XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 102 di Mercoledì 15 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 2 

Audizione del dottor Raffaele Guariniello:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 2 
Guariniello Raffaele  ... 2 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Pili Mauro (Misto)  ... 4 
Guariniello Raffaele  ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Amato Maria (PD)  ... 6 
Guariniello Raffaele  ... 6 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 7 
Guariniello Raffaele  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Guariniello Raffaele  ... 8 
Pili Mauro (Misto)  ... 8 
Guariniello Raffaele  ... 8 
Pili Mauro (Misto)  ... 8 
Guariniello Raffaele  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Pili Mauro (Misto)  ... 8 
Guariniello Raffaele  ... 8 
Cova Paolo (PD)  ... 9 
Catalano Ivan (Misto-CIpI)  ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Guariniello Raffaele  ... 9 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 10 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 11 
Guariniello Raffaele  ... 11 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIAN PIERO SCANU

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.
  Non essendovi obiezioni, ne dispongo l'attivazione.

Audizione del dottor
Raffaele Guariniello.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Raffaele Guariniello.
  Il dottor Guariniello, già procuratore presso la procura della Repubblica di Torino nonché consulente di questa Commissione in relazione alla sua specifica competenza in tema di sicurezza sul lavoro, interviene nell'ambito degli approfondimenti che questa Commissione sta conducendo.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme della libera audizione e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Saluto il dottor Guariniello e lo ringrazio per la disponibilità a permetterci quest'audizione. Non è molto frequente, ma pur tuttavia è importante che un consulente, uno specialista che collabora con la Commissione venga audito, ma le circostanze lo hanno reso necessario. In particolare, ricordo che l'Ufficio di presidenza recentemente, su impulso del collega Pili, ha ritenuto di dover procedere a questo tipo di audizione per ottenere dal dottor Guariniello una breve narrazione, ovviamente in termini di sintesi, riguardo gli aspetti che egli considera i più importanti muovendo dal proprio punto di vista.
  La ringrazio ancora, caro dottore, per tutto quello che ha fatto e sta facendo per questa Commissione e le do volentieri la parola.

