XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 121 di Mercoledì 26 luglio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Giorgio Alleva, su disuguaglianze, distribuzione della ricchezza e delle risorse finanziarie (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Alleva Giorgio , presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Zanoni Magda Angela  ... 8 
Marantelli Daniele (PD)  ... 9 
Fornaro Federico  ... 9 
Zanoni Magda Angela  ... 9 
Paglia Giovanni (SI-SEL-POS)  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
Alleva Giorgio , presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ... 10 
Paglia Giovanni (SI-SEL-POS)  ... 10 
Alleva Giorgio , presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Alleva Giorgio , presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ... 10 
Paglia Giovanni (SI-SEL-POS)  ... 11 
Alleva Giorgio , presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ... 11 
Oneto Giampaolo , responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT ... 11 
Fornaro Federico  ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Fornaro Federico  ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Oneto Giampaolo , responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Oneto Giampaolo , responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT ... 12 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Oneto Giampaolo , responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT ... 12 
Giungato Gerolamo , dirigente del Servizio trattamento e verifica della qualità dei dati di finanza pubblica dell'ISTAT ... 13 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 

Allegato n. 1: Intervento integrale del Presidente Istat, Giorgio Alleva ... 15 

Allegato n. 2: Allegato statistico ... 31 

Allegato n. 3: Dossier: il censimento permanente delle istituzioni pubbliche ... 41

