XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 131 di Mercoledì 8 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del presidente della regione Veneto, Luca Zaia, sui principi del federalismo fiscale e l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Zaia Luca , presidente della regione Veneto ... 3 
Gasparin Maurizio , direttore dell'area programmazione e sviluppo strategico ... 6 
Zaia Luca , presidente della regione Veneto ... 9 
Antonini Luca , membro effettivo della delegazione trattante per l'autonomia del Veneto ... 9 
Bertolissi Mario , membro effettivo della delegazione trattante per l'autonomia del Veneto ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 
D'Incà Federico (M5S)  ... 12 
Rubinato Simonetta (PD)  ... 13 
Marantelli Daniele (PD)  ... 15 
Fornaro Federico  ... 16 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 
Zaia Luca , presidente della regione Veneto ... 16 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 17 
Zaia Luca , presidente della regione Veneto ... 17 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 17 
Zaia Luca , presidente della regione Veneto ... 18 
Rubinato Simonetta (PD)  ... 19 
Zaia Luca , presidente della regione Veneto ... 19 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 19 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal presidente della regione Veneto, Luca Zaia ... 20

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente della regione Veneto, Luca Zaia, sui principi del federalismo fiscale e l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, del presidente della regione Veneto, Luca Zaia, sui princìpi del federalismo fiscale e l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Come ricorderete, avevamo deciso già prima dello svolgimento del referendum, e a maggior ragione dopo, di ascoltare, in relazione all'evoluzione dell'articolo 116 della Costituzione, i presidenti delle regioni Lombardia e Veneto, e naturalmente il presidente della regione Emilia-Romagna, oltre che il Governo, in merito a questo tipo di nuovo approccio che andrà a sperimentarsi.
  In tale quadro, oggi ascoltiamo il presidente della regione Veneto Luca Zaia, che ringraziamo per essere presente. È il primo che ascoltiamo. Ascolteremo domani il presidente della Lombardia Roberto Maroni e, la settimana prossima, il presidente dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Probabilmente, la settimana prossima – lo decideremo in Ufficio di presidenza – sentiremo anche il rappresentante del Governo, il Sottosegretario Bressa.
  Nel ringraziarlo per la disponibilità dimostrata, cedo quindi la parola al presidente Luca Zaia.