  RAFFAELE GUARINIELLO. Anzitutto, ringrazio la Commissione per l'opportunità che mi viene data, e spero non sorprenda l'entusiasmo con cui faccio quest'audizione. Per me, la giustizia non è mai stata né sarà mai, come ho avuto occasione di scrivere, un sogno, e naturalmente la giustizia per tutti, ma in particolare per i deboli. Fu grande la mia sorpresa quando alcuni anni fa le indagini sui morti per amianto mi fecero scoprire che tra i deboli da tutelare c'erano anche i militari.
  Ho vissuto questi due anni come consulente della Commissione con lo stesso amore che ho provato per i lavoratori della ThyssenKrupp e per i lavoratori e i cittadini morti intorno alle fabbriche dell'eternit di Casale Monferrato, di Reggio Emilia e di Bagnoli.
  In questi due anni, la domanda che ho condiviso con i deputati di questa mi permetto di dire splendida Commissione è: che cosa si può fare per rendere giustizia ai militari?
  Che cosa si può fare l'ho appreso proprio dai deputati della Commissione e dal presidente, senza guardare in faccia nessuno, senza fare sconti a nessuno, senza pensare a chissà quali alchimie di potere.
  Credo che la Commissione abbia saputo dare le risposte. Le tre Commissioni precedenti hanno avuto il merito di fare proposte per eliminare diverse criticità, ma Pag. 3queste criticità non solo non sono state poi eliminate, ma si sono persino aggravate, ed è facile capire perché.
  Queste criticità sono e continueranno a essere causate da un problema per ora irrisolto: l'universo della sicurezza militare non è governato da norme adeguate.
  Ecco perché la palla torna al Parlamento. C'è bisogno di nuove norme, senza le quali resteranno immutate le scelte strategiche di fondo che attualmente ispirano la politica della sicurezza nel mondo delle Forze armate, quelle scelte strategiche che paradossalmente trasformano i militari in lavoratori deboli, quelle scelte strategiche che per giunta umiliano i militari ammalati o morti, e li abbiamo sentiti in questo periodo, per la mortificante sproporzione tra la dedizione dimostrata dal militare in attività altamente pericolose e la riluttanza – chiamiamola così – istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi.
  Aggiungo che parliamo di scelte strategiche che espongono, a mio parere, i vertici militari a responsabilità inaspettate. I processi penali in corso e, da ultimo, la condanna a Padova per il radon, ci fanno capire che senza un'effettiva prevenzione continueranno a morire lavoratori militari, ma continueranno anche a essere chiamati a rispondere i datori di lavoro militari, e si badi non solo i datori di lavoro formali, e cioè i comandanti dei siti militari per intenderci, ma anche e anzi prima ancora i datori di lavoro di fatto, e cioè i soggetti che nell'ambito dell'amministrazione della Difesa effettivamente sono dotati dei massimi poteri decisionali e di spesa.
  C'è una scelta strategica, tra tutte, che ha concretamente ostacolato la prevenzione nel mondo militare. È la scelta che ispira la norma in base alla quale nei luoghi di lavoro delle Forze armate, ma aggiungo anche delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco, la vigilanza sull'applicazione delle norme sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso queste amministrazioni.
  La Commissione ha auspicato che questa giurisdizione domestica fosse bandita. Ha, quindi, proposto che l'attività di controllo nelle aree militari sia affidata a personale appartenente ad altre amministrazioni, e non esclusivamente all'amministrazione militare.
  Questa, però, non è l'unica criticità accertata dalla Commissione.
  La Commissione si è trovata di fronte a numerose sigle, a cominciare dall'OED, l'Osservatorio epidemiologico della Difesa, un osservatorio epidemiologico che riceve le informazioni relative ai nuovi casi di patologie neoplastiche diagnosticate al personale in servizio, mentre non riceve alcuna comunicazione relativa al personale congedato, con la conseguenza, ad esempio, di arrivare a contare 126 mesoteliomi tra i militari di tutte le Forze armate, quando la Commissione solo nella Marina militare ne ha individuati 571 nell'ambito di 1.051 casi di patologie asbesto-correlate, sempre nell'ambito esclusivo della Marina militare.
  Non meno imbarazzanti sono risultate le criticità di altre sigle, dal COI al CIC, dal CISAM al CETLI. Ricordiamo tutti che, alla domanda del presidente «Lei, in quanto direttore del CIDAM, è in grado di assolvere e far assolvere alle funzioni del CISAM?», la risposta è stata no.
  In questi due anni, abbiamo ascoltato dolenti storie di amianto, di radon, di uranio impoverito. E abbiamo ascoltato non solo storie di morti, ma anche storie ancora senza morti, e tuttavia storie di mancata osservanza delle norme a tutela degli ambienti di vita e degli ambienti di lavoro.
  In queste storie, chiedo scusa, ma da eterno pubblico ministero non ho potuto non cogliere notizie di reato, dall'omicidio colposo alle omissioni di cautele antinfortunistiche, dal disastro alle violazioni del testo unico sulla sicurezza del lavoro, ipotesi di reato, e non sempre prescritte. Voglio fare un unico esempio.
  Il responsabile della Direzione per il coordinamento centrale del servizio di vigilanza prevenzione e protezione, il cosiddetto DICOPREVA, su mandato di questa Commissione ha richiesto a tutti i datori di lavoro delle Forze armate se avessero provveduto a elaborare la valutazione dei rischi e a redigere il relativo DVR, documento di Pag. 4valutazione dei rischi, e ha trasmesso a questa Commissione i dati relativi a questa richiesta alla fine di gennaio 2017.
  Ora, andando a leggere le dichiarazioni scritte di questi circa 300 datori di lavoro, che cosa si scopre? Che questi 300 datori di lavoro hanno indicato la data chiamata «data certa di redazione-aggiornamento del DVR» una data che si colloca per circa 163 datori di lavoro nel 2016, in particolare negli ultimi mesi, ottobre, novembre e dicembre, del 2016, e anzi per 25 addirittura nel 2017.
  Ricordo che l'omessa o ritardata redazione del DVR viola l'articolo 28 del decreto n. 81 del 2008, violazione penalmente sanzionata a carico dei datori di lavoro, naturalmente violazione che l'organo di vigilanza è tenuto a denunciare per non incorrere nel reato di omessa denuncia di reato, 361 del codice penale. Si tratta di ipotesi di reato che non sono assolutamente prescritte, perché sono intervenute nel corso di quest'anno.
  Il fatto è che, a ben vedere, le norme proposte da questa Commissione non sono soltanto necessarie per prevenire eventi come infortuni o malattie professionali, e dunque eventi dolorosi sul piano umano, sul piano etico, ma persino sul piano economico, come abbiamo visto per l'amministrazione della Difesa. Queste norme sono anche una grande opportunità per prevenire altrettanto dolorose vicende processuali, dolorose non solo per le vittime, ma anche per gli imputati.
  Ecco perché mi auguro che, in accordo con l'amministrazione della Difesa, già in questa legislatura si trovi il modo di rendere giustizia al mondo militare.
  La mia fiducia – so di essere molto ottimista, ma lo sono sempre stato – nasce da alcuni fatti.
  Un primo fatto è la piena collaborazione che volle darmi l'allora Ministro della difesa quando iniziai le prime indagini sull'uranio impoverito, nel 2000. L'allora Ministro della difesa mi diede una piena collaborazione.
  Un altro fatto è un'interrogazione parlamentare, che a vederla oggi, a leggerla oggi, rappresenta un significativo precedente rispetto alla condanna di Padova per il radon. Mi riferisco alla preziosa interrogazione presentata il 20 settembre 2005 da sette deputati, compresa l'attuale Ministra della difesa, riguardante proprio quella base di Monte Venda che costituisce oggetto del processo di Padova.
  L'interrogazione – quanto previdente! – segnalò l'esposizione dei militari al radon, fece presente che il nostro Paese, diversamente da quanto fatto dagli americani, non ha preso nessun provvedimento per eliminare o abbattere i rischi di esposizione da radon, e auspicò che l'amministrazione della difesa collaborasse senza riserve affinché la magistratura sia ordinaria sia militare facesse piena luce sulle misteriose morti avvenute tra gli addetti alla ex base del Monte Venda. Questo è un auspicio di grandissima attualità.
  Come possiamo vedere, da mesi abbiamo tutti elogiato i militari per la preziosa opera prestata in occasione dei terremoti che hanno sconvolto il centro Italia a partire dal 24 agosto 2016.
  Bene, il mio augurio è che, oltre agli elogi, i militari vengano effettivamente tutelati nella loro sicurezza e salute con norme che possano essere approvate già nel corso di questa legislatura.