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Giorgio Alleva, su disuguaglianze, distribuzione della ricchezza e delle risorse finanziarie.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, del Presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Giorgio Alleva, su disuguaglianze, distribuzione della ricchezza e delle risorse finanziarie. Si tratta di un tema affascinante, da affrontare, ovviamente, in modo preliminare a quelli che normalmente affronta la nostra Commissione.
  Ringrazio il professor Alleva e i suoi collaboratori per la disponibilità e per aver risposto al nostro invito e do la parola a Giorgio Alleva per lo svolgimento della relazione.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. In questa audizione l'ISTAT intende offrire alcuni approfondimenti utili ai lavori della Commissione sul tema «Disuguaglianze, distribuzione della ricchezza e delle risorse finanziarie».
  La diversità tra le aree del Paese nella capacità di generare reddito è un tema di fondo, con cui si deve confrontare qualsiasi forma di federalismo fiscale.
  In questa audizione fornirò, in primo luogo, una sintetica rassegna delle principali evidenze sulle differenze territoriali nella capacità di produzione del reddito, da un lato, e nel reddito disponibile delle famiglie, dall'altro, considerando i grandi flussi che generano una minore sperequazione del secondo rispetto al primo.
  Proseguirò con la lettura dei principali indicatori di disuguaglianza nei redditi e nelle condizioni economiche delle famiglie e concluderò con la presentazione di un quadro sulle risorse finanziarie degli enti locali, illustrando gli andamenti degli aggregati di finanza pubblica più rilevanti e i principali indicatori economico-strutturali, per mettere in luce gli effetti derivanti dall'adozione dei decreti attuativi della riforma del Titolo V della Costituzione.
  Prima di cominciare, però, permettetemi di spendere poche parole per rappresentarvi l'impegno dell'ISTAT nella produzione di informazioni utili per l'attuazione del federalismo fiscale, una delle priorità indicate dall'organo di governo del sistema statistico nazionale.
  Un progetto strategico, in questo ambito, è il Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche, di cui l'ISTAT ha recentemente diffuso i primi risultati. Il dossier allegato contiene una breve descrizione del Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche e una lettura dei principali risultati per i servizi pubblici a livello provinciale. Di questi risultati vi proporrò una breve anticipazione in chiusura di questa audizione. Pag. 4
  Il Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche è importante, non solo per le informazioni raccolte, ma anche per la frequenza con la quale esse vengono rese disponibili: non più ogni dieci anni, bensì ogni anno (informazioni sulla struttura e sulle principali variabili economiche) e ogni due anni (informazioni tematiche su comportamenti e strategie). Questa tempistica consentirà, tra le altre cose, di aggiornare costantemente la mappa territoriale dei servizi offerti attraverso la georeferenziazione dei centri della loro erogazione e delle risorse umane e strumentali dedicate.
  Desidero anche ricordare che la recente riforma della contabilità pubblica ha introdotto importanti modifiche, che hanno interessato lo Stato e tutto l'insieme delle amministrazioni pubbliche, e, in particolare, gli enti locali. Mi riferisco al grande lavoro, a cui abbiamo contribuito attivamente, svolto dalla Commissione per l'Armonizzazione contabile degli enti territoriali – ARCONET – istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
  L'ISTAT partecipa ai lavori della Commissione, al fine di garantire la coerenza dei nuovi princìpi e sistemi contabili con le regole e le metodologie definite a livello europeo, in modo da soddisfare i fabbisogni informativi necessari ai fini della definizione dei conti pubblici e della notifica dell'indebitamento netto e del debito.
  Le stime preliminari indicano che nel 2016 il Prodotto interno lordo, a valori concatenati, è cresciuto dell'1,2 per cento nel Nord-Est, dello 0,9 per cento nel Mezzogiorno. Lievemente inferiore è, invece, la crescita nel Centro e nel Nord-Ovest.
  In termini di PIL pro capite – misura che sintetizza la capacità di ciascun territorio di produrre reddito per unità di popolazione – i dati disponibili sui conti delle Regioni italiane, relativi al 2015, indicano per le Regioni del Nord-Ovest un valore quasi doppio rispetto a quello delle Regioni del Mezzogiorno (33,4 mila euro contro 17,8 mila). I differenziali risultano ancora più ampi se si prendono in considerazione le singole Regioni, sebbene la linea di divisione tra il Meridione e le restanti aree del Centro-Nord costituisca comunque il fattore distintivo più importante.
  Dal punto di vista della classificazione statistica, la Regione con il PIL pro capite più elevato è la provincia autonoma di Bolzano, con oltre 40 mila euro, valore pari a oltre una volta e mezza la media nazionale di 27 mila euro per abitante. Segue la Lombardia, con quasi 36 mila euro.
  Le Regioni del Centro presentano un PIL per abitante piuttosto differenziato, con valori compresi tra un massimo di 31 mila euro per il Lazio e un minimo di circa 24 mila euro per l'Umbria; quest'ultima ha un differenziale negativo di circa il 12 per cento rispetto al valore nazionale.
  Il PIL pro capite nella ripartizione del Mezzogiorno risulta inferiore di circa un terzo rispetto a quello medio italiano. Il livello più alto si registra in Abruzzo, con 24,2 mila euro. È l'unica area che non presenta un gap molto ampio rispetto al resto del Paese. Per le altre Regioni il livello è compreso tra i 19,5 mila euro della Basilicata e i 16,5 mila euro della Calabria, la quale risulta essere la Regione con la situazione più sfavorevole, caratterizzata da un differenziale negativo di circa il 39 per cento rispetto alla media nazionale.
  In termini di evoluzione di medio periodo, l'ampiezza dei differenziali regionali è mutata di poco, mostrando una leggera tendenza ad ampliarsi tra le aree più ricche e il Meridione.
  Le differenze estremamente ampie che si osservano dal punto di vista del reddito prodotto sono in parte ridotte, in termini di reddito disponibile, dai meccanismi di redistribuzione determinati dall'intervento pubblico. Nell'ambito dei conti territoriali, l'ISTAT elabora le stime del reddito disponibile delle famiglie, che permettono di isolare la componente redistributiva, calcolata come l'effetto netto di imposte e contributi sociali (a carico delle famiglie), prestazioni sociali ricevute e trasferimenti netti.
  I differenziali misurati sul reddito disponibile sono, come atteso, significativamente inferiori a quelli che si osservano considerando il PIL. Nel 2015, a fronte di un reddito disponibile pro capite pari a Pag. 5quasi 18 mila euro per l'Italia, si osserva un livello di circa 21 mila euro nel Nord-Ovest, contro un valore di poco superiore ai 13 mila euro nelle Regioni del Mezzogiorno.
  All'interno delle stime regionali del reddito disponibile è possibile individuare la componente che sintetizza le operazioni di redistribuzione (detta «distribuzione secondaria»), espressa in termini di valori pro capite. I valori di tale componente nel 2015 presentano una distribuzione regionale molto simile, anche se non del tutto analoga a quella del PIL o del reddito disponibile. L'apporto per abitante più basso si registra per la Lombardia, con un effetto molto vicino allo zero. Per le restanti Regioni del Nord si osservano valori decisamente differenziati: per la provincia di Bolzano e il Veneto un effetto netto dell'ordine di 500 euro, per Friuli e Liguria un apporto di circa 1.700 euro.
  Notevoli differenze emergono anche nell'Italia centrale, con il Lazio a quota 900 euro e l'Umbria a 2 mila euro. Infine, tra le Regioni del Mezzogiorno si registrano i valori più elevati dell'effetto della distribuzione secondaria, con circa 2.400 euro per la Sardegna, 2.200 per la Calabria e, per la Campania, 1.500 euro.
  L'Indagine europea sui redditi e le condizioni di vita permette di tracciare un quadro delle principali differenze a livello regionale in termini di disuguaglianza dei redditi. Un primo indicatore che misura in maniera sintetica la distanza fra i redditi è il rapporto fra il reddito totale percepito dal 20 per cento più ricco della popolazione e quello del 20 per cento più povero, che, nel 2015, è stato pari in Italia a quasi 6.
  Le Regioni dove si registrano le differenze più elevate sono la Sicilia, dove il quinto più ricco ha un reddito superiore di oltre otto volte rispetto a quello più povero e, anche se con un divario minore, il Lazio, dove il rapporto è pari a 6,5 volte. Per le stesse Regioni, rispetto al 2008, si registra anche il maggiore incremento di tale indicatore. Nello stesso arco di tempo, anche se in misura meno accentuata, cresce la distanza fra i redditi più elevati e quelli più bassi in Sardegna, Puglia e Lombardia (tutte con aumenti prossimi all'unità).
  L'analisi delle diseguaglianze reddituali può essere declinata anche attraverso una misura che dà conto della distanza dal reddito medio di un gruppo sociale di riferimento (in questo caso l'intera popolazione residente). In particolare, in Italia, nel 2015, circa un residente su cinque (19,9 per cento) è a rischio di povertà, vive cioè in famiglie che nel 2014 avevano un reddito equivalente inferiore al 60 per cento del reddito mediano nazionale. Il rischio di povertà è cresciuto di poco durante gli anni della crisi, un indizio del fatto che il periodo di involuzione economica potrebbe aver colpito in modo uniforme ricchi e poveri.
  Ampliando l'analisi con elementi non strettamente monetari che caratterizzano gli standard di vita della popolazione, è utile osservare l'andamento dell'indicatore sintetico definito a livello europeo di rischio di povertà ed esclusione sociale, che, oltre alle difficoltà reddituali delle famiglie, tiene conto anche della bassa intensità lavorativa e della deprivazione materiale, ossia dell'impossibilità di sostenere gran parte delle spese per determinati beni e servizi.
  L'indicatore mostra come l'essere residenti nel Mezzogiorno esponga a un rischio maggiore lungo tutte le dimensioni della vulnerabilità: in Sicilia più della metà della popolazione vive in famiglie a rischio di povertà o esclusione e in Puglia e Campania si supera il 45 per cento. Viceversa, valori più contenuti, intorno al 15 per cento, si rilevano nella provincia autonoma di Bolzano, in Friuli-Venezia Giulia e in Emilia Romagna.
  Nell'arco temporale dal 2008 al 2015, in un quadro nazionale che ha visto il valore dell'indicatore passare dal 25,5 al 28,7 per cento, un peggioramento significativo, ovvero una più ampia diffusione di fenomeni di disagio, si è manifestato in Umbria e Puglia, dove l'indicatore è aumentato di oltre 10 punti percentuali, e nella provincia autonoma di Trento e in Sicilia, dove l'incremento è stato di 7 punti percentuali.
  Prima di passare all'analisi delle risorse, ritengo utile richiamare brevemente alcuni dati che l'ISTAT ha pubblicato di recente sulla stima della povertà assoluta, ovvero Pag. 6sul numero di famiglie e individui i cui consumi non superano la soglia di povertà, data dal valore monetario del paniere di beni e servizi considerati essenziali e definita in base all'età dei componenti della famiglia, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza.