  LUCA ZAIA, presidente della regione Veneto. Sono io a ringraziare per quest'opportunità, presidente. Ringrazio la Commissione per l'opportunità che dà al Veneto di rappresentare l'operazione «autonomia» e le istanze che stiamo portando avanti. Devo fare, oltre ai ringraziamenti, una premessa doverosa.
  Nel momento in cui vi parlo è mio obbligo, ma lo faccio volentieri, anche dire che c'è un rispetto istituzionale nei confronti del mio consiglio regionale, che ha appena concluso le audizioni degli stakeholder regionali, ovvero di decine di rappresentanti delle associazioni di categoria, del terzo settore, dei sindaci, delle province e di tutti quelli che hanno qualcosa da dire o rappresentano degli interessi nel territorio.
  Conclusa l'audizione, voglio ricordare, proprio in virtù del fatto che siamo una regione che è andata al referendum con una legge referendaria, che la legge ha degli obblighi, volutamente sanciti dalla nostra legge referendaria del 2014, e tra questi c'è quello per cui, acquisito il risultato del referendum, il presidente della regione relaziona al consiglio regionale e presenta un disegno di legge, che diventa quindi la piattaforma per la trattativa. Questo disegno di legge diventerà legge la prossima settimana. Nel momento in cui diventerà legge, costituirà ufficialmente la base in forza della quale il Veneto cercherà di negoziare Pag. 4con il Governo e porterà il mandato che il consiglio regionale dà al Veneto.
  Questo serve a spiegare anche un altro passaggio. Non è che noi non vogliamo andare al tavolo. Io ho già parlato con il Sottosegretario Bressa. Non è che domani non vogliamo andare al tavolo, piuttosto non ci possiamo andare. La procedura prevista da questa legge è solida. Pensate che la legge è composta da 54 articoli e parte da un presupposto. Si è trattato di cinque anni di lavoro di tutte le nostre direzioni in giunta regionale, del consiglio e di colloqui o altro, e si è costruita una legge che dia poi un'idea di quella che giudichiamo la soluzione migliore per un progetto di autonomia per il Veneto sulla base dell'articolo 116, terzo comma, nonché dei successivi articoli della Costituzione.
  Presento la delegazione oggi qui presente. Alla mia destra siede il professor Bertolissi, ordinario di diritto costituzionale presso l'università degli studi di Padova; alla sua destra, c'è il dottor Gasparin, quello che io definisco l'uomo del referendum – per noi è stata una grande avventura, quella del referendum, non esiste un libretto di uso e manutenzione del referendum, ma una stanza buia nella quale si va e si accende la luce – e che relazionerà brevemente, mostrandovi delle slide, sul percorso che abbiamo fatto; c'è infine il professor Antonini, docente ordinario di diritto costituzionale, sempre all'università degli studi di Padova.
  Detto questo, faccio una brevissima premessa. Non vi leggo nulla e non deposito alcun documento. Tengo a dire, presidente, che approfittiamo di quest'audizione, di quest'opportunità che ci date – anche se un po’ in punta di piedi, la prossima settimana avremo infatti la legge che diventerà la base della trattativa – per introdurre un po’ il tema del referendum. Spero che oggi si possano sfatare anche delle leggende metropolitane. Il referendum ha dato, infatti, vita a delle leggende metropolitane paurose, sul fatto che Zaia non abbia voluto trattare, sull'inutilità del referendum od altro ancora. Ma lo vedremo meglio nello specifico nelle slide.
  Ricordo semplicemente, e lo dico proprio perché resti agli atti, che in Veneto la partita referendaria, la stagione referendaria nasce con la «questione veneta». Il Veneto non inventa una questione referendaria a uso e consumo, come dice qualcuno, perché in primavera si andrà a votare. Dire cose del genere significa essere dei distratti o forse anche dei lazzaroni. Ricordo che il Veneto ha tentato la sua stagione referendaria tre volte nella storia recente del Veneto, negli ultimi 25 anni. Due volte la Corte costituzionale ha bloccato quest'attività, mentre la terza volta ha dato via libera al Veneto.
  Stiamo parlando di una legge referendaria approvata nel giugno del 2014, che è stata poi impugnata dal Governo. Naturalmente, rientra nelle prerogative del Governo impugnare le leggi che vengono ritenute incostituzionali, ma dopo un anno, a luglio del 2015, la Corte costituzionale ha dato ragione al Veneto affermando al contempo delle cose – ne sostiene in verità molte –, alcune delle quali intendo in questa sede sottolineare.
  Afferma innanzitutto la Corte che il referendum non è una passeggiata. Questo dice la Corte. La Corte dice che è giusto sentire il corpo elettorale. La Corte dice anche, leggendo bene la sentenza, che nella trattativa si dovrà tener presente il risultato del referendum. Non è ininfluente, l'espressione del popolo. Se il referendum non solo non avesse raggiunto il quorum, ma avesse avuto un risultato negativo, la Corte già ci avrebbe pregiudicato la trattativa, perché il risultato del referendum è comunque un elemento da tener presente nella trattativa stessa.
  Poi la Corte afferma un'altra cosa. Dice che il referendum deve rappresentare una fase anteriore ed esterna alla trattativa. Delle due, l'una, ci dice la Corte: se volete fare la trattativa subito, perdete il referendum, non lo fate più; se invece volete fare il referendum, dovete farlo prima della trattativa. Queste sono talune delle cose che dice la Corte, salvo sostenerne poi un'infinità di altre.
  Io non sono un esperto, giacché ho studiato tutt'altro all'università, ma mi permetto Pag. 5 di dire, almeno da quel che ho capito, che questa è una sentenza epocale. Quantomeno, con questa sentenza – vorrei ricordarlo – tutte le regioni italiane, copiando pedissequamente la legge del Veneto, possono andare al referendum senza nessun rischio di impugnativa. Il Veneto ha aperto la strada per questa nuova stagione, che è quella dell'applicazione reale degli articoli della Costituzione.
  Ovviamente, noi abbiamo cercato da subito di applicare la legge referendaria. Voglio sottolineare un aspetto. Il Veneto aveva una legge nel 2014. Peraltro, potrei portare una nutrita rassegna stampa. Noi siamo stati stimolati non poco ad andare subito al referendum, ma in maniera assolutamente rispettosa delle istituzioni abbiamo voluto attendere fino in fondo l'espressione della Corte costituzionale. Voglio ricordare che a luglio del 2014 o nei giorni successivi all'approvazione della legge avremmo potuto comunque indire il referendum, perché la legge era impugnata, ma non aveva perso efficacia. Abbiamo invece atteso.
  Vi ricordo che la mia elezione è avvenuta nella primavera del 2015. Se avessimo voluto approfittare di una consultazione referendaria per spingere oltremisura e approfittare politicamente, lo avremmo potuto fare, e invece abbiamo atteso.
  Questa compagine di governo regionale è stata eletta nella primavera del 2015. A luglio del 2015, arriva alla sentenza della Corte costituzionale. Da lì inizia un percorso di attivazioni, ed ecco la prima leggenda metropolitana: avremmo aperto la trattativa e poi saremmo fuggiti. Non è così.
  La nostra legge regionale è chiara e dice che, nel momento in cui la legge ha efficacia, la regione è obbligata ad attivare una trattativa sul quesito referendario, tant'è vero che abbiamo proposto – come vedrete – un quesito alternativo a quello della Corte.
  La Corte, su cinque quesiti – erano sei – ne boccia quattro, e ci chiede: «Vuoi che alla regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?». Noi abbiamo proposto al Governo per iscritto, formalmente, di poter formulare un quesito più didascalico, che vedesse scritte le 23 materie, ossia le 20 di competenza concorrente più le 3 di competenza esclusiva statale previste dalla Costituzione, interrogando il corpo elettorale già su una sorta di schema-quadro, sicuramente non esploso, come lo sarà la legge che proponiamo e che è in discussione. Il Governo ci ha risposto di no.
  Vi evito la ricostruzione di tutte le trafile nonché di spiegare quanta difficoltà abbiamo incontrato a lavorare e a creare le condizioni per celebrare il referendum. Vi dico solo che oggi la legge referendaria ci dice che, approvato il disegno di legge, siamo pronti per confrontarci con il Governo. Portiamo una proposta che non sarà a fisarmonica e non sarà un abito sartoriale che faremo su misura in base al nostro interlocutore, che potrà inevitabilmente cambiare nel tempo.
  Quello che approva il consiglio regionale vale per qualsiasi coalizione politica che passi o che governerà questo Paese. Lo dico a scanso di equivoci. Qualcuno dice che questa potrebbe essere una discussione che mette in difficoltà l'attuale compagine di Governo. Io penso invece che forse qualcun altro non dovrà dormire sonni tranquilli. Chi arriva comunque si ritroverà l'eredità di un corpo elettorale che è andato in maniera copiosa a votare. È bene che vi ricordi che quel giorno in Veneto – i veneti lo sanno – pioveva, diluviava, e circa il 57 per cento di essi, vale a dire circa, 2.329.000 elettori, se non ricordo male il dato – ricordo che circa 330.000 di essi sono all'estero e non si sono presentati, ma ci siamo presi la briga di fare un calcolo, e i rientrati AIRE sono circa lo 0,1-0,2 per cento – sono andati a votare.
  È difficile pensare che il sottoscritto, nel momento in cui si reca al tavolo delle trattative, vada a rappresentare una parte politica. Io non conosco un partito, non solo in Veneto ma anche in Italia, che valga il 57 per cento. Se ci fosse, avremmo risolto un sacco di problemi nel nostro Paese.
  Penso che la mia responsabilità sia quella di essere assolutamente rispettoso di quello che abbiamo sempre detto. Abbiamo fatto non una campagna elettorale, ma una campagna di informazione referendaria rispettosa Pag. 6 delle idee di tutti. Io ho chiesto di andare a votare, ma non per avere il quorum, bensì perché era bene che in questa fase storica tutti i veneti potessero dire la loro. I veneti hanno ascoltato. Ci sono andati in condizioni climatiche, ripeto, estreme.
  Oggi il risultato è inequivocabile. Penso che qualunque sarà il Governo, il colore politico del Governo, esso dovrà comunque tenere presente tale aspetto.
  Sono anche convinto che si apra una stagione nuova, una stagione della devoluzione, una stagione che ha premiato molti Stati europei che hanno compiuto scelte diverse dalla nostra. Pensate che la nostra Costituzione repubblicana è del 1948 e, come dico sempre, Luigi Einaudi, che assieme a molti altri è stato uno dei padri della Costituente, nel presentarla diceva che a ognuno dovremmo dare l'autonomia che gli spetta. E non dovevamo aspettare il Titolo V della Costituzione nel 2001 per dare a ognuno l'autonomia che gli spetta, perché l'articolo 5 della Costituzione lo prevede già. Potremmo dire che il Titolo V non è altro che un'esplosione dei dettami dei padri costituenti.
  Io penso che questo Paese abbia la necessità di fare una scelta di campo e andare in una direzione autenticamente federalista. Pensate che a Giorgio Napolitano – non lo dovrei citare io, che sono la persona meno indicata per citare l'ex Presidente Napolitano – da Presidente della Repubblica hanno chiesto per lui che cosa fosse l'autonomia, e lui ha risposto che è una vera assunzione di responsabilità.
  Questo Paese deve decidere se far assumere la responsabilità ai territori o no. Qualcuno ci ha chiesto che cosa avremmo detto ai giovani che sono all'estero per convincerli a tornare a casa a votare per il «sì» al referendum, e concludo con questo, poi mi taccio.
  A quei giovani diciamo che, quando vanno via dall'Italia o vanno via dal Veneto, non vanno in Paesi sfortunati, per non usare altri termini, ma in Paesi in cui c'è il federalismo, c'è l'autonomia, vale a dire negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania, in Australia, e premiano quei Paesi in cui comunque l'economia e il modo di fare taglia le catene decisionali, facendo in modo che gli interlocutori del cittadino siano certi e abbiano operatività.
  Abbiamo presentato al consiglio regionale, e ho concluso, questo disegno di legge composto di 54 articoli, che parla delle 23 competenze. Noi andiamo al tavolo e ci andiamo con il sorriso sulla bocca, senza cercare la rissa. Noi non cerchiamo la rissa, bensì cerchiamo di portare a casa, soprattutto visti i risultati del referendum, le 23 materie, ossia le 20 di competenza concorrente più le 3 di competenza esclusiva statale. Ci andiamo partendo da una base dei cosiddetti «nove decimi» nella trattativa. Ci andiamo con una serie di indicatori. Ci andiamo con studi che abbiamo portato e costruito per almeno cinque o sei anni. Porteremo del materiale. Abbiamo investito tantissimo su questa partita, che è una partita che dovevamo e dobbiamo ai veneti. Non aggiungo altro.
  Ringrazio il presidente. Se mi permette, passerei ora la parola al dottor Gasparin per cinque minuti di excursus, che chiarirà anche come è nato questo referendum e la sua storia. Ci sarà poi una parte finale sull'ossatura della richiesta, che è ancora ovviamente non ufficiale.

