XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 134 di Giovedì 23 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali, Gianclaudio Bressa, sui principi del federalismo fiscale e l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (Svolgimento, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 5 
De Menech Roger (PD)  ... 6 
Marantelli Daniele (PD)  ... 8 
D'Incà Federico (M5S)  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali, Gianclaudio Bressa, sui principi del federalismo fiscale e l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali, Gianclaudio Bressa, sui principi del federalismo fiscale e l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  L'audizione di oggi arriva al termine del ciclo di audizioni dei tre «governatori» che hanno attivato la procedura dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione: Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.
  Credo che il Sottosegretario Bressa, che è incaricato dal Governo a seguire la partita, ci potrà illustrare lo stato dell'arte.
  Nel ringraziarlo per la disponibilità dimostrata, cedo quindi la parola al Sottosegretario Bressa per lo svolgimento della relazione.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali. Grazie, presidente.
  Innanzitutto devo mettere preliminarmente in chiaro una cosa: ci troviamo nella prima fase dell'attuazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, che prevede che si discuta di competenze, funzioni e di maggiori condizioni di autonomia. Il focus della discussione è su questo tema e la partita delle risorse sarà conseguente a questo tipo di ragionamento, per un fatto semplicissimo: quando si parla di trasferire delle materie, noi indichiamo dei campi aperti di attività.
  Faccio un esempio per spiegarmi meglio: se viene chiesto, da una delle regioni, di poter avere maggiore autonomia nel campo dell'istruzione, bisogna arrivare a capire che cosa si ha in mente; infatti, l'istruzione può significare il trattamento economico degli insegnanti, l'organizzazione delle scuole, il numero minimo di alunni per classe o il numero di sedi scolastiche in rapporto agli abitanti, quindi sono talmente varie le questioni da portare a soluzioni drasticamente diverse.
  Il dato dal quale partire è: lo Stato attribuisce alla regione che ne fa richiesta le funzioni che le erano proprie e, sulla base delle risorse date, la regione deve dimostrare di essere in grado di gestire in maniera più congrua, più razionale e più efficace quella funzione particolare. Dicendolo in un'unica espressione: il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione è una sfida all'efficienza e all'efficacia dell'azione amministrativa e, quindi, politica delle singole regioni. Il lavoro deve essere, quindi, definito per fasi.
  C'è una seconda questione che vorrei sottoporre alla vostra attenzione: le materie che possono essere messe in gioco sono 23, ossia le 20 materie previste dal terzo comma dell'articolo 117 e le tre materie del secondo Pag. 3comma dell'articolo 117, così come previsto dall'articolo 116 della Costituzione.
  Anche su questa questione, c'è da fare un ragionamento: l'ipotesi che venga fatta la richiesta per tutte le materie è teoricamente possibile, ma praticamente impraticabile. Innanzitutto, si verrebbe meno a un ragionamento alla base della scrittura del terzo comma dell'articolo 116, che voleva definire una realtà che non fosse una regione a statuto speciale definita in Costituzione e che non fosse una delle quindici regioni a statuto ordinario, ma un livello intermedio, per cui le regioni a statuto ordinario, sulla base di quelle che sono le proprie esigenze, le proprie caratteristiche e la propria volontà, possono accrescere la propria competenza e la propria autonomia, sulla base di valutazioni che riguardano temi definiti e scelti dalle stesse singole regioni. Non dobbiamo dimenticare che tutto questo procedimento avviene su iniziativa della regione e si conclude con una legge approvata dal Parlamento, dopo che c'è stata l'intesa tra il Governo statale e quello regionale interessati alla trattativa.
  Ci troviamo di fronte, quindi, a un procedimento complesso, che non era mai stato attivato. Dal 2001 era già possibile intraprendere questo percorso, ma, in questi sedici anni, c'è stato solo un tentativo da parte della regione Toscana relativamente al tema dei beni culturali, che non ha mai avuto uno sviluppo compiuto. La partita che si gioca è estremamente delicata e importante e la definizione del modello procedurale non è stata semplice.
  Fondamentalmente siamo arrivati alle seguenti conclusioni, che stiamo attuando. Ci siamo mossi sulla base dell'attivazione di due regioni. L'Emilia-Romagna ha approvato una risoluzione in cui definisce e, in qualche modo, circoscrive e delimita, anche con un livello di definizione molto accurato per alcuni aspetti, le funzioni che richiede allo Stato di poter esercitare in proprio. La regione Lombardia, invece, ha adottato un provvedimento consiliare o, comunque, un atto di indirizzo in cui il consiglio regionale dà incarico al presidente della giunta regionale di avviare la trattativa relativamente a tutte le 23 materie, per arrivare alla definizione di un pacchetto preciso di materie.
  A tal proposito, veniamo ad un'altra questione: discutere di tutte le 23 materie significa discutere di nessuna materia perché, come dicevo, la complessità della definizione di ciò che deve essere fatto per poter dare attuazione al terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione è elevatissima. Dobbiamo essere in grado di valutare qual è il costo dello Stato per singola regione per quella determinata funzione, ma la procedura non è semplicissima.
  Qualche giorno fa abbiamo avuto un incontro con la Ragioneria generale dello Stato, che presentava il suo studio sulla regionalizzazione della spesa statale. Quello studio dà un quadro d'insieme, per cui si riesce a capire la differenza degli interventi che ci sono in Liguria rispetto a quelli nelle Marche, ma non si ha ancora la definizione puntuale di quale sia la spesa, per esempio, per istruzione o per ambiente, divisa per regione, anche se è un'operazione che deve essere fatta.
  Compiuta quest'operazione, si tratta di definire quali siano le materie, le sottomaterie e le attività che l'amministrazione centrale è d'accordo di trasferire alla regione, sulla base della richiesta della stessa. Prendiamo il caso del settore dell'ambiente, che comporta uno spettro larghissimo di interventi. In quel caso, dobbiamo stabilire di cosa stiamo parlando, cioè se stiamo parlando della valutazione di impatto ambientale o dei piani paesaggistici o dell'inquinamento o del disinquinamento oppure dei livelli di inquinamento atmosferico delle acque.
  Poi, ad esempio, se vogliamo parlare di istruzione, dobbiamo capire di cosa stiamo parlando, cioè se stiamo discutendo del trattamento economico degli insegnanti o dell'organizzazione del sistema scolastico o del numero minimo di alunni per classe o del numero di classi per la scuola, perché ci sono talmente tante cose che c'è bisogno di definire esattamente qual è il punto di scambio tra competenza statale e richiesta di competenza regionale.
  Si tratta di un lavoro che abbiamo avviato, confrontandoci preliminarmente con le regioni, le quali hanno progressivamente Pag. 4definito quali erano le materie di principale interesse. Completeremo questo lavoro nel giro di pochi giorni perché, martedì prossimo, con le amministrazioni dello Stato ci incontreremo per enucleare un primo pacchetto di materie oggetto della prima fase di questa trattativa.
  Sono convinto che, se vogliamo che la cosa abbia un senso e un'efficacia, si devono selezionare accuratamente le materie, per concentrarsi su quelle e considerare questo primo elenco di materie come il primo passo del processo, senza avere la fretta di voler fare tutto subito. Fare tutto subito significherebbe, molto probabilmente, correre il rischio di fare tutto male, quindi è preferibile cominciare con un gruppo definito di tre, quattro o cinque materie, a seconda della complessità, per arrivare a una trattativa, preliminarmente a livello interministeriale e poi a livello bilaterale, con le regioni interessate.