  Nel 2016, erano circa 1 milione e 600 mila le famiglie in povertà assoluta, pari al 6,3 per cento del totale delle famiglie italiane. In queste famiglie ci sono oltre 4 milioni e 700 mila individui, quasi l'8 per cento della popolazione. La distribuzione degli individui poveri non è omogenea sul territorio: poco più di 2 milioni vivono nel Mezzogiorno e circa 1 milione e 800 mila vivono al Nord. Le restanti 870 mila persone risiedono invece nelle Regioni del Centro.
  Tra il 2008 e il 2016, il numero di poveri è aumentato in tutte le ripartizioni, ma l'aumento più consistente si è registrato nelle Regioni del Centro Italia, dove il numero di poveri è quasi triplicato, e nelle Regioni del Nord, dove è cresciuto di 2 volte e mezzo. Il numero degli individui poveri nelle Regioni del Mezzogiorno, pur raddoppiando, è cresciuto relativamente meno rispetto alle altre ripartizioni.
  Passo ora all'analisi delle risorse finanziarie degli enti territoriali.
  Per i lavori della Commissione è utile osservare, nell'ambito dei conti consolidati delle amministrazioni pubbliche, il conto delle amministrazioni locali.
  Nel 2016 le amministrazioni locali hanno gestito flussi per 244,2 miliardi di euro in entrata (pari al 24 per cento del totale delle entrate del bilancio pubblico) e per circa 240 miliardi di euro in uscita (pari al 22 per cento dell'insieme delle spese della pubblica amministrazione).
  Una parte molto rilevante delle entrate (circa il 42 per cento) è costituita da trasferimenti provenienti dalle amministrazioni pubbliche centrali (flussi che, a livello aggregato, si consolidano).
  Il livello del saldo netto delle amministrazioni locali risulta, quindi, influenzato da questi flussi finanziari tra diversi livelli di governo. Si può osservare che l'indebitamento ha segnato per la prima volta un deficit contenuto (circa un miliardo di euro) nel 2013, per poi toccare 5,6 miliardi di euro nel 2015 e ridiscendere a 4,2 miliardi di euro nel 2016.
  Esaminando nel dettaglio il conto delle amministrazioni locali, emerge che dal lato delle entrate, al netto dei trasferimenti provenienti dal bilancio statale (101,3 miliardi di euro), le quote maggiori derivano dalle imposte indirette, la cui incidenza sul totale supera il 24 per cento, e da quelle dirette, che sfiorano il 16 per cento, mentre gli introiti derivanti dalla vendita di beni e servizi ammontano a poco più dell'11 per cento.
  Il confronto a distanza di cinque anni, cioè rispetto al 2011, mostra che le entrate totali sono aumentate pochissimo (1 per cento circa), a sintesi di andamenti notevolmente differenziati: i trasferimenti da altri enti della PA sono aumentati di circa il 7 per cento; le imposte indirette hanno subito una forte caduta, compensata dalla risalita di quelle dirette e dalla crescita delle entrate per produzione di beni e servizi vendibili; tra le voci residuali è da notare il forte calo (quasi del 40 per cento) delle entrate in conto capitale.
  Sul versante delle uscite, pesano per poco meno del 30 per cento i consumi intermedi e i redditi da lavoro, mentre i beni e servizi assistenziali acquistati direttamente rappresentano circa il 17 per cento del totale. Dal lato delle spese in conto capitale, l'incidenza delle spese per investimenti è di poco inferiore all'8 per cento sul totale delle uscite.
  La dinamica delle uscite complessive è stata negativa, con un calo del 2 per cento tra il 2011 e il 2016. A questa discesa hanno molto contribuito i redditi da lavoro, scesi di quasi il 9 per cento, e i flussi per prestazioni sociali in natura, mentre sono aumentati significativamente i consumi intermedi.
  Per altro verso, sono fortemente calate le uscite in conto capitale (quasi del 20 per cento), risentendo di contrazioni quasi analoghe degli investimenti fissi lordi e delle restanti componenti.
  Le risorse economiche delle amministrazioni locali possono essere ulteriormente Pag. 7analizzate ricorrendo ad alcuni indicatori specifici, che colgono elementi cruciali, quali la capacità di autonomia impositiva e finanziaria e la rilevanza dei trasferimenti da altre amministrazioni. Questa lettura consente, tra l'altro, di far emergere gli effetti delle norme attuative del federalismo, che hanno ridisegnato la struttura delle entrate degli enti locali.
  Un primo indicatore è quello di autonomia impositiva, ottenuto come incidenza delle entrate tributarie sull'insieme di quelle correnti. Nel quinquennio 2010-2015 per il totale delle amministrazioni locali tale incidenza ha subìto un incremento di circa 4 punti percentuali, passando dal 41 al 45 per cento.
  Un secondo indicatore, quello di autonomia finanziaria, che include tra le risorse utilizzabili dalle amministrazioni anche le entrate extra-tributarie, nel 2015 si è attestato al 58 per cento, con un incremento di 5 punti percentuali rispetto al valore del 2010.
  Il peso dei trasferimenti da amministrazioni pubbliche costituisce l'altra grande componente di finanziamento. Esso si è ridotto, nel periodo considerato, di 6 punti percentuali, dal 47 al 41 per cento.
  Concentrando l'attenzione sulle amministrazioni comunali, attraverso l'analisi dei dati dei bilanci consuntivi degli enti locali, si osserva che nel 2015 il valore medio nazionale del grado di autonomia finanziaria era pari a circa l'85 per cento, con un aumento di oltre 26 punti percentuali rispetto al 2010. L'incremento non ha avuto natura progressiva nel tempo, ma è avvenuto per intero tra il 2011 e il 2012.
  La quasi totalità dell'incremento nel grado di autonomia finanziaria è riconducibile a una maggiore autonomia impositiva dei comuni. Infatti, il peso delle entrate tributarie sulle entrate correnti, che nel 2015 era pari a quasi il 65 per cento, è cresciuto, nel periodo considerato, di 25 punti percentuali. L'indicatore è più elevato nei comuni della Puglia e dell'Umbria, con valori superiori al 70 per cento, mentre la sua variazione maggiore si registra nei comuni della Sicilia e dell'Umbria, con incrementi di oltre 30 punti percentuali.
  Nei comuni delle Regioni a Statuto speciale (escluso il Friuli-Venezia Giulia), l'aumento maggiore dell'indicatore si registra durante il periodo 2012-2015, riflettendo i tempi di attuazione della nuova normativa, in considerazione della maggiore autonomia di tali amministrazioni.
  Come accennato, l'aumento dell'autonomia impositiva è abbinato a una riduzione della dipendenza erariale, in linea con i princìpi del federalismo fiscale. Nel 2015 il grado di dipendenza erariale, che indica l'incidenza dei contributi e trasferimenti statali correnti sulle entrate correnti, risulta di poco inferiore al 5 per cento nella media nazionale e, rispetto al 2010, subisce una diminuzione di quasi 23 punti percentuali.
  Negli esercizi considerati tutti i comuni del Centro-Nord (con la sola eccezione del Lazio) presentano un grado di dipendenza erariale inferiore alla media nazionale, mentre la situazione di quelli meridionali è disomogenea. Queste amministrazioni presentano, in genere, valori superiori alla media nazionale nel 2010 e nel 2015; nel 2012, tale situazione si conferma nei soli comuni insulari e in quelli abruzzesi.
  L'analisi degli indicatori relativi alle province evidenzia alcuni degli effetti prodotti dalla progressiva attuazione del federalismo fiscale, come crescita dell'autonomia impositiva e soprattutto finanziaria, anche se in misura sensibilmente inferiore a quanto accaduto per i comuni e con una battuta d'arresto negli anni recenti.
  Nel 2015 il grado di autonomia impositiva si attesta a quasi il 55 per cento su scala nazionale, con un aumento di 6 punti percentuali rispetto al 2010. La dipendenza erariale si attesta invece al 3,7 per cento nella media nazionale. Il livello più elevato dell'indicatore, pari al 19 per cento, è rilevato nelle province della Calabria; il più basso, inferiore all'1 per cento, in quelle del Friuli-Venezia Giulia. L'indicatore, inoltre, presenta un trend di progressiva riduzione, durante il periodo considerato, sia a livello nazionale, sia a livello di singola ripartizione territoriale.
  Gli effetti derivanti dall'introduzione del federalismo fiscale presso le Regioni e le Pag. 8province autonome appaiono di non facile interpretazione alla luce degli indicatori economico-strutturali e delle voci di bilancio.
  Tra il 2010 e il 2012 la dipendenza erariale delle Regioni e delle province autonome mostra, a livello complessivo nazionale, una diminuzione (da 11,8 per cento a 10,4 per cento) seguita da un aumento tra il 2013 e il 2015, portandosi su un valore superiore a quello del 2010. Questa dinamica ricalca l'andamento rilevato, nel periodo in esame, delle entrate da contributi e assegnazioni correnti da parte dello Stato, che diminuiscono fra il 2010 e il 2012, per poi crescere sensibilmente nel triennio successivo.
  A livello territoriale la dipendenza dall'erario appare più marcata al Sud e nelle Isole rispetto al Centro-Nord, anche se la situazione è notevolmente diversificata fra i singoli enti.
  Come preannunciato, chiuderò questo intervento anticipando alcuni dei risultati presentati nel dossier sul censimento delle Istituzioni pubbliche. Nel 2016 l'ISTAT ha realizzato la prima edizione del Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche, che ha censito poco meno di 13 mila Istituzioni e oltre 100 mila unità locali, che impiegano più di 3,3 milioni di dipendenti.
  Attraverso la raccolta di informazioni a livello di unità locali, il quadro informativo offerto dal Censimento si dettaglia ulteriormente con la mappa territoriale dei luoghi di lavoro e delle attività svolte, del personale occupato e dei servizi erogati a individui e collettività. Le informazioni acquisite a livello di unità locale consentono, quindi, analisi approfondite delle caratteristiche settoriali e occupazionali e dei servizi offerti presso i luoghi di lavoro, che incidono direttamente sull'economia e sulle caratteristiche infrastrutturali e sociali del territorio.
  Tra i primi risultati diffusi, quelli sull'attività economica prevalente svolta dalle unità locali consentono di tracciare una mappatura delle attività svolte sul territorio dalle Istituzioni pubbliche e del relativo personale impiegato. Al fine di presentare i primi risultati in termini di investimento nei servizi pubblici a livello provinciale, i dati relativi al personale in servizio (dipendente e non dipendente) sono stati rapportati alla rispettiva popolazione di riferimento in alcuni dei principali ambiti d'intervento pubblico, ossia istruzione, sanità e assistenza sociale.
  È l'istruzione secondaria di primo grado a presentare il rapporto personale/popolazione più elevato, con oltre 15 lavoratori in servizio ogni 100 abitanti di 11-13 anni, seguita dall'istruzione secondaria superiore e tecnica e dall'istruzione primaria. Un indice molto più contenuto è registrato nell'ambito dell'istruzione prescolastica, con meno di 4 lavoratori ogni 100 abitanti di 0-5 anni di età.
  A livello territoriale è il Mezzogiorno a registrare valori superiori alla media nazionale in tutti i cicli scolastici. Un rapporto elevato si registra anche tra le province dell'entroterra.
  In ambito sanitario il rapporto personale/popolazione è di 11,4 lavoratori per 1.000 abitanti, con valori che variano tra i 13,9 nella media delle province del Nord-Est e i 9,5 nei territori del Sud. Si conta, infine, appena un lavoratore in servizio per 1.000 abitanti, sia nel settore pubblico dell'assistenza sociale residenziale e non residenziale. Unica eccezione l'assistenza residenziale nel Nord-Est, dove il rapporto sale a 2,5.