  MAURIZIO GASPARIN, direttore dell'area programmazione e sviluppo strategico. Il mio compito è quello di illustrare il percorso che la regione Veneto ha assunto e ha svolto nell'ambito dell'attività referendaria avviata.
  Il regionalismo differenziato, nonostante le istanze presentate dal 2001 ad oggi dalla regione Veneto e la disposizione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, non ha mai avuto attuazione ed applicazione. Questa previsione costituzionale avrebbe consentito l'attribuzione alla regione, e in particolare a tutte le regioni virtuose, di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Nel dettaglio, lo Stato avrebbe potuto attribuire al Veneto, che le chiedeva, ulteriori competenze legislative e amministrative ed ulteriori adeguate risorse finanziarie.
  I principali tentativi compiuti dalla regione Veneto nella legislatura 2005-2010 Pag. 7sono rappresentati da una delibera del consiglio regionale, la n. 98 del 2007, e successivamente da ulteriori lettere al Governo per l'avvio di un percorso negoziale legato al tentativo di acquisire maggiore autonomia. Nella legislatura 2010-2015, questi tentativi di avviare tale percorso sono stati formalizzati con più delibere, che qui sono indicate – la deliberazione della giunta regionale (DGR) n. 2097 del 2010, la DGR n. 25 del 2012, recante approvazione del disegno di legge del 2012, la DGR n. 26 del 2012, e così via – tentativi ripetuti per poter avviare appunto questo percorso disciplinato e sancito dalla Costituzione.
  La normativa approvata a livello regionale, con la legge regionale sul referendum consultivo n. 15 del 2014, è stata adottata al fine di dare un nuovo impulso e rafforzare il processo volto a chiedere il riconoscimento di autonomia del Veneto. Il legislatore regionale ha voluto dar voce anche alla volontà del popolo veneto, prevedendo l'indizione di un referendum consultivo in merito all'acquisizione di autonomia da parte della regione.
  Questo percorso è stato sancito ancor più formalmente con la sentenza della Corte costituzionale n. 118 del 2015, a cui faceva prima riferimento il presidente Zaia, che ha mutato l'orientamento rispetto alle precedenti sentenze. La Corte medesima si è pronunciata sulla piena legittimità della legge regionale n. 15 del 2014, che era stata impugnata dal Governo nella parte relativa al referendum sull'acquisizione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
  Quanto all'avvio del percorso, per dare attuazione alla citata legge n. 15 del 2014 sono stati posti in essere anzitutto i seguenti atti: la DGR n. 315 del 2016, attraverso cui la giunta regionale ha approvato una dettagliata proposta per negoziare il contenuto del referendum indicante gli ambiti di maggiore autonomia, quindi la lettera del 17 marzo 2016, con cui il presidente Zaia ha formalmente presentato al Governo la richiesta di avvio del negoziato previsto dalla citata legge n. 15 del 2014 per definire il contenuto del quesito referendario. Il percorso verso l'autonomia è stato, quindi, formalmente avviato.
  Troviamo la risposta inviata dal Governo alla richiesta di avvio del negoziato nella nota del 16 maggio 2016. Il Ministro per gli affari regionali, pur manifestando una disponibilità di massima ad avviare la procedura dell'articolo 116 della Costituzione, ha escluso qualsiasi trattativa sul contenuto del quesito referendario. L'unico quesito possibile, secondo lo Stato, era quello previsto dalla legge regionale, ossia che alla regione Veneto fossero attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.
  A partire dal maggio del 2016, il presidente Zaia ha poi inviato una serie di note istituzionali, e con molteplici note ha appunto chiesto al Governo e al Presidente della Repubblica la fissazione di un'unica data per il referendum sull'autonomia e per le altre consultazioni nazionali, secondo il criterio dell’election day. Ciò avrebbe consentito un notevole risparmio di denaro pubblico. Ha inoltre chiesto al Ministero dell'interno e alle prefetture la collaborazione per l'utilizzo della piattaforma informatica per l'elaborazione e la diffusione dei dati, nonché il supporto tecnico e organizzativo per la gestione del procedimento referendario.
  Le richieste della regione, nel dettaglio, sono state: in data 20 maggio 2016, la richiesta di fissazione dell’election day per il referendum sull'autonomia del Veneto e referendum costituzionale; in data 13 giugno 2016, la richiesta al Ministero dell'interno di collaborazione anche tramite le prefetture; in data 19 luglio 2016, la nota congiunta con la regione Lombardia, in cui si ribadisce la richiesta di fissazione dell’election day; in data 21 settembre 2016, la nota con cui si è confermata al Presidente del Consiglio dei ministri l'intenzione di indire il referendum entro il 2017, auspicando l'apertura di un dialogo; in data 28 gennaio 2017, un'altra nota congiunta con la regione Lombardia contenente la richiesta di fissazione dell’election day in abbinamento con il referendum o con elezioni amministrative; in data 13 luglio 2017, a seguito di ufficiale trasmissione del decreto Pag. 8di indizione e in assenza di risposte, se non interlocutorie, la richiesta di avere riscontro circa l'esecuzione da parte degli uffici statali degli adempimenti di competenza.
  Vengo ora alle risposte del Governo. Oltre a mere risposte di carattere interlocutorio, il Governo ha dato riscontro alle richieste della regione solo alla fine di luglio del 2017. Con nota del 21 luglio, il Ministro dell'interno assicurava l'esecuzione degli adempimenti di competenza statale. Non sono, però, stati concessi né l'esibizione e l'uso della tessera elettorale, con quello che ciò ha comportato dal punto di vista della definizione di diverse procedure per garantire la regolarità di tutte le fasi elettorali, né l'utilizzo del software per l'elaborazione e diffusione dei dati in tempo reale.
  Il 5 settembre 2017 è stata sottoscritta un'apposita intesa con le prefetture del Veneto per disciplinare la collaborazione con gli organi statali per gli aspetti rientranti nell'esclusiva competenza dello Stato, quali l'impiego della forza pubblica, le liste elettorali e via dicendo.
  In occasione del referendum, gli elettori veneti hanno espresso con chiarezza una posizione favorevole all'acquisizione di una maggiore autonomia dallo Stato centrale. Si sono recati alle urne oltre 2.328.000 elettori, per una percentuale pari al 57,2 degli aventi diritto. Si sono espressi a favore della richiesta di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia oltre 2.000.273 elettori, per una percentuale pari al 98,1 dei votanti.
  Relativamente al post-referendum, cui faceva sempre riferimento il presidente Zaia, il procedimento delineato dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, prevede: l'avvio del procedimento su iniziativa della regione interessata, l'obbligo di consultazione degli enti locali, che peraltro è già avvenuta, la necessità di un'intesa tra lo Stato e la regione, l'approvazione di una legge dello Stato a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere sulla base dell'intesa raggiunta, che prevede l'attribuzione di ulteriori competenze alla regione interessata, e quindi una legge di differenziazione nonché l'attribuzione delle risorse finanziarie necessarie per l'esercizio delle nuove competenze nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119 della Costituzione.
  Venendo all'approvazione da parte della giunta regionale del disegno di legge con le richieste di autonomia, il 23 ottobre 2017, quindi il giorno successivo al referendum, la giunta regionale ha approvato la DGR n. 35 del 2017, con la quale ha approvato la proposta di legge statale, che si identifica con la base e l'oggetto del programma dei negoziati. La proposta è stata trasmessa al consiglio regionale, ove è divenuta il progetto di legge statale n. 43, oggi in fase di discussione. Ieri sono finite le audizioni, mentre da oggi sono iniziate le attività delle commissioni competenti, per poi arrivare alla I commissione, nella giornata di venerdì, e trasferire quindi al consiglio regionale la discussione e l'approvazione del progetto di legge.
  In quali materie la regione chiede maggiore autonomia? Vi risparmio l'elenco, ma sono le tre materie di competenza esclusiva statale e tutte le materie di competenza concorrente. Lasciamo comunque agli atti tutta la documentazione e le slide che sono state consegnate.
  Sulle fonti di finanziamento la regione si è ispirata al modello delle province di Trento e Bolzano e, per finanziare tutte le nuove competenze, chiede il riconoscimento delle seguenti quote di compartecipazione ai tributi erariali riscossi nel proprio territorio: nove decimi del gettito IRPEF; nove decimi del gettito IRES; nove decimi del gettito IVA.
  Alcuni elementi evidenziano i livelli di performance delle attività di esercizio di funzioni che vengono svolte nel Veneto. Il Veneto oggi spende meglio ed è la prima regione in Italia per livello e qualità dei servizi al cittadino. Il Veneto è un modello da copiare dal punto di vista della percentuale di dipendenti pubblici ogni mille abitanti: 46, rispetto ai 76 del Trentino-Alto Adige e ai 55 della Sicilia. Il modello veneto dunque conviene al Paese.
  Quali risparmi si potrebbero ottenere se lo Stato e gli enti locali si adeguassero ai parametri di spesa del Veneto? Sarebbero 33 i miliardi di risparmio per lo Stato, con Pag. 9il 14 per cento di possibile taglio delle spese di funzionamento e 373.000 dipendenti pubblici in meno a livello nazionale.
  Il Veneto riceve meno. La spesa statale nelle regioni vale per ogni abitante del Veneto 2.816 euro, per ogni abitante del Trentino 8.092 euro e per ogni abitante della Calabria – sono solo alcuni esempi che abbiamo stralciato da un quadro comparativo che abbiamo analizzato – 4.150 euro.
  Le tasse dei veneti pagano gli sprechi altrui. Il meno 47 per cento è il taglio ai trasferimenti statali al Veneto dal 2011 al 2017 e a 971 milioni ammontano i tagli subìti dalla sanità veneta dal 2011 al 2017.
  In Veneto ci sono meno dipendenti pubblici e più efficienza, giacché, diversamente da altre regioni qui indicate, in esso i dipendenti regionali sono 52 ogni 100.000 abitanti.
  Con l'autonomia ci sarebbero inoltre meno tasse, poiché con più risorse si potrà incidere sulla tassazione IRAP ed IRPEF, sul bollo auto e sui ticket statali.
  Con l'autonomia ci sarebbe altresì più lavoro. La regione Veneto registra un tasso di occupazione nel 2016 del 63,5 per cento, mentre la disoccupazione è al 6,8 per cento. In provincia di Bolzano, il tasso di occupazione nel 2016 è al 73 per cento, mentre quello della disoccupazione è al 4 per cento.
  Roma penalizza il Veneto. Per ogni cittadino veneto lo Stato spende ogni anno 627 euro in meno rispetto alla media delle regioni a statuto ordinario.
  È stata costituita nel Veneto, come accennava prima il presidente Zaia, la Consulta per l'autonomia, composta dalle rappresentanze regionali delle autonomie locali, dalle categorie economiche e produttive del territorio, dalle forze sindacali, dal terzo settore, dall'università e dalla ricerca nonché da altri organismi espressamente interessati e diffusi a livello regionale, in modo da garantire al proprio interno la più ampia rappresentatività del sistema veneto. Essa svolge funzioni consultive e di supporto alla delegazione regionale trattante nel negoziato con lo Stato ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Grazie per l'attenzione.