  È ovvio che la materia potrebbe essere la stessa per Emilia-Romagna e Lombardia, mentre aspettiamo di vedere che cosa succederà con il Veneto, su cui apro e chiudo una parentesi. Oggi, avrebbe dovuto tenersi il primo incontro con il presidente della regione Veneto Zaia, ma, purtroppo, il principale consulente e assistente del presidente Zaia, il professore Carlo Buratti, è scomparso ieri pomeriggio in maniera del tutto inaspettata per un infarto, quindi il presidente Zaia mi ha chiesto, per ovvi motivi, di rinviare l'incontro. Pertanto, l'incontro con la regione Veneto ci sarà la settimana prossima.
  La procedura prevede che ci sia una serie di incontri con le singole regioni per arrivare a definire insieme quali siano le materie che si vogliono approfondire e cominciare la discussione. Si tratta di una fase che per Lombardia ed Emilia-Romagna è già aperta. Queste due regioni hanno presentato un pacchetto di cinque o sei materie e tra queste, ne valuteremo tre o quattro su cui discutere.
  L'obiettivo è quello di riuscire a concludere questa prima fase, quindi un primo accordo, entro la fine dell'anno o i primi giorni del mese di gennaio, in modo tale da poter siglare un accordo, che sarà alla base dell'intesa affidata, a questo punto, al prossimo Parlamento perché, come sapete, l'intesa deve essere approvata con il voto del Parlamento a maggioranza assoluta.
  C'è un'altra cosa che deve essere chiarita e che è stata spesso oggetto di quesiti: l'ipotesi di intesa tra la regione Lombardia e il Governo, tra la regione Emilia-Romagna e il Governo e tra la regione Veneto e il Governo giunge all'esame al Parlamento e il Parlamento può approvarla o respingerla. Come per le intese religiose, anche per questa procedura il Parlamento può dire «sì» o «no», cioè non è possibile approvare emendamenti con cui modifichi l'intesa perché, trattandosi di un'intesa tra due soggetti, la volontà è in capo ai due soggetti, mentre il Parlamento ratifica o respinge l'accordo intervenuto tra i due governi, quello nazionale e quello regionale.
  Chiusa questa prima fase, cioè quella della definizione dell'oggetto della maggiore autonomia, comincia la seconda fase volta a definire cosa significa, in termini di risorse finanziarie, la gestione di questa partita. Anche su quest'aspetto, però, c'è da fare chiarezza. Nella fase dell'attuazione, non entrano in gioco maggiori risorse, ma si pone una sfida sull'efficienza: si deve dimostrare che una determinata attività è gestita dalla regione con le stesse risorse dello Stato in forma migliore e anche più economica. Posto che, per gestire la funzione istruzione, si hanno dallo Stato 100 euro, pari al costo della spesa dello Stato, si deve dimostrare che la regione è in grado di gestire quella funzione spendendo, ad esempio, 90 euro. In quel caso, i 10 euro che sono stati risparmiati restano alla regione, che li può utilizzare come meglio ritiene: può potenziare quel servizio oppure destinare quelle risorse ad altri servizi regionali.
  Si pone, quindi, una sfida fortissima sulla responsabilizzazione e sulla capacità di spesa. Quest'aspetto è importante, anche perché le discussioni (più giornalistiche che non politiche o scientifiche) attorno a questa questione hanno fatto immaginare che le risorse sarebbero arrivate a fiumi. In questa fase, la dimensione economico-finanziaria non muta, ma c'è una sfida sull'efficienza amministrativa Pag. 5 tra l'attuale gestione statale e la futura gestione regionale.
  Come potete capire dalle cose che ho detto, siamo di fronte a una sfida che non ha a che fare solo con il terzo comma dell'articolo 116, ma con l'intera partita del regionalismo italiano perché si tratta di riscrivere completamente la mappa istituzionale del sistema delle regioni in Italia. È del tutto evidente che, partite alcune regioni, che probabilmente hanno condizioni anche più favorevoli, la gestione autonoma di queste funzioni, se correttamente supportata e correttamente realizzata, potrebbe creare uno schema imitativo, che potrà essere un modello anche per le altre regioni, per cui, progressivamente, possiamo immaginare che, di qui a qualche anno, il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione diventi la bussola di orientamento per un nuovo regionalismo, diverso da regione a regione, a seconda di caratteristiche, potenzialità e capacità di ogni singola regione, rispetto alla gestione di funzioni amministrative. Questo è un progetto molto ambizioso, ma è anche estremamente suggestivo, perché si mettono in gioco davvero i meccanismi di base del funzionamento del regionalismo.
  Anche in questi primi incontri bilaterali o in quelli fatti con Emilia-Romagna e Lombardia, sono emersi sollecitazioni, stimoli e proposte estremamente significativi da parte delle stesse regioni, che rompono anche la lentezza che ha caratterizzato per molti anni le attività delle regioni rispetto alle proprie competenze costituzionali. Lo ripeto: si tratta di una partita estremamente interessante, che io spero e mi auguro possa concludersi positivamente. Fino a oggi, i riscontri che abbiamo avuto sono tutti positivi: la Lombardia all'unanimità e l'Emilia-Romagna con l'astensione di un solo consigliere regionale hanno approvato i percorsi che le stesse regioni hanno individuato come oggetto del confronto con il Governo.
  Questo sta a significare un'attenzione che va oltre le attuali maggioranze politiche, che, oltretutto, sono diverse tra le due regioni, quindi, da questo punto di vista, non c'è alcun tipo di coincidenza. Riguardo ai tempi, credo che, soprattutto se riusciamo a chiudere, di qui a una decina di giorni, la parte relativa allo Stato, realisticamente si possa arrivare, tra Natale e la metà di gennaio, alla definizione di questi accordi, i quali poi saranno affidati evidentemente alla valutazione del prossimo Parlamento. Lo dico perché è difficile immaginare che, da qui al momento dello scioglimento delle Camere, ci possa essere una doppia lettura per trasformare l'intesa in legge dello Stato. Probabilmente, non sarebbe neanche corretto farlo, anche perché siamo arrivati a una fase in cui l'attività parlamentare è in una fase conclusiva per provvedimenti che sono stati portati avanti nel corso di questa legislatura. Sarebbe, però, importante riuscire a chiudere la prima fase prima dello scioglimento delle Camere, in modo tale da affidare comunque al Parlamento un documento, sul quale poi il Parlamento stesso sarà impegnato a discutere.
  Lo dico anche perché sia chiaro che, come per tutte le ipotesi d'intesa, non si tratta di una proposta di legge, che, esaurita la legislatura, decade, ma di un atto che impegna due governi e tale rimane, per essere poi affidato al Parlamento che subentra. Come dicevo, il Parlamento ha, quindi, la possibilità di approvarlo o di respingerlo.
  Siamo in una fase avanzata dei lavori e vi ripeto che devo dare atto alle due regioni di aver affrontato questo tema con coraggio e con serietà. Inoltre, lo stato dei lavori mi fa immaginare che si possano ragionevolmente rispettare i tempi che vi ho descritto.