  PRESIDENTE. Molte grazie, dottor Guariniello, per le considerazioni che ha voluto proporci e che ci confermano di esserci sintonizzati nella maniera più giusta e più corretta su quest'enorme problematica che la Camera dei deputati ci ha chiesto come Commissione di affrontare.
  Iniziamo adesso con le domande, anche alla luce delle importanti affermazioni e, per certi versi, informazioni appena rese dal nostro audito.
  Do quindi la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAURO PILI. Ringrazio il dottor Guariniello per la puntuale e alta relazione che ci ha voluto proporre all'inizio di questi nostri lavori.
  È evidente che il lavoro della Commissione in questa direzione si sia mosso. Pag. 5Credo che ormai tutti siamo consapevoli che occorre arrivare anche a sintesi del nostro lavoro, e su questo mi voglio un attimo soffermare nella prima domanda.
  Noi abbiamo sostanzialmente riscontrato alcune questioni che hanno una concatenazione sia sul piano ambientale sia sul piano della salute umana di civili e di militari. Credo che, soprattutto negli ultimi mesi, abbiamo focalizzato con puntuale attenzione, con gli esami testimoniali che sono agli atti, che nel poligono di Quirra per esempio si sono svolte attività che non sono inquadrate in maniera puntuale nel processo che si sta svolgendo in questi giorni a Lanusei.
  Sostanzialmente, avremmo riscontrato che c'è stato uno smaltimento di migliaia e migliaia di tonnellate, smaltimento illegittimo, illegale sotto ogni punto di vista, con conseguenze che abbiamo pure valutato che non sono state circoscritte nell'ambito penale. Tutta la parte del disastro ambientale e delle eventuali responsabilità per le morti dei civili e dei militari risultano in questa fase non esaminate nell'ambito dibattimentale del processo.
  La mia domanda è questa. La sintetizzo, perché credo che sia questo il nocciolo della questione, dirimente per quanto mi riguarda, i termini della prescrizione rispetto al 2008, che è data ultima dell'esplosione dichiarata qui da testimoni di quell'evento nella zona torri di Quirra.
  Relativamente alle ricadute sul piano ambientale, Mariani, tecnico del procuratore che ha chiuso quell'aspetto, non si è fondato sulle nuove teorie messe in capo anche a livello internazionale sulla nanotossicologia, che sostanzialmente dicono che le ricadute non sono tanto quelle che si possono vedere oggi, quanto un disastro ambientale perenne legato appunto alle nanoparticelle generate da quel tipo di esplosione.
  La mia domanda è: possiamo come Commissione chiedere quali procedure lei ritiene che possiamo attivare perché il disastro ambientale che abbiamo riscontrato e le conseguenze sui civili e sui militari possano essere oggetto di un'azione penale nei confronti dei responsabili di queste vicende?

  RAFFAELE GUARINIELLO. In questi mesi, ho anche un po’ approfondito le mie prima non profonde conoscenze di diritto parlamentare, in particolare sul funzionamento delle Commissioni parlamentari d'inchiesta.
  Non ne dubitavo nemmeno prima, ma è assolutamente pacifico che una Commissione parlamentare d'inchiesta non celebra i processi penali, che spettano all'autorità giudiziaria, perché ha i poteri dell'autorità giudiziaria, ma non è l'autorità giudiziaria. Di fronte, però, a fatti che ritenga penalmente rilevanti, e nella mia esposizione precedente ne ho indicati a titolo puramente di esempio alcuni, ha una strada, che è la segnalazione della notizia di reato al pubblico ministero territorialmente competente.
  Ove, quindi, la Commissione reputi che siano emersi ulteriori elementi, non solo è augurabile, ma ritengo sia addirittura doveroso fare questa segnalazione. Come pubblico ministero sarei stato entusiasta di ricevere ulteriori informazioni dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, perché ha degli strumenti.
  Il problema che lei pone, quello della prescrizione, è delicatissimo per quel che riguarda il reato di disastro ambientale.
  Noi abbiamo il 449 del codice penale, la norma che abbiamo sempre avuto, poi la legge sugli ecoreati ha introdotto un nuovo reato, il 452-quater nell'ambito del codice penale, che prevede proprio il delitto di disastro ambientale. Come, però, ebbi anche occasione di sottolineare in precedenza, rimane un problema di fondo.
  Quando si consuma il reato di disastro ambientale? Qual è, quindi, il momento a decorrere dal quale il reato si può prescrivere, comincia a decorrere il termine di prescrizione? Dal momento in cui il disastro ha esaurito tutta la sua forza espansiva o dal momento in cui l'imputato ha tenuto la condotta che ha poi prodotto questo disastro?
  Nella nostra giurisprudenza c'era una sentenza su Porto Marghera della Corte di cassazione che metteva in luce la rilevanza Pag. 6anche degli ulteriori effetti. Una successiva sentenza, invece, ha ritenuto che, una volta cessata la condotta, gli eventi successivi prodotti da quella condotta non rilevano al fine di individuare la data di commissione del reato.
  Questo, naturalmente per tutti i processi in materia di disastro diventa una spada di Damocle, perché magari ci si accorge di un disastro quando ormai il fatto che lo ha determinato si è concluso. È per questo che avevo proposto al Ministro dell'ambiente una norma nella quale si dicesse che il reato si consuma sino a quando si sviluppano gli effetti, altrimenti qui i processi rischiano di iniziare quando già il reato è prescritto. Questo è un altro problema che bisogna porsi. Ogni volta che anche come consulente di questa Commissione ho visto dei processi, la prima domanda che mi sono sempre posto è stata: non sarà già prescritto?
  Alla sua domanda rispondo che ben venga una segnalazione di nuovi elementi che consentano di dare al procedimento un'indagine realmente esaustiva. Purtroppo, magari certi elementi sono emersi adesso e prima non erano emersi con sufficienza. Sono processi difficili, questi.
  Sono processi che bisognerebbe che a celebrarli fosse una procura della Repubblica specializzate. Questa è la mia idea di fondo. Diversamente, l'unico processo che una procura fa in questa materia rischia di non riuscire ad approfondirlo in maniera adeguata, e quindi poi ci si trova di fronte a processi che suscitano una grande aspettativa, ma poi si concludono magari con la prescrizione del reato. Questo è un problema che andrebbe affrontato anche in sede parlamentare.