  LUCA ZAIA, presidente della regione Veneto. Presidente, se permette, chiederei ora di intervenire al professor Antonini e poi al professor Bertolissi per un paio di considerazioni anche da parte loro.

  LUCA ANTONINI, membro effettivo della delegazione trattante per l'autonomia del Veneto. È stato già detto moltissimo. Semplicemente, credo che il referendum del Veneto – lo dico anche da un punto di vista dottrinale e scientifico – abbia riaperto in modo opportuno un dibattito che si dava per chiuso, cioè il dibattito sul regionalismo e sull'assetto della responsabilità in senso federalistico in Italia.
  Don Luigi Sturzo diceva che, se non si fossero rispettate determinate condizioni, le regioni sarebbero state ridotte a invalidi di diritto pubblico. Lo diceva nel 1949.
  Queste condizioni non sono state rispettate, soprattutto dalla legislazione anticrisi, a far data dal 2011 in poi. Già in qualità di presidente della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), ho dovuto constatare che la legislazione anticrisi ha travolto i princìpi di responsabilità, i princìpi che erano stati elaborati all'interno della legge n. 42 del 2009. Si è abbattuta sul nostro sistema una stagione di tagli lineari indiscriminati, che hanno mantenuto la spesa cattiva e scacciato la spesa buona. A farne le spese è stato il sistema di welfare, drammaticamente penalizzato, nonché i servizi ai cittadini.
  Il culmine di questo processo sembrava dover sfociare in una fortissima ricentralizzazione di tutte le funzioni regionali, sia per le regioni efficienti sia per quelle inefficienti, e cioè l'idea era quasi quella di cancellare le regioni. Così si sarebbe buttato il bambino con l'acqua sporca.
  Io credo che questi referendum abbiano avuto nell'immediato la forza di riaprire un dibattito. Si riapre un dibattito che consente di distinguere tra realtà che hanno una tradizione di efficienza e realtà che Pag. 10non ce l'hanno, un dibattito che consente di prendere atto che oggi in Italia abbiamo il paradosso di uno Stato invasivo al nord e assente al sud, e ciò deprime il nostro sistema: in definitiva, un dibattito per dire che bisogna saper distinguere.
  La norma costituzionale, rimasta inattuata appunto per sedici anni, è l'articolo 116. È rimasta inattuata proprio a causa della mancanza della possibilità di effettuare dei referendum come quelli che sono stati svolti. Io credo che questi referendum riaprano la partita e segnino la storia, nel senso di permettere l'attuazione di quella che a mio avviso è stata la disposizione più intelligente della riforma del Titolo V adottata nel 2001, cioè quella del regionalismo differenziato. Se si riapre questa partita, io credo che si riaprirà anche un processo di modernizzazione dell'assetto istituzionale.
  Mi ha molto colpito che la stampa internazionale abbia valutato con molto favore quello che stava avvenendo in Italia, capendo che era un'attuazione della Costituzione volta a modernizzare l'assetto italiano.
  Io credo che ora si possa aprire una stagione che ruota intorno a un principio, quello di responsabilità, che è stato largamente disatteso in questi ultimi anni, soprattutto dentro i gangli della legislazione anticrisi. Credo che questo processo possa andare a vantaggio di tutta l'Italia. Permette di aprire il tappo che rimaneva sul dibattito e fare emergere le grandi contraddizioni con cui ci si deve confrontare. Autonomia significa responsabilità, assunzione di responsabilità. Da questo punto di vista, credo che sia un processo che non può che fare bene al nostro Paese.

  MARIO BERTOLISSI, membro effettivo della delegazione trattante per l'autonomia del Veneto. Farò qualche considerazione, tenuto conto dei miei capelli bianchi e del fatto che mi ricordo, oltre che il post 2001, anche il post 1970, di cui ci si è dimenticati, ma che è estremamente significativo. Lo farò con qualche considerazione, ovviamente proiettata nell'anno di grazia 2017.
  Ho dato una scorsa in questi giorni al dibattito che anche sulle pagine dei quotidiani è seguìto alla consultazione referendaria del 22 ottobre. Circolano tante considerazioni, ma spesso – lo dico con grande franchezza – il pretesto della polemica non è il ragionamento. Io credo che quello che conta siano i dati.
  Winston Churchill diceva: «Credo solo alle statistiche che ho personalmente manipolato», ma al riguardo vi sono dei dati su cui, a prescindere dall'assolutezza dei valori, si concorda.
  Il problema posto dal Veneto, per come io l'ho sempre concepito, si radica non tanto su delle teorie, su delle prospettazioni di carattere generale, su letture in un senso o nell'altro – supponiamo – delle norme costituzionali, ma su quello che accade nella realtà.
  Prima è stata ricordata da chi mi ha preceduto, incluso il presidente, e se ne occupava qualche giorno fa La Stampa di Torino, la richiesta di migrazione dei comuni. Questi sono dati di fatto che attengono innanzitutto a quelli che, se fossimo al tempo delle potenze coloniali, oserei definire i confini degli Stati, intesi come Stato nazione. Qui, invece, si tratta di distruggere o di mettere a repentaglio un'identità di carattere culturale. C'è poco da fare. Anche un asino lo capisce, questo.
  Il comune di Sappada, da una parte, che andrebbe verso il mio Friuli e, dall'altra, trenta o quaranta comuni, non so bene quanti, che vogliono andarsene dal Trentino-Alto Adige, pongono un quesito che riguarda il «perché». Quest'ultimo non attiene alle teorie, ma riguarda invece le condizioni in cui si trovano coloro che stanno da una parte o dall'altra del confine.
  Noi sappiamo qual è la spesa pubblica regionalizzata, che qui prescinde dalle competenze: è tutto ciò che il settore pubblico esercita in termini di funzioni – sia lo Stato, sia la regione, sia le province, i comuni e quello che volete – e quello che spende, a prescindere da specialità e non specialità, e i dati che emergono sono talmente noti, che ormai se ne parla dovunque, e se ne parlava anche su Affari & finanza del 30 ottobre.
  Chi leggesse su Affari & finanza quell'articolo di Ruffolo, che riprende dati a tutti Pag. 11noti, non può non porsi una domanda. Prima di essere violato l'articolo 5 e poi il Titolo V della Costituzione in ipotesi, perché è violato il sistema delle competenze, sono anzitutto violati i princìpi fondamentali. E prima dell'articolo 5, se non altro per un ordine numerico, vengono gli articoli 2 e 3. Mi consenta, presidente, di spiegarvi la storia dei cosiddetti «nove decimi». Adesso, faccio l'avvocato che discute davanti al pretore, come una volta, perché quello è feroce nella sua concretezza, quello era l'avvocato completo che lavorava davanti al pretore, non specializzato, ma specialista in tutto.
  Io non ho mica niente contro quelli del Trentino-Alto Adige. Leggo semplicemente questo:
  il Trentino-Alto Adige «può dare a un dottorando una borsa di studio fino a 700 euro al mese, e a un insegnante 2.480 euro contro i 1.697 del Veneto; può concedere a un'impresa in fase di avvio contributi a fondo perduto fino al 40 per cento della spesa. Il problema è che, se il nuovo motto autonomistico di veneti e lombardi “siamo tutti altoatesini” fosse alla fine esaudito, il rischio di veder polverizzarsi in un colpo solo solidarietà nazionale e sostenibilità dei conti pubblici sarebbe più che probabile».
  Attiro la vostra attenzione su questo dato: ma che cosa significa quest'affermazione dal punto di vista istituzionale?
  Significa che, se il Veneto chiede ad esempio i «nove decimi», cioè di estendere il regime del Trentino-Alto Adige, destabilizza il sistema, come si direbbe? O non è forse il sistema del Trentino-Alto Adige a non essere conforme alla Costituzione? Ve la dico in anteprima mondiale, ma io l'ho scritto sull’Enciclopedia del diritto, avallato dal mio maestro, nella voce Trentino-Alto Adige e, dato che sono un galantuomo, anche Friuli-Venezia Giulia, che il prossimo anno saranno trent'anni. È scritto lì.
  Allora, la domanda è questa: chi è che destabilizza? È questo il problema che deve essere posto, e che attiene alla perequazione vera. Bisogna infatti spiegare, prima che all'ente regione, ai cittadini che stanno da una parte e dall'altra per quale ragione uno è figlio di un dio minore e l'altro di un dio maggiore. Questo è il dato.
  Potrei dire che concludo, perché questa è la premessa delle premesse. Aggiungo che è un problema giuridico-costituzionale, e oserei dire che il profilo giuridico è quello che conta di meno. C'è un problema, invece, di allocazione territoriale delle risorse, e quindi di razionale e ragionevole utilizzo delle medesime in funzione della produzione della ricchezza nazionale. Questo è il dato.
  E coloro che hanno scritto del residuo fiscale – ormai, ci sono cose enormi che datano, risalgono alla notte dei tempi – hanno notato che, se non si corregge il tiro, si portano i libri in tribunale. Se volete, ve la racconto, lo dico al presidente Giancarlo Giorgetti. Quando abbiamo discusso, essendoci costruiti un po’ ad arte una questione in tema di residuo fiscale per chiedere alla Corte che cosa ne pensasse, la Corte ha detto che non era ancora matura, non si riusciva a vedere ancora bene il problema. L'Avvocatura generale dello Stato mi ha confidato, invece, che, dopo aver letto i nostri atti, era diventata nordista, perché aveva capito che il problema erano i loro figli.
  Io mi limito a concludere dicendo che forse vale la pena riprendere lo slogan che circolava agli inizi degli anni Settanta, e qui penso di essere ormai come un Matusalemme del secolo scorso, quando si parlava di regioni per la riforma dello Stato. Si studino i sistemi accentrati e quelli decentrati, si veda dove le cose funzionano meglio e dove la democrazia è più salda e non va in crisi.
  In conclusione, ritengo che dal Veneto, da quest'unità regionale, si possano trarre energie per ripensare molte cose del sistema Paese, con l'idea tra l'altro di fare sperimentazione. Non mi sostituisco a nessuno se dico: lasciate che il Veneto faccia da cavia per il Paese.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, faccio io l'avvocato dello Stato. Siccome faccio il presidente, mi spoglio di quello che mi suggerisce il cuore e pongo Pag. 12subito due questioni, la prima al presidente della regione Veneto.
  Proprio tra oggi e domani, la Camera voterà il provvedimento relativo al comune di Sappada. In base allo stesso principio che ha originato il referendum del Veneto, anche lì hanno fatto un referendum e hanno chiesto di essere aggregati al Friuli-Venezia Giulia. Qual è la sua opinione? Come vede la vicenda, posto che ovviamente il Veneto perderebbe il comune? Si è espresso, credo, il consiglio regionale. Comunque, l'argomento è di grande attualità e credo che possa essere di interesse per tutti.
  La seconda questione è più di carattere tecnico e riguarda i cosiddetti «nove decimi». La procedura dell'articolo 116 della Costituzione, così come l'ho intesa io, parte dalle competenze e arriva alle risorse, nel senso di affermare: «datemi le 23 competenze», e su questo sono assolutamente d'accordo. Sulla base del calcolo di quanto costano allo Stato in questo momento le 23 competenze, vengono quindi trasferite quelle risorse a costo standard o a costo effettivo – questo poi è da discutere, da vedere – e a quel punto si cubano i decimi delle risorse trasferite, che potrebbero essere 9 decimi, 9,9 decimi, 8 decimi, 7 decimi, non lo so. Da lì poi si calcola quanto rimane sul territorio.
  Logicamente, se si capovolge il discorso dei cosiddetti «nove decimi», si fa un discorso di tipo diverso, che non è esattamente quello dei «nove decimi», secondo me assolutamente legittimo anche sotto il profilo politico, ma voglio capire come, nell'ambito della trattativa, riuscite a conciliare queste due posizioni. Qui mi taccio.
  Ci sono domande, oltre a quelle dell'avvocato dello Stato che ho fatto io per conto appunto dell'Avvocatura?

