XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 126 di Martedì 3 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) nell'ambito dell'esame dello schema di decreto ministeriale recante approvazione della stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario e della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo, di cui all'articolo 1, comma 380-quater, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (atto n. 438) (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Castelli Guido , Sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 4 
Ferri Andrea , Responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 4 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Paglia Giovanni (SI-SEL-POS)  ... 10 
Zanoni Magda Angela  ... 11 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11  ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) nell'ambito dell'esame dello schema di decreto ministeriale recante approvazione della stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario e della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo, di cui all'articolo 1, comma 380-quater, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (atto n. 438).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) nell'ambito dell'esame dello schema di decreto ministeriale recante approvazione della stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario e della nota metodologica relativa alla procedura di calcolo, di cui all'articolo 1, comma 380-quater, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (atto n. 438).
  Nel ringraziarlo per la disponibilità dimostrata, cedo quindi la parola all'avvocato Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno, delegato ANCI per la finanza locale.

  GUIDO CASTELLI, Sindaco di Ascoli Piceno, delegato per la finanza locale dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Grazie, presidente. L'occasione ci è utile per tornare ancora una volta su un argomento che è stato già oggetto di lunghe disamine. Come è noto, risale a quella che doveva essere la fisionomia del meccanismo di perequazione delle risorse comunali concepito dalla legge n. 42 del 2009, che aveva un obiettivo sicuramente condivisibile e commendevole, ovvero superare il sistema storico di riparto delle risorse comunali, che era frutto delle riforme Stammati di fine anni Settanta, le quali avevano prodotto delle torsioni e dei disallineamenti evidenti e significativi nel meccanismo di alimentazione del sistema comunale.
  Come più volte abbiamo detto, ahimè, l'iniziale intuizione, che aveva una sua organicità e una sua sistematicità, è andata via via corrompendosi per effetto di una serie di situazioni che, nel frattempo, congiunturalmente, hanno prodotto una radicale trasformazione degli intendimenti iniziali che avrebbero dovuto ispirare il sistema di perequazione.
  La «legislazione di guerra» – questa è l'espressione che Bordignon spesso usa per descrivere quello che è accaduto in Italia e, in particolare, nel comparto dei comuni – ha creato delle situazioni che il sistema pubblico, all'interno del quale individua anche l'ANCI, ha dovuto governare con aggiustamenti continui, improntati a una valutazione spesso pragmatica, che tendeva ad adattare i risultati di tutte queste trasformazioni, tutte queste modifiche e tutte queste situazioni che si erano aggiunte al quadro, al paesaggio che era stato definito dalla legge n. 42 del 2009, per cercare di sistemare le cose ex post, spesso impegnandosi, Pag. 3 però, nella classica operazione del tentativo della quadratura del cerchio. Perché? Che cosa è successo? Lo dico in senso politico, ma anche il decreto ministeriale impatta su questa situazione, che non può non essere ricordata. Cosa è accaduto? È successo, in particolare, che lo Stato via via ha abbandonato ogni forma di alimentazione del sistema perequativo.
  Il sistema perequativo, com'è noto, si fonda unicamente sul meccanismo di travaso interno tra comuni rispetto alla modulazione di tre elementi: fabbisogno standard, capacità fiscali e ripartizione stessa. Il fatto che il meccanismo di alimentazione abbia ormai segnato una fuoriuscita totale dello Stato rispetto ai meccanismi di perequazione ha indotto il legislatore, ma anche il tecnico, a dover adattare i meccanismi di distribuzione interna alla luce di una considerazione che prescindeva totalmente dalla sufficienza e dall'adeguatezza delle risorse. La torta rimaneva quella, anzi, via via si riduceva e il criterio di ripartizione doveva produrre il risultato, impossibile in sé, di assegnare a ciascun comune ciò che era, in base a quell'algoritmo, opportuno e giusto, ma prescindendo da qualsiasi considerazione di adeguatezza. Si doveva comunque far di conto partendo e presupponendo che le risorse fossero quelle date, e date unicamente dai valori messi in campo orizzontalmente dai comuni. Questa situazione, già di per sé incresciosa, si è vieppiù complicata con la mancata attivazione dei LEP, di quei livelli che avrebbero dovuto rappresentare un ancoraggio rispetto anche a un giudizio di adeguatezza del meccanismo. È giusto e lecito perequare nella misura in cui si sa esattamente ciò che è giusto e ciò che è necessario che venga assegnato a ciascun comune. Questa è stata la seconda torsione: lo Stato che si ritira dal meccanismo, la torta che rimane fissa e rigida, i LEP che non consentono di dare una valutazione di merito sull'insieme delle risorse che vengono affidate e di cui si ritiene giusto che i comuni dispongano.
  Si aggiungono altri piccoli avvenimenti ed evenienze che hanno ulteriormente complicato la situazione, come il blocco della leva fiscale, che non ha consentito neppure ai comuni che avevano margini per poter perequare, confidando nella possibilità, tuttavia, di attivare nuove risorse. Da ultimo, si aggiunge anche un insieme di situazioni economico-finanziarie che hanno ulteriormente sterilizzato la spesa nell'ambito del comparto dei comuni. Mi riferisco evidentemente ai tagli, che ora sono stati virtualmente eliminati. Poi c'è qualche taglio occulto di cui bisognerà un giorno parlare, magari in occasione dell'esame della legge di bilancio. Infine, c'è anche la nuova contabilità, con l'obbligo del fondo crediti di dubbia esigibilità, che in misura crescente sottrarrà capacità di spesa ai comuni. Il quadro è veramente complicato per poter dare una valutazione su una metodica che, però, si cala su una situazione così compromessa ex ante.
