
  Io penso quindi che questo sia il cuore che ci deve portare a questa decisione, non trascurando che quello che ho detto e che fino a oggi sembra lineare non è così lineare. Infatti ci sono ancora elementi che pendono da una parte all'altra su quale sia il naturale atteggiamento e la disposizione fra il gruppo Khorasan di Daesh e i talebani e Al-Qaeda. Ci sono alcuni segnali di possibili avvicinamenti. In particolare, gli avvicinamenti riguarderebbero il gruppo TTP. Si tratta dei talebani che stanno in Pakistan, quelli che hanno fatto il più sanguinoso attentato di questi anni, quello alla scuola di Peshawar, i quali hanno annunciato a più riprese, ma mai veramente confermato, un loro avvicinamento a Daesh.
  Dall'altra parte c’è il ruolo della Shura di Quetta e dei talebani veri e propri, che, insieme ad Al-Qaeda, sembrano oggi in competizione. Gran parte degli scontri e un aumento della migrazione paiono dovuti anche agli scontri che nelle campagne sono molto forti – è molto giusto quello che diceva il Ministro Pinotti sulle campagne – proprio con riferimento alla lotta fra bande jihadiste.
  Questo senza considerare che molti degli Stati che stanno attorno all'Afghanistan stanno conoscendo l'origine e l'emergere di forme di jihadismo più forti di quelle che avevano. È evidente che, in un contesto come questo, non possiamo venire via da lì senza aver addestrato fino in fondo delle forze che siano capaci di tenere il quadro. Abbiamo avuto in Iraq la dimostrazione di che cosa significhi non finire un lavoro di addestramento, che in Iraq stiamo facendo bene, fra le altre cose, proprio con le nostre Forze armate e che, a mio avviso, dobbiamo fare fino in fondo, perché questo è il dovere di un Paese come l'Italia.

  MASSIMO ARTINI. Cercherò di essere più breve, presidente. Io mi aspettavo, in quest'audizione, un passaggio che fosse di visione rispetto al prossimo anno. In Pag. 10realtà, mi dispiace constatare che c’è una serie di contraddizioni nelle affermazioni dei Ministri, anzitutto partendo dallo spunto del febbraio dell'anno scorso, quando per la prima volta si è trattato della Resolute Support e dei suoi obiettivi.
  L'obiettivo era fondamentalmente quello di arrivare anche al 2015. Fu apprezzabile l'intervento della Ministro Pinotti, che disse espressamente: «I nostri interessi, come nazione, sono altri». Ci ritroviamo ora a discutere del proseguire un altro anno in Afghanistan. Al netto di alcune incongruenze che poi andrò a elencare, risulta effettivamente difficile comprendere come sia possibile giustificare un altro anno. Spiego perché. Sulla parte della cooperazione la considerazione che io mi sono fatto è che, se la missione fosse finita al 2015, l'Italia non avrebbe terminato di fare cooperazione in quella zona. La domanda è, se la cooperazione non fosse stata più possibile, come si sarebbe potuto lavorare. Non è una giustificazione il fatto di voler continuare o meno a fare cooperazione.
  Lo stesso vale anche sui numeri. Io ho fatto una verifica strana, proprio nell'istante: Firenze ha 731 scuole, per una città da 360 mila abitanti, mentre Herat è una città da 400 mila.

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole, faccio una precisazione dovuta perché parla di scuole: la Ministra Pinotti ha erroneamente detto 9 mila iscritti alle scuole, mentre si tratta di 900 mila iscritti.

  MASSIMO ARTINI. Non era questo il mio ragionamento. Mi torna strano che ci siano più scuole a Herat, in una situazione di crisi che a Firenze, in una situazione analoga da un punto di vista di numeri di persone.
  Lo stesso vale, Ministro, sul discorso delle sfortunate morti dell'esercito che stiamo formando. Mi spiego. La missione Resolute Support, se non deve cambiare il prossimo anno, aveva tra gli obiettivi, per ciò che ci era stato spiegato, in Afghanistan quello di formare gli ufficiali, perché la parte della formazione delle truppe doveva essere lasciata agli ufficiali formati dalle nostre forze. Ora, o sono stati uccisi tutti gli ufficiali, oppure devo capire qual è per il prossimo anno – è una provocazione, Ministro – il nostro obiettivo. Anche perché, lei ha detto che lasciare soli gli afgani porterebbe a concentrarsi esclusivamente sulle città. Ciò vuol dire che al momento noi stiamo proteggendo anche zone come Shindand o nelle province dove mi risulta che noi non siamo. In realtà, le nostre forze, con le nostre 200 persone in più che sono lì, sono mirate a fare force protection a coloro che dovrebbero fare addestramento, ossia ai rimanenti 500 che fanno addestramento.
  Ripeto, è ben chiaro che qualcuno ci ha chiesto di fare questo passaggio, ed è ben chiaro che, a differenza di febbraio, noi non abbiamo avuto il coraggio di dire: i nostri interessi sono altri. Durante alcuni ragionamenti in Commissione io vorrei chiedere al Ministro spunti diversi rispetto alla Libia, perché, a differenza di quello se ne è detto, la Libia è cambiata dall'ultima audizione a oggi. Magari uno spunto su questo sarebbe importante. Sarebbe importante capire se questa ammissione di volontà di rimanere in Afghanistan comporti altri spunti per noi. Se deve essere solamente un appoggiare mestamente le richieste degli Stati Uniti, fondamentalmente, diventa un problema per noi giustificare tutto il resto. Noi abbiamo un problema enorme sia in Iraq, sia soprattutto in Libia. Questo tipo di passaggio è un dimenticarsi di questo.
  In conclusione, com’è giustificabile il fatto che la Resolute Support continui nello stesso modo, se dobbiamo proteggere le province esterne, proteggere i nostri e cercare di rifare il training a chi non era mirato al training della Resolute Support ?
  Queste sono le domande che vorrei fare. Grazie, presidente.