  FEDERICO D'INCÀ. Ringrazio il presidente Zaia, il professor Antonini, il professor Bertolissi e il dottor Gasparin per la presenza odierna.
  Presidente, il 22 ottobre è stata chiaramente una giornata storica. È stato il referendum dei veneti, come abbiamo detto più volte tutti. I veneti hanno vinto questa grande possibilità di essere i primi assieme alla Lombardia – l'Emilia-Romagna ha agìto infatti secondo un percorso diverso – a richiedere l'attribuzione di queste materie, di queste competenze differenti. Siamo all'interno della Costituzione. Finalmente, anche in queste sedi lo hanno compreso. Non parliamo di indipendenza, non parliamo di difformità dalla Costituzione, ma del suo articolo 5, ossia di decentramento e di autonomia, temi importantissimi, più volte discussi anche col professor Bertolissi nei mesi passati.
  Qualcuno nel Veneto ha fatto molto spesso riferimento anche all'astensionismo, invitando cioè all'astensionismo. Credo che sia stato uno degli errori più gravi dal punto di vista politico nonché sul piano dell'etica della cittadinanza. È giusto anche dirselo in questa Commissione, visto che altre volte abbiamo avuto la possibilità di parlarne.
  Il referendum del 22 ottobre segue quello del 4 dicembre dell'anno scorso. Il 4 dicembre 2016 i cittadini hanno bocciato una riforma centralista, in cui si modificava per l'appunto l'articolo 116 della Costituzione, e adesso finalmente possiamo capire se questo Paese merita di avere un decentramento e vedere come funziona un regionalismo differenziato, che può essere anche differenziato nei confronti del centralismo, nel senso che alcune regioni in questo momento forse non hanno la competenza e la capacità di gestirsi e dunque rispetto alle stesse forse occorrerebbe procedere ad una maggiore centralizzazione. Dobbiamo considerare la questione in questa prospettiva.
  Come sa, presidente, io sono bellunese. Credo che dal territorio bellunese, da cui provengo – tratteremo il provvedimento relativo al passaggio del comune di Sappada alla regione Friuli-Venezia Giulia nelle prossime ore, e già alle ore 15 di oggi in Commissione bilancio esamineremo il provvedimento stesso per quanto attiene ai profili di carattere finanziario –, abbia avuto inizio la grande partita dei referendum.
  L'articolo 132 della Costituzione è stato portato avanti dai nostri comuni, che hanno percepito queste differenze enormi in un territorio, soprattutto nella parte alta, che vede uno spopolamento incredibile. Un territorio vicino come l'Alto Adige registra un Pag. 13tasso di 1,76 figli per donna, che è il più elevato nel nostro Paese; nel bellunese invece abbiamo meno di un figlio per donna e facciamo fatica ad eleggere i sindaci, perché molte persone sono iscritte all'AIRE e quindi risiedono all'estero. Il bellunese aveva 45.000 iscritti all'AIRE su 209.000 votanti in tutto, mentre i residenti erano 165.000, quindi abbiamo fatto uno sforzo incredibile per raggiungere il 52 per cento nel bellunese.
  Credo che dalla sofferenza dei territori sia nata questa capacità di rispondere attraverso la Costituzione, secondo una iniziativa che io considero eccezionale. Dal basso verso l'alto, i cittadini vogliono cambiare, si sono appellati agli articoli 132, 116 e 117 della Costituzione. Questo referendum fa parte, quindi, di un percorso che i veneti hanno riscoperto guardando alla Costituzione.
  Sottolineo che vi è stato un referendum anche per Belluno nello stesso momento in cui c'è stato il referendum del Veneto. Chiedo, se possibile – anche se non è tema di questa Commissione –, la massima attenzione. So che lei ha avuto la possibilità di interloquire col presidente della provincia di Belluno, Roberto Padrin, e con molte altre persone del territorio bellunese: mi auguro che tale processo possa proseguire in concomitanza, auspicando che si proceda con un approccio molto allargato.
  Credo che il provvedimento sul distacco del comune di Sappada sarà approvato – ormai, credo che non vi siano veti ulteriori – tra oggi e domani. Poi ci porremo la problematica concernente lo statuto friulano, considerato che per passare al Friuli-Venezia Giulia basta una legge ordinaria mentre per passare al Trentino-Alto Adige occorre una legge costituzionale, quella dei 705.000 euro in termini di nuovi oneri, che sembrano rappresentare la differenza economica tra un cittadino veneto e un cittadino friulano, nonché quella della difficoltà, a mio avviso, di prevedere nei prossimi mesi un'integrazione del cosiddetto fondo Letta, che oggi manca.
  Vorrei inoltre porre alcune rapide domande. Nei lavori di queste settimane, quali spunti avete raccolto dal lavoro condotto nell'ambito della Consulta per l'autonomia? Oltre alla road map che abbiamo visto, esistono già delle date, degli scadenzari in questa trattativa con lo Stato? Avete già qualcosa? Secondo me, questo è un aspetto importante.
  Chiedo anche se vi sia una priorità rispetto alle materie. Personalmente, giudico l'istruzione, l'università, il rapporto con l'innovazione tecnologica quali materie fondamentali per mettere insieme quel tessuto produttivo che ha bisogno di poter ripartire. In questo momento, il Veneto ha bisogno di una nuova imprenditoria. C'è un mondo che sta cambiando in maniera molto veloce, ma ha bisogno che l'università e i nostri giovani siano collegati alle nostre aziende. Oltre che parlare di piccole e medie imprese, vorrei parlare di medie e grandi imprese nel Veneto, quindi ci vuole un salto di qualità enorme.
  Infine, nel corso del tempo, a proposito di questi famosi «nove decimi», – spesso noi parliamo di IRPEF e di tante altre cose diverse – riusciremo a evidenziare le diverse questioni in maniera tecnica? Sento persone che mi parlano di partecipazione al debito pubblico, agli interessi, poi c'è chi parla di 15 miliardi di residuo fiscale e chi di 3 miliardi, pertanto di volta in volta vengono dichiarati numeri diversi. Chiedo quindi ai professori e a chi cura gli aspetti tecnici della regione di poter chiudere una volta per tutte questa partita così ampia.