  Noi siamo consapevoli, dovendo e volendo rappresentare tutti i comuni, che la revisione metodologica produce delle antinomie e delle criticità anche significative. Non sono criticità che possono essere banalizzate con la solita polemica tra Nord e Sud, perché non è di questo che si tratta. In realtà, è molto più random l'effetto che a terra si registra dell'applicazione delle revisioni. Su questo sicuramente bisognerà lavorare, ma dobbiamo essere onesti intellettualmente: ciò che è necessario – ed è fra le proposte dell'ANCI che riguarderanno anche la legge di bilancio – è comprendere che, fintanto che non si torna a un impegno dello Stato centrale rispetto a uno stanziamento aggiuntivo in senso verticale, la perequazione sarà non voglio dire una lotta fra poveri, ma un «cubo di Rubik» che sarà difficilmente regolarizzabile secondo quelli che erano gli auspici della legge del 2009.
  La nostra proposta, non volendo e non potendo sposare soluzioni tecniche che riproducono antinomie e discrasie fra comuni, è sostanzialmente questa: cogliere l'occasione per chiedere probabilmente una moratoria di questo sistema. Fra le nostre proposte nella piattaforma dell'ANCI, che credo in questi giorni sia stata elaborata, c'è anche quella di arrestare l'aumento della quota che, nella distribuzione del Pag. 4fondo, il prossimo anno dovrà passare dal 40 al 55 per cento, salvo che non vi sia un intervento di risorse statali che, abbinandosi alla definizione dei LEP, possa consentire di mettere un po’ di ordine in questa materia. Diversamente, dovremo assistere a una serie di effetti che saranno sicuramente produttivi di criticità, diseconomie e ulteriori tensioni all'interno del comparto dei comuni. È giunta l'ora probabilmente di ripensare la finanza locale.
  Dopo aver registrato gli ultimi commenti su quella che sarà comunque la fine della legislatura, come diceva il presidente, ritengo questo sistema particolarmente stressato perché le metodologie e le procedure sono tali per cui i comuni sanno tardi e spesso casualmente il destino che tocca loro in sorte. Il lavoro, per quanto assiduo, scrupoloso e dinamico, di chi deve poi curare la distribuzione delle risorse è tale che generalmente viene vissuto dai nostri ragionieri come un messaggio dell'imperatore che arriva nella bottiglia, quando la programmazione di bilancio richiede ordinariamente una maggiore razionalità e tempestività.
  La nostra idea è quella, possibilmente, di fermare le bocce e di creare le condizioni per cui gli effetti di queste revisioni – che in sé sono revisioni condotte con scrupolo e intelligenza; la guida di queste operazioni di adattamento è sicuramente solida e lavora – cerchino veramente di risolvere un'aporia, una contraddizione radicale e assoluta.
  Concludo, passando la parola al dottor Ferri. Non esiste un indicatore che mostri quali sono le risorse sufficienti e adeguate per alimentare le funzioni che fondamentalmente siamo chiamati a esercitare. Esiste una situazione di compressione della spesa progressiva ed esiste il blocco delle aliquote, che non consente di areare il meccanismo a favore di coloro i quali cedono quote della loro IMU e del loro gettito a chi, invece, è ritenuto destinatario di assegnazioni positive. In questo meccanismo temo che non vi sia un'applicazione matematica che possa ovviare a un problema che richiede sicuramente un intervento più sostanzioso e permanente dello Stato centrale.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Ferri per i dettagli tecnici.

  ANDREA FERRI, Responsabile dell'Area finanza locale e catasto dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). In questo contesto la perequazione è stata avviata nel pieno del periodo dei tagli, con il 2015. Era l'ultimo anno di un taglio che valeva, nell'ultima tranche, quasi 1,5 miliardi.
  Noi abbiamo lavorato dal lato dei fabbisogni normativamente, perché il decreto legislativo n. 216 del 2010 attribuisce all'IFEL, nell'ambito di un accordo con l'ANCI, una collaborazione nella qualità di partner scientifico di SOSE, che è, invece, il soggetto incaricato dei fabbisogni standard.
  Sulle capacità fiscali la responsabilità non è ugualmente codificata, ma è stata di fatto praticata un po’ nello stesso modo a cura del MEF, Dipartimento delle finanze, che è il dominus della faccenda: il tutto puntando a una condivisione che poi viene sancita da un accordo di Conferenza Stato-città, con un meccanismo di concertazione di qualche genere. Naturalmente, è stato un lavoro di collaborazione e di concertazione aspro, nel senso che le determinanti del sistema sono molto variegate. Abbiamo dovuto fare i conti con un atteggiamento da parte di alcuni degli attori che faceva prevalere in maniera radicale elementi tecnici e timesheet e temporizzazioni dei lavori molto stretti per cercare di accelerare i tempi nella definizione dei trasferimenti. In ogni periodo abbiamo avuto l'occasione di fornire un contributo in contraddizione, in contrasto o in cooperazione, alla fine cercando una sintesi.