  PRESIDENTE. Grazie. Devo dire che, come al solito, l'ISTAT offre elementi interessantissimi e che la relazione ha sintetizzato, secondo me, gli elementi decisivi anche per il nostro lavoro.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Ringrazio molto per tutti questi dati forniti, che leggeremo con attenzione. Adesso sono stati illustrati rapidamente, ma studieremo bene gli allegati.
  Ho solo una curiosità su un punto che mi ha un po’ stupito. La maggiore autonomia impositiva dei comuni mostrata in quest'arco temporale non è esattamente quello Pag. 9che mi aspettavo. Poiché c'è stato un passaggio da un regime di entrate proprie a un regime di trasferimento da parte dello Stato del gettito spettante di IMU-TASI, mi aspettavo una diminuzione. Non nella pubblica amministrazione nel complesso, dove capisco che per le Regioni e per le province il processo sia diverso, ma nei comuni questo mi sembra un po’ particolare. Vorrei cercare di capire. Mi potete dire in modo un po’ più approfondito come questo elemento è stato calcolato?

  DANIELE MARANTELLI. Anch'io sono colpito da questo dato di cui parlava la collega Zanoni. Ho una domanda soltanto. Nel 2015 si dice che il 28,7 per cento della popolazione è a rischio di povertà o di esclusione sociale. Mi sembra un dato impressionante. Come è stato calcolato?