  Infine, se ritenete che possa essere di qualche utilità, al momento della conclusione dell'accordo sulle due bozze, sono disponibile a venire per illustrarvi nel dettaglio l'ipotesi di accordo con l'Emilia-Romagna e con la Lombardia, ma anche l'ipotesi d'accordo con il Veneto, se dovesse intervenire, sebbene questa regione, anche per effetto della citata disgraziata evenienza, resta un po’ più indietro rispetto a Lombardia ed Emilia-Romagna.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  ROGER DE MENECH. Ringraziando il Sottosegretario per la presenza, anch'io parto, come lei, dal tema del numero delle competenze rispetto all'impianto dell'articolo 116 della Costituzione, che sinceramente mi appassiona molto poco.
  Come ho già detto anche in presenza dei presidenti di regione, credo che l'articolo 116 della Costituzione debba essere visto e vissuto dalle regioni come un elemento per consolidare una strategia regionale: innanzitutto, le regioni dovrebbero chiedersi «che cosa voglio fare da grande?» e «qual è la visione di sviluppo della mia regione?» e dire «faccio un piano strategico per spiegare dove voglio andare e se per me è più importante il turismo, la scuola, l'innovazione o l'università».
  Faccio una battuta: credo che per la Lombardia sia poco importante la gestione delle coste e forse sia più importante gestire i laghi. È una battuta che faccio estremizzando il discorso, per dire che comunque, nell'ambito dell'articolo 116 della Costituzione, ogni regione ha sue peculiarità perché ci sono quelle di pianura e quelle di montagna, quindi la precondizione per chiedere gradi di autonomia dovrebbe essere quella di dotarsi di un piano strategico, da cui emerga in maniera chiara che, delle 23 materie, ogni regione ha una o cinque o dieci o diciassette materie – lo ripeto: il numero in questa fase non mi interessa – strategiche per lo sviluppo della proposta politica legata al futuro della stessa regione. Giustamente, in questo caso, c'è un'assunzione di responsabilità da parte della regione.
  A quel punto, la regione chiede allo Stato centrale di ottenere le competenze e le funzioni, quindi il giusto riconoscimento economico, per svolgere competenze e funzioni aderenti al suo sviluppo strategico. In tal senso, veniamo al punto che è stato oggetto di cinque anni di lavoro nella nostra Commissione: con l'articolo 116 della Costituzione e questa proposta, abbiamo avviato un percorso di accelerazione rispetto alla definizione di uno dei grandi temi, che mi fa piacere il Sottosegretario abbia citato più volte, ossia l'efficientamento della macchina della pubblica amministrazione nel suo complesso.
  È chiaro che, se una regione chiede di delegare l'istruzione, dovrebbe avere l'ambizione di dire che riesce a gestire questa funzione all'interno del suo progetto strategico meglio dello Stato centrale – e questo è il motivo per cui la richiede – e dovrebbe definirne i costi. In merito, si pone una grande sfida anche rispetto alla seconda fase dell'intesa, in cui si deve definire quanto costano quella funzione e quella competenza. Dopo aver definito i costi, occorre efficientare la funzione, sia sotto il profilo economico sia – collegandomi a quello che dicevo in precedenza – sotto il profilo dello sviluppo strategico della regione.
  Completato questo processo, abbiamo a disposizione uno strumento che rende più forte le regioni, ma anche lo Stato, che deve essere più competitivo. In questo quadro, spero sinceramente che anche il Veneto si accodi perché, sentendo i due presidenti di Emilia-Romagna e Lombardia, questi ragionamenti sono stati fatti in maniera molto forte ed efficace. Spero che il tutto si sviluppi su questo quadro e non su una richiesta generica di delega di 23 materie.
  Lo dico perché, nel corso degli anni, potremmo anche arrivare a chiedere di trasferire alle regioni tutte le 23 materie, però, per rispondere alla domanda «qual è l'idea della tua regione oggi e quali sono le precondizioni necessarie e indispensabili per attuare la tua idea?», non credo che si possano indicare immediatamente tutte le 23 materie, ma, magari, le prime cinque indispensabili per dare corso alla propria visione strategica.
  In tal senso, con la prima domanda, Sottosegretario, le chiedo se lei spera ci possa essere anche l'entrata virtuosa del Veneto in questo meccanismo di trattativa con lo Stato.
  Con il secondo punto, entriamo nello specifico della mia regione: come ho detto la settimana scorsa al presidente Bonaccini, dovremmo cercare di evitare la sostituzione dei centralismi. Voglio dire che, all'impresa, al cittadino o allo studente, poco importa se la funzione centralizzata, mal gestita e non attenta alle comunità è gestita a livello romano o veneziano. Quindi, rispetto alla questione Pag. 7veneta, si dovrebbe evitare di sostituire un centralismo romano con un centralismo veneziano rispetto alle funzioni che eventualmente verranno delegate.
  In merito, vengo a un tema, oggi più caldo di ieri, che riguarda lo sviluppo strategico di tutte le aree interne delle regioni. Lei conosce la mia provenienza territoriale. Insieme al referendum del Veneto, non a caso, si è svolto il referendum regionale interno della provincia completamente montana di Belluno. L'interesse dello sviluppo strategico della regione Veneto è avere uno sviluppo armonioso e non centralizzato delle funzioni, anche di quelle già delegate, già affidate alla regione Veneto, rispetto alle province interne della regione stessa e, in particolar modo, alla montagna veneta e alla provincia completamente montana.
  So perfettamente che, dal punto di vista del procedimento, il rapporto diretto è fra lo Stato centrale, il Governo e le regioni. Tuttavia, come ho già detto al presidente dell'Emilia-Romagna la settimana scorsa, istituire meccanismi per cui, già nel loro piano strategico, le regioni abbiano previsto la programmazione e la pianificazione al fine di decentrare le funzioni amministrative rispetto alla diversità dei territori – parlo di quelli montani, ovviamente – credo sia una buona cosa e che ne ricavi un beneficio anche lo Stato centrale.
  Molto probabilmente, per gestire le Dolomiti, è molto più preparata la provincia di Belluno che Venezia e, per lo stesso e identico principio, forse, alla Lombardia non interessa gestire le coste, quindi questo deve essere il principio di un regionalismo efficiente.
  Con la mia domanda, vorrei capire come possa il Governo aiutare le regioni in questo percorso e aiutare i territori, facendoli partecipare, anche se non in maniera formale, alla rivoluzione che stiamo mettendo in atto.
  C'è un ultimo punto che riguarda quello che è successo ieri. L'ho detto anche ieri in Aula, il Sottosegretario Bressa non c'era, perché era presente il Sottosegretario agli interni. Con il precedente di ieri, rischiamo che l'articolo 116 della Costituzione necessiti di una trattativa lunga e di una maggioranza qualificata, quindi di un percorso tortuoso, mentre con l'articolo 132 della Costituzione riusciamo a ottenere lo stesso effetto con una maggioranza semplice e una legge ordinaria. Questo è un dato politico che oggi possiamo riportare ufficialmente perché ieri, nonostante alcune prese di posizione, questo è ciò che è successo in Parlamento. Fra l'altro, questo strumento è a disposizione non solo dei comuni, ma anche – lo ricordo a tutti – delle province. Infatti, l'articolo 132 si riferisce a «comuni e province», che possono, quindi, ambire a diventare speciali. Lo dico perché la vera differenza emersa dagli eventi di ieri è che il trasferimento non avviene fra due comuni ordinari, ma fra un comune ordinario e uno speciale.