  Per semplificare e per puntualizzare, nel 2015 abbiamo puntato l'attenzione sul fatto che la perequazione portava a una penalizzazione eccessiva di comuni piccoli, non sempre evidentemente ricchi di base imponibile, verso i quali, in particolare, la proiezione, che all'epoca era fino al 100 per cento delle capacità fiscali – si cominciava con il 45,8, che poi è rimasto provvisoriamente fino a quest'anno – abbiamo cercato Pag. 5di portare argomenti anche quantitativi. Intendevamo far notare come nemmeno comuni noti come stazioni sciistiche o ridenti baie di porticciolo turistico possano sopportare, dal punto di vista di principio e anche dal punto vista pratico, riduzioni di risorse del 65-70 per cento. Questa era la proiezione a regime della prima edizione della coppia fabbisogni standard e capacità fiscali.
  Questo fu un punto abbastanza importante, sull'onda del quale tra il 2015 e il 2016 lavorammo, a volte, inizialmente, in maniera anche artigianale, per togliere alcune storture che riguardavano in prevalenza comuni di piccole dimensioni. Penso a quella – che sia noi, sia altri, anche recentemente, abbiamo portato alla vostra attenzione – del caso di redditi eccezionali in comuni piccoli, con pochi contribuenti. L'utilizzo della media, in questi casi, è distorsivo, perché non rappresenta una ricchezza effettiva media, ma l'effetto di un caso di cittadini facoltosi in un contesto che magari è abbastanza spaiato e diverso. L'uso della mediana non è, quindi, rappresentativo.
  Nel prosieguo, tra il 2015 e il 2017, abbiamo avuto due edizioni di fabbisogni standard, due edizioni di capacità fiscali e altrettanti aggiornamenti annuali. Questo ha dato al sistema una notevole instabilità ed è un punto critico dell'argomento, perché anche fare correzioni giuste, ma ripetute, rischia di portare a uno sconcerto nella platea. L'ideale sarebbe avere uno schema che fornisca all'ente un target di riferimento di medio periodo sul quale l'ente si aggiusti nel suo agire. Sa che si può aspettare risorse aggiuntive, sa che si deve aspettare delle penalizzazioni e, gradualmente, riesce ad agire.
  Noi abbiamo avuto, invece, anche per quest'anno, il 2017, un determinato numero di comuni con la revisione dei fabbisogni standard e l'aggiustamento solo dei dati delle capacità fiscali. Abbiamo avuto un 10 per cento di comuni che venivano penalizzati o premiati nell'anno precedente, mentre nell'anno successivo cambiavano di segno, magari anche di poco. Questo non è in sé un indicatore assoluto, ma è significativo del fatto che, così com'è organizzato, il sistema non garantisce un'adeguata stabilità. Approfondendolo, si può dire se è impossibile. Lavorare su 8.000 comuni è un fatto inedito. Credo che in nessuna parte del mondo si ragioni di capacità fiscali, dotazioni standard e via elencando di ciascun singolo comune appartenente. Si fa per i Länder, per le regioni, per le province e per i distretti, ma arrivare al singolo comune con questa precisione rende inevitabili errori di rilevazione, molto banalmente.
  Nel 2017 – vengo alle capacità fiscali – si è attivata una revisione metodologica delle capacità fiscali che comprende in sé, ovviamente, anche l'aggiornamento dei dati, che erano fermi al 2012. Con questa revisione si è, naturalmente, colta l'occasione per aggiornare i dati al 2015, allineandoli ai fabbisogni standard. Le capacità fiscali dovrebbero darci la base di riferimento fiscale normale che ciascun ente può azionare nell'esercizio della propria autonomia fiscale. Dalla capacità fiscale tendono a essere escluse le imposte o i prelievi che, di per sé, sono discrezionali in assoluto, ovvero i prelievi atipici come quello alla base di riferimento del prelievo sulle categorie D, che è un gettito statale alla base. Il comune può soltanto azionare la base fiscale. Si dovrebbe, invece, valutare la capacità ordinaria dell'ente. Già questo assunto, questa ordinarietà, comporta diverse scelte, di cui avete discusso nelle precedenti audizioni sullo stesso tema, riguardante il perimetro delle entrate da considerare. È assolutamente dubbio che l'addizionale IRPEF debba inequivocabilmente entrare nella base fiscale. L'addizionale IRPEF è un'entrata discrezionale ed è, invece, inserita dentro la capacità fiscale per una considerazione storica: una gran parte dei comuni fin dal 2015 l'aveva applicata e, pur non essendoci un livello standard di aliquota, come accade per l'IMU e per la TASI, si poteva immaginare di emulare il livello standard con una mediana. Abbiamo usato l'aliquota dello 0,4 per mille, fin da allora, ottenendo una soluzione abbastanza equilibrata, almeno finché qualcuno non blocca la leva fiscale, nel qual Pag. 6caso i – mi pare – 1.600 comuni che stanno a zero o al 2 per mille possono obiettare di venire regolati al 4, ma di non poter neanche arrivare a questo 4. Comunque, l'addizionale IRPEF è proprio un caso nascosto di incongruenza, con una regolazione che la considera a un dato livello.
  Le modifiche che abbiamo introdotto dentro il sistema sono tutte, singolarmente prese, ragionevoli, allo stato dell'arte della conoscenza, della percezione e dell'equilibrio intrinseco.