  MICHELE PIRAS. Io penso che sia apprezzabile la chiarezza attraverso la quale il Ministro della difesa e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale hanno descritto la situazione sul campo, così come, ovviamente, Pag. 11ritengo apprezzabili gli sforzi che vengono fatti per implementare la cooperazione e i fattori di pace, ossia la società civile, l'istruzione eccetera.
  Debbo dire che dalle stesse parole, con la stessa chiarezza emerge una caducità di questo lavoro. Quel contesto – va da sé – non è stabilizzato e tanto meno pacificato, e la presenza dei talebani in armi e in capacità espansiva mi pare provata dalle parole che ho ascoltato anche oggi e da ciò che noi conosciamo. Da una parte, noi facciamo un'attività che dovrebbe implementare una società civile. Dall'altra, nel momento in cui dovessimo andare via, tutto ciò scomparirebbe.
  Io penso che sia implicita nella descrizione che ho ascoltato anche una scarsa capacità, o un'insufficiente capacità da parte delle forze armate e di sicurezza afgane di fronteggiare in autonomia il contesto di persistente conflitto, di persistente guerra guerreggiata che c’è su quel territorio. E questo a esito, nelle diverse varianti, dell'intervento internazionale di tredici anni grosso modo – non vorrei sbagliarmi – di missioni internazionali e a fronte di una presa d'atto del fatto che dopo tredici anni di intervento internazionale, di cooperazione internazionale e di tentativi di implementazione dei fattori di pace, la situazione non è ancora stabilizzata, ci viene proposta, quindi, la prosecuzione per un altro anno della missione. Mi pare che siamo di fronte al preannuncio, anche questo probabilmente implicito, di un'ulteriore richiesta di proroga di un altro anno per il prossimo, se questo è il quadro.
  A noi sfuggono – questa è una prima domanda; sarà veramente sintetica la considerazione che voglio fare – le regole d'ingaggio, ragion per cui gradiremmo conoscerle, per poter meglio valutare. Ci sfugge anche la ragione per la quale – potrà essere ingenua questa domanda – in questi 13 anni non si sia vista l'ombra di un tentativo di apertura di un processo di pace con il nemico che lì si combatte.
  Allora, dopo tredici anni di missione nelle diverse versioni, di cui l'attuale di addestramento e di protezione, se lo scenario è quello di un'infiltrazione di Daesh e di un potenziale tentativo di legame fra la galassia qaedista e Daesh, se l'esito è un incremento dell'80 per cento, come ci è stato detto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, del flusso migratorio verso l'Unione europea – si fugge evidentemente da una condizione di guerra – io mi chiedo se non valga la pena veramente di aprire una riflessione, oltre che di rispondere a una richiesta che ci fanno gli alleati, di prosecuzione della nostra presenza sul territorio. Mi chiedo, quindi, se non valga la pena di aprire un dibattito un po’ più ampio, che non sia compresso nel tempo di un'ora, o anche meno, come quello che si può sviluppare in questa sede.

  VINCENZO SANTANGELO. Ringrazio i Ministri per la loro relazione, ma devo, ahimè, nuovamente sottolineare – ormai è un'abitudine – come noi la riteniamo assolutamente insoddisfacente. I lavori di oggi avrebbero dovuto servire per comunicarci dei dati importanti e quali siano le motivazioni che hanno spinto il Governo a dichiarare di voler continuare in questa missione.
  Dati non ce ne sono, se non, signora Ministro Pinotti, uno, che è assolutamente sconfortante, ed è quello più importante che lei ha citato: 6.500 morti e 11 mila feriti. Mi vuole spiegare quali sono i fattori positivi della missione dell'Italia ? Dal punto di vista della programmazione, qual è la programmazione dell'Italia ?
  Lei non ci ha parlato assolutamente di quali sono le reali motivazioni. Se le motivazioni sono soltanto ed esclusivamente queste, quella che lei ci sta prospettando oggi è la prosecuzione senza un arco temporale ben definito di questa missione. Al di là dei costi spaventosi, per il momento storico che sta attraversando l'Italia è assolutamente insensato, immotivato e inconcepibile, dopo tredici anni continuare una missione di questo tenore.
  Lei ha buttato, all'inizio, un po’ di fumo negli occhi, perché anche i dati che riguardano l'alfabetizzazione del popolo afgano devono essere circostanziati in maniera Pag. 12precisa, signora Ministro. Nel momento in cui lei mi parla delle percentuali, io vorrei capire quali sono le percentuali di partenza rispetto ad oggi, quali erano all'inizio e quali sono stati i reali successi eventualmente avvenuti.
  Lei ha parlato anche di un festival del cinema organizzato per le donne afgane. È una cosa molto nobile, importantissima, fondamentale. Peccato che ci scordiamo in Italia qual è la situazione.
  In funzione di questo, signora Ministro, io sono qui a chiederle quando ritireremo il nostro contingente in Afghanistan. Rispetto alle motivazioni che lei oggi non ci ha detto, probabilmente l'unica reale è quella che gli Stati Uniti hanno deciso di continuare questa missione, e che l'Italia ha accettato supinamente e nuovamente rispetto una politica guidata dagli Stati Uniti, il che è assolutamente inaccettabile, signora Ministro. Gli spagnoli si sono ritirati. Mi vuole spiegare dove è stato scritto che l'Italia doveva sostituire il contingente spagnolo e perché l'ha fatto soltanto l'Italia, visto che non c’è soltanto l'Italia in quel posto ?
  Io ritengo che vada fatto un esame molto, molto approfondito. Sicuramente deve esserci una programmazione chiara, evidente, oltre la quale bisogna non andare. Qui si rischia realmente di far continuare questa missione un tempo infinito. Io non vorrei che alla fine si cercasse di creare magari una provincia italiana in Afghanistan, che ricordi vicende ben precise nella storia.
  Io vorrei che a tutte queste domande, signora Ministro, lei desse finalmente delle delucidazioni precise e chiare. È impossibile che lei venga a riferirci dei dati che sono precedenti. Lei viene a riferire dei dati che ha ricevuto attraverso un collegamento video con i nostri militari sul posto. Noi vogliamo sapere qual è la programmazione di questa missione, in maniera precisa, puntuale.
  Non aggiungo altro. Grazie.