  SIMONETTA RUBINATO. Le domande più «pesanti» sono già state fatte, in particolare dal presidente della Commissione.
  Io chiedo se sarà possibile, visto che siamo in una fase iniziale, in cui appunto la bozza di intesa è in discussione presso la regione Veneto con gli stakeholder, avere un'ulteriore audizione più in là nel tempo per tenerci aggiornati. Oltretutto, adesso non ho idea se dalle interlocuzioni che avete, dagli obiettivi che vi date si pensi già di concretizzare qualcosa nell'ambito di questa legislatura o si prepari un lavoro che vedrà poi una sua conclusione nella prossima. Su questo punto vorrei cercare di capire almeno quali obiettivi ci si prefigge da parte della regione. Pag. 14
  Al referendum hanno partecipato al voto – lo dico soprattutto per gli altri Commissari che non sono del Veneto – più cittadini di tutti quelli che sono stati mobilitati da tutte le forze politiche nelle elezioni regionali del 2015. Lo stesso dato del «sì» è superiore, sia pure di qualche decina di migliaia di voti, a quello di tutti i partecipanti mobilitati da tutte le forze politiche nelle citate elezioni del 2015.
  È evidente che questo risultato differenzia politicamente il Veneto rispetto al percorso che è stato compiuto in Lombardia e rispetto al risultato che in quest'ultima regione è stato registrato. Io ho sempre sostenuto, infatti, che non è la questione del Nord quella che pone il Veneto, ma appunto una «questione veneta», anche tenuto conto della condizione specifica, essendo tale regione incuneata tra due regioni a statuto speciale.
  Alcuni comuni hanno chiesto, come è stato prima ricordato dal professor Bertolissi, di migrare. Noi abbiamo le persone che migrano in cerca di luoghi in cui ci sono maggiori opportunità, ma in Veneto abbiamo anche la specificità di 18 comuni, quelli che hanno votato e votato a favore del passaggio di confine. Sono 33 quelli che hanno chiesto il referendum, ma quelli che hanno votato e deciso di migrare anche loro per terre che danno maggiori opportunità – è una cosa singolare, la migrazione delle comunità – sono 18.
  Il Parlamento sta esaminando in questo momento il provvedimento relativo al comune di Sappada, ma ci sono anche tutti gli altri in fila. Questo è un tema di rilievo istituzionale e politico non da poco, sia per il Veneto sia per il Paese. È importante il tipo di approccio che su tale questione tiene il Veneto, ed è importante anche quello che tiene il Parlamento nel suo complesso, in quanto stiamo parlando di un interesse anche nazionale.
  Il risultato elettorale dice che la «questione veneta» è qualcosa di specifico, che occorre affrontare sul piano istituzionale e politico in modo specifico. Capisco quindi anche il diverso percorso rispetto alle altre due regioni. Nessuno, a mio avviso, deve avere l'ambizione di essere il primo della classe. Sono condizioni diverse. Lo dice il voto, che sono condizioni diverse, e quindi vanno affrontate in modo diverso, differenziato.
  Non a caso, avevo avanzato in sede di riforma costituzionale una proposta, non in modo populistico né propagandistico, visto che faccio parte della maggioranza, sulla specialità del Veneto. È evidente che qui stiamo parlando di un percorso di autonomia differenziata che cerca di vestire uno statuto specifico per il Veneto. Questo è il tema.
  In realtà, con gli strumenti che ci sono, stiamo parlando comunque di una situazione in qualche modo speciale. In tale contesto il percorso può essere quello di una modifica costituzionale, che però non è dato in questa legislatura realizzare – saranno piuttosto le forze politiche, eventualmente, a misurarsi su questo aspetto anche alle prossime elezioni politiche –, ovvero quello di percorrere fino in fondo ciò che ho sempre sostenuto, vale a dire valorizzare gli strumenti che già sono presenti in Costituzione, al fine di ottenere risposte, come ha detto bene il professor Bertolissi, alle domande poste dai cittadini, domande che in base ai princìpi costituzionali esigono per l'appunto una risposta.
  Sugli obiettivi che ci si dà la questione che pongo è la seguente, tenuto conto che quanto al resto gli aspetti fondamentali sono già stati evidenziati anche dal presidente della Commissione: un'intesa, una trattativa come questa, su 23 materie, anche molto ambiziosa sul piano delle risorse, richiede comunque un adeguato sostegno finanziario sia che si parta dalle competenze, che a mio giudizio è il percorso che prevede l'articolo 116 della Costituzione, sia che si parta dalle risorse. Stiamo infatti parlando di risorse importanti. Che si parta dalle une o dalle altre, è una partita così complessa che a mio avviso richiederà anche dei tempi minimi, certamente non brevi.
  La mia domanda è: si è fatta una valutazione se vi sia la possibilità di tenere quasi una sorta di doppio binario, relativo da un lato ad un tema di cornice concernente la specificità di strutturazione di Pag. 15un'intesa ambiziosa e alta – lo chiede la volontà popolare e sarà un tema con cui si dovranno confrontare tutti i governi regionali e tutti i Governi nazionali in questa fase –, dall'altro alla necessità di accompagnare ad esso trattative più specifiche per cominciare a dare delle risposte più immediate ad alcune esigenze forti espresse dalla regione Veneto, dalla sua comunità, dalla società veneta?
  Non essendo molto addentro alla questione e non seguendo dal punto di vista regionale il percorso, credo comunque che provare a tenere – è una domanda, comunque, la mia – un doppio binario possa aiutarci anche a cominciare a dare alcune risposte che da tempo i veneti aspettano.
  Relativamente al tema del comune di Sappada che va al voto, i comuni hanno cominciato a votare al referendum per passare oltre confine nel 2005, l'ultimo referendum mi pare si sia tenuto nel 2014, e questo dimostra pertanto come vi sia l'urgenza di cominciare a dare alcune risposte.
  La domanda sul comune di Sappada l'ha già rivolta anche il presidente Giancarlo Giorgetti, quindi su questo punto specifico mi astengo.