  Vorrei arrivare prima alla fine, per poi riprendere il tema. Quello che non facciamo normalmente, per il modo in cui viene svolto il processo di analisi e delle capacità fiscali e dei fabbisogni, è un'analisi attenta degli effetti. La nostra richiesta di analisi attenta degli effetti è stata presa, da parte dai nostri interlocutori, come un'ulteriore posizione difensiva. Ci hanno accusato di voler andare a vedere che succede e poi di aggiustare qua e là. Non è affatto questo. Alla fine, abbiamo ottenuto una riunione, dopo un accordo con il Governo nella primavera 2016. Ad aprile scorso abbiamo fatto una riunione sugli effetti nella Commissione tecnica fabbisogni standard sugli effetti complessivi della perequazione, perché non c'è alcuna sede per fare questo lavoro. La Commissione tecnica fabbisogni standard si occupa dei fabbisogni standard. Le capacità fiscali, sotto il ministero, sono un'altra cosa. Il DPCM del fondo è un ombrello che ricomprende tutti gli aspetti, ma non c'è una sede stabile, che potrebbe anche essere la Commissione; oppure potrebbe essere un mandato che si attribuisce alla concertazione del fondo. Non lo so, ma questo spezzettamento ci porta a deprimere l'analisi degli effetti.
  È questo, secondo me, per arrivare alla conclusione e poi riprendere le motivazioni, che sono, a mio parere, piuttosto importanti, che ha portato a uno sbilanciamento del calcolo delle capacità fiscali rispetto a un equilibrio rispettabile che era stato raggiunto con la revisione dei fabbisogni standard dell'anno scorso, su cui bisogna trovare il modo di ritornare.
  Noi abbiamo intuito, dal lato tecnico, che ha per me la sua importanza, ma è uno degli aspetti, un problema di aggiustamento del miglioramento del calcolo della capacità fiscale residuale. È questo il punto principale. Tanti fattori agiscono, ma, quando c'è una riduzione complessiva del 28 per cento e, sempre per motivi di fissità di risorse e di meccanicità del metodo, il valore totale produce lo stesso coefficiente che vale 100 per tutti i comuni (la partecipazione alla nuova torta, per dirla con il professor Zanardi), l'effetto redistributivo o lo si va a vedere in maniera approfondita, oppure si rischia di considerare come una questione minimale e marginale un cambiamento che è sottostante al meccanismo. In altri termini, non c'è alcun dispositivo che dica che, se la capacità fiscale diminuisce da 28 a 25 miliardi, lo Stato ne mette il 50 per cento, perché c'è una mancanza di risorse. No: c'è un recinto che vale sempre il 100 per cento. Prima cubava, prendendoli chissà da quali enti specifici, una stima di 28 miliardi. Adesso c'è un recinto che vale una stima di 25 miliardi e il riparto tra questi enti è una somma che vale sempre cento, così, come diceva il Presidente Castelli, le risorse della perequazione sono, per volontà superiore, stabilite a un dato livello. Non c'è nessuna tecnica che ci dice che le risorse standard dei comuni devono essere 100, 150 o 200. Ci sono un Governo, un Ministero del tesoro e un Parlamento che stabiliscono delle asticelle, senza porsi in quella fase alcun problema di livelli essenziali o di adeguatezza: si dà per inteso che quel livello sia giusto. Quindi, questo lo dico anche riflettendo sull'ultima fase della valutazione delle capacità fiscali, è tanto più importante l'insistenza sull'analisi degli effetti, perché, anche a fronte di una razionalità sostanziale di tutte le modifiche che sono state fatte, noi dobbiamo poi competere con una realtà che non è elastica, ma che ingabbia una realtà normativa metodologica generale in una cornice in cui si attua la ripartizione delle risorse, che è fissa e che, quindi, ci può condurre a risultati che non sono coerenti con le intenzioni.
  La capacità fiscale residuale, che è il punto principale, diminuisce del 28 per cento da un anno all'altro, ossia dalla fase Pag. 7precedente a quella successiva e, naturalmente, le variazioni di questa diminuzione possono produrre esiti importanti. Perché diminuisce? Questo è un primo punto che forse è stato un po’ trascurato. Non diminuisce per una sensazione, per un sentimento a priori che dice che forse è esagerato. No, diminuisce, in primo luogo, perché la cosiddetta Y, ossia l'ammontare dei residui, che non sono né IMU, né TASI, né rifiuti, né addizionale – tutte imposte o tariffe che non possono essere analiticamente studiate ciascuna per sé, perché non esistono i dati omogenei per farlo, né le aliquote, né la base imponibile e via elencando – era stata contata nella prima edizione di questa metodologia in modo errato, per esprimersi in estrema sintesi. Errato in che senso? Normalmente, per valutare qual è la quantità da stimare con un modello e poi da ristimare con i coefficienti in modo standard, si cercano i dati di bilancio, i gettiti che poi devono essere standardizzati. Il catasto ci dà delle proxy, come nel caso dell'IMU, tutte cose complicatissime, che occupano diverse pagine, ma che sono molto più semplici dal punto di vista concettuale. Si tratta di ricostruire una base imponibile per altri immobili, una base imponibile per le abitazioni principali di lusso e una base imponibile per i terreni. Ognuno ha quello che noi abbiamo chiamato Sudoku, perché sono una serie. Se lo vedete, si nota un poco nella nota metodologica. Qui si applica questo, qui quell'altro, qui si fa un confronto. Sono meccanismi che erano già collaudati con le stime standard del 2012-2013 dell'IMU. Diciamo che hanno retto in qualche modo una riduzione dovuta a un andamento calante del gettito, ma non dovrebbero aver determinato un cambiamento distributivo di grande rilevanza. Il contraltare di questi gettiti sulla capacità fiscale residuale era stato fatto su una serie di entrate che soffrivano di moltissime anomalie di iscrizioni in bilancio e di condizioni particolari degli enti.