  PRESIDENTE. Grazie. Mi pare che, come sempre, la risposta sia stata chiara.
  Direi adesso di far intervenire la collega Amato, e poi, se lei, collega Pili, avesse necessità di porre altre domande o gli altri colleghi, andremo avanti.

  MARIA AMATO. Ringrazio il dottor Guariniello, perché con il suo stile pacato ha voluto aprire con una valutazione del lavoro di questa Commissione.
  Le chiederei qual è lo scenario possibile se non si cambiano le norme. Ai danni di militari me lo immagino, ma in termini di processi e di potenziali risarcimenti quanto può costare? Ci sono rischi penali significativi per personale apicale della Difesa?
  L'ho sentita oggi, come in Commissione lavoro, definire «imbarazzante» la sezione di epidemiologia militare: che idea ha del sistema della sanità militare? il giudizio è lo stesso o ha delle sfumature diverse?
  Oggi noi votiamo per la proroga dell'attività di questa Commissione: ritiene utili, indispensabili questi prossimi mesi per il completamento del nostro lavoro? se sì, perché?

  RAFFAELE GUARINIELLO. Partirò proprio da questa domanda.
  Ben venga la proroga, ma per riuscire a ottenere un risultato. La Commissione nella prima fase è arrivata a individuare delle proposte normative; nella seconda fase, come diceva anche il suo collega Pili, abbiamo accertato una serie di criticità che mai ci saremmo attesi. Io, almeno, non mi sarei aspettato queste criticità.
  Se le avessi avute come pubblico ministero, mi sarei detto che ci sarebbe stato proprio tanto da lavorare. Scusate l'entusiasmo di pubblico ministero, ma effettivamente... Sì, perché si scoprono degli eventi... A ogni passo che si faceva, si riconosceva un reato.
  Penso anche che sarebbe auspicabile non limitarsi ad avere quest'idea di celebrare i processi penali. Bisogna anche prevenirli, questi processi penali, riuscire a trovare il modo di evitare queste situazioni. Oggi come oggi, a mio parere le norme che abbiamo, le norme vigenti, non danno la spinta in questa direzione.
  Un modo, ad esempio, di evitare i procedimenti penali è quello di fare prevenzione. Fare prevenzione vuol dire far osservare le norme di prevenzione. Far osservare le norme di prevenzione vuol dire fare vigilanza, ma non formale, bensì effettiva.
  Noi abbiamo appreso che per quelle sparute contravvenzioni che vengono elevate provvede lo Stato a pagare le oblazioni, salvo rivalsa in caso di dolo o colpa Pag. 7grave, e da quel che risulta, c'è stato un solo caso di rivalsa in tutti questi anni. Allora, l'effetto deterrente quale è? Tanto si sa che paghiamo noi. Questo è un modo di fare prevenzione? No, io non credo che sia un modo di fare prevenzione.
  A lungo andare, poi, giova a tutti, primi tra tutti a quelli che ho chiamato i datori di lavoro di fatto. Ormai, la nostra giurisprudenza, la Cassazione, sulla base di una norma del decreto 81, che è l'articolo 299, è arrivata a dire che, nell'ambito di qualsiasi impresa privata o pubblica, quindi anche nell'ambito dell’«impresa militare», ci sono due datori di lavoro: il datore di lavoro formale, di diritto, e il datore di lavoro di fatto, quello che concretamente esercita i poteri decisionali e di spesa. E vengono chiamati a rispondere, ad esempio per un'omessa valutazione del rischio, l'uno e l'altro, non l'uno o l'altro, ma l'uno e l'altro, congiuntamente.
  Noi abbiamo, per esempio, constatato che un datore di lavoro, per fare la valutazione dei rischi, spesso ha bisogno di fare un'analisi ambientale. Per fare quest'analisi ambientale, deve rivolgere la sua richiesta attraverso un'intera trafila, per poi arrivare al CIC, che la valuta, e poi deve esserci l'autorizzazione da parte del Capo di Stato maggiore. In questo caso, mi chiedo: chi è che ha il potere decisionale di spesa effettivo?
  Questa struttura sembra essere pensata da un pubblico ministero per incastrare i vertici militari, tant'è vero che nei processi penali il pubblico ministero va a cercare chi effettivamente ha inciso, chi effettivamente ha esercitato il potere.
  Alla sua domanda, quindi, la risposta è che in effetti è il problema che si porrà all'esito di tutte queste indagini che sono state fatte. Qui c'è un bivio: o si cambiano le norme o si fanno i processi penali. Vediamo un po’ cosa sia preferibile per l'amministrazione della Difesa.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Ringrazio il Guariniello per questa sintesi così efficace, non solo di quello che come Commissione abbiamo potuto verificare nel corso dei nostri lavori, ma anche di quello che si potrebbe fare per prevenire esiti così negativi per la salute dei militari che abbiamo riscontrato. È su questo che vorrei concentrarmi.