  Soprattutto, c'è un altro tema importante: il termine «sentiti» citato nell'articolo 132 della Costituzione indica che quel parere ufficialmente non è più un parere vincolante. C'è stata una presa di posizione netta di tutti i vertici della regione Veneto, al di là di qualsiasi previsione, anche perché, non soltanto a voce, ma per iscritto, è stata espressa la posizione da parte del presidente del consiglio regionale, cui il Parlamento ha dato una settimana di tempo e poi ha proceduto a votare. Ciò vuol dire che domani, se l'intera provincia «X» volesse passare nella regione a statuto speciale «Y», daremmo una settimana di tempo alla regione a statuto speciale e dopo una settimana il Parlamento potrebbe – uso il condizionale – votare in piena libertà.
  Perché ripeto queste provocazioni che ieri ho dichiarato esattamente uguali in Aula? Io credo che l'accadimento di ieri debba velocizzare l'attenzione che ha il Governo centrale nella trattativa relativa all'articolo 116 della Costituzione, che non può essere una trattativa – mi riaggancio a quello che ho detto prima – esclusivamente a favore delle regioni, ma deve avere un'attenzione particolare rispetto all'organizzazione complessiva dello Stato nelle sue articolazioni, da Roma a Venezia fino a Sappada, oppure Belluno, oppure Sondrio, oppure Verbania. Cito le tre province completamente montane definite dalla legge Pag. 8Delrio. Potrei citare altrettante eccellenze e particolarità in giro per l'Italia.
  A questo proposito io credo che la sfida dell'articolo 116 della Costituzione rispetto a una vera differenziazione dei territori in base agli sviluppi strategici che i territori devono darsi sia una sfida ancora più urgente da affrontare, ovviamente delimitando in maniera puntuale le risorse, che sono estremamente importanti.
  In questi giorni io ho maturato un'altra idea: forse le risorse da sole non sono sufficienti; dobbiamo delimitare le risorse, ma anche le strategie di sviluppo e, quindi, le norme di riferimento per dare questa possibilità di sviluppo. Infatti, spesso non stiamo parlando di comuni e province sottosviluppati anche dal punto vista economico, ma stiamo parlando di regioni, di province, in particolare, e di comuni che probabilmente hanno bisogno di governance diverse e di strategie per lo sviluppo del proprio territorio diverse e, quindi, che necessitano di questo grado ulteriore di attenzione.
  Grazie ancora, Sottosegretario, per essere qui e per il lavoro che sta svolgendo.

  DANIELE MARANTELLI. Anch'io ringrazio il Sottosegretario Bressa, perché ci ha dato un quadro attuale anche del lavoro che è stato fatto nel confronto con le regioni, che in maniera diversa hanno chiesto l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Prima di rivolgerle due domande, partirei da un'intervista del presidente dell'ufficio parlamentare di bilancio, Pisauro, che questa mattina mi ha colpito molto. All'inizio di questa intervista a un quotidiano del Sud, ancorché probabilmente sia necessario sempre prendere con le pinze titoli e frasi riportate, si dice che i referendum in Lombardia e Veneto possono spaccare l'Italia dei diritti. Lo cito testualmente. Il presidente si chiede se oggi due individui uguali in tutto (età, sesso, condizioni di salute, reddito) tranne che per la residenza sono uguali o sono diversi. Lui si pone questa domanda chiave, che è una domanda che non possiamo non porci anche noi, tanto centrale da non lasciarci indifferenti, almeno non lascia indifferente me, venendo da una cultura che mi ha insegnato le parole di un grande politico come Antonio Gramsci, il quale diceva: «Odio gli indifferenti».
  Sappiamo benissimo che il residuo fiscale è la differenza tra le tasse raccolte su un territorio e le spese pubbliche effettuate in quel territorio e che in Lombardia le tasse raccolte sono più dei servizi erogati, mentre in Campania è il contrario, ma qui non c'è alcun elemento di novità. Tuttavia, in quella domanda c'è una sollecitazione fortissima e io credo che, partendo da lì, noi dovremmo verificare la praticabilità, la percorribilità e l'esito che in maniera diversa l'Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, attraverso il referendum, danno alle iniziative di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Noi ci riuniamo in questa sede alle 8 del mattino, non solo oggi ma da molto tempo, per questa ragione e siamo seriamente interessati a verificare se questo processo ha una praticabilità. L'atteggiamento, almeno da parte di chi è qui, non è il medesimo di quel presidente di una famosa società di calcio che, dopo una vicenda abbastanza penosa e disgustosa, se ne andò a Roma, nelle vicinanze del ghetto, dicendo: «Famo ’sta sceneggiata». Noi non abbiamo interesse a fare una sceneggiata, consapevoli che, se questo confronto con le regioni avesse come esito un flop, aumenterebbe la già rilevante sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni.
  In questo senso, non ci sfuggono gli elementi di complessità che il Sottosegretario Bressa ci ha correttamente illustrato, ma neanche le potenzialità e le novità. Per questo anche sul lavoro del Sottosegretario, che non vorrei ingigantire, c'è una responsabilità che va ben oltre la sua figura. Non voglio usare parole eccessive. Se non si vuole evocare il termine «storico», si può, però, dire che siamo di fronte a una novità rilevante.
  Le dico come la vedo io e poi arrivo alle due domande. Di fronte a questo elemento di sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni – parto sempre da lì –, che alla lunga può mettere in tensione anche la stessa tenuta democratica, io credo che la Pag. 9domanda che dobbiamo porci è: come vogliamo proiettare il Paese verso il futuro?
  Io penso – mi sembra che l'abbia già detto il collega De Menech – che la questione non sia tanto e solo il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione. La domanda di fondo è: quale nuovo regionalismo e quali nuove autonomie locali vogliamo immaginare per portare il Paese verso il futuro?
  Per un certo periodo, soprattutto dopo il 2011, si è pensato che la strada obbligata fosse quella del centralismo – parliamoci chiaro – e anche la legislazione è andata in quella direzione. La mia opinione, molto netta, è che in questa nuova fase, l'esito del referendum ci dice che quella strada è impraticabile.
  Come costruire alleanze istituzionali e politiche è un tema che non ci riguarda; è affare dei partiti e se la vedranno loro. Invece, che ciascuno di noi debba riconsiderare le basi sociali e territoriali del Paese ci riguarda, eccome.
  È chiaro che la prima sfida è quella sulle competenze. Noi siamo interessati, come si diceva in conclusione dell'ultimo intervento, a conoscere quale sarà l'esito del confronto con le regioni, però io approfitterei della presenza del Sottosegretario Bressa per porre una domanda che in verità ho posto anche, senza avere risposta, a uno dei presidenti che abbiamo audito nei giorni scorsi. So che posso permettermi di porla al Sottosegretario.
  La mancata definizione dei LEP – infatti, noi non abbiamo alcun dato su questo – è figlia di una preoccupazione finanziaria, cioè del timore da parte dello Stato centrale di fornire una sorta di legittimità a richieste di trasferimenti aventi dimensioni incompatibili con il mantenimento degli equilibri di finanza pubblica o è altro? Io penso che sapere questo sia importante.
  In secondo luogo, credo che, se noi accediamo all'idea che le richieste di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia sono figlie dell'egoismo del Nord, la previsione è facile: questo processo non andrà da nessuna parte e non darà alcun esito. Voglio metterlo a verbale. Se, invece, c'è l'ambizione di costruire una nuova modalità di relazioni istituzionali, con un nuovo regionalismo che faccia i conti con la forza e le ricchezze dei nostri territori, allora la sfida può essere interessante e può anche rompere pigrizie e conservatorismi.