  Faccio un paio di esempi. Il certificato al conto consuntivo conteneva, nella voce «altre imposte, altre tasse» delle quote disomogenee da area ad area. Per esempio, noi abbiamo preso il 2012. C'era una serie che, purtroppo, portava un picco nel 2011-2012 di 11 miliardi. Quindi, abbiamo preso proprio il peggio che si poteva prendere nel 2014. Alcune ampie fasce di comuni contingenti e anche un po’ casuali in Lombardia e in altre regioni rispettavano una certa strana sentenza della Corte dei conti che diceva che gli arretrati dell'ICI andavano in «altre imposte», invece di metterli nella risorsa ICI del bilancio. Riflettevano le altre tasse gli andamenti alterni del tributo sui rifiuti, che si chiami TIA, TIA2, TARSU (poi si è passati a TIA1 e TIA2). Lì dentro c'era una quota – erano 1.200 i comuni che erano passati e che continuavano a ricevere arretrati – di quei soli comuni che avrebbe dovuto essere tolta virtualmente e posta altrove, in un concetto rifiuti, al limite, anche se non era nemmeno questo il caso. Cito a memoria, perché non ho la distribuzione di quelle serie storiche, ma si tratta di circa un miliardo di euro, cifre che avrebbero potuto essere casualmente inserite da un comune per un motivo e da un altro comune per un altro. Ci sono alcune imposte che possono essere istituite da una minoranza dei comuni. Voi avete discusso dell'imposta di soggiorno, chiedendo perché pagare 4 euro (per esempio, io a Genova ho pagato 2 euro). Un'imposta di soggiorno che viene istituita da alcune centinaia di comuni italiani, per motivi che lo stesso professor Zanardi ha spiegato, a rigore avrebbe dovuto essere tolta fin dall'inizio, ma ciò non è stato fatto. In realtà, il danno che causa non è di non penalizzare abbastanza coloro che l'hanno istituita se ci si mette il tributo. Il danno che causa è un danno di regressione. In mezzo a tutti quei punti dei comuni che l'hanno istituita abbiamo una serie di zeri, che sono la grande maggioranza. Quella retta sarà sensibile un po’ agli zeri e un po’ ai numeri. È un modello di regressione. Si possono aggiustare tante cose, ma, insomma... Toglierla, in realtà, consentirebbe di evitare l'effetto spalmatura di qualcosa che non va spalmato, piuttosto che non aggravare chi dovrebbe essere ragionevolmente aggravato, in quanto tenutario di qualcosa in più. Pag. 8
  La questione è analoga sulle entrate per TPL. Vanno tolte le entrate da TPL. Perché? Perché su 1.000 circa – non mi ricordo quanti siano, ma stiamo sempre parlando di una minoranza di comuni – i comuni che fanno TPL in Italia a norma di fabbisogni standard. Saranno anche di meno, se guardiamo la funzione vera e propria. Comunque, qualche spesa a titolo di TPL riguarda una minoranza di comuni, che viaggia intorno al migliaio.
  Alcuni di questi comuni hanno delle tariffe in bilancio. La gran parte non ha le tariffe in bilancio, perché le gestisce qualcun altro, attraverso un contratto di servizio. Anche lì una minoranza di anomalie, per di più relative a un servizio che ha un suo conto specifico, rischiava di spalmare qualcosa in giro senza motivazione.
  Passo al servizio idrico. Non è una funzione fondamentale ed è estremamente variegato tra gli enti, perché è prevalentemente una voce di arretrati. Tutte queste scelte sono scelte ragionevoli e difendibili.
  Dimenticavo una questione tipica di quegli anni, purtroppo: il cambio dei trasferimenti da FSR a FSC. Per una serie di ritardi con cui i ministeri hanno indicato come bisognasse fare entrare in bilancio le cose si è prodotto, per un dato numero di enti, l'entrata lorda dell'IMU dentro il bilancio e una fuoriuscita di qualcosa. Bisognava, quindi, anche aggiustare alcune semplici e diverse classificazioni di bilancio.
  La serie che abbiamo ricostruito con queste depurazioni è una serie molto più robusta. Certo, abbiamo tolto, ma abbiamo tolto le cose che rischiavano di disturbare fortemente.
  Le altre novità sono tutte più piane. Abbiamo riprodotto la stima standard IMU-TASI in un modo abbastanza collaudato, abbastanza di sicurezza.
  Qual è il punto? Il punto è che, in una diminuzione media di quelle dimensioni, che ha al suo interno un –5,6 dell'IMU e un –2,7 dei rifiuti, che poi vanno comunque a sterilizzarsi, e un –3,5 della capacità fiscale residuale, se si guardano le regioni, il singolo comune e le fasce di reddito, a seconda di quanta distanza c'è da questa media, emergono le differenze.
  Qui abbiamo un effetto specifico di peggioramento per i piccoli comuni fino a 5.000 abitanti, ma marcatamente fino a 1.000, e un effetto penalizzante per le classi medio-alte da 100.000 e più abitanti. Qui devo reinterpretare, ma diciamo che tra i 60.000 e i 100.000 c'è un certo equilibrio, mentre dai 100.000 in su c'è un effetto generalmente negativo.