  Penso che, al di là delle norme che abbiamo in questo momento in corso di analisi, di esame da parte delle Commissioni preposte a questo, dovremmo anche lasciare un messaggio politico nella relazione finale, all'esterno, politico nel senso di azione politica complessiva, che non può essere solo quella della norma, ma è anche quella di generare delle politiche per prevenire.
  La prima cosa è che dovremmo, a mio avviso, lasciare in eredità un quadro complessivo di quello che dovrebbe essere fatto in termini organizzativi, sia nella sanità militare, che in altri Paesi – mi riferisco agli Stati Uniti, che conosco meglio – è un fiore all'occhiello della sanità pubblica complessiva. Il trattamento, le strutture e gli ospedali dedicati ai veterani delle campagne militari negli Stati Uniti sono le strutture migliori nel campo della riabilitazione che si possano trovare nella sanità pubblica americana. Io conosco meglio quelle che riguardano le protesi, ma so che sono anche a livello scientifico strutture di punta, dove si provano le migliori tecniche di riabilitazione.
  Se in altri Paesi vediamo che la sanità militare è all'avanguardia, qui vediamo che invece la sanità militare secondo me manca di due aspetti.
  Il primo è la capacità anche proattiva nel valutare e attivare tutti gli strumenti di analisi e di diagnostica che possono servire a prevenire un esito negativo e a curare i militari. Dall'altra parte, da un punto di vista epidemiologico, come abbiamo visto, abbiamo trovato una mancanza gravissima nel non seguire come follow up i militari stessi nel corso di tutta la vita.
  Io non penso che possiamo definire una persona congedata come una persona libera, nel senso di persona normale, che ha svolto un lavoro normale, proprio per la specificità della vita militare, che gli stessi militari richiamano una volta che chiedono una valutazione domestica. Questa specificità dovrebbe valere anche per dire che un congedato deve essere seguìto nel suo follow Pag. 8 up perché è stato esposto a situazioni molto particolari e, a differenza di altri lavoratori, è meno monitorato.
  Servirebbero sicuramente una riorganizzazione della sanità militare e un potenziamento delle strutture di osservatorio epidemiologico e di follow up dei militari durante tutta la loro vita e dopo il congedo, ma anche una riorganizzazione degli strumenti di prevenzione. Non esiste soltanto il tema della valutazione, che non può essere domestica, degli strumenti messi in atto per prevenire gli incidenti e i danni alla salute. Ci deve essere anche un potenziamento delle valutazioni in termini di ergonomia, qualità della postazione dell'attività militare, strumentazione e dotazione tecnologica quando i militari sono esposti ad ambienti particolarmente dannosi o compiono atti che potrebbero essere pericolosi.
  Quello che abbiamo sentito e che non mi sono dimenticata dai racconti dei militari che sono venuti qui in audizione è che gli strumenti in termini di equipaggiamento di cui erano dotati durante alcune azioni estremamente pericolose erano al di sotto degli standard tecnologici. Se questo avvenisse, per esperienza, in un'industria del settore automobilistico, l'industria verrebbe fermata. Se penso alla qualità e quantità di analisi fatte sulle postazioni di lavoro nelle grandi industrie, mi dico che non è possibile che per i militari questo non valga.
  In sintesi, penso che, oltre al tema dell'azione penale e del fatto che dobbiamo trasmettere a chi di dovere tutto quello che dopo un'attenta analisi giudichiamo utile anche per trovare e punire i colpevoli, abbiamo soprattutto il dovere di dire che ci vuole una riorganizzazione, una riorganizzazione necessaria. Da quello che abbiamo potuto capire durante le audizioni, le strutture, gli equipaggiamenti, le procedure, i processi messi in atto non sono sufficienti e devono essere potenziati. Credo che nelle relazione finale chiederò che questi temi vengano introdotti.

  RAFFAELE GUARINIELLO. Indubbiamente, bisogna seguire questa strada. Faccio un unico esempio.
  Abbiamo appreso che la sanità militare statunitense ha preso in considerazione la SLA, la sclerosi laterale amiotrofica, tra i militari. Quando abbiamo fatto una domanda alla nostra sanità militare, la risposta è stata che no, non se n'è mai occupata. Questo fa il paio con quello che dice l'interrogazione parlamentare del 1995 sul radon del Monte Venda, cioè che gli americani avevano le protezioni e gli italiani no.
  Il sapere scientifico deve muovere anche l'amministrazione della Difesa. Meno si fa questo, e più si faranno i processi penali, quindi bisogna cercare di capire.