  AUGUSTO MINZOLINI. Anch'io cercherò di essere breve e abbastanza chiaro. Su questi temi io credo che ciò sia fondamentale. Si può parlare anche in tanti. Credo che il tema possa richiedere un'attenzione.
  Io dico subito che sono d'accordo con l'idea di rimanere in Afghanistan. Non entro nel merito sul tipo di lavoro che è stato svolto, che probabilmente è encomiabile. Sono stato lì. Credo che a Herat si senta la presenza italiana. Lo dico, però, per un discorso ancora più generale.
  In primo luogo, l'esperienza dell'Iraq ci ha insegnato che molto spesso andare e tornarsene prima rischia di creare più problemi che non andarci per nulla. Questo è un dato essenziale, che credo la comunità internazionale debba mettersi in testa.
  In secondo luogo, noi stiamo parlando di un conflitto molto particolare, in cui c’è una discontinuità della linea del fronte. Noi abbiamo l'Afghanistan, la Somalia, la Siria, la Libia, ma si tratta dello stesso fronte, della stessa guerra. Un dato del genere che cosa ci porta ? Dobbiamo immaginare, da questo punto di vista, che lasciare l'Afghanistan rischi di aumentare la pressione in Siria o addirittura in Libia.
  C’è un punto che, secondo me, manca ed è un suggerimento che rivolgo al Governo. Noi siamo presenti in un'area che è molto distante da noi. Credo che siamo il secondo contingente, ormai, se non sbaglio. Dopo gli americani dovremmo esserci noi. I conti non me li sono fatti. Ci sono anche i turchi, ma comunque noi abbiamo lì una forza molto importante. Questo ci deve dare la forza, la capacità e la decisione di chiedere all'amministrazione americana di impegnarsi con maggiore attenzione su altri fronti.
  Questo è un dato essenziale. C’è un salto di qualità, al di là delle notizie che abbiamo nel fronte più vicino a noi. È inutile che ci nascondiamo dietro a un dito. Mi sembra che la vicenda dell'aereo russo sia abbastanza chiara. Indipendentemente dal tipo di inchieste che si stanno facendo, arriveremo poi alla fine ad avere una decisione chiara. Lì mi sembra molto evidente che ci sia la mano di qualcuno.Pag. 13
  In secondo luogo, la vicenda, purtroppo deprecabile, dell'inviato dell'ONU in Libia non credo non abbia ripercussioni. Probabilmente ne avrà.
  Questo significa che, in una fase di questo tipo, noi abbiamo bisogno di una maggiore attenzione della comunità internazionale in Siria e in Iraq, che io credo siano il focolaio fondamentale su cui bisogna intervenire con decisione, ma anche rispetto alla Libia. Diversamente, rischiamo di trovarci in una situazione in cui da quei piccoli passi in avanti che si sono fatti, con questa vicenda, si torni indietro e rimaniamo completamente scoperti.
  Grazie.

  CLAUDIO FAVA. Pongo due domande alla Ministra Pinotti e al Ministro Gentiloni, con una premessa. Non sfugge a nessuno che è cambiato il contesto e che di questi mutamenti occorre fare la dovuta considerazione, un'attenta valutazione per ogni scelta che ci accingiamo, noi e altri attori internazionali, ad assumere. Avrei bisogno, però, di due puntualizzazioni.
  La prima riguarda la funzione di questa nostra missione prorogata, che è destinata all'addestramento delle forze di polizia. La Ministra ci ha spiegato, e ne siamo lieti, che ci sono una rinascita e un fervore dell'attività culturale, con scuole e università che tornano a essere animate e molte donne che studiano all'università, cosa certamente positiva. Ci manca, però, la cognizione di un feedback di questo nostro obiettivo primario e prioritario, cioè l'addestramento. Cosa abbiamo ottenuto nel corso di questi mesi, con questo impegno ?
  La seconda domanda, per il Ministro Gentiloni, riguarda invece la nostra relazione e condivisione delle tappe e dei momenti delle decisioni con l'amministrazione degli Stati Uniti d'America. Il 15 ottobre Obama fa sapere che intende prorogare questa missione e che il ritiro non è previsto per il 2016. Il 17 ottobre il Presidente del Consiglio Renzi dice: «restiamo». La domanda è semplice, Ministro: l'avete appreso dai giornali e avete deciso di affiancarvi in questa scelta all'amministrazione degli Stati Uniti o no ?
  È una domanda che ha una sua ragione: il 7 ottobre il Segretario della difesa Carter è venuto in Italia e ha incontrato il Ministro Pinotti e i rappresentanti di questo Governo, ma da quello che abbiamo letto sui giornali nulla ci è stato e vi è stato detto dell'intenzione, maturata dopo sette giorni, di prorogare questa missione. Ci sembra improbabile che il Segretario di Stato una settimana prima non sapesse che questa decisione stava per maturare. Penso infatti che, per quanto decisionista possa essere l'amministrazione Obama, un minimo di condivisione all'interno della squadra di Governo ci sia stata. Quindi, il 7 ottobre nulla vi è stato detto e il 15 l'apprendete. Vorrei una conferma se questo è stato il timing, perché una riflessione sulla qualità e sulla bilateralità delle relazioni e del flusso di informazioni tra noi e l'amministrazione americana forse andrebbe fatta.
  Grazie.