  Al riguardo, per scongiurare il primo rischio, non è forse il caso di coinvolgere anche alcune regioni del Sud? Il Governo e il Sottosegretario Bressa hanno avuto sollecitazioni al riguardo? È chiaro che l'articolo 116 della Costituzione prevede requisiti precisi: occorre avere i conti a posto. Non è compito nostro dare pagelle, ma conosciamo i dati. La Puglia è una regione che ha quasi i conti a posto. Sono arrivate sollecitazioni e richieste al riguardo? Io credo che questo aiuterebbe anche un processo che, altrimenti, rischia di essere equivocato.

  FEDERICO D'INCÀ. Anch'io ringrazio il Sottosegretario Bressa per l'audizione di oggi. Io sono tra quelli che nel Movimento 5 Stelle si sono spesi maggiormente in campagna elettorale per poter arrivare al risultato dell'autonomia del Veneto sul referendum, un referendum consultivo che fortunatamente è stato inserito all'interno della Costituzione. Questo spegne anche alcune valutazioni che sono state poste nel corso del tempo da parte di alcune forze politiche.
  Mi domando due cose. Innanzitutto, non condivido, per certi versi, la scelta del Veneto di andare da solo. So che il momento è così importante e così storico, anche al di fuori delle singole tre regioni oggi interessate, che è fondamentale avere un tavolo comune. Pertanto, la prima richiesta è di poter spingere la regione Veneto a esprimersi all'interno di un tavolo unico di concertazione, pur sapendo che, oltre alle due differenze politiche, ve ne è una che dal punto di vista temporale impegnerà la Lombardia ad andare al voto entro marzo-aprile. Infatti, sicuramente c'è la volontà da parte del presidente Maroni di portare a casa qualcosa piuttosto che una volontà di lungo periodo. C'è anche una differenza di impostazione della richiesta, in quanto il Veneto doveva presentare una proposta di legge, che adesso ha portato a conclusione.
  Oltre a questo, io vorrei far emergere una richiesta di valutazione: le tre regioni, Pag. 10in particolare il Veneto, hanno al loro interno le competenze tecniche per gestire tutte le materie che richiedono di trasferire? Per certi versi, non si comprende se l'aspetto amministrativo locale sia capace di prendere in carico tutte le materie e quante materie. Secondo me, questa è una valutazione tecnica da fare all'interno delle regioni.
  L'altro tema riguarda l'aspettativa che si percepisce all'interno dei consigli delle singole regioni. Io sono stato audito all'interno del consiglio regionale del Veneto, dove l'aspettativa è molto collegata all'aspetto finanziario, cioè al fatto che si possa in qualche maniera incidere sul residuo fiscale e sui nove decimi. Questo comporta le valutazioni che prima ha svolto il collega Marantelli. Se noi esprimiamo soltanto una valutazione economica sull'autonomia delle singole tre regioni, di fatto si rischia di andare a sbattere contro il muro della gestione del Paese. Da una parte, quindi, è opportuno riuscire a far entrare una regione come la Puglia in questo processo e su questo sono perfettamente d'accordo. Dall'altra parte, secondo me, è importante che nel corso della trattativa anche i presidenti delle singole regioni possano capire cosa è realmente possibile fare e cosa non lo è.
  A tal proposito, lei prima ha affermato che nel futuro c'è la possibilità di prevedere un passaggio diverso. Oggi per centri versi i risparmi di spesa si possono realizzare nell'ambito delle singole materie, dimostrando la propria capacità in quel settore. In seguito ha accennato a un qualcosa per il futuro. Vorrei chiederle di fornirci maggiori informazioni su questo punto, visto che, secondo me, sul piano locale sarà uno dei temi per i quali la trattativa potrebbe incagliarsi, almeno per quanto riguarda la regione Veneto. È un tema che avete già preso in considerazione?
  Quali materie lei considera più importanti per le regioni? Quali sono le materie alla base della trattativa dal punto di vista del Governo e sulle quali voi volete puntare? Alcune regioni puntano su tutte le 23 materie; tuttavia, voi pensate a un numero sicuramente minore.
  Ripeto ancora una volta che, siccome sono tre le regioni che hanno una forte valenza industriale e una forte componente sul PIL del nostro Paese, se inizialmente queste vivono un processo simile, con materie diverse ma con passaggi comuni su alcune di esse, come l'istruzione, sicuramente ciò rafforzerà la spinta al processo e anche la possibilità di successo dello stesso. Nel caso in cui non vi fosse successo dell'autonomia locale per queste tre regioni, è chiaro che si spegnerebbe il meccanismo di autonomia locale e di regionalismo differenziato, che si dimostrerà con i fatti non realizzabile nel nostro Paese. Di conseguenza, la partenza è sicuramente un punto molto importante.
  All'interno della trattativa valuto positivamente i fatti di ieri e il distacco del comune di Sappada, anche dal punto di vista dell'accelerazione che darà al meccanismo di autonomia locale e alla valutazione all'interno della trattativa della provincia di Belluno.
  Io e il collega De Menech siamo bellunesi e anche il Sottosegretario per certi versi ha origini bellunesi, anche se è stato eletto in questa legislatura o in quella precedente all'interno di un'altra provincia autonoma. Il caso di Belluno è un caso molto particolare. Ieri è stato discusso all'interno del Parlamento. Sappada risponde a un malessere territoriale, che vede 33 comuni fare richiesta di referendum nel Veneto. Molti di questi sono bellunesi.
  Ieri, secondo me, si è aperto un varco di una potenza incredibile dal punto di vista istituzionale, che va oltre gli articoli 116 e 117 della Costituzione e le materie ivi previste. Si tratta di una proposta di legge ordinaria, approvata con una maggioranza semplice, parlamentare, che apre scenari completamente diversi sul territorio bellunese. Altri comuni si stanno già preparando al passaggio.
  Io ho ripetuto anche ieri che, seconde me, in questo momento la trattativa ha un valore istituzionale molto importante. Può risolvere praticamente la problematica della provincia di Belluno. Chiaramente poi vi sono Sondrio e altre province montane, ma Belluno è una provincia particolare, è un Pag. 11cuneo tra il Friuli Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige e, secondo me, è impensabile come è stata costruita questa provincia. Lo sappiamo perfettamente.
  Oggi finalmente, essendovi dall'altra parte una spada pronta a essere usata, quella del referendum e del passaggio, ed essendovi anche una spinta nei confronti di tutti i parlamentari presenti, questo problema deve essere risolto. Ritengo che sia importantissimo farlo nella trattativa con il Veneto, che, secondo me, va allargata anche al presidente Maroni, visto che il presidente della regione Lombardia ha dato importanza alla parte montana e, in particolare, alla provincia di Sondrio. Altrimenti, credo che da qui ai prossimi anni molti comuni chiederanno il passaggio.
  Io ho detto anche che ci vuole il rifinanziamento del Fondo Letta per il Friuli, che, almeno per i prossimi due anni, finché non si avranno alcuni risultati dalla trattativa, serve per poter fermare in legge di bilancio. A tale proposito la I Commissione ha già espresso un parere positivo, con il consenso dei due principali gruppi di maggioranza.
  Il presidente Maroni ha avanzato una proposta particolare, dicendo che nel lungo periodo preferirebbe poter intervenire come regione Lombardia, in modo da concedere i finanziamenti direttamente alle regioni che in questo momento hanno un residuo fiscale negativo. C'è chi ha un residuo positivo e chi negativo, per forza di cose. In tal modo, come per i fondi europei, vi sarebbe un reale collegamento e una modalità di gestione che prevedrebbe più controllo da parte della regione virtuosa sulla regione non virtuosa, tralasciando il passaggio romano.