  PRESIDENTE. E di decidere.

  RAFFAELE GUARINIELLO. E di decidere.

  MAURO PILI. Voglio essere sintetico per consentirle una risposta la più diretta possibile.
  Esistono, a suo avviso, gli elementi per ampliare l'aspetto processuale del disastro ambientale di omicidio nel caso e nei casi esaminati dalla Commissione?

  RAFFAELE GUARINIELLO. In sintesi, adesso qui non voglio fare il pubblico ministero – ci mancherebbe altro...

  MAURO PILI. Se dovessimo predisporre come Commissione un atto da trasmettere alla procura di Lanusei, potremmo focalizzare una richiesta sul piano giudiziario puntuale per ampliare l'aspetto processuale, date le leggi attuali e i documenti in nostro possesso?

  RAFFAELE GUARINIELLO. Non una richiesta di procedere, ma la segnalazione di una serie di elementi che il pubblico ministero valuti al fine di decidere se esercitare l'azione penale.

  PRESIDENTE. Con relativa trasmissione degli atti.

  MAURO PILI. Nell'ambito del processo già in atto o chiedendone uno...

  RAFFAELE GUARINIELLO. Lì c'è già il dibattimento in corso, quindi si tratterebbe Pag. 9di vedere se la strategia migliore sia quella di cercare di inserire nel dibattimento questi nuovi fatti – a volte, si fa una contestazione di parti concorrenti – ma la mia idea è che su questi elementi ci debba essere un'indagine anche da parte del pubblico ministero. Lì sarebbe particolarmente utile farlo, a mio parere. È un contributo che la Commissione dà, ma non discrezionalmente, se le va, bensì doverosamente.
  La nostra Corte costituzionale e la nostra Corte di cassazione a sezioni unite hanno ben sottolineato il diverso ruolo dell'autorità giudiziaria della Commissione parlamentare d'inchiesta. La Commissione parlamentare d'inchiesta è un organo politico, quindi fa le valutazioni di ordine politico. Nel momento in cui, però, si rende conto che ci sono elementi penalmente rilevanti, allora si fanno pervenire all'autorità, doverosamente.

  PAOLO COVA. Vorrei fare due domande al dottor Guariniello. La prima riguarda la sanità militare. Durante tutte le audizioni che abbiamo avuto, tolte alcune rare eccezioni di alcuni medici, che ho apprezzato tantissimo, ho colto che i medici e la sanità militare sono subalterni, secondo il mio parere, al comando militare o ai datori di lavoro. Spesso, non conoscevano il munizionamento, non sapevano che cosa stavano facendo, non sapevano niente, non sapevano che cosa stava avvenendo. In questo io vedo una subalternità rispetto alla salute del lavoratore o alla salute del proprio paziente. Io medico, a prescindere da qualsiasi situazione, devo avere cura del mio paziente. Perlomeno, questo è il mandato che deve avere il medico.
  Io ho percepito questa situazione. Magari la percezione è mia e di qualche altro collega no, ma in questo caso è ipotizzabile una separazione o trovare un modo per distaccare questi due fatti? Se un medico militare non può agire liberamente, diventa un bel problema, non cura più il proprio paziente.
  Abbiamo avuto il caso segnalato di un trapiantato che è andato in missione, che cito come caso eclatante, ma vuol dire che non si cura più la persona, che è il dovere fondamentale di un medico. È necessaria una separazione, secondo lei?
  La seconda domanda è un po’ cattivella, glielo dico prima: è possibile che in tutti questi anni le procure o la procura siano intervenute solo nel caso in cui c'erano dei militari che sono intervenuti, cioè che hanno chiesto danni o hanno fatto degli interventi? Solo noi abbiamo scoperto adesso che nessuno consegnava il documento di valutazione dei rischi? Nessuna procura si è mai posta il problema? So che è un po’ cattivella, ma perché nessuno si è mai posto questi problemi? Doveva esserci questa quarta Commissione?

  IVAN CATALANO. Chiedo scusa al collega, ma per completare la domanda del collega Cova, vorrei capire: secondo lei, nella gerarchia delle fonti normative, che cosa viene prima, il rispetto del lavoro del medico, quindi dei giuramenti che fa il medico, il rispetto della legge a cui il medico, qualunque sia il suo ruolo, deve rispettare, o la gerarchia degli ordini militari?
  Per quanto riguarda, invece, il paziente, viene prima la sua salute o il rispetto degli ordini della gerarchia militare? E la sua salute può essere un fattore di diserzione? Come si dice, presidente?

  PRESIDENTE. Di diserzione o insubordinazione.