  PIA ELDA LOCATELLI. Il collega Artini si interrogava sul fatto che noi, a febbraio 2015 pensavamo di concludere il lavoro e che, invece, non l'abbiamo concluso. La risposta è che è veramente cambiato il contesto dell'Afghanistan, purtroppo. Secondo me, inevitabilmente siamo chiamati a rimanere. Ci piacerebbe non dover rimanere, ma non per sfuggire dalla situazione. Speravamo di stabilizzare, ma si è rinnovato il contesto.
  Ci sono due ragioni. Una è quella di Daesh, che si diffonde. Di conseguenza, io dico, è aumentato il flusso migratorio verso l'Europa. La prima ragione è all'origine di questo aumento dei flussi migratori. Noi non possiamo dimenticare che il contesto internazionale, purtroppo, evolve in continuazione e che questa diffusione di Daesh, che rende unico, come diceva il collega Minzolini, il nemico, non ci può che far rimanere in Afghanistan o allargare forse altre presenze. Ci piace ? No, ma abbiamo delle responsabilità internazionali Pag. 14e gli impegni contro i fondamentalismi sono impegni che dobbiamo assumerci, come Paese.
  Io credo, quindi, che dobbiamo continuare. Eravamo stati chiamati per la transizione non solo come Resolute Support, ma anche nella missione EUPOL Afghanistan dell'Unione europea. Queste missioni devono andare avanti. Il problema è se dobbiamo dare una specializzazione diversa alla nostra presenza. Noi siamo andati con impegni di formazione, di consulenza e di assistenza, ma forse sono significativi proprio i dati che lei, Ministra Pinotti, ci ha raccontato di queste centinaia di morti, che lei ha letto anche in termini positivi. Nessuno ha lasciato il proprio contingente, certo, ma io vedo la negatività di queste morti. Questo vuol dire che forse l'azione di addestramento deve essere approfondita e ulteriormente specializzata. Noi dobbiamo essere sempre consapevoli del modello italiano delle missioni internazionali, che ha questa parte più «militare», ma anche questa mescolanza con gli aspetti civili di ricostruzione di un Paese che, dal nostro punto di vista, hanno un'importanza fondamentale.
  Tutta la parte che riguarda il lavoro sulle donne ci rende davvero specialissimi nel mondo. Noi qui, in questa Camera, abbiamo un gruppo di contatto, coordinato dalla Vicepresidente Sereni, tra donne parlamentari italiane e donne parlamentari afgane per un lavoro di formazione, assistenza, consulenza e scambi. Vorrei soprattutto mettere in risalto il tema dell'educazione e della scolarizzazione delle donne. Noi abbiamo detto che il 40 per cento delle donne frequenta l'università, ma il 40 per cento dei frequentanti e delle frequentanti l'università significa 6 mila donne in tutto l'Afghanistan, mentre ci sono 30 milioni di abitanti in Afghanistan. Vuol dire che questo lavoro è davvero appena agli inizi, perché il contesto è difficilissimo. È difficilissimo per mille ragioni, antropologiche, sociologiche, storiche, culturali e di presenza di questa nuova minaccia di Daesh, che davvero ha un aspetto di misoginia fortissima e che rischia di compromettere quel po’ di lavoro che noi abbiamo fatto, e abbastanza bene. Per i diritti delle donne nulla è mai conquistato per sempre, a maggior ragione in questo contesto. Ci piacerebbe, quindi, poter dire che non abbiamo più bisogno di rimanere lì, ma – ahimè – dobbiamo rimanere, e temo che un anno non basterà.