  Vorrei sapere se, secondo la sua opinione, nel lungo periodo questa potrebbe essere una soluzione, controllando anche il risultato del progetto. Vorrei sapere se questa è una possibilità o semplicemente stiamo parlando di fantapolitica.

  PRESIDENTE. Ho due suggestioni. La prima è particolare e potrebbe sembrare non pertinente, ma la dico visto che il Sottosegretario Bressa ha avuto l'incarico, l'onere o l'onore di gestire una serie di «rogne» di proporzioni galattiche in questa legislatura.
  In relazione a questi due referendum ho sempre pensato che, al di là dell'oggetto degli stessi, questa potesse essere l'occasione per costringere tutti a fare una sorta di esame di coscienza sullo stato delle relazioni interistituzionali tra i diversi livelli di governo. Potrebbe essere l'occasione per interrogarsi su quello che è stato fatto in questi anni, su quello che è stato scritto e non fatto in questi anni, su quello che è accaduto nella realtà viva dei comuni, delle province e delle regioni, in un'oggettiva difficoltà di riconoscere gli spazi istituzionali di rispettiva competenza e, quindi, costringere qualcuno a riscrivere le regole complessive del gioco.
  Faccio un piccolo esempio. Adesso abbiamo tre regioni che chiedono allo Stato di riscrivere i confini delle loro competenze su alcune materie, ad esempio l'istruzione. Parliamo di edilizia scolastica e di provincia. Può essere questa l'occasione di fare anche chiarezza su questo aspetto? Ovviamente parliamo di tre regioni, ma potrebbe essere, come giustamente ha detto il Sottosegretario Bressa, un modello per tutte le altre.
  Questo è un tema. La legge Delrio, per come si è sviluppata e per come si è concretizzata, può essere considerata da noi un punto di arrivo definito e determinato, essendo queste le competenze? O, invece, questa può essere un'occasione? Lo dico in termini provocatori rispetto alla dinamica del processo, per capire se questa è l'occasione buona per stabilire quali cose sia opportuno fare nei comuni e quali altre cose possa essere opportuno fare nelle regioni. Le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto ritengono che effettivamente le province non servano più oppure che serva qualcosa che stia tra Venezia e le Dolomiti? Questa è la prima suggestione-provocazione.
  Passo alla seconda. Il Sottosegretario Bressa è così esperto e consumato politicamente che probabilmente ha cercato l'unica via che possa permettere di raggiungere un risultato minimamente concreto in tempi ragionevolmente brevi. Come? Mettendo le mani avanti e dicendo: «Di soldi Pag. 12non parliamo. L'articolo 116 della Costituzione parla di competenze, di soldi parleremo dopo».
  Si tratta dello stesso criterio – è una provocazione di attualità – usato dal comune di Sappada nei confronti della regione Friuli Venezia Giulia, quando afferma: «Cominciamo a portare là il comune e poi parliamo di soldi». Il problema, infatti, arriva subito dopo, nel senso che il Parlamento ha approvato la legge e adesso probabilmente il Sottosegretario Bressa si dovrà occupare dei soldi.
  L'approccio sicuramente ha il pregio di poter portare a una qualche intesa, ma temo che non risolva il problema, anzi sposti semplicemente il problema più avanti e lo sposti in modo serio, al netto di quello che potrebbe essere l'atteggiamento della regione Veneto, a cui ha fatto cenno l'onorevole D'Incà e che in questa sede il governatore Zaia ha ribadito in modo plastico ed evidente. Noi partiamo dal concetto contrario, ovvero che i nove decimi delle risorse prodotte dal Veneto restino in Veneto, che è un po’ il modello delle regioni a statuto speciale.
  Le regioni a statuto speciale – ma questa sarebbe una massima provocazione, specialmente nei confronti del Sottosegretario Bressa – in qualche modo vengono tirate in ballo da chi le vede come miraggio da raggiungere e da chi le vede come ingiusto privilegio – qualcuno qui ha cominciato anche a parlare di questo –, da rimuovere rispetto a questo processo che è stato avviato.
  Sono suggestioni buttate lì. Immagino che il Sottosegretario Bressa, che – lo ribadisco – su queste materie sta lavorando da tanti anni, almeno quanto me, sappia perfettamente come sia mutevole nel corso del tempo l'atteggiamento che la politica e il Parlamento assumono rispetto a queste vicende.
  Do la parola al Sottosegretario Bressa per la replica.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali. Io parto da questi punti che, più che suggestioni, sono nodi politici e poi riprenderò le varie questioni che avete sollevato.
  L'ho detto prima, ma cerco di essere più preciso: la ridefinizione dei rapporti tra lo Stato e queste due regioni mette necessariamente in gioco una serie di questioni che riguardano tutta la filiera degli enti locali. Riprendo l'esempio che ha fatto il presidente. È del tutto evidente che se si parla di edilizia scolastica, la funzione istruzione, con l'esclusione dei titoli per diventare professori e del contratto degli insegnanti, con tutta l'organizzazione del sistema scolastico, diventa un tema fondamentale per le politiche regionali.
  È del tutto evidente anche che, nel momento in cui viene responsabilizzata totalmente di questo, la regione compie le scelte che ritiene più proprie rispetto al modello organizzativo: può tenere la competenza tutta per sé, può delegarla alle province, può fare quello che vuole. Comunque, è chiaro che, a quel punto, la competenza in materia di edilizia scolastica per quanto riguarda la programmazione degli interventi e l'entità degli stessi diventa una piena competenza regionale.
  Ci saranno ugualmente i piani nazionali di finanziamento eccetera, però non ci sarà più una graduatoria stabilita a Roma sull'ordine degli interventi. Si stabilisce che la regione Lombardia ha 100 ed è la stessa Lombardia che decide come utilizzare quella somma.
  Ovviamente, nel fare questo, entra in gioco la sistemazione di una serie di competenze che derivano da altre leggi. Noi purtroppo non siamo riusciti, entro questa legislatura, a portare a compimento la revisione della legge Delrio, che alla prova dei fatti, sulla base della gestione di tre anni, eravamo in grado di modificare e rimodellare a seconda delle cose che hanno funzionato e delle cose che non hanno funzionato. Non ci è stato dato il tempo di farlo. È evidente che Veneto ed Emilia-Romagna, nel momento in cui affrontano questo tipo di questioni, entrano con i piedi nel piatto anche sulla questione della legge Delrio.
  Di soldi non parliamo? Io non ho detto esattamente questo, ho detto «di soldi non parliamo adesso», perché, se si mettono prima i soldi rispetto alle funzioni, si stravolge Pag. 13 il meccanismo. Faccio un esempio che mi dà la possibilità di rispondere alle domande che avete posto in tutti gli interventi: la questione dei nove decimi e del residuo fiscale. Partiamo dal residuo fiscale. Voi siete tutti talmente esperti che sapete come nasce il residuo fiscale. Il residuo fiscale viene inventato negli anni Cinquanta da un premio Nobel dell'economia americana, Buchanan, il quale si poneva il problema di come in una repubblica federale si potesse conservare l'unità della nazione in presenza di realtà disomogenee dal punto di vista della ricchezza economica.