  RAFFAELE GUARINIELLO. Per l'aspetto della sanità militare, qui c'è sempre un aspetto su cui credo che la Commissione abbia anche fatto chiarezza, e cioè quando parliamo di militari, nelle norme specifiche dell'ordinamento militare c'è un po’ di confusione tra l'attività del medico competente e l'attività di una sanità militare che non è medico competente.
  Ora, quando parliamo di obblighi di tutela nei luoghi di lavoro della salute e della sicurezza, dobbiamo ricondurre gli accertamenti sanitari nei compiti del medico competente. Non può esserci un ruolo autonomo e distinto di una sanità militare, che non ha gli obblighi previsti dal decreto 81 a carico del medico competente. Facciamo Pag. 10 un esempio che proprio credo vada nella direzione da lei sottolinea.
  C'è un lavoratore: noi dobbiamo valutare la sua idoneità allo svolgimento delle sue mansioni. A chi tocca questo ruolo? Non alla sanità militare genericamente intesa, ma al medico competente. E perché è importante sottolineare quest'aspetto? Perché la sanità militare non ha gli obblighi previsti dal decreto 81 a carico del medico competente.
  Il medico competente non ha solo il compito di fare gli accertamenti sanitari. Se leggiamo l'articolo 25, comma 1, lettera a), del decreto 81, ci rendiamo conto che il medico competente non è, come era una volta, quel soggetto che andava in un'azienda, faceva le visite e poi se ne andava via. È un soggetto che, invece, è un coadiutore del datore di lavoro e del servizio di prevenzione a pieno titolo, anche e prima di tutto ai fini della valutazione dei rischi.
  Un medico competente che mi venga a dire che non sapeva quali fossero i rischi, fa una confessione di violazione del 25, comma 1, lettera a), penalmente sanzionata. Ed è una violazione anche a carico del datore di lavoro (18, comma 1, lettera g), del decreto 81), perché questo datore di lavoro non ha vigilato sull'adempimento da parte del medico competente degli obblighi previsti a suo carico.
  L'autonomia del medico competente è un requisito fondamentale della sua attività, e la salvaguardia di quest'autonomia sta proprio nella sua responsabilità penale. Dare, quindi, un ruolo in materia di controlli sanitari sui lavoratori a soggetti, istituzioni che non sono il medico competente, significa affidare questo compito delicatissimo a soggetti che non hanno gli obblighi, e che quindi non possono avere anche l'autonomia che nasce dalla responsabilità penale.
  Io credo che dobbiamo soprattutto far sì che tutti gli accertamenti sanitari sui lavoratori vengano affidati al medico competente. Naturalmente, poi dobbiamo vigilare sul fatto che il medico competente assolva ai suoi compiti.
  Allora, qui viene l'altra sua domanda: com'è che abbiamo scoperto noi che non si fa la valutazione dei rischi? Per forza, le procure della Repubblica non sono mai state attivate. Come procura, noi ad esempio ci siamo anche attivati d'ufficio. Quando è nata la questione dell'uranio impoverito, non è che abbiamo aspettato la denuncia o un esposto. L'abbiamo letto sui giornali. Quante volte abbiamo cominciato dei processi sulla base della lettura di una notizia apparsa sui giornali?
  Le procure della Repubblica, però, non sono state mai attivate, ma non lo sono nemmeno adesso. Domani, sentirete questo generale, e credo che sia utile sapere. Sono stati poi denunciati questi datori di lavoro che hanno ammesso di aver fatto il documento di valutazione dei rischi nel 2017?
  Nelle altre aziende, quelle private, ma anche nelle scuole e così via, c'è un'attività di vigilanza, che porta poi alle denunce, e quindi nascono i procedimenti penali. Le denunce alla procura della Repubblica non sono pressoché mai arrivate.
  È un aspetto fondamentale quello del ruolo del medico competente. Abbiamo sentito medici competenti dire che non sapevano, ma se il datore di lavoro gli chiude le notizie – dice la Corte di cassazione – deve dimettersi, non può dire di non essere penalmente responsabile perché il datore di lavoro non l'ha informato. Deve attivarsi. Se poi gli viene impedito, deve dare le dimissioni.

  LUIGI LACQUANITI. La domanda è su un tema che lei ha già affrontato, ma chiederei un'ulteriore precisazione. La domanda è molto concreta, ma ci arrivo con un'introduzione «filosofica».
  Per formazione personale, quando mi sono approcciato al tema dell'uranio, ho cercato sempre di guardare e ascoltare gli interlocutori con un ottimismo di fondo. Vent'anni fa, quando l'attività dei pubblici ministeri fu rivolta all'attività politica e vi fu il passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica, con le modalità che ben conosciamo, all'interno del mondo politico cattolico si sviluppò una discussione, un approfondimento sulla Storia della colonna infame di Manzoni.
  La storia – ormai, penso che dopo vent'anni si possa parlare di storia – ci dice Pag. 11che quei pubblici ministeri in gran parte avevano ragione e il mondo politico cattolico, a cui anch'io mi iscrivo in qualche modo, mi iscrivevo, ma ancora mi iscrivo, aveva torto.
  La Storia della colonna infame è un principio da cui non riesco a separarmi. Anche nei giorni scorsi, quando ho preparato l'intervento di discussione generale che ho tenuto ieri per il provvedimento di prosecuzione dell'attività della Commissione fino a fine legislatura, mi sono detto che non dovevo essere troppo severo, che dovevo attenermi ai fatti, ma più scrivevo quell'intervento e più mi veniva severo. I fatti che abbiamo ascoltato in questi due anni sono, come lei giustamente ci ha fatto notare, fatti di reato. Ogni volta si domandava se fosse un reato, ce lo domandavamo anche noi.
  Arrivo alla domanda, molto concreta, perché a questo punto siamo a finale di partita. La Commissione proseguirà per altri due o tre mesi, ma io, anche se non vorrei dirlo, sono un po’ pessimista sul fatto che si riesca ad arrivare alla legge. Non vorrei, però, neanche un domani, chiusa questa parentesi della mia esistenza, dover ripensare a quello che abbiamo fatto qui e avere degli scrupoli. Credo che dobbiamo fare il possibile perché sia definita, per quanto ci è possibile, la giustizia.
  Lei prima diceva che l'intervento della Commissione è doveroso. Io le chiederei in maniera ancora più circostanziata: noi abbiamo un obbligo di notizia nei confronti della magistratura, una volta che abbiamo conosciuto dei fatti di reato o è semplicemente un dovere civico che abbiamo nei confronti della magistratura?
  In entrambi i casi, qualunque sia la sua risposta, e qui mi rivolgo alla presidenza, ritengo che dovremmo notiziare in maniera molto precisa e anche molto severa tutto quello che abbiamo scoperto in questa Commissione.