  GIAN PIERO SCANU. Prendo spunto dall'ultima affermazione che ha fatto la collega, magari togliendo, per quanto mi riguarda, dall'ultima affermazione le ultime parole, perché spero vivamente, come lo speriamo tutti, che un anno possa bastare.
  Ho modificato un paio di volte il tenore della domanda che intendevo porre ai signori Ministri. Tenendo conto del fatto che siamo in Parlamento a tutti gli effetti, ancorché riuniti in Commissioni tra Camera e Senato, probabilmente, almeno nelle mie intenzioni potrebbe essere opportuna – secondo me, necessaria – un'osservazione che vorrebbe anche essere una raccomandazione.
  Io mi ritrovo molto nell'intervento che ha svolto il collega Minzolini – probabilmente questo può significare che la scelta bolognese, sto scherzando, andrebbe rivisitata – perché ho trovato un equilibrio istituzionale estremamente interessante.
  Signori Ministri, noi ci accingiamo a votare questo provvedimento, che poi troveremo nel decreto-legge sulla proroga delle missioni, con convinzione. Io ritengo che nessuno di noi possa avere la pretesa di sentire il peso di questa decisione soltanto un po’ più di quanto non lo sente il Governo e, in maniera particolare, voi. Il peso della carica e dell'incarico, come in questi casi, è tale da costituire consapevolmente l'esercizio di una titolarità e di una responsabilità che talvolta sconfinano persino in qualcosa di metafisico. Non c’è alcun insegnamento di tipo etico e di tipo morale da porre all'attenzione del Governo. Anch'io credo che questa sia una scelta necessitata e che questa scelta, con senso di responsabilità, vada fatta.
  In che cosa consiste l'osservazione, per la quale ho condiviso l'impostazione del Pag. 15senatore Minzolini ? Io penso che il Governo nei prossimi giorni – stasera non l'ha fatto per questioni di tempo; tutte le spiegazioni, o chiamiamole anche giustificazioni ci stanno – non debba, ma possa sforzarsi di esplicitare al Parlamento e a tutta l'opinione pubblica, sia quella nazionale sia quella internazionale, il peso, la sofferenza di una decisione di questo tipo, in maniera tale che si colga l'urgenza che davvero questo conflitto possa finire, che davvero i militari possano tornare a casa e si colga anche ciò che nella realtà esiste, cioè l'altissima capacità di interlocuzione del nostro Governo con quelli che siedono alla NATO e con il Governo americano, acciocché si allontani l'idea che basta una comunicazione perché noi ci allineiamo.
  Questo non è, non è mai stato, e sono sicuro che non sarà, ma mi pare che sia importante, insieme a tutte le altre preoccupazioni legate alla cooperazione e all'addestramento, richiamare questi concetti e ricordare al mondo intero che l'invasione dell'Iraq fu un tragico errore. Occorre ricordare al mondo intero – mi verrebbe da dire a ogni piè sospinto – che l'incontinenza bellicistica dei francesi ci è costata quello che ci è costata nella Libia e che i delegati che vanno a trattare andrebbero scelti anche in base alla loro attitudine a non esporsi a forme di corruzione. Occorre ricordare anche che questa parte così delicata, tragicamente delicata, che la politica deve affrontare viene affrontata e governata senza alcuna forma né di cinismo, né di superficialità.
  Io credo che questo sarebbe, dal punto di vista politico, un messaggio pedagogico estremamente importante.

  MAURIZIO GASPARRI. Io avevo chiesto, nei giorni scorsi, un'audizione dei Ministri, ma poi c’è stata, venerdì, la notizia di questo incontro. Mi ero rivolto al presidente della Commissione difesa del Senato, il senatore Latorre – che non vedo – perché noi ritenevamo, come Gruppo, che fosse necessario discutere di una serie di questioni.
  Sulla questione afgana soltanto la superficialità delle valutazioni degli Stati Uniti poteva fare immaginare che l'intervento si potesse esaurire. Purtroppo, è da qualche secolo che c’è una situazione instabile in Afghanistan. Auguriamoci che, quando finirà l'intervento, ci sia una stabilità democratica, ma la data che era stata indicata era una data irrealistica e, difatti, tale si è rivelata. Solo valutazioni superficiali – che devo dire, per la verità, non dipendevano dall'Italia, ma dall'amministrazione Obama – avevano fatto immaginare scenari che poi la realtà ha reso appunto irreali. È ovvio, quindi, che bisogna rimanere lì, starci e fare una serie di cose, quali quelle che ci sono state dette, nell'auspicio che prima o poi l'Afghanistan trovi una sua stabilità. Questo, peraltro, in un quadro in cui il contesto è peggiorato. Lo Stato islamico – io lo chiamo così, non penso che dire Daesh risolva la crisi internazionale, non mi presto a questa guerra delle parole al contrario – ha peggiorato il quadro della situazione.
  Colgo l'occasione – sarò rapidissimo – per dire che noi vorremmo un'audizione per capire che cosa accade in generale. Qui io ho sentito parlare del festival cinematografico in Afghanistan, che è una cosa positiva, ma leggo sul Corriere della Sera l'ipotesi di bombardamenti in Siria. È una questione che ha aleggia nell'aria. Il nostro Gruppo ritiene che, ahimè, sia anche inevitabile una situazione di altra natura. Ci sono i russi che intervengono, cui hanno fatto scoppiare lo scandalo del doping. È la scoperta dell'America: gli atleti si dopano da decenni, ma lo scandalo è scoppiato oggi probabilmente perché i russi che intervengono danno fastidio a qualcuno.
  Dunque, noi chiediamo – colgo l'occasione per farlo – di venirci a riferire su una serie di questioni: che succede rispetto allo Stato islamico, considerata l'intervista che il Ministro Pinotti, giorni fa, ha rilasciato al Corriere della Sera; e che succede nella vicenda del decreto-legge sulla proroga delle missioni internazionali, l'EUNAVFOR MED, visto che Bernardino León, che il Ministro Gentiloni ci ha illustrato come un grande stratega, si è sistemato negli Emirati a 50 mila dollari al mese. Pag. 16Beato lui, ma ci ha lasciato in braghe di tela. In Libia la terza fase di EUNAVFOR MED era legata alla richiesta delle autorità libiche, che tutti vorremmo unite. Purtroppo, invece, si sono fatti passi indietro. L'unico che ha fatto un passo avanti è Bernardino León, che non era Metternich – mi era venuto il sospetto – ma è uno abile. Auguri a lui di lunga vita e di lunghi guadagni, ma noi siamo in una situazione in cui l'Italia si deve assumere delle responsabilità perché Bernardino si è sistemato. Noi che facciamo ?
  Questo tema è connesso al decreto missioni internazionali, in cui c’è la vicenda, che anche noi abbiamo votato, con l'impegno che poi si dovesse contrastare il traffico di persone. Questo era connesso anche a un epilogo che, ahimè, non c’è stato.
  Concludo dicendo che noi vorremmo un'audizione su tutti questi temi, non dimenticando anche la vicenda di Girone, della quale vediamo sempre auspici e auguri, ma sulla quale non abbiamo ancora capito che succederà. Anche qui l'opposizione – o almeno il nostro Gruppo – si è attenuta a un atteggiamento costruttivo e responsabile del non guastare il quadro, ma il quadro c’è. Ci chiediamo: la statua l'abbiamo vista a Torino, il quadro ancora no. Vi aspettiamo, spero – mi rivolgo ai presidenti di Commissione – rapidamente, per parlare di tutte queste cose.