  Il fatto di vivere in regioni diverse è di per sé un motivo di diseguaglianza, perché, nascere in Calabria è diverso rispetto a nascere in Lombardia, in quanto la ricchezza della Calabria e la ricchezza della Lombardia sono diverse. Occorre, però, avere meccanismi e strumenti che azzerino questa differenziazione e che possano permettere a tutti i cittadini della Repubblica italiana di partire da un punto di partenza omogeneo.
  Il residuo fiscale, benché sia stato utilizzato strumentalmente con altre motivazioni, nasce esattamente per questo motivo, affinché le regioni più ricche possano contribuire alla crescita delle regioni più povere. Dunque, banalizzando, il ragionamento «padroni a casa nostra», cioè «i soldi sono nostri e ce li teniamo», come viene qualche volta affermato, è privo di significato politico, ma, ancor prima, è privo di significato economico. Se si prescinde dal residuo fiscale e dalla redistribuzione delle risorse sul territorio nazionale, non si fa altro che andare verso due obiettivi: il primo è la secessione di quei territori e il secondo è l'abbattimento e l'eliminazione della qualità di alcuni servizi. Non ci sono altre alternative.
  Questa non è un'opinione personale del Sottosegretario del Governo Gentiloni, ma è ciò che spiega la teoria economica. Se la logica è questa, occorrono politiche che siano in grado di tenere insieme tutto il sistema con azioni realmente perequative e che siano vissute come tali, in grado di far crescere complessivamente tutto il Paese. Sto facendo la tara di tutti i problemi meta-economici e solo politici che questo discorso porta con sé, perché, nelle varie parti del Paese, le amministrazioni in molte occasioni sono tra loro profondamente diverse.
  Detto questo, voi comprenderete che, allora, il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione, consentendo il massimo di libertà possibile a una realtà territoriale nel quadro del rispetto costituzionale, porta a far sì che questi valori, queste opportunità, queste cose positive vengano esaltate e possano diventare un termine di paragone anche per le altre realtà territoriali.
  Molti di voi chiedono che cosa abbiamo fatto rispetto al Sud. Partiamo dal presupposto che il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione si attiva su iniziativa regionale, quindi il Governo non può chiedere, ad esempio, alla Calabria di dare attuazione al terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione. Ciò nonostante, l'aver fatto partire questi due esempi produce già degli effetti significativi di emulazione o di coinvolgimento. Mi diceva il presidente Maroni, giustappunto ieri, che ha ricevuto un invito dal presidente della Puglia al fine di organizzare un incontro in Puglia nei prossimi giorni per illustrare il percorso della Lombardia in tema di avvicinamento e di attuazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione.
  Il presidente della regione Puglia l'aveva chiesto anche a me verbalmente, non con una richiesta scritta, dicendo che era interessato a muoversi in questa direzione. La Campania ha fatto la stessa cosa, con un atto informale, cioè una lettera in cui dimostrava il proprio interesse, ma non con un atto formale, cioè tramite l'espressione del consiglio.
  Dunque, il meccanismo si muove e trascina con sé l'attenzione di più soggetti. Pertanto, io non temerei affatto che questo processo possa diventare, come faceva intravedere Pisauro, un elemento distorsivo che rende ancora più ricchi i cittadini di Milano e ancora più poveri i cittadini di Napoli. Questa, a mio modo di vedere, è la strada per arrivare a garantire il massimo dell'autonomia e, quindi, il massimo della crescita possibile in tutti i territori italiani. Pag. 14
  Vengo ora alle questioni che avete sollevato. L'onorevole De Menech ha messo i piedi nel piatto, nel senso che ha toccato la questione più importante, che io nella mia introduzione avevo dato per scontato, non affrontandola. Quando noi parliamo di nuove competenze e di nuova autonomia, stiamo parlando né più e né meno che di strumenti per politiche pubbliche regionali. Non si chiede maggiore autonomia nel campo dell'ambiente o dell'istruzione per potersi mettere un distintivo sulla giacchetta e dire: «Sull'istruzione in Veneto comando io». È una partita per consentire che il sistema dell'istruzione del Veneto sia più coordinato con il mondo economico, con il mondo della ricerca e con il mondo dell'università e che questo porti complessivamente a un'occasione di crescita per il territorio.
  È ovvio che la richiesta sulle materie deve essere figlia di un progetto. Nel momento in cui si chiede di trasferire tutte le materie, vuol dire che non si ha alcun progetto in testa, perché si considerano tutte le materie allo stesso livello, e questo non è programmazione e non è politica. La partita vera è quella di efficientare e di far crescere il sistema, attraverso la scelta di alcune materie e la scommessa di una gestione più autonoma. Io credo che il Veneto, al di là di com'è andata la partenza, sia consapevole di ciò e abbia capito che la strada della solitudine rispetto alle altre due regioni non porta da nessuna parte.
  Il problema che ha avuto il Veneto e che un po’ lo ha condizionato e continua a condizionarlo è che la settimana scorsa il consiglio ha votato un provvedimento che dà mandato di presentare una legge statale in cui sono previste tutte le 23 materie. Questo è un percorso possibile, ma è un percorso che non ha realisticamente uno spazio di agibilità reale.
  Anticipo in questa sede la proposta che io farò, tanto siamo in una sede istituzionale, quindi non c'è nessuna forma di sovrapposizione. Io oggi avrei proposto al presidente Zaia di sedersi al tavolo con l'Emilia-Romagna e la Lombardia relativamente alle materie sulle quali abbiamo deciso di trattare ed eventualmente aggiungere alcune sue priorità, partendo da un nucleo definito di questioni, per poi arrivare a concludere. Peraltro, se facciamo così, il passaggio dalla competenza alla risorsa è gestibile, perché è stato circoscritto l'ambito di intervento e si sa di cosa si ha bisogno per svolgere quella competenza. Non si tratta più della mitologia dei nove decimi, cioè «tutti i soldi che vengono prodotti qui rimangono qui», ma restano i soldi che sono strettamente necessari perché la regione possa esercitare quella funzione adeguatamente. È questa la questione.
  È vero che in questo processo bisogna evitare che al centralismo statale si sostituisca il centralismo regionale. Tuttavia, gli strumenti che noi abbiamo dal punto di vista delle intese sull'articolo 116 della Costituzione arrivano fino a un certo punto, nel senso che noi possiamo definire le competenze e le materie, ma in questa trattativa non possiamo definire le politiche.
  Trovo, invece, assolutamente vera e molto puntuale l'osservazione secondo cui, dopo la vicenda di ieri, noi rischiamo di avere, attraverso l'articolo 132 della Costituzione, la frantumazione di quanto previsto dall'articolo 116. Il problema è che la vicenda di Sappada ci insegna che all'interno di quella logica c'è un puro ed esclusivo istinto egoistico e nessun quadro istituzionale vero: Sappada aveva bisogno di soldi per fare gli impianti, il Friuli Venezia Giulia aveva bisogno di una cartolina, perché Sappada turisticamente è sicuramente più appetibile dell'alta Carnia. Si sono fatti coincidere due interessi economici, legittimi, e dal punto di vista istituzionale è stata prodotta quella che io considero un'aberrazione. Infatti, il problema non è la competizione tra i comuni, il problema è l'efficientamento del sistema e, quanto più si indebolisce una parte che in questo momento ha bisogno di crescere e di essere potenziata, tanto più si fa il male di tutto il resto.