  Vedendo le grandi città, che risaltano agli occhi, perché è più facile parlarne e vederle, abbiamo aumenti di capacità fiscale a Roma, Milano e Napoli dell'ordine dal 3,1 al 4,6 per cento. Qui c'è solo capacità fiscale, non l'effetto perequativo generale. Abbiamo un picco a Taranto di 5,9 per cento, che fa parte di quella distorsione su cui è necessario approfondire e riflettere ulteriormente, e qualche picco negativo a Bologna, che ha un –4, una cifra piuttosto importante. Le altre città stanno tra il –2,5 e il +1,6-1,7.
  Passo al punto che abbiamo il dovere di proporre alla vostra attenzione, parlando di effetto perequativo globale, non di effetto perequativo di effetto della sola capacità fiscale. Abbiamo fatto una simulazione sull'andamento del fondo, che però, in effetti, restituisce una situazione molto vicina a quella che abbiamo visto sulla capacità fiscale.
  Pertanto, abbiamo una situazione nella quale ciò che ha guidato, anzi ciò che sta guidando, perché non c'è ancora lo schema perequativo 2018, ciò che sembra guidare lo schema perequativo 2018, è la riduzione di capacità fiscale relativa di alcune fasce. Questo ci deve preoccupare, dal mio punto di vista, sul piano tecnico per un difetto di analisi di risultato, più che di analisi tecnica dei singoli argomenti.
  Vorrei solo ricordare che anche quest'anno, in cui pure eravamo in una situazione molto favorevole dal punto di vista della costruzione delle capacità fiscali, siamo arrivati con una deadline richiesta, che era il 13 luglio, se non sbaglio. Abbiamo risposto che il 13 luglio noi non eravamo in grado di guardare le cose, considerato che loro non sapevano nemmeno che cosa avessero messo dentro i vettori. C'è un problema se lavoriamo su 6.600 enti, perché Pag. 9qui siamo in area RSO senza isole. Quindi, c'è bisogno di tempo.
  Alla fine, siamo arrivati a dieci giorni ulteriori, nei quali abbiamo lavorato proprio su questo che probabilmente è il punto essenziale, ossia un'ancora imperfetta trattazione dei redditi. Noi ci siamo convinti di questo. Può darsi che ancora non siamo arrivati al vero nocciolo, al nocciolo profondo della faccenda. In base alla prima analisi della messa insieme di queste cose, siamo convinti che quello che abbiamo fatto per evitare che una città a basso reddito strutturalmente fosse messa in confronto con un'altra città uguale ma ad alto reddito strutturalmente – questo è stato il lavoro di quei dieci giorni, che è arrivato a un correttivo dentro il metodo attualmente rilasciato – ossia che questo meccanismo, sia stato corretto probabilmente non a sufficienza, perché ci sono degli elementi di base che...
  Su questo io non so esprimermi. Non spetta a me. Non so quali siano i margini effettivi di intervento, ma è certamente utile che una preoccupazione di questo genere, se condivisa, venga raccolta e considerata.
  Quello che mi preme sottolineare, in conclusione, è che non c'è alcun meccanismo strutturale che agisce di fatto contro la Campania e la Liguria, le due regioni che hanno un maggiore impatto. Non c'è un retropensiero su come funzioni questo o quello. Di volta in volta, ci siamo trovati a porci il problema, anche in questa Commissione, di stare attenti alle caratteristiche di turisticità dei luoghi, che dovrebbero essere ben compensate. Di nuovo, però, essendo una tecnica complicata, si deve vedere sugli effetti. L'anno scorso lo vedemmo e lo pubblicammo, mi pare, anche con voi. Comunque, comunicammo alla Commissione fabbisogni standard che il mutamento dei fabbisogni standard non danneggiava, anzi migliorava un pochino, il trattamento di parecchi comuni turistici.
  Questo, di per sé, può non essere un pregio, perché, se lo si fa a spese indebite di altri, non lo è. Voglio solo ricordare che abbiamo sempre avuto questo tipo di situazioni.
  Non c'è una impostazione di un dato genere. C'è un'impostazione che è sicuramente sfavorevole strutturalmente ai piccoli comuni. Di questo dobbiamo renderci conto. Se qualcuno ha il retropensiero che così si stimolano le fusioni, è un brutto retropensiero, perché le fusioni bisognerebbe stimolarle, o imporle, o fare quello che si può fare nell'ordinamento. Effettivamente, però, c'è perché, mentre nelle grandi città c'è un po’ di bilanciamento, anche se sono con fabbisogni inferiori alla spesa storica, quindi corrette mediamente, mentre nelle grandi città la crescita dei fabbisogni da congestione viene a soccorso della spiegazione di alte spese pro capite, nei piccoli comuni questo non avviene.
  Forse lì sotto il profilo tecnico occorre ragionare un po’ meglio sulle attività di presidio, che devono essere salvaguardate. Come si ammette che una grande città abbia un cerimoniale – non so se lo consideriamo, ma consideriamo che ci sono spese generali anche più grandi – così la funzione di presidio e il fatto di non poter fare a meno di determinate figure, anche che non siano pienamente impiegate nella maniera più efficiente, è un tema che potrebbe essere importante.
  C'è anche la cappa di un meccanismo che non sarà mai in grado di fare quello che gli si chiede dall'esterno. Non si potrà mai chiedere a una redistribuzione attraverso i fabbisogni standard fatta con l'equilibrio, con i compromessi, con le attenzioni e con tutti i crismi che si vogliono introdurre nella tecnica, che garantisca che le aree sottodotate del Paese riescano a non essere sottodotate.