  PRESIDENTE. Prego, dottor Guariniello. Farò poi una considerazione conclusiva, che è anche una proposta.

  RAFFAELE GUARINIELLO. La Storia della colonna infame è fondamentale. Racconto a tutti i giovani magistrati quella storia per far capire che il magistrato non si deve poi considerare onnipotente. Soprattutto i giovani i magistrati hanno bisogno di capirlo. Ci vuole anche molto buon senso. Bisogna applicare le norme, ma – a me pare importante anche in questa materia di cui ci stiamo occupando – tenendo presenti le ragioni delle vittime, e però anche sapendo vagliare le ragioni degli imputati. Io credo che sia giusto. Dobbiamo essere giusti verso tutti, quindi tener conto delle ragioni degli uni e delle ragioni degli altri, e poi fare un giudizio equilibrato.
  Proprio da questo punto di vista, la sua domanda potrebbe essere: se la Commissione non lo fa, commette un reato? Il 361 del codice penale è addebitabile? È molto discussa, la questione – ho visto – in dottrina. In genere, prevale la considerazione che la Commissione comunque si muove secondo criteri di ordine politico.
  Io non la vorrei mettere sul piano dell'obbligo penalmente sanzionato, ma la metterei sul piano di una doverosità – lei ha usato un aggettivo – civica, proprio per il raggiungimento degli scopi che la Camera dei deputati ha attribuito alla Commissione, che è un'articolazione della Camera dei deputati.
  Non credo che la Camera dei deputati abbia creato questa Commissione tanto per far passare il tempo. L'ha creata per ottenere dei risultati. Se, per ottenere dei risultati, si rende necessario attivare procure della Repubblica, lo si fa, proprio in osservanza del mandato ricevuto dalla Camera dei deputati. Io darei questa risposta. Non vorrei arrivare a dire che è un obbligo penalmente sanzionato, ma che è un dovere proprio di assolvimento dei compiti attribuiti dalla Camera dei deputati alla Commissione parlamentare d'inchiesta, questo sì.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora a nome di tutti il dottor Guariniello, e lo ringrazio di cuore.
  Faccio un paio di considerazioni. Quando il dottor Guariniello, in apertura, ci ha informati relativamente al periodo di attivazione dei DVR, ha voluto sottolineare una cosa che in maniera ancora più esplicita Pag. 12 vorrei sottolineare io: è stata l'esistenza della Commissione ad aver indotto quelle centinaia di responsabili della sicurezza a predisporre il DVR.
  Vorrei ricordare anche che abbiamo trasmesso la seconda relazione intermedia, quella nella quale si trovavano espliciti riferimenti a circostanziate situazioni che abbiamo avuto modo di verificare sia negli esami testimoniali sia nelle missioni che abbiamo fatto, soprattutto nei poligoni, alla procura della Repubblica di Roma, alla procura militare, alla Corte dei conti, alla procura della Corte dei conti, e anche ad alcuni ministri, segnatamente quelli più direttamente coinvolti nella gestione di questo comparto, con l'esplicitazione di rito rispetto a questo tipo di esigenze per l'adozione dei provvedimenti di competenza.
  Ci siamo già, in ogni caso, preoccupati di aderire all'impostazione, per rispondere per parte mia al collega Lacquaniti, della notifica della notitia criminis. Tutte le volte che abbiamo avuto modo di acquisire informazioni che a nostro giudizio potessero costituire l'evidenziazione di un presunto reato, abbiamo agito di conseguenza. Lo abbiamo fatto, ad esempio – mi ricordava la dottoressa Lai qualche istante fa – anche relativamente al povero Antonio Attianese.
  In ogni caso, per essere ancora più sicuri, vi preannuncio l'intenzione di convocare domani un Ufficio di presidenza ad hoc a conclusione dei due esami testimoniali previsti, uno alle 8.30 e uno alle 9.00, in maniera da decidere in quella sede l'invio degli atti alla procura della Repubblica di Lanusei. Mi riferisco agli atti che ha richiamato il collega Pili.
  Penso che l'attivazione di queste procedure, di queste leve, dovrebbe andare di pari passo però con una conseguente attenzione da parte del Parlamento e del Governo, ma non per farla franca, bensì semplicemente perché c'è bisogno che entrambi facciano il loro dovere.
  Ci vediamo oggi alle 14.30.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.