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio davvero per questa quantità di dati che ci sono stati forniti. Ovviamente, emerge, per quel che ci riguarda, ancora una volta la fotografia di due Italie, se non di tre. Mi sembra che l'altro elemento che va sottolineato sia questa difficoltà crescente delle Regioni del Centro, che prima erano assimilate più al Nord e ora, invece, sembrano essersi, a loro volta, caratterizzate, purtroppo, negativamente con la crisi.
  Un altro aspetto che mi ha fortemente stupito, pensando anche alla immagine correntemente comunicata, sono diversi dati negativi sulla Puglia. La Puglia viene vista come teatro di una sorta di nuovo Rinascimento anche da un punto di vista economico e di start-up. I dati, invece, indicano una situazione di difficoltà e un aumento dei fenomeni di disagio, come voi ricordavate – questo anche in Umbria, altra Regione una volta considerata quasi isola felice – di oltre 10 punti percentuali nel periodo considerato. Credo che siano elementi importanti.
  Mi associo anch'io all'osservazione fatta dalla collega Zanoni. L'unica risposta, come diceva il collega Paglia, può essere che, se il dato era ricavato dal confronto con il periodo precedente al 2011, non è possibile enucleare le cause che lo hanno determinato, prima e dopo. In qualche modo si è ritornati ante l'operazione di federalismo rappresentata, con tutte le critiche che si possono fare, dall'introduzione dell'IMU.
  Comunque, ringrazio ancora.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Scusi, ma mi sono dimenticata di chiedere un ulteriore chiarimento. L'altro aspetto sul quale vorrei avere qualche delucidazione anch'io riguarda l'aumento della povertà. Avete provato a considerare – forse sì, ma non ha dato alcun risultato, immagino – tutta l'ondata di regolarizzazione degli immigrati? Credo che possa aver influito sull'abbassamento del reddito, perché questi soggetti, entrati a far parte della popolazione italiana, hanno mediamente redditi molto bassi e tanti bambini e, quindi, un reddito pro capite basso.
  Ho presente la situazione del mio comune, che è un «comunello». In questi anni abbiamo accolto molti e abbiamo regolarizzato molte posizioni. Sono tutte posizioni con redditi molto, molto bassi.