  Perché? Perché noi agiamo al margine e non è pensabile che questo meccanismo di redistribuzione, che agisce al margine, anche se alla fine sarà 1-1,5 miliardi di trasferimento solo perequativo, supplisca all'idea di un'eventuale insufficienza e inadeguatezza delle risorse complessive. Non ce la faremo mai.
  L'illusione che c'è in determinate campagne di stampa e anche in taluni discorsi politici secondo cui dobbiamo fare gli asili nido nel Sud dove mancano con la redistribuzione è totalmente fuorviante. Non ce Pag. 10la faremo mai in quel modo. Anche se mettessimo tutte le formule giuste, riusciremo al massimo a smontare qualche asilo nido dove c'è. È il massimo del risultato che si possa ottenere con questo meccanismo.
  Questo vale ugualmente anche in parte per le aree interne e per tante altre cose. Se ci sono politiche nazionali, si devono fare con fondi di settore e con quelle supplire, con gli incentivi, con gli obblighi, con i bandi o con quello che sia, a ciò che manca. Dopo 9 miliardi di tagli è impensabile che noi abbiamo risorse sufficienti non solo per tenere i servizi di chi ha le alte tasse, ma anche per rimetterli a posto. È un fatto, quantitativamente e – perdonate – anche politicamente del tutto fuorviante.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIOVANNI PAGLIA. Ringrazio per le due relazioni, che credo abbiano anche segnato un passaggio evolutivo rispetto alla prima fase.
  Sono perfettamente d'accordo con quello che diceva adesso il dottor Ferri. L'ho provato malamente ad articolare anche la settimana scorsa, quando in Aula abbiamo avuto modo di fare una discussione su mozioni che sostanzialmente avevano a che vedere esattamente con il fondo di solidarietà e comunque con la finanza locale.
  Rimane un tema per cui, se non c'è un rifinanziamento con risorse statali del sistema dei comuni e delle autonomie locali, abbiamo un problema a prescindere. Anch'io credo che l'idea che attraverso meccanismi di perequazione interna si possano sanare storiche differenze nei redditi e nelle capacità fra aree diverse del Paese sia un'illusione.
  Nonostante questo, credo che ci sia un fatto politico, molto prima che tecnico. Quando si va a cambiare una metodologia, si deve andare a guardare il risultato. A me dispiace, ma domani chiederò conto – almeno personalmente, ma credo che dovremmo farlo anche come Commissione – ai tecnici, in questo caso a Marattin, del fatto che non sia stata coinvolta l'ANCI anche in termini di risultato, ma solo in termini di metodologia pregressa.
  Penso che in questa questione conti molto più il risultato della metodologia. Si tratta di una questione politica, non di una questione accademica. Fatte 100 le risorse, se si cambia la metodologia e questo fa sì che ci sia chi ne ha di meno e chi ne ha di più, non si può che valutare da quel punto di vista il cambio della metodologia, non dal punto di vista della sua migliore capacità interpretativa.
  Credo perfettamente che il metodo di quest'anno abbia affinato errori pregressi, ma il dato di fatto è che, nel momento in cui lo si licenzia, si va a determinare un cambiamento più o meno sostanzioso nell'attribuzione delle risorse.
  Penso, quindi, che questa Commissione, almeno questo è il mio intendimento, come tale dovrebbe interpretarlo. La mia posizione, in questo momento – domani e dopodomani abbiamo ancora due audizioni e possiamo continuare il dibattito – è che o si vanno a riguardare alcune cose a partire dai risultati attesi, come si poteva anche suggerire, ma credo che questo ci porterebbe a rischiare di andare in avanti con i tempi al punto tale da creare più problemi di quanti se ne risolvano, oppure si congela il cambiamento di metodologia.
  Credo che non sia indispensabile ai fini dell'utilizzo del fondo perequativo cambiare metodo. Si può anche serenamente – credo che venisse suggerito anche dal sindaco – andare avanti un altro anno e prendere per buono anche questo pezzo di dibattito intellettuale e anche metodologico, per poi arrivarci. Se poi lo si dovesse fare in un quadro in cui lo Stato centrale mette qualche risorsa in più, si facilita anche un dibattito sulla perequazione interna meno stressato dal fatto che lo si sta facendo in una condizione in cui molti enti locali fanno oggettivamente fatica a chiudere il bilancio, o stanno pensando già adesso di chiuderlo più o meno alle condizioni dello scorso anno. Se uno va a dire loro che anche solo di poco si faranno delle modifiche in più o in meno, ci sarà chi avrà Pag. 11il regalo e chi la penalizzazione, ma mette in difficoltà il sistema.
  Se oggi dovessi dare un consiglio al Governo, direi che è stato fatto un lavoro, che non è da mettere nel cassetto in termini definitivi, di cui è opportuno sospendere l'efficacia, perché non si vede a quale risultato miri nel fare questo. Al di là di un vezzo intellettuale, rimane il risultato pratico.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Faccio qualche ragionamento a voce alta, perché ho appena sentito le due relazioni. Sono un po’ meno convinta del collega Paglia di chiedere di saltare un anno e di non cambiare la metodologia, proprio per le considerazioni che sono state fatte. Le richieste di cambiamento sono ragionevoli perché c'è stato un problema a monte, che ci sta, perché, quando uno fa dei percorsi, si comincia, si sperimenta e poi ci si rende anche conto che ci si era dimenticati di qualche cosa e si fanno gli aggiustamenti.