  DANIELE MARANTELLI. Qualche settimana fa, avevo proposto ai colleghi della presente Commissione bicamerale di renderla protagonista di questo processo per sottrarlo a un confronto che fosse circoscritto alle regioni e al Governo. Credo che noi abbiamo l'interesse a mettere questo tema così spinoso su binari trasparenti, coinvolgendo quindi fin dall'inizio anche il Parlamento. Com'è ovvio, se si vuole andare in fondo non in maniera generica, c'è bisogno, come si sa, di una legge del Parlamento.
  Mi scuso con il presidente Zaia, ma ero relatore in Commissione difesa su un provvedimento che doveva essere approvato necessariamente nella giornata di oggi. Avevamo bisogno di presentarlo entro oggi, perché domani sarà oggetto di discussione a Bruxelles. Non ho ascoltato, quindi, la sua relazione, ma ne leggerò con attenzione il resoconto.
  È evidente che c'è una differenza tra la Lombardia e il Veneto. Io conosco bene la Lombardia, perché da lì provengo, meno il Veneto. Ritengo che anche il lavoro che è stato fatto prima con la presentazione delle slide possa essere molto prezioso.
  È peraltro del tutto chiaro che, se la legge n. 42 del 2009 ha segnato il passo, non è per questa o quella responsabilità politica. Sarebbe un esercizio ozioso. Probabilmente essa ha segnato il passo perché il 2011, come ha detto correttamente credo il professor Antonini, ha travolto con la legislazione di emergenza ogni principio di responsabilità, con conseguenze, che oggettivamente bisognerebbe riconoscere, sul welfare, ma non solo, e sui comuni.
  Il lavoro svolto in questi anni non è stato, però, inutile. Io credo che anche in questa Commissione abbiamo raccolto degli elementi preziosi, che sono rappresentati dai dati e che io ritengo abbiamo l'esigenza di far conoscere. Se vogliamo modernizzare questo Paese, occorre abbandonare l'idea dei tagli lineari o della spesa storica ed applicare invece quella dei costi standard, coniugandoli con la capacità fiscale dei singoli territori.
  In questo senso, credo che la domanda rivolta dal presidente Giancarlo Giorgetti e ripresa anche da altri colleghi, relativa ai cosiddetti «nove decimi» ed alla sequenza delle priorità, rappresenti il cuore delle questioni che in questa sede interessa approfondire, anche perché ritengo che sulle singole materie oggetto di attribuzione di competenze si tratterà di capire, ovviamente, non solo quali sono i costi ma anche la metodologia di calcolo degli stessi.
  Poiché a mio giudizio abbiamo tutto l'interesse a rendere questa discussione chiara, senza punti opachi o posizioni propagandistiche, sono del tutto convinto che, rispettando le competenze di ciascuno – ovviamente, la trattativa fondamentale sarà condotta tra le regioni interessate e il Governo – sia nostro interesse rendere questo confronto il più pulito e trasparente possibile.
  Presidente Zaia, mi scuso se non ho ascoltato la sua relazione, che leggerò, ma ritengo che il cuore del problema non possa essere affrontato a colpi di slogan. Bisogna «mettere i piedi nel piatto», come si usa Pag. 16dire, e cercare di capire, anche perché le maggioranze nazionali e regionali possono nel frattempo variare. Io credo che i tempi, da un punto di vista obiettivo e realistico, siano stretti, ma che tutti abbiano l'interesse a porre la questione su binari corretti.
  Sinceramente non so, professor Bertolissi, se siano stati violati nel tempo gli articoli 2, 3 e 5 della Costituzione. Non sono un esperto. So, però, che a molti anni di distanza una riflessione sul ruolo delle regioni a statuto speciale, sui confini e l'adeguatezza dei confini delle regioni così come attualmente sono, forse è tempo di farla.

  FEDERICO FORNARO. Voglio ringraziare anch'io di quest'audizione il presidente Zaia e tutti coloro che sono intervenuti.
  Credo che questa sia la sede istituzionalmente corretta per affrontare tale questione, e do atto al presidente di averlo fatto nella maniera istituzionalmente più corretta, fuori da logiche puramente propagandistiche.
  Sono ovviamente rimasto anch'io perplesso, come il presidente Giancarlo Giorgetti, dalla slide sui cosiddetti «nove decimi», ma questo è un tema abbastanza evidente. Credo però che questo possa e debba diventare, di fatto, un tema su cui occorra confrontarsi già nella prossima campagna elettorale. È del tutto evidente che la questione, così com'è stata posta, necessita di una risposta.
  L'unica cosa che non si può fare all'indomani di una partecipazione al referendum nei termini che sono stati in precedenza ricordati è, secondo l'italica maniera, cercare soluzioni dilatorie. Da questo punto di vista, il quesito parlava di maggiore autonomia, e c'è uno spettro di trattativa, di confronto con lo Stato nazionale che, se posto nei termini in cui è stato posto quest'oggi, il Governo e chi sarà chiamato ad avere responsabilità in questo senso nella futura legislatura non potranno non affrontare.
  A mio avviso, e concludo, ciò pone e riapre una questione che in questa Commissione abbiamo sottolineato più volte e che potrebbe in qualche modo anche risultare collegata. Vi è in altre parole un ragionamento che attiene all'articolazione dello Stato, e quindi, per essere chiari, al tema delle province, al tema della cosiddetta riforma «Delrio», se non addirittura a quello della sua ulteriore riforma. Occorre cioè ripensare, a questo punto, all'architettura complessiva dello Stato, operazione questa che probabilmente passa anche attraverso uno snellimento ovvero sulla base di logiche che possono andare anche nella direzione di una maggiore autonomia, ferma evidentemente restando la necessità di porre attenzione al complesso dei costi di mantenimento della macchina statale nel suo insieme, a cominciare dal debito pubblico e dal costo del servizio del debito. Credo che quest'ultimo non sia un aspetto che possa essere trascurato, ben sapendo qual è il peso esercitato da tale fattore sui nostri bilanci, intesi come bilanci nazionali.
  Ringrazio ancora davvero gli intervenuti. Per quel che mi riguarda, fuori dalle logiche giornalistiche, questo è un approccio che considero – sebbene lo si possa non condividere per intero – sicuramente serio e istituzionalmente corretto.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Zaia per la replica.

  LUCA ZAIA, presidente della regione Veneto. Partirei dal fondo, ovvero dalle considerazioni da ultimo svolte dal senatore Fornaro.
  Le posso garantire che spesso la gran cassa di risonanza, che è quella della comunicazione, non rispecchia l'approccio che ho tentato di garantire in tutti questi mesi. Credo che l'onorevole Rubinato possa confermare che la campagna istituzionale della regione Veneto è stata asettica, anche da un punto di vista della banale cromia dei colori utilizzati, incentrata sul fatto che chiunque dovesse ricevere solo l'informazione che si andava a votare. Non abbiamo neanche fatto campagne per il «sì». Questo deve essere chiaro. Abbiamo rispettato in maniera pedissequa la norma, e soprattutto i cittadini.
  Parto dal fondo ma per rispondere un po’ a tutti voi, iniziando ovviamente dal Pag. 17quesito posto dal presidente Giancarlo Giorgetti.
  Debbo dire, con un piccolo inciso, che fino a qualche giorno fa – passatemi quest'espressione – si voleva far credere che il referendum non serviva. Adesso il referendum è una «grande roba». Come diceva il professor Antonini, addirittura ne ha parlato la stampa internazionale, e il professor Bertolissi ne ha parlato citando degli articoli. Voglio ricordare, però, che poi si è tentato di dire che stiamo parlando solo di competenze, ma non di risorse. Ho sentito anche questi dibattiti uscire dai cosiddetti «Palazzi».
  La verità è che l'articolo 116 della Costituzione è molto chiaro e chiama in causa anche l'articolo 119, e quindi alle competenze devono corrispondere le risorse.
  A quanto ammontano queste risorse? Se gli elicotteri, secondo un esempio che facciamo sempre, costano x, allora vuol dire che si trasferisce x, ma vorrei anche capire se quegli elicotteri si facevano volare, se si faceva il pieno, se si pagava l'elicotterista a bordo, se c'era il copilota, quante ore di volo facevano all'anno. In un'azienda si farebbe cioè la due diligence.
  Con lo Stato è difficile fare la due diligence. Lo vedo dalla regione Sardegna, che addirittura dà vita a una società per controllare i conti dello Stato per potersi confrontare alla pari rispetto a quello che dice, con un atto che è oggi oggetto di impugnativa davanti alla Corte costituzionale. Staremo a vedere se la Corte dice che la Sardegna ha ragione o meno a porre la questione.
  Io ho avuto una brevissima esperienza ministeriale – mi rivolgo agli onorevoli Fornaro e Marantelli ma un po’ a tutti voi – e debbo dire che sui conti è difficile venire fuori con una due diligence. Ho parlato quindi, in maniera prudenziale e precauzionale, di «nove decimi». Da lì discutiamo. Se il Governo ha le carte a posto, non ha altro da fare che metterle sopra il tavolo e la partita si risolve.
  Al di là degli slogan – mi creda, onorevole Marantelli – il nostro obiettivo è quello di portare a casa un risultato per i cittadini. Dico anche all'onorevole Rubinato, che parla di un doppio binario, di cui uno solo di trattativa, che la verità è che non firmeremo mai un'intesa se l'intesa sono pacche sulle spalle e riflettori. Non ci interessa, ma non lo dico come provocazione. Lo dico perché è difficile tornare a casa da 2.400.000 veneti e dire loro che abbiamo fatto una bella intesa, che l'autonomia comunque c'è e si vede: la sera dopo ci obiettano che le strade sono ancora con i lampioni spenti, il che vuol dire che l'autonomia non ha portato la luce.
  Noi siamo preoccupati di questo, ma penso che, al di là di tutto, dovrebbe costituire una preoccupazione anche per le forze politiche. Apprezzo il discorso che prima hanno fatto gli onorevoli Rubinato e Marantelli, e non solo, nel senso che alla fin fine la regione Veneto dovrebbe diventare un laboratorio, come diceva il professor Bertolissi.
  Se disconosciamo i dettami dei padri costituenti e del Titolo V della Costituzione, a questo punto chi andrà a governare o chi sta governando abbia il coraggio di proporre la soppressione del Titolo V e di gran parte dell'articolo 5 della Costituzione, e lì si chiude la partita. Decidiamo che questo Paese dovrà essere centralista, ma non lo si potrà dire ad esempio ad un lombardo come lei, che sa che comunque più si è vicino alla fonte decisionale, più si ha libertà di movimento e più PIL si crea, non solo per la regione ma per il Paese intero.
  Noi abbiamo degli studi sul PIL e su quanto vale l'autonomia rispetto al PIL nazionale e regionale che ci dicono che comunque essere autonomi vuol dire oltretutto anche portare più tasse a Roma.
  In generale, senatore Fornaro, e non solo, io sento sempre parlare di questi «nove decimi» ed anche lei, presidente Giancarlo Giorgetti, ha rivolto questa domanda, di solito tipica dell'opposizione.