  GIOVANNI PAGLIA. Vorrei capire una cosa: rispetto al calcolo della soglia di povertà voi vi basate su elementi reddituali o tenete conto anche di elementi relativi alla ricchezza patrimoniale delle famiglie?
  Passo alla seconda domanda. Visto che il dato non risulta, chiedo se ci sia o meno una correlazione diretta con l'aumento della disoccupazione. A naso, sembra che il rischio di povertà sia aumentato ancora più della perdita di disponibilità di posti di lavoro. Non mi sembra che in Umbria la disoccupazione sia aumentata a questo livello rispetto all'aumento dell'indice di povertà.
  D'altra parte, se ci basiamo solo sul reddito, evidentemente in questo Paese la povertà è misurata un po’ a spanne. Questa è la mia impressione.

  PRESIDENTE. Se i colleghi hanno finito, posso fare io due richieste e un'osservazione. Le prime due questioni sono di tipo metodologico.
  Nel caso specifico, come avete contabilizzato l'economia sommersa, il PIL sommerso Pag. 10? C'è un'evidenza di una diversa incidenza a livello territoriale?
  La seconda domanda fa riferimento alla correlazione con il dato di povertà. Il costo della vita e la parità di potere d'acquisto nelle diverse realtà territoriali come sono stati considerati per valutare la povertà? Si tratta di elementi che hanno un peso notevole, in particolare dove il costo della vita è molto, molto più elevato.
  Per quanto riguarda, invece, un'osservazione che mi è stata suggerita dagli ultimi dati che sinteticamente sono stati riportati nel dossier per il Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche, rilevo che da queste prime anticipazioni – mi permetto di dire una cosa al volo – sembrerebbe che le Regioni del Centro-Nord occupino molto personale nel servizio sanitario e assistenziale e poco nel settore dell'istruzione, mentre le Regioni del Sud occupino molto personale nel settore dell'istruzione e, sostanzialmente, assai meno e assai poco nel servizio sanitario e assistenziale.
  Appare così, almeno vedendo le cartine e i colori, che risultano nei grafici e nelle tabelle del dossier allegato, che invito tutti a studiare per la grande quantità di informazioni veramente utili per il nostro lavoro che fornisce.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Prima di dare la parola ai miei colleghi per quanto riguarda il tema dell'autonomia impositiva dei comuni, fornisco qualche elemento sulla povertà.
  Noi misuriamo vari aspetti a questo riguardo, in particolare la povertà assoluta, la povertà relativa e la grave deprivazione materiale, proprio perché è da diversi punti di vista che si riescono a capire le diverse condizioni economiche e di vita delle famiglie. Coerentemente anche con i Regolamenti europei, c'è una pluralità di indicatori.
  Il dato della povertà assoluta, che peraltro è una tradizione nazionale, perché è il risultato di una valutazione di una Commissione appositamente istituita che stabilì come misurare la povertà assoluta, si basa sui consumi delle famiglie. Prende in considerazione la capacità di spesa delle famiglie e, quindi, si basa sull'indagine sulla spesa delle famiglie.
  Naturalmente, la spesa dipende dai redditi e dal patrimonio delle famiglie. Noi ne cogliamo nei consumi la dimensione. In particolare, si fa riferimento a una spesa minima associata a un determinato paniere di prima necessità. Misuriamo la quota di famiglie e, quindi, di persone che sono al di sotto di quella soglia.
  La soglia non è unica a livello nazionale, ma dipende dall'età, dalla dimensione delle famiglie, dalla tipologia dei comuni e anche dalla ripartizione geografica, ossia dal contesto territoriale. Si tiene conto anche di differenze collegate sia alla dimensione della famiglia, sia ai contesti territoriali.
  Invece, la misura del rischio di povertà fa riferimento, ai redditi delle famiglie e, in applicazione di un Regolamento europeo, consente di confrontare i Paesi dell'Unione sulla base della stessa indagine e degli stessi indicatori. C'è un grande dibattito in letteratura se si debba tener conto soltanto dei redditi o anche della ricchezza.
  I consumi sono un dato di cui teniamo conto noi. Di fatto, l'indagine tiene conto di tutti e due gli indicatori. Invece, l'indagine EU-SILC sul rischio di povertà è basata sui redditi ed è condotta su 70.000 persone intervistate ogni anno, un campione solido, che ci permette di leggere con profondità il fenomeno.
  Confrontando la povertà assoluta e il rischio di povertà, ricaviamo anche diversi elementi.