  LORENZO BATTISTA. Riprendendo anche quanto colleghi che mi hanno preceduto hanno detto, mi sembra che anche i numeri delle perdite delle forze afgane parlino da soli. Poiché io penso che tutti i militari che sono lì con scopi addestrativi facciano il meglio, il che è riconosciuto a livello internazionale, ci siamo ritrovati in un contesto in cui diamo troppo credito all'esercito afgano. Mi sembra che le perdite, come detto, parlino da sole. Mi domando, quindi, se questo assetto limitato alle funzioni addestrative sia adeguato oppure se dobbiamo rivederlo. Forse un maggiore coinvolgimento delle nostre forze – poiché le dobbiamo mantenere in Afghanistan – potremmo iniziare a rivederlo, altrimenti non riesco a capire se dobbiamo continuare a vedere effettivamente perdite a tre zeri da parte delle forze afgane.
  In tale quadro, ho più volte sollecitato di provare a sentire i vertici militari impegnati in questo contesto per avere contezza di quale sia effettivamente lo scenario operativo in queste zone. In un incontro che ho avuto con l'Assemblea della NATO un generale mi ha detto che bisogna capire che il bisogno primario degli afgani non è l'alfabetizzazione, è la religione. Loro mi hanno detto che si ottiene molto di più, a livello di cooperazione, costruendo un lavapiedi davanti alle moschee. Non so se anche noi dobbiamo iniziare a cambiare il nostro atteggiamento. Effettivamente sono tutti dati meritevoli che le donne partecipino alla vita sociale e che diamo una mano a costruire le strade, ma il bisogno primario di quel popolo mi sembra sia effettivamente la religione. Non so se noi siamo in grado di fare questo cambio di mentalità.
  Inoltre, allargando un po’ il discorso al ruolo che abbiamo noi all'interno di una missione internazionale – mi riferisco alla NATO – io vorrei sapere, anche qui, se riusciamo ad avere un rapporto diretto con i nostri principali alleati, che sono gli statunitensi. Mi riferisco alla tragedia – perché la definisco una tragedia – avvenuta all'ospedale di Medici senza frontiere a Kunduz. Vorrei sapere se c’è l'esito di un'indagine di una commissione che mi sembra la NATO abbia il dovere di fare, se c’è un'indagine in corso, quali sono gli sviluppi, se si potranno definire quali sono state le responsabilità e come si sono svolti gli eventi, perché è giusto che all'interno di un'alleanza questa cosa sia esplicitata in maniera inequivocabile.
  Grazie.

  FABRIZIO CICCHITTO, Presidente della III Commissione. Io non vorrei darvi un «bacio della morte», ma devo dire che sono d'accordo con tutta la parte iniziale dell'intervento del senatore Minzolini. Qui bisogna che ci intendiamo. Lo dico anche Pag. 17rispetto ad altri interventi, per esempio all'intervento dell'onorevole Scanu. Chi è la nostra controparte ? Chi è il nostro interlocutore negativo ? Non credo che siano gli Stati Uniti o altri Paesi. Il nostro interlocutore negativo sono i talebani, l'ISIS e tutte quelle forze che, in vari comparti, collegati a sé o anche col sistema «del franchising», conducono una lotta armata rispetto alla quale c’è l'esigenza di una solidarietà internazionale fatta, per carità, con la massima capacità di autonomia di giudizio rispetto ai nostri alleati tradizionali e a chi sta nel campo.
  Sul campo in Afghanistan noi ci stiamo in una dimensione che è la dimensione che abbiamo sentito descrivere qui: non spariamo un colpo di fucile e facciamo un lavoro assolutamente prezioso, che, a mio avviso, non va ritirato in una situazione di estrema difficoltà.
  Per dirci alcune cose brevissime in termini non diplomatici, non c’è dubbio che l'analisi critica vada fatta in due direzioni. Una è la direzione di Obama, che, a mio avviso, ha detto sull'Iraq e sull'Afghanistan, delle cose sbagliate. Volendo portare a compimento un programma più ideologico che non politico, che era quello del ritiro, non si è misurato con il nodo del fatto che i suoi avversari, i suoi nemici non si ritiravano affatto: accentuavano lo scontro e che, quindi, ritirarsi, sia in Iraq sia in Afghanistan, significava vanificare tutto ciò che gli Stati Uniti e gli altri Paesi avevano fatto e i morti che c'erano stati, e così via. Questa è una questione rispetto alla quale noi ci muoviamo con grande senso di responsabilità, ma non diciamo che rimaniamo in Afghanistan perché siamo servi degli Stati Uniti. Rimaniamo in Afghanistan per le ragioni strategiche che sono state esposte dai Ministri e che sono state ribadite, con la capacità giornalistica che gli riconosciamo, dal senatore Minzolini. Questo è il contesto.
  Dopodiché – lo dico al senatore Gasparri – questo non va messo in conto a noi, ma richiede una nostra presa di posizione su tutti i lati e sulle insufficienze dell'ONU. Io vorrei dire al senatore Gasparri una cosa più profonda. Io non ho mai condiviso l'atteggiamento del Segretario generale dell'ONU che ha contestato la nostra possibilità di svolgere un ruolo di commissario, per cui abbiamo questo bel gioco: noi non possiamo svolgere il ruolo di commissario perché abbiamo alle nostre spalle un passato coloniale. In quest'aula ci sono persone che conoscono più di me e che parlano più di me con i libici e anche con i somali, molta parte dei quali, peraltro, ha come seconda lingua non l'inglese, ma l'italiano, a testimonianza del fatto che certamente noi abbiamo un passato coloniale e abbiamo combinato anche cose negative, ma che i libici hanno un rapporto con noi; non ci vivono come dei colonialisti, ma come della gente con cui c’è il massimo di rapporto. Allora, io non ho mai capito perché noi accettiamo una dottrina, quella dell'ONU, per cui noi non possiamo avere un ruolo di commissario perché abbiamo il passato coloniale, ma, casomai, possiamo guidare una missione, non militare, ma che ha dei delicati aspetti, su un terreno più militare. Quello lo possiamo fare, la prima cosa no.
  Questa situazione, secondo me, non è responsabilità del Governo italiano, ma non va accettata dal Governo italiano, perché i guasti di questo modo di fare li abbiamo. Bernardino León ci lascia un retaggio e un'eredità estremamente negativi, perché anche le cose giuste che lui può avere definito, e che, in modo sbagliato, venivano contestate sia da Tobruk sia da Tripoli, adesso hanno una carta molto forte. È certamente assolutamente negativo – e questo il Governo italiano dovrebbe farlo presente – il fatto che un signore che per un anno e mezzo ci ha sempre spiegato che eravamo alla vigilia di intese e di accordi nel frattempo avesse una trattativa con una parte indirettamente in causa.
  Concludo dicendo che io approvo totalmente le relazioni che sono state fatte dai Ministri, e che noi ci muoviamo in un contesto – se vogliamo fare una discussione di carattere generale di politica estera, benissimo, facciamola – drammatico Pag. 18e difficile. Non a caso, un Papa ha detto che stiamo vivendo una terza guerra mondiale a pezzettini. È una situazione assurda assolutamente drammatica. In questa situazione assolutamente drammatica si giustifica benissimo la nostra permanenza nel quadro nel modo con cui lo facciamo in Afghanistan, con i nostri 800 militari.