  Io, quindi, su questo fronte avrei una posizione un po’ più morbida. Se si è già sbagliato e negli anni scorsi abbiamo penalizzato dei comuni, non li dobbiamo continuare a penalizzare adesso, in nome della continuità.
  Spererei, però, in un sistema più stabile e probabilmente in un sistema un po’ semplificato. Questo è un elemento che ci siamo già ripetuti qualche volta. Questo fatto per cui i comuni non riescano a capire in tempi ragionevoli quale sarà il fondo che interviene sui loro bilanci è un problema. Se poi aggiungiamo che non si può neanche vedere l'anno precedente e dire che, più o meno, sarà come l'anno precedente, perché intervengono tutti gli anni dei cambiamenti, questo effettivamente è un problema.
  Tenendo conto che l'ANCI sicuramente si è fatta carico di valutare i riflessi sugli interi comuni dell'Italia, non può tener conto di qualcuno sì e di qualcuno no. Il problema sta nel punto che è già stato sollevato, ovvero nel fatto che da una perequazione di tipo verticale si è passati a una perequazione di tipo orizzontale e che probabilmente il sistema così individuato richiede tanti adattamenti e soprattutto che ad ogni adattamento si hanno dei riflessi sull'intera platea.
  Se si avesse un sistema di perequazione verticale, ogni comune si terrebbe le sue entrate e poi ci sarebbe un fondo che, di volta in volta, potrebbe anche cambiare, perché magari si vanno a premiare determinate situazioni piuttosto che altre, determinati comportamenti rispetto alle fusioni. I criteri possono essere altri, ma c'è la propria base ed è su quella che si valutano gli effetti dei risultati delle due politiche.
  Il problema è che in questo momento i comuni mettono in atto magari delle politiche virtuose. Si fa un recupero dell'evasione e si rischia di essere penalizzato, perché si sono fatte delle politiche virtuose. È il gioco della torta, che è sempre quella.
  Se, invece, avessimo un sistema verticale, se io mettessi in atto delle politiche virtuose, i risultati me li terrei tutti io e poi qualcun altro, se è in difficoltà per qualche motivazione, riceverebbe un più che gli servirebbe per perequare.
  Devo dire, però, che, a questo stadio della valutazione dell'analisi – poi ne parleremo insieme all'onorevole Paglia per valutare come scrivere il parere e fare la bozza di proposta – tenderei a fare tesoro anche dell'audizione di oggi. Non vorrei rinviare di molto i tempi, perché uno degli aspetti positivi che abbiamo già sottolineato anche le altre volte è che questa volta esprimiamo un parere a un provvedimento che consente ai comuni, almeno per una parte, se non ancora per il tutto... Anziché frenare questo, tenderei a dire di accelerare perché anche la parte sui fabbisogni sia pronta e perché i comuni abbiano al più presto la distribuzione del fondo di solidarietà comunale nel complesso.

  PRESIDENTE. Aggiungo due osservazioni conclusive. In primo luogo, speravo che la combinazione con i fabbisogni standard in qualche modo riducesse gli effetti evidenziati da Zanardi la settimana scorsa. Invece, mi sembra di aver capito che questo effetto palliativo non ci sarà. Domani ascolteremo il professor Marattin, ma il problema rimane. Pag. 12
  Come seconda considerazione, in questo impeto positivista per arrivare al risultato ottimale per tutti gli 8.000 comuni d'Italia – forse un po’ meno, perché non ci sono le regioni a Statuto speciale – e ottenere la situazione perfetta, dobbiamo renderci conto che questa situazione perfetta non ci sarà mai.
  Io penso che sia corretto il ragionamento di fare il sistema senza andare a vedere i risultati finali, perché evidentemente le decisioni che sono state prese, che sono state giustificate qui, probabilmente rispondevano a una logica e a una razionalità anche scientifica. Quindi, sono state fatte correttamente. Tuttavia, il risultato finale è un risultato che in qualche modo disturba e che politicamente diventa poco accettabile e poco difendibile.
  Qui si scontrano due diverse tendenze. Può darsi che magari l'assetto che oggi abbiamo all'esame sia quello corretto e che forse non fosse corretto quello dell'anno scorso o di due anni fa. Non lo so, ma, secondo me, dobbiamo cominciare a entrare in una riflessione: questa perfezione che continuiamo a inseguire non ci sarà mai e forse abbiamo non dico esagerato, ma tutti questi elementi di dettaglio assolutamente poco comprensibili alimentano per i danneggiati un senso di ingiustizia che sarà difficilmente spiegabile o rimediabile. È una riflessione proprio di tipo generale. Purtroppo, dovremo farcene in qualche modo una ragione e tutti se ne dovranno fare una ragione.
  Comunque, domani proseguiamo con Marattin. Vi informo che il Governo, e in particolare l'onorevole Baretta ha chiesto di poter rinviare alla settimana prossima l'audizione prevista originariamente per giovedì, perché devono fare approfondimenti. Anche loro probabilmente si sono resi conto adesso dell'effetto finale di tutta questa operazione e probabilmente l'audizione – saremo più precisi domani – si terrà mercoledì prossimo alle 8.
  Domani mattina è confermata, invece, l'audizione alle 8 del professor Marattin.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per il loro intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.