  GIOVANNI PAGLIA. Chiedo scusa, solo per capire: quindi, l'effetto evasione fiscale che ruolo ha?

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). L'evasione fiscale influisce sul dato dei redditi disponibili.

  PRESIDENTE. È temperata dai consumi. I consumi fanno giustizia rispetto...

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). La povertà Pag. 11 è aumentata fortemente rispetto ai livelli pre-crisi e, anche se non è aumentata significativamente negli ultimi tre anni, si è concentrata soprattutto su alcuni segmenti della società italiana. L'abbiamo detto tante volte.

  GIOVANNI PAGLIA. La tabella, su cui ho basato le mie domande, è basata su dati EU-SILC, quindi, riferiti solo ai redditi. Non è quindi riportato il dato sulla povertà assoluta. Perfetto.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). La grave deprivazione materiale si riferisce a famiglie che non raggiungono livelli di consumo, di servizi e beni specifici stabiliti dai Regolamenti europei. Abbiamo una pluralità di indicatori. Quello che emerge è che la povertà è aumentata in modo diverso nelle diverse aree del Paese, ma soprattutto riguarda il segmento delle famiglie più numerose.
  In particolare, il tema degli stranieri è un tema certamente collegato con l'aumento della povertà. Il rischio di povertà e i livelli di povertà in famiglie in cui ci sia almeno uno straniero sono nettamente più elevati.
  Parliamo anche del tema dei minori proprio perché, essendo il parametro concentrato fortemente sulle famiglie più numerose, coinvolge anche frequentemente persone di minore età.
  Il territorio, naturalmente, ha un peso nelle differenze nei livelli di povertà. L'elemento nuovo che abbiamo segnalato più volte è che i redditi da pensione, tipicamente da lavoro, hanno consentito una tenuta del livello dei consumi e dei livelli della povertà. In particolare, il fenomeno dell'invecchiamento e, in generale, la corresponsione delle pensioni sono fattori che hanno consentito di ammortizzare un po’ i danni forti della crisi.
  Al di là della povertà, invece, i dati territoriali, come al solito, mettono in luce anche elementi che non ci si aspettava. Condivido le osservazioni sulle differenze che riguardano alcune Regioni, come la Puglia, l'Umbria e, in generale, il Centro, che si immagina essere un'area fortemente differenziata verso l'alto. Sono dati utili proprio perché consentono letture più profonde.
  Naturalmente, il dato regionale non fa giustizia delle differenze territoriali. Noi siamo impegnati fortemente nel riuscire a leggere questi fenomeni, al di là delle questioni amministrative, in termini di città, centro e periferia, aree interne, aree metropolitane, cinture metropolitane e via elencando, ma i dati mettono certamente in luce anche situazioni inattese, a disposizione del livello politico politica e di quanti hanno responsabilità.
  Il sommerso naturalmente è considerato in tutti i nostri conti. Adesso il direttore Oneto entrerà nel merito. Ci sono differenze, sia settoriali, sia territoriali. Le mettiamo in luce da diversi anni, sia dal punto di vista del prodotto, sia dal punto di vista delle unità di lavoro non regolari. Certamente è un tema che, a livello territoriale, può consentire tante considerazioni importanti.
  Cederei la parola a Giampaolo Oneto.

  GIAMPAOLO ONETO, responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT. Grazie. Provo ad aggiungere qualcosa. Parto dal sommerso.
  Nelle statistiche diffuse all'inizio di dicembre 2016, però, tra i dati dettagliati per Regione, abbiamo inserito anche una tabella che riporta l'incidenza dell'economia sommersa. Per la prima volta a fine 2016, abbiamo considerato l'incidenza delle principali componenti del sommerso, che sono la sotto-dichiarazione, ossia la correzione per tenere conto del fatto che le imprese tendono a sotto dichiarare la loro attività, che è il corrispondente statistico dell'evasione, e la componente del lavoro irregolare. Abbiamo fornito il dato per Regione.
  La tendenza generale evidenzia che l'evasione è molto più elevata nelle Regioni meridionali a basso reddito piuttosto che nelle Regioni settentrionali ad alto reddito. I dati regionali non li ho con me, ma rinvio a una tabella piuttosto chiara nella pubblicazione di inizio dicembre.

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  FEDERICO FORNARO. Il presidente si arrabbierà, ma la prima Regione per evasione dell'IVA è la Lombardia.

  PRESIDENTE. Il dottor Oneto non si ricorda e, invece, lei è già «sul pezzo». A me sembrava di aver capito una cosa diversa dal dottor Oneto.

  FEDERICO FORNARO. Viste le dimensioni del prodotto interno lordo, è evidente che la Lombardia sia...

  PRESIDENTE. In valore assoluto. Vediamo il valore pro capite.