  PRESIDENTE. Do la parola ai Ministri per la replica. Dovrà essere breve, anzi brevissima, a questo punto, perché, purtroppo, alle 15 siamo in Aula con votazioni.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Dico tre cose. Io sono d'accordo con tutti i colleghi che segnalano le difficoltà e la fragilità della situazione afgana. Non credo che in Parlamento dobbiamo nasconderci dietro un dito: l'Afghanistan è retto da un Governo di unità nazionale costituito da quello che è arrivato primo e da quello che è arrivato secondo alle elezioni, uno con il ruolo di presidente e l'altro di Chief Executive Officer, bizzarra definizione. Vanno in giro sempre in coppia per rappresentare questo sforzo unitario.
  È la prima volta – l'anno che abbiamo alle spalle – in cui essi affrontano da soli, solo con il sostegno della coalizione internazionale, che ha un quindicesimo delle forze che aveva 8-9 anni fa, la sfida dei talebani, con le conseguenze di cui parlava il Ministro della difesa, ma la situazione per ora ha sostanzialmente tenuto. Si tratta di una scommessa. La situazione è fragile, ma continuare a fornire sostegno e addestramento credo sia l'unica alternativa che abbiamo davanti, anche perché, come abbiamo cercato di dire, questo non riguarda solo la fine della vicenda afgana, ma anche i nostri interessi nazionali.
  In secondo luogo, sono esclusi i negoziati ? Non sono esclusi i negoziati. Dipendono molto, nel contesto afgano, dalle relazioni tra Afghanistan e Pakistan. L'accompagnamento di relazioni positive tra Afghanistan e Pakistan è l'unica base sulla quale una forma di negoziato, che prima o poi è indispensabile per la stabilizzazione, può andare avanti.
  In terzo luogo, infine, certamente dobbiamo metterci d'accordo: chiediamo agli Stati Uniti oppure siamo burattini degli Stati Uniti ? Io penso che la realtà sia un po’ più sfumata di entrambe le rappresentazioni. Penso che sia giusto che ci sia un impegno massimo degli Stati Uniti nelle diverse crisi dell'area, il che mi pare, soprattutto nell'ultima fase, sia piuttosto evidente, e che l'Italia debba fare la sua parte. La stiamo facendo in Siria e in Iraq. Siamo tra le quattro nazioni cruciali in Afghanistan, siamo tra i quattro Paesi europei che partecipano al processo negoziale avviato a Vienna, che avrà un'altra tappa sabato, sempre a Vienna, sulla Siria, e siamo tra i Paesi determinanti nella vicenda libica. Io penso che certamente abbia ragione Minzolini quando dice che occorre più impegno da parte di tutti, da parte nostra e da parte degli Stati Uniti. Non c’è dubbio.
  Alla domanda dell'onorevole Fava penso che si debba rispondere che noi sapevamo da tempo che c'era questo dibattito. L'aveva detto anche il Generale Campbell al Congresso, esplicitamente. Dopodiché la decisione formale il Presidente Obama l'ha presa probabilmente anche dopo la vicenda di Kunduz a metà ottobre.