  PRESIDENTE. Ho fatto l'avvocato dello Stato.

  LUCA ZAIA, presidente della regione Veneto. No, ha fatto l'avvocato del diavolo, non dello Stato.

  PRESIDENTE. Appunto.

Pag. 18

  LUCA ZAIA, presidente della regione Veneto. Al di là delle battute, si parla dei cosiddetti «nove decimi», ed è la preoccupazione, che abbiamo anche noi, della solidarietà e della sussidiarietà. Se avessimo voluto disconoscere la solidarietà e la sussidiarietà, avremmo chiesto la secessione. Abbiamo portato invece un progetto per l'autonomia.
  Allora, alla luce di questo, il nostro progetto non ha nulla a che vedere col progetto catalano. Anche questo è stato un grande dibattito che molte anime belle hanno tentato di portare nel territorio durante il referendum. Si è tanto preoccupati della solidarietà e della sussidiarietà, ma anche il senatore Fornaro prima citava il debito pubblico: preoccupiamoci piuttosto di quei 33 miliardi di sprechi, ad esempio, che sono tranquillamente sprechi. È inutile che vi stia a citare i 24.000 forestali della Sicilia e i 400 del Veneto, giacché quei 33 miliardi, senatore Fornaro, valgono un terzo dell'interesse sul debito pubblico.
  Direi: discutiamo di tutto ma, come diceva lei, prima parliamo dell'applicazione dei costi standard e dei fabbisogni standard, e cominciamo a dire che un pasto in ospedale in Veneto costa 6,5 euro e non 60-80 euro, come qualcuno lo fa pagare, tipo «stella Michelin», a qualche ammalato in giro per l'Italia.
  Torniamo direttamente sul tema, quello dell'assunzione di responsabilità. Ho l'impressione che queste riforme, se si affrontano e se non si ha paura delle responsabilità, ci permetteranno di condurre una trattativa in chiaro. Per forza dovrà essere in chiaro. Lei ha ragione quando lo dice. Se si fa la trattativa e sarà in chiaro, troveremo anche un sacco di belle cose. Con questa trattativa, noi entriamo in una stanza buia e accendiamo la luce. Questa è la verità.
  I conti dello Stato oggi non li conosciamo. Quanti sono i debiti fuori bilancio? Abbiamo, ripeto, una regione, la Sardegna, che addirittura si pone il problema, nella gestione della propria specialità, di controllare la sua controparte, che fornisce numeri e conti che forse non tornano. Abbiamo ancora in piedi contenziosi con l'Unione europea che esistono da decenni, perché i conti non tornano.
  Per noi, questa è una grande preoccupazione. I cosiddetti «nove decimi» partono da lì. Se fossimo in un Paese come la Germania, dove comunque c'è un rigore, o la Svizzera, si potrebbe anche discutere. Noi mettiamo le mani avanti.
  C'è un concetto che ci ha penalizzato, che è quello del «Nord-Est». Bisogna fare una legge in Italia per bocciare la dicitura «Nord-Est». Non utilizzatela più nelle leggi, nelle relazioni, negli articoli di giornale. Il Nord-Est non esiste. Il Nord-Est è: il Trentino-Alto Adige, con le sue due province autonome, il Friuli-Venezia Giulia, a statuto speciale, e il Veneto, a statuto ordinario e con le sue 600.000 imprese, che cerca di sbarcare il lunario e fa fare poi i numeri al Nord-Est. Fate una legge, fate qualcosa, proponete che non esista più il concetto di «Nord-Est».
  Penso di aver risposto a tutti.
  Sappada è l'ultima partita. Guardate, io sono un referendario impenitente, parafrasando quanto diceva don Sturzo nel 1949, quando si definiva un «federalista impenitente». Io sono per l'appunto un referendario impenitente. Abbiamo dato il via libera, il benestare a tutti i movimenti autonomisti in Veneto, perché crediamo che quando il popolo chiede di essere ascoltato, debba essere ascoltato. Ciò non toglie che abbiamo una posizione su queste partite.
  Se dobbiamo fare un'analisi, vediamo che abbiamo i comuni che vanno verso l'autonomia. Noi confiniamo, sia pure solo per un pezzettino, con l'Austria, però lì ci sono un po’ di montagne, e quindi là non ci chiedono di andare, anche perché ci sarebbero altri ovvi problemi, nonché col Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia, e tutti i comuni che chiedono di andar via dal Veneto vanno in quella direzione. Non ho un solo comune, su 575, che mi chieda di andare in Emilia-Romagna o in Lombardia, che pure sono due belle regioni, due grandi opportunità. Non me lo chiedono!
  Se qualcuno pensa che la partita di Sappada inizi e si chiuda con Sappada, si sbaglia. Domani ci sarà un'altra Sappada. Pag. 19Sono lì tutti pronti. C'è Cortina, c'è Lamon, c'è Cinto Caomaggiore, l'Altopiano di Asiago, tutte partite che non si possono risolvere con questa formula, a meno che non si decida di garantire lo sbocco a mare al Trentino-Alto Adige. Allora, diamo tutto il blocco del Veneto, e questa potrebbe essere una partita risolutiva finale, ma penso che questo non sia neanche serio da un punto di vista istituzionale.
  Io rispetto al massimo l'espressione referendaria. Voglio anche ricordare che 954 hanno votato «sì» mentre 49 hanno votato «no». Oggi, in queste ore, c'è una chiamata di popolo, vedo che ci sono oltre 200 firme raccolte per dire di «no». Non ho ben capito che cosa stia accadendo. Certo è che si sono vendute anche un sacco di illusioni su questa partita.
  Le guardo con rispetto e guardo con rispetto a questa partita, né farò mai un ingresso a gamba tesa, perché non è il mio ruolo e non sarebbe corretto, ma è pur vero, se devo esprimere una posizione personale, non istituzionale, che si sono fatte promesse di Eldorado, di giardini dell'Eden, e mi chiedo anche come facciano a garantirle il giorno dopo, visto che dopo Sappada ci saranno un sacco di altri comuni, e a quel punto la torta diventerà sempre più risicata per tutti.

  SIMONETTA RUBINATO. Vorrei aggiungere solo una cosa, in maniera niente affatto polemica. Giustamente, il presidente Zaia istituzionalmente ha espresso adesso una posizione personale su Sappada, ma l'articolo 132 della Costituzione esige che sia la regione in quel percorso ad esprimere un parere, e quindi è anche importante conoscere il parere della regione su Sappada. Il Parlamento può fare l'interesse nazionale se ha l'elemento dell'indicazione chiara della regione.

  LUCA ZAIA, presidente della regione Veneto. La regione esprime i pareri in maniera formale, attraverso il consiglio regionale.
  Ma so, da quanto ho capito un paio d'ore fa, che il presidente del consiglio regionale ha scritto alla Presidenza della Camera, mi sembra di aver capito per un vizio di forma o simile.
  Io non mi occupo delle scartoffie. So che esiste anche questo aspetto, quindi sarete voi poi a valutare quale sarà l'esito di quest'interlocuzione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio voi tutti, il presidente Zaia e tutti i collaboratori che lo hanno accompagnato in quest'occasione, anche per la documentazione consegnata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato) che ribadisco essere stata qualificante per la Commissione e per il Parlamento. A proposito delle esigenze di chiarezza e trasparenza, tengo a precisare che non vi è sede più trasparente del Parlamento. Quando andranno a parlare col Governo, nessuno saprà che cosa si diranno, mentre qui c'è la web-tv e viene assicurata tutta la pubblicità necessaria e opportuna.
  Vi ricordo infine che domani, alle ore 8, audiremo il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, sullo stesso tema.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.

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