  Io, a titolo personale, avevo espresso le mie opinioni su questa vicenda. Il Governo si è chiamato fuori, perché si trattava di un'iniziativa parlamentare, però io oggi, a fronte di una domanda, dico che dobbiamo Pag. 15riflettere, perché la strada vera perché il percorso possa portare a un cambiamento istituzionale reale è questa e non la scorciatoia di una legge fatta a immagine e somiglianza di un territorio.
  Per ciò che concerne il richiamo dell'onorevole Marantelli alle cose che ha detto il presidente Pisauro credo di aver già risposto prima. Il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione è l'esatto opposto della spaccatura dell'Italia, è l'esaltazione dell'autonomia in un quadro di unità nazionale, cioè il meglio che tutti possono dare per far crescere complessivamente l'Italia. Il buon esito dell'attuazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione per Lombardia ed Emilia-Romagna non produce effetti positivi solo per queste regioni, produce effetti positivi per l'intero sistema Paese, con delle ricadute più immediate e più dirette su Emilia-Romagna e Lombardia, ma senza alcun danno per le altre regioni, per il ragionamento che vi facevo prima. È vero che siamo di fronte a una novità rilevante, se non vogliamo chiamarla «storica», perché è destinata, se ha successo, a ridisegnare il sistema dello Stato regionale italiano. Se dovesse essere un flop, saremmo di fronte a un possibile e preoccupante disastro.
  La questione dei LEP non è figlia della preoccupazione finanziaria di creare squilibri sulla finanza pubblica che non siamo in grado di gestire. Il problema è definire, da una parte, i fabbisogni standard e, dall'altra, la capacità fiscale standard, perché, se non si tengono insieme queste due cose, si hanno degli strumenti zoppi. In questo momento le difficoltà maggiori che abbiamo sono proprio sulla definizione della capacità fiscale standard. Il rallentamento è frutto del fatto che, quando si esce da questo processo, occorre avere una macchina che funziona, perché altrimenti la trazione potrebbe essere disomogenea e creare, anziché una via virtuosa, qualche problema in più.
  All'onorevole D'Incà ho risposto che condivido la sua obiezione: il Veneto da solo non ha senso. Comunque, credo che il presidente Zaia, dopo questo suo primo approccio, che ha delle motivazioni politico-istituzionali che lui ha spiegato più volte, non abbia difficoltà a riallinearsi alle altre regioni nella trattativa. È ovvio che deve superare la condizione che non si deve trattare su tutte le 23 materie, perché, se dovesse insistere per una trattativa rispetto a tutte le 23 materie, la cosa si farebbe oggettivamente complicata, anche perché è impossibile trattare tutte le 23 materie vista la complessità che comportano. Inoltre, al di là della difficoltà materiale pratica, c'è una valutazione politica: se si richiedono tutte le competenze, significa che non si riconosce nessuna funzione e nessun ruolo dello Stato nazionale, che, invece, c'è e rimane. Il terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione non è un modo per erodere dall'interno la dimensione nazionale dello Stato, ma è un modo per rendere lo Stato più efficace, più efficiente e capace di amministrare e di rispondere meglio.
  Sull'inserimento delle regioni del Sud ho risposto. Passo alla questione dei nove decimi. Io vorrei che su questo punto noi liberassimo definitivamente il campo, anche perché è una delle cose che sono state meglio e più nettamente definite dalla Corte costituzionale quando ha bocciato i quesiti referendari. Infatti, mentre gli altri quesiti referendari avevano al centro l'aspetto referendario, sul referendum che faceva riferimento al fatto che il Veneto dovesse trattenere o meno gli otto decimi la Corte costituzionale rispondeva che era gravemente compromissivo del sistema della finanza pubblica che è alla base della garanzia dello Stato unitario e che, pertanto, non poteva essere ammesso. La Corte costituzionale, quindi, ha messo una pietra tombale su questa questione e tornarci significa solo agitare un problema, avendo però la certezza di non poterlo risolvere in quella direzione.
  Mi si chiedeva quali sono le materie più importanti. Noi adesso stiamo cercando di selezionare, sulla base delle richieste che ci hanno posto, non solo le più importanti, ma anche quelle rispetto alle quali siamo più pronti a rispondere, perché ci sono delle materie che hanno un livello di complessità maggiore rispetto ad altre. Comunque, c'è un orientamento, che mi pare Pag. 16condiviso anche dalle regioni – ve lo anticipo anche se non è ancora definito, perché dobbiamo svolgere l'incontro con Lombardia ed Emilia-Romagna e riproporlo – su istruzione, lavoro, ambiente e territorio, lavori pubblici e infrastrutture, beni culturali e tutti i temi dell'internazionalizzazione e dei rapporti con l'Unione europea. Queste sono le competenze sulle quali probabilmente è più facile partire prima e con maggiori possibilità di successo.
  Ripeto che Sappada non ha aperto un varco, ma rischia di aver aperto una voragine, che potrebbe finire con il risucchiare tutti verso un abisso, risolvendo apparentemente un problema, ma creandone molti più grandi. Non pretendo che tu sia d'accordo. Faccio solo un esempio per spiegarmi meglio: passare dal Veneto al Friuli Venezia Giulia è molto più semplice che non passare dal Veneto al Trentino-Alto Adige, perché il passaggio dal Veneto al Trentino-Alto Adige presuppone una modifica dello statuto, che prevede una legge costituzionale. Lascio a voi immaginare che cosa significa questo.
  Il presidente Mazziotti Di Celso può dire tutto quello che vuole. Possiamo portargli alcune carriole di dottrina e di sentenze della Corte costituzionale che sostengono questo. Egli ha in mente una cosa che ha riguardato la Valle d'Aosta e che non ha niente a che vedere con Trento e con Bolzano, perché gli statuti di Trento e di Bolzano, a differenza dello statuto della Valle d'Aosta, hanno dei contenuti e delle norme che sono completamente diversi e che non sono assimilabili rispetto a questo discorso. È una cosa che è facilmente dimostrabile sul piano della dottrina.
  Ciò detto, io comunque sono contrario, perché vorrei che il Veneto e la provincia di Belluno nel Veneto avessero un loro percorso di autonomia, che fosse autodeterminato e conquistato sulla base di un progetto politico. È il discorso che faceva all'inizio l'onorevole De Menech. Tutte le altre sono scorciatoie, che producono nell'immediato apparentemente un beneficio, ma in prospettiva non so che cosa comporteranno.
  Adesso noi, come ricordava il presidente Giorgetti, avremo il piccolo problema di definire, dal punto di vista economico-finanziario, che cosa significa il passaggio di Sappada nel Friuli Venezia Giulia. Se voi immaginate che l'ipotesi di copertura che è stata predisposta dal Senato sia realistica, io sono Babbo Natale e sono contento di portarvi dei regali tra alcune settimane. Siccome siamo tutte persone serie, non possiamo prenderci in giro su queste questioni. È partita un'opzione politica del Parlamento, assolutamente legittima e assolutamente rispettabile, su cui nessuno ha niente da dire, però, una volta conclusa la dimensione politica che ha prodotto questo risultato, adesso si tratta di vedere cosa significa questo risultato dal punto di vista pratico e dell'attuazione. Credo che non sarà una passeggiata.

  PRESIDENTE. Grazie per questa bella discussione. Non siamo in molti a occuparci concretamente del tema, però ci stimoliamo a vicenda e questa è una cosa positiva.
  Ringrazio il Sottosegretario Bressa per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.