  ROBERTA PINOTTI, Ministra della difesa. Devo contenere la mia replica in pochissimi minuti.
  Molti interventi hanno rilevato il contesto cambiato. Io penso che questo sia il punto di partenza non solo delle nostre relazioni, ma anche della motivazione per cui oggi siamo qui a dire queste cose.
  È vero, io ho detto, e ribadisco, che penso che in futuro noi dovremo concentrarci soprattutto sulle aree di riferimento. L'ho detto, l'ho scritto nel Libro bianco e ne sono convinta. Su questo abbiamo cominciato un lavoro nel 2001 e poi nelle missioni successive. Il tema quindi non è: oggi non stiamo a decidere se ci impegniamo in Afghanistan oppure no. Il tema Pag. 19è: decidiamo se concludiamo un lavoro importante, nel quale noi, come nazione, in tempi precedenti, avevamo deciso di essere framework nation, ossia una nazione fondamentale per quell'area.
  Anche su questo concordo con quanto detto dal Ministro Gentiloni. Quando è venuto il Segretario di Stato Carter, ovviamente mi ha detto che era in movimento questa discussione, ma che non era ancora avvenuta la decisione. Ne abbiamo parlato. Mi ha detto che se ne stava discutendo. Ricordo che erano gli Stati Uniti che avevano deciso che la missione finisse nel 2015 e che dal punto di vista dei militari italiani c'erano alcune perplessità rispetto non solo all'annuncio di una data di conclusione, ma anche al fatto che la conclusione potesse essere così determinata. È difficile dare un confine. Il confine si dà nel momento in cui si crede che gli elementi di sicurezza ci siano.
  Anche in questo caso quindi non è stata una richiesta. Era giusto che chi aveva fatto la previsione di andare via nel 2015 dicesse che forse quella previsione non teneva conto del contesto cambiato e di alcune situazioni. Non eravamo stati noi a stabilire una data eventualmente sbagliata per dire quando potesse essere conclusa la missione. È anche ovvio che, in ogni caso, in un contesto di quel tipo, l'Italia non potrebbe rimanere da sola, perché ci sono elementi di sicurezza generale che sono garantiti dalla coalizione generale e dalla presenza degli Stati Uniti. C’è anche da tenere presente questo.
  Gli spagnoli ad Herat facevano parte del nostro contingente. A quel punto, era ovvio che, andando via loro, se non volevamo lasciare i nostri uomini all'aeroporto in mancanza di sicurezza, dovevamo integrare il nostro contingente. È successa la stessa cosa per i tedeschi, che hanno integrato i danesi. Non siamo gli unici ad avere risposto, ma per una zona che era di nostra responsabilità, su cui gli spagnoli collaboravano.
  Le regole di ingaggio sono di autodifesa. Non cambiano. Resolute Support è una missione di addestramento e le regole di ingaggio sono esclusivamente di autodifesa.
  Cosa è cambiato, si chiedevano l'onorevole Locatelli e anche l'onorevole Santangelo. I dati che ho fornito sulle scuole erano per ricordarvi che, quando erano arrivati i talebani, le ragazze a scuola non andavano. Non ha senso chiedere qual è la percentuale di aumento. Prima era zero. I dati che vi ho fornito partivano da zero per quello che riguarda le ragazze.
  Il numero delle scuole riguarda la provincia di Herat, che è un po’ più grande della provincia di Firenze, con tutto il rispetto per Firenze. Sono dati che mi sono stati forniti da chi è in loco. Non me li sono sognati questa notte e sono venuta a darli in Commissione.
  È sufficiente l'addestramento ? Io vorrei ricordarvi una cosa: stiamo parlando dell'Afghanistan. Volete guardare ogni giorno quanti sono i morti a Baghdad, per esempio ? Perché dico questo ? Nel punto massimo dei contingenti stranieri abbiamo avuto fino a 150 mila militari stranieri in Afghanistan, che, sommati agli afgani, volevano dire circa 320 mila uomini in armi che combattevano i talebani. Oggi stiamo parlando di 200 mila afgani, e sono solo loro che combattono.
  Sono tanti i morti ? Certo che sono tanti. Non volevo dare una connotazione positiva. Volevo dire che stanno combattendo per la loro libertà e per la loro sicurezza. Non si trattava certo di nominare positivamente il fatto che ci siano tanti morti. Dobbiamo ragionare, però, su quel contesto, su quali erano i numeri prima, su quali forze, addestramento e strumenti avevano questi contingenti e sul fatto che adesso è tutto in mano agli afgani.
  Comunque quello che ho raccontato su Herat, compresa la questione del festival di cinematografia femminile, era per dare l'idea che quella condizione a Herat la tengono oggi gli afgani, non la tengono i contingenti stranieri. Noi facciamo addestramento. Che cosa andremo a fare ? Andiamo ad addestrare quelli che ancora oggi sono necessari.Pag. 20
  L'ultima cosa che volevo dire era riferita all'Iraq e alla Siria. Noi siamo in Iraq, non in Siria, come, forse considerando che ci sono legami fra le due situazioni, ha detto il senatore Gasparri. Siamo in Iraq. Ovviamente, siamo disponibili a riparlarne quando volete, ma quanto detto al Corriere della Sera non era nulla di diverso da ciò che abbiamo discusso nell'ultima audizione al Senato. Noi non partecipiamo in questo momento all'attività cinetica. L'abbiamo fatto in passato, in altre situazioni e non è detto che non lo rifaremo in futuro. Ad oggi, però, ed era questo che si voleva ribadire, non è che l'Italia è assente in questo contesto, perché siamo presenti – lo state discutendo nel decreto sulla proroga delle missioni internazionali – con circa 750 militari, fra aeronautica e addestratori, che è un numero molto significativo.
  L'Italia anche per questo fa la sua parte. Condivido quanto hanno detto alcuni intervenuti, compreso il senatore Minzolini: certamente noi dobbiamo chiedere agli alleati di avere la stessa attenzione che noi abbiamo per i problemi generali anche per i problemi più specificamente connessi alla nostra sicurezza.

  PRESIDENTE. Siamo stati quasi puntuali. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro concluse le comunicazioni del Governo.

  La seduta termina alle 15.