  GIAMPAOLO ONETO, responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT. Naturalmente, io sto parlando di incidenze. Inoltre, l'evasione dell'IVA è un aspetto molto particolare rispetto al sommerso. Noi misuriamo il reddito prodotto sommerso. L'evasione dell'IVA si configura in maniera diversa.
  Comunque, sto parlando di incidenze. È chiaro che, in valori assoluti, le Regioni più ricche possono avere un'evasione significativa, ma evasione e sotto-dichiarazione, a loro volta, sono due cose diverse. Quindi, i dati sul sommerso ci sono e possiamo fornirveli, proprio perché il nostro sistema di stima è tale che partiamo dal basso, da un livello molto disaggregato, usando la stessa metodologia anche a livello territoriale.
  I dati regionali li avete anche nella tavola 1 della documentazione lasciata agli atti – È chiaro che le attese sui differenziali possono venire da molti elementi ma un conto sono le notizie più o meno sparse, un altro sono, naturalmente, i dati, in particolare quelli ci vengono dalle imprese. Come potete vedere dalla tavola 1, l'Umbria è andata veramente peggiorando la sua situazione relativa, ma il caso dell'Umbria è noto perché ci sono state delle crisi aziendali particolarmente rilevanti.
  Il caso della Puglia è emerso ormai da qualche anno. È chiaro che la Puglia sia una delle Regioni in difficoltà del Mezzogiorno, in cui, peraltro, le uniche Regioni che hanno un reddito medio un po’ più elevato sono Basilicata e Sardegna, al di là dell'Abruzzo, che, come sappiamo, è molto più vicino come situazione alle Regioni del Centro. Fra l'altro, l'Abruzzo ha ora superato l'Umbria come PIL per abitante.
  Per il resto, abbiamo una situazione appena un po’ più favorevole in Basilicata e in Sardegna, mentre tutte le altre Regioni – in particolare, penso alla situazione della Calabria – sono su un livello abbastanza simile.
  Nelle tabelle fornite alla Commissione abbiamo inserito i dati degli ultimi cinque anni, ma sulle nostre basi dati online sono disponibili anche i dati dal 1995. Guardando questi, si potrebbero notare meglio eventuali tendenze.

  PRESIDENTE. Il PIL che viene indicato in queste tabelle è al netto o al lordo dell'evasione fiscale, ossia del «sommerso» che avete stimato?

  GIAMPAOLO ONETO, responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT. Al lordo. Si è tenuto conto del sommerso.

  PRESIDENTE. Quindi, avete il dato reale.

  GIAMPAOLO ONETO, responsabile della Direzione centrale per la Contabilità nazionale dell'ISTAT. I dati tengono conto del sommerso, con riferimento sia alla sotto-dichiarazione, sia al lavoro irregolare.
  Riguardo all'autonomia impositiva, vi segnalo il grafico basato su un'altra fonte, ossia sui dati dei conti consolidati dei comuni. Sono stati fatti commenti riguardo all'andamento di tale aspetto. A me risulta che l'autonomia impositiva dei comuni abbia avuto il suo minimo nel 2009. Fino al 2011 è rimasta praticamente stabile e poi è decisamente cresciuta fino al 2015.
  Fra l'altro, i dati che forniamo derivanti dai certificati di bilancio, ossia dai dati a livello comunale «fini», sono fino al 2015. Nel grafico, che si basa invece sui dati aggregati, nel 2016 sembra esserci una discesa, ma debbo dire che il dato 2016 è, naturalmente, ancora molto fragile, perché è stato calcolato molto rapidamente a marzo. Pag. 13Non abbiamo ancora i dati sui certificati di bilancio, che stanno affluendo adesso.
  Il dato macro conferma chiaramente che, fra il 2011 e il 2015, c'è stata una forte crescita dell'autonomia impositiva, definita come il totale delle entrate tributarie sul totale delle entrate correnti. Questi sono proprio i dati – mi permetto – oggettivi macro, che risultano, peraltro, dalla somma di tutti i bilanci comunali.
  Non so se ci sia un qualche elemento fortemente definitorio. Gerolamo Giungato ne sa più di me sicuramente.

  GEROLAMO GIUNGATO, dirigente del Servizio trattamento e verifica della qualità dei dati di finanza pubblica dell'ISTAT. Gli indicatori che presentiamo sono diversi. La prima parte, quella che ha presentato il presidente, consta di indicatori calcolati sui dati di contabilità nazionale, che sono diversi da quelli calcolati, invece, direttamente sui bilanci finanziari e che, quindi, risentono delle nostre classificazioni specifiche.
  Il dato che riguarda i comuni, che rapporta il titolo 1 al totale delle entrate, risente sia delle compartecipazioni a tributi erariali, sia, probabilmente, del Fondo di solidarietà comunale, dell'aumento dell'ICI-IMU e della TARSU-TARI-TARES, come si è chiamata nel corso degli anni, che tra l'altro è una componente che è aumentata tantissimo.

  PRESIDENTE. Se mandate altre informazioni, ovviamente le immagazziniamo e le distribuiamo a tutti i colleghi. Il materiale è qui in forma cartacea, ma verrà girato anche in formato elettronico.
  Ringrazio il Presidente Alleva e il dottor Oneto anche per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.55.

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ALLEGATO 1

INTERVENTO INTEGRALE DEL PRESIDENTE ALLEVA

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ALLEGATO 2

ALLEGATO STATISTICO

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ALLEGATO 3

DOSSIER: IL CENSIMENTO PERMANENTE
DELLE ISTITUZIONI PUBBLICHE

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